(all. 1 - art. 1) (parte 1)
                                                             ALLEGATO
             PIANO NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
                    IN ATTUAZIONE DELL'AGENDA 21
                         Approvato dal CIPE
                  nella seduta del 28 dicembre 1993
   PREMESSA
1. La Conferenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite su "Ambiente
e Sviluppo" (UNCED) tenuta a Rio de Janeiro nel giugno  1992  con  la
partecipazione  di 183 paesi si e' sforzata di integrare le questioni
economiche e quelle  ambientali  in  una  visione  intersettoriale  e
internazionale,   definendo  strategie  ed  azioni  per  lo  sviluppo
sostenibile.
   I partecipanti alla UNCED hanno  concordato  sull'affermazione  di
comuni obiettivi (la Dichiarazione di Rio), su un piano di azione per
specifiche  iniziative economiche, sociali ed ambientali in vista del
XXI secolo (Agenda  21)  e  su  due  convenzioni  internazionali  (la
Convenzione  quadro  sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla
diversita' biologica).
   L'Agenda 21 (1) afferma che:
   "i governi... dovrebbero adottare una strategia nazionale  per  lo
sviluppo  sostenibile... . Tale strategia dovrebbe essere predisposta
utilizzando ed armonizzando le politiche settoriali.  L'obiettivo  e'
quello  di  assicurare  uno  sviluppo economico responsabile verso la
societa',  proteggendo  nel  contempo  le  risorse   fondamentali   e
l'ambiente  per  il  beneficio delle future generazioni. Le strategie
nazionali per lo sviluppo sostenibile  dovrebbero  essere  sviluppate
attraverso  la piu' ampia partecipazione possibile e la piu' compiuta
valutazione della situazione e delle iniziative in corso".
2. L'Agenda 21 e' composta di quaranta capitoli nei quali,  dopo  due
anni  di  preparazione  e la discussione conclusasi a Rio de Janeiro,
sono affrontati tutti i campi  nei  quali  e'  necessario  assicurare
l'integrazione tra ambiente e sviluppo.
   Per  raggiungere  lo  sviluppo sostenibile il documento sottolinea
con vigore le seguenti necessita':
-  l'integrazione  delle  considerazioni  ambientali  in   tutte   le
strutture  dei  governi  centrali e in tutti i livelli di governo per
assicurare coerenza tra le politiche settoriali;
- un sistema di pianificazione, di controllo e gestione per sostenere
tale integrazione;
- l'incoraggiamento della  partecipazione  pubblica  e  dei  soggetti
coinvolti,  che  richiede  una  piena  possibilita'  di  accesso alle
informazioni.
3.  Anche  prima  dell'UNCED  molti  paesi  e  la  Commissione  delle
Comunita'  europee avevano gia' adottato piani per l'ambiente e altri
documenti di strategie volti a definire obiettivi  di  lungo  termine
nel campo ambientale.
   Tra  il  1988  e  il  1993 nell'area OCSE hanno predisposto propri
piani l'Australia, il Canada, la Danimarca,  la  Francia,  l'Irlanda,
l'Olanda,  la Norvegia e il Regno Unito, nonche' la Commissione della
Comunita' europea.
   Tutti i paesi che hanno partecipato  alla  Conferenza  di  Rio  de
Janeiro  stanno  ora  elaborando i propri documenti nazionali, con un
attivo ruolo di propulsione e di  coordinamento  da  parte  di  molti
organismi internazionali.
   I  paesi  della  Comunita'  europea  si  sono impegnati nel 1992 a
Lisbona a presentare alla Commissione per  lo  sviluppo  sostenibile,
istituita  presso  l'ONU,  i  propri  piani  nazionali  di attuazione
dell'Agenda 21 entro la fine del 1993.
4. La letteratura sullo sviluppo sostenibile e' ormai molto vasta,  a
partire  dal  Rapporto  della Commissione mondiale sull'ambiente e lo
sviluppo istituita nel 1987 e presieduta da Gro Harlem Bruntland  che
ne  ha  dato  questa  definizione:  uno  "sviluppo che fa fronte alle
necessita' del presente senza compromettere la capacita' delle future
generazioni di soddisfare le proprie esigenze".
   Lo sviluppo sostenibile ricerca dunque un rapporto di armonia  con
la natura e con l'ambiente.
   Perseguire   lo   sviluppo   sostenibile  significa  ricercare  un
miglioramento della qualita' della  vita  pur  rimanendo  nei  limiti
della  ricettivita'  ambientale.  Sviluppo  sostenibile non vuol dire
bloccare la crescita economica, anche perche' persino in alcune  aree
del  nostro  paese, l'ambiente stesso e' una vittima della poverta' e
della spirale di degrado da essa provocata.
   Un piano di azione per  lo  sviluppo  sostenibile  non  deve  solo
promuovere  la  conservazione  delle  risorse,  ma  anche sollecitare
attivita' produttive compatibile con gli usi  futuri  ne  deriva  che
l'applicazione  del  concetto di sviluppo sostenibile e', da un lato,
dinamica  ovvero  legata  alle  conoscenze  e   all'effettivo   stato
dell'ambiente  e  degli ecosistemi, dall'altro consiglia un approccio
cautelativo riguardo  alle  situazioni  e  alle  azioni  che  possono
compromettere   gli   equilibri  ambientali,  attivando  un  processo
continuo di correzione degli errori.
   Sviluppo  sostenibile  e'  in  conclusione  un   nuovo   modo   di
considerare cio' che ciascuno fa e il modo nel quale viene fatto.
   E'  per  questa  ragione  che  i piani per lo sviluppo sostenibile
devono scaturire da un forte coinvolgimento di tutti i  soggetti  che
interferiscono  con gli equilibri ambientali: dal cittadino, che puo'
molto contribuire con il proprio comportamento anche come consumatore
di beni offerti sul mercato, ai gruppi di  opinione  e  ai  mezzi  di
informazione,  alle  imprese,  agli  enti  locali che amministrano il
territorio, ai ministeri responsabili delle politiche settoriali.
5. Nella stessa linea si muove il V piano di azione  della  Comunita'
europea,   predisposto   nel  marzo  1992  parallelamente  ai  lavori
preparatori per la Conferenza UNCED, ed approvato all'inizio del 1993
(2).
   Il V piano di azione della  CE  innova  profondamente  l'approccio
istituzionale  alle  questioni  ambientali, spostando l'asse portante
degli interventi dal tipo "comando e controllo"  a  quelli  volti  ad
integrare   le   politiche  ambientali  con  le  regole  di  mercato,
attraverso  il  calcolo  delle  esternalita'  ambientali  sia   nella
formulazione  dei  prezzi  sia  nei  processi economici, sollecitando
"l'ampliamento dello strumentario" alla  ricerca  e  all'innovazione,
all'uso   di  strumenti  fiscali  e  di  sostegno  finanziario,  alla
cooperazione volontaria tra la pubblica amministrazione e le imprese,
alla diffusione delle informazioni.
   Soggetto attivo del  V  piano  di  azione  della  CE  e'  l'intera
societa'  civile,  coinvolta nei vari segmenti di aggregazione che e'
possibile cogliere dal punto di vista ambientale.
   I  settori  "chiave"  di  intervento prescelti dalla Comunita' per
l'attuazione del piano sono l'industria  manifatturiera,  il  settore
energetico,  il  settore dei trasporti, l'agricoltura, il settore del
turismo. I criteri che sono alla base di tale selezione, operata  sui
dati aggregati dell'intera Comunita', si applicano perfettamente alla
realta' italiana.
6. I paesi che nel passato piu' o meno recente hanno gia' predisposto
piani   e   strategie   per   l'ambiente  sono  ora  agevolati  nella
predisposizione del piano di attuazione dell'Agenda 21.
   L'Italia non  appartiene  a  questa  categoria  di  Stati:  tra  i
documenti  di  rilievo  generale, utili alla definizione del piano di
attuazione e della piu' ampia strategia per lo  sviluppo  sostenibile
si rinvengono le edizioni della "Relazione sullo stato dell'ambiente"
del  1989  riguardo  alla quale va ricordata la "Nota aggiuntiva" del
Ministro dell'ambiente, e del 1992, il programma triennale di  tutela
ambientale   (PTTA)   '89-'91,   le   indicazioni  legislative  sulle
ecotariffe associate alla manovra finanziaria  per  il  1993  e,  per
quanto  riguarda  la  spesa  ambientale,  il PTTA '94-'96 in corso di
esame da parte del CIPE.
   Va anche ricordato il "Piano nazionale di  ricerca  scientifica  e
tecnologica   per   l'ambiente",   promosso  nel  1989  dal  Ministro
dell'universita' e della ricerca  scientifica  e  tecnologica  e  dal
Ministro  dell'ambiente, in cui, individuate le principali criticita'
ambientali, sono descritti  per  ciascuna  di  esse  i  problemi,  le
priorita' e le necessita' di ricerca.
7. Sono molte le azioni necessarie per concretizzare una strategia di
sostenibilita' per l'Italia.
Occorre:
a)  rispettare gli impegni presi in sede internazionale e promuoverne
l'attuazione anche in altri paesi;
b) individuare precisi strumenti per rafforzare l'integrazione  delle
problematiche    ambientali    nelle   politiche   di   settore   (e'
indispensabile promuovere procedure e strutture di coordinamento  per
introdurre le considerazioni ambientali nei processi decisionali);
c) sollecitare interventi di modifica dei cicli produttivi in settori
di   attivita'   a   maggior   impatto   ambientale   (e'  importante
intraprendere  azioni  concrete  nei  settori  come   l'energia,   le
attivita'   industriali,  il  sistema  dei  trasporti,  le  attivita'
agricole, le attivita' turistiche, ecc. affinche'  venga  ridotto  il
prelievo  di  risorse  e  l'emissione  di  inquinanti,  rendendo piu'
efficienti i processi);
d)  favorire  comportamenti  adeguati  sia  dei  produttori  che  dei
consumatori con l'introduzione di strumenti economici (tasse, tariffe
e incentivi) volti ad internalizzare i costi ambientali e a sostenere
le  innovazioni  di  processo  e  di  prodotto,  tenendo  conto delle
compatibilita' con l'Unione Europea e della attuale  forte  incidenza
nei bilanci di impresa degli oneri fiscali e sociali;
e)   adottare   strumenti   legislativi  e  rafforzare  le  strutture
istituzionali preposte al controllo e alla  verifica  dell'attuazione
delle  politiche  (e' indispensabile, nel sistema normativo italiano,
ottenere una robusta struttura istituzionale preposta alla promozione
delle politiche ambientali ed ai  controlli,  nonche'  avere  precisi
strumenti  di  verifica sull'attuazione e l'efficacia delle politiche
stesse);
f) promuovere il coinvolgimento e la corresponsabilizzazione di tutti
gli altri attori individuali;
g)  mettere  a  punto  indicatori  di  sostenibilita' ambientale e un
sistema  nazionale   di   contabilita'   ambientale   (per   superare
l'incapacita'  del  PIL  di  rappresentare  un'esauriente  misura del
benessere "sostenibile" attraverso la contabilizzazione di  aggregati
finora   non   rilevati,   tra   cui   spiccano  le  valutazioni  del
deprezzamento qualitativo e quantitativo del  patrimonio  naturale  e
gli effetti esterni ad esso connessi);
h)  promuovere  lo  sviluppo  di  un piu' rigoroso ed esteso corpo di
conoscienze scientifiche, teoriche e pratiche, sia per  la  soluzione
dei  singoli  problemi  ambientali,  sia per orientare e sostenere le
scelte e le conseguenti azioni politiche per lo sviluppo sostenibile.
8. L'Agenda 21 che  l'Italia  deve  attuare  e'  un  documento  assai
articolato  e complesso. Una parte degli obiettivi e delle azioni ivi
indicate presentano un interesse prevalente per  i  paesi  che  hanno
condizioni  climatiche,  sociali  ed  economiche differenti da quelle
italiane.
   Il presente piano nazionale pertanto  seleziona,  sulla  base  dei
settori  chiave  gia' individuati dalla CE nel V piano di azione, gli
obiettivi e  le  azioni  piu'  congruenti  con  l'attuale  condizione
ambientale   del   nostro  paese,  avendo  riguardo  anche  alle  sue
caratteristiche sociali ed economiche.
   Sulla base dell'esperienza  gia'  sviluppata  dai  paesi  aderenti
all'OCSE  il  piano cerca di evitare due tendenze spesso evidenti nel
confronto  con  la  questione  ambientale:  da  un  lato  l'approccio
olistico,   che   sfugge   alle   priorita',  dall'altro  l'approccio
perentorio che elenca soluzioni inappellabili in quanto  ispirate  da
supposte verita'.
   Questo  piano,  nella sua attuale prima versione, parte invece dal
presupposto che vi  siano  alcune  urgenze,  dovute  alla  dimostrata
condizione   di  sofferenza  del  pianeta  Terra  e  dell'"ecosistema
Italia".
9. Le urgenze possono  e  devono  essere  affrontate  rapidamente  in
chiave di nuove e decisive opportunita' di sviluppo anche tecnologico
nella  prospettiva  di  una  competizione  economica che ha di fronte
mercati di scala mondiale e attori, in  altri  paesi,  che  da  tempo
hanno  incorporato  le preoccupazioni ambientali nella programmazione
di impresa.
   La soluzione di tali urgenze si concentra nelle azioni da porre in
essere  nei  settori   produttivi   piu'   tradizionali   (industria,
agricoltura,   turismo),   nelle  infrastrutture  di  base  (energia,
trasporti), nella necessita' di modificare radicalmente il  punto  di
vista  dei  soggetti  pubblici  e  privati  verso i rifiuti, problema
terminale dei processi di produzione e di consumo  che  assume  forme
paradossali  nelle  economie  piu'  ricche ma non sviluppate sotto il
profilo della tutela ambientale. Il piano si articola quindi  in  sei
capitoli,  secondo  un'aggregazione  dei  problemi che dovrebbe anche
rendere piu' agevole seguirne l'attuazione da parte  delle  pubbliche
amministrazioni centrali e dei soggetti interessati.
   A  questi  capitoli  si  aggiunge  il  documento  preliminare  del
Ministero degli affari esteri sugli impegni assunti e da assumere nel
campo della cooperazione internazionale per lo sviluppo  sostenibile.
Al  fine  di  indirizzare  le  attivita' di sostegno economico ai PVS
sviluppate  dall'Italia nelle varie forme (multilaterale, bilaterale,
doni, prestiti, ecc.) nei termini piu'  coerenti  possibili  con  gli
indirizzi  dell'Agenda  21, il Governo e' impegnato nell'ambito della
attuazione  del  presente  piano  a  ulteriormente   approfondire   e
puntualizzare gli obiettivi ivi indicati.
   Ciascun  capitolo  descrive sinteticamente la situazione italiana,
le indicazioni dell'Agenda 21 in proposito, gli obiettivi da assumere
come prioritari, le azioni e gli strumenti necessari ed e' completato
da una matrice che indica i soggetti  che  detengono  responsabilita'
per l'attuazione del piano.
10.  La  consapevolezza  che la soluzione dei problemi ambientali non
puo' scaturire  da  un  rifiuto  dello  sviluppo  tecnologico  ma  va
ricercata  in una diversa qualita' dello stesso, ha fatto maturare la
convinzione, al fine anche di non  creare  perturbazioni  traumatiche
nel  sistema  socio-produttivo del Paese, che componente fondamentale
di una politica orientata allo sviluppo ambientalmente sostenibile e'
la risposta che potra' venire dalla ricerca  alle  attuali  e  future
necessita' di nuove conoscenze e di nuove tecnologie.
Allo  stato  attuale,  esistono  soluzioni  a molti singoli problemi,
anche se alcune potenzialita' debbono essere  ancora  trasformate  in
effettiva  operativita'.  La  complessita',  l'interdipendenza  e  la
vastita' di molti temi ambientali richiedono tuttavia un piu' esteso,
vigoroso e penetrante  corpo  di  conoscenze  scientifiche  di  base,
conoscenze  sociali  e  pratiche, che supera la soluzione del singolo
problema e pone la necessita'  di  una  ricerca  che  si  assesti  ai
livelli   di   quanto  piu'  avanzato  e'  stato  finora  prodotto  e
progredisca verso ulteriori e necessari livelli  di  aggregazione  di
conoscenze di vario tipo.
In  ogni capitolo sono pertanto anche indicate, in modo sintetico, le
attuali priorita' di ricerca. Per  la  natura  dinamica  del  sistema
ambientale  e  dei  rapporti  che,  nello  spazio  e  nel  tempo,  si
stabiliscono  tra  componenti,  fattori  e   processi   naturali   ed
antropici,   anche   queste   priorita'  non  possono  costituire  un
riferimento  statico,  bensi'  un  complesso  problema  aperto,   che
necessitera' di aggiornamenti, revisioni e forse, tal volta, anche di
inversione di tendenze.
11.  Il  piano  di  attuazione non esaurisce l'universo delle cose da
fare per lo sviluppo sostenibile. La scelta  di  aggregare  azioni  e
strumenti  sui  settori  di maggiore impatto ambientale dell'economia
del nostro paese ha, anzi, costretto a sacrificare in questa fase una
maggior evidenza su alcuni temi di importanza cruciale quali il  mare
e  l'ambiente  urbano,  che sono comunque direttamente interessati da
buona parte delle azioni proposte e, insieme  alle  altre  componenti
ambientali  (aria,  acqua,  suolo,  fauna,  flora,  paesaggio, ecc.),
rappresentano i veri bersagli di questo piano.
   Va inoltre data attuazione alle due importanti convenzioni firmate
a Rio de Janeiro (Cambiamenti climatici e Biodiversita')  attualmente
in  fase  di ratifica da parte del Parlamento, e vi e' tutto il vasto
campo degli impegni assunti, da aggiornare e da rendere effettivi, in
ottemperanza alle direttive comunitarie  ed  alle  norme  di  diritto
interno,  nel  campo  della tutela delle acque, dell'aria, del suolo,
per  lo  sviluppo  di  aree  protette  e  per  le  procedure   e   le
pianificazioni di settore.
   Tale  campo  di  interventi  e'  affrontato  nell'ambito del Piano
triennale di tutela ambientale 94-96, previsto  dalla  legge  305/89,
che  riguarda  la  spesa  di 3.186 miliardi di lire e che contiene il
primo Programma triennale per  le  aree  naturali  protette  previsto
dall'art. 4 della legge 394/91. Il programma definisce gli interventi
strategici  nel campo della conservazione naturalistica e costituisce
uno dei pilastri per l'attuazione concreta  della  Convenzione  sulla
diversita' biologica.
   Contemporaneamente  sembra  riprendere  vigore,  dopo gli ennesimi
recenti eventi alluvionali  disastrosi,  la  volonta'  di  sviluppare
politiche  ed interventi per la difesa del suolo che deve essere, nel
nostro paese, uno dei capisaldi delle politiche del territorio.
   L'assenza di specifici capitoli concernenti tali ultimi  argomenti
non offusca la loro importanza.
   Essi  appartengono  alla  sfera  piu'  consolidata  e  tipicamente
"ambientale"  delle  iniziative  di  governo,  che   possono   essere
rafforzate  e meglio sviluppate sotto l'ombrello di un impegno per lo
sviluppo sostenibile che si allarghi a tutti i settori economici  del
paese.
   La  presente  proposta riguarda particolarmente coloro ai quali e'
ben noto che il "mercato e' un  educatore  senza  rimorsi"  e  indica
prime risposte la' dove gli impegni nazionali sono piu' acerbi.
12.  L'Agenda  21,  il  V  piano di azione CE, questo piano reclamano
l'estensione  dell'uso  degli  strumenti  economici  e  fiscali.   Va
doverosamente  osservato  che  in  tutti  i paesi tali strumenti sono
stati  finora  usati  meno  ampiamente  di  quanto  non  fosse  stato
anticipato  nei  documenti governativi. Vi sono resistenze politiche,
anche perche' sono percepiti come tasse addizionali. Cio' dipende  in
buona misura, come afferma l'OCSE(3), dal fatto che "la tassazione e'
vista  come  questione  di  pertinenza  esclusiva dei ministeri delle
finanze e  il  coinvolgimento  dei  ministeri  dell'ambiente  non  e'
gradito.   D'altro   canto  i  sostenitori  di  stringenti  politiche
ambientali temono che gli strumenti economici siano una  strada  meno
certa   per   ottenere   risultati   piuttosto   che   quella   della
regolamentazione "comando e controllo".
   In realta' le due opzioni non si escludono l'una con l'altra.
   I  valori  limite  alle  emissioni  e  alle  immissioni   dovranno
continuare   a   seguire  l'evoluzione  delle  conoscenze  nel  campo
dell'ambiente e della  salute  e  nel  campo  delle  tecnologie  (con
l'applicazione   diffusa   del  criterio  delle  migliori  tecnologie
disponibili che non comportino costi  eccessivi).  Ma  essi  potranno
assumere  orizzonti  temporali  piu'  ampi di quanto non sia avvenuto
finora, e lasciare maggiore liberta' al sistema produttivo,  solo  se
quest'ultimo   assumera'   in   proprio   la   priorita'  ambientale,
sfruttandone a pieno le opportunita'.
   Compito delle istituzioni e dei cittadini e' di operare perche' la
componente "ambiente" entri tra i fattori propri  della  competizione
di  mercato,  secondo quanto e' gia' stato avviato con l'introduzione
dell'ecolabel e potra' essere fatto con gli ecobilanci e l'ecoaudit.
   Il raffronto con gli standard tecnologici e  ambientali  raggiunti
dalle  economie  piu'  attente  alle  priorita'  ambientali  dovrebbe
peraltro consigliare, anche alle nostre imprese, di favorire tasse ed
incentivi che, introducendo elementi di dinamismo  nell'attuale  fase
di  recessione,  consentano  ai  prodotti  italiani  di prepararsi ad
essere piu' attraenti per il nuovo ciclo di ripresa.
   Sono  dunque  necessarie  energia  e  ingegno  per  riorientare il
sistema fiscale italiano, a parita' di gettito stabilito e  di  oneri
complessivi  per le imprese, in chiave di sostenibilita' dei processi
industriali, dei consumi, dei comportamenti.
13. Con questo piano vengono definiti gli obiettivi e le  azioni  per
avviare  l'Italia  sul cammino dello sviluppo sostenibile. Esso e' il
primo passo per addentrarsi in una  articolazione  finanziaria  delle
risorse  necessarie  per  conseguire  gli  obiettivi ivi indicati nei
settori pubblico e privato. Si  trattera'  in  prevalenza  di  ri/co-
orientare  risorse  pubbliche  gia'  programmate,  incorporando nelle
leggi di spesa la priorita' dello sviluppo sostenibile.
   Con l'approvazione  del  piano  il  governo  si  impegna  anche  a
seguirne l'attuazione attraverso una forte collaborazione di tutte le
amministrazioni e promuovendo la corresponsabilizzazione dei soggetti
comunque coinvolti.
   In  vista  della  legge  finanziaria  per  il  1995  dovra' essere
possibile pervenire a concreti risultati anche sul piano  di  impegni
di bilancio disseminati nelle diverse responsabilita' ministeriali.

