ALLEGATO PIANO NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ATTUAZIONE DELL'AGENDA 21 Approvato dal CIPE nella seduta del 28 dicembre 1993 PREMESSA 1. La Conferenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite su "Ambiente e Sviluppo" (UNCED) tenuta a Rio de Janeiro nel giugno 1992 con la partecipazione di 183 paesi si e' sforzata di integrare le questioni economiche e quelle ambientali in una visione intersettoriale e internazionale, definendo strategie ed azioni per lo sviluppo sostenibile. I partecipanti alla UNCED hanno concordato sull'affermazione di comuni obiettivi (la Dichiarazione di Rio), su un piano di azione per specifiche iniziative economiche, sociali ed ambientali in vista del XXI secolo (Agenda 21) e su due convenzioni internazionali (la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla diversita' biologica). L'Agenda 21 (1) afferma che: "i governi... dovrebbero adottare una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile... . Tale strategia dovrebbe essere predisposta utilizzando ed armonizzando le politiche settoriali. L'obiettivo e' quello di assicurare uno sviluppo economico responsabile verso la societa', proteggendo nel contempo le risorse fondamentali e l'ambiente per il beneficio delle future generazioni. Le strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile dovrebbero essere sviluppate attraverso la piu' ampia partecipazione possibile e la piu' compiuta valutazione della situazione e delle iniziative in corso". 2. L'Agenda 21 e' composta di quaranta capitoli nei quali, dopo due anni di preparazione e la discussione conclusasi a Rio de Janeiro, sono affrontati tutti i campi nei quali e' necessario assicurare l'integrazione tra ambiente e sviluppo. Per raggiungere lo sviluppo sostenibile il documento sottolinea con vigore le seguenti necessita': - l'integrazione delle considerazioni ambientali in tutte le strutture dei governi centrali e in tutti i livelli di governo per assicurare coerenza tra le politiche settoriali; - un sistema di pianificazione, di controllo e gestione per sostenere tale integrazione; - l'incoraggiamento della partecipazione pubblica e dei soggetti coinvolti, che richiede una piena possibilita' di accesso alle informazioni. 3. Anche prima dell'UNCED molti paesi e la Commissione delle Comunita' europee avevano gia' adottato piani per l'ambiente e altri documenti di strategie volti a definire obiettivi di lungo termine nel campo ambientale. Tra il 1988 e il 1993 nell'area OCSE hanno predisposto propri piani l'Australia, il Canada, la Danimarca, la Francia, l'Irlanda, l'Olanda, la Norvegia e il Regno Unito, nonche' la Commissione della Comunita' europea. Tutti i paesi che hanno partecipato alla Conferenza di Rio de Janeiro stanno ora elaborando i propri documenti nazionali, con un attivo ruolo di propulsione e di coordinamento da parte di molti organismi internazionali. I paesi della Comunita' europea si sono impegnati nel 1992 a Lisbona a presentare alla Commissione per lo sviluppo sostenibile, istituita presso l'ONU, i propri piani nazionali di attuazione dell'Agenda 21 entro la fine del 1993. 4. La letteratura sullo sviluppo sostenibile e' ormai molto vasta, a partire dal Rapporto della Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo istituita nel 1987 e presieduta da Gro Harlem Bruntland che ne ha dato questa definizione: uno "sviluppo che fa fronte alle necessita' del presente senza compromettere la capacita' delle future generazioni di soddisfare le proprie esigenze". Lo sviluppo sostenibile ricerca dunque un rapporto di armonia con la natura e con l'ambiente. Perseguire lo sviluppo sostenibile significa ricercare un miglioramento della qualita' della vita pur rimanendo nei limiti della ricettivita' ambientale. Sviluppo sostenibile non vuol dire bloccare la crescita economica, anche perche' persino in alcune aree del nostro paese, l'ambiente stesso e' una vittima della poverta' e della spirale di degrado da essa provocata. Un piano di azione per lo sviluppo sostenibile non deve solo promuovere la conservazione delle risorse, ma anche sollecitare attivita' produttive compatibile con gli usi futuri ne deriva che l'applicazione del concetto di sviluppo sostenibile e', da un lato, dinamica ovvero legata alle conoscenze e all'effettivo stato dell'ambiente e degli ecosistemi, dall'altro consiglia un approccio cautelativo riguardo alle situazioni e alle azioni che possono compromettere gli equilibri ambientali, attivando un processo continuo di correzione degli errori. Sviluppo sostenibile e' in conclusione un nuovo modo di considerare cio' che ciascuno fa e il modo nel quale viene fatto. E' per questa ragione che i piani per lo sviluppo sostenibile devono scaturire da un forte coinvolgimento di tutti i soggetti che interferiscono con gli equilibri ambientali: dal cittadino, che puo' molto contribuire con il proprio comportamento anche come consumatore di beni offerti sul mercato, ai gruppi di opinione e ai mezzi di informazione, alle imprese, agli enti locali che amministrano il territorio, ai ministeri responsabili delle politiche settoriali. 5. Nella stessa linea si muove il V piano di azione della Comunita' europea, predisposto nel marzo 1992 parallelamente ai lavori preparatori per la Conferenza UNCED, ed approvato all'inizio del 1993 (2). Il V piano di azione della CE innova profondamente l'approccio istituzionale alle questioni ambientali, spostando l'asse portante degli interventi dal tipo "comando e controllo" a quelli volti ad integrare le politiche ambientali con le regole di mercato, attraverso il calcolo delle esternalita' ambientali sia nella formulazione dei prezzi sia nei processi economici, sollecitando "l'ampliamento dello strumentario" alla ricerca e all'innovazione, all'uso di strumenti fiscali e di sostegno finanziario, alla cooperazione volontaria tra la pubblica amministrazione e le imprese, alla diffusione delle informazioni. Soggetto attivo del V piano di azione della CE e' l'intera societa' civile, coinvolta nei vari segmenti di aggregazione che e' possibile cogliere dal punto di vista ambientale. I settori "chiave" di intervento prescelti dalla Comunita' per l'attuazione del piano sono l'industria manifatturiera, il settore energetico, il settore dei trasporti, l'agricoltura, il settore del turismo. I criteri che sono alla base di tale selezione, operata sui dati aggregati dell'intera Comunita', si applicano perfettamente alla realta' italiana. 6. I paesi che nel passato piu' o meno recente hanno gia' predisposto piani e strategie per l'ambiente sono ora agevolati nella predisposizione del piano di attuazione dell'Agenda 21. L'Italia non appartiene a questa categoria di Stati: tra i documenti di rilievo generale, utili alla definizione del piano di attuazione e della piu' ampia strategia per lo sviluppo sostenibile si rinvengono le edizioni della "Relazione sullo stato dell'ambiente" del 1989 riguardo alla quale va ricordata la "Nota aggiuntiva" del Ministro dell'ambiente, e del 1992, il programma triennale di tutela ambientale (PTTA) '89-'91, le indicazioni legislative sulle ecotariffe associate alla manovra finanziaria per il 1993 e, per quanto riguarda la spesa ambientale, il PTTA '94-'96 in corso di esame da parte del CIPE. Va anche ricordato il "Piano nazionale di ricerca scientifica e tecnologica per l'ambiente", promosso nel 1989 dal Ministro dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica e dal Ministro dell'ambiente, in cui, individuate le principali criticita' ambientali, sono descritti per ciascuna di esse i problemi, le priorita' e le necessita' di ricerca. 7. Sono molte le azioni necessarie per concretizzare una strategia di sostenibilita' per l'Italia. Occorre: a) rispettare gli impegni presi in sede internazionale e promuoverne l'attuazione anche in altri paesi; b) individuare precisi strumenti per rafforzare l'integrazione delle problematiche ambientali nelle politiche di settore (e' indispensabile promuovere procedure e strutture di coordinamento per introdurre le considerazioni ambientali nei processi decisionali); c) sollecitare interventi di modifica dei cicli produttivi in settori di attivita' a maggior impatto ambientale (e' importante intraprendere azioni concrete nei settori come l'energia, le attivita' industriali, il sistema dei trasporti, le attivita' agricole, le attivita' turistiche, ecc. affinche' venga ridotto il prelievo di risorse e l'emissione di inquinanti, rendendo piu' efficienti i processi); d) favorire comportamenti adeguati sia dei produttori che dei consumatori con l'introduzione di strumenti economici (tasse, tariffe e incentivi) volti ad internalizzare i costi ambientali e a sostenere le innovazioni di processo e di prodotto, tenendo conto delle compatibilita' con l'Unione Europea e della attuale forte incidenza nei bilanci di impresa degli oneri fiscali e sociali; e) adottare strumenti legislativi e rafforzare le strutture istituzionali preposte al controllo e alla verifica dell'attuazione delle politiche (e' indispensabile, nel sistema normativo italiano, ottenere una robusta struttura istituzionale preposta alla promozione delle politiche ambientali ed ai controlli, nonche' avere precisi strumenti di verifica sull'attuazione e l'efficacia delle politiche stesse); f) promuovere il coinvolgimento e la corresponsabilizzazione di tutti gli altri attori individuali; g) mettere a punto indicatori di sostenibilita' ambientale e un sistema nazionale di contabilita' ambientale (per superare l'incapacita' del PIL di rappresentare un'esauriente misura del benessere "sostenibile" attraverso la contabilizzazione di aggregati finora non rilevati, tra cui spiccano le valutazioni del deprezzamento qualitativo e quantitativo del patrimonio naturale e gli effetti esterni ad esso connessi); h) promuovere lo sviluppo di un piu' rigoroso ed esteso corpo di conoscienze scientifiche, teoriche e pratiche, sia per la soluzione dei singoli problemi ambientali, sia per orientare e sostenere le scelte e le conseguenti azioni politiche per lo sviluppo sostenibile. 8. L'Agenda 21 che l'Italia deve attuare e' un documento assai articolato e complesso. Una parte degli obiettivi e delle azioni ivi indicate presentano un interesse prevalente per i paesi che hanno condizioni climatiche, sociali ed economiche differenti da quelle italiane. Il presente piano nazionale pertanto seleziona, sulla base dei settori chiave gia' individuati dalla CE nel V piano di azione, gli obiettivi e le azioni piu' congruenti con l'attuale condizione ambientale del nostro paese, avendo riguardo anche alle sue caratteristiche sociali ed economiche. Sulla base dell'esperienza gia' sviluppata dai paesi aderenti all'OCSE il piano cerca di evitare due tendenze spesso evidenti nel confronto con la questione ambientale: da un lato l'approccio olistico, che sfugge alle priorita', dall'altro l'approccio perentorio che elenca soluzioni inappellabili in quanto ispirate da supposte verita'. Questo piano, nella sua attuale prima versione, parte invece dal presupposto che vi siano alcune urgenze, dovute alla dimostrata condizione di sofferenza del pianeta Terra e dell'"ecosistema Italia". 9. Le urgenze possono e devono essere affrontate rapidamente in chiave di nuove e decisive opportunita' di sviluppo anche tecnologico nella prospettiva di una competizione economica che ha di fronte mercati di scala mondiale e attori, in altri paesi, che da tempo hanno incorporato le preoccupazioni ambientali nella programmazione di impresa. La soluzione di tali urgenze si concentra nelle azioni da porre in essere nei settori produttivi piu' tradizionali (industria, agricoltura, turismo), nelle infrastrutture di base (energia, trasporti), nella necessita' di modificare radicalmente il punto di vista dei soggetti pubblici e privati verso i rifiuti, problema terminale dei processi di produzione e di consumo che assume forme paradossali nelle economie piu' ricche ma non sviluppate sotto il profilo della tutela ambientale. Il piano si articola quindi in sei capitoli, secondo un'aggregazione dei problemi che dovrebbe anche rendere piu' agevole seguirne l'attuazione da parte delle pubbliche amministrazioni centrali e dei soggetti interessati. A questi capitoli si aggiunge il documento preliminare del Ministero degli affari esteri sugli impegni assunti e da assumere nel campo della cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile. Al fine di indirizzare le attivita' di sostegno economico ai PVS sviluppate dall'Italia nelle varie forme (multilaterale, bilaterale, doni, prestiti, ecc.) nei termini piu' coerenti possibili con gli indirizzi dell'Agenda 21, il Governo e' impegnato nell'ambito della attuazione del presente piano a ulteriormente approfondire e puntualizzare gli obiettivi ivi indicati. Ciascun capitolo descrive sinteticamente la situazione italiana, le indicazioni dell'Agenda 21 in proposito, gli obiettivi da assumere come prioritari, le azioni e gli strumenti necessari ed e' completato da una matrice che indica i soggetti che detengono responsabilita' per l'attuazione del piano. 10. La consapevolezza che la soluzione dei problemi ambientali non puo' scaturire da un rifiuto dello sviluppo tecnologico ma va ricercata in una diversa qualita' dello stesso, ha fatto maturare la convinzione, al fine anche di non creare perturbazioni traumatiche nel sistema socio-produttivo del Paese, che componente fondamentale di una politica orientata allo sviluppo ambientalmente sostenibile e' la risposta che potra' venire dalla ricerca alle attuali e future necessita' di nuove conoscenze e di nuove tecnologie. Allo stato attuale, esistono soluzioni a molti singoli problemi, anche se alcune potenzialita' debbono essere ancora trasformate in effettiva operativita'. La complessita', l'interdipendenza e la vastita' di molti temi ambientali richiedono tuttavia un piu' esteso, vigoroso e penetrante corpo di conoscenze scientifiche di base, conoscenze sociali e pratiche, che supera la soluzione del singolo problema e pone la necessita' di una ricerca che si assesti ai livelli di quanto piu' avanzato e' stato finora prodotto e progredisca verso ulteriori e necessari livelli di aggregazione di conoscenze di vario tipo. In ogni capitolo sono pertanto anche indicate, in modo sintetico, le attuali priorita' di ricerca. Per la natura dinamica del sistema ambientale e dei rapporti che, nello spazio e nel tempo, si stabiliscono tra componenti, fattori e processi naturali ed antropici, anche queste priorita' non possono costituire un riferimento statico, bensi' un complesso problema aperto, che necessitera' di aggiornamenti, revisioni e forse, tal volta, anche di inversione di tendenze. 11. Il piano di attuazione non esaurisce l'universo delle cose da fare per lo sviluppo sostenibile. La scelta di aggregare azioni e strumenti sui settori di maggiore impatto ambientale dell'economia del nostro paese ha, anzi, costretto a sacrificare in questa fase una maggior evidenza su alcuni temi di importanza cruciale quali il mare e l'ambiente urbano, che sono comunque direttamente interessati da buona parte delle azioni proposte e, insieme alle altre componenti ambientali (aria, acqua, suolo, fauna, flora, paesaggio, ecc.), rappresentano i veri bersagli di questo piano. Va inoltre data attuazione alle due importanti convenzioni firmate a Rio de Janeiro (Cambiamenti climatici e Biodiversita') attualmente in fase di ratifica da parte del Parlamento, e vi e' tutto il vasto campo degli impegni assunti, da aggiornare e da rendere effettivi, in ottemperanza alle direttive comunitarie ed alle norme di diritto interno, nel campo della tutela delle acque, dell'aria, del suolo, per lo sviluppo di aree protette e per le procedure e le pianificazioni di settore. Tale campo di interventi e' affrontato nell'ambito del Piano triennale di tutela ambientale 94-96, previsto dalla legge 305/89, che riguarda la spesa di 3.186 miliardi di lire e che contiene il primo Programma triennale per le aree naturali protette previsto dall'art. 4 della legge 394/91. Il programma definisce gli interventi strategici nel campo della conservazione naturalistica e costituisce uno dei pilastri per l'attuazione concreta della Convenzione sulla diversita' biologica. Contemporaneamente sembra riprendere vigore, dopo gli ennesimi recenti eventi alluvionali disastrosi, la volonta' di sviluppare politiche ed interventi per la difesa del suolo che deve essere, nel nostro paese, uno dei capisaldi delle politiche del territorio. L'assenza di specifici capitoli concernenti tali ultimi argomenti non offusca la loro importanza. Essi appartengono alla sfera piu' consolidata e tipicamente "ambientale" delle iniziative di governo, che possono essere rafforzate e meglio sviluppate sotto l'ombrello di un impegno per lo sviluppo sostenibile che si allarghi a tutti i settori economici del paese. La presente proposta riguarda particolarmente coloro ai quali e' ben noto che il "mercato e' un educatore senza rimorsi" e indica prime risposte la' dove gli impegni nazionali sono piu' acerbi. 12. L'Agenda 21, il V piano di azione CE, questo piano reclamano l'estensione dell'uso degli strumenti economici e fiscali. Va doverosamente osservato che in tutti i paesi tali strumenti sono stati finora usati meno ampiamente di quanto non fosse stato anticipato nei documenti governativi. Vi sono resistenze politiche, anche perche' sono percepiti come tasse addizionali. Cio' dipende in buona misura, come afferma l'OCSE(3), dal fatto che "la tassazione e' vista come questione di pertinenza esclusiva dei ministeri delle finanze e il coinvolgimento dei ministeri dell'ambiente non e' gradito. D'altro canto i sostenitori di stringenti politiche ambientali temono che gli strumenti economici siano una strada meno certa per ottenere risultati piuttosto che quella della regolamentazione "comando e controllo". In realta' le due opzioni non si escludono l'una con l'altra. I valori limite alle emissioni e alle immissioni dovranno continuare a seguire l'evoluzione delle conoscenze nel campo dell'ambiente e della salute e nel campo delle tecnologie (con l'applicazione diffusa del criterio delle migliori tecnologie disponibili che non comportino costi eccessivi). Ma essi potranno assumere orizzonti temporali piu' ampi di quanto non sia avvenuto finora, e lasciare maggiore liberta' al sistema produttivo, solo se quest'ultimo assumera' in proprio la priorita' ambientale, sfruttandone a pieno le opportunita'. Compito delle istituzioni e dei cittadini e' di operare perche' la componente "ambiente" entri tra i fattori propri della competizione di mercato, secondo quanto e' gia' stato avviato con l'introduzione dell'ecolabel e potra' essere fatto con gli ecobilanci e l'ecoaudit. Il raffronto con gli standard tecnologici e ambientali raggiunti dalle economie piu' attente alle priorita' ambientali dovrebbe peraltro consigliare, anche alle nostre imprese, di favorire tasse ed incentivi che, introducendo elementi di dinamismo nell'attuale fase di recessione, consentano ai prodotti italiani di prepararsi ad essere piu' attraenti per il nuovo ciclo di ripresa. Sono dunque necessarie energia e ingegno per riorientare il sistema fiscale italiano, a parita' di gettito stabilito e di oneri complessivi per le imprese, in chiave di sostenibilita' dei processi industriali, dei consumi, dei comportamenti. 13. Con questo piano vengono definiti gli obiettivi e le azioni per avviare l'Italia sul cammino dello sviluppo sostenibile. Esso e' il primo passo per addentrarsi in una articolazione finanziaria delle risorse necessarie per conseguire gli obiettivi ivi indicati nei settori pubblico e privato. Si trattera' in prevalenza di ri/co- orientare risorse pubbliche gia' programmate, incorporando nelle leggi di spesa la priorita' dello sviluppo sostenibile. Con l'approvazione del piano il governo si impegna anche a seguirne l'attuazione attraverso una forte collaborazione di tutte le amministrazioni e promuovendo la corresponsabilizzazione dei soggetti comunque coinvolti. In vista della legge finanziaria per il 1995 dovra' essere possibile pervenire a concreti risultati anche sul piano di impegni di bilancio disseminati nelle diverse responsabilita' ministeriali. NOTE 1. Si veda il capitolo 8 dell'Agenda 21: "Integrare ambiente e sviluppo nei processi decisionali, economici, sociali ed ambientali e nei relativi piani". 2. CCE, "Per uno sviluppo durevole e sostenibile. Programma politico e d'azione della Comunita' Europea a favore dell'ambiente e di uno sviluppo sostenibile." Bruxelles 12 giugno 1992. 3. OCDE/GD 93-155 OECD "Workshop on national plans for sustainable developmnt. Overview paper on member countries experiences". PIANI DI ATTUAZIONE DELLE CONVENZIONI SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI E SULLA DIVERSITA' BIOLOGICA Il Piano di attuazione della Convenzione sui cambiamento climatici (Programma nazionale per la stabilizzazione delle emissioni di anidride carbonica entro il 2000 al livello del 1990"), predisposto dal Ministero dell'ambiente, e' stato trasmesso al Ministero del bilancio e della programmazione economica per l'approvazione da parte del CIPE; ne e' stato diramato il testo per la concertazione con le altre amministrazioni, in particolare con il Ministero dell'industria, commercio ed artigianato. Il Piano di attuazione della Convenzione sulla biodiversita', predisposto dal Ministero dell'ambiente, e' stato trasmesso al Ministero del bilancio e della programmazione economica per l'approvazione da parte del CIPE. Il disegno di legge per la ratifica e l'esecuzione della convenzione quadro sui cambiamenti climatici e' stato approvato definitivamente dal Senato il 22 dicembre 1993. E' invece ancora all'esame del Parlamento il disegno di legge per la ratifica e l'esecuzione della convenzione sulla biodiversita', approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 luglio e dal Senato in prima lettura il 22 dicembre 1993. 