CODICE DI BUONA PRATICA AGRICOLA ORIGINE E SIGNIFICATO La Direttiva CEE 91/676, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, stabilisce che gli Stati membri elaborino uno o piu' codici di buona pratica agricola (CBPA) da applicarsi a discrezione degli agricoltori. La motivazione di fondo del CBPA, nonche' delle altre prescrizioni della Direttiva richiamata, concerne la tutela della salute umana, delle risorse viventi e degli ecosistemi acquatici, nonche' la salvaguardia di altri usi legittimi dell'acqua. Il presente documento e' un CBPA che prende in considerazione esclusivamente i problemi dell'azoto in ottemperanza alla Direttiva comunitaria. Il CBPA potra' costituire la base per l'elaborazione di codici mirati ad esigenze regionali o locali a discrezione delle competenti Amministrazioni, potra' inoltre rappresentare la base anche per l'elaborazione di altri CBPA riguardanti i problemi piu' diversi, come per esempio il fosforo, i prodotti organici di sintesi o le pratiche irrigue, dato che e' stato formulato con un'articolazione flessibile che ne consente un piu' facile adeguamento ad esigenze fu- ture di varia natura. Nel CBPA, in modo complementare rispetto allo spirito della Direttiva comunitaria, si e' voluto tener conto specificatamente anche del ruolo positivo che l'agricoltura puo' svolgere nei confronti di altre fonti di inquinamento di natura extra-agricola. Per le aree designate vulnerabili ai sensi della Direttiva in discorso, in quanto connesse con le acque superficiali e profonde inquinate o potenzialmente inquinabili dai nitrati provenienti da fonti agricole, la Direttiva prevede la predisposizione di programmi di azione obbligatori per gli agricoltori, che verranno elaborati separatamente. Con un approccio analogo a quello adottato per la Direttiva 91/676 la Comunita' Europea ha affrontato il problema della prevenzione dell'inquinamento dei corpi idrici causato dalle acque reflue urbane. La Direttiva in materia, la 91/271 concernente il trattamento delle acque reflue urbane, prevede che siano individuate "aree sensibili" costituite da "sistemi idrici" in cui l'inquinamento sia causato da scarichi fognari, nelle quali attuare interventi di risanamento. Appare evidente come gli interventi previsti dalle due Direttive debbano essere coordinati, al fine principalmente di indirizzare in maniera corretta l'azione di prevenzione e risanamento, con i relativi oneri, verso le principali fonti di inquinamento presenti sul territorio. Questo CBPA e' dedicato in primo luogo ai servizi di sviluppo agricolo, cioe' ai divulgatori agricoli sia di base - operanti nelle strutture pubbliche ed in quelle autogestite delle Organizzazioni professionali, - che, in particolar modo, specializzate in pedologia e conservazione del suolo nonche' gestione degli allevamenti. Altri diretti utilizzatori del CBPA potranno comunque senza dubbio ritrovarsi tra gli agricoltori e gli allevatori, e nel relativo cospicuo indotto interessato ai problemi dell'inquinamento. Le Regioni potranno curare, come suggerito dalla Direttiva richiamata, la formulazione e la realizzazione di programmi per la formazione e l'informazione degli agricoltori, al fine di promuovere l'applicazione del CBPA. Per concludere, mentre, come sopra affermato, il CBPA e' applicabile a discrezione degli agricoltori, si deve far presente che le attivita' agricole attuate nelle aree riconosciute come vulnerabili saranno oggetto di misure restrittive obbligatorie nell'ambito di programmi di azione definiti dalle competenti autorita'. Infine le pratiche piu' incisive definite in questo CBPA, la cui adozione risultasse particolarmente onerosa da parte degli agricoltori, potranno essere opportunamente incentivate attraverso una applicazione mirata della opportunita' offerta dai Programmi Agroambientali predisposti dalle Regioni in attuazione del Regolamento CEE N. 2078/92. OBIETTIVI DEL CODICE Obiettivo principale del presente CBPA e' quello di contribuire anche a livello generale a realizzare la maggior protezione di tutte le acque dall'inquinamento da nitrati riducendo l'impatto ambientale dell'atti-vita agricola attraverso una piu' attenta gestione del bilancio dell'azoto. L'applicazione del CBPA puo' inoltre contribuire a: - realizzare modelli di agricoltura economicamente e ambientalmente sostenibili; - proteggere indirettamente l'ambiente dalle fonti di azoto combinato anche di origine extra-agricola. Il CBPA si basa su criteri di flessibilita' sia nel tempo che nello spazio per tener conto di: - variabilita' delle condizioni agro-pedologiche e climatiche italiane; - nuove conoscenze nel comparto ambientale; - miglioramenti nel settore genetico; - miglioramento nelle tecniche colturali; - nuovi prodotti per la fertilizzazione e la difesa delle piante; - miglioramenti nel trattamento degli effluenti zootecnici e delle biomasse di diversa provenienza convenientemente utilizzabili; - cambiamenti di indirizzo del mercato dei prodotti agricoli; - nuove tecniche di allevamento e di nutrizione animale. Il CBPA deve ottimizzare la gestione dell'azoto nel sistema suolo/pianta (esistente, entrante, uscente) in presenza di colture agricole che si succedono e alle quali occorre assicurare un livello produttivo e nutrizionale economicamente ed ambientalmente sostenibile al fine di minimizzare le possibili perdite con le acque di ruscellamento e di drenaggio superficiale e profondo. DEFINIZIONI Ai fini del presente CBPA vengono richiamate alcune definizioni in parte desunte dalla direttiva: - per "COMPOSTO AZOTATO" si intende qualsiasi sostanza contenente azoto, escluso l'azoto allo stato molecolare gassoso; - per "BESTIAME" si intendono tutti gli animali allevati per uso o profitto; - per "FERTILIZZANTE" si intende qualsiasi sostanza contenente uno o piu' elementi fertilizzanti, applicata al terreno per favorire la crescita della vegetazione, compresi gli effluenti zootecnici, i residui degli allevamenti ittici e i fanghi degli impianti di depurazione (ai fini del presente CBPA si considerano principalmente i fertilizzanti azotati); - per "CONCIME" si intende qualsiasi fertilizzante minerale, organico, organo-minerale, prodotto mediante procedimento industriale; triale; - per "EFFLUENTE ZOOTECNICO" si intendono le deiezioni zootecniche o una miscela di lettiera e di deiezioni zootecniche, anche sotto forma di prodotto trasformato; - per "APPLICAZIONE AL TERRENO" si intende l'apporto di materiale al terreno mediante distribuzione sulla superficie del terreno, iniezione nel terreno, interramento, miscelazione con gli strati superficiali del terreno; - per "PERCOLAZIONE" si intende il passaggio agli acquiferi sottostanti dell'acqua in eccesso rispetto alla capacita' di ritenzione idrica del terreno e per lisciviazione il trasporto di composti chimici mediante l'acqua di percolazione; - per "SCORRIMENTO SUPERFICIALE" si intende il movimento sulla superficie dell'acqua in eccesso rispetto a quella in grado di infiltrarsi nel terreno. INTRODUZIONE Per ottenere un rapporto corretto fra agricoltura, fertilizzanti azotati e ambiente e' essenziale avere una conoscenza approfondita del contesto agronomico nel quale i fertilizzanti vengono impiegati. L'impano di un particolare tipo e di una certa quantita' di prodotto impiegato dipende da una serie complessa di parametri ambientali e antropogenici che favoriscono od ostacolano la mobilizzazione delle diverse sostanze organiche ed inorganiche dalla superficie verso l'atmosfera per volatilizzazione e, piu' spesso, per infiltrazione verso gli strati piu' profondi del suolo. Di fatto per valutare i rischi di possibile contaminazione delle acque superficiali o profonde occorre stabilire preliminarmente quali siano i parametri climatici generali. Successivamente bisognera' impostare la fertilizzazione azotata su semplici bilanci tra quanto azoto ogni coltura deve assorbire per far fronte, senza insufficienze e senza eccessi, al suo fabbisogno fisiologico, e quanto azoto il terreno mette a disposizione di ogni coltura; se la fornitura naturale di azoto, come quasi sempre accade, e' inadeguata ai fabbisogni colturali, la fertilizzazione deve colmare le insufficienze in modo da renderne massima l'utilizzazione da parte delle colture e, contemporaneamente, minima la dispersione per dilavamento. Per ogni coltura sono disponibili dati analitici che indicano le quantita' di azoto assorbito ed il ritmo del suo assorbimento. Per ogni terreno e' possibile stimare l'"offerta" di azoto che esso e' in grado di fornire prontamente e il ritmo stagionale di questa. L'entita' della fornitura di azoto e' in funzione delle scorte di questo elemento presenti nel terreno, oltre che degli eventuali dilavamenti. Il ritmo e' a sua volta