NOTE
1.    Si  veda  il  capitolo  8 dell'Agenda 21: "Integrare ambiente e
sviluppo nei processi decisionali, economici, sociali ed ambientali e
nei relativi piani".
2.  CCE, "Per uno sviluppo durevole e sostenibile. Programma politico
e d'azione della Comunita' Europea a favore dell'ambiente  e  di  uno
sviluppo sostenibile." Bruxelles 12 giugno 1992.
3.    OCDE/GD 93-155 OECD "Workshop on national plans for sustainable
developmnt. Overview paper on member countries experiences".
PIANI DI ATTUAZIONE DELLE CONVENZIONI  SUI  CAMBIAMENTI  CLIMATICI  E
SULLA DIVERSITA' BIOLOGICA
Il  Piano  di  attuazione della Convenzione sui cambiamento climatici
(Programma  nazionale  per  la  stabilizzazione  delle  emissioni  di
anidride  carbonica  entro il 2000 al livello del 1990"), predisposto
dal Ministero dell'ambiente, e'  stato  trasmesso  al  Ministero  del
bilancio e della programmazione economica per l'approvazione da parte
del  CIPE;  ne e' stato diramato il testo per la concertazione con le
altre   amministrazioni,   in   particolare    con    il    Ministero
dell'industria, commercio ed artigianato.
Il   Piano  di  attuazione  della  Convenzione  sulla  biodiversita',
predisposto  dal  Ministero  dell'ambiente,  e'  stato  trasmesso  al
Ministero   del   bilancio   e  della  programmazione  economica  per
l'approvazione da parte del CIPE.
Il disegno di legge per la ratifica e l'esecuzione della  convenzione
quadro  sui  cambiamenti climatici e' stato approvato definitivamente
dal Senato il 22  dicembre  1993.  E'  invece  ancora  all'esame  del
Parlamento  il  disegno di legge per la ratifica e l'esecuzione della
convenzione sulla biodiversita', approvato dal Consiglio dei Ministri
il 7 luglio e dal Senato in prima lettura il 22 dicembre 1993.
1. ENERGIA
1.1 Quadro di riferimento
1.1.1 Situazione nazionale
   Le crisi petrolifere e le variazioni del prezzo internazionale del
petrolio  hanno profondamente segnato l'andamento dei consumi globali
di energia in Italia.
   Nel  decennio  1973-83  la   domanda   di   energia   e'   rimasta
sostanzialmente  stagnante,  oscillando  intorno al livello raggiunto
nel 1973. Dai 139,8 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio del
1973 i consumi sono scesi ai 133 del 1975 per risalire poi  ai  149,2
del  1979  e, dopo la seconda crisi petrolifera, tornare a un livello
prossimo a quello del 1973 (139,5 milioni di tep nel 1983).
   Dal 1984, anno  in  cui  e'  iniziato  un  periodo  di  espansione
economica,  i  consumi nazionali di energia, in sintonia con la forte
diminuzione del prezzo  del  petrolio  importato  e  con  l'andamento
favorevole  dei  prezzi  al  consumo  (in termini reali) dei prodotti
energetici, sono risaliti recuperando e superando il livello  massimo
raggiunto  precedentemente,  fino  a raggiungere i 163 milioni di tep
nel 1990.
   Il 1990 ha segnato un'inversione di tendenza con i  primi  segnali
di rallentamento della domanda e dell'attivita' produttiva. I consumi
di energia comunque sono continuati a salire fino ai 166,5 milioni di
tep  del 1991, per poi subire una notevole frenata. Nel periodo 1984-
91, il tasso di crescita dei consumi globali  in  fonti  primarie  e'
stato in media del 2,5% all'anno.
   La  "fattura  energetica" italiana espressa in termini di frazione
del PIL e' passata dall'1,4% del 1970 al picco del 5,2% del  PIL  nel
1985, per ridiscendere all'1,6% del PIL nel 1991.
   Le  importazioni  di greggio in Italia sono scese da 128,5 milioni
di tonnellate nel 1973 a 74,7 milioni di tonnellate nel 1990,  mentre
le  importazioni di semilavorati e prodotti finiti sono salite da 5 a
35,6 milioni di tonnellate e la produzione nazionale  di  greggio  e'
cresciuta fino a oltre 4,5 milioni di tonnellate (tabella 1).
   In  termini  di  struttura  dei  consumi primari (figura 1), vi e'
stata una diminuzione del peso del petrolio, che nel 1972 copriva  il
72,6%  dei consumi e nel 1990 il 57,6%, a fronte di un'ampia crescita
dei consumi di gas naturale, che sono triplicati nell'arco dei  venti
anni  considerati.  Il  peso  dei  consumi  di combustibili solidi e'
dapprima calato per poi risalire a quote percentuali simili a  quelle
del  1970,  mentre  diviene  significativo  dal 1985 il contributo di
elettricita' importata, che raggiunge nel 1990  una  quota  del  4,6%
rispetto  ai  consumi  primari  e  di  oltre il 14% dell'elettricita'
immessa in rete.
   La produzione lorda di energia elettrica, comprese le  perdite,  i
pompaggi  e  gli  autoconsumi,  e' stata di circa 252 terawattora nel
1990.
   Una analisi dei consumi finali di energia consente di identificare
per grandi linee le dinamiche settoriali dei consumi  energetici  nel
periodo   1970-1991.   A  fronte  di  un  aumento  dell'indice  della
produzione industriale del 58%, la domanda totale di elettricita'  e'
cresciuta del 105% mentre quella di energia consumata sotto forma non
elettrica e' cresciuto di solo il 19%.
   La domanda di energia elettrica, stagnante nei primi anni Ottanta,
e'  poi andata crescendo raggiungendo nel 1984 un tasso di incremento
annuo del 5% all'anno. Tasso che si e' dimezzato nei  successivi  due
anni, per poi risalire negli anni 1987 e 1988 a valori intorno al 5%.
Dal 1989 il tasso di incremento della domanda e' andato continuamente
decrescendo  fino a raggiungere un valore negativo nel primo semestre
del 1993 (figure 2 e 3).
Tabella 1 - Bilancio energetico nazionale per fonti primarie (milioni
di tep).
Fonte: Elaborazione ENEA su dati del Ministero dell'Industria

Fonti di energia                 1970    1973    1975    1980    1985
         Produzione nazionale    24,8    25,5    25,1    24,7    27,3
                 gas naturale    10,9    12,6    12,0    10,3    11,8
                     petrolio     1,5     1,3     1,1     1,8     2,4
          combustibili solidi     2,0     1,8     1,3     1,1     1,2
energia elettrica primaria(1)    10,4     9,8    10,7    11,5    11,9
Importazioni(2)                  99,0   114,7   106,5   122,5   118,7
                 gas naturale     0,0     1,7     7,2    11,9    15,9
                     petrolio    88,8   103,3    89,8    97,8    82,5
          combustibili solidi     9,4     9,8     8,9    11,4    15,1
            energia elettrica     0,8     0,7     0,6     1,4     5,2
Totale                          123,8   140,2   131,6   147,2   146,0
            variazione scorte     3,7     0,4    -1,4    -0,2    -0,2
Energia totale                  120,1   139,8   133,0   147,0   146,2

Fonti di energia                 1988    1989    1990    1989    1992
         Produzione nazionale    29,9    28,6    28,4    30,1    30,9
                 gas naturale    13,5    13,8    14,0    14,1    14,7
                     petrolio     4,8     4,6     4,7     4,7     4,3
          combustibili solidi     1,3     1,3     1,3     1,3     1,1
energia elettrica primaria(1)    10,3     8,9     8,4    10,4    10,8
Importazioni(2)                 125,1   135,4   136,5   133,9   137,5
                 gas naturale    20,1    23,4    25,5    27,6    28,5
                     petrolio    84,7    90,4    89,5    84,9    88,2
          combustibili solidi    13,5    14,2    13,9    13,9    13,1
            energia elettrica     6,8     7,4     7,6     7,5     7,7
Totale                          155,0   164,0   164,9   164,3   168,4
            variazione scorte    -2,5     1,8     1,4    -2,2     0,9
Energia totale                  157,5   162,2   163,5   166,5   167,5

Note: 1) Energia idroelettrica e geoelettrica; anche nucleare nel
         1970, 1973, 1975, 1980 e 1985
      2) calcolata come saldo di import-export.



     ---->  Vedere tabelle da pag. 20 a pag. 22 del S.O.  <----


1.1.2 Alcuni confronti internazionali
   Se  si  analizza  l'andamento  dell'intensita' energetica (energia
commerciale) sulla base dei dati  storici,  si  nota  una  evoluzione
comune  nei  diversi paesi a libero mercato, come mostra la figura 4.
Con l'avvio della rivoluzione industriale ed il passaggio a fonti  di
energia  commerciali, l'intensita' energetica aumenta rapidamente per
poi stabilizzarsi ed infine  decadere  in  modo  sostenuto.  Appaiono
evidenti  i  benefici,  in  termini  di  picchi  di minore intensita'
energetica e di tempi di transizione piu' brevi, che sono riusciti  a
conseguire i paesi di recente industrializzazione, come l'Italia e il
Giappone,  grazie  alla  disponibilita' di tecnologie piu' efficienti
per la conversione e l'uso dell'energia.
   Come si puo' notare dalla stessa figura 4, l'Italia  presenta  una
intensita' energetica che e' la piu' bassa tra i sette maggiori paesi
industrializzati  del  mondo  e  tra le piu' basse fra i paesi membri
dell'OCSE, quando l'intensita' e' espressa in tep  per  1000  dollari
USA  a  prezzi costanti e a parita' di potere d'acquisto. Questo dato
e'  importante  perche'  rappresenta,  in  qualche  modo,  un  indice
generale   dell'efficienza   energetica   complessiva   del   sistema
economico.
   Nel 1989, l'Italia ha registrato un valore di 0,229 tep per  1.000
dollari di prodotto nazionale lordo ai prezzi e al potere di acquisto
del  1985,  seguita a breve distanza dal Giappone (0,248). La Francia
ed  il  Regno  Unito  hanno  registrato  valori  vicini   tra   loro,
rispettivamente  0,278 e 0,293. In Germania ed in Olanda l'intensita'
si e' attestata  su  valori  (rispettivamente  0,329  e  0,415)  piu'
elevati  della  media  della Comunita' europea (0,292). Valori ancora
piu' elevati sono stati riscontrati negli Stati Uniti  (0,420)  e  in
Canada  (0,517),  anche  se  in questi due paesi e' stata maggiore la
riduzione dell'intensita' nel periodo compreso tra il 1970 e il 1989.
   Anche per i consumi  di  energia  pro  capite,  l'Italia  registra
valori tra i piu' bassi dell'area OCSE. Prendendo come riferimento il
1987,  l'OCSE  fornisce  i seguenti dati: Italia 2,63 tep pro capite;
Giappone 3,04; Regno Unito 3,67; Francia 3,71; Germania  Ovest  4,44;
Olanda 4,49; Stati Uniti 7,65.
   Questi  valori rappresentano indici generali, che sono influenzati
da diversi fattori fisico-naturali, sociali ed economico-strutturali.
Un legame stretto, ma  non  esclusivo,  esiste  con  il  reddito  pro
capite,  che  in Italia (10.355 dollari USA nel 1987) e' dello stesso
ordine di quello del Regno Unito (10.419 dollari USA), ma inferiore a
quello degli altri paesi  considerati  (Olanda  11.856  dollari  USA,
Francia 12.789, Germania 14.399, Canada 15.160, Giappone 15.674 e USA
18.529). Un ruolo cruciale lo gioca anche l'intensita' energetica. In
Italia,  la  minore  intensita'  energetica,  e  quindi  l'efficienza
relativamente piu' alta del sistema economico, e' il risultato di una
combinazione   di   fattori   legati   alla    storia    del    paese
(industrializzazione    relativamente    giovane,   una   popolazione
tradizionalmente    abituata    al    risparmio,    automobili     ed
elettrodomestici   con   consumi  contenuti),  di  fattori  economici
(scarsita' di risorse energetiche nazionali,  prezzi  dei  carburanti
relativamente   alti,  tariffa  elettrica  progressiva  per  gli  usi
domestici), e di fattori naturali e geografici (clima mite,  limitata
estensione del paese rispetto al numero di abitanti).
   La  peculiarita'  italiana  e'  ancora  piu'  evidente avendo come
riferimento l'intensita' elettrica. Nel 1989 l'Italia  ha  registrato
un  valore  di  0,075 TEP per 1.000 dollari USA di prodotto nazionale
lordo ai prezzi e al potere di acquisto del 1985, rispetto a 0,092 in
Olanda,  0,090  in Giappone, 0,102 nel Regno Unito, 0,113 in Francia;
0,123 in Germania, 0,161 negli Stati Uniti, 0,236 in Canada. Dal 1979
al 1989 l'intensita' elettrica ha  subito  una  certa  variazione  in
aumento  solo  in Italia e in Olanda, paesi che, insieme al Giappone,
presentano i valori assoluti piu' bassi, mentre  e'  diminuita  negli
altri  paesi:  in  particolare nel Giappone del 17% e nel Regno Unito
del 20%. L'eccezione e' data dalla Francia che  presenta  un  aumento
del 16%.
   I  consumi  di  energia elettrica pro capite si sono attestati nel
1987 sui seguenti livelli: Italia 3,9MWh;  Olanda  4,2;  Regno  Unito
5,4; Giappone 5,7; Francia 6,3; Germania Ovest 6,7; Stati Uniti 11,1.
   La  peculiarita'  del  caso  italiano  si spiega, oltre che con le
considerazioni  espresse  con  riferimento  ai   consumi   energetici
complessivi,  anche  con  la  limitata  diffusione  degli usi termici
dell'energia elettrica  (cucina,  acqua  calda,  riscaldamento  delle
abitazioni,  etc.),  contrariamente  a  quanto accaduto in vari paesi
dell'Europa centro-settentrionale ed in particolare in Francia  e  in
Germania    Ovest.   Determinante   a   questo   effetto   e'   stata
l'introduzione, nella seconda  meta'  degli  anni  Settanta,  di  una
tariffa  binomia  e  progressiva  per  gli usi domestici dell'energia
elettrica, che ha scoraggiato l'uso  dell'elettricita'  per  produrre
calore,  cioe'  l'uso dissipatore e irrazionale di una forma pregiata
di energia. La struttura binomia della  tariffa,  articolata  su  una
componente   "fissa",  che  assume  valori  maggiori  scaglionati  in
funzione della potenza di contratto e una componente  variabile,  che
cresce con il consumo annuo di energia (oltre che con il valore della
potenza  di  contratto)  ha giocato e gioca un ruolo importante nella
razionalizzazione degli usi elettrici e nella scelta degli apparecchi
di illuminazione e degli elettrodomestici.
   Il significato  di  indicatori  quali  "intensita'  energetica"  e
"intensita' elettrica" acquista tanto maggiore rilievo quanto piu' e'
omogeneo il settore di attivita' che viene preso come riferimento. Ad
esempio, nel settore dell'industria l'intensita' energetica, espressa
in  tep  consumati  per unita' di valore aggiunto prodotto, ha subito
negli ultimi due decenni le maggiori variazioni. Nel 1970, per  1.000
dollari di valore aggiunto, l'industria italiana richiedeva 0,424 tep
contro  0,415  della  Germania,  0,510  del  Regno Unito, 0,644 della
Francia, 0,648 del  Giappone.  Successivamente,  questi  valori  sono
fortemente  diminuiti,  grazie alle misure di risparmio energetico ed
alle modifiche strutturali subite dalla produzione  industriale.  Nel
1986  l'industria  italiana  consumava 0,231 TEP per 1.000 dollari di
valore aggiunto, contro 0,279 della Germania, 0,306 del Regno  Unito,
0,308 della Francia e 0,229 del Giappone. I valori dell'intensita' si
sono avvicinati tra loro, ma molto diversa e' stata la loro dinamica:
64%  di riduzione in Giappone, 52% in Francia, 45% in Italia, 40% nel
Regno Unito, 32% in Germania. Nella forte  riduzione  riscontrata  in
Giappone  ha  giocato  un  ruolo  rilevante, maggiore che altrove, il
trasferimento in altri paesi della  produzione  industriale  ad  alta
intensita' energetica.
   L'innovazione  tecnologica  e  soprattutto  lo  sviluppo  di nuovi
comparti produttivi con necessita' di ridotte quantita' di energia  e
la   contrazione   degli   altri   tradizionali  comparti  energivori
(siderurgia, cantieristica, chimica  di  base)  possono  spiegare  le
rilevanti disomogeneita' riscontrate tra le dinamiche dei vari paesi.
Il  tessuto  industriale  di  ciascuno  dei  paesi  considerati si e'
infatti modificato in maniera differente: ad  esempio,  la  riduzione
percentuale   della   produzione  siderurgica  e'  stata  molto  piu'
sensibile  in  Francia  che  in  Italia,  cosi'  come   lo   sviluppo
dell'industria  elettronica  ed  informatica e' stato nettamente piu'
veloce in Giappone che in Europa.
   Il grado di dipendenza  dall'estero  per  l'approvvigionamento  di
energia,  e  in  particolare  di energia elettrica, si aggira intorno
all'82%. Tra i paesi sviluppati, soltanto il  Giappone  presenta  una
analoga   dipendenza  dall'estero,  con  tendenza  alla  diminuzione.
Occorre comunque notare che  l'Italia,  contrariamente  al  Giappone,
paese  insulare  separato  da  grandi  distanze di mare dai paesi che
l'approvvigionamento di prodotti  energetici,  e'  integrata  in  una
organizzazione  economica  internazionale,  la  Comunita'  Europea, e
dispone di un sistema energetico interconnesso, tramite  metanodotti,
oleodotti ed elettrodotti, con i paesi europei ed extraeuropei da cui
riceve le importazioni dei prodotti.
1.2 Il rilievo che nell'Agenda 21 ha la questione energetica
   Il  contenimento  dei  consumi  energetici  e  la diffusione delle
tecnologie energetiche ambientalmente benigne costituiscono il  perno
della   strategia   raccomandata   dall'Agenda   21   per  proteggere
l'atmosfera  e  il  clima  del  pianeta  e  della  "Convenzione   sui
cambiamenti climatici", che costituisce un atto legalmente vincolante
per  i  paesi  firmatari. Piu' in generale essi costituiscono uno dei
fondamentali requisiti dello sviluppo sostenibile.
   "La necessita' -  recita  l'Agenda  -  di  limitare  le  emissioni
atmosferiche  di  gas  ad  effetto  serra  e  di altri gas e sostanze
richiedera' in maniera crescente  di  essere  basata  sull'efficienza
nelle  attivita' di produzione, trasmissione, distribuzione e consumo
dell'energia, e su un crescente affidamento  sui  sistemi  energetici
ambientalmente  sostenibili,  quali  in  particolare le fonti nuove e
rinnovabili di energia".
   La centralita' della questione energetica risulta evidente  se  si
pone   mente   alle  cause  primarie  dell'inquinamento  dell'aria  e
dell'aumento dell'effetto serra e al ruolo  che  in  questo  contesto
giocano  la  produzione  e l'uso di energia. La produzione e l'uso di
carburanti  e  combustibili   negli   autoveicoli,   nelle   centrali
termoelettriche,  nelle  industrie  e negli impianti di riscaldamento
degli  edifici,  comportano  l'emissione  in  atmosfera  di  sostanze
nocive,  in  quantita'  che  dipendono fortemente dalla tipologia dei
carburanti e dei combustibili e  dalle  tecnologie  adottate  per  il
processo  di  combustione e per il trattamento dei fumi. Sostanze che
sono all'origine dei fenomeni di degrado  dell'ambiente  atmosferico,
che si manifestano su diverse scale spaziali e temporali: in ambienti
chiusi   (indoor  pollution)  con  il  peggioramento  della  qualita'
dell'aria degli ambienti di vita e di lavoro; su scala locale con  il
peggioramento  della  qualita'  dell'aria  delle  citta' e delle zone
industriali; su scala nazionale e  continentale  con  le  deposizioni
acide;  su scala planetaria con l'accumulo di anidride carbonica e di
altri gas ad effetto serra le cui emissioni hanno origine  almeno  in
parte nel settore dell'energia.
   Un   ruolo  fondamentale,  nei  citati  fenomeni  di  inquinamento
dell'aria e  di  acidificazione  dell'ambiente,  lo  giocano  quattro
categorie  di  sostanze  gassose,  gli ossidi di azoto, gli ossidi di
zolfo, i composti organici volatili e il monossido di  carbonio,  che
agiscono tal quali e come precursori di altre sostanze nocive (acidi,
ossidanti   fotochimici)   o   comunque  agevolano  indirettamente  i
processi, tramite la modifica della chimica atmosferica.  Esse  hanno
anche  una  influenza  indiretta  sull'effetto serra, contribuendo ad
intensificarne la portata. Le sorgenti che emettono le sostanze sopra
citate sono anche all'origine delle emissioni di anidride carbonica.
   Profonde sono le connessioni tra detti fenomeni.  Intrecciati  tra
loro  sono  i meccanismi, fisici e chimici, coinvolti nell'evoluzione
dei  processi  di  inquinamento  e  di  danneggiamento.  Generalmente
coincidenti  tra  loro  le  sorgenti  di emissione. Di conseguenza e'
forte l'intreccio tra le misure necessarie per prevenire e combattere
detti fenomeni.
   Poco piu' della meta'  del  contributo  antropogenico  all'effetto
serra  e' generato dalle attivita' di produzione, distribuzione e uso
dell'energia, settore che emette anidride carbonica  e  altri  gas  a
effetto serra, quale in particolare il metano. Questo dato di per se'
da'  ragione  dell'enfasi  posta  dall'Agenda  21 sulla necessita' di
rivedere le politiche dell'energia e dei trasporti fin  qui  adottate
nel mondo.
   L'intreccio  di  cui  si  parla risulta ancora piu' evidente se si
focalizza l'attenzione sulle  tecnologie  e  strategie  di  riduzione
delle emissioni. Gli interventi a valle (end-of-pipe measures), cioe'
i  sistemi  di  abbattimento  delle  emissioni  inquinanti tramite il
trattamento dei fumi,  risultano  efficaci  e  non  comportano  costi
eccessivi,  ma  sono  insufficienti  ad  assicurare  i  ritmi  che la
gravita' delle situazioni di inquinamento impongono.  E'  per  questo
che,  accanto  a  dette  strategie,  sono  indispensabili  le  misure
finalizzate alla riduzione dei consumi di carburanti  e  combustibili
di  origine  fossile  e  alla  sostituzione  dei combustibili ad alto
potenziale inquinante con altri meno inquinanti, cioe' di misure  che
costituiscono  anche il fulcro di ogni buona strategia di prevenzione
dell'incremento dell'effetto serra.
   Oggi si puo' fare affidamento su tecnologie energetiche molto piu'
efficienti e pulite di quelle disponibili nel passato. Su  tecnologie
energetiche  ambientalmente  sostenibili,  che - insieme ai necessari
cambiamenti di rotta nel modo di produrre e di vivere  -  offrono  ai
paesi  sviluppati  la possibilita' di predisporre e dare attuazione a
programmi efficaci di  protezione  dell'ambiente  atmosferico  e  del
clima  del  pianeta;  e alle economie dei paesi in via di sviluppo la
possibilita' di evolvere secondo percorsi meno energivori  di  quelli
seguiti nel passato dai paesi industrializzati.
   Il  cambiamento  del  clima e i suoi effetti avversi costituiscono
una  "preoccupazione  comune  all'umanita'".  Il  problema  -  recita
l'Agenda  21  -  ha  un  carattere  globale  e  richiede pertanto una
risposta globale. L'azione di singoli paesi o  gruppi  di  paesi  non
sono  sufficienti,  ma  sono essenziali per innescare e promuovere un
processo a cascata, che porti via via a coinvolgere altri paesi.  Per
arrestare  il  degrado e proteggere l'ambiente globale e' necessario,
senza ulteriori ritardi, adottare e mettere in atto sulla base  della
migliore  conoscenza  disponibile,  pur  in presenza di significative
incertezze scientifiche, strategie di  risposta  che  assicurino  uno
sviluppo sostenibile di tutte le nazioni.
   Per   gli   accordi   di   Rio,  il  principio  di  equita'  e  la
responsabilita' comune ma differenziata (in  accordo  con  rispettivi
livelli  di  sviluppo) dei paesi devono essere la base della risposta
globale. I paesi sviluppati devono prenderne la  guida,  impegnandosi
in azioni per limitare il loro prevalente contributo alle emissioni e
cooperando, tramite l'aiuto tecnologico e finanziario, con i paesi in
via  di  sviluppo,  in  modo  da  metterli  in  grado di affrontare i
problemi ambientali senza ostacolare i loro  obiettivi  nazionali  di
sviluppo sociale ed economico e in primo luogo di lotta alla poverta'
e  alla fame, e con i paesi dell'Europa centro-orientale con economia
in  transizione  nel  loro  sforzo  di  modernizzazione  dei  sistemi
produttivi, arretrati o obsoleti.
   La   cooperazione   con   i  paesi  meno  sviluppati  richiede  un
cambiamento di  rotta  da  parte  dei  paesi  sviluppati.  Per  avere
successo,  i  processi  di  trasferimento, adattamento e assorbimento
delle tecnologie ambientalmente sostenibili richiedono,  oltre  a  un
buon  mix  di  tecnologie,  lo  sviluppo,  nel  paese  ricettore,  di
infrastrutture tecniche e di capacita' manageriali e  imprenditoriali
e l'adozione di nuovi meccanismi finanziari e istituzionali (capacity
building).  L'Italia  e'  pronta  a  fare la sua parte, cosi' come ha
dimostrato con il ruolo attivo svolto nel corso dei negoziati per gli
accordi di Rio, contribuendo tra l'altro ai lavori preparatori con il
simposio internazionale tenuto a San Donato  Milanese  sotto  l'egida
delle Nazioni Unite.
   Per  l'Italia  l'Agenda  21  costituisce un punto di partenza, una
tappa  importante  per  la  messa  in   atto   di   una   impegnativa
collaborazione,  su  scala  mondiale,  tesa a realizzare uno sviluppo
piu' equo e ambientalmente  sostenibile  e,  in  questo  contesto,  a
proteggere l'ambiente atmosferico e prevenire pericolose interferenze
antropogeniche  con il sistema climatico tramite l'adozione di appro-
priate  strategie   e   tecnologie   energetiche,   senza   attendere
l'acquisizione   della   certezza   scientifica  sull'evoluzione  dei
fenomeni.  In  sostanza,  l'Italia  concorda  con  la  necessita'  di
applicare il principio precauzionale.
1.3 Obiettivi nazionali per l'adeguamento all'Agenda 21
   Con la risoluzione di Lussemburgo del 29 ottobre 1990, formulata e
approvata  sotto  la  presidenza italiana, la Comunita' Europea si e'
impegnata a fare un primo passo per la  prevenzione  del  cambiamento
climatico:  stabilizzazione  delle  emissioni  di  anidride carbonica
della Comunita' nel suo insieme entro  l'anno  2000  al  livello  del
1990.
   Da parte sua l'Italia conferma il proprio impegno a partecipare al
raggiungimento  di questo obiettivo che intende conseguire sfruttando
innanzitutto le potenzialita' offerte dagli interventi a costo  basso
o  nullo  nella  produzione  e  uso dell'energia e avvalendosi - come
sollecita la citata risoluzione comunitaria - delle  possibilita'  di
mettere  in  atto  misure  no  regret,  cioe' misure comunque utili e
quindi tali da non provocare rimpianti  nel  caso  che,  ad  esempio,
l'approfondimento    delle   conoscenze   scientifiche   portasse   a
ridimensionare fortemente il rischio  di  un  cambiamento  climatico.
Misure  che nello stesso tempo consentono di ridurre le emissioni dei
principali gas-serra, di combattere  l'inquinamento  delle  citta'  e
degli  ambienti chiusi e il fenomeno delle deposizioni acide, nonche'
di alleggerire la fattura energetica delle famiglie e delle imprese e
di    mitigare   l'onere,   pesante   per   l'economia   del   paese,
dell'approvvigionamento energetico dall'estero.
   Per quanto detto nel paragrafo precedente, risultano  evidenti  le
ragioni  di  una  azione  sistematica  e coordinata, di una strategia
integrata che parta dalla considerazione di  tutti  gli  aspetti  del
degrado   dell'ambiente   atmosferico   e  consenta  di  esaltare  le
potenzialita' delle singole misure di  intervento,  di  sfruttare  le
possibili  sinergie,  di  selezionare  le  migliori  combinazioni  di
intervento e di tecnologie, anche al fine di giustificare i costi con
la molteplicita' degli obiettivi da raggiungere. Costi che altrimenti
potrebbero  risultare  eccessivi,  rispetto  ai  benefici  attesi,  o
prematuri per l'incertezza delle attuali conoscenze scientifiche. Una
strategia  che faccia perno sulla riduzione dei consumi di carburanti
e combustibili fossili tramite il miglioramento dell'efficienza nelle
attivita' di produzione, distribuzione e consumo dell'energia,  sulla
sostituzione  dei  combustibili ad alto potenziale inquinante e su un
crescente affidamento sulle fonti rinnovabili di energia.
   Una strategia del  genere  non  richiede  all'Italia  un  radicale
cambiamento  di  rotta.  Essa  va a collocarsi, come si e' detto, nel
contesto di un sistema economico, quello  italiano,  che  in  termini
energetici  -  per  una  combinazione di fattori storici, naturali ed
economici - risulta essere relativamente piu' efficiente  (o,  se  si
vuole,  meno inefficiente) dei sistemi economici degli altri maggiori
paesi sviluppati. Una strategia che, in certa misura, rappresenta uno
sviluppo del Piano Energetico Nazionale approvato  dal  Governo  -  a
seguito  dell'esito,  negativo per l'energia nucleare, del referendum
del 1987 - nel 1988 (PEN 88), piano che pone il risparmio di  energia
e  la protezione dell'ambiente tra i cinque obiettivi prioritari (gli
altri sono lo sviluppo delle risorse interne, la diversificazione  di
fonti energetiche e fornitori e la competitivita' internazionale), il
cui  conseguimento  deve  caratterizzare  la  politica energetica del
paese. "Un risparmio di energia - precisa il Piano - inteso non  come
compressione dello sviluppo, ma come efficienza nell'uso dell'energia
che,  riducendo  le necessita' complessive del fabbisogno energetico,
ha evidentemente effetti positivi sulla nostra dipendenza  energetica
e  quindi  sulla  nostra  vulnerabilita'  .....  e sull'ambiente". La
protezione dell'ambiente e' intesa non come un vincolo,  ma  come  un
obiettivo   della   politica  energetica.  "Si  adotta  un  approccio
anticipatorio, volto sia ad evitare il danno ambientale, prima che si
manifesti, sia, ove possibile, a sostituire alle attuali modalita'  o
tecnologie di produzione nuove soluzioni a minore impatto".
   Per  quanto  riguarda le emissione in atmosfera il Piano mira alla
progressiva  riduzione  delle  emissioni  di   inquinanti   dell'aria
originati  nel  settore  energetico, ma non assume alcun obiettivo di
contenimento per le emissioni di anidride carbonica, per le quali  il
piano  stesso  mette in evidenza il sensibile incremento previsto (13
per cento nell'anno 2000 rispetto al 1987).
   Occorre pero' tenere conto che la dinamica del settore  energetico
e' determinata, oltre che dalle politiche pubbliche (piano energetico
nazionale  e  relativi  strumenti di attuazione, regolamentazione dei
prezzi,  politica  fiscale,  normativa  ambientale)  e   naturalmente
dall'andamento del mercato internazionale dell'energia, dai programmi
delle  aziende  elettriche  ed energetiche, che hanno subito profondi
mutamenti   in   conseguenza   dell'opposizione   manifestata   dalle
popolazioni  locali  all'installazione  delle  centrali   a   carbone
previste  dal  Piano  e  dalle  opportunita'  offerte  dallo sviluppo
tecnologico. Si stanno cosi' verificando un notevole spostamento  dei
consumi  di  combustibile dal carbone (rimasti pressoche' stazionari)
al gas naturale e l'installazione, al posto delle  previste  centrali
termoelettriche  policombustibile,  di  impianti  a  ciclo  combinato
alimentati a gas naturale  e  di  turbogas  a  ripotenziamento  delle
centrali  esistenti.  Linee  di  tendenza  che vanno nel senso di una
riduzione delle emissioni  di  anidride  carbonica  e  di  un  minore
impatto sull'ambiente.
   L'aggiornamento  del  Piano  Energetico Nazionale dovrebbe - oltre
che prendere atto dei mutamenti, ambientalmente  favorevoli,  che  di
fatto  si  stanno  verificando  nel  settore energetico - incorporare
ulteriori misure per limitare le emissioni di anidride carbonica.
   Obiettivi  di  riduzione  o  stabilizzazione  delle  emissioni  di
inquinanti dell'aria sono fissati da provvedimenti che interessano le
attivita'  di  produzione,  distribuzione  e  uso  di  combustibili e
carburanti, e cioe':
   in  attuazione  di  provvedimenti  legislativi  o   amministrativi
nazionali
-  riduzione,  entro  il  1993,  del  30  per  cento  delle emissioni
nazionali di anidride solforosa rispetto al livello del 1980 (Decreto
del Ministro dell'Ambiente, 8 maggio 1989);
- riduzione,  rispetto  al  livello  del  1980,  delle  emissioni  di
anidride  solforosa  dai grandi impianti di combustione in funzione o
autorizzati alla data del 1 luglio 1988: del 30, 39 e  63  per  cento
rispettivamente  entro  il  1993,  il  1998  e  il  2003 (Decreto del
Ministro dell'Ambiente, 8 maggio 1989);
- riduzione, rispetto al livello del 1980, delle emissioni  nazionali
di  ossidi  di azoto dai grandi impianti di combustione in funzione o
autorizzati  alla  data  1  luglio  1988:  del  2  e  30  per   cento
rispettivamente  entro  il  1993  e  il  1998  (Decreto  del Ministro
dell'Ambiente, 8 maggio 1989);