1. ENERGIA 1.1 Quadro di riferimento 1.1.1 Situazione nazionale Le crisi petrolifere e le variazioni del prezzo internazionale del petrolio hanno profondamente segnato l'andamento dei consumi globali di energia in Italia. Nel decennio 1973-83 la domanda di energia e' rimasta sostanzialmente stagnante, oscillando intorno al livello raggiunto nel 1973. Dai 139,8 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio del 1973 i consumi sono scesi ai 133 del 1975 per risalire poi ai 149,2 del 1979 e, dopo la seconda crisi petrolifera, tornare a un livello prossimo a quello del 1973 (139,5 milioni di tep nel 1983). Dal 1984, anno in cui e' iniziato un periodo di espansione economica, i consumi nazionali di energia, in sintonia con la forte diminuzione del prezzo del petrolio importato e con l'andamento favorevole dei prezzi al consumo (in termini reali) dei prodotti energetici, sono risaliti recuperando e superando il livello massimo raggiunto precedentemente, fino a raggiungere i 163 milioni di tep nel 1990. Il 1990 ha segnato un'inversione di tendenza con i primi segnali di rallentamento della domanda e dell'attivita' produttiva. I consumi di energia comunque sono continuati a salire fino ai 166,5 milioni di tep del 1991, per poi subire una notevole frenata. Nel periodo 1984- 91, il tasso di crescita dei consumi globali in fonti primarie e' stato in media del 2,5% all'anno. La "fattura energetica" italiana espressa in termini di frazione del PIL e' passata dall'1,4% del 1970 al picco del 5,2% del PIL nel 1985, per ridiscendere all'1,6% del PIL nel 1991. Le importazioni di greggio in Italia sono scese da 128,5 milioni di tonnellate nel 1973 a 74,7 milioni di tonnellate nel 1990, mentre le importazioni di semilavorati e prodotti finiti sono salite da 5 a 35,6 milioni di tonnellate e la produzione nazionale di greggio e' cresciuta fino a oltre 4,5 milioni di tonnellate (tabella 1). In termini di struttura dei consumi primari (figura 1), vi e' stata una diminuzione del peso del petrolio, che nel 1972 copriva il 72,6% dei consumi e nel 1990 il 57,6%, a fronte di un'ampia crescita dei consumi di gas naturale, che sono triplicati nell'arco dei venti anni considerati. Il peso dei consumi di combustibili solidi e' dapprima calato per poi risalire a quote percentuali simili a quelle del 1970, mentre diviene significativo dal 1985 il contributo di elettricita' importata, che raggiunge nel 1990 una quota del 4,6% rispetto ai consumi primari e di oltre il 14% dell'elettricita' immessa in rete. La produzione lorda di energia elettrica, comprese le perdite, i pompaggi e gli autoconsumi, e' stata di circa 252 terawattora nel 1990. Una analisi dei consumi finali di energia consente di identificare per grandi linee le dinamiche settoriali dei consumi energetici nel periodo 1970-1991. A fronte di un aumento dell'indice della produzione industriale del 58%, la domanda totale di elettricita' e' cresciuta del 105% mentre quella di energia consumata sotto forma non elettrica e' cresciuto di solo il 19%. La domanda di energia elettrica, stagnante nei primi anni Ottanta, e' poi andata crescendo raggiungendo nel 1984 un tasso di incremento annuo del 5% all'anno. Tasso che si e' dimezzato nei successivi due anni, per poi risalire negli anni 1987 e 1988 a valori intorno al 5%. Dal 1989 il tasso di incremento della domanda e' andato continuamente decrescendo fino a raggiungere un valore negativo nel primo semestre del 1993 (figure 2 e 3). Tabella 1 - Bilancio energetico nazionale per fonti primarie (milioni di tep). Fonte: Elaborazione ENEA su dati del Ministero dell'Industria Fonti di energia 1970 1973 1975 1980 1985 Produzione nazionale 24,8 25,5 25,1 24,7 27,3 gas naturale 10,9 12,6 12,0 10,3 11,8 petrolio 1,5 1,3 1,1 1,8 2,4 combustibili solidi 2,0 1,8 1,3 1,1 1,2 energia elettrica primaria(1) 10,4 9,8 10,7 11,5 11,9 Importazioni(2) 99,0 114,7 106,5 122,5 118,7 gas naturale 0,0 1,7 7,2 11,9 15,9 petrolio 88,8 103,3 89,8 97,8 82,5 combustibili solidi 9,4 9,8 8,9 11,4 15,1 energia elettrica 0,8 0,7 0,6 1,4 5,2 Totale 123,8 140,2 131,6 147,2 146,0 variazione scorte 3,7 0,4 -1,4 -0,2 -0,2 Energia totale 120,1 139,8 133,0 147,0 146,2 Fonti di energia 1988 1989 1990 1989 1992 Produzione nazionale 29,9 28,6 28,4 30,1 30,9 gas naturale 13,5 13,8 14,0 14,1 14,7 petrolio 4,8 4,6 4,7 4,7 4,3 combustibili solidi 1,3 1,3 1,3 1,3 1,1 energia elettrica primaria(1) 10,3 8,9 8,4 10,4 10,8 Importazioni(2) 125,1 135,4 136,5 133,9 137,5 gas naturale 20,1 23,4 25,5 27,6 28,5 petrolio 84,7 90,4 89,5 84,9 88,2 combustibili solidi 13,5 14,2 13,9 13,9 13,1 energia elettrica 6,8 7,4 7,6 7,5 7,7 Totale 155,0 164,0 164,9 164,3 168,4 variazione scorte -2,5 1,8 1,4 -2,2 0,9 Energia totale 157,5 162,2 163,5 166,5 167,5 Note: 1) Energia idroelettrica e geoelettrica; anche nucleare nel 1970, 1973, 1975, 1980 e 1985 2) calcolata come saldo di import-export. ----> Vedere tabelle da pag. 20 a pag. 22 del S.O. <---- 1.1.2 Alcuni confronti internazionali Se si analizza l'andamento dell'intensita' energetica (energia commerciale) sulla base dei dati storici, si nota una evoluzione comune nei diversi paesi a libero mercato, come mostra la figura 4. Con l'avvio della rivoluzione industriale ed il passaggio a fonti di energia commerciali, l'intensita' energetica aumenta rapidamente per poi stabilizzarsi ed infine decadere in modo sostenuto. Appaiono evidenti i benefici, in termini di picchi di minore intensita' energetica e di tempi di transizione piu' brevi, che sono riusciti a conseguire i paesi di recente industrializzazione, come l'Italia e il Giappone, grazie alla disponibilita' di tecnologie piu' efficienti per la conversione e l'uso dell'energia. Come si puo' notare dalla stessa figura 4, l'Italia presenta una intensita' energetica che e' la piu' bassa tra i sette maggiori paesi industrializzati del mondo e tra le piu' basse fra i paesi membri dell'OCSE, quando l'intensita' e' espressa in tep per 1000 dollari USA a prezzi costanti e a parita' di potere d'acquisto. Questo dato e' importante perche' rappresenta, in qualche modo, un indice generale dell'efficienza energetica complessiva del sistema economico. Nel 1989, l'Italia ha registrato un valore di 0,229 tep per 1.000 dollari di prodotto nazionale lordo ai prezzi e al potere di acquisto del 1985, seguita a breve distanza dal Giappone (0,248). La Francia ed il Regno Unito hanno registrato valori vicini tra loro, rispettivamente 0,278 e 0,293. In Germania ed in Olanda l'intensita' si e' attestata su valori (rispettivamente 0,329 e 0,415) piu' elevati della media della Comunita' europea (0,292). Valori ancora piu' elevati sono stati riscontrati negli Stati Uniti (0,420) e in Canada (0,517), anche se in questi due paesi e' stata maggiore la riduzione dell'intensita' nel periodo compreso tra il 1970 e il 1989. Anche per i consumi di energia pro capite, l'Italia registra valori tra i piu' bassi dell'area OCSE. Prendendo come riferimento il 1987, l'OCSE fornisce i seguenti dati: Italia 2,63 tep pro capite; Giappone 3,04; Regno Unito 3,67; Francia 3,71; Germania Ovest 4,44; Olanda 4,49; Stati Uniti 7,65. Questi valori rappresentano indici generali, che sono influenzati da diversi fattori fisico-naturali, sociali ed economico-strutturali. Un legame stretto, ma non esclusivo, esiste con il reddito pro capite, che in Italia (10.355 dollari USA nel 1987) e' dello stesso ordine di quello del Regno Unito (10.419 dollari USA), ma inferiore a quello degli altri paesi considerati (Olanda 11.856 dollari USA, Francia 12.789, Germania 14.399, Canada 15.160, Giappone 15.674 e USA 18.529). Un ruolo cruciale lo gioca anche l'intensita' energetica. In Italia, la minore intensita' energetica, e quindi l'efficienza relativamente piu' alta del sistema economico, e' il risultato di una combinazione di fattori legati alla storia del paese (industrializzazione relativamente giovane, una popolazione tradizionalmente abituata al risparmio, automobili ed elettrodomestici con consumi contenuti), di fattori economici (scarsita' di risorse energetiche nazionali, prezzi dei carburanti relativamente alti, tariffa elettrica progressiva per gli usi domestici), e di fattori naturali e geografici (clima mite, limitata estensione del paese rispetto al numero di abitanti). La peculiarita' italiana e' ancora piu' evidente avendo come riferimento l'intensita' elettrica. Nel 1989 l'Italia ha registrato un valore di 0,075 TEP per 1.000 dollari USA di prodotto nazionale lordo ai prezzi e al potere di acquisto del 1985, rispetto a 0,092 in Olanda, 0,090 in Giappone, 0,102 nel Regno Unito, 0,113 in Francia; 0,123 in Germania, 0,161 negli Stati Uniti, 0,236 in Canada. Dal 1979 al 1989 l'intensita' elettrica ha subito una certa variazione in aumento solo in Italia e in Olanda, paesi che, insieme al Giappone, presentano i valori assoluti piu' bassi, mentre e' diminuita negli altri paesi: in particolare nel Giappone del 17% e nel Regno Unito del 20%. L'eccezione e' data dalla Francia che presenta un aumento del 16%. I consumi di energia elettrica pro capite si sono attestati nel 1987 sui seguenti livelli: Italia 3,9MWh; Olanda 4,2; Regno Unito 5,4; Giappone 5,7; Francia 6,3; Germania Ovest 6,7; Stati Uniti 11,1. La peculiarita' del caso italiano si spiega, oltre che con le considerazioni espresse con riferimento ai consumi energetici complessivi, anche con la limitata diffusione degli usi termici dell'energia elettrica (cucina, acqua calda, riscaldamento delle abitazioni, etc.), contrariamente a quanto accaduto in vari paesi dell'Europa centro-settentrionale ed in particolare in Francia e in Germania Ovest. Determinante a questo effetto e' stata l'introduzione, nella seconda meta' degli anni Settanta, di una tariffa binomia e progressiva per gli usi domestici dell'energia elettrica, che ha scoraggiato l'uso dell'elettricita' per produrre calore, cioe' l'uso dissipatore e irrazionale di una forma pregiata di energia. La struttura binomia della tariffa, articolata su una componente "fissa", che assume valori maggiori scaglionati in funzione della potenza di contratto e una componente variabile, che cresce con il consumo annuo di energia (oltre che con il valore della potenza di contratto) ha giocato e gioca un ruolo importante nella razionalizzazione degli usi elettrici e nella scelta degli apparecchi di illuminazione e degli elettrodomestici. Il significato di indicatori quali "intensita' energetica" e "intensita' elettrica" acquista tanto maggiore rilievo quanto piu' e' omogeneo il settore di attivita' che viene preso come riferimento. Ad esempio, nel settore dell'industria l'intensita' energetica, espressa in tep consumati per unita' di valore aggiunto prodotto, ha subito negli ultimi due decenni le maggiori variazioni. Nel 1970, per 1.000 dollari di valore aggiunto, l'industria italiana richiedeva 0,424 tep contro 0,415 della Germania, 0,510 del Regno Unito, 0,644 della Francia, 0,648 del Giappone. Successivamente, questi valori sono fortemente diminuiti, grazie alle misure di risparmio energetico ed alle modifiche strutturali subite dalla produzione industriale. Nel 1986 l'industria italiana consumava 0,231 TEP per 1.000 dollari di valore aggiunto, contro 0,279 della Germania, 0,306 del Regno Unito, 0,308 della Francia e 0,229 del Giappone. I valori dell'intensita' si sono avvicinati tra loro, ma molto diversa e' stata la loro dinamica: 64% di riduzione in Giappone, 52% in Francia, 45% in Italia, 40% nel Regno Unito, 32% in Germania. Nella forte riduzione riscontrata in Giappone ha giocato un ruolo rilevante, maggiore che altrove, il trasferimento in altri paesi della produzione industriale ad alta intensita' energetica. L'innovazione tecnologica e soprattutto lo sviluppo di nuovi comparti produttivi con necessita' di ridotte quantita' di energia e la contrazione degli altri tradizionali comparti energivori (siderurgia, cantieristica, chimica di base) possono spiegare le rilevanti disomogeneita' riscontrate tra le dinamiche dei vari paesi. Il tessuto industriale di ciascuno dei paesi considerati si e' infatti modificato in maniera differente: ad esempio, la riduzione percentuale della produzione siderurgica e' stata molto piu' sensibile in Francia che in Italia, cosi' come lo sviluppo dell'industria elettronica ed informatica e' stato nettamente piu' veloce in Giappone che in Europa. Il grado di dipendenza dall'estero per l'approvvigionamento di energia, e in particolare di energia elettrica, si aggira intorno all'82%. Tra i paesi sviluppati, soltanto il Giappone presenta una analoga dipendenza dall'estero, con tendenza alla diminuzione. Occorre comunque notare che l'Italia, contrariamente al Giappone, paese insulare separato da grandi distanze di mare dai paesi che l'approvvigionamento di prodotti energetici, e' integrata in una organizzazione economica internazionale, la Comunita' Europea, e dispone di un sistema energetico interconnesso, tramite metanodotti, oleodotti ed elettrodotti, con i paesi europei ed extraeuropei da cui riceve le importazioni dei prodotti. 1.2 Il rilievo che nell'Agenda 21 ha la questione energetica Il contenimento dei consumi energetici e la diffusione delle tecnologie energetiche ambientalmente benigne costituiscono il perno della strategia raccomandata dall'Agenda 21 per proteggere l'atmosfera e il clima del pianeta e della "Convenzione sui cambiamenti climatici", che costituisce un atto legalmente vincolante per i paesi firmatari. Piu' in generale essi costituiscono uno dei fondamentali requisiti dello sviluppo sostenibile. "La necessita' - recita l'Agenda - di limitare le emissioni atmosferiche di gas ad effetto serra e di altri gas e sostanze richiedera' in maniera crescente di essere basata sull'efficienza nelle attivita' di produzione, trasmissione, distribuzione e consumo dell'energia, e su un crescente affidamento sui sistemi energetici ambientalmente sostenibili, quali in particolare le fonti nuove e rinnovabili di energia". La centralita' della questione energetica risulta evidente se si pone mente alle cause primarie dell'inquinamento dell'aria e dell'aumento dell'effetto serra e al ruolo che in questo contesto giocano la produzione e l'uso di energia. La produzione e l'uso di carburanti e combustibili negli autoveicoli, nelle centrali termoelettriche, nelle industrie e negli impianti di riscaldamento degli edifici, comportano l'emissione in atmosfera di sostanze nocive, in quantita' che dipendono fortemente dalla tipologia dei carburanti e dei combustibili e dalle tecnologie adottate per il processo di combustione e per il trattamento dei fumi. Sostanze che sono all'origine dei fenomeni di degrado dell'ambiente atmosferico, che si manifestano su diverse scale spaziali e temporali: in ambienti chiusi (indoor pollution) con il peggioramento della qualita' dell'aria degli ambienti di vita e di lavoro; su scala locale con il peggioramento della qualita' dell'aria delle citta' e delle zone industriali; su scala nazionale e continentale con le deposizioni acide; su scala planetaria con l'accumulo di anidride carbonica e di altri gas ad effetto serra le cui emissioni hanno origine almeno in parte nel settore dell'energia. Un ruolo fondamentale, nei citati fenomeni di inquinamento dell'aria e di acidificazione dell'ambiente, lo giocano quattro categorie di sostanze gassose, gli ossidi di azoto, gli ossidi di zolfo, i composti organici volatili e il monossido di carbonio, che agiscono tal quali e come precursori di altre sostanze nocive (acidi, ossidanti fotochimici) o comunque agevolano indirettamente i processi, tramite la modifica della chimica atmosferica. Esse hanno anche una influenza indiretta sull'effetto serra, contribuendo ad intensificarne la portata. Le sorgenti che emettono le sostanze sopra citate sono anche all'origine delle emissioni di anidride carbonica. Profonde sono le connessioni tra detti fenomeni. Intrecciati tra loro sono i meccanismi, fisici e chimici, coinvolti nell'evoluzione dei processi di inquinamento e di danneggiamento. Generalmente coincidenti tra loro le sorgenti di emissione. Di conseguenza e' forte l'intreccio tra le misure necessarie per prevenire e combattere detti fenomeni. Poco piu' della meta' del contributo antropogenico all'effetto serra e' generato dalle attivita' di produzione, distribuzione e uso dell'energia, settore che emette anidride carbonica e altri gas a effetto serra, quale in particolare il metano. Questo dato di per se' da' ragione dell'enfasi posta dall'Agenda 21 sulla necessita' di rivedere le politiche dell'energia e dei trasporti fin qui adottate nel mondo. L'intreccio di cui si parla risulta ancora piu' evidente se si focalizza l'attenzione sulle tecnologie e strategie di riduzione delle emissioni. Gli interventi a valle (end-of-pipe measures), cioe' i sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti tramite il trattamento dei fumi, risultano efficaci e non comportano costi eccessivi, ma sono insufficienti ad assicurare i ritmi che la gravita' delle situazioni di inquinamento impongono. E' per questo che, accanto a dette strategie, sono indispensabili le misure finalizzate alla riduzione dei consumi di carburanti e combustibili di origine fossile e alla sostituzione dei combustibili ad alto potenziale inquinante con altri meno inquinanti, cioe' di misure che costituiscono anche il fulcro di ogni buona strategia di prevenzione dell'incremento dell'effetto serra. Oggi si puo' fare affidamento su tecnologie energetiche molto piu' efficienti e pulite di quelle disponibili nel passato. Su tecnologie energetiche ambientalmente sostenibili, che - insieme ai necessari cambiamenti di rotta nel modo di produrre e di vivere - offrono ai paesi sviluppati la possibilita' di predisporre e dare attuazione a programmi efficaci di protezione dell'ambiente atmosferico e del clima del pianeta; e alle economie dei paesi in via di sviluppo la possibilita' di evolvere secondo percorsi meno energivori di quelli seguiti nel passato dai paesi industrializzati. Il cambiamento del clima e i suoi effetti avversi costituiscono una "preoccupazione comune all'umanita'". Il problema - recita l'Agenda 21 - ha un carattere globale e richiede pertanto una risposta globale. L'azione di singoli paesi o gruppi di paesi non sono sufficienti, ma sono essenziali per innescare e promuovere un processo a cascata, che porti via via a coinvolgere altri paesi. Per arrestare il degrado e proteggere l'ambiente globale e' necessario, senza ulteriori ritardi, adottare e mettere in atto sulla base della migliore conoscenza disponibile, pur in presenza di significative incertezze scientifiche, strategie di risposta che assicurino uno sviluppo sostenibile di tutte le nazioni. Per gli accordi di Rio, il principio di equita' e la responsabilita' comune ma differenziata (in accordo con rispettivi livelli di sviluppo) dei paesi devono essere la base della risposta globale. I paesi sviluppati devono prenderne la guida, impegnandosi in azioni per limitare il loro prevalente contributo alle emissioni e cooperando, tramite l'aiuto tecnologico e finanziario, con i paesi in via di sviluppo, in modo da metterli in grado di affrontare i problemi ambientali senza ostacolare i loro obiettivi nazionali di sviluppo sociale ed economico e in primo luogo di lotta alla poverta' e alla fame, e con i paesi dell'Europa centro-orientale con economia in transizione nel loro sforzo di modernizzazione dei sistemi produttivi, arretrati o obsoleti. La cooperazione con i paesi meno sviluppati richiede un cambiamento di rotta da parte dei paesi sviluppati. Per avere successo, i processi di trasferimento, adattamento e assorbimento delle tecnologie ambientalmente sostenibili richiedono, oltre a un buon mix di tecnologie, lo sviluppo, nel paese ricettore, di infrastrutture tecniche e di capacita' manageriali e imprenditoriali e l'adozione di nuovi meccanismi finanziari e istituzionali (capacity building). L'Italia e' pronta a fare la sua parte, cosi' come ha dimostrato con il ruolo attivo svolto nel corso dei negoziati per gli accordi di Rio, contribuendo tra l'altro ai lavori preparatori con il simposio internazionale tenuto a San Donato Milanese sotto l'egida delle Nazioni Unite. Per l'Italia l'Agenda 21 costituisce un punto di partenza, una tappa importante per la messa in atto di una impegnativa collaborazione, su scala mondiale, tesa a realizzare uno sviluppo piu' equo e ambientalmente sostenibile e, in questo contesto, a proteggere l'ambiente atmosferico e prevenire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico tramite l'adozione di appro- priate strategie e tecnologie energetiche, senza attendere l'acquisizione della certezza scientifica sull'evoluzione dei fenomeni. In sostanza, l'Italia concorda con la necessita' di applicare il principio precauzionale. 