dipendente dalle condizioni, stagionalmente variabili, di temperatura e di umidita', e dalle condizioni di aerazione del terreno, funzione della tessitura, della struttura, ecc.. AMBIENTE CLIMATICO ITALIANO L'ambiente climatico condiziona la possibilita' di impatto dei prodotti impiegati in agricoltura nei confronti delle acque. Nei climi umidi, la distribuzione delle precipitazioni e' relativamente omogenea nel corso dell'anno. La quantita' di acqua apportata dalle precipitazioni meno quella persa per evapotraspirazione e' spesso vicina a quella drenata dal suolo; questo eccesso di umidita' nel suolo e' una caratteristica presente per la maggior parte dell'anno, cosicche' i processi di lisciviazione sono accentuati e la somministrazione di fertilizzanti comporta maggiori rischi di trasporto alle acque sotterranee. In climi tendenzialmente aridi piu' comuni nel sud dell'Italia e nelle isole le precipitazioni si hanno solo in alcuni mesi dell'anno. L'umidita' del suolo raramente supera la capacita' di ritenzione idrica, cosicche' l'acqua difficilmente penetra liberamente verso gli strati inferiori. I climi temperati-mediterranei sono caratterizzati da temperature intermedie, e la piovosita' annua totale puo' essere relativamente abbondante, anche se la distribuzione nelle diverse stagioni e' piuttosto irregolare. L'andamento piu' comune e' quello di una stagione calda e secca con occasionali temporali. Cosi' la stagione secca coincide con quella in cui l'evapotraspirazione raggiunge i suoi valori massimi; l'irrigazione e' essenziale per prevenire stress delle colture a causa della mancanza di umidita'. Tipicamente in queste fasce climatiche l'umidita' del terreno puo' superare la capacita' di ritenzione idrica solo per brevi periodi all'anno. Come conseguenza la percolazione delle acque verso la falda e' limitata ad un periodo definito, per cui si possono studiare possibili interventi per prevenire eventuali processi di trasporto indesiderati. La maggior parte della lisciviazione dei nitrati si verifica durante i mesi invernali ed all'inizio della primavera, quando le precipitazioni ed i fenomeni di percolazione sono elevati e l'evapotraspirazione e' limitata. Durante la stagione calda l'umidita' si muove nel profilo del suolo verso l'alto; se si usano correttamente le acque irrigue i movimenti dell'acqua si invertono senza comunque alterare la tendenza generale. AMBIENTE PEDAGOGICO Come e' noto ogni suolo e' frutto dell'interazione fra i diversi fattori pedologici (roccia madre, clima, vegetazione, morfologia, tempo e uomo), che non sono altro che l'espressione completa dell'ambiente. Non si puo' pertanto procedere allo studio globale dell'ambiente, senza un'approfondimento sui suoli. E' dalla lettura delle caratteristiche intrinseche del terreno (profondita', tessitura, pH, sostanza organica, ecc.) che e' possibile capire quali sono i reali equilibri fra i diversi fattori ambientali. Il suolo e' da sempre il vero nodo degli equilibri ambientali e come tale ogni studio del territorio teso alla riduzione o al contenimento di un impatto provocato da una qualsiasi specie chimica ne deve tener conto adeguatamente. Nel nostro Paese gli studi sul suolo non sono molto numerosi e le conoscenze sono assai differenziate. Per alcune Regioni si sa ben poco, in altre da decenni si lavora di buona lena e i suoli sono stati studiati con approfondimenti crescenti . Per l'intero territorio nazionale, tralasciando la carta al milione e la relativa memoria di F. Mancini e collaboratori che hanno oramai oltre un quarto di secolo, si puo' consultare la carta al milione delle nazioni della comunita' europea aggiornata agli anni Î80. Il dettaglio di tali elaborati, vecchi o piu' recenti, e' tuttavia insufficiente ai nostri fini e allora conviene verificare cosa esiste per la zona che ci interessa. Per numerose regioni ci sono carte di sintesi recenti, in scala 1:200 oppure 250.000 (Piemonte, Emilia- Romagna, Toscana, Sicilia, Sardegna) Per numerose provincie esistono carte talora non molto recenti altre volte edite da poco, ma frutto tutte di attenti rilevamenti. Per non piccole aree, a livello di bacino idrografico, di comprensorio, di comune si dispone di documenti di ottimo dettaglio. L'area piu' estesa cartografata al 50.000 e' certo quella che interessa la pianura lombarda (Progetto ERSAL) ma anche altre Regioni posseggono elaborati in tale scala o addirittura al 25.000 per ampie superfici (ad es. Sardegna, Emilia- Romagna). Molti milioni di ettari di terreni di montagna e di alta collina, coperti da boschi che vanno crescendo sia di superficie che di provvigione legnosa, o da prati naturali ricevono solo i nitrati che provengono dalle precipitazioni sia liquide che nevose. Nelle aree coltivate di colle e di piano sono tradizionali da decenni somministrazioni di nitrati da parte degli agricoltori. Tali interventi in passato, quando il costo della mano d'opera era minore e vigeva un po' dappertutto, ma in particolare nell'Italia centrale, la mezzadria, avvenivano a piu' riprese e a piccole dosi, oggi e' piu' frequente un unico spargimento assai consistente. Il destino di tale fertilizzante puo' essere assai diverso. Dipendera' soprattutto dall'andamento stagionale e dallo stato della coltura, spesso un cereale, a cui lo si e' somministrato. Se si vuoi fare un cenno alla distribuzione e diffusione dei suoli del nostro paese non pare qui il caso di parlare dei terreni di montagna sotto boschi in prevalenza di conifere o prati. Grande diffusione hanno in Italia i vari tipi di suoli bruni a profilo piu' o meno differenziato. Li troviamo su vari substrati, praticamente in tutta Italia, dalle Prealpi, alla Sicilia, sotto boschi di latifoglie e anche in molte aree coltivate. Notevole importanza assume altresi' il fenomeno della lisciviazione presente soprattutto in ambiente mediterraneo e nei suoli di non giovanissima eta'. Caratteristiche della Puglia e della Sicilia, ma presenti anche in molte altre regioni, sono le antiche terre rosse, oggi indicate come suoli rossi o mediterranei e diffuse nei paesaggi calcarei e carsici, spesso verdeggianti di vigneti e adorni di splendidi uliveti. I Vertisuoli, terre fortemente argillose molto fessurate nell'arida estate, sono presenti in varie pianure centromeridionali, spesso di non antica bonifica. Altre terre argillose, ma in paesaggi collinari, si ritrovano nell'ampia area, dal Piemonte alla Sicilia, occupata dai sedimenti del mare pliocenico. Quivi si alternano suoli tendenzialmente sabbiosi, derivanti dai depositi costieri del ciclo e con frequenza investiti da colture arboree, con altri invece assai ricchi di limo ed argilla in paesaggi mammellomari o rotondeggianti, non di rado intagliati da profondi calanchi che creano localmente dei veri "bad lands". In tali aree sono tradizionali la cerealicoltura e il pascolo ovino mentre, un tempo, larga diffusione avevano il rinnovo di favena e il prato di sulla. Grande importanza va attribuita ai fertili suoli alluvionali che "coprono" purtroppo, solo una piccola parte del territorio nazionale e che sono stati spesso e per vaste aree sottratti all'agricoltura e disordinatamente destinati all'urbanizzazione, all'industria ecc. I terreni alluvionali, profondi, solo raramente a granulometria sfavorevole, hanno un'elevata fertilita' e possono essere utilizzati per un largo ventaglio di colture. Di regola prevalgono le colture erbacee, che permettono anche un rapido adeguamento alle esigenze del mercato con l'introduzione di nuove specie e varieta' e l'abbandono di colture non piu' redditizie. Queste terre, che possono risentire, in aree depresse, di difficile scolo delle acque, sono state soggette, in tempi antichi e piu' recentemente, a bonifiche idrauliche che bisogna seguitare a curare con attenzione. Una migliore conoscenza dei terreni e della loro dinamica, e conseguenti scelte piu' oculate e razionali nella pianificazione territoriale, permetterebbero di utilizzare meglio e trasmettere in buone condizioni alle generazioni che verranno questa importante risorsa, che il nostro Paese possiede in misura non illimitata. TIPO E COLLOCAZIONE DELLE ATTIVITA' AGRICOLE E ZOOTECNICHE La superficie territoriale della penisola italiana assomma a 30 milioni di ettari circa, il 56% dei quali costituisce la superficie agraria (seminativi, colture arboree, prati e pascoli permanenti, orti familiari, vivai e semenzai). Le pianure coprono meno di 1/3 della superficie territoriale e si estendono per 4 milioni di ettari circa in Italia Settentrionale, per 2,2 milioni in Italia Meridionale e per solo 0,5 milioni in Italia Centrale. Sempre con riferimento alla superficie territoriale, i seminativi coprono il 36%, i boschi il 25%, i prati e i pascoli