             PIANO NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
                    IN ATTUAZIONE DELL'AGENDA 21


- adeguamento dei grandi  impianti  di  combustione,  in  funzione  o
autorizzati  alla  data  del  1  luglio  1988,  ai  valori  limite di
emissione del biossido di  zolfo,  degli  ossidi  di  azoto  e  delle
polveri  fissati  dalle norme per gli impianti nuovi: impianti per il
35 e il 60 per  cento  della  potenza  termica  globale  di  ciascuna
azienda  avente  piu'  impianti, rispettivamente entro il 31 dicembre
1997 e il 31 dicembre 1999; tutti gli impianti di tali aziende  entro
31 dicembre 2002 (Decreto del Ministro dell'Ambiente 12 luglio 1990);
in attuazione della convenzione di Ginevra del 1979 sull'inquinamento
transfrontaliero a lunga distanza (UNECE)
- stabilizzazione, entro il 1994, delle emissioni nazionali di ossidi
di  azoto  al  livello del 1987 (Protocollo di Sofia 1988, ratificato
nel 1992);
- riduzione, entro il 1999, del 30 per cento o almeno stabilizzazione
delle emissioni nazionali di composti organici volatili  rispetto  al
livello del 1988 (Protocollo di Ginevra 1991, in corso di ratifica).
   L'economia italiana e' caratterizzata, come si e' visto, da valori
dell'intensita'  energetica ed elettrica minori di quelli degli altri
maggiori paesi sviluppati. Cio' non toglie che molto  rilevanti  sono
le  potenzialita'  di  risparmio  energetico  disponibili nei diversi
settori di attivita'. Basti pensare a come sono stati  costruiti  per
decenni  gli edifici, privi di una efficace coibentazione termica dei
loro involucri,  alle  potenzialita'  offerte  dalle  caldaie,  dagli
elettrodomestici  e  dai  sistemi  di  illuminazione  piu' efficienti
disponibili sul mercato,  alla  rapida  evoluzione  delle  tecnologie
impiegate  per la produzione di energia elettrica (ad es., centrali a
ciclo combinato di tipo cogenerativo) e per la produzione industriale
(le cosiddette "tecnologie pulite") e agli spazi modali e tecnologici
nel settore dei trasporti che possono essere sfruttati per  garantire
contemporaneamente  il  risparmio di energia, la qualita' dell'aria e
la vivibilita' delle citta'.
   Al fine di conseguire gli obiettivi di risparmio di energia  e  di
contenimento delle emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti e di
gas  ad  effetto  serra,  la politica energetica italiana si sviluppa
secondo le seguenti linee strategiche:
- promozione dell'efficienza  energetica  e  della  conservazione  di
energia  nell'uso  del  calore,  dell'elettricita'  e  dei  mezzi  di
trasporto;
- promozione della efficienza nella produzione  di  energia,  tramite
l'adozione  di nuove tecnologie ad alto rendimento per la generazione
di energia elettrica, la  diffusione  di  impianti  di  cogenerazione
calore-elettricita',   il  recupero  di  energia  dagli  impianti  di
termodistruzione dei rifiuti e il recupero del calore di scarto;
- sostituzione dei combustibili ad  alto  potenziale  inquinante  con
combustibili  a  basso  tenore  di  carbonio e privo di zolfo come il
metano;
-  riduzione  delle  emissioni di inquinanti dell'aria generate dalle
sorgenti fisse, tramite l'applicazione del principio  delle  migliori
tecnologie  disponibili  che  non  comportano  costi eccessivi per la
combustione e il trattamento dei fumi  e  l'adozione  di  "tecnologie
pulite" per le produzioni industriali;
-  promozione  del  rinnovo  del parco auto, tramite l'incentivazione
della rottamazione dei veicoli piu' vecchi e loro sostituzione con le
moderne auto catalizzate;
- programmi di investimenti per lo spostamento di quote rilevanti  di
passeggeri  e  merci dal trasporto individuale su strada al trasporto
collettivo (gestito da aziende pubbliche o private),  preferibilmente
su ferro o per mare;
- promozione della diffusione delle fonti rinnovabili di energia;
-  attivita'  di  ricerca,  sviluppo  e dimostrazione nel campo delle
tecnologie energetiche ambientalmente sostenibili.
   Studi di valutazione sono attualmente in corso presso le  maggiori
aziende e istituzioni energetiche del paese, ENEA, ENEL e ENI, mirati
a  identificare e analizzare le opzioni tecnologiche, gli strumenti e
le loro combinazioni piu' efficaci dal punto di vista dei  costi  per
la  riduzione  delle  emissioni  di  anidride  carbonica, biossido di
zolfo, ossidi di azoto e composti organici volatili.
   In materia di cooperazione tecnologica con i paesi meno sviluppati
del mondo, l'Italia considera con favore la formulazione e l'adozione
su basi volontarie, da parte dei paesi sviluppati, di  un  codice  di
condotta  nei  programmi  di  trasferimento  che preveda l'esclusione
delle tecnologie obsolete inefficienti.
1.4 Azioni e strumenti
1.4.1 Settore energetico
   Il  basso  prezzo  delle  fonti  estere  di  energia,  la  pesante
situazione  finanziaria  del  paese  e  la crescente importanza della
dimensione  ambientale  del  risparmio  energetico  hanno  introdotto
rilevanti   cambiamenti  nel  quadro  degli  strumenti  adottati  per
promuovere la conservazione dell'energia e  l'efficienza  energetica.
Oggi  assumono un ruolo maggiore gli approcci normativi e i programmi
di formazione e informazione. Le aziende che producono  energia  sono
sempre  piu' coinvolte nei programmi di risparmio energetico presso i
consumatori finali. Si riducono pero' i  fondi  pubblici  disponibili
per  misure  di incentivazione, malgrado rimanga sostenuta la domanda
di incentivi  per  gli  investimenti  nel  risparmio  energetico  nei
diversi settori di attivita' (domestico, terziario, industriale).
   Per  promuovere  il  risparmio  energetico  nella produzione e uso
dell'energia e la diffusione delle fonti rinnovabili, sono  molti  in
Italia gli strumenti utilizzati o proposti:
   A. Strumenti per promuovere gli investimenti
   - leggi 9/91 e 10/91, provvedimento CIP 6/92
   - diagnosi energetiche
   - contributo in conto capitale
   - contributo in conto interesse
   - "third party financing"
   - fondo garanzia
   - misure di incentivazione/disincentivazione
   - politica fiscale
   - accordi volontari di programma
   B.  Strumenti  per la qualificazione dei dispositivi di uso finale
   dell'energia
   - ecolabel
   - marchio risparmio energetico
   - energy label della Comunita' Europea
   - elenco comparatico del consumo energetico degli elettrodomestici
   - certificazione prodotti
   - efficienza energetica minima obbligatoria
   C.  Strumenti  per  modificare  i   comportamenti   e   accelerare
   l'accettazione dei prodotti
   - informazione
   - formazione
   - tariffa progressiva per le utenze a contatore
   - "demand side management"
   - detrazione fiscale
   - appalti pubblici di servizio energia
   - pianificazione energetica regionale
   In   questo  contesto,  non  vengono  presi  in  considerazione  i
programmi di ricerca e sviluppo che hanno un  impatto  a  medio-lungo
termine.
   Esaminiamo  innanzitutto le leggi 9 e 10, approvate dal Parlamento
nel gennaio 1991, con i relativi provvedimenti di attuazione (CIP  n.
6/92, ecc.), che rappresentano un importante passo nella direzione di
promuovere  il  risparmio  di  energia  e  la  diffusione delle fonti
rinnovabili, e di conseguenza  il  contenimento  delle  emissioni  di
anidride   carbonica  e  delle  sostanze  che  inquinano  l'aria  che
respiriamo. Si  tratta  di  leggi  mirate  a  rendere  operativi  gli
indirizzi   del   PEN   1988,   per  quanto  concerne  la  (parziale)
liberalizzazione della produzione di energia elettrica (legge 9/1991)
e la promozione del risparmio di energia e dell'impiego  delle  fonti
rinnovabili   (legge  10/1991).  Leggi  che,  pur  essendo  nate  per
rispondere  ad  altre  esigenze  (alleggerimento   del   peso   delle
importazioni  energetiche  sulla  bilancia commerciale, riduzione dei
fenomeni di inquinamento atmosferico, ecc.), mettono in  atto  misure
che, tra l'altro, producono benefici per l'ambiente atmosferico.
   La  legge 9/1991 contiene un'importante novita'. Contrariamente al
passato, gli autoproduttori  industriali  e  le  aziende  energetiche
municipalizzate sono autorizzate alla produzione di energia elettrica
sia  per  i  propri  consumi,  che  per il trasferimento all'ENEL. La
produzione elettrica viene anzi incoraggiata  tramite  l'applicazione
del  criterio  del  "costo evitato". Sono inoltre previste condizioni
ancora piu' favorevoli (cessione dell'energia, per i primi otto  anni
di  produzione, a un prezzo incentivante superiore a quello calcolato
con il criterio del costo evitato) se l'energia elettrica e' prodotta
con nuovi impianti che sfruttano fonti rinnovabili o  assimilate.  Ai
fini  della  legge, sono assimilate alle fonti rinnovabili le fonti o
tecnologie  energetiche  che  consentono  di   realizzare   un   alto
sfruttamento  del combustibile o di recuperare materiali o energia di
scarto (impianti di cogenerazione, impianti che bruciano materiali di
scarto, ecc).
   I provvedimenti CIP n.34/90 e 6/92 hanno stabilito le modalita'  e
i prezzi di vendita del chilowattora all'ENEL da parte dei produttori
terzi.  Una  parte  del  prezzo  pagato  per  l'acquisto dell'energia
elettrica ceduta viene posto a carico dalla "Cassa conguaglio per  il
settore  elettrico",  finanziata  con  il  gettito  proveniente da un
specifico sovrapprezzo.
   La  liberalizzazione  introdotta  riguarda  solo  la produzione di
energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate, che puo' essere,
oltre che autoconsumata, esclusivamente ceduta alla rete pubblica  ma
non  distribuita  o  venduta  ad altri utenti. La legge inoltre offre
un'altra possibilita' di collocamento dell'energia prodotta da  fonti
rinnovabili  o  assimilate,  consentendone  previa autorizzazione del
Ministero  dell'Industria  la  libera  circolazione  all'interno   di
consorzi  industriali  e  societa' consortili, costituiti fra imprese
private,  eventualmente  anche  con  la  partecipazione  di   aziende
pubbliche.  La  legge  10/1991,  inoltre, ha introdotto un sistema di
incentivi  per  gli   impianti   di   cogenerazione,   le   reti   di
teleriscaldamento  e  gli impianti energetici utilizzanti rifiuti. La
realizzazione  di  questi  impianti   e'   incentivata   tramite   la
concessione  di  contributi  fino al 50% dei costi, con un massimo di
300 milioni di lire per progetti esecutivi, nonche' di contributi  in
conto  capitale fino al 30% del costo per impianti di cogenerazione e
al 50% per impianti di teleriscaldamento  che  utilizzino  calore  di
scarto  recuperabile  derivante da processi industriali o da centrali
termoelettriche.
   Gli effetti benefici di questi provvedimenti  non  si  sono  fatti
attendere:   allentati  i  vincoli  del  monopolio  e  introdotte  le
incentivazioni economiche di cui  si  e'  parlato,  molti  produttori
indipendenti  si  sono  accinti  a  vendere  all'ENEL  S.p.A. energia
elettrica prodotta da fonti  rinnovabili  o  assimilate  con  diverse
tipologie di impianti: impianti di tipo congenerativo (circa il 60%),
impianti  che  bruciano  idrocarburi  pesanti  residui  di raffineria
(27%), impianti che  utilizzano  combustibili  di  processo  (11%)  e
impianti  che  sfruttano  fonti  rinnovabili  (3%),  per  una potenza
elettrica  complessiva  di  circa  5300  megawatt,   inseriti   nella
graduatoria  dei  nuovi  impianti,  la  cui  potenza  verra' ritirata
dall'ENEL nei prossimi cinque anni, arco temporale per  la  quale  e'
programmabile l'assorbimento da parte della rete pubblica.
   La  legge  10/91  introduce  misure volte a favorire e incentivare
l'uso  razionale  dell'energia,   il   risparmio   energetico   nella
produzione  e  nell'utilizzo  dei manufatti, la riduzione dei consumi
specifici di energia nei processi produttivi, la rapida  sostituzione
di  impianti  e  macchine,  in particolare nei settori a piu' elevata
intensita'   energetica,   nonche'   l'utilizzazione   delle    fonti
rinnovabili.  Le norme di attuazione emanate o da emanare riguardano:
i  criteri  tecnico-costruttivi  dell'edilizia;   la   progettazione,
l'installazione,  l'esercizio  e  la  manutenzione  degli impianti di
riscaldamento degli  ambienti;  la  certificazione  energetica  degli
edifici;  la certificazione delle caratteristiche energetiche e delle
prestazioni degli edifici,  dei  componenti  degli  edifici  e  degli
impianti di riscaldamento; le infrastrutture e i mezzi di trasporto;
le  gare  di  appalto  rilevanti per la fornitura di beni e/o servizi
all'amministrazione pubblica. Il nuovo dispositivo legislativo intro-
duce norme per  semplificare  il  processo  decisionale  con  criteri
progettuali e realizzativi al passo con il progresso della tecnica.
   Un'altra  importante  novita' e' rappresentata dalle norme volte a
sostituire il sistema di ripartizione delle  spese  di  riscaldamento
negli  edifici  condominiali, basato su una ripartizione millesimale,
con  il  nuovo  sistema  di  contabilizzazione  separata   per   ogni
appartamento,  basato  sugli  effettivi  consumi.  La predisposizione
all'installazione  del   sistema   di   contabilizzazione   e'   resa
obbligatoria  per  gli  edifici di nuova costruzione; per gli edifici
esistenti l'adozione del sistema di  contabilizzazione  e'  agevolata
tramite  la  disposizione  che  attribuisce alla semplice maggioranza
dell'assemblea condominiale la decisione di modificare  l'impianto  e
tramite  la  possibilita'  di  richiedere  un  contributo per i costi
sostenuti o in alternativa la  defiscalizzazione  di  parte  di  tali
oneri.
   La  legge  rende  inoltre  obbligatoria  la presenza di un tecnico
responsabile per la  conservazione  e  l'uso  razionale  dell'energia
presso i soggetti operanti nei settori industriale, civile, terziario
e  dei  trasporti,  che  consumano  annualmente  energia in quantita'
superiore a determinati valori.
   E' inoltre prevista la concessione di contributi in conto capitale
dal 20 al 40% per i seguenti interventi: coibentazione degli  edifici
per  migliorare  la  climatizzazione degli ambienti; installazione di
generatori di calore ad alto rendimento; pompe di calore  o  impianti
utilizzanti fonti rinnovabili per il riscaldamento degli ambienti e/o
dell'acqua  calda;  impianti  fotovoltaici;  cogenerazione di energia
elettrica e calore; sistemi di illuminazione ad alto rendimento.  Per
realizzare o modificare impianti nei settori industriale, artigianale
e  terziario e del trasporto fluviale di merci, al fine di realizzare
gli obiettivi posti alla base della  legge,  i  contributi  in  conto
capitale possono arrivare al 30% dei costi.
   Per  la effettuazione degli interventi, la legge 10/1991 prevedeva
un finanziamento di 2.600 miliardi di lire da utilizzare  negli  anni
1991-1993.   Successivamente,   a   seguito   dell'aggravarsi   della
situazione economica del paese, i finanziamenti sono in  buona  parte
slittati  sugli anni 1994-1996, assegnando agli anni 1991 e 1992 solo
764 miliardi di lire e 10 miliardi per il 1993. La legge  finanziaria
1994  prevede  una  ulteriore  rimodulazione al 1997 ed una riduzione
degli stanziamenti pari a circa 130 miliardi.
   La legge 10/1991  incentiva  anche  le  azioni  del  risparmio  di
energia  negli usi domestici, prevedendo la detraibilita' dal reddito
delle abitazioni delle spese sostenute per realizzare il risparmio di
energia in dette unita' immobiliari. Ai fini dell'imposta sul reddito
la spesa puo' essere detratta dall'imponibile per una quota  del  50%
suddivisa    in    due    anni.   Alle   minori   entrate   derivanti
dall'applicazione  di  queste  disposizioni  si   provvede   mediante
l'utilizzo   di  una  quota  del  gettito  del  sovrapprezzo  termico
applicato alla tariffa elettrica. Un'ulteriore novita' della legge e'
l'istituzione del marchio "risparmio energetico" per  gli  apparecchi
domestici ed i dispositivi di illuminazione ad alto rendimento.
   Per   conseguire   gli   obiettivi   di  protezione  dell'ambiente
atmosferico  e  di  stabilizzazione  delle  emissioni  nazionali   di
anidride carbonica, precedentemente indicati, altre misure si rendono
necessarie, che in parte rappresentano il rafforzamento di iniziative
gia' in corso.
   Tra  gli strumenti miranti a promuovere investimenti, il programma
di diagnosi e' risultato  molto  efficace  per  le  piccole  e  medie
industrie:  circa  un terzo degli interventi, individuati nell'ambito
del programma finanziato interamente dalla  Comunita'  Europea,  sono
stati  realizzati. Le diagnosi non costano molto rispetto all'entita'
dell'investimento  e  al  valore   del   risparmio   conseguito   con
l'intervento.  Lo sviluppo successivo consiste nella realizzazione di
modelli energetici di riferimento per i singoli processi produttivi.
E'  auspicabile  che  lo  strumento  possa  essere  ancora  sfruttato
attraverso  i  "centri  di consulenza energetica integrata" istituiti
dall'ENEA.
   Il contributo in conto capitale forse e' stato, fino ad  oggi,  lo
strumento   finanziario  piu'  utilizzato  nel  campo  del  risparmio
energetico. Per sua natura puo' essere applicato a  diversi  tipi  di
interventi,  grandi  e piccoli. Nell'attuale situazione della finanza
pubblica, questo strumento, almeno nella forma  attuale,  rischia  di
essere troppo oneroso per lo Stato.
   Il third party financing, inteso come un prestito con il pagamento
di   interessi  e  capitale  in  funzione  del  risparmio  energetico
effettivo, non ha grande successo soprattutto per la  difficolta'  di
contabilizzare  il  risparmio  energetico.  Anche la complessita' del
contratto  rappresenta  un  ostacolo  importante.  E'  uno  strumento
utilizzato  spesso in altri paesi per la realizzazione di impianti di
cogenerazione  di  piccola  taglia.   Poiche'   esso   non   richiede
l'intervento  e  fondi  dello  Stato,  e'  auspicabile che esso possa
trovare  maggiori  applicazioni  in  Italia,   magari   tramite   una
semplificazione delle clausole contrattuali e il coinvolgimento delle
societa'  di  distribuzione  di  energia, che potrebbero includere il
servizio finanziario in questione tra i servizi forniti agli utenti.
   Un altro strumento attivabile e' il fondo di garanzia di  prestiti
per   investimenti  di  medie-grandi  dimensioni  nell'uso  razionale
dell'energia  che  potrebbe  favorire la diffusione  del  project fi-
nancing, che consente di separare gli aspetti  finanziari  da  quelli
economici nella realizzazione di investimenti sul settore energetico.
   Negli ultimi anni, al fine di accelerare l'attuazione di misure di
protezione  ambientale e/o di mettere in atto iniziative di risparmio
energetico, e' stata adottata la formula degli accordi  di  programma
tra  il Ministro dell'ambiente e/o del Ministro dell'Industria da una
parte e grandi gruppi imprenditoriali privati o pubblici.
   Pochi sono gli strumenti per la qualificazione dei dispositivi  di
uso finale dell'energia finora utilizzati in Italia; in sostanza solo
l'etichettatura  dei  forni  elettrici  e  l'elenco comparativo degli
elettrodomestici. Detti strumenti sono  basati  su  diversi  tipi  di
informazioni e sono complementari tra loro.
   Lo   standard   di   efficienza   energetica  minima  obbligatoria
introdotto negli ultimi anni negli USA e  in  Canada  per  tutti  gli
elettrodomestici,  le caldaie, i condizionatori, i motori elettrici e
i sistemi di illuminazione, ha avuto una applicazione molto  limitata
in Europa: solo alle caldaie. L'Europa occidentale sembra muoversi in
un'altra  ottica,  quella  di introdurre premi volontari per gli alti
livelli di efficienza, insieme ad un possibile standard di efficienza
energetica minima obbligatoria ma non molto severa.
   Maggiore e' stato finora l'impegno italiano  sugli  strumenti  per
modificare  i comportamenti e accelerare l'accettazione dei prodotti.
L'ENEA ha messo a punto la banca  dati  ATHOS,  attualmente  la  piu'
grande tra i paesi dell'OCSE, che contiene una descrizione tecnica di
circa  7.000  prodotti  e materiali commercializzati in Italia. Altri
strumenti  importanti nel campo dell'informazione sono: la banca dati
CADDET di progetti dimostrativi, la  rivista  "Risparmio  Energetico"
con  circa  15.000  lettori  prevalentemente di aziende industriali e
diversi manuali tecnici. Inoltre l'ENEA ha sviluppato una rete di  16
Centri  di  Consulenza  Energetica Integrata (CCEI), proprio per dare
informazione e assistenza tecnica anche alle piccole e medie  aziende
industriali.  In una indagine ad hoc, un'alta percentuale di aziende,
circa  il  14%  hanno  dichiarato  di  avere  realizzato   interventi
suggeriti dalla rivista "Risparmio Energetico". Per quanto riguarda i
CCEI,   nell'ultimo   anno   hanno  risposto  a  4.500  richieste  di
informazione.
   La formazione per molti aspetti e'  simile  all'informazione,  nel
senso  che  e'  necessaria  ma  insufficiente  da  sola.  Infatti per
l'industria si e' avuto piu' successo  con  i  corsi,  destinati  tra
l'altro   alla   formazione   degli   energy  manager,  in  cui  c'e'
un'integrazione con altri strumenti come le diagnosi energetiche.
   Per quanto riguarda l'accelerazione degli interventi di  risparmio
energetico  di  piccola/media  dimensione attraverso l'incentivazione
finanziaria, gli strumenti  tradizionali  -  i  contributi  in  conto
interesse  e in conto capitale - sono spesso impraticabili. In questi
casi, la soluzione preferibile puo'  essere  la  detrazione  fiscale,
introdotta  per la prima volta con la legge 10/91. Strumento semplice
ed automatico, sostanzialmente privo di costi amministrativi. Fino ad
oggi non  si  dispone  di  dati  sull'effettivo  utilizzo  di  questo
strumento  e  si  ha  l'impressione  che esso sia poco noto al grande
pubblico,  malgrado  la  sua  inclusione  nel  modello  740  per   la
dichiarazione dei redditi. E' pertanto utile studiare la possibilita'
di  introdurre aggiustamenti per rendere lo strumento piu' efficace e
flessibile.
   Per quanto riguarda i prodotti/sistemi per  il  settore  pubblico,
uno   dei   problemi   e'  proprio  quello  di  rendere  piu'  facile
l'impostazione delle gare di appalto di servizi  energetici,  inclusi
quelli   di   diagnosi   energetica,   studi  di  fattibilita'  e  la
ristrutturazione tecnologica e relativi servizi  finanziari.  Inoltre
questi  inviti  di  gara  e  relativi  capitolati  devono  pienamente
riflettere la nuova normativa delle leggi n. 9/91 e n.  10/91,  delle
nuove leggi nazionali e comunitarie in materia di gare pubbliche.
   Un  altro strumento fondamentale per il settore pubblico e' quello
della pianificazione energetica regionale. I piani sono piu' efficaci
quando sono integrati con altri piani operativi (piani urbani per  il
traffico,  piano  rifiuti,  ecc.),  quando  sono  previsti  strumenti
finanziari nel piano stesso e quando sono indicate alcune azioni con-
crete  a  breve  termine.  Purtroppo  non  tutte  le  Regioni   hanno
l'esperienza   e/o   i   mezzi   per   realizzare   questo   tipo  di
pianificazione; infatti sono  pochi  i  piani  che  sono  stati  resi
operativi.
   Per  quanto  concerne  il  difficile  problema  di  raggiungere il
mercato piu' diffuso, piu' frammentario - quello delle  abitazioni  e
del  piccolo/medio  terziario  -  esiste  un coinvolgimento crescente
delle aziende energetiche nei programmi di  risparmio  energetico  in
tutto  il  mondo.  In  Italia,  l'ENEL  ha  avuto  alcune  esperienze
nell'introduzione   di   misure   per   il   risparmio   di   energia
(installazione  di  scalda-acqua  solari  e pompe di calore per acqua
calda). Il metodo di finanziamento utilizzato, il  pagamento  rateale
degli   interventi   attraverso   la  bolletta,  puo'  facilitare  la
partecipazione delle famiglie e delle piccole  aziende.  L'esperienza
indica  anche  che  l'iniziativa  e'  piu' efficace quando il tipo di
intervento finanziario offre una buona economicita'.
   Per  quanto  riguarda  il  settore  elettrico   il   processo   di
privatizzazione  dell'ENEL  comportera' una modifica sia dei rapporti
tra Amministrazione ed ENEL, che saranno regolati sulla base  di  una
concessione,  sia  delle  modalita', di determinazione delle tariffe,
che saranno aggiornate, con il metodo del price-cap, da una Autorita'
sulla base di contratti di programma  stipulati  dall'Amministrazione
con  l'ENEL.  Tale  evoluzione  del  settore richiede una preliminare
azione governativa, nell'ambito delle deleghe previste dalla legge di
accompagnamento alla finanziaria '94, sia di individuazioni di  ruoli
e   compiti  dell'autorita'  sia  di  razionalizzazione  del  sistema
tariffario.
   Infine, si ritiene opportuno citare alcuni dei principali ostacoli
che sussistono per il raggiungimento dell'alta efficienza  energetica
e dell'utilizzo delle fonti rinnovabili:
- distorsione dei prezzi dei prodotti/servizi energetici;
- insufficiente informazione;
-  piu'  alto  rendimento  richiesto  del  capitale  riguardante  gli
investimenti nella  gestione  della  domanda  (risparmio  energetico)
rispetto a quello della produzione di energia;
-  persistente  carenza  dell'integrazione  effettiva  tra  domanda e
offerta, per quanto riguarda utenti di piccola e media dimensione;
- piu' elevato costo del capitale per le famiglie rispetto  a  quello
delle "utilities" e degli enti locali;
-  considerazione  non  prioritaria  dell'uso  razionale dell'energia
rispetto  alle  altre  caratteristiche  prestazionali  di   un   dato
prodotto;
- estrema frammentazione del potenziale mercato;
- barriere istituzionali e vischiosita' procedurali.
Le   azioni   specifiche,   mirate  al  risparmio  di  energia  e  al
contenimento dei consumi di combustibile ad alto tenore di  carbonio,
saranno  approfondite in sede di approvazione del Programma nazionale
per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica,  al  quale
si rimanda.
1.4.2 Politiche ambientali che incidono sul settore energetico
   Le  politiche  ambientali  che in Italia incidono maggiormente sul
settore energetico hanno un'origine recente, successiva alla legge  8
luglio 1986 n. 349, istitutiva del Ministero dell'ambiente. Il quadro
legislativo   e   normativo   e'   stato   fortemente   innovato  con
l'introduzione nell'ordinamento nazionale delle disposizioni relative
ai valori limite per le emissioni di inquinanti dell'aria da sorgenti
fisse e della procedura di valutazione  di  impatto  ambientale  (sia
pure  nella  forma transitoria attualmente in vigore), nonche' con il
recepimento di una  serie  di  direttive  comunitarie  e  di  impegni
assunti  a  livello  internazionale  per  la  lotta  all'inquinamento
atmosferico.
   Nel 1988 l'adozione del pacchetto di direttive  comunitarie  rela-
tive   al   controllo   dell'inquinamento   atmosferico   di  origine
industriale e alla  protezione  della  qualita'  dell'aria  e'  stata
l'occasione  per  aggiornare  e  rafforzare  il quadro legislativo. I
miglioramenti introdotti sono stati molto importanti; in  particolare
le linee guida relative ai limiti di emissione per varie categorie di
impianti sono state approvate nel 1990, con riferimento agli impianti
esistenti.
   Per  quanto  riguarda  la  limitazione  delle  emissioni da grandi
impianti di combustione, la direttiva comunitaria n. 609/88 e'  stata
adottata  con  un  decreto  del  Ministro dell'ambiente dell'8 maggio
1989. Per le centrali termoelettriche il decreto ha introdotto limiti
che, per taluni aspetti ed in particolare per le emissioni di  ossidi
di  azoto,  sono  piu'  severi di quelli della direttiva comunitaria.
Importanti risultati sono stati gia' raggiunti nella riduzione  delle
emissioni  del  biossido  di  zolfo  dalle  centrali termoelettriche,
attraverso l'aumento dell'uso di gas naturale e di olio  combustibile
a basso contenuto di zolfo.
   La posizione italiana si e' andata allineando con quella dei paesi
che adottano politiche dei protezione dell'ambiente piu' vigorose.
   Gli  impianti  energetici  sottoposti  a  procedura di valutazione
d'impatto ambientale (VIA) sono i seguenti: le raffinerie di petrolio
greggio e gli impianti di gassificazione e di liquefazione di  almeno
500 tonnellate al giorno di carbone; le centrali termiche e gli altri
impianti  di  combustione con potenza termica di almeno 300 megawatt,
nonche' le centrali nucleari; gli impianti destinati allo  stoccaggio
definitivo o alla eliminazione definitiva dei residui radioattivi; le
dighe  per impianti idroelettrici di altezza superiore a 10 metri e/o
capacita' superiore a 100.000 metri cubi. Sono sottoposte a  giudizio
anche  le modifiche sostanziali dei citati impianti, con l'esclusione
dei   progetti   di    risanamento    ambientale    delle    centrali
termoelettriche, anche se accompagnati da ripotenziamento.
   Le  norme  tecniche  per  la  redazione  degli  studi  di  impatto
ambientale e la formulazione  del  giudizio  di  compatibilita'  sono
dettate  da  un  DPCM  del 27 dicembre 1988. L'allegato IV al decreto
regolamenta la procedura per le centrali termoelettriche  o  turbogas
dell'ENEL.
   Nella   citata   normativa   viene  introdotto  anche  il  sistema
dell'inchiesta  pubblica,   novita'   assoluta   nella   legislazione
italiana,  che  ha  luogo  nel comune in cui e' proposta l'ubicazione
della centrale. L'inchiesta e' condotta e presieduta da un magistrato
coadiuvato da esperti  nominati  dal  Ministero  dell'ambiente  e  da
regione, provincia e comune interessati per territorio. All'inchiesta
chiunque  puo'  presentare memorie scritte cui l'azienda elettrica ha
il diritto di presentare osservazioni.  L'istruttoria  tecnica  viene
condotta  dalla  Commissione per la Valutazione di Impatto Ambientale
del Ministero dell'ambiente, tenendo conto dei pareri espressi da  un
certo   numero   di   ministeri  (Sanita',  Lavori  Pubblici  e  Beni
Culturali), dalla regione, dalla  provincia  e  dal  comune,  nonche'
degli  esiti dell'inchiesta pubblica. La procedura si conclude con il
giudizio sulla compatibilita' ambientale del  progetto  espresso  dal
Ministro dell'ambiente.
   Infine,   la   legge  9/1991  ha  previsto  che  le  attivita'  di
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e gli elettrodotti
ad alta tensione siano assoggettati  al  giudizio  di  compatibilita'
ambientale,  nei  limiti e con le procedure stabilite dalla normativa
vigente.
1.4.3 Attivita' di ricerca e sviluppo
   Le  attivita'  di  ricerca,  sviluppo  e dimostrazione nel settore
dell'energia,  in  corso   o   programmate,   sono   prioritariamente
finalizzate  al  miglioramento dell'efficienza nella produzione e uso
dell'energia e all'innovazione  tecnologica  nel  campo  delle  fonti
rinnovabili di energia.
   In particolare, si segnalano le seguenti linee di azione:
-  innovazione  di  prodotti  e  di  processi  produttivi  al fine di
conseguire un  aumento  dell'efficienza  negli  usi  di  energia  nei
settori industriale e domestico-terziario;
-  sviluppo  e  qualificazione  di metodi di progettazione edilizia a
basso consumo energetico, che sfrutti contributi solari  e  di  altre
fonti rinnovabili al confort ambientale;
-   messa   a   punto  di  strumenti  informatici  e  telematici  per
l'informazione e il controllo degli usi di energia nelle abitazioni e
negli uffici;
- sviluppo di componenti per l'edilizia, quali ad  esempio  pompe  di
calore ad assorbimento che utilizzino fluidi refrigeranti non dannosi
per lo scudo stratosferico di ozono;
-  sviluppo di tecnologie destinate all'aumento dell'efficienza nella
produzione elettrica (celle a combustibile, cicli combinati avanzati,
ecc.), con particolare riferimento  ai  materiali  e  alla  vita  dei
componenti;
-  tecnologie innovative nei processi di combustione finalizzate alla
riduzione delle emissioni inquinanti;
-  sviluppo  di  tecnologie  solari  fotovoltaiche  e  dei   relativi
componenti e sistemi applicativi;
-  sviluppo  di  componenti  e  sistemi  di  tipo  innovativo  per lo
sfruttamento  dell'energia  eolica,   con   particolare   riferimento
all'affidabilita' e al rendimento delle macchine.