1.3 Obiettivi nazionali per l'adeguamento all'Agenda 21 Con la risoluzione di Lussemburgo del 29 ottobre 1990, formulata e approvata sotto la presidenza italiana, la Comunita' Europea si e' impegnata a fare un primo passo per la prevenzione del cambiamento climatico: stabilizzazione delle emissioni di anidride carbonica della Comunita' nel suo insieme entro l'anno 2000 al livello del 1990. Da parte sua l'Italia conferma il proprio impegno a partecipare al raggiungimento di questo obiettivo che intende conseguire sfruttando innanzitutto le potenzialita' offerte dagli interventi a costo basso o nullo nella produzione e uso dell'energia e avvalendosi - come sollecita la citata risoluzione comunitaria - delle possibilita' di mettere in atto misure no regret, cioe' misure comunque utili e quindi tali da non provocare rimpianti nel caso che, ad esempio, l'approfondimento delle conoscenze scientifiche portasse a ridimensionare fortemente il rischio di un cambiamento climatico. Misure che nello stesso tempo consentono di ridurre le emissioni dei principali gas-serra, di combattere l'inquinamento delle citta' e degli ambienti chiusi e il fenomeno delle deposizioni acide, nonche' di alleggerire la fattura energetica delle famiglie e delle imprese e di mitigare l'onere, pesante per l'economia del paese, dell'approvvigionamento energetico dall'estero. Per quanto detto nel paragrafo precedente, risultano evidenti le ragioni di una azione sistematica e coordinata, di una strategia integrata che parta dalla considerazione di tutti gli aspetti del degrado dell'ambiente atmosferico e consenta di esaltare le potenzialita' delle singole misure di intervento, di sfruttare le possibili sinergie, di selezionare le migliori combinazioni di intervento e di tecnologie, anche al fine di giustificare i costi con la molteplicita' degli obiettivi da raggiungere. Costi che altrimenti potrebbero risultare eccessivi, rispetto ai benefici attesi, o prematuri per l'incertezza delle attuali conoscenze scientifiche. Una strategia che faccia perno sulla riduzione dei consumi di carburanti e combustibili fossili tramite il miglioramento dell'efficienza nelle attivita' di produzione, distribuzione e consumo dell'energia, sulla sostituzione dei combustibili ad alto potenziale inquinante e su un crescente affidamento sulle fonti rinnovabili di energia. Una strategia del genere non richiede all'Italia un radicale cambiamento di rotta. Essa va a collocarsi, come si e' detto, nel contesto di un sistema economico, quello italiano, che in termini energetici - per una combinazione di fattori storici, naturali ed economici - risulta essere relativamente piu' efficiente (o, se si vuole, meno inefficiente) dei sistemi economici degli altri maggiori paesi sviluppati. Una strategia che, in certa misura, rappresenta uno sviluppo del Piano Energetico Nazionale approvato dal Governo - a seguito dell'esito, negativo per l'energia nucleare, del referendum del 1987 - nel 1988 (PEN 88), piano che pone il risparmio di energia e la protezione dell'ambiente tra i cinque obiettivi prioritari (gli altri sono lo sviluppo delle risorse interne, la diversificazione di fonti energetiche e fornitori e la competitivita' internazionale), il cui conseguimento deve caratterizzare la politica energetica del paese. "Un risparmio di energia - precisa il Piano - inteso non come compressione dello sviluppo, ma come efficienza nell'uso dell'energia che, riducendo le necessita' complessive del fabbisogno energetico, ha evidentemente effetti positivi sulla nostra dipendenza energetica e quindi sulla nostra vulnerabilita' ..... e sull'ambiente". La protezione dell'ambiente e' intesa non come un vincolo, ma come un obiettivo della politica energetica. "Si adotta un approccio anticipatorio, volto sia ad evitare il danno ambientale, prima che si manifesti, sia, ove possibile, a sostituire alle attuali modalita' o tecnologie di produzione nuove soluzioni a minore impatto". Per quanto riguarda le emissione in atmosfera il Piano mira alla progressiva riduzione delle emissioni di inquinanti dell'aria originati nel settore energetico, ma non assume alcun obiettivo di contenimento per le emissioni di anidride carbonica, per le quali il piano stesso mette in evidenza il sensibile incremento previsto (13 per cento nell'anno 2000 rispetto al 1987). Occorre pero' tenere conto che la dinamica del settore energetico e' determinata, oltre che dalle politiche pubbliche (piano energetico nazionale e relativi strumenti di attuazione, regolamentazione dei prezzi, politica fiscale, normativa ambientale) e naturalmente dall'andamento del mercato internazionale dell'energia, dai programmi delle aziende elettriche ed energetiche, che hanno subito profondi mutamenti in conseguenza dell'opposizione manifestata dalle popolazioni locali all'installazione delle centrali a carbone previste dal Piano e dalle opportunita' offerte dallo sviluppo tecnologico. Si stanno cosi' verificando un notevole spostamento dei consumi di combustibile dal carbone (rimasti pressoche' stazionari) al gas naturale e l'installazione, al posto delle previste centrali termoelettriche policombustibile, di impianti a ciclo combinato alimentati a gas naturale e di turbogas a ripotenziamento delle centrali esistenti. Linee di tendenza che vanno nel senso di una riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di un minore impatto sull'ambiente. L'aggiornamento del Piano Energetico Nazionale dovrebbe - oltre che prendere atto dei mutamenti, ambientalmente favorevoli, che di fatto si stanno verificando nel settore energetico - incorporare ulteriori misure per limitare le emissioni di anidride carbonica. Obiettivi di riduzione o stabilizzazione delle emissioni di inquinanti dell'aria sono fissati da provvedimenti che interessano le attivita' di produzione, distribuzione e uso di combustibili e carburanti, e cioe': in attuazione di provvedimenti legislativi o amministrativi nazionali - riduzione, entro il 1993, del 30 per cento delle emissioni nazionali di anidride solforosa rispetto al livello del 1980 (Decreto del Ministro dell'Ambiente, 8 maggio 1989); - riduzione, rispetto al livello del 1980, delle emissioni di anidride solforosa dai grandi impianti di combustione in funzione o autorizzati alla data del 1 luglio 1988: del 30, 39 e 63 per cento rispettivamente entro il 1993, il 1998 e il 2003 (Decreto del Ministro dell'Ambiente, 8 maggio 1989); - riduzione, rispetto al livello del 1980, delle emissioni nazionali di ossidi di azoto dai grandi impianti di combustione in funzione o autorizzati alla data 1 luglio 1988: del 2 e 30 per cento rispettivamente entro il 1993 e il 1998 (Decreto del Ministro dell'Ambiente, 8 maggio 1989); PIANO NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ATTUAZIONE DELL'AGENDA 21 - adeguamento dei grandi impianti di combustione, in funzione o autorizzati alla data del 1 luglio 1988, ai valori limite di emissione del biossido di zolfo, degli ossidi di azoto e delle polveri fissati dalle norme per gli impianti nuovi: impianti per il 35 e il 60 per cento della potenza termica globale di ciascuna azienda avente piu' impianti, rispettivamente entro il 31 dicembre 1997 e il 31 dicembre 1999; tutti gli impianti di tali aziende entro 31 dicembre 2002 (Decreto del Ministro dell'Ambiente 12 luglio 1990); in attuazione della convenzione di Ginevra del 1979 sull'inquinamento transfrontaliero a lunga distanza (UNECE) - stabilizzazione, entro il 1994, delle emissioni nazionali di ossidi di azoto al livello del 1987 (Protocollo di Sofia 1988, ratificato nel 1992); - riduzione, entro il 1999, del 30 per cento o almeno stabilizzazione delle emissioni nazionali di composti organici volatili rispetto al livello del 1988 (Protocollo di Ginevra 1991, in corso di ratifica). L'economia italiana e' caratterizzata, come si e' visto, da valori dell'intensita' energetica ed elettrica minori di quelli degli altri maggiori paesi sviluppati. Cio' non toglie che molto rilevanti sono le potenzialita' di risparmio energetico disponibili nei diversi settori di attivita'. Basti pensare a come sono stati costruiti per decenni gli edifici, privi di una efficace coibentazione termica dei loro involucri, alle potenzialita' offerte dalle caldaie, dagli elettrodomestici e dai sistemi di illuminazione piu' efficienti disponibili sul mercato, alla rapida evoluzione delle tecnologie impiegate per la produzione di energia elettrica (ad es., centrali a ciclo combinato di tipo cogenerativo) e per la produzione industriale (le cosiddette "tecnologie pulite") e agli spazi modali e tecnologici nel settore dei trasporti che possono essere sfruttati per garantire contemporaneamente il risparmio di energia, la qualita' dell'aria e la vivibilita' delle citta'. Al fine di conseguire gli obiettivi di risparmio di energia e di contenimento delle emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti e di gas ad effetto serra, la politica energetica italiana si sviluppa secondo le seguenti linee strategiche: - promozione dell'efficienza energetica e della conservazione di energia nell'uso del calore, dell'elettricita' e dei mezzi di trasporto; - promozione della efficienza nella produzione di energia, tramite l'adozione di nuove tecnologie ad alto rendimento per la generazione di energia elettrica, la diffusione di impianti di cogenerazione calore-elettricita', il recupero di energia dagli impianti di termodistruzione dei rifiuti e il recupero del calore di scarto; - sostituzione dei combustibili ad alto potenziale inquinante con combustibili a basso tenore di carbonio e privo di zolfo come il metano; - riduzione delle emissioni di inquinanti dell'aria generate dalle sorgenti fisse, tramite l'applicazione del principio delle migliori tecnologie disponibili che non comportano costi eccessivi per la combustione e il trattamento dei fumi e l'adozione di "tecnologie pulite" per le produzioni industriali; - promozione del rinnovo del parco auto, tramite l'incentivazione della rottamazione dei veicoli piu' vecchi e loro sostituzione con le moderne auto catalizzate; - programmi di investimenti per lo spostamento di quote rilevanti di passeggeri e merci dal trasporto individuale su strada al trasporto collettivo (gestito da aziende pubbliche o private), preferibilmente su ferro o per mare; - promozione della diffusione delle fonti rinnovabili di energia; - attivita' di ricerca, sviluppo e dimostrazione nel campo delle tecnologie energetiche ambientalmente sostenibili. Studi di valutazione sono attualmente in corso presso le maggiori aziende e istituzioni energetiche del paese, ENEA, ENEL e ENI, mirati a identificare e analizzare le opzioni tecnologiche, gli strumenti e le loro combinazioni piu' efficaci dal punto di vista dei costi per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, biossido di zolfo, ossidi di azoto e composti organici volatili. In materia di cooperazione tecnologica con i paesi meno sviluppati del mondo, l'Italia considera con favore la formulazione e l'adozione su basi volontarie, da parte dei paesi sviluppati, di un codice di condotta nei programmi di trasferimento che preveda l'esclusione delle tecnologie obsolete inefficienti. 1.4 Azioni e strumenti 1.4.1 Settore energetico Il basso prezzo delle fonti estere di energia, la pesante situazione finanziaria del paese e la crescente importanza della dimensione ambientale del risparmio energetico hanno introdotto rilevanti cambiamenti nel quadro degli strumenti adottati per promuovere la conservazione dell'energia e l'efficienza energetica. Oggi assumono un ruolo maggiore gli approcci normativi e i programmi di formazione e informazione. Le aziende che producono energia sono sempre piu' coinvolte nei programmi di risparmio energetico presso i consumatori finali. Si riducono pero' i fondi pubblici disponibili per misure di incentivazione, malgrado rimanga sostenuta la domanda di incentivi per gli investimenti nel risparmio energetico nei diversi settori di attivita' (domestico, terziario, industriale). Per promuovere il risparmio energetico nella produzione e uso dell'energia e la diffusione delle fonti rinnovabili, sono molti in Italia gli strumenti utilizzati o proposti: A. Strumenti per promuovere gli investimenti - leggi 9/91 e 10/91, provvedimento CIP 6/92 - diagnosi energetiche - contributo in conto capitale - contributo in conto interesse - "third party financing" - fondo garanzia - misure di incentivazione/disincentivazione - politica fiscale - accordi volontari di programma B. Strumenti per la qualificazione dei dispositivi di uso finale dell'energia - ecolabel - marchio risparmio energetico - energy label della Comunita' Europea - elenco comparatico del consumo energetico degli elettrodomestici - certificazione prodotti - efficienza energetica minima obbligatoria C. Strumenti per modificare i comportamenti e accelerare l'accettazione dei prodotti - informazione - formazione - tariffa progressiva per le utenze a contatore - "demand side management" - detrazione fiscale - appalti pubblici di servizio energia - pianificazione energetica regionale In questo contesto, non vengono presi in considerazione i programmi di ricerca e sviluppo che hanno un impatto a medio-lungo termine. Esaminiamo innanzitutto le leggi 9 e 10, approvate dal Parlamento nel gennaio 1991, con i relativi provvedimenti di attuazione (CIP n. 6/92, ecc.), che rappresentano un importante passo nella direzione di promuovere il risparmio di energia e la diffusione delle fonti rinnovabili, e di conseguenza il contenimento delle emissioni di anidride carbonica e delle sostanze che inquinano l'aria che respiriamo. Si tratta di leggi mirate a rendere operativi gli indirizzi del PEN 1988, per quanto concerne la (parziale) liberalizzazione della produzione di energia elettrica (legge 9/1991) e la promozione del risparmio di energia e dell'impiego delle fonti rinnovabili (legge 10/1991). Leggi che, pur essendo nate per rispondere ad altre esigenze (alleggerimento del peso delle importazioni energetiche sulla bilancia commerciale, riduzione dei fenomeni di inquinamento atmosferico, ecc.), mettono in atto misure che, tra l'altro, producono benefici per l'ambiente atmosferico. La legge 9/1991 contiene un'importante novita'. Contrariamente al passato, gli autoproduttori industriali e le aziende energetiche municipalizzate sono autorizzate alla produzione di energia elettrica sia per i propri consumi, che per il trasferimento all'ENEL. La produzione elettrica viene anzi incoraggiata tramite l'applicazione del criterio del "costo evitato". Sono inoltre previste condizioni ancora piu' favorevoli (cessione dell'energia, per i primi otto anni di produzione, a un prezzo incentivante superiore a quello calcolato con il criterio del costo evitato) se l'energia elettrica e' prodotta con nuovi impianti che sfruttano fonti rinnovabili o assimilate. Ai fini della legge, sono assimilate alle fonti rinnovabili le fonti o tecnologie energetiche che consentono di realizzare un alto sfruttamento del combustibile o di recuperare materiali o energia di scarto (impianti di cogenerazione, impianti che bruciano materiali di scarto, ecc). I provvedimenti CIP n.34/90 e 6/92 hanno stabilito le modalita' e i prezzi di vendita del chilowattora all'ENEL da parte dei produttori terzi. Una parte del prezzo pagato per l'acquisto dell'energia elettrica ceduta viene posto a carico dalla "Cassa conguaglio per il settore elettrico", finanziata con il gettito proveniente da un specifico sovrapprezzo. La liberalizzazione introdotta riguarda solo la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate, che puo' essere, oltre che autoconsumata, esclusivamente ceduta alla rete pubblica ma non distribuita o venduta ad altri utenti. La legge inoltre offre un'altra possibilita' di collocamento dell'energia prodotta da fonti rinnovabili o assimilate, consentendone previa autorizzazione del Ministero dell'Industria la libera circolazione all'interno di consorzi industriali e societa' consortili, costituiti fra imprese private, eventualmente anche con la partecipazione di aziende pubbliche. La legge 10/1991, inoltre, ha introdotto un sistema di incentivi per gli impianti di cogenerazione, le reti di teleriscaldamento e gli impianti energetici utilizzanti rifiuti. La realizzazione di questi impianti e' incentivata tramite la concessione di contributi fino al 50% dei costi, con un massimo di 300 milioni di lire per progetti esecutivi, nonche' di contributi in conto capitale fino al 30% del costo per impianti di cogenerazione e al 50% per impianti di teleriscaldamento che utilizzino calore di scarto recuperabile derivante da processi industriali o da centrali termoelettriche. Gli effetti benefici di questi provvedimenti non si sono fatti attendere: allentati i vincoli del monopolio e introdotte le incentivazioni economiche di cui si e' parlato, molti produttori indipendenti si sono accinti a vendere all'ENEL S.p.A. energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili o assimilate con diverse tipologie di impianti: impianti di tipo congenerativo (circa il 60%), impianti che bruciano idrocarburi pesanti residui di raffineria (27%), impianti che utilizzano combustibili di processo (11%) e impianti che sfruttano fonti rinnovabili (3%), per una potenza elettrica complessiva di circa 5300 megawatt, inseriti nella graduatoria dei nuovi impianti, la cui potenza verra' ritirata dall'ENEL nei prossimi cinque anni, arco temporale per la quale e' programmabile l'assorbimento da parte della rete pubblica. La legge 10/91 introduce misure volte a favorire e incentivare l'uso razionale dell'energia, il risparmio energetico nella produzione e nell'utilizzo dei manufatti, la riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi, la rapida sostituzione di impianti e macchine, in particolare nei settori a piu' elevata intensita' energetica, nonche' l'utilizzazione delle fonti rinnovabili. Le norme di attuazione emanate o da emanare riguardano: i criteri tecnico-costruttivi dell'edilizia; la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti di riscaldamento degli ambienti; la certificazione energetica degli edifici; la certificazione delle caratteristiche energetiche e delle prestazioni degli edifici, dei componenti degli edifici e degli impianti di riscaldamento; le infrastrutture e i mezzi di trasporto; le gare di appalto rilevanti per la fornitura di beni e/o servizi all'amministrazione pubblica. Il nuovo dispositivo legislativo intro- duce norme per semplificare il processo decisionale con criteri progettuali e realizzativi al passo con il progresso della tecnica. Un'altra importante novita' e' rappresentata dalle norme volte a sostituire il sistema di ripartizione delle spese di riscaldamento negli edifici condominiali, basato su una ripartizione millesimale, con il nuovo sistema di contabilizzazione separata per ogni appartamento, basato sugli effettivi consumi. La predisposizione all'installazione del sistema di contabilizzazione e' resa obbligatoria per gli edifici di nuova costruzione; per gli edifici esistenti l'adozione del sistema di contabilizzazione e' agevolata tramite la disposizione che attribuisce alla semplice maggioranza dell'assemblea condominiale la decisione di modificare l'impianto e tramite la possibilita' di richiedere un contributo per i costi sostenuti o in alternativa la defiscalizzazione di parte di tali oneri. La legge rende inoltre obbligatoria la presenza di un tecnico responsabile per la conservazione e l'uso razionale dell'energia presso i soggetti operanti nei settori industriale, civile, terziario e dei trasporti, che consumano annualmente energia in quantita' superiore a determinati valori. E' inoltre prevista la concessione di contributi in conto capitale dal 20 al 40% per i seguenti interventi: coibentazione degli edifici per migliorare la climatizzazione degli ambienti; installazione di generatori di calore ad alto rendimento; pompe di calore o impianti utilizzanti fonti rinnovabili per il riscaldamento degli ambienti e/o dell'acqua calda; impianti fotovoltaici; cogenerazione di energia elettrica e calore; sistemi di illuminazione ad alto rendimento. Per realizzare o modificare impianti nei settori industriale, artigianale e terziario e del trasporto fluviale di merci, al fine di realizzare gli obiettivi posti alla base della legge, i contributi in conto capitale possono arrivare al 30% dei costi. Per la effettuazione degli interventi, la legge 10/1991 prevedeva un finanziamento di 2.600 miliardi di lire da utilizzare negli anni 1991-1993. Successivamente, a seguito dell'aggravarsi della situazione economica del paese, i finanziamenti sono in buona parte slittati sugli anni 1994-1996, assegnando agli anni 1991 e 1992 solo 764 miliardi di lire e 10 miliardi per il 1993. La legge finanziaria 1994 prevede una ulteriore rimodulazione al 1997 ed una riduzione degli stanziamenti pari a circa 130 miliardi. La legge 10/1991 incentiva anche le azioni del risparmio di energia negli usi domestici, prevedendo la detraibilita' dal reddito delle abitazioni delle spese sostenute per realizzare il risparmio di energia in dette unita' immobiliari. Ai fini dell'imposta sul reddito la spesa