il 18%, le coltivazioni legnose il 12%. Procedendo dal Nord verso il Sud, il territorio e' sede, in grande sintesi, degli investimenti agricoli e forestali descritti nel seguito. Sulle Alpi, specie in quota ed in presenza di acclivita' notevoli predominano i boschi, cui seguono verso valle i pascoli, i prati pascoli, i prati permanenti. In ambiente settentrionale collinare prealpino ed appeninico e' diffusa la vite; scendendo piu' a valle, specie nelle provincie piemontesi e lombarde con grande abbondanza di acque irrigue, e' diffusa la coltura del riso attuata con lunghi periodi di sommersione. Altrove, nella Pianura Padana dal clima in genere temperato fresco ed abbastanza umido, si praticano le colture del grano tenero, del mais, della barbabietola, delle foraggere avvicendate, della patata, del pomodoro da industria, della soia e di varie orticole. Il mais e' particolarmente coltivato nel Veneto, dove in regime intensivo puo' raggiungere produzioni molto alte. Sempre in pianura, tra le colture legnose e' diffusamente rappresentata la vite, mentre le colture frutticole sono molto dif- fuse in Emilia-Romagna. Tipica della Liguria, con il suo clima marittimo molto temperato, e' la floricoltura in serra. In Italia Centrale il clima e' meno umido e piu' marittimo, c'e' minore disponibilita' di acque irrigue e le pianure hanno estensioni esigue. Sulle catene montuose sono presenti boschi e pascoli appenninici, mentre sulle colline oltre ai prati avvicendati sono presenti colture mediterranee, come la vite e l'olivo. Prevalentemente in pianura sono coltivati il tabacco, il girasole e varie specie orticole, e su superfici di ampiezza molto piu' modesta rispetto all'Italia Settentrionale continuano ad essere coltivate le specie da pieno campo precitate, tranne il riso. Nell'Italia Meridionale e Insulare prevalgono condizioni di clima temperato caldo, tendenzialmente arido, con notevole luminosita'. Continuano ad essere ben rappresentati i boschi ed i pascoli appenninici e le colture da pieno campo erbacee e arboree analoghe a quelle dell'Italia Centrale, ma l'olivo tra le colture mediterranee occupa una superficie notevole, e sono anche estesamente coltivati grano duro e agrumi. Orticoltura e floricoltura, a volte in regime intensivo e frequentemente sotto serra, coprono ampie superfici. Quanto alle dimensioni aziendali, circa il 73% delle aziende agricole italiane ha una dimensione non superiore ai 5 ettari, pari al 16% della superficie totale, mentre le aziende di maggiore estensione, presenti soprattutto nella Pianura Padana, pur di numero molto limitato, coprono la maggior parte della restante superficie. Relativamente al settore zootenico, le aziende agricole con allevamenti di bestiame sono circa 1 milione, delle quali 430.000 ospitano 8,1 milioni di bovini (2,5 milioni sono vacche da latte), 410.000 ospitano 8,5 milioni di suini e 160.000 ospitano 10,4 milioni di ovini. Per gli avicoli circa 850.000 aziende allevano 50 milioni di galline ovaiole e 74 milioni di polli da carne. A livello territoriale la produzione di carne e' concentrata per circa 2/3 in Italia Settentrionale, con prevalenza delle carni bovine e suine nell'Italia Nord-Occidentale, e delle carni avicole nell'Italia Nord-Orientale. Le carni equine ed ovicaprine sono prevalentemente prodotte nell'Italia Meridionale. Il latte e' prodotto per oltre il 75% nell'Italia Settentrionale, con una certa prevalenza nell'Italia Nord-Occidentale. Non discostandosi da altri paesi mediterranei comunitari, e a differenza dei partner Centro e Nord europei, l'Italia ha, sia per la produzione della carne bovina e suina, sia per la produzione del latte, una gamma di aziende che va dalle piccole, presenti prevalentemente in collina e in montagna, alle medie e alle grandi presenti, specie queste ultime, in pianura e nel settentrione. Le aziende medio grandi comprendono sia per il lane che per la carne bovina, e soprattutto per i suini, la maggior parte del numero complessivo di capi, infatti l'apporto produttivo delle molte aziende piccole e' modesto. SISTEMI IRRIGUI Secondo statistiche ISTAT del 1988 le aziende agricole che in Italia praticano irrigazione sono circa 750.000 e corrispondono al 26% del totale. Vengono mediamente irrigati 3.000.000 di ettari, ossia il 19% della superficie agraria utile italiana (SAU). L'entita' della lisciviazione dei nitrati decresce con l'aumentare dell'efficienza di distribuzione dell'acqua. In linea generale, sia per l'irrigazione a pioggia che per quella localizzata a bassa pressione, la quantita' di acqua da somministrare ad ogni intervento irriguo dovrebbe bagnare solo lo spessore di terreno interessato dalle radici della coltura. Le tipologie di irrigazione maggiormente diffuse sono quelle per sommersione, per scorrimento superficiale e per infiltrazione laterale da solchi, che irrigano circa il 14% della SAU; le piu' moderne e in via di diffusione sono quella a pioggia e piu' ancora quella localizzata a bassa pressione. L'IRRIGAZIONE PER SOMMERSIONE TOTALE E CONTINUA NEL TEMPO come ad esempio in risaia, determina nel terreno un moto dell'acqua verticale, dalla superficie verso gli strati profondi, spostando nella stessa direzione sostanze solubili, con possibilita' d'inquinamento delle acque di falda. Fenomeno che non si verifica per i nitrati, perche' alle temperature richieste per la coltivazione del riso il processo di denitrificazione viene inibito. L'IRRIGAZIONE PER SCORRIMENTO SUPERFICIALE e' caratterizzata invece da un movimento dell'acqua verticale nel terreno dagli strati superficiali a quelli profondi, ed orizzontale sul terreno, parallelamente alla superficie. Essa puo' dare luogo a perdite di nitrati, sia per percolazione profonda che per colature terminali. Le perdite per percolazione profonda decrescono passando dall'inizio alla fine dell'unita' irrigua, da terreni sabbiosi permeabili a terreni tendenzialmente argillosi, poco rigonfiabili ed a bassa permeabilita', da terreni superficiali a terreni profondi; dalle colture con apparato radicale superficiale a quelle con apparato radicale profondo. L'IRRIGAZIONE PER INFILTRAZIONE LATERALE DA SOLCHI presenta caratteristiche molto simili a quelle della irrigazione per scorrimento superficiale, con movimento dell'acqua nel terreno verticale al di sotto del solco e tendenzialmente orizzontale lateralmente ad esso, con movimento dell'acqua sul terreno, invece, parallelo alla superficie. Pertanto anche con questo metodo possono verificarsi perdite di acqua e di soluti sia per percolazione profonda, al di sotto dei solchi, che per colature terminali, all'estremita' inferiore dei solchi. L'IRRIGAZIONE A PIOGGIA (e' irrigato in tal modo il 5% della SAU), invece, prevedendo l'applicazione dell'acqua contemporaneamente sull'intera superficie disponibile, non dovrebbe dare luogo a problemi di disformita' di distribuzione a causa di differenti tempi di permanenza dell'acqua nei diversi punti della superficie di terreno irrigata contemporaneamente. L'IRRIGAZIONE LOCALIZZATA A BASSA PRESSIONE (1% rispetto alla SAU), prevedendo la distribuzione dell'acqua localizzata e con bassa intensita' di erogazione, (irrigazione a goccia e con spruzzatori) si adatta a tutte le situazioni di terreno e non da' generalmente luogo a ruscellamento. TIPOLOGIA DEI FERTILIZZANTI AZOTATI L'apporto di azoto alle colture puo' essere ottenuto utilizzando sia i concimi che gli ammendanti. La scelta e quindi le aspettative di risposta a livello produttivo ed ambientale sono da calibrare in funzione della forma chimica in cui l'azoto e' presente nei prodotti usati. Per indirizzare tali scelte e' opportuno illustrare, in breve, le forme di azoto presenti ed il loro comportamento nel terreno e nella nutrizione vegetale. CONCIMI CON AZOTO ESCLUSIVAMENTE NITRICO: lo ione nitrico e' di immediata assimilabilita' da parte dell'apparato radicale delle piante, e pertanto di buona efficienza. Esso e' mobile nel terreno e quindi esposto ai processi di dilavamento e di percolazione in presenza di surplus idrici. L'azoto nitrico deve essere usato nei momenti di maggior assorbimento da parte delle colture (specie in copertura e meglio in quote frazionate). I principali concimi contenenti solo azoto sotto forma nitrica sono il nitrato di calcio (N=16%) ed il nitrato di potassio (N=15%; K20=45%). CONCIMI CON AZOTO ESCLUSIVAMENTE AMMONIACALE: lo ione ammonio, a differenza dello ione nitrico, e' trattenuto dal terreno e quindi non e' dilavabile e/o percolabile. La maggior parte delle piante utilizza l'azoto ammoniacale solamente dopo la sua nitrificazione da parte della biomassa microbica del terreno. L'azoto ammoniacale ha pertanto un'azione piu' lenta e condizionata dall'attivita' microbica. I principali