     ---->  Vedere tabelle da pag. 37 a pag. 38 del S.O.  <----



2  INDUSTRIA
2.1. Quadro di riferimento
   L'ambiente  e'  diventato  il nuovo valore positivo di riferimento
delle politiche nazionali di sviluppo dei  paesi  industrializzati  e
delle  politiche  e  dei  negoziati internazionali, in particolare di
quelli riguardanti la cooperazione ed il trasferimento di  tecnologie
tra  il  Nord  ed  il  Sud e l'Ovest e l'Est del pianeta, sempre piu'
influenzati da criteri di compatibilita' ambientale  (come,  tra  gli
altri,   autorevolmente   evidenziato  dalla  World  Bank  nella  sua
relazione 1991). E' inoltre in crescita  l'interesse  industriale  ad
una   politica   economica  di  settore  integrante  l'ambiente  come
componente di primaria importanza, anche attraverso il coinvolgimento
dell'industria  medesima  nel  processo  decisionale  della  politica
ambientale.
   In  particolare, il trattato sull'Unione Europea del febbraio 1992
pone  come  obiettivo  prioritario  la  promozione  di  una  crescita
sostenibile  ed  inserisce tra le azioni degli stati membri l'impegno
politico per la tutela dell'ambiente. In  tal  senso  ha  operato  la
Commissione   delle  Comunita'  Europee  che,  nel  giugno  1992,  ha
approvato un programma politico e di azione per una nuova strategia e
per  interventi  nei   settori   economici   chiave   dell'industria,
dell'energia, dei trasporti, dell'agricoltura e del turismo.
   Secondo   recenti   ed  attendibili  indagini  condotte  su  scala
mondiale, molte grandi imprese investono fino  al  2-3%  del  proprio
fatturato   in   azioni   di   strategia  industriale  integrata  con
l'ambiente; queste quote sono destinate a raddoppiare entro il  2000.
A cio' hanno certo debitamente contribuito:
   -   i   piu'  efficaci  sistemi  di  regolamentazione  adottati  a
protezione dell'ambiente;
   - la crescita della coscienza ambientale nella pubblica opinione;
   - l'abbandono di una diffusa attitudine  difensiva  dell'industria
nei  confronti dell'ambiente ed il progressivo espandersi di una piu'
ragionata  logica  di  pensiero  imprenditoriale  per  cui:  (a)   la
produzione  innovata  in  funzione  ambientale rientra pienamente nel
modo di agire del sistema industriale; (b) il costo degli  interventi
a  valle per il controllo delle emissioni di processo non e' piu' una
variabile incontrollabile ed irrecuperabile ma diventa una  variabile
legata  agli investimenti per migliori prodotti e processi produttivi
(e quindi con prospettive di ritorno economico ed uso pratico a  fini
commerciali, di comunicazione e di immagine).
   Molteplici iniziative sono state concretamente assunte per ridurre
i rischi delle attivita' industriali per l'ambiente e la salute e non
mancano documentati successi rilevanti, in termini di riduzione delle
emissioni e dei rifiuti dei cicli produttivi, talvolta ottenuti anche
in  tempi relativamente brevi (ad esempio, il programma "33/50" negli
Stati Uniti, il sistema  della  "cura  responsabile"  adottato  dalle
industrie chimiche in Giappone, l'informazione sul rischio ambientale
delle sostanze chimiche svolta in Germania).
   E'  inoltre in espansione a partire dalla seconda meta' degli anni
Ottanta il numero di prodotti piu' compatibili con l'ambiente  ed  in
grado  di richiamare l'attenzione dei consumatori piu' attenti. Anche
se questi prodotti costituiscono  tuttora  un'esigua  frazione  delle
merci  disponibili  sul  mercato,  il  loro  incremento  consente  di
intravvedere una linea di tendenza piu' attenta  alla  compatibilita'
tra  produzione  ed  uso  del  prodotto  e l'ambiente che, per quanto
ancora lungi dall'essere omogenea nei diversi settori  industriali  e
Paesi, puo' essere considerata irreversibile.
2.1.1  Struttura,  produzione  ed  impatto  ambientale dell'industria
nazionale
   In Italia l'industria manufatturiera ha una  struttura  fortemente
articolata  e  diversificata,  in  termini  di  numero e natura delle
branche produttive e di dimensioni e  tipologia  (privato,  pubblico,
misto)  delle  imprese. Il 7 censimento delle industrie e dei servizi
ha rilevato, all'ottobre 1991, per l'industria:
   - circa 827.000 unita' locali (di cui il 61% nel Nord, il 20%  nel
Centro ed il 19% nel Sud e nelle Isole);
   - circa 6.350.000 addetti (con medie di 8,2 addetti per unita' lo-
cale nel Nord, di 6,9 nel Centro e di 6,8 nel Sud e nelle Isole).
   L'industria  italiana,  la  cui  produzione segue nel complesso le
tendenze alla crescita o alla contrazione del mercato  internazionale
ha  contribuito nel 1990, secondo stime OCSE, nella misura del 33% al
PIL. Nel prospetto seguente sono riportati, per il periodo 1970-1992,
gli indici di produzione generale per  alcune  industrie  selezionate
per il loro rilievo economico e l'impatto sull'ambiente.
Indice                   1970    1975    1980    1985    1990    1992
Generale                   74      79     103     100     118     114
- chimica                  54      67      90     100     117     111
- raffinerie petroli        -     138     129     100     119     123
- siderurgia               78     115     139     100     109     105
- carta                    74      79     103     100     118     114
- macchine elettriche      67      78      99     100     120     112
- autoveicoli               -      88     110     100     135     106
- cave                      -       -      96     100     116       -
   Rilevante  e',  in  termini  di  rifiuti  ed  emissioni, l'impatto
dell'industria sull'ambiente, quantificato nella 2a  Relazione  sullo
Stato dell'Ambiente in:
   - circa 34,6 milioni t di rifiuti generati nel 1991 (circa 35% del
totale) di cui 3,2 milioni t di rifiuti tossici e nocivi;
   - circa 758.000 t di anidride solforosa (38% del totale di origine
antropica e naturale), 320.000 t di ossidi di azoto (17% del totale),
616.000 t di composti organici volatili non metanici (31%), 826.000 t
di monossido di carbonio (12%), 289.000 t di particelle sospese (53%)
e  168.000.000  t  di  anidride  carbonica  (37%) emesse dai processi
produttivi e di combustione industriali, delle raffinerie di petrolio
e dalle operazioni che  comportano  l'evaporazione  di  solventi  nel
1989.
2.1.2 Effetti delle politiche e dei vincoli ambientali sull'industria
   Di  fronte  ai  problemi  ed  ai vincoli ambientali consolidati ed
emergenti le grandi imprese dispongono, almeno potenzialmente,  della
struttura  e delle capacita' richieste per inserire la gestione degli
aspetti ambientali nelle decisioni e nelle  azioni  manageriali.  Per
contro,  alle  piccole  aziende mancano, con le debite eccezioni, gli
strumenti organizzativi e finanziari richiesti e fattori economici ed
organizzativi di rilievo si oppongono seriamente al trasferimento  ad
esse di tecnologie, conoscenze tecniche ed informazioni.
   E'  doveroso  ricordare  che  gli effetti delle misure di politica
ambientale conseguenti a convenzioni  ed  accordi  internazionali  si
fanno  gia'  sentire sull'industria e le tecnologie nazionali e sulla
bilancia dei pagamenti. Nel settore delle  tecnologie  ambientali  di
abbattimento   a   valle  dei  processi  produttivi,  ad  esempio,  i
protocolli e le direttive riguardanti la riduzione delle emissioni di
anidride solforosa e di ossidi  di  azoto  comportano  una  spesa  di
8000-10000  miliardi  di  lire  per  importare  dalla  Germania e dal
Giappone  le  tecnologie  richieste  per  la  desolforazione   e   la
denitrificazione nei cicli produttivi industriali e dell'energia. Ne'
minore   e'  stimato,  nel  settore  delle  tecnologie  piu'  pulite,
l'esborso   dell'industria   dell'auto   nazionale   per    acquisire
dall'industria   tedesca   i  dispositivi  catalitici  necessari  per
adeguare  le  emissioni  degli   autoveicoli   agli   standard   piu'
restrittivi  stabiliti  dalle  direttive  comunitarie. A questi costi
vanno aggiunti inoltre quelli dei mancati guadagni  risultanti  dalla
mancanza  delle tecnologie che sono importate in Italia in seguito ai
mancati  investimenti  a  fini  ambientali  da  parte  dell'industria
nazionale.
   Non  e' infine difficile immaginare che gli obiettivi e gli stand-
ard di qualita' ambientale di  cicli  di  produzione  e  di  prodotti
saranno  di  fatto determinati dalle migliori tecnologie disponibili,
anche indipendentemente dalle norme in vigore, e sara' rafforzata  la
tendenza  in  atto  per  cui  gli  standard  ambientali sono di fatto
determinati dalla pressione ambientalistica e dalla nuova concorrenza
sui mercati risultante dall'introduzione del  fattore  ambiente  come
criterio di selezione dei prodotti.
   Se  dunque  produzioni  e  prodotti non compatibili con l'ambiente
sono  in  prospettiva  destinati  a  diventare  non  competitivi  sul
mercato,  e' interesse urgente dell'Italia di integrare finalmente le
politiche ambientali ed  industriali  in  una  reale  prospettiva  di
sviluppo sostenibile.
   In  linea  con  l'auspicata  progressiva sostituzione, nel seguito
discussa,  del  principio  chi-inquina-paga  con  il  principio   la-
prevenzione-paga,  si  sottolinea  la  necessita'  di favorire, da un
lato, lo sviluppo, basato sull'efficacia  dei  costi,  di  tecnologie
ambientali   per   il   controllo   dell'inquinamento  ambientale  e,
dall'altro e con  impegni  in  prospettiva  crescenti,  di  sostenere
l'innovazione tecnologica per produzioni e prodotti piu' puliti ed il
risparmio di materie prime ed energia di processo.
   La  nuova  competizione sul mercato, determinata dall'introduzione
dei fattori ambientali tra quelli che concorrono all'affermazione  di
un  prodotto,  rende  inoltre  necessaria  l'adozione  di procedure e
standard di valutazione dell'impatto ambientale. Tra le varie opzioni
possibili quella della valutazione del ciclo  di  vita  del  prodotto
(dalla   produzione,  alla  distribuzione,  all'uso  ed  infine  allo
smaltimento) puo' essere ritenuta  la  piu'  valida  e  destinata  ad
assumere, in Italia come altrove, una crescente importanza.
2.2  Ruolo dell'industria e delle amministrazioni nell'Agenda 21
   L'industria  e'  essenziale per la produzione di beni e servizi ed
e' una fonte principale di reddito ed  occupazione  ed  al  contempo,
quale utilizzatrice di risorse naturali e materie prime, ha un grande
impatto  sull'ambiente.  Il  suo  ruolo  nei confronti dello sviluppo
sostenibile e' esplicitamente riconosciuto nell'Agenda  21  (capitolo
30: Strenghtening the role of business and industry) dove si afferma,
tra l'altro:
   - "...attraverso processi produttivi piu' efficienti, strategie di
prevenzione,  tecnologie e pratiche piu' pulite nel ciclo di vita del
prodotto, quindi riducendo o eliminando i rifiuti di lavorazione,....
 ..l'industria puo' giocare un ruolo primario nella  riduzione  degli
impatti sull'ambiente e l'uso delle risorse naturali...;
   -  ...l'industria dovrebbe riconoscere la gestione ambientale come
una delle massime priorita' ed una chiave determinante allo  sviluppo
sostenibile...;
   -   ...un  contributo  positivo  dell'industria...  allo  sviluppo
sostenibile puo' essere sempre  piu'  realizzato  mediante  l'uso  di
strumenti  economici  quali i meccanismi del libero mercato, in cui i
prezzi dei beni e dei servizi dovrebbero  sempre  piu'  riflettere  i
costi  ambientali  delle  materie prime, della produzione, dell'uso e
dello smaltimento...".
   Sono  a  tali  fini  identificati  i  seguenti  obiettivi  al  cui
raggiungimento  sono  chiamate  a  collaborare,  ciascuna  per le sue
competenze, l'industria ed il Governo:
   -  "...aumentare  l'efficienza  di  uso  delle  risorse,   incluso
l'incremento  del riuso e riciclo dei residui, e ridurre la quantita'
di rifiuti generati per unita' di prodotto...;
   -  ...incoraggiare...  il  corretto uso delle risorse naturali...,
aumentare  il  numero  di  imprenditori  impegnati  in  imprese   che
praticano politiche di sviluppo sostenibili".
   Varie    linee   di   azione   sono   individuate   per   superare
progressivamente i danni all'ambiente risultanti, in ultima  analisi,
da  una  ridotta  efficienza  nell'uso  delle  risorse  naturali e da
un'imprenditorialita' nel complesso  non  responsabile  come  sarebbe
richiesto. Tra le altre:
   - "...incoraggiare l'industria a riferire... sull'uso dell'energia
e   delle   risorse   naturali...   sull'adempimento   di  codici  di
comportamento e  la  promozione  delle  tecnologie  e  pratiche  piu'
favorevoli per l'ambiente...;
   -  ...inserimento  da  parte  dell'industria  degli elementi delle
politiche delle tecnologie pulite nelle proprie  operazioni  e  negli
investimenti,  tenendo  conto  anche  dell'influenza  su  fornitori e
consumatori...; ...costituzione di consigli nazionali per lo sviluppo
sostenibile; ...promozione della gestione responsabile  ed  etica  di
prodotti  e  processi sotto gli aspetti dell'ambiente, della salute e
della sicurezza...;
   -  ...promozione  da  parte   dei   governi   della   cooperazione
tecnologica... tra le imprese ...sulle tecnologie pulite; ...supporto
alla  formazione professionale in materia di aspetti ambientali della
conduzione delle imprese; ...promozione, in accordo con  l'industria,
di progetti finanziati per lo sviluppo sostenibile".
   Il  ruolo  e  le responsabilita' delle amministrazioni degli stati
sono in varie occasioni ed in vari modi esplicitate  nell'Agenda  21.
Si  richiamano  qui  le  azioni  ad  esse  richieste  per  sviluppare
politiche e strategie nazionali mirate ad un consumo piu' sostenibile
(capitolo 4: Changing consumption patterns):
   - "...incoraggiare una maggiore efficienza nell'uso delle  risorse
naturali...  intensificando,  in  cooperazione  con  l'industria, gli
sforzi  per...  diffondere  le  tecnologie  favorevoli   all'ambiente
esistenti,   promuovere   la   ricerca   e   lo  sviluppo  per  nuove
tecnologie... promuovere l'uso sostenibile di risorse rinnovabili...;
   -  ...intensificare,  in  cooperazione  con   l'industria   ed   i
cittadini,  la  riduzione  dei  rifiuti  generati ...incoraggiando il
riciclo nei processi produttivi e da parte dei consumatori, riducendo
gli imballaggi dei prodotti, sostenendo  l'introduzione  di  prodotti
piu' compatibili con l'ambiente...;
   -   ...assistere   i  cittadini  e  le  famiglie  nelle  decisioni
d'acquisto di prodotti  piu'  favorevoli  all'ambiente...  informando
regolarmente  i consumatori sull'impatto dei prodotti sull'ambiente e
sulla salute e sulle conseguenze delle loro scelte...".
2.3.  Strategia e obiettivi nazionali
2.3.1  Nuovi indirizzi di politica industriale integrata con
       l'ambiente
   Delle due possibili opzioni per  affrontare  l'impatto  ambientale
delle  attivita'  del  settore  dell'industria  come in altri settori
chiave (energia, trasporto, agricoltura,  turismo),  cura  del  danno
all'ambiente  o  sua  prevenzione,  quella della cura e' stata finora
prevalentemente adottata, con  risultati  nel  complesso  modesti  in
tutti i settori citati.
   Il   principio   chi-inquina-paga  finora  prevalente,  mirato  ad
incoraggiare gli inquinatori ad internalizzare i costi dell'uso e del
degrado delle risorse naturali ed a coprire in generale i costi della
lotta all'inquinamento sotto forma di tasse e canoni, conserva la sua
validita', come ancora recentemente riaffermato nelle sedi autorevoli
della CEE  e  dell'OCSE.  Tuttavia  questo  principio  e  l'indirizzo
strategico  della cura, per quanto si voglia e si possa giustificarne
l'adozione con motivi  contingenti,  si  sono  dimostrati  ampiamente
insufficienti  a  contrastare i complessi meccanismi che portano alla
creazione di un debito ambientale  ed  al  suo  trasferimento  da  un
settore  di  attivita'  ad  un  altro,  da  una  risorsa  naturale ad
un'altra, da una generazione ad un'altra.
   Ricordando che il cambiamento richiede tempo e risorse per  essere
attuato,  e' dunque necessario modificare l'indirizzo dell'intervento
riparatorio  finora  dominante   in   ogni   settore   di   attivita'
identificando  obiettivi,  azioni  e  strumenti  che  privilegino  la
prevenzione  del   danno   all'ambiente   causate   dalle   attivita'
economiche, e tra queste dalle attivita' industriali.
   Il  cambiamento  nell'indirizzo  strategico  puo' essere avviato e
gestito  in  una  prospettiva  di  medio  termine  con   l'estensione
all'industria  del  meccanismo di programmazione settoriale integrata
con l'ambiente, finora  adottato  su  scala  nazionale  solo  per  il
settore  dell'energia  (Piano Nazionale Energetico, 1988). I problemi
ambientali e di gestione delle risorse naturali debbono essere quindi
considerati  in  un  contesto  di  politica   settoriale   integrata,
ricorrendo  ad un approccio olistico nell'ideare strumenti strategici
di politica ambientali.
   I soggetti interessati al raggiungimento degli obiettivi  ed  alle
azioni  a  tal  fine  necessarie  sono principalmente l'industria, la
pubblica amministrazione ed i consumatori. In generale  all'industria
viene  richiesto  di  applicare  concretamente  le  proprie capacita'
organizzative, progettuali e gestionali per:
   - prevenire la  generazione  di  emissioni  gassose,  effluenti  e
rifiuti  di  processo  con  priorita' assegnata a misure di riduzione
dell'inquinamento  alla  fonte  e  di  riciclo  e  riuso  di  residui
derivanti da cicli di produzione o da cicli di consumo;
   -  estendere  le  pratiche operative e le misure volte ad ottenere
prodotti piu' compatibili con l'ambiente quali l'analisi del ciclo di
vita, l'audit ambientale, l'etichettatura ecologica, ecc.;
   - sviluppare tecnologie (a costi compatibili con il  mercato)  per
ottenere processi a minore impatto ambientale e prodotti piu' puliti,
durevoli e riciclabili;
   -  risparmiare  materie  prime  e  risorse  di  processo (energia,
acqua).

             PIANO NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
                    IN ATTUAZIONE DELL'AGENDA 21