puo' essere detratta dall'imponibile per una quota del 50% suddivisa in due anni. Alle minori entrate derivanti dall'applicazione di queste disposizioni si provvede mediante l'utilizzo di una quota del gettito del sovrapprezzo termico applicato alla tariffa elettrica. Un'ulteriore novita' della legge e' l'istituzione del marchio "risparmio energetico" per gli apparecchi domestici ed i dispositivi di illuminazione ad alto rendimento. Per conseguire gli obiettivi di protezione dell'ambiente atmosferico e di stabilizzazione delle emissioni nazionali di anidride carbonica, precedentemente indicati, altre misure si rendono necessarie, che in parte rappresentano il rafforzamento di iniziative gia' in corso. Tra gli strumenti miranti a promuovere investimenti, il programma di diagnosi e' risultato molto efficace per le piccole e medie industrie: circa un terzo degli interventi, individuati nell'ambito del programma finanziato interamente dalla Comunita' Europea, sono stati realizzati. Le diagnosi non costano molto rispetto all'entita' dell'investimento e al valore del risparmio conseguito con l'intervento. Lo sviluppo successivo consiste nella realizzazione di modelli energetici di riferimento per i singoli processi produttivi. E' auspicabile che lo strumento possa essere ancora sfruttato attraverso i "centri di consulenza energetica integrata" istituiti dall'ENEA. Il contributo in conto capitale forse e' stato, fino ad oggi, lo strumento finanziario piu' utilizzato nel campo del risparmio energetico. Per sua natura puo' essere applicato a diversi tipi di interventi, grandi e piccoli. Nell'attuale situazione della finanza pubblica, questo strumento, almeno nella forma attuale, rischia di essere troppo oneroso per lo Stato. Il third party financing, inteso come un prestito con il pagamento di interessi e capitale in funzione del risparmio energetico effettivo, non ha grande successo soprattutto per la difficolta' di contabilizzare il risparmio energetico. Anche la complessita' del contratto rappresenta un ostacolo importante. E' uno strumento utilizzato spesso in altri paesi per la realizzazione di impianti di cogenerazione di piccola taglia. Poiche' esso non richiede l'intervento e fondi dello Stato, e' auspicabile che esso possa trovare maggiori applicazioni in Italia, magari tramite una semplificazione delle clausole contrattuali e il coinvolgimento delle societa' di distribuzione di energia, che potrebbero includere il servizio finanziario in questione tra i servizi forniti agli utenti. Un altro strumento attivabile e' il fondo di garanzia di prestiti per investimenti di medie-grandi dimensioni nell'uso razionale dell'energia che potrebbe favorire la diffusione del project fi- nancing, che consente di separare gli aspetti finanziari da quelli economici nella realizzazione di investimenti sul settore energetico. Negli ultimi anni, al fine di accelerare l'attuazione di misure di protezione ambientale e/o di mettere in atto iniziative di risparmio energetico, e' stata adottata la formula degli accordi di programma tra il Ministro dell'ambiente e/o del Ministro dell'Industria da una parte e grandi gruppi imprenditoriali privati o pubblici. Pochi sono gli strumenti per la qualificazione dei dispositivi di uso finale dell'energia finora utilizzati in Italia; in sostanza solo l'etichettatura dei forni elettrici e l'elenco comparativo degli elettrodomestici. Detti strumenti sono basati su diversi tipi di informazioni e sono complementari tra loro. Lo standard di efficienza energetica minima obbligatoria introdotto negli ultimi anni negli USA e in Canada per tutti gli elettrodomestici, le caldaie, i condizionatori, i motori elettrici e i sistemi di illuminazione, ha avuto una applicazione molto limitata in Europa: solo alle caldaie. L'Europa occidentale sembra muoversi in un'altra ottica, quella di introdurre premi volontari per gli alti livelli di efficienza, insieme ad un possibile standard di efficienza energetica minima obbligatoria ma non molto severa. Maggiore e' stato finora l'impegno italiano sugli strumenti per modificare i comportamenti e accelerare l'accettazione dei prodotti. L'ENEA ha messo a punto la banca dati ATHOS, attualmente la piu' grande tra i paesi dell'OCSE, che contiene una descrizione tecnica di circa 7.000 prodotti e materiali commercializzati in Italia. Altri strumenti importanti nel campo dell'informazione sono: la banca dati CADDET di progetti dimostrativi, la rivista "Risparmio Energetico" con circa 15.000 lettori prevalentemente di aziende industriali e diversi manuali tecnici. Inoltre l'ENEA ha sviluppato una rete di 16 Centri di Consulenza Energetica Integrata (CCEI), proprio per dare informazione e assistenza tecnica anche alle piccole e medie aziende industriali. In una indagine ad hoc, un'alta percentuale di aziende, circa il 14% hanno dichiarato di avere realizzato interventi suggeriti dalla rivista "Risparmio Energetico". Per quanto riguarda i CCEI, nell'ultimo anno hanno risposto a 4.500 richieste di informazione. La formazione per molti aspetti e' simile all'informazione, nel senso che e' necessaria ma insufficiente da sola. Infatti per l'industria si e' avuto piu' successo con i corsi, destinati tra l'altro alla formazione degli energy manager, in cui c'e' un'integrazione con altri strumenti come le diagnosi energetiche. Per quanto riguarda l'accelerazione degli interventi di risparmio energetico di piccola/media dimensione attraverso l'incentivazione finanziaria, gli strumenti tradizionali - i contributi in conto interesse e in conto capitale - sono spesso impraticabili. In questi casi, la soluzione preferibile puo' essere la detrazione fiscale, introdotta per la prima volta con la legge 10/91. Strumento semplice ed automatico, sostanzialmente privo di costi amministrativi. Fino ad oggi non si dispone di dati sull'effettivo utilizzo di questo strumento e si ha l'impressione che esso sia poco noto al grande pubblico, malgrado la sua inclusione nel modello 740 per la dichiarazione dei redditi. E' pertanto utile studiare la possibilita' di introdurre aggiustamenti per rendere lo strumento piu' efficace e flessibile. Per quanto riguarda i prodotti/sistemi per il settore pubblico, uno dei problemi e' proprio quello di rendere piu' facile l'impostazione delle gare di appalto di servizi energetici, inclusi quelli di diagnosi energetica, studi di fattibilita' e la ristrutturazione tecnologica e relativi servizi finanziari. Inoltre questi inviti di gara e relativi capitolati devono pienamente riflettere la nuova normativa delle leggi n. 9/91 e n. 10/91, delle nuove leggi nazionali e comunitarie in materia di gare pubbliche. Un altro strumento fondamentale per il settore pubblico e' quello della pianificazione energetica regionale. I piani sono piu' efficaci quando sono integrati con altri piani operativi (piani urbani per il traffico, piano rifiuti, ecc.), quando sono previsti strumenti finanziari nel piano stesso e quando sono indicate alcune azioni con- crete a breve termine. Purtroppo non tutte le Regioni hanno l'esperienza e/o i mezzi per realizzare questo tipo di pianificazione; infatti sono pochi i piani che sono stati resi operativi. Per quanto concerne il difficile problema di raggiungere il mercato piu' diffuso, piu' frammentario - quello delle abitazioni e del piccolo/medio terziario - esiste un coinvolgimento crescente delle aziende energetiche nei programmi di risparmio energetico in tutto il mondo. In Italia, l'ENEL ha avuto alcune esperienze nell'introduzione di misure per il risparmio di energia (installazione di scalda-acqua solari e pompe di calore per acqua calda). Il metodo di finanziamento utilizzato, il pagamento rateale degli interventi attraverso la bolletta, puo' facilitare la partecipazione delle famiglie e delle piccole aziende. L'esperienza indica anche che l'iniziativa e' piu' efficace quando il tipo di intervento finanziario offre una buona economicita'. Per quanto riguarda il settore elettrico il processo di privatizzazione dell'ENEL comportera' una modifica sia dei rapporti tra Amministrazione ed ENEL, che saranno regolati sulla base di una concessione, sia delle modalita', di determinazione delle tariffe, che saranno aggiornate, con il metodo del price-cap, da una Autorita' sulla base di contratti di programma stipulati dall'Amministrazione con l'ENEL. Tale evoluzione del settore richiede una preliminare azione governativa, nell'ambito delle deleghe previste dalla legge di accompagnamento alla finanziaria '94, sia di individuazioni di ruoli e compiti dell'autorita' sia di razionalizzazione del sistema tariffario. Infine, si ritiene opportuno citare alcuni dei principali ostacoli che sussistono per il raggiungimento dell'alta efficienza energetica e dell'utilizzo delle fonti rinnovabili: - distorsione dei prezzi dei prodotti/servizi energetici; - insufficiente informazione; - piu' alto rendimento richiesto del capitale riguardante gli investimenti nella gestione della domanda (risparmio energetico) rispetto a quello della produzione di energia; - persistente carenza dell'integrazione effettiva tra domanda e offerta, per quanto riguarda utenti di piccola e media dimensione; - piu' elevato costo del capitale per le famiglie rispetto a quello delle "utilities" e degli enti locali; - considerazione non prioritaria dell'uso razionale dell'energia rispetto alle altre caratteristiche prestazionali di un dato prodotto; - estrema frammentazione del potenziale mercato; - barriere istituzionali e vischiosita' procedurali. Le azioni specifiche, mirate al risparmio di energia e al contenimento dei consumi di combustibile ad alto tenore di carbonio, saranno approfondite in sede di approvazione del Programma nazionale per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica, al quale si rimanda. 1.4.2 Politiche ambientali che incidono sul settore energetico Le politiche ambientali che in Italia incidono maggiormente sul settore energetico hanno un'origine recente, successiva alla legge 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del Ministero dell'ambiente. Il quadro legislativo e normativo e' stato fortemente innovato con l'introduzione nell'ordinamento nazionale delle disposizioni relative ai valori limite per le emissioni di inquinanti dell'aria da sorgenti fisse e della procedura di valutazione di impatto ambientale (sia pure nella forma transitoria attualmente in vigore), nonche' con il recepimento di una serie di direttive comunitarie e di impegni assunti a livello internazionale per la lotta all'inquinamento atmosferico. Nel 1988 l'adozione del pacchetto di direttive comunitarie rela- tive al controllo dell'inquinamento atmosferico di origine industriale e alla protezione della qualita' dell'aria e' stata l'occasione per aggiornare e rafforzare il quadro legislativo. I miglioramenti introdotti sono stati molto importanti; in particolare le linee guida relative ai limiti di emissione per varie categorie di impianti sono state approvate nel 1990, con riferimento agli impianti esistenti. Per quanto riguarda la limitazione delle emissioni da grandi impianti di combustione, la direttiva comunitaria n. 609/88 e' stata adottata con un decreto del Ministro dell'ambiente dell'8 maggio 1989. Per le centrali termoelettriche il decreto ha introdotto limiti che, per taluni aspetti ed in particolare per le emissioni di ossidi di azoto, sono piu' severi di quelli della direttiva comunitaria. Importanti risultati sono stati gia' raggiunti nella riduzione delle emissioni del biossido di zolfo dalle centrali termoelettriche, attraverso l'aumento dell'uso di gas naturale e di olio combustibile a basso contenuto di zolfo. La posizione italiana si e' andata allineando con quella dei paesi che adottano politiche dei protezione dell'ambiente piu' vigorose. Gli impianti energetici sottoposti a procedura di valutazione d'impatto ambientale (VIA) sono i seguenti: le raffinerie di petrolio greggio e gli impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate al giorno di carbone; le centrali termiche e gli altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 megawatt, nonche' le centrali nucleari; gli impianti destinati allo stoccaggio definitivo o alla eliminazione definitiva dei residui radioattivi; le dighe per impianti idroelettrici di altezza superiore a 10 metri e/o capacita' superiore a 100.000 metri cubi. Sono sottoposte a giudizio anche le modifiche sostanziali dei citati impianti, con l'esclusione dei progetti di risanamento ambientale delle centrali termoelettriche, anche se accompagnati da ripotenziamento. Le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilita' sono dettate da un DPCM del 27 dicembre 1988. L'allegato IV al decreto regolamenta la procedura per le centrali termoelettriche o turbogas dell'ENEL. Nella citata normativa viene introdotto anche il sistema dell'inchiesta pubblica, novita' assoluta nella legislazione italiana, che ha luogo nel comune in cui e' proposta l'ubicazione della centrale. L'inchiesta e' condotta e presieduta da un magistrato coadiuvato da esperti nominati dal Ministero dell'ambiente e da regione, provincia e comune interessati per territorio. All'inchiesta chiunque puo' presentare memorie scritte cui l'azienda elettrica ha il diritto di presentare osservazioni. L'istruttoria tecnica viene condotta dalla Commissione per la Valutazione di Impatto Ambientale del Ministero dell'ambiente, tenendo conto dei pareri espressi da un certo numero di ministeri (Sanita', Lavori Pubblici e Beni Culturali), dalla regione, dalla provincia e dal comune, nonche' degli esiti dell'inchiesta pubblica. La procedura si conclude con il giudizio sulla compatibilita' ambientale del progetto espresso dal Ministro dell'ambiente. Infine, la legge 9/1991 ha previsto che le attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e gli elettrodotti ad alta tensione siano assoggettati al giudizio di compatibilita' ambientale, nei limiti e con le procedure stabilite dalla normativa vigente. 1.4.3 Attivita' di ricerca e sviluppo Le attivita' di ricerca, sviluppo e dimostrazione nel settore dell'energia, in corso o programmate, sono prioritariamente finalizzate al miglioramento dell'efficienza nella produzione e uso dell'energia e all'innovazione tecnologica nel campo delle fonti rinnovabili di energia. In particolare, si segnalano le seguenti linee di azione: - innovazione di prodotti e di processi produttivi al fine di conseguire un aumento dell'efficienza negli usi di energia nei settori industriale e domestico-terziario; - sviluppo e qualificazione di metodi di progettazione edilizia a basso consumo energetico, che sfrutti contributi solari e di altre fonti rinnovabili al confort ambientale; - messa a punto di strumenti informatici e telematici per l'informazione e il controllo degli usi di energia nelle abitazioni e negli uffici; - sviluppo di componenti per l'edilizia, quali ad esempio pompe di calore ad assorbimento che utilizzino fluidi refrigeranti non dannosi per lo scudo stratosferico di ozono; - sviluppo di tecnologie destinate all'aumento dell'efficienza nella produzione elettrica (celle a combustibile, cicli combinati avanzati, ecc.), con particolare riferimento ai materiali e alla vita dei componenti; - tecnologie innovative nei processi di combustione finalizzate alla riduzione delle emissioni inquinanti; - sviluppo di tecnologie solari fotovoltaiche e dei relativi componenti e sistemi applicativi; - sviluppo di componenti e sistemi di tipo innovativo per lo sfruttamento dell'energia eolica, con particolare riferimento all'affidabilita' e al rendimento delle macchine. ----> Vedere tabelle da pag. 37 a pag. 38 del S.O. <---- 2 INDUSTRIA 2.1. Quadro di riferimento L'ambiente e' diventato il nuovo valore positivo di riferimento delle politiche nazionali di sviluppo dei paesi industrializzati e delle politiche e dei negoziati internazionali, in particolare di quelli riguardanti la cooperazione ed il trasferimento di tecnologie tra il Nord ed il Sud e l'Ovest e l'Est del pianeta, sempre piu' influenzati da criteri di compatibilita' ambientale (come, tra gli altri, autorevolmente evidenziato dalla World Bank nella sua relazione 1991). E' inoltre in crescita l'interesse industriale ad una politica economica di settore integrante l'ambiente come componente di primaria importanza, anche attraverso il coinvolgimento dell'industria medesima nel processo decisionale della politica ambientale. In particolare, il trattato sull'Unione Europea del febbraio 1992 pone come obiettivo prioritario la promozione di una crescita sostenibile ed inserisce tra le azioni degli stati membri l'impegno politico per la tutela dell'ambiente. In tal senso ha operato la Commissione delle Comunita' Europee che, nel giugno 1992, ha approvato un programma politico e di azione per una nuova strategia e per interventi nei settori economici chiave dell'industria, dell'energia, dei trasporti, dell'agricoltura e del turismo. Secondo recenti ed attendibili indagini condotte su scala mondiale, molte grandi imprese investono fino al 2-3% del proprio fatturato in azioni di strategia industriale integrata con l'ambiente; queste quote sono destinate a raddoppiare entro il 2000. A cio' hanno certo debitamente contribuito: - i piu' efficaci sistemi di regolamentazione adottati a protezione dell'ambiente; - la crescita della coscienza ambientale nella pubblica opinione; - l'abbandono di una diffusa attitudine difensiva dell'industria nei confronti dell'ambiente ed il progressivo espandersi di una piu' ragionata logica di pensiero imprenditoriale per cui: (a) la produzione innovata in funzione ambientale rientra pienamente nel modo di agire del sistema industriale; (b) il costo degli interventi a valle per il controllo delle emissioni di processo non e' piu' una variabile incontrollabile ed irrecuperabile ma diventa una variabile legata agli investimenti per migliori prodotti e processi produttivi (e quindi con prospettive di ritorno economico ed uso pratico a fini commerciali, di comunicazione e di immagine). Molteplici iniziative sono state concretamente assunte per ridurre i rischi delle attivita' industriali per l'ambiente e la salute e non mancano documentati successi rilevanti, in termini di riduzione delle emissioni e dei rifiuti dei cicli produttivi, talvolta ottenuti anche in tempi relativamente brevi (ad esempio, il programma "33/50" negli Stati Uniti, il sistema della "cura responsabile" adottato dalle industrie chimiche in Giappone, l'informazione sul rischio ambientale delle sostanze chimiche svolta in Germania). E' inoltre in espansione a partire dalla seconda meta' degli anni Ottanta il numero di prodotti piu' compatibili con l'ambiente ed in grado di richiamare l'attenzione dei consumatori piu' attenti. Anche se questi prodotti costituiscono tuttora un'esigua frazione delle merci disponibili sul mercato, il loro incremento consente di intravvedere una linea di tendenza piu' attenta alla compatibilita' tra produzione ed uso del prodotto e l'ambiente che, per quanto ancora lungi dall'essere omogenea nei diversi settori industriali e Paesi, puo' essere considerata irreversibile. 2.1.1 Struttura, produzione ed impatto ambientale dell'industria nazionale In Italia l'industria manufatturiera ha una struttura fortemente articolata e diversificata, in termini di numero e natura delle branche produttive e di dimensioni e tipologia (privato, pubblico, misto) delle imprese. Il 7 censimento delle industrie e dei servizi ha rilevato, all'ottobre 1991, per l'industria: - circa 827.000 unita' locali (di cui il 61% nel Nord, il 20% nel Centro ed il 19% nel Sud e nelle Isole); - circa 6.350.000 addetti (con medie di 8,2 addetti per unita' lo- cale nel Nord, di 6,9 nel Centro e di 6,8 nel Sud e nelle Isole). L'industria italiana, la cui produzione segue nel complesso le tendenze alla crescita o alla contrazione del mercato internazionale ha contribuito nel 1990, secondo stime OCSE, nella misura del 33% al PIL. Nel prospetto seguente sono riportati, per il periodo 1970-1992, gli indici di produzione generale per alcune industrie selezionate per il loro rilievo economico e l'impatto sull'ambiente. Indice 1970 1975 1980 1985 1990 1992 Generale 74 79 103 100 118 114 - chimica 54 67 90 100 117 111 - raffinerie petroli - 138 129 100 119 123 - siderurgia 78 115 139 100 109 105 - carta 74 79 103 100 118 114 - macchine elettriche 67 78 99 100 120 112 - autoveicoli - 88 110 100 135 106 - cave - - 96 100 116 - Rilevante e', in termini di rifiuti ed emissioni, l'impatto dell'industria sull'ambiente, quantificato nella 2a Relazione sullo Stato dell'Ambiente in: - circa 34,6 milioni t di rifiuti generati nel 1991 (circa 35% del totale) di cui 3,2 milioni t di rifiuti tossici e nocivi; - circa 758.000 t di anidride solforosa (38% del totale di origine antropica e naturale), 320.000 t di ossidi di azoto (17% del totale), 616.000 t di composti organici volatili non metanici (31%), 826.000 t di monossido di carbonio (12%), 289.000 t di particelle sospese (53%) e 168.000.000 t di anidride carbonica (37%) emesse dai processi produttivi e di combustione industriali, delle raffinerie di petrolio e dalle operazioni che comportano l'evaporazione di solventi nel 1989. 