concimi contenenti solo azoto ammoniacale sono l'ammoniaca anidra (N=82%), il solfato ammonico (N=20.21%), le soluzioni ammoniacali (titolo minimo: 10% N), i fosfati ammonici (fosfato biammonico 18/46 e fosfato monoammonico: 12/51). CONCIMI CON AZOTO NITRICO E AMMONIACALE: tali tipi di concimi rappresentano un compromesso posifivo fra le caratteristiche dei due precedenti tipi di prodotti. In funzione del rapporto fra azoto nitrico ed ammoniacale essi possono fornire soluzioni valide ai diversi problemi di concimazione in funzione dello stadio delle colture e delle problematiche di intervento in campo. Il principale dei prodotti nitro-ammoniacali e' il nitrato ammonico, normalmente commercializzato in Italia al titolo 26-27% N, meta' nitrico e meta' ammoniacale. Esistono pure soluzioni di nitrato ammonico e urea (titolo minimo 26% in N; titolo commerciale piu' diffuso: N=30%). CONCIMI CON AZOTO UREICO: la forma ureica dell'azoto e' di per se' stessa non direttamente assimilabile da parte delle piante. Essa deve essere trasformata per opera dell'enzima ureasi prima in azoto ammoniacale e successivamente per azione dei microrganismi del terreno in azoto nitrico per poter essere metabolizzato dalle piante. L'azoto ureico ha pertanto un'azione lievemente piu' ritardata rispetto all'azoto ammoniacale. Si deve tener presente pero' che la forma ureica e' mobile nel terreno ed e' molto solubile in acqua. Il prodotto fondamentale e' l'urea (N=46%), il concime minerale solido a piu' alto titolo in azoto. CONCIMI CON AZOTO ESCLUSIVAMENTE ORGANICO: nei concimi organici l'azoto in forma organica e' prevalentemente in forma proteica. La struttura delle proteine che lo contengono e' piu' o meno complessa (proteine globulari o comunque facilmente idrolizzabili e scleroproteine) in funzione della natura dei prodotti organici di provenienza, e quindi la disponibilita' dell'azoto per la nutrizione delle piante e' piu' o meno differenziata nel tempo, da alcune settimane ad alcuni mesi. Tale disponibilita' passa attraverso una serie di trasformazioni: da amminoacidi, successivamente ad azoto ammoniacale e poi ad azoto nitrico. Essi pertanto trovano la loro migliore utilizzazione nelle concimazioni di pre-semina e per colture di lungo ciclo. Fra i principali concimi organici si ricordano il cuoio, la cornunghia, il sangue secco, la farina di carne e di pesce, la pollina, il letame essiccato ecc. CONCIMI CON AZOTO ORGANICO E MINERALE (CONCIMI ORGANOMINERALI): sono prodotti che consentono di attivare l'azione dell'azoto nel tempo: contemporaneamente assicurano una combinazione sostanza organica di elevata qualita'/elemento della nutrizione aumentandone la disponibilita' per la pianta. CONCIMI CON AZOTO CIANAMMIDICO: il prodotto tipico contenente azoto sotto forma cianammidica e' la calciocianammide (titolo minimo in azoto 18%). Anche l'azoto cianammidico per essere assimilato dalle piante deve trasformarsi nel terreno in azoto nitrico. I passaggi di questa trasformazione sono: - liberazione della cianammide per azione dell'umidita' e dell'anidride carbonica sulla calciocianammide di partenza; - trasformazione dell'azoto cianammidico in azoto ureico per idrolisi catalizzata dagli ossidi di manganese presenti nel suolo; - ammonizzazione dell'azoto ureico per azione enzimatica (ureasi); - ossidazione dell'azoto ammoniacale ad azoto nitrico per azione dei microrganismi specifici nel suolo. Per questa serie di passaggi l'azione dell'N cianammidico risulta leggermente piu' ritardata rispetto a quella dell'azoto di origine ureica. CONCIMI CON AZOTO A LENTA CESSIONE: lo scopo di ottenere prodotti che hanno la capacita' di cedere azoto in maniera progressiva nel tempo e quindi presentino gli aspetti economici positivi di una concimazione in un'unica soluzione senza o con ridotte perdite nell'ambiente, e' stato raggiunto o almeno avvicinato soprattutto seguendo due vie tecnologiche diverse. La prima consiste nella preparazione di composti di condensazione tra urea e aldeidi. A questa famiglia di prodotti appartengono la formurea (N=38%), l'isobutilendiurea (IBDU: N=30%) e la crotonilidendiurea (CDU: N=28%). La seconda via consiste nel rivestire con membrane piu' o meno permeabili i prodotti tradizionali. EFFLUENTI ZOOTECNICI: la diversita' di effetti che gli effluenti zootecnici esplicano sul sistema agroambientale si giustifica con la variabilita' della loro composizione, riferita sia alle quantita' che alla qualita'. Per quanto riguarda l'azoto, il confronto fra i diversi materiali deve essere fatto non solo sulla base del contenuto totale, ma anche della sua ripartizione qualitativa. Questo elemento, infatti, e' presente nella sostanza organica di origine zootecnica in varie forme, che possono essere funzionalmente aggregate in tre frazioni: - azoto minerale; - azoto organico facilmente mineralizzabile; - azoto organico residuale (a lento effetto). Si possono cosi' sintetizzare le caratteristiche salienti dei diversi materiali. LETAME BOVINO: costituisce un materiale a se', di difficile confrontabilita' con gli altri a motivo dell'elevata presenza di composti a lenta degradabilita'. La particolare maturazione ne ha fatto un materiale altamente polimerizzato al punto di risultare "recalcitrante" verso la microflora e da scoraggiarne percio' la demolizione. La sua finzione e' in massima parte ammendante, contribuendo a promuovere l'aggregazione delle particelle terrose e la stabilita' dei glomeruli formati. L'effetto nutritivo, pur presente, ha importanza relativamente minore, ma si protrae per piu' annate dopo quella di somministrazione. Si indica che questo effetto nutritivo nel primo anno di apporto equivalga al 25% dell'azoto totale presente. Nelle sperimentazioni italiane, pero', raramente si e' potuto ritrovare questa efficienza, rimanendo spesso al di sotto del 20%. L'effetto residuo assume consistenza rilevante fino a diversi anni dalla cessazione degli apporti, in funzione del tipo di suolo, del clima, delle lavorazioni, delle altre concimazioni e della coltura che ne approfitta. LIQUAME BOVINO: presenta caratteristiche fortemente differenziate in funzione dei sistemi di allevamento, potendo andare da liquame vero e proprio (7% di sostanza secca) fino alla consistenza piu' o meno pastosa del cosiddetto liquiletame, che puo' arrivare ad un tenore in sostanza secca del 15-20% quando viene usata lettiera in ragione di 3-4 kg per capo e per giorno. L'effetto strutturale puo' far affidamento su una quantita' quasi dimezzata rispetto al letame di composti dell'azoto a lenta degradabilita' (40%), mentre l'effetto nutritivo nel primo anno di mineralizzazione puo' arrivare al massimo al 60%. In generale, quindi, si tratta di un concime di media efficienza nel corso del primo anno e di buon effetto residuo, ma la grande variabilita' del materiale puo' far discostare di molto le caratteristiche funzionali da quelle medie appena indicate. In particolare, la maggiore presenza di lettiera avvicinera' maggiormente il comportamento a quello del letame mentre i sistemi di separazione e di stoccaggio influenzeranno il grado di maturazione e di stabilizzazione. LIQUAME SUINO: pur nella inevitabile variabilita' di composizione in funzione delle tipologie di allevamento e maggiormente in questo caso di trattamento delle deiezioni, risulta piu' facile stimarne la composizione e il valore fertilizzante. Infatti, e' un materiale che puo' arrivare a fornire gia' nel primo anno efficienze dell'azoto pari all'80%. E evidente, allora, che l'effetto residuo puo' essere solo limitato, cosi come il contributo al miglioramento della stabilita' strutturale. POLLINA: in questo caso la quasi totalita' dell'azoto e' presente in forma disponibile gia' nel primo anno di somministrazione. Ne risulta quindi un concime di efficacia immediata, paragonabile a quelli di sintesi. Anche in questo caso, l'effetto residuo puo' essere considerato blando e quello strutturale praticamente insignificante. E' un materiale molto difficile da utilizzare correttamente, perche' non stabilizzato, di difficile distribuzione, soggetto a forti perdite per volatilizzazione, con problemi di emissioni sgradevoli. Tali inconvenienti possono essere pero' considerevolmente ridotti o eliminati utilizzando sistemi di trattamento quali la preessiccazione o il compostaggio che consentono di valorizzarne le proprieta' nutritive e strutturali. COMPOST: i compost sono ammendanti ottenuti mediante un processo di trasformazione biologica aerobica di matrici organiche di diversa provenienza. Di particolare interesse per le aziende che possono disporre di deiezioni zootecniche e' il compostaggio di materiali lignocellulosici di recupero (paglie, stocchi, residui colturali diversi) che vengono