   Alla  pubblica  amministrazione  si  richiede,  oltre  ai  compiti
istituzionali  di  formulazione  e  controllo delle norme, di operare
per:
   - promuovere ed estendere la collaborazione con l'industria  sulla
base degli accordi di programma;
   -  responsabilizzare  il cittadino con l'informazione trasparente,
l'educazione scolastica e la formazione professionale;
   -  incentivare  il  raggiungimento  da  parte  delle  imprese   di
obiettivi  piu'  ampi  o  in  tempi  piu'  brevi  rispetto  a  quelli
prestabiliti dalla normativa.
   Di  primaria  importanza  e'  il  ruolo  dei  cittadini  che  piu'
attivamente  che  in  passato debbono sensibilizzarsi ed operare come
pubblico bene informato per:
   - ottenere l'informazione piu' completa  e  corretta  richiesta  e
necessaria  per  stimolare  la formazione di opinioni piu' bilanciate
sui rischi industriali e lo  sviluppo  di  temi  di  discussione  con
l'industria,   in  tal  modo  contribuendo  piu'  efficacemente  allo
sviluppo sostenibile;
   - selezionare gli acquisti sul mercato per favorire la  diffusione
di prodotti piu' compatibili con l'ambiente.
2.3.2. Obiettivi nazionali per l'adeguamento all'Agenda 21
   Come prima accennato il cambiamento nelle tecnologie di produzione
e  nei  prodotti  deve  essere graduale per tenere conto degli scambi
inevitabili  tra  la  salvaguardia  dell'ambiente   e   lo   sviluppo
sostenibile  e gli altri importanti obiettivi sociali ed, al contempo
con debito realismo, per consentire alle imprese di  avere  il  tempo
richiesto  dalla  loro  natura per ottemperare ai vincoli ambientali.
Per contro alla gradualita' deve  corrispondere  l'incisivita'  delle
misure  normative,  fiscali  ed economiche in modo che gli interventi
non risultino alla fine marginali e siano comunque coordinati.
   Dalla necessita' di contemperare lo sviluppo della prevenzione del
danno per  una  politica  ambientale  piu'  adatta  ad  uno  sviluppo
sostenibile  ed  al rispetto delle generazioni future con le esigenze
delle  attuali  gravi  emergenze  ambientali,  derivano  i   seguenti
obiettivi nazionali prioritari:
   -   sviluppo  di  una  politica  di  sostenimento  della  crescita
economica integrata con la prevenzione  dell'inquinamento  ambientale
ed  il  controllo  degli  usi  delle risorse naturali, in progressiva
sostituzione della politica di cura dell'ambiente degradato;
   - rafforzamento ed accelerazione degli interventi previsti per  il
risanamento dell'inquinamento dell'acqua, dell'aria e dei suoli.
   Cio'  richiede  da  un lato lo sviluppo di tecnologie produttive e
prodotti piu' puliti, per ridurre al minimo gli scarti nella vita dei
prodotti industriali ed  utilizzare  piu'  razionalmente  le  risorse
naturali     non     rinnovabili,     e    dall'altro    l'estensione
dell'imprenditorialita'  responsabile,  quale  indispensabile   forza
guida per l'innovazione e l'efficienza del mercato. Il principio chi-
inquina-paga  e'  generalmente  considerato punitivo dalle imprese in
difficolta'  sul mercato o comunque impossibilitate ad adottare nuove
tecnologie di processo per  vari  motivi  economici  o  tecnici.  Per
superare   questo   problema   e'   dunque   necessario  stimolare  e
sensibilizzare  gli  interessati  per  affermare  la  validita'   del
principio    la-prevenzione-paga    in   sintonia   con   la   logica
imprenditoriale.
   Si ricorda inoltre che,  in  generale,  gli  obiettivi  ambientali
dell'industria  sono  parte degli obiettivi nazionali, anche discussi
in altri capitoli di questo documento (energia, trasporti,  rifiuti).
Ad  essi  si  rimanda  per integrazioni e per confronti su obiettivi,
azioni e strumenti riguardanti specifici argomenti quali il risparmio
energetico, la riduzione delle emissioni atmosferiche, il  riciclo  e
riuso di residui di processo valorizzabili, ecc.
   Sulla  base  delle  considerazioni  precedentemente svolte e degli
impegni  assunti  in  varie  sedi   internazionali   dall'Italia   si
identificano  nella prevenzione del rischio generato per l'ambiente e
per la salute dalle attivita'  industriali  e  nella  gestione  delle
sostanze   chimiche  pericolose  e  nocive  le  linee  di  intervento
prioritarie entro il 2000.
   In linea con le tendenze prevalenti o comunque emergenti in  altri
stati  industrializzati si identificano quali obiettivi specifici nel
quadro del  piu'  ampio  obiettivo  generale  della  prevenzione  del
rischio industriale:
   -  lo  sviluppo,  basato  sull'efficacia  dei costi, di tecnologie
pulite e di prodotti  a  minore  impatto  ambientale,  a  partire  da
branche  e produzioni industriali di particolare rilievo economico ed
impatto sull'ambiente;
   - lo sviluppo di bilanci ambientali d'industria;
   - l'estensione della partecipazione dell'industria al  risanamento
di aree industriali e suoli contaminati;
   -  la  riduzione  del  rischio  industriale nelle aree urbane e la
delocalizzazione  di  impianti  industriali  a  rischio  elevato   di
incidente  o  di  inquinamento  dell'ambiente  (da  affrontare con un
approccio  integrato  che  tenga  conto  degli  aspetti   ambientali,
sociali, economici ed industriali);
   -  lo  sviluppo di procedure di prevenzione dell'inquinamento e di
standard per sostanze chimiche (selezionate tra quelle in varie  sedi
valutate  o in corso di valutazione per il loro impatto sull'ambiente
e la salute umana) presenti nelle componenti ambientali (aria, acqua,
suolo) e nei beni di consumo (alimenti, prodotti per la casa, ecc.).
   Per varie sostanze chimiche inquinanti l'ambiente e nocive per  la
salute   risultano   gia'   definite   o   proposte  (da  convenzioni
internazionali cui l'Italia ha aderito o da provvedimenti legislativi
nazionali) le riduzioni da realizzare. In particolare, si ricordano i
seguenti obiettivi da raggiungere:
   - la riduzione, del 30% almeno  entro  il  1993,  delle  emissioni
atmosferiche  di  anidride solforosa generate nel 1980 (Protocollo di
Helsinki, 1985; ratificato: 1989);
   - la stabilizzazione, entro il 1994, delle emissioni di ossidi  di
azoto  ai  livelli  generati  nel  1987  (Protocollo  di Sofia, 1988;
ratificato, 1992);
   - la riduzione, del 30% almeno,  o  comunque  la  stabilizzazione,
entro il 1999, delle emissioni di composti organici volatili rispetto
alle  quantita'  generate  nel  1988 (Protocollo di Ginevra, 1991; in
corso di ratifica);
   -  il  contenimento  delle  emissioni  degli  impianti industriali
attraverso il pieno adeguamento degli impianti industriali ai  valori
limite e guida delle emissioni previsti dalle disposizioni del DPR n.
203/1988,  e  dei provvedimenti legislativi seguenti in attuazione di
varie direttive comunitarie;
   - il  contenimento  delle  emissioni  di  anidride  carbonica  dai
processi   non   energetici   del   settore  industriale  nell'ambito
dell'impegno comunitario per la sua stabilizzazione entro il 2000  ai
livelli del 1990;
   -  la riduzione e la messa al bando della produzione e del consumo
delle  sostanze  distruttrici  dell'ozono  quali  clorofluorocarburi,
halons,  ecc.  di  cui  si  discute  in maggior dettaglio nel seguito
(Protocollo di Montreal, 1987; ratificato: 1989; emendamenti adottati
a Copenhagen, 1992; in corso di ratifica);
   - la messa al bando dell'uso dell'amianto (legge n. 257/1992);
   - la prevenzione dell'impatto ambientale  di  grandi  impianti  ed
installazioni  industriali nel contesto transfrontaliero (Convenzione
di Espoo, 1991; in corso di ratifica);
   -  la  prevenzione  degli  incidenti  industriali   nel   contesto
transfrontaliero   (Convenzione   di  Helsinki,  1992;  in  corso  di
ratifica).
   A questi obiettivi proritari debbono essere aggiunti quelli  della
riduzione   dei   composti  organici  volatili,  inclusi  i  solventi
clorurati, e dei metalli pesanti, per i quali si  stima  che  possano
essere  realizzate nel 2000 (rispetto alle emissioni calcolate per il
1990) le seguenti quote di riduzione:
   - riduzione del 50-70% degli scarti di processo di metalli pesanti
selezionati (cadmio, cromo, mercurio, rame);
   - riduzione del 30-50% delle emissioni di solventi clorurati usati
in processi produttivi di varia natura;
   - riduzione  del  40-60%  delle  emissioni  di  composti  organici
volatili  nei  settori  della  raffinazione di prodotti petroliferi e
dell'industria chimica.
2.3.3 Protezione dell'ozonosfera
   Accordi internazionali
   Alla   protezione   dell'ozono    stratosferico    e'    assegnata
un'importanza  primaria  fino  dal 1985 con la Convenzione di Vienna,
adottata in sede UNEP, che impegna  i  paesi  firmatari  ad  adottare
misure   volte   a   proteggere  la  salute  dell'uomo  e  l'ambiente
conseguenti all'impoverimento dello strato  di  ozono  ad  opera  del
cloro  liberato dalle emissioni di varie sostanze chimiche clorurate.
La Convenzione, ratificata dall'Italia con la legge n. 277/1988 (che,
all'art. 3, stabilisce uno stanziamento di 50 milioni di lire per  le
spese relative al segretariato della Convenzione medesima) prevede la
necessita'  di  adottare protocolli ed istituire una Conferenza delle
Parti con il compito di gestire  l'attuazione  degli  impegni  presi.
Alla Convenzione hanno fatto seguito:
   -  nel  1987  il  Protocollo  di Montreal finalizzato al controllo
della produzione e del consumo delle sostanze  chimiche  di  cui  era
stato  dimostrato  l'effetto distruttore sull'ozono stratosferico, in
particolare  i  clorofluorocarburi  (CFC)   e   che,   tra   l'altro,
istituisce,  quale meccanismo finanziario di supporto ai paesi in via
di sviluppo, il Fondo Multilaterale cui l'Italia partecipa come paese
donatore (con fondi stanziati per il 1992-93 dalla legge n. 114/1992,
attualmente in corso di aggiornamento per gli impegni futuri da parte
del Ministero del Tesoro);
   -  nel  1990  gli  Emendamenti  di  Londra  al  Protocollo  citato
(approvati dall'Italia nel febbraio 1992) e nel 1992 gli  Emendamenti
di  Copenhagen  (attualmente  all'esame  del  Parlamento  dopo  avere
ricevuto  l'approvazione  dei  Ministeri  competenti)  che  prevedono
l'accelerazione  dei  termini e delle scadenze per la riduzione delle
sostanze maggiormente nocive ed estendono la regolamentazione a nuove
sostanze, quale ad esempio gli HCFC.
   L'Agenda 21, infine,  include  la  prevenzione  dell'impoverimento
dell'ozono stratosferico tra i propri impegni prioritari (capitolo 9:
Protection  of the atmosphere), a tale fine definendo quali obiettivi
ed azioni di un programma specifico:
   - "....realizzare gli obiettivi della Convenzione di  Vienna,  nel
Protocollo di Montreal e negli Emendamenti di Londra ....incoraggiare
le  tecnologie  ed  i prodotti naturali che riducono la domanda delle
sostanze che danneggiano lo strato di ozono ....sviluppare  strategie
per mitigare gli effetti nocivi della radiazione ultravioletta ....;
   - "....ratificare .... il Protocollo di Montreal e gli emendamenti
 ...  contribuire ai fondi fiduciari di Vienna e Montreal ed al fondo
interinale per l'ozono ....rendere disponibili i sostituti dei CFC  e
delle altre sostanze che impoveriscono lo strato di ozono
 ...facilitare il trasferimento delle tecnologie relative ai paesi in
via di sviluppo ....sostenere l'espansione ulteriore del Global Ozone
Observing  System  ....sviluppare  l'informazione  scientifica  sugli
effetti  dell'impoverimento  dell'ozono  stratosferico  sulla  salute
umana e sull'ambiente ...."
   Normativa comunitaria
   Gli  obblighi  e le relative scadenze riguardanti la produzione ed
il consumo delle  sostanze  dannose  per  l'ozono  regolamentate  dal
Procollo  di  Montreal  del  1987  e  dagli  emendamenti  di Londra e
Copenhagen sono  stati  affrontati  in  sede  CEE  avvalendosi  della
facolta'  concessa  ai Paesi membri di un'organizzazione regionale di
integrazione  economica  di  ottemperare  a  tali  obblighi  in  modo
congiunto. In particolare, sono stati adottati o proposti:
   -  il Regolamento n. 694/91 che istituisce un sistema di controllo
dell'offerta di sostanze dannose per l'ozono della CEE, limitando  da
un  lato  le vendite e l'uso da parte di produttori della Comunita' e
dall'altro l'immissione in libera pratica delle sostanze  provenienti
da  Paesi  terzi,  ed  un sistema di vigilanza e di gestione affidate
alla Commissione CEE;
   - il Regolamento n.  3952/92  che  recepisce  gli  emendamenti  di
Copenhagen  in  tema  di  calendario  di  eliminazione delle sostanze
contenute  negli  allegati  A  e  B  del  Protocollo   di   Montreal,
anticipandolo ulteriormente;
   -  la  Proposta di Regolamento COM/202/93 (approvato dal Consiglio
Ambiente il 2 dicembre 1993) che: (a) stabilisce un  calendario  piu'
stringente  per la riduzione e l'eliminazione del bromuro di metile e
dei citati  CFC  sostituiti;  (b)  limita  l'uso  degli  HCFC  ad  un
ristretto  elenco  di settori di attivita'; (c) prevede l'obbligo del
recupero delle sostanze contenute nelle apparecchiature ai fini della
distruzione o del riciclaggio; (d) impone l'adozione  di  misure  per
prevenire  le  emissioni  incontrollate  di  queste  sostanze durante
l'intero  ciclo  di  vita  degli  impianti  ed apparecchiature che le
contengono.
   Normativa nazionale
   Il provvedimento legislativo di riferimento  e'  costituito  dalla
legge,   approvata  dal  Parlamento  il  23  dicembre  1993,  recante
disposizioni  sulle  "Misure  a  tutela  dell'ozono  stratosferico  e
dell'ambiente". Gli elementi qualificanti di questa legge includono:
   -  la  regolamentazione:  (a)  della  produzione  e dell'uso delle
sostanze previste dal Protocollo di Montreal, emendato a  Copenhagen,
sulla  base  di criteri di maggiore severita'; (b) della raccolta dei
prodotti dismessi  contenenti  le  sostanze  regolamentate;  (c)  del
recupero, della distribuzione e del riciclaggio di tali sostanze;
   -   l'attribuzione   all'Agenzia   Nazionale   per  la  Protezione
dell'Ambiente dei compiti di indirizzo programmatico, di normazione e
di vigilanza sulla protezione dell'ozonosfera;
   -  l'incentivazione  fiscale  per   i   prodotti   sostitutivi   e
l'incentivazione,  tramite  la  legge  n.  46/1982,  dell'innovazione
tecnologica per ottenere cicli produttivi e prodotti piu' puliti;
   - l'informazione mediante: (a) l'uso dei mezzi di comunicazione di
massa; (b) l'obbligo dell'etichettatura per i prodotti contenenti  le
sostanze regolamentate;
   -  lo  sviluppo  di  una  rete  di  monitoraggio  nazionale  delle
radiazioni UV e delle concentrazioni di ozono.
2.4. Azioni e strumenti
   I problemi ambientali non sono isolati ma, al contrario, correlati
tra di loro e  con  origini  comuni  nell'apertura  verso  l'ambiente
esterno  della  catena  produttiva materia prima - prodotto - scarto,
nell'uso intenso dell'energia e nella bassa qualita'  di  prodotti  e
processi.  Per  lo  sviluppo sostenibile occorre, quindi, intervenire
con azioni e strumenti per l'isolamento dei cicli produttivi rispetto
all'ambiente esterno, il risparmio energetico, il miglioramento della
qualita' e l'estensione della vita dei prodotti.
   Cio'  richiede  nella  maggior  parte   dei   casi   concreti   il
miglioramento  dello stato della conoscenza delle interazioni tra gli
aspetti economici ed ambientali a  tutti  i  livelli  sociali,  dalle
grandi   imprese   ai   singoli  consumatori,  e  delle  correlazioni
dell'industria  con  altri  settori  economici  (energia,  trasporti,
agricoltura,  ecc.).  Egualmente  richiesto  e'  lo  stimolo continuo
dell'attenzione  della  pubblica  opinione  ai   problemi   ed   alle
soluzioni.
2.4.1. Strumenti
   Vari  e  di  varia  natura  sono  gli strumenti ed i meccanismi di
integrazione  possibili  per  orientare  e   guidare   le   politiche
economiche ed ambientali verso lo sviluppo sostenibile, coordinandole
per  renderle  tra  loro compatibili, e ripartirne la responsabilita'
tra le componenti della societa', ciascuna secondo il proprio ruolo.
   E' opportuno ricordare che talvolta e' sottile la distinzione  tra
strumenti  ed  azioni  ed  in  effetti  alcuni  strumenti nel seguito
discussi sono al contempo azioni come, ad  esempio,  nel  caso  della
proposta per l'adozione nella legislatura nazionale di un Testo Unico
Ambientale, gli standard per i prodotti piu' favorevoli all'ambiente,
gli accordi di programma e l'informazione.
   Il  processo  di  elaborazione  di  un piano nazionale di sviluppo
sostenibile si estende ben oltre i  limiti  di  questo  documento  ed
ulteriore  lavoro  e' necessario per verificare come richiesto, sulla
base dell'efficacia dei costi, la consistenza degli obiettivi,  degli
strumenti  e  degli  interventi  economici ed ambientali da parte dei
soggetti concretamente coinvolti.
   Fin d'ora e' possibile riaffermare il  vantaggio  riconosciuto  di
semplificare   e  meglio  definire  gli  strumenti  amministrativi  e
regolatori, e le responsabilita' da essi assegnate,  raccogliendo  la
grande  massa  di  provvedimenti  legislativi  esistenti  in  materia
ambientale in un Testo Unico  Ambientale.  In  questo  contesto  sono
d'importanza primaria:
   -  l'adeguamento  delle  norme  obsolete  o  mancanti  tra cui, in
particolare, quelle  sugli  scarichi  industriali  nei  corpi  idrici
ricettori  e  sull'impatto  sul suolo e le falde idriche dei serbatoi
sotterranee di carburanti ed altre sostanze chimiche liquide;
   - il rafforzamento delle strutture operative,  tra  cui  l'Agenzia
Nazionale  per la Protezione dell'Ambiente, per attuare ed imporre le
norme  e  le  linee  di  guida  nazionali  nonche'  per   verificarne
l'applicazione ed adattarle eventualmente alle situazioni locali.
   Gli  strumenti  economici  e  di  mercato  vanno  considerati  con
attenzione,  anche  alla   luce   delle   piu'   recenti   esperienze
internazionali, ed in particolare nell'uso dello strumento fiscale si
deve  tenere  debito  conto del quadro comunitario e dei problemi che
deriverebbero dall'aumento del carico fiscale complessivo attualmente
gravante sull'industria nazionale. In sede comunitaria  e'  ormai  in
discussione il problema di un riequilibrio del sistema fiscale che da
un  lato favorisca il rilancio dell'economia e dall'altro penalizzi i
prodotti a maggiore impatto ambientale. Tra i  principali  meccanismi
di mercato vanno segnalati:
   -  le  ecotasse dirette (correlate cioe' alle quantita' misurate o
calcolate delle emissioni e degli effluenti e rifiuti di processo) ed
indirette (sui beni ed i servizi associati con un danno  all'ambiente
nel  loro  ciclo  di  vita)  e gli sgravi fiscali (come incentivi per
l'installazione  di  impianti  di  abbattimento  dell'inquinamento  o
l'applicazione    di    produzioni   e   prodotti   piu'   favorevoli
all'ambiente);
   - i  sussidi  finanziari  per  sostenere  le  misure  per  ridurre
l'inquinamento  (sovvenzioni,  prestiti  a  basso  interesse,  sgravi
fiscali, rimborso di depositi, ecc.);
   - interventi sul mercato (tariffe, canoni, assicurazione del danno
ambientale, permessi di emissione, ecc.).
   Altri  strumenti  possono  concorrere  con  quelli  precedenti  ad
integrare  le  politiche  ambientali  ed  economiche,  tra i quali di
prioritaria importanza  ai  fini  del  mutamento  anche  attitudinale
necessario per un'efficace strategia di sviluppo sostenibile (i primi
due sono nel seguito brevemente discussi):
   -  l'informazione,  la  formazione  e  l'educazione  ambientale  a
sostegno delle migliori scelte dei consumatori e per far crescere  la
confidenza  del  pubblico sui controlli industriali e la qualita' dei
prodotti;
   - gli accordi di programma, tra la pubblica amministrazione  e  le
imprese per la limitazione dell'impatto e del rischio delle attivita'
sull'ambiente ed una buona gestione delle risorse naturali;
   - lo sviluppo di standard per i prodotti, anche al fine di evitare
distorsioni della competitivita' di mercato;
   -  la  semplificazione  delle  procedure  amministrative richieste
all'industria per gli adempimenti di legge in materia ambientale, con
precauzioni idonee ad impedire  che  la  semplificazione  costituisca
occasione per superare o raggirare tali adempimenti.
   Informazione ambientale
   Vari  sono  gli  strumenti,  che  in alcuni casi si trasformano in
azioni, utili a fornire un'informazione regolare  ed  organizzata  ai
cittadini ed ai consumatori, tra cui:
   -  la  contabilita' ambientale, a sostegno dell'integrazione nelle
decisioni degli aspetti economici ed ambientali, come la contabilita'
delle risorse naturali (riserve, consumi) e le contabilita' satelliti
alla  contabilita'  nazionale  (consumo  di  risorse,   inquinamento,
interventi di protezione ambientale quantificati in termini fisici ed
economici);
   -   l'ecolabeling   (etichettatura   ecologica)   e  le  guide  ai
consumatori (libri verdi) in materia  di  caratteristiche  ambientali
dei prodotti sul mercato;
   - la certificazione di processi produttivi e prodotti industriali,
la  promozione  dell'ecoaudit  (audit  ecologico)  e  di  manuali  di
prevenzione  dell'inquinamento  nelle  industrie   anche   attraverso
l'espansione,  a  partire  dalle  imprese  di maggiori dimensioni, di
uffici ed esperti di riferimento per i problemi ambientali.
   Accordi di programma con le industrie
   Allo  strumento  degli  accordi  di  programma,   in   appropriate
circostanze,  e'  assegnato  un ruolo strategico nella politica dello
sviluppo  sostenibile.  Esso  offre  i  vantaggi  di  evitare  azioni
normative  spesso complesse e di trovare l'accordo su livelli e tempi
della prevenzione o della  riduzione  dell'inquinamento  che  tengano
realisticamente conto degli interessi economici, dell'ambiente, della
sicurezza  e  della salute umana. Per contro, perche' la strategia si
riempia di contenuti e perche' questi accordi possano  funzionare  e'
necessario   che   siano   definiti   meccanismi  di  incentivo  alla
partecipazione  industriale  e  di   controllo   dei   risultati   da
raggiungere per usufruire di tali incentivi.
   Tra  le  strade  possibili  appare  preferibile  quella basata sul
principio della contrattazione delle  riduzioni  degli  inquinanti  e
delle   risorse   di  processo  tra  la  pubblica  amministrazione  e
l'industria che volontariamente decide di aderire ad  un  accordo  di
programma.
   Un  accordo  di  questo  genere  puo'  avere  come  base  lo stato
ambientale  dell'impresa,  auto-compilato  ma  certificato,  e   puo'
riguardare  la  riduzione di uno o piu' inquinanti gassosi, liquidi o
solidi, un minor uso di una o piu' risorse di processo, un incremento
della capacita' di riciclo, ecc. L'accordo dovrebbe avere una  durata
di almeno 5 anni e gli impegni assunti dall'impresa dovrebbero essere
periodicamente  controllati sulla base degli stati ambientali da essa
aggiornati.
2.4.2  Azioni
   Le attivita' industriali sono ripartite  dall'ISTAT  in  classi  e
sottoclassi di attivita' economiche (chimica, estrazione di minerali,
materie  plastiche,  raffinerie, costruzioni, meccanica, metallurgia,
carta, legno, cuoio, vernici, produzione di energia, trasporti, ecc.)
che  forniscono  contributi  diversi,  ed  in  vari  casi  specifici,
all'inquinamento ambientale. Nel caso delle emissioni  sono  in  fase
avanzata  le  stime  di  molte  attivita'  secondo il metodo Corinair
mentre non sono disponibili dati affidabili sulla disaggregazione per
attivita' dei rifiuti di lavorazione  ed  in  particolare  di  quelli
tossici e nocivi.
   Queste  attivita'  industriali  hanno caratteristiche strutturali,
produttive, di distribuzione sul territorio e di presenza sul mercato
altamente specifiche e tra loro differenziate. Egualmente  specifiche
e  con  impegni  di  risorse  finanziarie  e tecniche diversi sono le
azioni ad esse applicabili per  diminuirne  l'impatto  sull'ambiente.
Qualunque  priorita' di intervento per ridurne e prevenirne l'impatto
ambientale assegnata in questo momento ad  un'attivita'  rispetto  ad
un'altra  si  puo'  prestare  ad  obiezioni  e critiche giustificate,
almeno fino alla sua convalida da un'analisi del rischio o  da  altro
strumento utile all'assunzione di decisioni.
   Nel  capitolo dedicato alla riduzione dei rifiuti industriali (cui
si rimanda per ulteriori dettagli) viene assegnata la priorita' negli
interventi per  la  riduzione  della  quantita'  e  del  rischio  dei
medesimi   alle   seguenti   attivita'  industriali  ed  artigianali,
caratterizzate dalla prevalenza di piccole e  medie  imprese,  spesso
inserite  nel  tessuto urbano, i cui problemi di gestione dei rifiuti
richiedono soluzioni consortili:
   - tessili, carta, ceramica,  lavorazioni  meccaniche,  lavorazioni
agroalimentari, concia delle pelli;
   -  lavanderie,  officine meccaniche (soprattutto di riparazione di
autoveicoli).
   Per quanto riguarda l'industria manufatturiera la priorita'  negli
interventi  a  sostegno  dello sviluppo sostenibile e' assegnata alla
chimica  (incluse  le  industrie  petrolchimica   e   delle   materie
plastiche),  alle  cave  (estrazione di materiali, da costruzione) ed
all'industria della costruzione di  autoveicoli  per  uso  civile  ed
industriale,  tra le altre scelte per la loro importanza economica ed
il rilevante impatto specifico sull'ambiente.
   Alla base della selezione della chimica  sta  inoltre  l'influenza
che, piu' di ogni altra branca industriale, essa esercita sugli altri
settori  della vita economica, sia essa positiva (quando, ad esempio,
contribuisce alla produttivita' agricola o  allo  sviluppo  di  nuovi
materiali)  o negativa (attraverso la produzione, il trasporto, l'uso
e le necessita' di smaltimento di prodotti chimici e manufatti).  Per
le  cave  si  aggiunge  il  visibile  scempio  da  esse  arrecato  al
territorio ed al paesaggio in tutta Italia. Per  gli  autoveicoli  si
tiene inoltre conto sia dell'emergenza comunemente riconosciuta dello
smaltimento dei veicoli a fine vita sia della rilevanza ai fini dello
sviluppo  sostenibile  del  settore del trasporto in altra parte dis-
cusso.
   In questa fase propositiva le azioni possono essere solamente  in-
dicate  in  termini  di  priorita'  e  di  rilievo  per  lo  sviluppo
sostenibile ma la loro fattibilita'  e  l'efficacia  dei  loro  costi
richiedono,  come  gia' menzionato e come d'uso, di essere valutate e
concretamente definite in una successiva, indispensabile  fase  della
decisione.  Ricordando  che  hanno una loro valenza anche come azioni
alcuni tra gli strumenti gia' indicati,  si  propongono  le  seguenti
azioni:
   -   la   riduzione   delle  emissioni  industriali  di  inquinanti
acidificanti e gas  serra  (in  particolare  di  anidride  solforosa,
ossidi  di azoto, composti organici volatili ed anidride carbonica) e
di metalli pesanti (in particolare: cadmio, cromo, mercurio e rame);
   - la prevenzione del rischio industriale con particolare  riguardo
all'industria  chimica e petrolchimica ed alle industrie ed attivita'
commerciali che fanno uso di solventi organici;
   -  la  promozione  di  tecnologie  e  prodotti  puliti  e   basati
sull'efficacia dei costi;
   - la gestione delle sostanze chimiche pericolose e nocive;
   -  la gestione dello smaltimento alla fine del ciclo di vita degli
autoveicoli e di parti di essi;
   - la riduzione dell'impatto sull'ambiente ed  il  paesaggio  delle
attivita' di cava;
   -  la promozione della ricerca e sviluppo su prodotti e produzioni
compatibili con l'ambiente.
   Azioni a carattere generale
   La  diffusione  e  la  razionalizzazione   dell'informazione,   la
promozione  della  ricerca  ambientale  di  interesse per lo sviluppo
sostenibile  industriale  ed   il   rafforzamento   delle   strutture
ministeriali  e  pubbliche di indirizzo e controllo (tra esse inclusa
l'Agenzia Nazionale per  la  Protezione  dell'Ambiente)  sono  azioni
indispensabili  a  supporto  delle  decisioni e delle verifiche delle
misure adottate. In particolare, le azioni includono:
   - lo sviluppo del SINA (sistema informativo nazionale  ambientale)
ed  il  suo  adeguamento  alle  esigenze di gestione ed aggiornamento
degli inventari delle emissioni e dei rifiuti dei  cicli  produttivi,
del  controllo  delle  misure previste dalla normativa o concordate e
del funzionamento delle reti di monitoraggio sul territorio;
   - lo sviluppo del Sistema Informativo  Unico  operante  presso  il
Dipartimento  dei  Servizi  Tecnici  Nazionali  della  Presidenza del
Consiglio dei Ministri;
   - la definizione dei criteri e delle imprese  cui  debbano  essere
prioritariamente    richieste   l'estensione   dell'ecoaudit   e   la
formulazione di bilanci ambientali;
   - la formulazione dei criteri e degli incentivi  per  lo  sviluppo
degli  accordi  di programma e di altre forme di autoregolamentazione
certificata.
   Su  queste  azioni  e'  opportuno  notare  che  l'esigenza   della
certificazione   richiede  che  venga  rafforzato  il  contenuto  del
regolamento   comunitario   sull'eco-audit   con    la    definizione
dell'autorita'  nazionale  e  la  creazione  di  un apposito albo dei
certificatori.  E'   inoltre   presumibile   che   l'autocompilazione
certificata  possa dare impulso alla compilazione sistematica di veri
e propri bilanci ambientali d'impresa, sebbene di essi il regolamento
non  ne  faccia  cenno.  L'incentivo  per  l'impresa  a   partecipare
all'accordo  e'  costituito  dall'assegnazione  di  un marchio che le
assicuri  il  vantaggio  indiretto  dell'immagine.  Il  ruolo   della
pubblica amministrazione e' essenziale per:
   -  la  pubblicita'  preventiva  da  dare  all'esistenza  di questo
marchio (l'interesse dell'impresa, e quindi  il  suo  impegno,  sara'
tanto maggiore quanto piu' noto sara' questo marchio);
   -  la  pubblicita'  della  mancata  realizzazione  degli obiettivi
previsti dall'accordo su base volontaria (e quindi senza sanzioni);
   - l'assistenza e l'informazione alle imprese che volessero aderire
gli accordi (ed in particolare alle piccole  e  medie  imprese  anche
mediante  la semplificazione delle procedure amministrative collegate
all'ecoaudit).
   Riduzione delle emissioni industriali
   La riduzione delle quote degli inquinanti atmosferici acidificanti