2.1.2 Effetti delle politiche e dei vincoli ambientali sull'industria Di fronte ai problemi ed ai vincoli ambientali consolidati ed emergenti le grandi imprese dispongono, almeno potenzialmente, della struttura e delle capacita' richieste per inserire la gestione degli aspetti ambientali nelle decisioni e nelle azioni manageriali. Per contro, alle piccole aziende mancano, con le debite eccezioni, gli strumenti organizzativi e finanziari richiesti e fattori economici ed organizzativi di rilievo si oppongono seriamente al trasferimento ad esse di tecnologie, conoscenze tecniche ed informazioni. E' doveroso ricordare che gli effetti delle misure di politica ambientale conseguenti a convenzioni ed accordi internazionali si fanno gia' sentire sull'industria e le tecnologie nazionali e sulla bilancia dei pagamenti. Nel settore delle tecnologie ambientali di abbattimento a valle dei processi produttivi, ad esempio, i protocolli e le direttive riguardanti la riduzione delle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto comportano una spesa di 8000-10000 miliardi di lire per importare dalla Germania e dal Giappone le tecnologie richieste per la desolforazione e la denitrificazione nei cicli produttivi industriali e dell'energia. Ne' minore e' stimato, nel settore delle tecnologie piu' pulite, l'esborso dell'industria dell'auto nazionale per acquisire dall'industria tedesca i dispositivi catalitici necessari per adeguare le emissioni degli autoveicoli agli standard piu' restrittivi stabiliti dalle direttive comunitarie. A questi costi vanno aggiunti inoltre quelli dei mancati guadagni risultanti dalla mancanza delle tecnologie che sono importate in Italia in seguito ai mancati investimenti a fini ambientali da parte dell'industria nazionale. Non e' infine difficile immaginare che gli obiettivi e gli stand- ard di qualita' ambientale di cicli di produzione e di prodotti saranno di fatto determinati dalle migliori tecnologie disponibili, anche indipendentemente dalle norme in vigore, e sara' rafforzata la tendenza in atto per cui gli standard ambientali sono di fatto determinati dalla pressione ambientalistica e dalla nuova concorrenza sui mercati risultante dall'introduzione del fattore ambiente come criterio di selezione dei prodotti. Se dunque produzioni e prodotti non compatibili con l'ambiente sono in prospettiva destinati a diventare non competitivi sul mercato, e' interesse urgente dell'Italia di integrare finalmente le politiche ambientali ed industriali in una reale prospettiva di sviluppo sostenibile. In linea con l'auspicata progressiva sostituzione, nel seguito discussa, del principio chi-inquina-paga con il principio la- prevenzione-paga, si sottolinea la necessita' di favorire, da un lato, lo sviluppo, basato sull'efficacia dei costi, di tecnologie ambientali per il controllo dell'inquinamento ambientale e, dall'altro e con impegni in prospettiva crescenti, di sostenere l'innovazione tecnologica per produzioni e prodotti piu' puliti ed il risparmio di materie prime ed energia di processo. La nuova competizione sul mercato, determinata dall'introduzione dei fattori ambientali tra quelli che concorrono all'affermazione di un prodotto, rende inoltre necessaria l'adozione di procedure e standard di valutazione dell'impatto ambientale. Tra le varie opzioni possibili quella della valutazione del ciclo di vita del prodotto (dalla produzione, alla distribuzione, all'uso ed infine allo smaltimento) puo' essere ritenuta la piu' valida e destinata ad assumere, in Italia come altrove, una crescente importanza. 2.2 Ruolo dell'industria e delle amministrazioni nell'Agenda 21 L'industria e' essenziale per la produzione di beni e servizi ed e' una fonte principale di reddito ed occupazione ed al contempo, quale utilizzatrice di risorse naturali e materie prime, ha un grande impatto sull'ambiente. Il suo ruolo nei confronti dello sviluppo sostenibile e' esplicitamente riconosciuto nell'Agenda 21 (capitolo 30: Strenghtening the role of business and industry) dove si afferma, tra l'altro: - "...attraverso processi produttivi piu' efficienti, strategie di prevenzione, tecnologie e pratiche piu' pulite nel ciclo di vita del prodotto, quindi riducendo o eliminando i rifiuti di lavorazione,.... ..l'industria puo' giocare un ruolo primario nella riduzione degli impatti sull'ambiente e l'uso delle risorse naturali...; - ...l'industria dovrebbe riconoscere la gestione ambientale come una delle massime priorita' ed una chiave determinante allo sviluppo sostenibile...; - ...un contributo positivo dell'industria... allo sviluppo sostenibile puo' essere sempre piu' realizzato mediante l'uso di strumenti economici quali i meccanismi del libero mercato, in cui i prezzi dei beni e dei servizi dovrebbero sempre piu' riflettere i costi ambientali delle materie prime, della produzione, dell'uso e dello smaltimento...". Sono a tali fini identificati i seguenti obiettivi al cui raggiungimento sono chiamate a collaborare, ciascuna per le sue competenze, l'industria ed il Governo: - "...aumentare l'efficienza di uso delle risorse, incluso l'incremento del riuso e riciclo dei residui, e ridurre la quantita' di rifiuti generati per unita' di prodotto...; - ...incoraggiare... il corretto uso delle risorse naturali..., aumentare il numero di imprenditori impegnati in imprese che praticano politiche di sviluppo sostenibili". Varie linee di azione sono individuate per superare progressivamente i danni all'ambiente risultanti, in ultima analisi, da una ridotta efficienza nell'uso delle risorse naturali e da un'imprenditorialita' nel complesso non responsabile come sarebbe richiesto. Tra le altre: - "...incoraggiare l'industria a riferire... sull'uso dell'energia e delle risorse naturali... sull'adempimento di codici di comportamento e la promozione delle tecnologie e pratiche piu' favorevoli per l'ambiente...; - ...inserimento da parte dell'industria degli elementi delle politiche delle tecnologie pulite nelle proprie operazioni e negli investimenti, tenendo conto anche dell'influenza su fornitori e consumatori...; ...costituzione di consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile; ...promozione della gestione responsabile ed etica di prodotti e processi sotto gli aspetti dell'ambiente, della salute e della sicurezza...; - ...promozione da parte dei governi della cooperazione tecnologica... tra le imprese ...sulle tecnologie pulite; ...supporto alla formazione professionale in materia di aspetti ambientali della conduzione delle imprese; ...promozione, in accordo con l'industria, di progetti finanziati per lo sviluppo sostenibile". Il ruolo e le responsabilita' delle amministrazioni degli stati sono in varie occasioni ed in vari modi esplicitate nell'Agenda 21. Si richiamano qui le azioni ad esse richieste per sviluppare politiche e strategie nazionali mirate ad un consumo piu' sostenibile (capitolo 4: Changing consumption patterns): - "...incoraggiare una maggiore efficienza nell'uso delle risorse naturali... intensificando, in cooperazione con l'industria, gli sforzi per... diffondere le tecnologie favorevoli all'ambiente esistenti, promuovere la ricerca e lo sviluppo per nuove tecnologie... promuovere l'uso sostenibile di risorse rinnovabili...; - ...intensificare, in cooperazione con l'industria ed i cittadini, la riduzione dei rifiuti generati ...incoraggiando il riciclo nei processi produttivi e da parte dei consumatori, riducendo gli imballaggi dei prodotti, sostenendo l'introduzione di prodotti piu' compatibili con l'ambiente...; - ...assistere i cittadini e le famiglie nelle decisioni d'acquisto di prodotti piu' favorevoli all'ambiente... informando regolarmente i consumatori sull'impatto dei prodotti sull'ambiente e sulla salute e sulle conseguenze delle loro scelte...". 2.3. Strategia e obiettivi nazionali 2.3.1 Nuovi indirizzi di politica industriale integrata con l'ambiente Delle due possibili opzioni per affrontare l'impatto ambientale delle attivita' del settore dell'industria come in altri settori chiave (energia, trasporto, agricoltura, turismo), cura del danno all'ambiente o sua prevenzione, quella della cura e' stata finora prevalentemente adottata, con risultati nel complesso modesti in tutti i settori citati. Il principio chi-inquina-paga finora prevalente, mirato ad incoraggiare gli inquinatori ad internalizzare i costi dell'uso e del degrado delle risorse naturali ed a coprire in generale i costi della lotta all'inquinamento sotto forma di tasse e canoni, conserva la sua validita', come ancora recentemente riaffermato nelle sedi autorevoli della CEE e dell'OCSE. Tuttavia questo principio e l'indirizzo strategico della cura, per quanto si voglia e si possa giustificarne l'adozione con motivi contingenti, si sono dimostrati ampiamente insufficienti a contrastare i complessi meccanismi che portano alla creazione di un debito ambientale ed al suo trasferimento da un settore di attivita' ad un altro, da una risorsa naturale ad un'altra, da una generazione ad un'altra. Ricordando che il cambiamento richiede tempo e risorse per essere attuato, e' dunque necessario modificare l'indirizzo dell'intervento riparatorio finora dominante in ogni settore di attivita' identificando obiettivi, azioni e strumenti che privilegino la prevenzione del danno all'ambiente causate dalle attivita' economiche, e tra queste dalle attivita' industriali. Il cambiamento nell'indirizzo strategico puo' essere avviato e gestito in una prospettiva di medio termine con l'estensione all'industria del meccanismo di programmazione settoriale integrata con l'ambiente, finora adottato su scala nazionale solo per il settore dell'energia (Piano Nazionale Energetico, 1988). I problemi ambientali e di gestione delle risorse naturali debbono essere quindi considerati in un contesto di politica settoriale integrata, ricorrendo ad un approccio olistico nell'ideare strumenti strategici di politica ambientali. I soggetti interessati al raggiungimento degli obiettivi ed alle azioni a tal fine necessarie sono principalmente l'industria, la pubblica amministrazione ed i consumatori. In generale all'industria viene richiesto di applicare concretamente le proprie capacita' organizzative, progettuali e gestionali per: - prevenire la generazione di emissioni gassose, effluenti e rifiuti di processo con priorita' assegnata a misure di riduzione dell'inquinamento alla fonte e di riciclo e riuso di residui derivanti da cicli di produzione o da cicli di consumo; - estendere le pratiche operative e le misure volte ad ottenere prodotti piu' compatibili con l'ambiente quali l'analisi del ciclo di vita, l'audit ambientale, l'etichettatura ecologica, ecc.; - sviluppare tecnologie (a costi compatibili con il mercato) per ottenere processi a minore impatto ambientale e prodotti piu' puliti, durevoli e riciclabili; - risparmiare materie prime e risorse di processo (energia, acqua). PIANO NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ATTUAZIONE DELL'AGENDA 21 Alla pubblica amministrazione si richiede, oltre ai compiti istituzionali di formulazione e controllo delle norme, di operare per: - promuovere ed estendere la collaborazione con l'industria sulla base degli accordi di programma; - responsabilizzare il cittadino con l'informazione trasparente, l'educazione scolastica e la formazione professionale; - incentivare il raggiungimento da parte delle imprese di obiettivi piu' ampi o in tempi piu' brevi rispetto a quelli prestabiliti dalla normativa. Di primaria importanza e' il ruolo dei cittadini che piu' attivamente che in passato debbono sensibilizzarsi ed operare come pubblico bene informato per: - ottenere l'informazione piu' completa e corretta richiesta e necessaria per stimolare la formazione di opinioni piu' bilanciate sui rischi industriali e lo sviluppo di temi di discussione con l'industria, in tal modo contribuendo piu' efficacemente allo sviluppo sostenibile; - selezionare gli acquisti sul mercato per favorire la diffusione di prodotti piu' compatibili con l'ambiente. 2.3.2. Obiettivi nazionali per l'adeguamento all'Agenda 21 Come prima accennato il cambiamento nelle tecnologie di produzione e nei prodotti deve essere graduale per tenere conto degli scambi inevitabili tra la salvaguardia dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile e gli altri importanti obiettivi sociali ed, al contempo con debito realismo, per consentire alle imprese di avere il tempo richiesto dalla loro natura per ottemperare ai vincoli ambientali. Per contro alla gradualita' deve corrispondere l'incisivita' delle misure normative, fiscali ed economiche in modo che gli interventi non risultino alla fine marginali e siano comunque coordinati. Dalla necessita' di contemperare lo sviluppo della prevenzione del danno per una politica ambientale piu' adatta ad uno sviluppo sostenibile ed al rispetto delle generazioni future con le esigenze delle attuali gravi emergenze ambientali, derivano i seguenti obiettivi nazionali prioritari: - sviluppo di una politica di sostenimento della crescita economica integrata con la prevenzione dell'inquinamento ambientale ed il controllo degli usi delle risorse naturali, in progressiva sostituzione della politica di cura dell'ambiente degradato; - rafforzamento ed accelerazione degli interventi previsti per il risanamento dell'inquinamento dell'acqua, dell'aria e dei suoli. Cio' richiede da un lato lo sviluppo di tecnologie produttive e prodotti piu' puliti, per ridurre al minimo gli scarti nella vita dei prodotti industriali ed utilizzare piu' razionalmente le risorse naturali non rinnovabili, e dall'altro l'estensione dell'imprenditorialita' responsabile, quale indispensabile forza guida per l'innovazione e l'efficienza del mercato. Il principio chi- inquina-paga e' generalmente considerato punitivo dalle imprese in difficolta' sul mercato o comunque impossibilitate ad adottare nuove tecnologie di processo per vari motivi economici o tecnici. Per superare questo problema e' dunque necessario stimolare e sensibilizzare gli interessati per affermare la validita' del principio la-prevenzione-paga in sintonia con la logica imprenditoriale. Si ricorda inoltre che, in generale, gli obiettivi ambientali dell'industria sono parte degli obiettivi nazionali, anche discussi in altri capitoli di questo documento (energia, trasporti, rifiuti). Ad essi si rimanda per integrazioni e per confronti su obiettivi, azioni e strumenti riguardanti specifici argomenti quali il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni atmosferiche, il riciclo e riuso di residui di processo valorizzabili, ecc. Sulla base delle considerazioni precedentemente svolte e degli impegni assunti in varie sedi internazionali dall'Italia si identificano nella prevenzione del rischio generato per l'ambiente e per la salute dalle attivita' industriali e nella gestione delle sostanze chimiche pericolose e nocive le linee di intervento prioritarie entro il 2000. In linea con le tendenze prevalenti o comunque emergenti in altri stati industrializzati si identificano quali obiettivi specifici nel quadro del piu' ampio obiettivo generale della prevenzione del rischio industriale: - lo sviluppo, basato sull'efficacia dei costi, di tecnologie pulite e di prodotti a minore impatto ambientale, a partire da branche e produzioni industriali di particolare rilievo economico ed impatto sull'ambiente; - lo sviluppo di bilanci ambientali d'industria; - l'estensione della partecipazione dell'industria al risanamento di aree industriali e suoli contaminati; - la riduzione del rischio industriale nelle aree urbane e la delocalizzazione di impianti industriali a rischio elevato di incidente o di inquinamento dell'ambiente (da affrontare con un approccio integrato che tenga conto degli aspetti ambientali, sociali, economici ed industriali); - lo sviluppo di procedure di prevenzione dell'inquinamento e di standard per sostanze chimiche (selezionate tra quelle in varie sedi valutate o in corso di valutazione per il loro impatto sull'ambiente e la salute umana) presenti nelle componenti ambientali (aria, acqua, suolo) e nei beni di consumo (alimenti, prodotti per la casa, ecc.). Per varie sostanze chimiche inquinanti l'ambiente e nocive per la salute risultano gia' definite o proposte (da convenzioni internazionali cui l'Italia ha aderito o da provvedimenti legislativi nazionali) le riduzioni da realizzare. In particolare, si ricordano i seguenti obiettivi da raggiungere: - la riduzione, del 30% almeno entro il 1993, delle emissioni atmosferiche di anidride solforosa generate nel 1980 (Protocollo di Helsinki, 1985; ratificato: 1989); - la stabilizzazione, entro il 1994, delle emissioni di ossidi di azoto ai livelli generati nel 1987 (Protocollo di Sofia, 1988; ratificato, 1992); - la riduzione, del 30% almeno, o comunque la stabilizzazione, entro il 1999, delle emissioni di composti organici volatili rispetto alle quantita' generate nel 1988 (Protocollo di Ginevra, 1991; in corso di ratifica); - il contenimento delle emissioni degli impianti industriali attraverso il pieno adeguamento degli impianti industriali ai valori limite e guida delle emissioni previsti dalle disposizioni del DPR n. 203/1988, e dei provvedimenti legislativi seguenti in attuazione di varie direttive comunitarie; - il contenimento delle emissioni di anidride carbonica dai processi non energetici del settore industriale nell'ambito dell'impegno comunitario per la sua stabilizzazione entro il 2000 ai livelli del 1990; - la riduzione e la messa al bando della produzione e del consumo delle sostanze distruttrici dell'ozono quali clorofluorocarburi, halons, ecc. di cui si discute in maggior dettaglio nel seguito (Protocollo di Montreal, 1987; ratificato: 1989; emendamenti adottati a Copenhagen, 1992; in corso di ratifica); - la messa al bando dell'uso dell'amianto (legge n. 257/1992); - la prevenzione dell'impatto ambientale di grandi impianti ed installazioni industriali nel contesto transfrontaliero (Convenzione di Espoo, 1991; in corso di ratifica); - la prevenzione degli incidenti industriali nel contesto transfrontaliero (Convenzione di Helsinki, 1992; in corso di ratifica). A questi obiettivi proritari debbono essere aggiunti quelli della riduzione dei composti organici volatili, inclusi i solventi clorurati, e dei metalli pesanti, per i quali si stima che possano essere realizzate nel 2000 (rispetto alle emissioni calcolate per il 1990) le seguenti quote di riduzione: - riduzione del 50-70% degli scarti di processo di metalli pesanti selezionati (cadmio, cromo, mercurio, rame); - riduzione del 30-50% delle emissioni di solventi clorurati usati in processi produttivi di varia natura; - riduzione del 40-60% delle emissioni di composti organici volatili nei settori della raffinazione di prodotti petroliferi e dell'industria chimica. 