mescolati alle deiezioni tal quali o trattate. A questa grande variabilita' delle matrici di partenza si aggiunge quella dei sistemi di compostaggio, relativamente alle condizioni fisiche e ai tempi di maturazione. Diventa percio' difficile generalizzare il comportamento agronomico dei compost; si puo' tuttavia ritenere che il risultato medio di un processo di compostaggio, correttamente condotto per un tempo sufficiente e con materiali piu' tipici dell'azienda agraria, origini un fertilizzante analogo al letame. sara' quindi caratterizzato da una bassa efficienza nel corso del primo anno, compensata da un piu' prolungato effetto; anche le proprieta' ammendanti possono essere as- similate a quelle del letame. Sempre in considerazione della eterogeneita' di provenienza delle matrici organiche compostabili, l'impiego del compost deve attuarsi con particolari cautele a causa della possibile presenza di inquinanti (principalmente metalli pesanti) che ne possono limitare l'impiego a dosi definite, previa analisi del terreno e del compost da utilizzare, sulla base di quanto disposto dalle normative vigenti. FANGHI DI DEPUTAZIONE: e' possibile l'impiego come fertilizzanti di fanghi da processi di depurazione di acque reflue urbane o altri reflui analoghi aventi caratteristiche tali da giustificarne un utilizzo agronomico (adeguato contenuto in elementi della fertilita', in sostanza organica, presenza di inquinanti entro limiti stabiliti). L'azoto contenuto nei fanghi di depurazione, estremamente variabile, mediamente 3-5% sulla sostanza secca, e' disponibile dal primo anno. L'utilizzo agronomico di questi prodotti, per i quali valgono cautele analoghe a quelle espresse precedentemente per i compost, e' normato dal Decreto legislativo n. 99 del 27 gennaio 1992, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 del 15 febbraio 1992; questo decreto definisce i fanghi e le dosi impiegabili, le caratteristiche dei terreni recettori, le colture ammesse, le procedure autorizzate richieste. INIBITORI ENZIMATICI: uno strumento importante per influire sulla disponibilita' dell'azoto non nitrico, e cioe' sulle trasformazioni biochimiche che avvengono nel terreno e' quello che agisce con opportune sostanze chimiche sugli enzimi e/o sui batteri che provocano, come risultato finale del processo, la formazione di ioni nitrato. Le sostanze piu' conosciute e sperimentate a livello agronomico sono quelle che rallentano la trasformazione dello ione ammonio in ione nitrico. Tali sostanze sono denominate inibitori di nitrificazione. Attualmente vi sono in commercio formulati con l'addizione di quantita' calibrate di diciandiammide (DCD). L'addizione di inibitori di nitrificazione e' stata sperimentata, in Europa, anche per gli effluenti zootecnici, al fine di ritardare la nitrificazione della elevata aliquota di azoto ammoniacale presente nei liquami, e quindi aumentarne l'efficienza. CICLO DELL'AZOTO Il ciclo dell'azoto e' molto complesso, e soprattutto dal punto di vista degli equilibri ambientali e' di difficile interpretazione perche' vi sono molti ingressi e molte uscite della natura piu' varia. La prima caratteristica importante del ciclo dell'azoto e' quella di presentare una serie di trasformazioni consistenti in reazioni di ossidoriduzione. Per schematizzare il ciclo dell'azoto in natura lo si puo' immaginare composto da tre sottocicli distinti. Il primo sottociclo avviene praticamente senza alcuna reazione di ossidoriduzione. Questo sottociclo si riduce a un flusso di azoto ammoniacale fra "riserve", soluzione del suolo e pianta. Nella pianta l'azoto ammoniacale viene inserito nel ciclo del carbonio e passa in forma organica; dalle spoglie vegetali che pervengono al suolo l'azoto organico viene ritrasformato in azoto ammoniacale e il ciclo si chiude. Si puo' aggiungere che ancor oggi le riserve dell'azoto del nostro pianeta sono costituite per il 94-98%, a seconda delle stime, da azoto ammoniacale. Il secondo e terzo sottociclo comportano processi di ossidoriduzione e pertanto scambi di energia. Il secondo sottociclo si svolge tutto fra suolo e pianta, o meglio fra organismi viventi, vegetali e catene alimentari. I promotori di questo sottociclo sono alcuni gruppi di batteri che ossidano l'azoto ammoniacale ad azoto nitrico (processo di nitrificazione) allo scopo di utilizzare l'energia che si libera nel processo di ossidazione e che viene poi utilizzata per le biosintesi e per le varie esigenze cellulari. La forte quantita' di energia liberata nel corso del processo e utilizzata dagli organismi nitrificanti deve essere spesa poi dalle piante con una significativa maggiorazione, per ridurre nuovamente gli ioni nitrato a ioni ammonio. Mentre gli ioni ammonio sono trattenuti dal terreno, gli ioni nitrato sono di solito completamente liberi nella soluzione del terreno, di modo che le radici li possono assorbire con grande facilita'. La nitrificazione, percio', non fa altro che facilitare l'assunzione dei nitrati da parte dei vegetali, spostando l'equilibrio dall'azoto ammoniacale all'azoto nitrico. Il terzo sottociclo, infine, si svolge tutto fra suolo e atmosfera. In questo caso i promotori del ciclo sono alcuni organismi capaci di "fissare" l'azoto elementare N2 presente nell'atmosfera. L'azoto elementare viene trasformato in ioni ammonio NH4+ e questo processo, consistendo in una riduzione, richiede una notevole quantita' di energia. I piu' celebri azotofissatori sono quelli simbionti, come i rizobi dell'erba medica e delle altre leguminose, che vivono a spese delle piante ospiti per quanto riguarda le loro necessita' di alimenti e di energia, ma che cedono in cambio gran parte dell'azoto fissato. L'effetto pratico di questo terzo sottociclo e' quello di immettere azoto nei cicli biologici. Una conseguenza e' quella di aumentare l'intensita' del processo di nitrificazione, che e' comune sia al secondo che al terzo sottociclo. Per contro, l'azotofissazione viene inibita quando c'e' una certa quantita' di ioni ammonio gia' presente nel mezzo. La concimazione azotata, ovviamente, puo' bloccare del tutto i processi di azotofissazione. Il terzo sottociclo si conclude con la denitrificazione: non e' possibile il passaggio diretto dell'ammoniaca ad azoto elementare. La denitrificazione trasforma l'azoto nitrico NO3- in azoto elementare N2 ed avviene tipicamente in ambiente riducente: nei terreni sommersi, che sono asfittici, e nelle nicchie anaerobiche (microambienti poveri di ossigeno) dei terreni normali, dove i nitrati vengono utilizzati per la respirazione, ossia per consumarne l'ossigeno, mentre l'azoto si libera come azoto elementare N2 o tutt'al piu' con un piccolo residuo di ossigeno, in forma di protossido N20. Se si riuniscono i tre sottocicli si ottiene il ciclo completo dell'azoto in natura. Poiche' molte delle reazioni del ciclo sono reversibili e tutte collegate, qualunque aggiunta di un termine intermedio provoca spostamenti e reazioni che interessano gli altri termini e qualunque inibizione di un passaggio puo' interagire con l'intero ciclo. BILANCIO DELL'AZOTO Poiche' il ciclo dell'azoto nel suolo e' estremamente complesso, la formulazione di un corretto bilancio dell'azoto costituisce un problema di non facile soluzione in quanto solo una parte degli input di questo elemento viene ritrovata nel terreno, mentre non e' chiara la destinazione di altre porzioni, peraltro non trascurabili, date per perdute, senza sufficienti dimostrazioni scientifiche del fenomeno. Anche l'impiego dell'isotopo 15N non ha eliminato completamente le incertezze esistenti riguardo alla caratterizzazione delle diverse forme di azoto indispensabili per quantificare le riserve azotate cui le piante possono ricorrere per sopperire alle loro esigenze nutritive. Stesse voci del bilancio dell'azoto quale ad esempio l'ammonio fissato alle argille possano comparire come input o output a seconda del diverso stato colturale del suolo. Nonostante tutte le incertezze sopraesposte, a titolo esemplicativo un bilancio dell'azoto potrebbe essere formulato tenendo conto delle voci seguenti: ENTRATE a) Dotazione iniziale di azoto assimilabile corrispondente all'incirca all'1% dell'azoto totale presente in uno strato arabile di 40 cm e valutato in alcuni casi sperimentali intorno a 30-35 kg/ha. A questa dotazione di azoto puo' contribuire anche massicciamente l'azoto in forma di ione ammonio fissato dalle argille (vedi lettera 1). b) Azoto che potenzialmente puo' mineralizzare dalla sostanza organica del terreno durante il ciclo colturale, puo' contribuire alla nutrizione azotata delle colture fornendo in un anno anche piu' di 80 kg/ha di N con i valori massimi di cessione nei periodi primaverili ed autunnali quando si verificano le condizioni