citati e dell'anidride carbonica nonche' dei  metalli  pesanti  negli
effluenti di processo industriali sara' affrontata mediante:
   -  l'adozione di un programma di interventi tecnologici ad hoc sui
processi produttivi, la manutenzione degli impianti ed i  sistemi  di
abbattimento delle emissioni e di trattamento degli effluenti reflui,
differenziati  per ciascuna delle sorgenti industriali inquinanti, ed
in particolare per le industrie chimiche  e  della  raffinazione  del
petrolio.
   Prevenzione dell'inquinamento e del rischio industriale
   La  prevenzione  del  rischio  per  l'ambiente  e  per  la  salute
derivante dalla produzione, dall'uso e dallo smaltimento di  sostanze
chimiche,  ed  in  particolare  di  quelle  tossiche e pericolose, e'
oggetto   di   crescente   impegno   da   parte   delle   istituzioni
internazionali (ONU, OCSE, CEE) e delle amministrazioni di vari stati
attivi  in campo ambientale. Con riferimento alle strategie suggerite
o gia' adottate in altri paesi si raccomandano le seguenti azioni:
   - estensione dell'analisi del rischio sulle produzioni industriali
e  dell'analisi  del  ciclo  di  vita  su  prodotti  comparabili  per
identificare gli interventi prioritari di costo definito;
   -  riduzione  del  rischio  industriale  in  18 aree individuate a
rischio elevato mediante  l'adozione  delle  tecnologie  piu'  sicure
disponibili,  la  riduzione degli stoccaggi e della movimentazione di
prodotti pericolosi, il rafforzamento  delle  infrastrutture  per  la
sicurezza  delle  popolazioni,  la  delocalizzazione di impianti e la
bonifica dei siti contaminati;
   - riduzione del rischio per i suoli e  le  acque  sotterranee  dei
serbatoi  interrati di carburanti (benzina, gasolio), con particolare
riferimento  alle  stazioni  di  servizio,  con  bonifica  dei  suoli
contaminati in seguito a perdite, sviluppo di tecniche di rilevamento
delle  perdite e definizione di una legge quadro che regoli l'impatto
ambientale di questi serbatoi  e  definisca  le  specifiche  per  una
corretta costruzione e gestione dei nuovi serbatoi;
   -  l'inclusione  dell'impatto  ambientale  nella  progettazione di
produzioni e di prodotti industriali;
   - l'adozione di un sistema  di  verifiche  correlato  alle  misure
programmate per prevenire e controllare l'inquinamento.
   Per  quanto  riguarda  infine  i  clorofluorocarburi,  nell'ambito
dell'adesione dell'Italia agli impegni derivanti  dal  protocollo  di
Montreal  e  dalle  integrazioni  successive,  tali sostanze dovranno
essere sostituite con prodotti  alternativi  (secondo  i  regolamenti
comunitari e la normativa nazionale proposta ed attualmente all'esame
del   Parlamento)   e   ne   dovra'  essere  evitata  la  dispersione
nell'atmosfera. In particolare, viene proposta:
   - la regolamentazione della raccolta dei prodotti dismessi ai fini
del  recupero  dei  clorofluorocarburi  per  la  distruzione   o   il
riciclaggio.
   Tecnologie e prodotti puliti
   Per  quanto  riguarda  la  promozione  di  tecnologie produttive a
minore impatto ambientale e la diffusione sul mercato  di  beni  piu'
compatibili  con  l'ambiente  durante  l'intero  ciclo  di  vita,  si
propongono, a completamento delle azioni proposte per la  prevenzione
del rischio, le seguenti azioni prioritarie:
   -  il  rafforzamento  e l'accelerazione delle iniziative, da tempo
avviate in sede comunitaria, riguardanti l'ecolabeling su manufatti e
prodotti  di  grande  consumo   quali   gli   elettrodomestici,   gli
imballaggi, le vernici, gli isolanti, ecc.
   -  il  completamento  degli  standard  di qualita' per le sostanze
chimiche nelle componenti ambientali (aria, acqua, suolo) e nei  beni
di consumo (alimenti, prodotti per la casa, ecc.);
   -  l'informazione al pubblico mediante centri informativi e banche
dati, "libri  verdi"  e  rapporti  per  informare  i  consumatori  su
specifici  temi,  ed  altre  forme espressive consentite dai mezzi di
comunicazione di massa;
   - il sostegno finanziario all'innovazione tecnologica per processi
e per prodotti piu' puliti (secondo la delibera CIPI del 15  febbraio
1990   relativa   al   Fondo   Speciale  Rotativo  per  l'Innovazione
Tecnologica previsto dalla legge n. 46/1982);
   -  il  sostegno  alla  legge  n.   317/1991   sullo   sviluppo   e
l'innovazione  nelle piccole e medie imprese per gli aspetti connessi
alla promozione di cicli produttivi e prodotti piu' puliti.
   Gestione delle sostanze chimiche pericolose
   Alla  pubblica  amministrazione  e'  richiesto  di  estendere   la
collaborazione   sul  piano  internazionale  (ed  in  particolare  al
programma comunitario  per  lo  sviluppo  sostenibile  del  1992  che
prevede  la  valutazione completa del rischio di 200 composti chimici
prioritari e programmi di riduzione del rischio per 50 composti entro
il 2000) e di sviluppare le azioni raccomandate in sede UNCED per  la
gestione delle sostanze chimiche tossiche, ed in particolare:
   -  la  valutazione  del  rischio  di  sostanze chimiche di rilievo
globale;
   - l'adozione di sistemi nazionali, tra  di  loro  armonizzabili  e
compatibili, di classificazione del rischio e di etichettatura;
   - la realizzazione di sistemi nazionali di gestione ambientalmente
sostenibile delle sostanze chimiche.
   Recupero e riciclo di parti di autoveicoli a fine vita
   La  diffusione  e  l'importanza economica e sociale dell'auto, per
usi civili e commerciali, conferisce a questo settore  una  rilevante
valenza  dimostrativa  in  termini  di  collaborazione  tra  pubblica
amministrazione ed industria. Cio' e'  stato,  ad  esempio,  recepito
concretamente  nel  protocollo  di  accordo  del  giugno  1993 tra il
Ministero dell'Ambiente e la FIAT su temi vari di  interesse  per  la
riduzione  delle emissioni da trasporto e dei rifiuti di lavorazione,
il  miglioramento  della  mobilita'  urbana  ed  il  recupero  e   la
rottamazione degli autoveicoli a fine vita.
   Quest'ultimo   argomento  e'  di  particolare  importanza  ove  si
considerino le sue dimensioni, la carenza di strutture efficienti  di
ritiro  e  l'impatto  sul  territorio  in termine di inquinamento dei
suoli e del paesaggio. L'iniziativa sperimentale FARE della FIAT,  il
cui  completamento  e'  previsto  per  la fine dell'anno, puo' essere
assunta come riferimento per la realizzazione di un sistema nazionale
di centri di raccolta per il recupero di materiali ed energia.
   Cio'  comporta  una revisione del processo di ritiro e demolizione
degli autoveicoli a  fine  vita  attualmente  in  uso,  basata  sulle
seguenti azioni principali:
   -  istituzione  di  centri autorizzati alla raccolta e demolizione
degli autoveicoli in condizioni di sicurezza per l'ambiente,  secondo
norme tecniche definite per legge;
   - restrizione del commercio di parti recuperate solo ai componenti
che non hanno attinenza con la sicurezza dell'auto;
   -  valorizzazione  dei materiali e componenti recuperabili ai fini
del riciclo e della produzione di energia di processo, ad esempio  in
acciaierie e cementifici.
   Attivita' estrattive di cava
   L'unica normativa operante in materia risale addirittura al 1927 e
risente   del   clima  dell'epoca  di  incentivazione  dei  materiali
autarchici privilegiando, con la legittimazione del  proprietario  ad
intraprendere  attivita'  di  scavo  con il solo onere della denuncia
preventiva al comune competente, la produzione rispetto  alla  tutela
del  territorio. I tentativi di riforma a partire dagli anni Sessanta
si sono arenati sulle questioni essenziali del regime di appartenenza
del bene cava e del rapporto tra  pianificazione  del  territorio  ed
attivita' estrattiva.
   Il   DPR  n.  2  del  gennaio  1972,  ha  trasferito  le  funzioni
amministrative sulle cave alle  Regioni  senza  peraltro  individuare
strumenti specifici di programmazione (come, ad esempio, nel caso dei
trasporti per cui esiste un piano nazionale) per cui le Regioni hanno
cominciato  a  legiferare  sulle  cave solamente a partire dagli anni
Ottanta  con  orientamenti  diversi.  Il  controllo  delle  attivita'
estrattive  e', come nel passato, in pratica inesistente e persistono
i  gravi  danni  all'ambiente  ed  al  paesaggio  che  il   Ministero
dell'Ambiente  aveva  invano tentato di contrastare fino dal 1987 con
uno schema di disegno di legge su cui, come in altre  occasioni,  non
e' stato pero' possibile coagulare il consenso necessario.
   Si  impone dunque un'azione di regolamentazione delle attivita' di
cava unitamente al recupero delle aree esaurite ed alla promozione di
tecniche  piu'  compatibili  di  lavorazione,  anche   con   macchine
robotizzate,  dei  materiali  di uso corrente, pregiati (lapidei e da
taglio) e meno pregiati (calcari, ghiaie, sabbie, ecc.), e di  quelli
per  cui  e'  prevedibile  a breve termine una crescita della domanda
(come, ad esempio, feldspati  e  quarzi  per  le  ceramiche).  Questa
azione   si  deve  concretizzare  in  una  legge  quadro  sulle  cave
contenente:
   - direttive  per  i  piani  regionali  sulle  cave  e  le  massime
quantita'  estraibili  con  misure  per  promuovere il recupero ed il
riuso dei residui di lavorazione,  ora  considerati  come  scarti  da
inviare  a  discarica,  in parti di opere civili sottoposte a podeste
sollecitazioni (come riempimenti,  sottofondi,  fondazioni  stradali,
ecc.);
   -  promozione  di  programmi  di risanamento e recupero delle cave
dismesse;
   - creazione di un albo di figure professionali qualificate per  la
redazione  dei  piani di coltivazione e risanamento dei giacimenti di
cava e per la direzione dei lavori di estrazione.
   Ricerca e sviluppo
   Le attivita' di ricerca e sviluppo debbono essere prioritariamente
rivolte ad assistere l'industria nella transizione verso produzioni e
prodotti piu' puliti con azioni volte ad esaminare e valutare come ed
a quale costo sia possibile:
   -  sostituire  le  produzioni  correnti  con  le tecnologie pulite
disponibili;
   - ridurre l'impatto sull'ambiente di prodotti ed imballaggi  nella
fase della progettazione o mediante l'uso di materiali alternativi;
   - ridurre le emissioni, gli effluenti ed i rifiuti di processo nei
cicli produttivi;
   -  usare  efficacemente  le  cosiddette  tecnologie morbide per il
monitoraggio e  la  gestione  dell'ambiente  e  per  il  contenimento
dell'impatto ambientale delle industrie mature.
Ozono: Scadenze internazionali

|                                                                   |
| Regolamenti CEE - Riduzione della produzione del consumo delle    |
| sostanze che impoveriscono l'ozono stratosferico                  |
|                                                                   |
|                             |                                     |
|                             |       Protocollo Montreal 1987      |
|                             |     Emendamenti Copenhagen 1992)    |
|                             |                                     |
|                             |           |               |         |
|                             | Stabilizz.|   Riduzione   |  Bando  |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 1-Clorofluorocarburi (CFC)  | 1.7.91    |               |         |
|                             |           |   1.1.94: 75% |         |
| (anno di riferimento: 1986) |           |   1.1.96:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 2-Altri CFC completamente   |           |   1.1.93: 20% |         |
|   alogenati                 |           |   1.1.94: 75% |         |
| (anno di riferimento: 1989) |           |   1.1.95:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 3-Halons                    | 1.1.92    |               |         |
| (anno di riferimento: 1956) |           |   1.1.94:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 4-Tetracloruro di carbonio  |           |   1.1.95: 85% |         |
| (anno di riferimento: 1989) |           |   1.1.95:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 5-1,1,1-Tricloroetano       | 1.1.93    |               |         |
|                             |           |   1.1.94: 50% |         |
|                             |           |   1.1.96:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 6-Bromuro di metile         | 1.1.95    |               |         |
| (anno di riferimento: 1991) |           |               |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 7-Idrobromofluorocarburi    |           |               | 1.1.96  |
|   (HBFC)                    |           |               |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 8-Idroclorofluorocarburi    | 1.1.95(a) |               |         |
|   (HCFC)                    |           | 1.1.2004: 35% |         |
|                             |           | 1.1.2010: 65% |         |
|                             |           | 1.1.2015: 90% |         |
|                             |           | 1.1.2020: 99% |         |
|                             |           | 1.1.2030:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                                                                   |
|Note (a) Consumo (CAP): 3,1% del consumo 1989 di CFC e HCFC        |
|(annex C). (b) Consumo (CAP): 2,6% del consumo 1989 di CFC e HCFC  |
|(annex C).                                                         |
|                                                                   |

|                             |                                     |
|                             |            Regolamento CEE          |
|                             |                3952/92              |
|                             |                                     |
|                             |           |               |         |
|                             | Stabilizz.|   Riduzione   |  Bando  |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 1-Clorofluorocarburi (CFC)  |           |               |         |
|                             |           |   1.1.94: 85% |         |
| (anno di riferimento: 1986) |           |   1.1.95:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 2-Altri CFC completamente   |           |               |         |
|   alogenati                 |           |   1.1.94: 85% |         |
| (anno di riferimento: 1989) |           |   1.1.95:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 3-Halons                    |           |               |         |
| (anno di riferimento: 1986) |           |   1.1.94:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 4-Tetracloruro di carbonio  |           |   1.1.94: 85% |         |
| (anno di riferimento: 1989) |           |   1.1.95:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 5-1,1,1-Tricloroetano       |           |               |         |
|                             |           |   1.1.94: 50% |         |
|                             |           |   1.1.96:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 6-Bromuro di metile         |           |               |         |
| (anno di riferimento: 1991) |           |               |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 7-Idrobromofluorocarburi    |           |               |         |
|   (HBFC)                    |           |               |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 8-Idroclorofluorocarburi    |           |               |         |
|   (HCFC)                    |           |               |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |

|                             |                                     |
|                             |      Proposta di Regolamento CEE    |
|                             |                COM/202/93           |
|                             |                                     |
|                             |           |               |         |
|                             | Stabilizz.|   Riduzione   |  Bando  |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 1-Clorofluorocarburi (CFC)  |           |               |         |
|                             |           |   1.1.94: 85% |         |
| (anno di riferimento: 1986) |           |   1.1.95:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 2-Altri CFC completamente   |           |               |         |
|   alogenati                 |           |   1.1.94: 85% |         |
| (anno di riferimento: 1989) |           |   1.1.95:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 3-Halons                    |           |               |         |
| (anno di riferimento: 1986) |           |   1.1.94:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 4-Tetracloruro di carbonio  |           |   1.1.94: 85% |         |
| (anno di riferimento: 1989) |           |   1.1.95:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 5-1,1,1-Tricloroetano       |           |               |         |
|                             |           |   1.1.94: 50% |         |
|                             |           |   1.1.96:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 6-Bromuro di metile         |  1.1.95   |               |         |
| (anno di riferimento: 1991) |           |   1.1.98: 25% |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 7-Idrobromofluorocarburi    |           |               | 1.1.96  |
|   (HBFC)                    |           |               |         |
|                             |           |               |         |
|                             |           |               |         |
| 8-Idroclorofluorocarburi    | 1.1.95(b) |               |         |
|   (HCFC)                    |           | 1.1.2004: 35% |         |
|                             |           | 1.1.2007: 60% |         |
|                             |           | 1.1.2010: 80% |         |
|                             |           | 1.1.2013: 95% |         |
|                             |           | 1.1.2015:100% |         |
|                             |           |               |         |
|                                                                   |
|Note (a) Consumo (CAP): 3,1% del consumo 1989 di CFC e HCFC        |
|(annex C). (b) Consumo (CAP): 2,6% del consumo 1989 di CFC e HCFC  |
|(annex C).                                                         |
|                                                                   |



     ---->  Vedere tabelle da pag. 56 a pag. 57 del S.O.  <----



3. AGRICOLTURA
3.1. Quadro di riferimento
   Considerando   la  realta'  italiana  si  puo'  osservare  che  le
superfici   piu'   adatte   all'attivita'   agricola,   in    termini
principalmente di fertilita' e morfologia dei suoli, sono concentrate
in  alcune  aree  relativamente  limitate  (pianura  Padana,  pianure
costiere  e  alluvionali,  aree  pedecollinari  e   collinari),   del
territorio  nazionale.  La  relativa scarsita' di superfici atte alla
coltivazione, in condizioni di reddito adeguato, ha favorito pertanto
un'agricoltura a forte connotazione di "intensivita'" con un  impatto
ambientale  tutt'altro che trascurabile, ma, in ogni caso, non sempre
riconducibile  a  quello  delle  agricolture  del   centro   e   nord
dell'Europa.

             PIANO NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
                    IN ATTUAZIONE DELL'AGENDA 21