2.3.3 Protezione dell'ozonosfera Accordi internazionali Alla protezione dell'ozono stratosferico e' assegnata un'importanza primaria fino dal 1985 con la Convenzione di Vienna, adottata in sede UNEP, che impegna i paesi firmatari ad adottare misure volte a proteggere la salute dell'uomo e l'ambiente conseguenti all'impoverimento dello strato di ozono ad opera del cloro liberato dalle emissioni di varie sostanze chimiche clorurate. La Convenzione, ratificata dall'Italia con la legge n. 277/1988 (che, all'art. 3, stabilisce uno stanziamento di 50 milioni di lire per le spese relative al segretariato della Convenzione medesima) prevede la necessita' di adottare protocolli ed istituire una Conferenza delle Parti con il compito di gestire l'attuazione degli impegni presi. Alla Convenzione hanno fatto seguito: - nel 1987 il Protocollo di Montreal finalizzato al controllo della produzione e del consumo delle sostanze chimiche di cui era stato dimostrato l'effetto distruttore sull'ozono stratosferico, in particolare i clorofluorocarburi (CFC) e che, tra l'altro, istituisce, quale meccanismo finanziario di supporto ai paesi in via di sviluppo, il Fondo Multilaterale cui l'Italia partecipa come paese donatore (con fondi stanziati per il 1992-93 dalla legge n. 114/1992, attualmente in corso di aggiornamento per gli impegni futuri da parte del Ministero del Tesoro); - nel 1990 gli Emendamenti di Londra al Protocollo citato (approvati dall'Italia nel febbraio 1992) e nel 1992 gli Emendamenti di Copenhagen (attualmente all'esame del Parlamento dopo avere ricevuto l'approvazione dei Ministeri competenti) che prevedono l'accelerazione dei termini e delle scadenze per la riduzione delle sostanze maggiormente nocive ed estendono la regolamentazione a nuove sostanze, quale ad esempio gli HCFC. L'Agenda 21, infine, include la prevenzione dell'impoverimento dell'ozono stratosferico tra i propri impegni prioritari (capitolo 9: Protection of the atmosphere), a tale fine definendo quali obiettivi ed azioni di un programma specifico: - "....realizzare gli obiettivi della Convenzione di Vienna, nel Protocollo di Montreal e negli Emendamenti di Londra ....incoraggiare le tecnologie ed i prodotti naturali che riducono la domanda delle sostanze che danneggiano lo strato di ozono ....sviluppare strategie per mitigare gli effetti nocivi della radiazione ultravioletta ....; - "....ratificare .... il Protocollo di Montreal e gli emendamenti ... contribuire ai fondi fiduciari di Vienna e Montreal ed al fondo interinale per l'ozono ....rendere disponibili i sostituti dei CFC e delle altre sostanze che impoveriscono lo strato di ozono ...facilitare il trasferimento delle tecnologie relative ai paesi in via di sviluppo ....sostenere l'espansione ulteriore del Global Ozone Observing System ....sviluppare l'informazione scientifica sugli effetti dell'impoverimento dell'ozono stratosferico sulla salute umana e sull'ambiente ...." Normativa comunitaria Gli obblighi e le relative scadenze riguardanti la produzione ed il consumo delle sostanze dannose per l'ozono regolamentate dal Procollo di Montreal del 1987 e dagli emendamenti di Londra e Copenhagen sono stati affrontati in sede CEE avvalendosi della facolta' concessa ai Paesi membri di un'organizzazione regionale di integrazione economica di ottemperare a tali obblighi in modo congiunto. In particolare, sono stati adottati o proposti: - il Regolamento n. 694/91 che istituisce un sistema di controllo dell'offerta di sostanze dannose per l'ozono della CEE, limitando da un lato le vendite e l'uso da parte di produttori della Comunita' e dall'altro l'immissione in libera pratica delle sostanze provenienti da Paesi terzi, ed un sistema di vigilanza e di gestione affidate alla Commissione CEE; - il Regolamento n. 3952/92 che recepisce gli emendamenti di Copenhagen in tema di calendario di eliminazione delle sostanze contenute negli allegati A e B del Protocollo di Montreal, anticipandolo ulteriormente; - la Proposta di Regolamento COM/202/93 (approvato dal Consiglio Ambiente il 2 dicembre 1993) che: (a) stabilisce un calendario piu' stringente per la riduzione e l'eliminazione del bromuro di metile e dei citati CFC sostituiti; (b) limita l'uso degli HCFC ad un ristretto elenco di settori di attivita'; (c) prevede l'obbligo del recupero delle sostanze contenute nelle apparecchiature ai fini della distruzione o del riciclaggio; (d) impone l'adozione di misure per prevenire le emissioni incontrollate di queste sostanze durante l'intero ciclo di vita degli impianti ed apparecchiature che le contengono. Normativa nazionale Il provvedimento legislativo di riferimento e' costituito dalla legge, approvata dal Parlamento il 23 dicembre 1993, recante disposizioni sulle "Misure a tutela dell'ozono stratosferico e dell'ambiente". Gli elementi qualificanti di questa legge includono: - la regolamentazione: (a) della produzione e dell'uso delle sostanze previste dal Protocollo di Montreal, emendato a Copenhagen, sulla base di criteri di maggiore severita'; (b) della raccolta dei prodotti dismessi contenenti le sostanze regolamentate; (c) del recupero, della distribuzione e del riciclaggio di tali sostanze; - l'attribuzione all'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente dei compiti di indirizzo programmatico, di normazione e di vigilanza sulla protezione dell'ozonosfera; - l'incentivazione fiscale per i prodotti sostitutivi e l'incentivazione, tramite la legge n. 46/1982, dell'innovazione tecnologica per ottenere cicli produttivi e prodotti piu' puliti; - l'informazione mediante: (a) l'uso dei mezzi di comunicazione di massa; (b) l'obbligo dell'etichettatura per i prodotti contenenti le sostanze regolamentate; - lo sviluppo di una rete di monitoraggio nazionale delle radiazioni UV e delle concentrazioni di ozono. 2.4. Azioni e strumenti I problemi ambientali non sono isolati ma, al contrario, correlati tra di loro e con origini comuni nell'apertura verso l'ambiente esterno della catena produttiva materia prima - prodotto - scarto, nell'uso intenso dell'energia e nella bassa qualita' di prodotti e processi. Per lo sviluppo sostenibile occorre, quindi, intervenire con azioni e strumenti per l'isolamento dei cicli produttivi rispetto all'ambiente esterno, il risparmio energetico, il miglioramento della qualita' e l'estensione della vita dei prodotti. Cio' richiede nella maggior parte dei casi concreti il miglioramento dello stato della conoscenza delle interazioni tra gli aspetti economici ed ambientali a tutti i livelli sociali, dalle grandi imprese ai singoli consumatori, e delle correlazioni dell'industria con altri settori economici (energia, trasporti, agricoltura, ecc.). Egualmente richiesto e' lo stimolo continuo dell'attenzione della pubblica opinione ai problemi ed alle soluzioni. 2.4.1. Strumenti Vari e di varia natura sono gli strumenti ed i meccanismi di integrazione possibili per orientare e guidare le politiche economiche ed ambientali verso lo sviluppo sostenibile, coordinandole per renderle tra loro compatibili, e ripartirne la responsabilita' tra le componenti della societa', ciascuna secondo il proprio ruolo. E' opportuno ricordare che talvolta e' sottile la distinzione tra strumenti ed azioni ed in effetti alcuni strumenti nel seguito discussi sono al contempo azioni come, ad esempio, nel caso della proposta per l'adozione nella legislatura nazionale di un Testo Unico Ambientale, gli standard per i prodotti piu' favorevoli all'ambiente, gli accordi di programma e l'informazione. Il processo di elaborazione di un piano nazionale di sviluppo sostenibile si estende ben oltre i limiti di questo documento ed ulteriore lavoro e' necessario per verificare come richiesto, sulla base dell'efficacia dei costi, la consistenza degli obiettivi, degli strumenti e degli interventi economici ed ambientali da parte dei soggetti concretamente coinvolti. Fin d'ora e' possibile riaffermare il vantaggio riconosciuto di semplificare e meglio definire gli strumenti amministrativi e regolatori, e le responsabilita' da essi assegnate, raccogliendo la grande massa di provvedimenti legislativi esistenti in materia ambientale in un Testo Unico Ambientale. In questo contesto sono d'importanza primaria: - l'adeguamento delle norme obsolete o mancanti tra cui, in particolare, quelle sugli scarichi industriali nei corpi idrici ricettori e sull'impatto sul suolo e le falde idriche dei serbatoi sotterranee di carburanti ed altre sostanze chimiche liquide; - il rafforzamento delle strutture operative, tra cui l'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, per attuare ed imporre le norme e le linee di guida nazionali nonche' per verificarne l'applicazione ed adattarle eventualmente alle situazioni locali. Gli strumenti economici e di mercato vanno considerati con attenzione, anche alla luce delle piu' recenti esperienze internazionali, ed in particolare nell'uso dello strumento fiscale si deve tenere debito conto del quadro comunitario e dei problemi che deriverebbero dall'aumento del carico fiscale complessivo attualmente gravante sull'industria nazionale. In sede comunitaria e' ormai in discussione il problema di un riequilibrio del sistema fiscale che da un lato favorisca il rilancio dell'economia e dall'altro penalizzi i prodotti a maggiore impatto ambientale. Tra i principali meccanismi di mercato vanno segnalati: - le ecotasse dirette (correlate cioe' alle quantita' misurate o calcolate delle emissioni e degli effluenti e rifiuti di processo) ed indirette (sui beni ed i servizi associati con un danno all'ambiente nel loro ciclo di vita) e gli sgravi fiscali (come incentivi per l'installazione di impianti di abbattimento dell'inquinamento o l'applicazione di produzioni e prodotti piu' favorevoli all'ambiente); - i sussidi finanziari per sostenere le misure per ridurre l'inquinamento (sovvenzioni, prestiti a basso interesse, sgravi fiscali, rimborso di depositi, ecc.); - interventi sul mercato (tariffe, canoni, assicurazione del danno ambientale, permessi di emissione, ecc.). Altri strumenti possono concorrere con quelli precedenti ad integrare le politiche ambientali ed economiche, tra i quali di prioritaria importanza ai fini del mutamento anche attitudinale necessario per un'efficace strategia di sviluppo sostenibile (i primi due sono nel seguito brevemente discussi): - l'informazione, la formazione e l'educazione ambientale a sostegno delle migliori scelte dei consumatori e per far crescere la confidenza del pubblico sui controlli industriali e la qualita' dei prodotti; - gli accordi di programma, tra la pubblica amministrazione e le imprese per la limitazione dell'impatto e del rischio delle attivita' sull'ambiente ed una buona gestione delle risorse naturali; - lo sviluppo di standard per i prodotti, anche al fine di evitare distorsioni della competitivita' di mercato; - la semplificazione delle procedure amministrative richieste all'industria per gli adempimenti di legge in materia ambientale, con precauzioni idonee ad impedire che la semplificazione costituisca occasione per superare o raggirare tali adempimenti. Informazione ambientale Vari sono gli strumenti, che in alcuni casi si trasformano in azioni, utili a fornire un'informazione regolare ed organizzata ai cittadini ed ai consumatori, tra cui: - la contabilita' ambientale, a sostegno dell'integrazione nelle decisioni degli aspetti economici ed ambientali, come la contabilita' delle risorse naturali (riserve, consumi) e le contabilita' satelliti alla contabilita' nazionale (consumo di risorse, inquinamento, interventi di protezione ambientale quantificati in termini fisici ed economici); - l'ecolabeling (etichettatura ecologica) e le guide ai consumatori (libri verdi) in materia di caratteristiche ambientali dei prodotti sul mercato; - la certificazione di processi produttivi e prodotti industriali, la promozione dell'ecoaudit (audit ecologico) e di manuali di prevenzione dell'inquinamento nelle industrie anche attraverso l'espansione, a partire dalle imprese di maggiori dimensioni, di uffici ed esperti di riferimento per i problemi ambientali. Accordi di programma con le industrie Allo strumento degli accordi di programma, in appropriate circostanze, e' assegnato un ruolo strategico nella politica dello sviluppo sostenibile. Esso offre i vantaggi di evitare azioni normative spesso complesse e di trovare l'accordo su livelli e tempi della prevenzione o della riduzione dell'inquinamento che tengano realisticamente conto degli interessi economici, dell'ambiente, della sicurezza e della salute umana. Per contro, perche' la strategia si riempia di contenuti e perche' questi accordi possano funzionare e' necessario che siano definiti meccanismi di incentivo alla partecipazione industriale e di controllo dei risultati da raggiungere per usufruire di tali incentivi. Tra le strade possibili appare preferibile quella basata sul principio della contrattazione delle riduzioni degli inquinanti e delle risorse di processo tra la pubblica amministrazione e l'industria che volontariamente decide di aderire ad un accordo di programma. Un accordo di questo genere puo' avere come base lo stato ambientale dell'impresa, auto-compilato ma certificato, e puo' riguardare la riduzione di uno o piu' inquinanti gassosi, liquidi o solidi, un minor uso di una o piu' risorse di processo, un incremento della capacita' di riciclo, ecc. L'accordo dovrebbe avere una durata di almeno 5 anni e gli impegni assunti dall'impresa dovrebbero essere periodicamente controllati sulla base degli stati ambientali da essa aggiornati. 2.4.2 Azioni Le attivita' industriali sono ripartite dall'ISTAT in classi e sottoclassi di attivita' economiche (chimica, estrazione di minerali, materie plastiche, raffinerie, costruzioni, meccanica, metallurgia, carta, legno, cuoio, vernici, produzione di energia, trasporti, ecc.) che forniscono contributi diversi, ed in vari casi specifici, all'inquinamento ambientale. Nel caso delle emissioni sono in fase avanzata le stime di molte attivita' secondo il metodo Corinair mentre non sono disponibili dati affidabili sulla disaggregazione per attivita' dei rifiuti di lavorazione ed in particolare di quelli tossici e nocivi. Queste attivita' industriali hanno caratteristiche strutturali, produttive, di distribuzione sul territorio e di presenza sul mercato altamente specifiche e tra loro differenziate. Egualmente specifiche e con impegni di risorse finanziarie e tecniche diversi sono le azioni ad esse applicabili per diminuirne l'impatto sull'ambiente. Qualunque priorita' di intervento per ridurne e prevenirne l'impatto ambientale assegnata in questo momento ad un'attivita' rispetto ad un'altra si puo' prestare ad obiezioni e critiche giustificate, almeno fino alla sua convalida da un'analisi del rischio o da altro strumento utile all'assunzione di decisioni. Nel capitolo dedicato alla riduzione dei rifiuti industriali (cui si rimanda per ulteriori dettagli) viene assegnata la priorita' negli interventi per la riduzione della quantita' e del rischio dei medesimi alle seguenti attivita' industriali ed artigianali, caratterizzate dalla prevalenza di piccole e medie imprese, spesso inserite nel tessuto urbano, i cui problemi di gestione dei rifiuti richiedono soluzioni consortili: - tessili, carta, ceramica, lavorazioni meccaniche, lavorazioni agroalimentari, concia delle pelli; - lavanderie, officine meccaniche (soprattutto di riparazione di autoveicoli). Per quanto riguarda l'industria manufatturiera la priorita' negli interventi a sostegno dello sviluppo sostenibile e' assegnata alla chimica (incluse le industrie petrolchimica e delle materie plastiche), alle cave (estrazione di materiali, da costruzione) ed all'industria della costruzione di autoveicoli per uso civile ed industriale, tra le altre scelte per la loro importanza economica ed il rilevante impatto specifico sull'ambiente. Alla base della selezione della chimica sta inoltre l'influenza che, piu' di ogni altra branca industriale, essa esercita sugli altri settori della vita economica, sia essa positiva (quando, ad esempio, contribuisce alla produttivita' agricola o allo sviluppo di nuovi materiali) o negativa (attraverso la produzione, il trasporto, l'uso e le necessita' di smaltimento di prodotti chimici e manufatti). Per le cave si aggiunge il visibile scempio da esse arrecato al territorio ed al paesaggio in tutta Italia. Per gli autoveicoli si tiene inoltre conto sia dell'emergenza comunemente riconosciuta dello smaltimento dei veicoli a fine vita sia della rilevanza ai fini dello sviluppo sostenibile del settore del trasporto in altra parte dis- cusso. In questa fase propositiva le azioni possono essere solamente in- dicate in termini di priorita' e di rilievo per lo sviluppo sostenibile ma la loro fattibilita' e l'efficacia dei loro costi richiedono, come gia' menzionato e come d'uso, di essere valutate e concretamente definite in una successiva, indispensabile fase della decisione. Ricordando che hanno una loro valenza anche come azioni alcuni tra gli strumenti gia' indicati, si propongono le seguenti azioni: - la riduzione delle emissioni industriali di inquinanti acidificanti e gas serra (in particolare di anidride solforosa, ossidi di azoto, composti organici volatili ed anidride carbonica) e di metalli pesanti (in particolare: cadmio, cromo, mercurio e rame); - la prevenzione del rischio industriale con particolare riguardo all'industria chimica e petrolchimica ed alle industrie ed attivita' commerciali che fanno uso di solventi organici; - la promozione di tecnologie e prodotti puliti e basati sull'efficacia dei costi; - la gestione delle sostanze chimiche pericolose e nocive; - la gestione dello smaltimento alla fine del ciclo di vita degli autoveicoli e di parti di essi; - la riduzione dell'impatto sull'ambiente ed il paesaggio delle attivita' di cava; - la promozione della ricerca e sviluppo su prodotti e produzioni compatibili con l'ambiente. Azioni a carattere generale La diffusione e la razionalizzazione dell'informazione, la promozione della ricerca ambientale di interesse per lo sviluppo sostenibile industriale ed il rafforzamento delle strutture ministeriali e pubbliche di indirizzo e controllo (tra esse inclusa l'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente) sono azioni indispensabili a supporto delle decisioni e delle verifiche delle misure adottate. In particolare, le azioni includono: - lo sviluppo del SINA (sistema informativo nazionale ambientale) ed il suo adeguamento alle esigenze di gestione ed aggiornamento degli inventari delle emissioni e dei rifiuti dei cicli produttivi, del controllo delle misure previste dalla normativa o concordate e del funzionamento delle reti di monitoraggio sul territorio; - lo sviluppo del Sistema Informativo Unico operante presso il Dipartimento dei Servizi Tecnici Nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri; - la definizione dei criteri e delle imprese cui debbano essere prioritariamente richieste l'estensione dell'ecoaudit e la formulazione di bilanci ambientali; - la formulazione dei criteri e degli incentivi per lo sviluppo degli accordi di programma e di altre forme di autoregolamentazione certificata. Su queste azioni e' opportuno notare che l'esigenza della certificazione richiede che venga rafforzato il contenuto del regolamento comunitario sull'eco-audit con la definizione dell'autorita' nazionale e la creazione di un apposito albo dei certificatori. E' inoltre presumibile che l'autocompilazione certificata possa dare impulso alla compilazione sistematica di veri e propri bilanci ambientali d'impresa, sebbene di essi il regolamento non ne faccia cenno. L'incentivo per l'impresa a partecipare all'accordo e' costituito dall'assegnazione di un marchio che le assicuri il vantaggio indiretto dell'immagine. Il ruolo della pubblica amministrazione e' essenziale per: - la pubblicita' preventiva da dare all'esistenza di questo marchio (l'interesse dell'impresa, e quindi il suo impegno, sara' tanto maggiore quanto piu' noto sara' questo marchio); - la pubblicita' della mancata realizzazione degli obiettivi previsti dall'accordo su base volontaria (e quindi senza sanzioni); - l'assistenza e l'informazione alle imprese che volessero aderire gli accordi (ed in particolare alle piccole e medie imprese anche mediante la semplificazione delle procedure amministrative collegate all'ecoaudit). Riduzione delle emissioni industriali La riduzione delle quote degli inquinanti atmosferici acidificanti citati e dell'anidride carbonica nonche' dei metalli pesanti negli effluenti di processo industriali sara' affrontata mediante: - l'adozione di un programma di interventi tecnologici ad hoc sui processi produttivi, la manutenzione degli impianti ed i sistemi di abbattimento delle emissioni e di trattamento degli effluenti reflui, differenziati per ciascuna delle sorgenti industriali inquinanti, ed in particolare per le industrie chimiche e della raffinazione del petrolio. Prevenzione dell'inquinamento e del rischio industriale La prevenzione del rischio per l'ambiente e per la salute derivante dalla produzione, dall'uso e dallo smaltimento di sostanze chimiche, ed in particolare di quelle tossiche e pericolose, e' oggetto di crescente impegno da parte delle istituzioni internazionali (ONU, OCSE, CEE) e delle amministrazioni di vari stati attivi in campo ambientale. Con riferimento alle strategie suggerite o gia' adottate in altri paesi si raccomandano le seguenti azioni: - estensione dell'analisi del rischio sulle produzioni industriali e dell'analisi del ciclo di vita su prodotti comparabili per identificare gli interventi prioritari di costo definito; - riduzione del rischio industriale in 18 aree individuate a rischio elevato mediante l'adozione delle tecnologie piu' sicure disponibili, la riduzione degli stoccaggi e della movimentazione di prodotti pericolosi, il rafforzamento delle infrastrutture per la sicurezza delle popolazioni, la delocalizzazione di impianti e la bonifica dei siti contaminati; - riduzione del rischio per i suoli e le acque sotterranee dei serbatoi interrati di carburanti (benzina, gasolio), con particolare riferimento alle stazioni di servizio, con bonifica dei suoli contaminati in seguito a perdite, sviluppo di tecniche di rilevamento delle perdite e definizione di una legge quadro che regoli l'impatto ambientale di questi serbatoi e definisca le specifiche per una corretta costruzione e gestione dei nuovi serbatoi; - l'inclusione dell'impatto ambientale nella progettazione di produzioni e di prodotti industriali; - l'adozione di un sistema di verifiche correlato alle misure programmate per prevenire e controllare l'inquinamento. Per quanto riguarda infine i clorofluorocarburi, nell'ambito dell'adesione dell'Italia agli impegni derivanti dal protocollo di Montreal e dalle integrazioni successive, tali sostanze dovranno essere sostituite con prodotti alternativi (secondo i regolamenti comunitari e la normativa nazionale proposta ed attualmente all'esame del Parlamento) e ne dovra' essere evitata la dispersione nell'atmosfera. In particolare, viene proposta: - la regolamentazione della raccolta dei prodotti dismessi ai fini del recupero dei clorofluorocarburi per la distruzione o il riciclaggio. Tecnologie e prodotti puliti Per quanto riguarda la promozione di tecnologie produttive a minore impatto ambientale e la diffusione sul mercato di beni piu' compatibili con l'ambiente durante l'intero ciclo di vita, si propongono, a completamento delle azioni proposte per la prevenzione del rischio, le seguenti azioni prioritarie: - il rafforzamento e l'accelerazione delle iniziative, da tempo avviate in sede comunitaria, riguardanti l'ecolabeling su manufatti e prodotti di grande consumo quali gli elettrodomestici, gli imballaggi, le vernici, gli isolanti, ecc. - il completamento degli standard di