ottimali per l'attivita' microbica. c) Restituzioni colturali: per queste si deve considerare che l'interramento dei residui vegetali ad elevato rapporto C/N, quando si esegue, provoca una momentanea immobilizzazione dell'azoto solubile intercettando e riorganicando 1 kg di N per ettaro per ogni 100 kg/ha di residui pagliosi ed inducendo un aumento del rapporto C/N. La mineralizzazione di questa quantita' di azoto immobilizzato, tuttavia, nel caso dell'interramento di residui pagliosi come quelli del mais, non si verifica prima di 56 mesi e si esaurisce nell'arco di due anni. d) Azoto delle deposizioni secche ed umide stimato, per esempio, in zone della pianura padana intorno a 10-15 kg/ha anno. Tale quantita' puo' essere notevolmente incrementata in zone industriali o ad attivita' zootecnica. e) Fissazione simbiontica dell'azoto atmosferico in presenza di leguminose: dipende dalla specie vegetale coltivata e puo' oscillare intorno a 100-120 kg/ha anno con massimi che superano anche i 300 kg/ha anno. Tale fissazione superando il fabbisogno della coltura determina un effetto residuo che nel caso di un medicaio di almeno quattro anni e' stato valutato intorno a 80 kg/ha nel primo anno, con valori di 50 nel secondo anno e cosi' via. Va inoltre tenuto presente che nel caso vengano effettuate delle somministrazioni di fertilizzanti la fissazione simbiontica viene annullata. f) Fertilizzazione. USCITE g) L'organicazione dell'N solubile ad opera dei microrganismi del suolo e' stimabile intorno al 25% dell'azoto proveniente da a) a g) e riguarda tutte le forme di fertilizzazione. h) La percolazione e' variabile con l'andamento climatico, e non dovrebbe superare valori che in climi mediterranei sono stimati spesso intorno a pochi kg/ha/anno. i) L'erosione e scorrimento superficiale. La valutazione di questi processi dipende dalla struttura e granulometria del terreno, dal suo stato idrico, dalle lavorazioni, dalla pendenza, dalla vegetazione, ecc., nonche' dalla natura delle precipitazioni e dal loro effetto meccanico, dalla loro intensita' oraria, ecc.. In terreni coltivati di pianura queste perdite sono trascurabili. l) L'azoto fissato dalle argille e' una voce ancora oggetto di stu- dio e varia con le condizioni pedoclimatiche e costituisce una notevole riserva di azoto del terreno. Sulla base delle attuali conoscenze puo' essere stimata dai 5 ai 30 kg/ha anno, ma in certi casi anche quantita' superiori. m) La denitrificazione e' una voce molto variabile, e dipende soprattutto dal tipo di utilizzazione del suolo e delle sistemazioni idrauliche; ad esempio per i terreni sommersi puo' essere anche dell'ordine delle decine di kg per ettaro per anno. Si tratta comunque di perdite innocue che in casi particolari possono rappresentare un mezzo di disinquinamento del suolo. n) Le asportazioni colturali, variabili con le condizioni pedoclimatiche e col tipo di gestione colturale, sono strettamente collegate all'obiettivo di produzione. APPLICAZIONE DEI FERTILIZZANTI AI TERRENI Periodi non opportuni per l'applicazione dei fertilizzanti MOTIVAZIONI La concimazione azotata con concimi minerali e' pratica adottata per tutte le colture non leguminose. Al fine di attuarla in modo razionale occorre fornire concimi azotati il piu' vicino possibile al momento della loro utilizzazione: e' questa una misura efficace per ridurre il pericolo che l'azoto venga dilavato nel periodo tra la concimazione e l'utilizzazione. Inoltre la concimazione azotata si basa sul principio di rendere massima l'efficacia di utilizzazione da parte delle colture, e minima complementarmente la dispersione per dilavamento. Nel caso si utilizzino effluenti zootecnici e' importante ricordare che la disponibilita' dell'azoto dei liquami nei confronti delle piante dipende dalla presenza di forme di azoto diverse quale l'organico, l'ureico, l'ammoniacale ed il nitrico. Le frazioni prontamente disponibili sono quelle nitrica ed ammoniacale; quote ulteriori sono rese assimilabili a seguito di processi di mineralizzazione della frazione organica. Ulteriori fattori che influenzano la disponibilita' dell'azoto di origine zootecnica sono le concentrazioni ed i rapporti tra i composti di azoto presenti, le dosi somministrate, i metodi e le epoche di applicazione, il tipo di coltura, le condizioni del suolo e del clima, ecc.. In confronto ai concimi minerali l'efficienza dell'azoto totale dei liquami nell'anno di applicazione e' stimata mediamente tra il 50 e il 70% con valori crescenti per liquami bovini, suini e avicoli; negli anni successivi la mineralizzazione della quota residua compensa parzialmente le suddette differenze. L'efficienza dell'azoto totale dei liquami rispetto ai concimi minerali varia inoltre notevolmente per ciascuna coltura in relazione all'epoca di somministrazione e a parita' di epoca di somministrazione si riduce all'aumentare della dose. Tale efficienza aumenta in terreni con tessitura franca o sciolta. AZIONI - Colture a ciclo molto lungo, autunno-primaverile (tipicamente frumento e cereali affini, colza, erbai di graminacee): va evitata categoricamente la concimazione azotata alla semina; questa va effettuata in copertura in corrispondenza dei momenti di forte fabbisogno: segnatamente durante la fase di differenziazione delle infiorescenze e poco prima della ripresa vegetativa primaverile ("levata"). - Colture perenni (prati, pascoli, arboreti, ortensi perenni): gli apporti azotati devono precedere di poco la ripresa vegetativa primaverile che segna l'inizio del periodo di forte assorbimento. - Colture a semina primaverile (barbabietola, girasole, mais, sorgo, pomodoro, peperone, melone, anguria, ecc.): la concimazione azotata alla semina e' accettabile per il non lunghissimo lasso di tempo che intercorre tra il momento della concimazione e quello dell'assorbimento purche' una limitata piovosita' in questo periodo renda il dilavamento poco probabile. Qualora la piovosita' media del periodo primaverile sia invece elevata occorre prevedere il frazionamento dei quantitativi oppure l'utilizzazione di fertilizzanti a lenta cessione e l'additivazione di inibitori della nitrificazione. Sono comunque da incoraggiare quelle tecniche con le quali la concimazione azotata viene effettuata con poco anticipo rispetto ai momenti di forte fabbisogno (concimazione in copertura, fertirrigazione). - Colture a ciclo breve (ortensi): nel caso di colture a ciclo breve, come la maggior parte delle ortensi da foglia, da frutto o da radice (insalate, cavoli, zucchine, ravanelli, ecc.) il momento di esecuzione della concimazione passa in secondo piano, come misura di contenimento delle perdite per dilavamento dei nitrati, rispetto al rischio, ben maggiore, di un irrazionale eccesso di concimazione azotata molto ricorrente in questo tipo di colture. Nel caso si utilizzino effluenti zootecnici occorre preventivamente pianificarne la distribuzione in funzione del fabbisogno fisiologico della coltura e delle epoche idonee e non in funzione delle esigenze dei contenitori di stoccaggio; e' consigliata l'applicazione a terreni agrari tra la fine dell'inverno e l'inizio dell'estate. E' praticabile l'applicazione al terreno degli effluenti ad inizio estate o in autunno dopo il raccolto solo se si prevede una coltura che possa utilizzare l'azoto nel periodo invernale (cereali autunno- vernini, colture intercalari, cover crops, ecc.). E' consigliabile comunque prevedere l'applicazione al suolo degli effluenti zootecnici quando maggiore e' l'efficienza dell'azoto in relazione alla coltura. Nel caso di somministrazioni elevate occorre frazionare la somministrazione in piu' dosi. Applicazione dei fertilizzanti CONCIMI MINERALI MOTIVAZIONI L'applicazione dei fertilizzanti al terreno puo' avvenire con distribuzione su tutta la superficie o per localizzazione, con o senza interramento per entrambe le tecniche. In linea di principio l'applicazione dei fertilizzanti dovrebbe interessare solo quello spessore di terreno effettivamente esplorato dagli apparati radicali delle colture. La scelta delle tecniche di applicazione dei fertilizzanti e' condizionata a livello di ottimizzazione delle operazioni da diversi fattori fra cui: caratteristiche chimiche dell'elemento e/o degli elementi nutritivi da applicare nei confronti del suolo e/o dell'apparato radicale (es.: modalita', immobilizzazione, indici di salinita', ecc.); natura fisica del prodotto fertilizzante (solido, liquido, gassoso); concentrazione in elementi nutritivi del prodotto fertilizzante; esigenze della coltura nelle sue diverse fasi di sviluppo (richiesta totale di elementi nutritivi, possibilita' o utilita' del loro frazionamento, periodi ottimali di fornitura degli elementi nutritivi in funzione anche dei