   Analoghe considerazioni possono essere  svolte  per  le  attivita'
zootecniche  che  hanno assunto forme di elevata intensita' in alcune
aree  della  pianura  Padana,  causando  di  conseguenza  una   delle
principali  emergenze ambientali nazionali: si stima che in tali aree
sia concentrato circa il 50% della produzione zootecnica nazionale.
   Nel settore zootecnico, gia' da alcuni anni, le norme  finalizzate
alla  tutela  ambientale  sono  diventate,  di  fatto,  il principale
fattore limitante per l'espandersi di tale attivita': la legge 319/76
(legge  Merli)  consente  un  carico  di  bestiame  pari  a   quattro
tonnellate  di peso vivo per ettaro su tutto il territorio nazionale,
ma, nelle regioni padane, e' in atto una  politica  piu'  restrittiva
che, in taluni casi, ha piu' che dimezzato tale valore.
   Considerando   il   comparto   suinicolo,   che  risulta  il  piu'
problematico dal punto di vista ambientale, si evidenzia come ad  una
diminuzione  del  patrimonio  suino a livello nazionale pari al 7,5%,
tra il 1982 e il 1990, ha fatto riscontro  nelle  regioni  padane  un
aumento  della  concentrazione  dei  capi  suini passati dal 70,8% al
72,9% del totale nazionale.
   Peraltro, tale tendenza all'intensivizzazione e'  stata  esaltata,
negli  ultimi  due  decenni,  dalla  Politica  Agricola  Comunitaria,
politica che  solo  ultimamente  e'  stata  oggetto  di  un  radicale
ripensamento  tendente  a riproiettare in una corretta prospettiva la
problematica del rapporto fra agricoltura e ambiente, restituendo  ad
essa  il ruolo che da sempre ha svolto nel costituire il presidio per
eccellenza  del  territorio,   a   difesa   dal   degrado   derivante
dall'erosione dei suoli abbandonati.
   E'  appena  il  caso  di  ricordare l'alto valore culturale che il
paesaggio agrario  italiano  ha  generalmente  assunto  nel  passato,
sviluppando  un uso del territorio in armonia non solo con l'ambiente
(alla tipica etereogenita' del paesaggio agrario italiano corrisponde
una diversita' biologica  che  si  puo'  leggere  nella  presenza  di
macchie,  siepi,  alberature,  prati,  ecc.),  ma  anche con le altre
attivita' economiche.
   Le  scelte  da  compiere  per   migliorare   la   "sostenibilita'"
ambientale dell'agricoltura devono necessariamente avere come effetti
a  breve  e a lungo termine, rispettivamente, la riduzione del carico
inquinante derivante  dall'esercizio  delle  attivita'  produttive  e
l'adozione  definitiva di pratiche agricole sostenibili, tra le quali
un  adeguato  reimpiego,  ove  ambientalmente  corretto,  di  residui
derivanti   dall'attivita'  agricola,  senza  peraltro  provocare  la
riduzione delle produzioni agricole non eccedentarie.
   A livello nazionale  il  quadro  di  riferimento  entro  il  quale
attuare interventi per il perseguimento di un'agricoltura sostenibile
non  puo' che essere, per la natura dei vincoli e delle opportunita',
quello definito a livello comunitario.
   La CE ha individuato, nell'ambito del "Quinto programma di  azione
comunitario  per la tutela dell'ambiente", l'agricoltura come uno dei
cinque settori economici su cui intervenire. In tale programma  viene
proposta  un'agricoltura  sostenibile, da attuarsi con interventi per
l'estensificazione  delle  produzioni (minor produzione per unita' di
superficie), la riduzione dell'impiego di mezzi  chimici  di  sintesi
(in   primo   luogo   pesticidi  e  fertilizzanti),  l'incentivazione
dell'agricoltura  biologica,  l'informazione  dei   consumatori,   il
ricorso ad incentivi economici e fiscali.
   Particolare  rilievo  viene  dato,  inoltre,  alla  necessita'  di
aumentare le superfici forestali, nonche' di incentivare lo  sviluppo
rurale  mediante  attivita'  di  valorizzazione del territorio, quali
l'agriturismo.
   Il quadro di interventi gia' predisposti nell'ambito  della  nuova
Politica  Agricola  Comunitaria  (PAC) e' sostanzialmente mirato allo
sviluppo di un'agricoltura compatibile con l'ambiente, nel  tentativo
di  superare  i problemi determinati, in parte, dalla stessa politica
comune nel corso degli ultimi due decenni: eccedenze produttive, alti
costi di stoccaggio delle stesse,  prezzi  non  competitivi,  elevato
impatto ambientale delle tecniche di produzione.
   La  riforma della PAC, contenuta nel cosiddetto Piano McSharry, ha
posto al settore agricolo una serie di vincoli/obiettivi che  possono
essere cosi' schematizzati:
-  contenimento  delle  produzioni  e  abbattimento  delle  misure di
sostegno dei prezzi;
- allineamento dei prezzi dei  prodotti  agricoli  europei  a  quelli
mondiali;
- estensivizzazione della produzione e degli allevamenti (compresa la
messa a riposo dei terreni "set aside");
- sviluppo di un'agricoltura compatibile con l'ambiente;
- salvaguardia e ripristino dell'ambiente naturale;
- conversione dei terreni agricoli alla forestazione;
- ritiro della fascia imprenditoriale piu' anziana.
   In  questo quadro sono state messe in atto alcune norme, note come
misure di accompagnamento  della  riforma  della  PAC,  che  appaiono
particolarmente  significative.  Ci  si riferisce, in particolare, al
Regolamento  CE  n.  2078/92,  che  istituisce  un  regime  di  aiuti
finanziari  per  favorire l'adozione di metodi di produzione agricola
compatibili alle esigenze di  protezione  dell'ambiente,  nonche'  al
Regolamento  CE  n. 2080/92, che istituisce un regime di aiuti per la
conversione dei terreni agricoli alla forestazione.
   Pur  non  essendo  compreso  all'interno   di   tali   misure   di
accompagnamento,  merita,  infine,  un  richiamo il Regolamento CE n.
2092/91, relativo al metodo di  produzione  proprio  dell'agricoltura
biologica.
3.2 Agricoltura sostenibile e Agenda 21
   Il  capitolo  14  dell'Agenda  21,  concernente  la  promozione di
un'agricoltura sostenibile e lo sviluppo rurale, parte dal  dato  che
nel  2025  l'83% della popolazione mondiale, stimata in 8,5 miliardi,
vivra' in Paesi  in  via  di  sviluppo  e  considera  che,  pertanto,
l'agricoltura dovra' migliorare la produzione in suoli gia' sfruttati
ed espandersi in suoli poco adatti alla coltivazione.
   In   accordo  con  la  definizione  FAO  (1992),  per  agricoltura
sostenibile dovrebbe intendersi  un'attivita'  produttiva  tesa  alla
conservazione  del  suolo, delle acque, del patrimonio genetico delle
piante e  degli  animali,  tecnicamente  appropriata,  economicamente
valida e socialmente accettabile.
   Altre  definizioni  enfatizzano  la  necessita'  di minimizzare la
produzione di rifiuti, di premunirsi contro i rischi legati ad eventi
avversi, di garantire elevati standard  qualitativi  soprattutto  per
quanto  concerne il valore igienico e nutrizionale degli alimenti, di
conservare  il  paesaggio   agrario   salvaguardando   la   struttura
economico-culturale delle comunita' rurali.
   Puo'  essere  utile,  in  questo contesto, richiamare il concetto,
ormai noto nell'ambito  delle  agricolture  europee,  di  "produzione
integrata": per produzione integrata si deve intendere una produzione
economica  di  elevata  qualita', ottenuta attribuendo priorita' alle
pratiche agronomiche ecologicamente  piu'  sicure,  minimizzando  gli
effetti  collaterali  indesiderabili  derivanti dall'uso dei prodotti
chimici di sintesi.  Il  processo  produttivo  deve  saper  coniugare
l'obiettivo   della   qualita'  del  prodotto  con  l'esigenza  della
salvaguardia  ambientale,  attraverso  l'integrazione  di  tutte   le
tecniche colturali disponibili (scelte varietali, modalita' di semina
o   impianto,  difesa  fitosanitaria,  fertilizzazione,  irrigazione,
diserbo, lavorazioni del suolo).
   Secondo  quanto  evidenziato  nel  capitolo  14  dell'Agenda   21,
l'obiettivo  dello  sviluppo  sostenibile  dovra'  essere  perseguito
tramite l'attuazione di una molteplicita' di azioni. In  un  contesto
quale  quello  nazionale,  caratterizzato  da  un  elevato  grado  di
sviluppo tecnologico e produttivo, si ritiene  che  tra  le  predette
azioni debba essere focalizzata l'attenzione su:
a)   definizione   e   implementazione   delle   politiche   agricole
maggiormente orientate alla sicurezza degli alimenti e allo  sviluppo
ambientalmente  sostenibile  e  loro piena integrazione con i diversi
settori di programmazione socio-economica;
b) coinvolgimento delle  parti  sociali  nella  programmazione  degli
interventi  e  nell'indirizzo  di  risorse  verso  l'agricoltura e lo
sviluppo rurale sostenibile;
c)  razionale  programmazione   dell'utilizzo   delle   risorse   del
territorio, informazione e formazione dei produttori agricoli;
d)  conservazione  e  risanamento  del  territorio,  con  particolare
riferimento alla protezione delle risorse  idriche  dall'inquinamento
da nitrati ed altri inquinanti di origine agricola;
e) attuazione di programmi di difesa fitosanitaria integrata.
3.3 Obiettivi nazionali per l'adeguamento all'agenda 21
   Come   gia'  osservato  in  precedenza,  un  piano  di  intervento
nazionale per la promozione di  un'agricoltura  sostenibile  coerente
con  gli  obiettivi indicati dall'Agenda 21 puo' essere collocato nel
quadro di azioni di carattere agro-ambientale  previste  dalla  nuova
Politica Agricola Comunitaria.
   La  gestione  di tali azioni e l'individuazione degli obiettivi da
perseguire a livello nazionale, pur  considerando  la  necessita'  di
tutelare il reddito dei produttori agricoli in un mercato sempre piu'
competitivo,  deve essere attuata attraverso una corretta e razionale
programmazione della politica agricola nazionale, che veda la  tutela
dei  profili  ambientali assumere un ruolo centrale nella definizione
delle scelte e delle strategie.
   La centralita' della questione ambientale dovra' essere assicurata
attraverso  il  concorso  di   tutti   i   settori   della   Pubblica
Amministrazione,  con  particolare  riferimento  al  Ministero per il
coordinamento delle politiche agricole alimentari e  forestali,  alle
Regioni e alle Autorita' di bacino.
   In particolare:
A.  A  livello  nazionale,  nel  contesto  delle  azioni previste dai
Regolamenti CE numeri  2078/92  e  2080/92,  che  istituiscono,  come
detto,  rispettivamente  regimi  di  aiuti per l'adozione di pratiche
agricole eco-compatibili e per la  conversione  di  terreni  agricoli
alla  forestazione,  possono  essere individuati i seguenti obiettivi
prioritari:
1) riduzione dell'apporto al suolo di azoto di origine zootecnica e/o
di sintesi (fertilizzanti) e di altri potenziali inquinanti;
2) riduzione e razionalizzazione dell'impiego di pesticidi;
3)  adozione  delle  tecniche  colturali   proprie   dell'agricoltura
biologica, conformemente al Regolamento CE n. 2092/91;
4)  ritiro dei seminativi dalla produzione e destinazione dei terreni
agricoli, nonche' di terreni marginali, alla forestazione;
5) riduzione  della  concentrazione  del  patrimonio  zootecnico  per
unita'  di  superficie  e  incentivazione  dell'allevamento di specie
animali locali minacciate di estinzione;
6)  adozione  di  altre  pratiche  di  produzione   compatibili   con
l'esigenza  della  protezione  ambientale, quali la razionalizzazione
dell'utilizzo di acqua a scopo irriguo, anche mediante il  ricorso  a
fonti  non  convenzionali, la conservazione di elementi del paesaggio
(siepi, boschi, singolarita' biologiche ed altro), l'effettuazione di
operazioni colturali  per  limitare  l'erosione  dei  suoli  (ad  es.
coltivazione  secondo  le  curve  di  livello nei suoli in pendenza),
l'esclusione delle opere di drenaggio nelle zone umide;
7) destinazione di nuove aree alla creazione  di  parchi  naturali  e
sviluppo di attivita' agrituristiche.
B.   Nell'ambito   di   alcuni  temi  specifici,  nonche'  di  alcuni
provvedimenti all'esame del Parlamento,  possono  essere  individuati
alcuni   sotto-obiettivi  che  integrano  il  quadro  precedentemente
delineato:
1) utilizzo agronomico di alcune  categorie  di  rifiuti  (fanghi  di
depurazione di reflui civili o industriali, compost da rifiuti solidi
urbani,  rifiuti  industriali  contenenti  azoto,  fosforo  ed  altri
elementi  utili  per  la  fertilita'  dei   suoli)   attraverso   una
caratterizzazione  di  tali  prodotti (livello massimo ammissibile di
inquinanti) ed una caratterizzazione dei suoli recettori (in  termini
di vulnerabilita');
2)  contenimento  degli  sprechi  e  risparmio nell'uso delle risorse
idriche disponibili;
3) contenimento dei fenomeni di erosione diffusa dei suoli.
4) contenimento del consumo dei suoli vocati  all'agricoltura  dovuto
alla  loro  destinazione  non  agricola,  al  fine  anche  di evitare
pericoli di degrado del territorio.
C. Nel settore zootecnico l'obiettivo da perseguire con azioni sia  a
breve  che  a lungo termine e' l'ottimizzazione del rapporto tra capi
allevati e  superficie  per  lo  smaltimento  dei  liquami,  nonche',
l'adozione di tecniche di trattamento, compatibili con l'ambiente, di
reflui zootecnici.
   Questo   obiettivo   e'   finalizzato   alla  tutela  delle  acque
dall'inquinamento, in particolare da nitrati.
3.3.1 "Rafforzamenti" o correzioni di rotta
   Considerando  che  la  politica  agricola nazionale, al pari delle
politiche agricole degli altri Stati CE,  ha  subito  e  subira'  una
significativa  "correzione  di  rotta"  per effetto della gia' citata
riforma  della  Politica   Agricola   Comunitaria,   possono   essere
ipotizzati  "rafforzamenti"  di orientamenti gia' in atto, alcuni dei
quali nell'ambito degli  atti  di  recepimento  di  alcune  direttive
comunitarie.
A.  La  direttiva  n. 91/414/CE, relativa all'immissione in commercio
dei prodotti  fitosanitari,  introduce  mutamenti  significativi  per
quanto  concerne  le  procedure  e  i  criteri  di autorizzazione dei
pesticidi: la valutazione delle loro  caratteristiche  ambientali  ed
ecotossicologiche   consentira'   di  autorizzare  prodotti  che  non
comportino  danni  inaccettabili  per  l'ambiente,  con   riferimento
particolare alla contaminazione delle acque e all'impatto sulle "spe-
cie non bersaglio".
   Con  il  recepimento  nell'ordinamento legislativo nazionale della
direttiva   91/414/CE,   occorre   introdurre   il   criterio   della
classificazione  dei  fitofarmaci  sulla  base  della valutazione del
rischio potenziale per l'ambiente. Attualmente la classificazione  di
questi  prodotti  e',  infatti,  riferita ai soli effetti tossici per
l'uomo.
   In tal modo potrebbero essere esclusi dall'impiego, o limitati,  i
prodotti  classificati  come  potenziali  contaminanti e/o ecotossici
nelle aree ritenute vulnerabili sia dal punto di vista delle  risorse
(in   particolare   idriche),   sia  dal  punto  di  vista  ecologico
(esposizione di "specie  non  bersaglio"  ed  eventuale  presenza  di
singolarita' biologiche).
   Una  simile  classificazione consentirebbe, peraltro, di garantire
in via preventiva una maggiore protezione delle risorse idriche,  con
particolare  riferimento  alle  aree  di  salvaguardia definite dalla
direttiva 80/778/CE concernente la qualita' delle acque destinate  al
consumo umano.
   L'acquisizione  di  taluni  dati  cartografici  di  base  per  una
classificazione della vulnerabilita' del territorio  (caratteristiche
climatiche,  pedologiche,  idrogeologiche  ed ecologiche) costituisce
ovviamente  il   presupposto   indispensabile   per   effettuare   la
conseguente    gestione    degli   interventi   di   regolamentazione
dell'impiego dei  fitofarmaci,  nonche'  dei  fertilizzanti  e  delle
deiezioni   zootecniche.   A   tale  scopo  si  rende  necessaria  la
programmazione e la realizzazione della carta pedologica  dell'Italia
che,   con   metodologia   e   scale   adeguata,   caratterizzando  e
classificando i suoli, sia lo strumento di base per la  realizzazione
di ulteriori cartografie tematiche.
B.  La  direttiva  CE  91/676,  relativa  alla protezione delle acque
dall'inquinamento da nitrati provenienti da fonti  agricole,  prevede
che  gli Stati membri predispongano Codici di buona pratica agricola,
da  applicarsi  a  cura  degli  agricoltori  sull'intero   territorio
nazionale.
   Il  Codice  di  buona  pratica agricola rappresenta, pertanto, uno
strumento di indirizzo e di sensibilizzazione  degli  agricoltori  ad
una  piu'  attenta gestione del bilancio dell'azoto nell'ambito della
propria attivita' agricola.
   Si  evidenzia,  a questo proposito, che il carattere discrezionale
del Codice, a differenza degli obblighi che verranno istituiti  nelle
aree  designate  vulnerabili  ai sensi della stessa direttiva, lascia
inalterato  il   sistema   di   aiuti   e/o   disincentivi   relativi
all'esercizio dell'attivita' agricola.
   Con il carattere di generalita' che lo contraddistingue, il Codice
di buona pratica agricola puo' assumere il significato di standard di
base  relativo  all'utilizzo  di taluni mezzi tecnici e sottoprodotti
(in particolare fertilizzanti e deiezioni zootecniche), al  di  sotto