qualita' per le sostanze chimiche nelle componenti ambientali (aria, acqua, suolo) e nei beni di consumo (alimenti, prodotti per la casa, ecc.); - l'informazione al pubblico mediante centri informativi e banche dati, "libri verdi" e rapporti per informare i consumatori su specifici temi, ed altre forme espressive consentite dai mezzi di comunicazione di massa; - il sostegno finanziario all'innovazione tecnologica per processi e per prodotti piu' puliti (secondo la delibera CIPI del 15 febbraio 1990 relativa al Fondo Speciale Rotativo per l'Innovazione Tecnologica previsto dalla legge n. 46/1982); - il sostegno alla legge n. 317/1991 sullo sviluppo e l'innovazione nelle piccole e medie imprese per gli aspetti connessi alla promozione di cicli produttivi e prodotti piu' puliti. Gestione delle sostanze chimiche pericolose Alla pubblica amministrazione e' richiesto di estendere la collaborazione sul piano internazionale (ed in particolare al programma comunitario per lo sviluppo sostenibile del 1992 che prevede la valutazione completa del rischio di 200 composti chimici prioritari e programmi di riduzione del rischio per 50 composti entro il 2000) e di sviluppare le azioni raccomandate in sede UNCED per la gestione delle sostanze chimiche tossiche, ed in particolare: - la valutazione del rischio di sostanze chimiche di rilievo globale; - l'adozione di sistemi nazionali, tra di loro armonizzabili e compatibili, di classificazione del rischio e di etichettatura; - la realizzazione di sistemi nazionali di gestione ambientalmente sostenibile delle sostanze chimiche. Recupero e riciclo di parti di autoveicoli a fine vita La diffusione e l'importanza economica e sociale dell'auto, per usi civili e commerciali, conferisce a questo settore una rilevante valenza dimostrativa in termini di collaborazione tra pubblica amministrazione ed industria. Cio' e' stato, ad esempio, recepito concretamente nel protocollo di accordo del giugno 1993 tra il Ministero dell'Ambiente e la FIAT su temi vari di interesse per la riduzione delle emissioni da trasporto e dei rifiuti di lavorazione, il miglioramento della mobilita' urbana ed il recupero e la rottamazione degli autoveicoli a fine vita. Quest'ultimo argomento e' di particolare importanza ove si considerino le sue dimensioni, la carenza di strutture efficienti di ritiro e l'impatto sul territorio in termine di inquinamento dei suoli e del paesaggio. L'iniziativa sperimentale FARE della FIAT, il cui completamento e' previsto per la fine dell'anno, puo' essere assunta come riferimento per la realizzazione di un sistema nazionale di centri di raccolta per il recupero di materiali ed energia. Cio' comporta una revisione del processo di ritiro e demolizione degli autoveicoli a fine vita attualmente in uso, basata sulle seguenti azioni principali: - istituzione di centri autorizzati alla raccolta e demolizione degli autoveicoli in condizioni di sicurezza per l'ambiente, secondo norme tecniche definite per legge; - restrizione del commercio di parti recuperate solo ai componenti che non hanno attinenza con la sicurezza dell'auto; - valorizzazione dei materiali e componenti recuperabili ai fini del riciclo e della produzione di energia di processo, ad esempio in acciaierie e cementifici. Attivita' estrattive di cava L'unica normativa operante in materia risale addirittura al 1927 e risente del clima dell'epoca di incentivazione dei materiali autarchici privilegiando, con la legittimazione del proprietario ad intraprendere attivita' di scavo con il solo onere della denuncia preventiva al comune competente, la produzione rispetto alla tutela del territorio. I tentativi di riforma a partire dagli anni Sessanta si sono arenati sulle questioni essenziali del regime di appartenenza del bene cava e del rapporto tra pianificazione del territorio ed attivita' estrattiva. Il DPR n. 2 del gennaio 1972, ha trasferito le funzioni amministrative sulle cave alle Regioni senza peraltro individuare strumenti specifici di programmazione (come, ad esempio, nel caso dei trasporti per cui esiste un piano nazionale) per cui le Regioni hanno cominciato a legiferare sulle cave solamente a partire dagli anni Ottanta con orientamenti diversi. Il controllo delle attivita' estrattive e', come nel passato, in pratica inesistente e persistono i gravi danni all'ambiente ed al paesaggio che il Ministero dell'Ambiente aveva invano tentato di contrastare fino dal 1987 con uno schema di disegno di legge su cui, come in altre occasioni, non e' stato pero' possibile coagulare il consenso necessario. Si impone dunque un'azione di regolamentazione delle attivita' di cava unitamente al recupero delle aree esaurite ed alla promozione di tecniche piu' compatibili di lavorazione, anche con macchine robotizzate, dei materiali di uso corrente, pregiati (lapidei e da taglio) e meno pregiati (calcari, ghiaie, sabbie, ecc.), e di quelli per cui e' prevedibile a breve termine una crescita della domanda (come, ad esempio, feldspati e quarzi per le ceramiche). Questa azione si deve concretizzare in una legge quadro sulle cave contenente: - direttive per i piani regionali sulle cave e le massime quantita' estraibili con misure per promuovere il recupero ed il riuso dei residui di lavorazione, ora considerati come scarti da inviare a discarica, in parti di opere civili sottoposte a podeste sollecitazioni (come riempimenti, sottofondi, fondazioni stradali, ecc.); - promozione di programmi di risanamento e recupero delle cave dismesse; - creazione di un albo di figure professionali qualificate per la redazione dei piani di coltivazione e risanamento dei giacimenti di cava e per la direzione dei lavori di estrazione. Ricerca e sviluppo Le attivita' di ricerca e sviluppo debbono essere prioritariamente rivolte ad assistere l'industria nella transizione verso produzioni e prodotti piu' puliti con azioni volte ad esaminare e valutare come ed a quale costo sia possibile: - sostituire le produzioni correnti con le tecnologie pulite disponibili; - ridurre l'impatto sull'ambiente di prodotti ed imballaggi nella fase della progettazione o mediante l'uso di materiali alternativi; - ridurre le emissioni, gli effluenti ed i rifiuti di processo nei cicli produttivi; - usare efficacemente le cosiddette tecnologie morbide per il monitoraggio e la gestione dell'ambiente e per il contenimento dell'impatto ambientale delle industrie mature. Ozono: Scadenze internazionali | | | Regolamenti CEE - Riduzione della produzione del consumo delle | | sostanze che impoveriscono l'ozono stratosferico | | | | | | | | Protocollo Montreal 1987 | | | Emendamenti Copenhagen 1992) | | | | | | | | | | | Stabilizz.| Riduzione | Bando | | | | | | | | | | | | 1-Clorofluorocarburi (CFC) | 1.7.91 | | | | | | 1.1.94: 75% | | | (anno di riferimento: 1986) | | 1.1.96:100% | | | | | | | | | | | | | 2-Altri CFC completamente | | 1.1.93: 20% | | | alogenati | | 1.1.94: 75% | | | (anno di riferimento: 1989) | | 1.1.95:100% | | | | | | | | | | | | | 3-Halons | 1.1.92 | | | | (anno di riferimento: 1956) | | 1.1.94:100% | | | | | | | | | | | | | 4-Tetracloruro di carbonio | | 1.1.95: 85% | | | (anno di riferimento: 1989) | | 1.1.95:100% | | | | | | | | | | | | | 5-1,1,1-Tricloroetano | 1.1.93 | | | | | | 1.1.94: 50% | | | | | 1.1.96:100% | | | | | | | | | | | | | 6-Bromuro di metile | 1.1.95 | | | | (anno di riferimento: 1991) | | | | | | | | | | | | | | | 7-Idrobromofluorocarburi | | | 1.1.96 | | (HBFC) | | | | | | | | | | | | | | | 8-Idroclorofluorocarburi | 1.1.95(a) | | | | (HCFC) | | 1.1.2004: 35% | | | | | 1.1.2010: 65% | | | | | 1.1.2015: 90% | | | | | 1.1.2020: 99% | | | | | 1.1.2030:100% | | | | | | | | | |Note (a) Consumo (CAP): 3,1% del consumo 1989 di CFC e HCFC | |(annex C). (b) Consumo (CAP): 2,6% del consumo 1989 di CFC e HCFC | |(annex C). | | | | | | | | Regolamento CEE | | | 3952/92 | | | | | | | | | | | Stabilizz.| Riduzione | Bando | | | | | | | | | | | | 1-Clorofluorocarburi (CFC) | | | | | | | 1.1.94: 85% | | | (anno di riferimento: 1986) | | 1.1.95:100% | | | | | | | | | | | | | 2-Altri CFC completamente | | | | | alogenati | | 1.1.94: 85% | | | (anno di riferimento: 1989) | | 1.1.95:100% | | | | | | | | | | | | | 3-Halons | | | | | (anno di riferimento: 1986) | | 1.1.94:100% | | | | | | | | | | | | | 4-Tetracloruro di carbonio | | 1.1.94: 85% | | | (anno di riferimento: 1989) | | 1.1.95:100% | | | | | | | | | | | | | 5-1,1,1-Tricloroetano | | | | | | | 1.1.94: 50% | | | | | 1.1.96:100% | | | | | | | | | | | | | 6-Bromuro di metile | | | | | (anno di riferimento: 1991) | | | | | | | | | | | | | | | 7-Idrobromofluorocarburi | | | | | (HBFC) | | | | | | | | | | | | | | | 8-Idroclorofluorocarburi | | | | | (HCFC) | | | | | | | | | | | | | | | | | | | Proposta di Regolamento CEE | | | COM/202/93 | | | | | | | | | | | Stabilizz.| Riduzione | Bando | | | | | | | | | | | | 1-Clorofluorocarburi (CFC) | | | | | | | 1.1.94: 85% | | | (anno di riferimento: 1986) | | 1.1.95:100% | | | | | | | | | | | | | 2-Altri CFC completamente | | | | | alogenati | | 1.1.94: 85% | | | (anno di riferimento: 1989) | | 1.1.95:100% | | | | | | | | | | | | | 3-Halons | | | | | (anno di riferimento: 1986) | | 1.1.94:100% | | | | | | | | | | | | | 4-Tetracloruro di carbonio | | 1.1.94: 85% | | | (anno di riferimento: 1989) | | 1.1.95:100% | | | | | | | | | | | | | 5-1,1,1-Tricloroetano | | | | | | | 1.1.94: 50% | | | | | 1.1.96:100% | | | | | | | | | | | | | 6-Bromuro di metile | 1.1.95 | | | | (anno di riferimento: 1991) | | 1.1.98: 25% | | | | | | | | | | | | | 7-Idrobromofluorocarburi | | | 1.1.96 | | (HBFC) | | | | | | | | | | | | | | | 8-Idroclorofluorocarburi | 1.1.95(b) | | | | (HCFC) | | 1.1.2004: 35% | | | | | 1.1.2007: 60% | | | | | 1.1.2010: 80% | | | | | 1.1.2013: 95% | | | | | 1.1.2015:100% | | | | | | | | | |Note (a) Consumo (CAP): 3,1% del consumo 1989 di CFC e HCFC | |(annex C). (b) Consumo (CAP): 2,6% del consumo 1989 di CFC e HCFC | |(annex C). | | | ----> Vedere tabelle da pag. 56 a pag. 57 del S.O. <---- 3. AGRICOLTURA 3.1. Quadro di riferimento Considerando la realta' italiana si puo' osservare che le superfici piu' adatte all'attivita' agricola, in termini principalmente di fertilita' e morfologia dei suoli, sono concentrate in alcune aree relativamente limitate (pianura Padana, pianure costiere e alluvionali, aree pedecollinari e collinari), del territorio nazionale. La relativa scarsita' di superfici atte alla coltivazione, in condizioni di reddito adeguato, ha favorito pertanto un'agricoltura a forte connotazione di "intensivita'" con un impatto ambientale tutt'altro che trascurabile, ma, in ogni caso, non sempre riconducibile a quello delle agricolture del centro e nord dell'Europa. PIANO NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN ATTUAZIONE DELL'AGENDA 21 Analoghe considerazioni possono essere svolte per le attivita' zootecniche che hanno assunto forme di elevata intensita' in alcune aree della pianura Padana, causando di conseguenza una delle principali emergenze ambientali nazionali: si stima che in tali aree sia concentrato circa il 50% della produzione zootecnica nazionale. Nel settore zootecnico, gia' da alcuni anni, le norme finalizzate alla tutela ambientale sono diventate, di fatto, il principale fattore limitante per l'espandersi di tale attivita': la legge 319/76 (legge Merli) consente un carico di bestiame pari a quattro tonnellate di peso vivo per ettaro su tutto il territorio nazionale, ma, nelle regioni padane, e' in atto una politica piu' restrittiva che, in taluni casi, ha piu' che dimezzato tale valore. Considerando il comparto suinicolo, che risulta il piu' problematico dal punto di vista ambientale, si evidenzia come ad una diminuzione del patrimonio suino a livello nazionale pari al 7,5%, tra il 1982 e il 1990, ha fatto riscontro nelle regioni padane un aumento della concentrazione dei capi suini passati dal 70,8% al 72,9% del totale nazionale. Peraltro, tale tendenza all'intensivizzazione e' stata esaltata, negli ultimi due decenni, dalla Politica Agricola Comunitaria, politica che solo ultimamente e' stata oggetto di un radicale ripensamento tendente a riproiettare in una corretta prospettiva la problematica del rapporto fra agricoltura e ambiente, restituendo ad essa il ruolo che da sempre ha svolto nel costituire il presidio per eccellenza del territorio, a difesa dal degrado derivante dall'erosione dei suoli abbandonati. E' appena il caso di ricordare l'alto valore culturale che il paesaggio agrario italiano ha generalmente assunto nel passato, sviluppando un uso del territorio in armonia non solo con l'ambiente (alla tipica etereogenita' del paesaggio agrario italiano corrisponde una diversita' biologica che si puo' leggere nella presenza di macchie, siepi, alberature, prati, ecc.), ma anche con le altre attivita' economiche. Le scelte da compiere per migliorare la "sostenibilita'" ambientale dell'agricoltura devono necessariamente avere come effetti a breve e a lungo termine, rispettivamente, la riduzione del carico inquinante derivante dall'esercizio delle attivita' produttive e l'adozione definitiva di pratiche agricole sostenibili, tra le quali un adeguato reimpiego, ove ambientalmente corretto, di residui derivanti dall'attivita' agricola, senza peraltro provocare la riduzione delle produzioni agricole non eccedentarie. A livello nazionale il quadro di riferimento entro il quale attuare interventi per il perseguimento di un'agricoltura sostenibile non puo' che essere, per la natura dei vincoli e delle opportunita', quello definito a livello comunitario. La CE ha individuato, nell'ambito del "Quinto programma di azione comunitario per la tutela dell'ambiente", l'agricoltura come uno dei cinque settori economici su cui intervenire. In tale programma viene proposta un'agricoltura sostenibile, da attuarsi con interventi per l'estensificazione delle produzioni (minor produzione per unita' di superficie), la riduzione dell'impiego di mezzi chimici di sintesi (in primo luogo pesticidi e fertilizzanti), l'incentivazione dell'agricoltura biologica, l'informazione dei consumatori, il ricorso ad incentivi economici e fiscali. Particolare rilievo viene dato, inoltre, alla necessita' di aumentare le superfici forestali, nonche' di incentivare lo sviluppo rurale mediante attivita' di valorizzazione del territorio, quali l'agriturismo. Il quadro di interventi gia' predisposti nell'ambito della nuova Politica Agricola Comunitaria (PAC) e' sostanzialmente mirato allo sviluppo di un'agricoltura compatibile con l'ambiente, nel tentativo di superare i problemi determinati, in parte, dalla stessa politica comune nel corso degli ultimi due decenni: eccedenze produttive, alti costi di stoccaggio delle stesse, prezzi non competitivi, elevato impatto ambientale delle tecniche di produzione. La riforma della PAC, contenuta nel cosiddetto Piano McSharry, ha posto al settore agricolo una serie di vincoli/obiettivi che possono essere cosi' schematizzati: - contenimento delle produzioni e abbattimento delle misure di sostegno dei prezzi; - allineamento dei prezzi dei prodotti agricoli europei a quelli mondiali; - estensivizzazione della produzione e degli allevamenti (compresa la messa a riposo dei terreni "set aside"); - sviluppo di un'agricoltura compatibile con l'ambiente; - salvaguardia e ripristino dell'ambiente naturale; - conversione dei terreni agricoli alla forestazione; - ritiro della fascia imprenditoriale piu' anziana. In questo quadro sono state messe in atto alcune norme, note come misure di accompagnamento della riforma della PAC, che appaiono particolarmente significative. Ci si riferisce, in particolare, al Regolamento CE n. 2078/92, che istituisce un regime di aiuti finanziari per favorire l'adozione di metodi di produzione agricola compatibili alle esigenze di protezione dell'ambiente, nonche' al Regolamento CE n. 2080/92, che istituisce un regime di aiuti per la conversione dei terreni agricoli alla forestazione. Pur non essendo compreso all'interno di tali misure di accompagnamento, merita, infine, un richiamo il Regolamento CE n. 2092/91, relativo al metodo di produzione proprio dell'agricoltura biologica. 3.2 Agricoltura sostenibile e Agenda 21 Il capitolo 14 dell'Agenda 21, concernente la promozione di un'agricoltura sostenibile e lo sviluppo rurale, parte dal dato che nel 2025 l'83% della popolazione mondiale, stimata in 8,5 miliardi, vivra' in Paesi in via di sviluppo e considera che, pertanto, l'agricoltura dovra' migliorare la produzione in suoli gia' sfruttati ed espandersi in suoli poco adatti alla coltivazione. In accordo con la definizione FAO (1992), per agricoltura sostenibile dovrebbe intendersi un'attivita' produttiva tesa alla conservazione del suolo, delle acque, del patrimonio genetico delle piante e degli animali, tecnicamente appropriata, economicamente valida e socialmente accettabile. Altre definizioni enfatizzano la necessita' di minimizzare la produzione di rifiuti, di premunirsi contro i rischi legati ad eventi avversi, di garantire elevati standard qualitativi soprattutto per quanto concerne il valore igienico e nutrizionale degli alimenti, di conservare il paesaggio agrario salvaguardando la struttura economico-culturale delle comunita' rurali. Puo' essere utile, in questo contesto, richiamare il concetto, ormai noto nell'ambito delle agricolture europee, di "produzione integrata": per produzione integrata si deve intendere una produzione economica di elevata qualita', ottenuta attribuendo priorita' alle pratiche agronomiche ecologicamente piu' sicure, minimizzando gli effetti collaterali indesiderabili derivanti dall'uso dei prodotti chimici di sintesi. Il processo produttivo deve saper coniugare l'obiettivo della qualita' del prodotto con l'esigenza della salvaguardia ambientale, attraverso l'integrazione di tutte le tecniche colturali disponibili (scelte varietali, modalita' di semina o impianto, difesa fitosanitaria, fertilizzazione, irrigazione, diserbo, lavorazioni del suolo). Secondo quanto evidenziato nel capitolo 14 dell'Agenda 21, l'obiettivo dello sviluppo sostenibile dovra' essere perseguito tramite l'attuazione di una molteplicita' di azioni. In un contesto quale quello nazionale, caratterizzato da un elevato grado di sviluppo tecnologico e produttivo, si ritiene che tra le predette azioni debba essere focalizzata l'attenzione su: a) definizione e implementazione delle politiche agricole maggiormente orientate alla sicurezza degli alimenti e allo sviluppo ambientalmente sostenibile e loro piena integrazione con i diversi settori di programmazione socio-economica; b) coinvolgimento delle parti sociali nella programmazione degli interventi e nell'indirizzo di risorse verso l'agricoltura e lo sviluppo rurale sostenibile; c) razionale programmazione dell'utilizzo delle risorse del territorio, informazione e formazione dei produttori agricoli; d) conservazione e risanamento del territorio, con particolare riferimento alla protezione delle risorse idriche dall'inquinamento da nitrati ed altri inquinanti di origine agricola; e) attuazione di programmi di difesa fitosanitaria integrata. 3.3 Obiettivi nazionali per l'adeguamento all'agenda 21 Come gia' osservato in precedenza, un piano di intervento nazionale per la promozione di un'agricoltura sostenibile coerente con gli obiettivi indicati dall'Agenda 21 puo' essere collocato nel quadro di azioni di carattere agro-ambientale previste dalla nuova Politica Agricola Comunitaria. La gestione di tali azioni e l'individuazione degli obiettivi da perseguire a livello nazionale, pur considerando la necessita' di tutelare il reddito dei produttori agricoli in un mercato sempre piu' competitivo, deve essere attuata attraverso una corretta e razionale programmazione della politica agricola nazionale, che veda la tutela dei profili ambientali assumere un ruolo centrale nella definizione delle scelte e delle strategie. La centralita' della questione ambientale dovra' essere assicurata attraverso il concorso di tutti i settori della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento al Ministero per il coordinamento delle politiche agricole alimentari e forestali, alle Regioni e alle Autorita' di bacino. In particolare: A. A livello nazionale, nel contesto delle azioni previste dai Regolamenti CE numeri 2078/92 e 2080/92, che istituiscono, come detto, rispettivamente regimi di aiuti per l'adozione di pratiche agricole eco-compatibili e per la conversione di terreni agricoli alla forestazione, possono essere individuati i seguenti obiettivi prioritari: 1) riduzione dell'apporto al suolo di azoto di origine zootecnica e/o di sintesi (fertilizzanti) e di altri potenziali inquinanti; 2) riduzione e razionalizzazione dell'impiego di pesticidi; 3) adozione delle tecniche colturali proprie dell'agricoltura biologica, conformemente al Regolamento CE n. 2092/91; 4) ritiro dei seminativi dalla produzione e destinazione dei terreni agricoli, nonche' di terreni marginali, alla forestazione; 5) riduzione della concentrazione del patrimonio zootecnico per unita' di superficie e incentivazione dell'allevamento di specie animali locali minacciate di estinzione; 6) adozione di altre pratiche di produzione compatibili con l'esigenza della protezione ambientale, quali la razionalizzazione dell'utilizzo di acqua a scopo irriguo, anche mediante il ricorso a fonti non convenzionali, la conservazione di elementi del paesaggio (siepi, boschi, singolarita' biologiche ed altro), l'effettuazione di operazioni colturali per limitare l'erosione dei suoli (ad es. coltivazione secondo le curve di livello nei suoli in pendenza), l'esclusione delle opere di drenaggio nelle zone umide; 7) destinazione di nuove aree alla creazione di parchi naturali e sviluppo di attivita' agrituristiche. B. Nell'ambito di alcuni temi specifici, nonche' di alcuni provvedimenti all'esame del Parlamento, possono essere individuati alcuni sotto-obiettivi che integrano il quadro precedentemente delineato: 1) utilizzo agronomico di alcune categorie di rifiuti (fanghi di depurazione di reflui civili o industriali, compost da rifiuti solidi urbani, rifiuti industriali contenenti azoto, fosforo ed altri elementi utili per la fertilita' dei suoli) attraverso una caratterizzazione di tali prodotti (livello massimo ammissibile di inquinanti) ed una caratterizzazione dei suoli recettori (in termini di vulnerabilita'); 2) contenimento degli sprechi e risparmio nell'uso delle risorse idriche disponibili; 3) contenimento dei fenomeni di erosione diffusa dei suoli. 