periodi possibili di intervento); caratteristiche chimiche e fisiche del terreno; andamento climatico prevalente; costo economico globale dell'operazione di fertilizzazione (stoccaggio, trasporto, manipolazione applicazione al terreno, costo dei prodotti). Indipendentemente dalle soluzioni tecniche adottate e dalle caratteristiche fisiche dei fertilizzanti da distribuire, in special modo stato fisico e contenuto in elementi fertilizzanti per unita' di peso o di volume, il sistema di applicazione prescelto deve essere in grado di distribuire il fertilizzante con efficiente uniformita' e regolarita' sia lungo la direzione di avanzamento della macchina (uniformita' di distribuzione longitudinale) che in senso perpendicolare ad esso (uniformita' di distribuzione trasversale). I sistemi di controllo della dose di fertilizzante da applicare devono essere tali da assicurare una costanza di applicazione su tutto l'appezzamento da trattare. Al fine di evitare dispersioni inutili, negative dal punto di vista ambientale ed economico, particolare cura dovra' essere posta nelle operazioni di concimazione di appezzamenti confinanti con fossi di scolo od altre opere facenti parte di reti idriche ed in prossimita' delle capezzagne. AZIONI Per l'applicazione dei concimi (minerali, organici, organominerali) le macchine impiegabili si differenziano in funzione dello stato fisico dei concimi da distribuire. Per i concimi solidi e' di notevole importanza per la regolarita' del dosaggio la forma fisica, polvere o granuli e per questi ultimi la omogeneita' granulometrica e la conformazione dei granuli. Minore e' la difformita' granulometrica e piu' tondeggiante la forma dei granuli, minori inconvenienti si hanno nella regolarita' dei sistemi di dosaggio. Per l'applicazione di concimi solidi su tutta la superficie del terreno le macchine esistenti sul mercato sono dei seguenti tipi: - spandiconcime per reazione centrifuga a dischi (uno o piu') o a tubo oscillante; - spandiconcime per gravita' o distribuzione lineare; - spandiconcime con distribuzione a trasporto pneumatico. Dato il costo e la semplicita' costruttiva, gli spandiconcime attualmente piu' diffusi in Italia sono quelli centrifughi. La regolarita' di distribuzione, in tali macchine, e' influenzata dalla omogeneita' della granulometria del prodotto, dal suo diametro medio e dalle caratteristiche del terreno. L'accidentalita' e la zollosita' del terreno, determinando fenomeni di ondeggiamento, influiscono sulla dinamica di lancio del granulo e quindi sulla larghezza di lavoro con conseguenti sovraddosaggi e dispersioni di concime; pertanto e' consigliabile ridurre la zollosita del terreno prima dell'intervento di concimazione. La presenza di vento e la sua direzione incidono sulla distribuzione specie in caso di concimi polverulenti. Gli spandiconcime pneumatici sono quelli che assicurano la massima regolarita' di distribuzione. L'interramento del concime distribuito su tutta la superficie avviene generalmente attraverso le lavorazioni del terreno. Per quanto riguarda i concimi azotati l'interramento non e' consigliabile salvo che per concimi ammoniacali od ureici in caso di terreni a reazione alcalina. In tali casi l'interramento del concime evita le possibili perdite gassose di ammoniaca. La distribuzione localizzata in superficie si realizza seguendo due tecniche principali: la localizzazione in banda e la localizzazione in linea. La prima consiste nell'applicare il concime in bande di larghezza variabile. Essa e' generalmente usata nelle colture arboree. Tale tipo di distribuzione puo' essere realizzata anche modificando opportunamente i normali spandiconcime centrifughi. La seconda consiste nel collocare il concime in una striscia della larghezza di alcuni centimetri tra le file delle piante. Tale tecnica e' particolarmente seguita nella concimazione azotata di copertura del mais. La macchina piu' idonea, per garantire una uniformita' di distribuzione, e' lo spandiconcime a distribuzione pneumatica. L'interramento del concime con la tecnica della concimazione localizzata viene normalmente ottenuto impiegando spandiconcimi sussidiari alle attrezzature per la semina o per la sarchiatura. Principio fondamentale di questa tecnica e' quello di fornire in loco e quindi con alto gradiente di concentrazione, gli elementi nutritivi necessari. Tale tecnica consente un risparmio di unita' fertilizzante e la riduzione dei rischi di perdite per lisciviazione. Nella localizzazione alla semina e' opportuno utilizzare concime a basso indice di salinita' al fine di evitare danni al seme specie se la localizzazione del concime avviene troppo vicino al seme stesso. Per i concimi liquidi le tecniche di applicazione sono fondamentalmente le stesse. I sistemi di applicazione differiscono in questo caso in funzione dello stato fisico del concime liquido e cioe' del fatto che si impieghi una soluzione o una sospensione. In ogni caso le macchine utilizzate devono assicurare una buona uniformita' di distribuzione sul terreno e una ridotta polverizzazione del liquido. In linea generale e' consigliabile l'impiego di macchine dotate di un sistema di regolazione con distribuzione proporzionale alla velocita' di avanzamento, in grado di operare con pressioni di esercizio limitate e con elevata portata. La distribuzione dei concimi liquidi in linea di principio avviene con macchine simili alle irroratrici a barra utilizzate per i trattamenti fitosanitari. Nel caso di concimazioni di copertura e' opportuno utilizzare ugelli a piu' getti rettilinei al fine di limitare al massimo la polverizzazione del liquido e favorirne il gocciolamento a terra. Nel caso delle sospensioni, impiegate principalmente per le concimazioni di fondo, le macchine utilizzate devono presentare particolari accorgimenti quali pompe di tipo centrifugo, sistemi di filtrazione, sistemi di agitazione della massa del concime, tubazioni di grande diametro, sistemi di riciclo per evitare fenomeni di deposito. Per la distribuzione delle sospensioni e' consigliabile utilizzare ugelli a specchio con elevato angolo di distribuzione e portate sostenute. Particolare precauzione va posta per il recupero delle acque di lavaggio della macchina a fine giornata di lavoro evitandone lo scarico diretto nei fossi di scolo o nelle acque superficiali. Per la distribuzione localizzata in superficie, da impiegarsi su colture sarchiate, si utilizzano le stesse macchine con gocciolatori sistemati a livello dell'interfilare della coltura in modo da consentire il gocciolamento della soluzione o della sospensione a opportuna distanza dalle piante. Per la distribuzione localizzata con interramento si utilizzano macchine abbinate alle seminatrici. Esse sono costituite, oltre che dal serbatoio, da una pompa volumetrica e da una serie di assolcatori per la localizzazione della soluzione o sospensione in prossimita' della linea di semina. Accanto alle predette modalita' tradizionali di distribuzione dei concimi esistono ulteriori tecniche tra le quali la fertirrigazione. Per fertirrigazione si intende la distribuzione di concimi con l'acqua di irrigazione. Il sistema della fertirrigazione presenta vantaggi e svantaggi. I PRINCIPALI VANTAGGI SONO: - poca manodopera per le operazioni di applicazione del concime; - non calpestamento del terreno con le macchine; - facilita' di esatto frazionamento della concimazione azotata; - possibilita' di intervento anche in momenti in cui il terreno non e' praticabile per la presenza della coltura. GLI ASPETTI NEGATIVI PRINCIPALI SONO COLLEGATI A: - limitazione alle sole coltivazioni irrigue; - necessita' di un impianto di irrigazione piu' perfezionato e costoso; - interventi di irrigazione non strettamente necessari ma effettuati a sola funzione concimante; - perdite per dilavamento e volatilizzazione. Tra le concimazioni gassose l'unica che ha avuto una qualche diffusione in Italia e' quella dell'ammoniaca anidra che deve essere applicata al terreno ad una profondita' compresa fra 15 e 20 cm in funzione delle caratteristiche del suolo (tessitura e umidita'). L'ammoniaca passa dalla fase liquida a quella gassosa all'uscita dei tubi adduttori e viene successivamente fissata dal terreno. Se il terreno non si trova nelle condizioni ottimali, e risulta o troppo secco o troppo umido, i solchi scavati dai denti iniettori rimangono parzialmente aperti con conseguenti possibili perdite di ammoniaca gassosa. Analoghe perdite si possono verificare quando il conduttore della macchina solleva i denti iniettori (es. a fine campo) o nelle curve. Per la necessita' di iniezione dell'ammoniaca nel terreno la capacita' di lavoro di queste macchine e' relativamente contenuta. Applicazione dei fertilizzanti EFFLUENTI ZOOTECNICI