del quale i produttori non dovrebbero scendere, in quanto tale stand-
ard,  senza implicare alcuna riduzione delle rese produttive, ha come
effetto quello di una maggiore protezione dell'ambiente.
C. Per quanto riguarda le risorse idriche a  scopo  irriguo,  accanto
alla  necessita'  di  adottare  una  politica  volta al miglioramento
dell'efficienza   degli   usi   di   tali   risorse,   favorendo   la
ristrutturazione  degli  impianti  di  irrigazione ed il contenimento
degli sprechi delle acque irrigue, occorre promuovere lo sviluppo  di
nuove risorse idriche "non convenzionali".
   Le  acque  reflue  depurate  appaioni,  attualmente,  la fonte non
convenzionale piu' promettente per il soddisfacimento  dei  crescenti
fabbisogni irrigui.
   I  vantaggi  connessi  al  riuso  di acque reflue depurate possono
essere considerati sia sotto il  profilo  del  risparmio  di  risorse
idriche,  con  la conseguentemente riduzione dei volumi prelevati dai
corpi idrici superficiali e sotterranei, sia sotto il  profilo  della
diminuzione dei carichi inquinanti sversati nei corsi d'acqua.
   Le  remore  all'impiego di tale fonte non-convenzionale sono state
determinate per lo piu' dalla totale mancanza di una normativa  sugli
standard  qualitativi,  tecnologici  e di consumo per le acque reflue
depurate in funzione della destinazione, delle modalita' di impiego e
dei criteri di gestione e tariffazione dei servizi di distribuzione.
   Si sottolinea che l'attuale situazione  di  carenza  normativa  in
materia  di qualita' delle acque a scopo irriguo favorisce, di fatto,
l'impiego di acque prelevate da corsi  d'acqua  che  risultano  molto
spesso  inquinate  e,  pertanto, di qualita' inaccettabile e comunque
inferiore a quella delle acque reflue adeguatamente trattate.
D. Per quanto concerne il settore zootecnico ed, in  particolare,  il
comparto  suinicolo,  si  segnala  che in alcune regioni padane e' in
atto la tendenza a rivedere le specifiche normative  regionali  sullo
spandimento  dei  liquami,  attraverso l'introduzione dell'obbligo da
parte degli allevatori di subordinarne l'impiego sui  suoli  agricoli
alla  predisposizione di appositi piani di spandimento, tenendo conto
delle caratteristiche dei liquami, dell'attitudine  delle  colture  a
riceverli nonche' del grado di vulnerabilita' dei suoli stessi.
   Il   carico   zootecnico   massimo  ammissibile,  pari  a  quattro
tonnellate  di  peso  vivo  per  ettaro,  previsto  dalla   normativa
nazionale   vigente,   viene   pertanto  ridotto  in  funzione  della
situazione agronomica e pedologica fino a vietare lo smaltimento  dei
liquami in aree vulnerabili.
3.4 Azioni e strumenti
   Analizzando  le  opportunita' esistenti, entro le quali sviluppare
una strategia di intervento, si osserva in primo luogo la  necessita'
di  sviluppare  accordi  di programma fra le Amministrazioni deputate
alle politiche ambientali e agricole, in  particolare  fra  Ministero
dell'ambiente  e  Ministero  per  il  coordinamento  delle  politiche
agricole, alimentari e forestali.
   Si  ritiene,  in  primo  luogo, necessario un accordo di programma
sulle  modalita'  di  recepimento  della  nuova   Politica   Agricola
Comunitaria,  che  ponga al centro delle politiche agricole nazionali
la questione ambientale.
   Si evidenzia, altresi', la necessita' di  avviare  simili  accordi
con  le  Autorita'  di  bacino e le Regioni, al fine di individuare e
coordinare gli strumenti istituzionali,  organizzativi  e  finanziari
per attuare le politiche agro-ambientali nazionali.
   Allo  scopo  di favorire lo sviluppo di un'agricoltura sostenibile
nel contesto nazionale, ci si avvarra' di una serie di strumenti  che
possono  sinteticamente essere classificati in tre gruppi principali:
regolamentazioni dirette, strumenti economici e programmi di  ricerca
e informazione.
A.  La  regolamentazione diretta attualmente rappresenta lo strumento
maggiormente adottato. Essa incude misure relative a:
- limitazioni d'uso dei pesticidi e dei fertilizzanti;
- limitazioni della densita' degli allevamenti;
- introduzione di disciplinari di produzione;
- introduzione di codici di buona pratica agricola  (comprensivi  dei
piani di concimazione).
B.  Gli  strumenti  economici per ridurre le attivita' inquinanti e/o
fornire servizi legati all'ambiente possono essere cosi' riassunti:
- strumenti fiscali;
- incentivi e sussidi di compensazione finalizzati  ad  una  maggiore
salvaguardia ambientale;
-  disincentivi per l'utilizzo di tecniche di produzione non conformi
a standart di base;
- agevolazioni fiscali per lo sviluppo di servizi e attivita' per  la
tutela dell'ambiente.
C.  I  programmi  di ricerca e informazione costituiscono il supporto
necessario per valutare in via preventiva la ricaduta socio-economica
e  ambientale  degli  interventi  attuati   per   il   raggiungimento
dell'obiettivo  della  "sostenibilita'",  nonche' per fornire l'input
tecnologico in termini  di  innovazione  e  assistenza  tecnica  alle
imprese.
La  realizzazione  di attivita' di formazione dei produttori agricoli
costituisce, infine, il corollario indispensabile  per  garantire  il
trasferimento e l'utilizzo tecnologico delle innovazioni.
3.4.1 Regolamentazione diretta
A.  Le limitazioni d'uso dei pesticidi devono essere attuate, facendo
riferimento al quadro  definito  dalla  citata  direttiva  91/414/CE,
secondo una duplice attivita' di regolamentazione.
A livello nazionale e in sede di autorizzazione, la classificazione e
l'etichettatura   dei   prodotti,  in  base  ai  prevedibili  effetti
sull'ambiente,  dovra'   consentire   di   distinguere   i   prodotti
potenzialmente  contaminanti  da  quelli  caratterizzati da un minore
impatto sulle risorse naturali e sulle "specie non bersaglio".
A livello regionale e sub-regionale, sulla base di criteri comuni, la
classificazione   del   territorio   secondo   diversi    gradi    di
vulnerabilita'    specifica    (vulnerabilita'    degli    acquiferi,
vulnerabilita'  degli  ecosistemi)  dovra'  consentire   di   attuare
interventi  mirati  per  limitare,  o  escludere, l'impiego di taluni
prodotti in aree definite vulnerabili.
B.  Le  limitazioni  d'uso  dei fertilizzanti di sintesi e di origine
zootecnica   dovranno   essere   predisposte   in   relazione    alle
caratteristiche  specifiche delle aree designate vulnerabili ai sensi
della  direttiva  91/676/CE,  concernente  la  tutela   delle   acque
dall'inquinamento  da  nitrati  provenienti  da  fonti agricole. Tale
designazione  richiede,   come   per   il   punto   precedente,   una
classificazione   del   territorio  che  tenga  conto  dei  caratteri
climatici, pedologici ed idrogeologici delle aree d'impiego.
   La Comunita'  europea  ha  individuato  molto  chiaramente,  nella
citata direttiva 91/676/CE, il principale strumento per ricomporre il
rapporto agricoltura-ambiente, prevedendo la definizione di programmi
di  azione  da  attuarsi  nelle aree vulnerabili e di codici di buona
pratica agricola, di carattere volontario, da diffondere  sull'intero
territorio nazionale.
   Nel  campo  delle  azioni da intraprendere nelle aree vulnerabili,
molto chiare sono le limitazioni imposte all'attivita' zootecnica: il
quantitativo di liquami che sara' consentito spandere corrisponde, in
termini di azoto, a 170 Kg/ha,  il  che  equivale  ad  una  riduzione
sostanziale del peso vivo per ettaro.
   Come  gia'  osservato  nel  paragrafo 3.2.1, la tendenza a ridurre
drasticamente il carico zootecnico consentito e' gia' in atto  presso
alcune  regioni  e  questo  e' senz'altro un segnale positivo; esiste
tuttavia la necessita' di coordinare l'applicazione di queste  norme,
ivi  compresa  la delimitazione delle aree vulnerabili che non devono
presentare   soluzioni   di   continuita'   dettate    dai    confini
amministrativi.
   In   questo  senso  assume  particolare  importanza  il  ruolo  di
coordinamento che devono assumere le Autorita' di bacino di interesse
nazionale o regionale ed, in particolare, l'Autorita' di  Bacino  del
fiume Po.
C. Molti degli impegni che verranno assunti dai produttori agricoli a
fronte  dei  sostegni  finanziari previsti dal Regolamento CE 2078/92
per l'adozione di pratiche agricole eco-compatibili, dovranno  essere
preceduti   da   un'attenta   analisi  ambientale,  nonche'  tecnico-
economica, di elevata complessita'.
   Di fondamentale importanza e', a tale riguardo, la predisposizione
di programmi zonali e, ove possibile, di disciplinari  di  produzione
relativi  alle tecniche agro-ambientali oggetto di aiuto comunitario.
Il rispetto delle tecniche delineate dal citato  regolamento  2078/92
comporta,  di  regola,  a differenza di quelle previste dai codici di
buona pratica agricola, riduzioni quantitative della produzione,  per
le quali sono previsti specifici aiuti compensativi.
   Nel   quadro   degli  interventi  per  regolamentare  le  tecniche
produttive si colloca, in modo  senza  dubbio  innovativo,  il  ruolo
della  Pubblica  Amministrazione,  che,  oltre  a svolgere compiti di
programmazione e controllo, deve  orientare  i  produttori  verso  le
tecniche   piu'   compatibili   con   le  specifiche  caratteristiche
ambientali ed agronomiche del territorio.
   Da un lato l'Ente pubblico dovra'  fornire  un  supporto  tecnico-
scientifico  capace  di  sostenere  le  scelte imprenditoriali mentre
sara' compito delle  Associazioni  Produttori  esplicare  un'efficace
attivita' di autocontrollo sulle tecniche produttive adottate.
   L'attivita'  di  autocontrollo  potra'  essere  assicurata solo se
un'adeguata rete di assistenza tecnica ed  economica  consentira'  al
produttore  agricolo  di governare i processi produttivi nel rispetto
dell'ambiente e salvaguardando il proprio reddito.
   A questo scopo si ritiene necessario potenziare la  formazione  di
adeguate   figure   professionali   (tecnici   agro-ambientali)   che
posseggano le competenze specialistiche e  gestionali  proprie  della
"produzione   integrata".   Nel   quadro  dell'attuazione  a  livello
nazionale  del  Regolamento  CE/92/2078  si  inserisce  l'accordo  di
programma  stipulato nel febbraio 1993 tra il Ministero dell'ambiente
e  l'allora  Ministero  dell'agricoltura  e  delle  foreste  per   il
cofinanziamento  di  interventi  agro-ambientali  nei  territori  dei
parchi  nazionali.  L'accordo  prevede  un  coordinamento   tra   gli
interventi  previsti  dagli  articoli 4 e 7 della legge 394/91 "Legge
quadro  sulle  aree  protette"  e  gli  interventi  del   regolamento
CE/92/2078.
D.  Un  aspetto particolare che merita attenzione e' costituito dalla
possibilita' di riciclare in agricoltura alcune particolari categorie
di residui con caratteristiche fertilizzanti o ammendanti.
   La tendenza  all'impiego  generalizzato  in  agricoltura  di  tali
prodotti  in  nome  del  principio, di per se' corretto, di riportare
alla  terra  cio'  che  da  essa  proviene,  deve  essere   sostenuta
attraverso   un   ben   definito   regime   normativo   che   preveda
autorizzazioni, controlli, caratterizzazione in termini di inquinanti
del  prodotto,  nonche'  in  termini  di  vulnerabilita'  dei   suoli
recettori.
E.  Per quanto riguarda la tutela delle risorse idriche, va ricordato
che il 7 ottobre scorso la Camera ha approvato e trasmesso al Senato,
per la relativa conversione, una proposta di legge ("Disposizioni  in
materia  di  risorse  idriche")  che delega il Governo ad emanare con
proprio decreto la normativa per la regolamentazione dell'impiego  di
"acque  seconde", prevedendo inoltre incentivi ed agevolazioni per le
imprese che pratichino il riuso/riciclo di dette acque.
   Sara' in tal modo recepito nell'ordinamento legislativo  nazionale
l'indirizzo  al  riutilizzo  delle  acque  reflue depurate, contenuto
nella direttiva 91/271/CE  concernente  il  trattamento  delle  acque
reflue  urbane. Tale indirizzo trovera' una concreta attuazione nelle
decisioni che saranno assunte dal Governo circa l'opzione d'uso delle
acque seconde (mediante incentivi o su base obbligatoria).
3.4.2 Strumenti economici
A. Tra gli strumenti economici, particolare  attenzione  deve  essere
prestata  alla  messa  a  punto  di  strumenti  fiscali  per favorire
l'impiego di mezzi tecnici (in particolare pesticidi e fertilizzanti)
a basso carico  inquinante.  L'utilizzo  di  tali  strumenti  fiscali
presuppone  una  caratterizzazione  del  comportamento  ambientale di
questi mezzi tecnici.
Per quanto riguarda specificamente i pesticidi, si rimanda  a  quanto
detto  nei  paragrafi  3.2.1(A.)  e  3.4.1(A.) circa la necessita' di
procedere ad una classificazione ambientale dei prodotti in  sede  di
autorizzazione.
   L'introduzione  del  sistema  degli  incentivi  e  dei  sussidi di
compensazione per l'adozione di pratiche agricole  eco-compatibili  o
per   la   conversione   di   terreni   agricoli  alla  forestazione,
conformemente a quanto previsto dai citati Regolamenti CE  2078/92  e
2080/92,  riguarda  quelle tecniche e quelle pratiche la cui adozione
puo'  comportare,  anche temporaneamente, riduzioni di reddito piu' o
meno consistenti.
   Il rispetto delle condizioni  e  dei  disciplinari  di  produzione
relativi  alle  tecniche  da impiegare presuppone l'attivazione di un
sistema  di  controllo-autocontrollo  strettamente   collegato   alla
gestione  delle  attivita'  di  assistenza  tecnica  da  parte  delle
Associazioni di produttori.
   L'incentivo indiretto, derivante dalla valorizzazione  commerciale
dei   prodotti  ottenuti  con  tecniche  produttive  compatibili  con
l'ambiente, potrebbe consentire di potenziare ulteriormente i settori
della ricerca e dell'assistenza tecnica  che,  come  gia'  osservato,
costituiscono  gli  anelli  fondamentali  per  il perseguimento della
strategia dello sviluppo sostenibile.
   Passando a considerare  le  forme  per  disincentivare  l'utilizzo
improprio  di  tecniche  produttive  o  non  conforme ad uno standard
"minimo" (al di  sotto  del  quale  l'attivita'  produttiva  dovrebbe
essere  considerata  "inquinante"), qualora i Codici di buona pratica
agricola costituiscano uno "standard di base" per  l'esercizio  delle
attivita'  agricole,  occorre  prevedere  che  ogni  finanziamento  o
agevolazione pubblica faccia riferimento al rispetto di detto  stand-
ard per quanto attiene le modalita' produttive.
   Anche  l'adozione  di  un  sistema  di  questo  genere  presuppone
l'organizzazione  di  un'attivita'  di  controllo  da   parte   delle
Amministrazioni  Pubbliche  cui  puo'  affiancarsi in modo senz'altro
proficuo un'attivita' di autocontrollo da parte delle Associazioni di
Produttori.
   Un sistema di agevolazioni fiscali puo' rivelarsi  particolarmente
adeguato  per  favorire  lo  sviluppo  di  servizi  ambientali ed, in
particolare,   di   attivita'    di    assistenza    tecnica    volte
all'introduzione di tecniche eco-compatibili nelle aziende agricole.
   Tale tipo di agevolazione dovrebbe essere rivolta, soprattutto, al
sostegno  delle attivita' gestite dalle Associazioni di produttori in
quanto,  attualmente,   i   servizi   di   assistenza   tecnica   per
l'agricoltura sono gestiti per quasi i due terzi dalle stesse imprese
che producono e vendono mezzi tecnici dell'agricoltura.
3.4.3 Necessita' di ricerca
   Finalizzando  la  ricerca  alla  produzione  di  conoscenze e alla
predisposizione  di  tecnologie  necessarie  al  perseguimento  degli
obiettivi  indicati, possono essere individuati sei ambiti prioritari
di ricerca:
- caratterizzazione  del  territorio  in  termini  di  vulnerabilita'
all'inquinamento   causato   da   prodotti  agrochimici  e  deiezioni
zootecniche;
- caratterizzazione dei potenziali inquinanti contenuti nei  prodotti
agrochimici e nelle deiezioni zootecniche;
-  studio della dinamica nel suolo e nelle acque e, piu' in generale,
del  destino  ambientale  dei  composti   potenzialmente   inquinanti
derivanti dalle attivita' agricole;
- comparto zootecnico: in questo settore si devono prevedere ricerche
volte  alla riduzione del volume di reflui prodotti e del loro carico
inquinante, sia attraverso interventi sulle strutture di  allevamento
e  sugli  impianti  di  trattamento,  sia attraverso interventi sulle
diete;
- tecniche agronomiche a basso impatto ambientale: per le esigenze di
medio  periodo,  le  attivita' di ricerca dovrebbero essere orientate
alla definizione delle tecniche proprie della "produzione  integrata"
a  basso carico inquinante (tecniche di minima lavorazione del suolo,
di sistemazione idraulica, di  irrigazione,  epoche  e  modalita'  di
distribuzione  di  fertilizzanti,  sistemi  di  difesa  fitosanitaria
integrata, metodi di produzione biologica e sviluppo di biotecnologie
applicate all'agricoltura);
- ricerche sulla problematica  dell'erosione  del  suolo:  in  questo
settore  dovranno essere effettuate ricerche sui metodi per contenere
i fenomeni di erosione, con particolare riferimento alla  regimazione