4) contenimento del consumo dei suoli vocati all'agricoltura dovuto alla loro destinazione non agricola, al fine anche di evitare pericoli di degrado del territorio. C. Nel settore zootecnico l'obiettivo da perseguire con azioni sia a breve che a lungo termine e' l'ottimizzazione del rapporto tra capi allevati e superficie per lo smaltimento dei liquami, nonche', l'adozione di tecniche di trattamento, compatibili con l'ambiente, di reflui zootecnici. Questo obiettivo e' finalizzato alla tutela delle acque dall'inquinamento, in particolare da nitrati. 3.3.1 "Rafforzamenti" o correzioni di rotta Considerando che la politica agricola nazionale, al pari delle politiche agricole degli altri Stati CE, ha subito e subira' una significativa "correzione di rotta" per effetto della gia' citata riforma della Politica Agricola Comunitaria, possono essere ipotizzati "rafforzamenti" di orientamenti gia' in atto, alcuni dei quali nell'ambito degli atti di recepimento di alcune direttive comunitarie. A. La direttiva n. 91/414/CE, relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, introduce mutamenti significativi per quanto concerne le procedure e i criteri di autorizzazione dei pesticidi: la valutazione delle loro caratteristiche ambientali ed ecotossicologiche consentira' di autorizzare prodotti che non comportino danni inaccettabili per l'ambiente, con riferimento particolare alla contaminazione delle acque e all'impatto sulle "spe- cie non bersaglio". Con il recepimento nell'ordinamento legislativo nazionale della direttiva 91/414/CE, occorre introdurre il criterio della classificazione dei fitofarmaci sulla base della valutazione del rischio potenziale per l'ambiente. Attualmente la classificazione di questi prodotti e', infatti, riferita ai soli effetti tossici per l'uomo. In tal modo potrebbero essere esclusi dall'impiego, o limitati, i prodotti classificati come potenziali contaminanti e/o ecotossici nelle aree ritenute vulnerabili sia dal punto di vista delle risorse (in particolare idriche), sia dal punto di vista ecologico (esposizione di "specie non bersaglio" ed eventuale presenza di singolarita' biologiche). Una simile classificazione consentirebbe, peraltro, di garantire in via preventiva una maggiore protezione delle risorse idriche, con particolare riferimento alle aree di salvaguardia definite dalla direttiva 80/778/CE concernente la qualita' delle acque destinate al consumo umano. L'acquisizione di taluni dati cartografici di base per una classificazione della vulnerabilita' del territorio (caratteristiche climatiche, pedologiche, idrogeologiche ed ecologiche) costituisce ovviamente il presupposto indispensabile per effettuare la conseguente gestione degli interventi di regolamentazione dell'impiego dei fitofarmaci, nonche' dei fertilizzanti e delle deiezioni zootecniche. A tale scopo si rende necessaria la programmazione e la realizzazione della carta pedologica dell'Italia che, con metodologia e scale adeguata, caratterizzando e classificando i suoli, sia lo strumento di base per la realizzazione di ulteriori cartografie tematiche. B. La direttiva CE 91/676, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole, prevede che gli Stati membri predispongano Codici di buona pratica agricola, da applicarsi a cura degli agricoltori sull'intero territorio nazionale. Il Codice di buona pratica agricola rappresenta, pertanto, uno strumento di indirizzo e di sensibilizzazione degli agricoltori ad una piu' attenta gestione del bilancio dell'azoto nell'ambito della propria attivita' agricola. Si evidenzia, a questo proposito, che il carattere discrezionale del Codice, a differenza degli obblighi che verranno istituiti nelle aree designate vulnerabili ai sensi della stessa direttiva, lascia inalterato il sistema di aiuti e/o disincentivi relativi all'esercizio dell'attivita' agricola. Con il carattere di generalita' che lo contraddistingue, il Codice di buona pratica agricola puo' assumere il significato di standard di base relativo all'utilizzo di taluni mezzi tecnici e sottoprodotti (in particolare fertilizzanti e deiezioni zootecniche), al di sotto del quale i produttori non dovrebbero scendere, in quanto tale stand- ard, senza implicare alcuna riduzione delle rese produttive, ha come effetto quello di una maggiore protezione dell'ambiente. C. Per quanto riguarda le risorse idriche a scopo irriguo, accanto alla necessita' di adottare una politica volta al miglioramento dell'efficienza degli usi di tali risorse, favorendo la ristrutturazione degli impianti di irrigazione ed il contenimento degli sprechi delle acque irrigue, occorre promuovere lo sviluppo di nuove risorse idriche "non convenzionali". Le acque reflue depurate appaioni, attualmente, la fonte non convenzionale piu' promettente per il soddisfacimento dei crescenti fabbisogni irrigui. I vantaggi connessi al riuso di acque reflue depurate possono essere considerati sia sotto il profilo del risparmio di risorse idriche, con la conseguentemente riduzione dei volumi prelevati dai corpi idrici superficiali e sotterranei, sia sotto il profilo della diminuzione dei carichi inquinanti sversati nei corsi d'acqua. Le remore all'impiego di tale fonte non-convenzionale sono state determinate per lo piu' dalla totale mancanza di una normativa sugli standard qualitativi, tecnologici e di consumo per le acque reflue depurate in funzione della destinazione, delle modalita' di impiego e dei criteri di gestione e tariffazione dei servizi di distribuzione. Si sottolinea che l'attuale situazione di carenza normativa in materia di qualita' delle acque a scopo irriguo favorisce, di fatto, l'impiego di acque prelevate da corsi d'acqua che risultano molto spesso inquinate e, pertanto, di qualita' inaccettabile e comunque inferiore a quella delle acque reflue adeguatamente trattate. D. Per quanto concerne il settore zootecnico ed, in particolare, il comparto suinicolo, si segnala che in alcune regioni padane e' in atto la tendenza a rivedere le specifiche normative regionali sullo spandimento dei liquami, attraverso l'introduzione dell'obbligo da parte degli allevatori di subordinarne l'impiego sui suoli agricoli alla predisposizione di appositi piani di spandimento, tenendo conto delle caratteristiche dei liquami, dell'attitudine delle colture a riceverli nonche' del grado di vulnerabilita' dei suoli stessi. Il carico zootecnico massimo ammissibile, pari a quattro tonnellate di peso vivo per ettaro, previsto dalla normativa nazionale vigente, viene pertanto ridotto in funzione della situazione agronomica e pedologica fino a vietare lo smaltimento dei liquami in aree vulnerabili. 3.4 Azioni e strumenti Analizzando le opportunita' esistenti, entro le quali sviluppare una strategia di intervento, si osserva in primo luogo la necessita' di sviluppare accordi di programma fra le Amministrazioni deputate alle politiche ambientali e agricole, in particolare fra Ministero dell'ambiente e Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali. Si ritiene, in primo luogo, necessario un accordo di programma sulle modalita' di recepimento della nuova Politica Agricola Comunitaria, che ponga al centro delle politiche agricole nazionali la questione ambientale. Si evidenzia, altresi', la necessita' di avviare simili accordi con le Autorita' di bacino e le Regioni, al fine di individuare e coordinare gli strumenti istituzionali, organizzativi e finanziari per attuare le politiche agro-ambientali nazionali. Allo scopo di favorire lo sviluppo di un'agricoltura sostenibile nel contesto nazionale, ci si avvarra' di una serie di strumenti che possono sinteticamente essere classificati in tre gruppi principali: regolamentazioni dirette, strumenti economici e programmi di ricerca e informazione. A. La regolamentazione diretta attualmente rappresenta lo strumento maggiormente adottato. Essa incude misure relative a: - limitazioni d'uso dei pesticidi e dei fertilizzanti; - limitazioni della densita' degli allevamenti; - introduzione di disciplinari di produzione; - introduzione di codici di buona pratica agricola (comprensivi dei piani di concimazione). B. Gli strumenti economici per ridurre le attivita' inquinanti e/o fornire servizi legati all'ambiente possono essere cosi' riassunti: - strumenti fiscali; - incentivi e sussidi di compensazione finalizzati ad una maggiore salvaguardia ambientale; - disincentivi per l'utilizzo di tecniche di produzione non conformi a standart di base; - agevolazioni fiscali per lo sviluppo di servizi e attivita' per la tutela dell'ambiente. C. I programmi di ricerca e informazione costituiscono il supporto necessario per valutare in via preventiva la ricaduta socio-economica e ambientale degli interventi attuati per il raggiungimento dell'obiettivo della "sostenibilita'", nonche' per fornire l'input tecnologico in termini di innovazione e assistenza tecnica alle imprese. La realizzazione di attivita' di formazione dei produttori agricoli costituisce, infine, il corollario indispensabile per garantire il trasferimento e l'utilizzo tecnologico delle innovazioni. 3.4.1 Regolamentazione diretta A. Le limitazioni d'uso dei pesticidi devono essere attuate, facendo riferimento al quadro definito dalla citata direttiva 91/414/CE, secondo una duplice attivita' di regolamentazione. A livello nazionale e in sede di autorizzazione, la classificazione e l'etichettatura dei prodotti, in base ai prevedibili effetti sull'ambiente, dovra' consentire di distinguere i prodotti potenzialmente contaminanti da quelli caratterizzati da un minore impatto sulle risorse naturali e sulle "specie non bersaglio". A livello regionale e sub-regionale, sulla base di criteri comuni, la classificazione del territorio secondo diversi gradi di vulnerabilita' specifica (vulnerabilita' degli acquiferi, vulnerabilita' degli ecosistemi) dovra' consentire di attuare interventi mirati per limitare, o escludere, l'impiego di taluni prodotti in aree definite vulnerabili. B. Le limitazioni d'uso dei fertilizzanti di sintesi e di origine zootecnica dovranno essere predisposte in relazione alle caratteristiche specifiche delle aree designate vulnerabili ai sensi della direttiva 91/676/CE, concernente la tutela delle acque dall'inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole. Tale designazione richiede, come per il punto precedente, una classificazione del territorio che tenga conto dei caratteri climatici, pedologici ed idrogeologici delle aree d'impiego. La Comunita' europea ha individuato molto chiaramente, nella citata direttiva 91/676/CE, il principale strumento per ricomporre il rapporto agricoltura-ambiente, prevedendo la definizione di programmi di azione da attuarsi nelle aree vulnerabili e di codici di buona pratica agricola, di carattere volontario, da diffondere sull'intero territorio nazionale. Nel campo delle azioni da intraprendere nelle aree vulnerabili, molto chiare sono le limitazioni imposte all'attivita' zootecnica: il quantitativo di liquami che sara' consentito spandere corrisponde, in termini di azoto, a 170 Kg/ha, il che equivale ad una riduzione sostanziale del peso vivo per ettaro. Come gia' osservato nel paragrafo 3.2.1, la tendenza a ridurre drasticamente il carico zootecnico consentito e' gia' in atto presso alcune regioni e questo e' senz'altro un segnale positivo; esiste tuttavia la necessita' di coordinare l'applicazione di queste norme, ivi compresa la delimitazione delle aree vulnerabili che non devono presentare soluzioni di continuita' dettate dai confini amministrativi. In questo senso assume particolare importanza il ruolo di coordinamento che devono assumere le Autorita' di bacino di interesse nazionale o regionale ed, in particolare, l'Autorita' di Bacino del fiume Po. C. Molti degli impegni che verranno assunti dai produttori agricoli a fronte dei sostegni finanziari previsti dal Regolamento CE 2078/92 per l'adozione di pratiche agricole eco-compatibili, dovranno essere preceduti da un'attenta analisi ambientale, nonche' tecnico- economica, di elevata complessita'. Di fondamentale importanza e', a tale riguardo, la predisposizione di programmi zonali e, ove possibile, di disciplinari di produzione relativi alle tecniche agro-ambientali oggetto di aiuto comunitario. Il rispetto delle tecniche delineate dal citato regolamento 2078/92 comporta, di regola, a differenza di quelle previste dai codici di buona pratica agricola, riduzioni quantitative della produzione, per le quali sono previsti specifici aiuti compensativi. Nel quadro degli interventi per regolamentare le tecniche produttive si colloca, in modo senza dubbio innovativo, il ruolo della Pubblica Amministrazione, che, oltre a svolgere compiti di programmazione e controllo, deve orientare i produttori verso le tecniche piu' compatibili con le specifiche caratteristiche ambientali ed agronomiche del territorio. Da un lato l'Ente pubblico dovra' fornire un supporto tecnico- scientifico capace di sostenere le scelte imprenditoriali mentre sara' compito delle Associazioni Produttori esplicare un'efficace attivita' di autocontrollo sulle tecniche produttive adottate. L'attivita' di autocontrollo potra' essere assicurata solo se un'adeguata rete di assistenza tecnica ed economica consentira' al produttore agricolo di governare i processi produttivi nel rispetto dell'ambiente e salvaguardando il proprio reddito. A questo scopo si ritiene necessario potenziare la formazione di adeguate figure professionali (tecnici agro-ambientali) che posseggano le competenze specialistiche e gestionali proprie della "produzione integrata". Nel quadro dell'attuazione a livello nazionale del Regolamento CE/92/2078 si inserisce l'accordo di programma stipulato nel febbraio 1993 tra il Ministero dell'ambiente e l'allora Ministero dell'agricoltura e delle foreste per il cofinanziamento di interventi agro-ambientali nei territori dei parchi nazionali. L'accordo prevede un coordinamento tra gli interventi previsti dagli articoli 4 e 7 della legge 394/91 "Legge quadro sulle aree protette" e gli interventi del regolamento CE/92/2078. D. Un aspetto particolare che merita attenzione e' costituito dalla possibilita' di riciclare in agricoltura alcune particolari categorie di residui con caratteristiche fertilizzanti o ammendanti. La tendenza all'impiego generalizzato in agricoltura di tali prodotti in nome del principio, di per se' corretto, di riportare alla terra cio' che da essa proviene, deve essere sostenuta attraverso un ben definito regime normativo che preveda autorizzazioni, controlli, caratterizzazione in termini di inquinanti del prodotto, nonche' in termini di vulnerabilita' dei suoli recettori. E. Per quanto riguarda la tutela delle risorse idriche, va ricordato che il 7 ottobre scorso la Camera ha approvato e trasmesso al Senato, per la relativa conversione, una proposta di legge ("Disposizioni in materia di risorse idriche") che delega il Governo ad emanare con proprio decreto la normativa per la regolamentazione dell'impiego di "acque seconde", prevedendo inoltre incentivi ed agevolazioni per le imprese che pratichino il riuso/riciclo di dette acque. Sara' in tal modo recepito nell'ordinamento legislativo nazionale l'indirizzo al riutilizzo delle acque reflue depurate, contenuto nella direttiva 91/271/CE concernente il trattamento delle acque reflue urbane. Tale indirizzo trovera' una concreta attuazione nelle decisioni che saranno assunte dal Governo circa l'opzione d'uso delle acque seconde (mediante incentivi o su base obbligatoria). 3.4.2 Strumenti economici A. Tra gli strumenti economici, particolare attenzione deve essere prestata alla messa a punto di strumenti fiscali per favorire l'impiego di mezzi tecnici (in particolare pesticidi e fertilizzanti) a basso carico inquinante. L'utilizzo di tali strumenti fiscali presuppone una caratterizzazione del comportamento ambientale di questi mezzi tecnici. Per quanto riguarda specificamente i pesticidi, si rimanda a quanto detto nei paragrafi 3.2.1(A.) e 3.4.1(A.) circa la necessita' di procedere ad una classificazione ambientale dei prodotti in sede di autorizzazione. L'introduzione del sistema degli incentivi e dei sussidi di compensazione per l'adozione di pratiche agricole eco-compatibili o per la conversione di terreni agricoli alla forestazione, conformemente a quanto previsto dai citati Regolamenti CE 2078/92 e 2080/92, riguarda quelle tecniche e quelle pratiche la cui adozione puo' comportare, anche temporaneamente, riduzioni di reddito piu' o meno consistenti. Il rispetto delle condizioni e dei disciplinari di produzione relativi alle tecniche da impiegare presuppone l'attivazione di un sistema di controllo-autocontrollo strettamente collegato alla gestione delle attivita' di assistenza tecnica da parte delle Associazioni di produttori. L'incentivo indiretto, derivante dalla valorizzazione commerciale dei prodotti ottenuti con tecniche produttive compatibili con l'ambiente, potrebbe consentire di potenziare ulteriormente i settori della ricerca e dell'assistenza tecnica che, come gia' osservato, costituiscono gli anelli fondamentali per il perseguimento della strategia dello sviluppo sostenibile. Passando a considerare le forme per disincentivare l'utilizzo improprio di tecniche produttive o non conforme ad uno standard "minimo" (al di sotto del quale l'attivita' produttiva dovrebbe essere considerata "inquinante"), qualora i Codici di buona pratica agricola costituiscano uno "standard di base" per l'esercizio delle attivita' agricole, occorre prevedere che ogni finanziamento o agevolazione pubblica faccia riferimento al rispetto di detto stand- ard per quanto attiene le modalita' produttive. Anche l'adozione di un sistema di questo genere presuppone l'organizzazione di un'attivita' di controllo da parte delle Amministrazioni Pubbliche cui puo' affiancarsi in modo senz'altro proficuo un'attivita' di autocontrollo da parte delle Associazioni di Produttori. Un sistema di agevolazioni fiscali puo' rivelarsi particolarmente adeguato per favorire lo sviluppo di servizi ambientali ed, in particolare, di attivita' di assistenza tecnica volte all'introduzione di tecniche eco-compatibili nelle aziende agricole. Tale tipo di agevolazione dovrebbe essere rivolta, soprattutto, al sostegno delle attivita' gestite dalle Associazioni di produttori in quanto, attualmente, i servizi di assistenza tecnica per l'agricoltura sono gestiti per quasi i due terzi dalle stesse imprese che producono e vendono mezzi tecnici dell'agricoltura. 3.4.3 Necessita' di ricerca Finalizzando la ricerca alla produzione di conoscenze e alla predisposizione di tecnologie necessarie al perseguimento degli obiettivi indicati, possono essere individuati sei ambiti prioritari di ricerca: - caratterizzazione del territorio in termini di vulnerabilita' all'inquinamento causato da prodotti agrochimici e deiezioni zootecniche; - caratterizzazione dei potenziali inquinanti contenuti nei prodotti agrochimici e nelle deiezioni zootecniche; - studio della dinamica nel suolo e nelle acque e, piu' in generale, del destino ambientale dei composti potenzialmente inquinanti derivanti dalle attivita' agricole; - comparto zootecnico: in questo settore si devono prevedere ricerche volte alla riduzione del volume di reflui prodotti e del loro carico inquinante, sia attraverso interventi sulle strutture di allevamento e sugli impianti di trattamento, sia attraverso interventi sulle diete; - tecniche agronomiche a basso impatto ambientale: per le esigenze di medio periodo, le attivita' di ricerca dovrebbero essere orientate alla definizione delle tecniche proprie della "produzione integrata" a basso carico inquinante (tecniche di minima lavorazione del suolo, di sistemazione idraulica, di irrigazione, epoche e modalita' di distribuzione di fertilizzanti, sistemi di difesa fitosanitaria integrata, metodi di produzione biologica e sviluppo di biotecnologie applicate all'agricoltura); - ricerche sulla problematica dell'erosione del suolo: in questo settore dovranno essere effettuate ricerche sui metodi per contenere i fenomeni di erosione, con particolare riferimento alla regimazione