MOTIVAZIONI Le tecniche di distribuzione dei reflui zootecnici hanno una rilevante influenza tanto nell'impatto ambientale quanto nell'efficienza produttiva. Da esse dipende infatti il manifestarsi di alcuni problemi connessi allo spandimento e la loro entita'. Lo spandimento dei liquami viene effettuato di norma in superficie mediante serbatoi trainati o semoventi, per lo piu' in pressione, utilizzati sia per il trasporto che per la distribuzione. La distribuzione con i criteri convenzionali comporta oltre ad una scarsa omogeneita' emissioni di ammoniaca e di altre molecole responsabili della produzione di odori, sia a causa dalla polverizzazione del getto che si verifica con i comuni dispositivi di distribuzione, sia soprattutto a causa della permanenza dei liquami sul terreno. Infatti le emissioni si verificano in prevalenza nel periodo immediatamente successivo alla distribuzione e le perdite di ammoniaca nelle ore successive allo spandimento possono raggiungere anche l'80% degli apporti. Inoltre alcuni dispositivi utilizzati, quali i getti irrigatori alimentati ad alta pressione, provocano una spinta polverizzazione del getto, con formazione di aerosol e conseguente rischio di veicolazione di microorganismi patogeni. Qualora nella distribuzione dei liquami si utilizzino mezzi di elevata capacita' al fine di ridurre i costi di spandimento, l'impiego di tali mezzi puo' determinare danni alla struttura del terreno. Infine la somministrazione dei liquami in copertura con la tecnica "a pioggia", in particolare nel caso dei reflui ad elevato contenuto di sostanza secca, puo' comportare l'imbrattamento delle colture, con effetti ustionanti e di depressione, delle rese. AZIONI Al fine di evitare o comunque ridurre gli inconvenienti sopra considerati e' opportuno, ove possibile, introdurre tecniche innova- tive di distribuzione quali: a) la separazione delle fasi di trasporto e di spandimento dei liquami; b) l'interramento mediante dispositivi iniettori; c) la distribuzione in superficie con dispositivi a bassa pressione. A) SEPARAZIONE DELLE FASI DI TRASPORTO E DI SPANDIMENTO DEI LIQUAMI La separazione delle fasi di trasporto e di distribuzione limita sostanzialmente il compattamento del suolo e permette l'intervento su terreno lavorato, in prossimita' della semina e con colture in atto, cioe' in periodi nei quali la somministrazione dei liquami consegue le piu' elevate efficienze produttive. Inoltre, l'adozione di soluzioni tecniche diverse per le due fasi di trasporto e spandimento puo' portare a riduzioni consistenti dei costi di gestione. Al fine di ridurre gli oneri, il trasporto puo' essere effettuato su ruote, utilizzando macchine operatrici di elevata capacita' o, in alternativa, mediante tubazione. Per quanto riguarda il trasporto su ruote possono essere impiegate cisterne a pressione atmosferica di capacita' complessiva fino a 35 m3 che possono essere utilizzate per alimentare stoccaggi opportunamente collocati sui terreni aziendali. Nel trasporto in condotta, l'adozione di linee di adduzione di piccolo diametro alimentate in pressione consente di ridurre sostanzialmente i costi di investimento. Nella fase di distribuzione il ricorso a tubazioni avvolgibili che alimentano dispositivi per lo spandimento superficiale o per l'interramento riduce sostanzialmente il compattamento del suolo in fase di spandimento. L'adozione di tale sistema risulta particolarmente opportuna negli interventi primaverili, nel corso delle operazioni di preparazione delle semine o con colture in atto. Esso consente inoltre una notevole riduzione della potenza richiesta in fase di distribuzione: nel caso in cui si effettui l'interramento diretto del liquame e' possibile, ad esempio, limitare le forze di trazione a quelle necessarie alla movimentazione degli iniettori. Una alternativa alle tubazioni avvolgibili per le somministrazioni su terreno nudo e su prato e' il cosiddetto sistema ombelicale, nel quale il collegamento tra lo stoccaggio e il dispositivo distributore avviene mediante una tubazione flessibile e resistente all'abrasione. B) INTERRAMENTO L'adozione di dispositivi iniettori che incorporano i liquami al terreno all'atto della distribuzione consente di limitare sostanzialmente le emissioni di odori e di ammoniaca che si verificano nel corso dello spandimento dei liquami. Risultati delle ormai numerose determinazioni effettuate hanno infatti evidenziato che, per questa via, le perdite di azoto ammoniacale si riducono a percentuali comprese, nella maggior parte dei casi, entro il 5% del totale apportato. Mediante l'interramento si conseguono altri risultati quali: - assenza di formazione di aerosol durante la distribuzione; - eliminazione dello scorrimento superficiale; - eliminazione della possibilita' di contaminazione dei foraggi per le applicazioni su prato. I dispositivi per l'interramento dei liquami possono essere installati su un serbatoio, o in alternativa, essere alimentati da tubazioni avvolgibili e trainati da trattore. Per l'apertura del solco vengono utilizzati dischi, zappette, assolcatori ad ancora, posteriormente ai quali pervengono tubi di adduzione dei liquami. I dispositivi di interramento devono avere caratteristiche diverse a seconda che vengano utilizzasi su terreno arativo o su prato. I principali limiti dell'interramento diretto dei liquami rispetto alla distribuzione superficiale sono l'elevata potenza richiesta e la ridotta capacita' di lavoro, che determinano incrementi dei costi di spandimento compresi tra il 50% e il 100%. Se e' vero che l'interramento comporta maggiori oneri rispetto alla distribuzione superficiale, per contro, riducendo le perdite di ammoniaca, permette migliori risultati produttivi rispetto a quest'ultima. Una soluzione alternativa all'interramento e' rappresentata dalla lavorazione del terreno eseguita entro 3-5 ore dallo spandimento. C) DISTRIBUZIONE IN SUPERFICIE CON DISPOSITIVI A BASSA PRESSIONE La distribuzione con dispositivi a bassa pressione (2-3 atmosfere) consente di evitare la polverizzazione spinta del getto, riducendo i problemi di diffusione di odori, perdite di ammoniaca e formazione di aerosol, migliorando nel contempo la omogeneita' di distribuzione. Tali problemi infatti risultano assai contenuti adottando ali distributrici a bassa pressione, disponibili per l'installazione su serbatoio o su tubazione avvolgibile. La distribuzione avviene sia attraverso ugelli dotati di piatto deviatore rompigetto sia mediante ugelli dotati di tubazioni mobili che depositano i liquami al livello del suolo. Quest'ultima soluzione e' adatta solo allo spandimento di liquami chiarificati, in quanto la numerosita' degli ugelli e il loro piccolo diametro comportano possibilita' di intasamenti con materiali ad elevato contenuto di sostanza secca Una variante del dispositivo in grado di assicurare una distribuzione omogenea e non "in file" e rappresentata dalla presenza di un deflettore, all'uscita delle tubazioni flessibili, che provvede a laminare il prodotto. D) DISTRIBUZIONE CON TECNICHE CONVENZIONALI Qualora si adottino invece tecniche convenzionali di spandimento mediante serbatoio, ad esempio negli interventi postraccolta sulle colture annuali e per le somministrazioni su prato, e' opportuno far ricorso ad alcuni accorgimenti per ridurre i danni di compattamento del terreno ed in particolare: - attenzione alle condizioni di umidita' del terreno; - adozione di mezzi di capacita' contenuta al fine di limitare il peso delle macchine operatrici a non piu' di 10 t a pieno carico e a pesi per assale non superiori alle 5-6 t; - adozione di pneumatici larghi e a bassa pressione; - adottare la maggiore ampiezza possibile di lavoro, in modo da limitare il numero dei passaggi e quindi la superficie sottoposta a calpestamento, anche se cio' potra' andare a scapito della omogeneita' di distribuzione. Qualora non sussistano rischi di compattamento si potra' perseguire l'obiettivo della buona omogeneita' di distribuzione evitando il ricorso al getto irrigatore e operando con ampiezza di lavoro del piatto deviatore inferiore a quella massima tecnicamente consentita. E' inoltre necessario adottare accorgimenti per meglio regolare la dose applicata; in assenza di dispositivi specifici per questa funzione e' possibile conseguire buoni risultati variando la velocita' di avanzamento del mezzo. Casi particolari APPLICAZIONE DEI FERTILIZZANTI IN TERRENI IN PENDENZA MOTIVAZIONI Per una corretta applicazione di fertilizzanti in terreni in pendenza si deve tenere conto in primo luogo dei rischi di ruscellamento idrico superficiale che dipende principalmente da: - pendenza del suolo - caratteristiche del suolo - tipo di paesaggio - sistema colturale - condizioni climatiche. La presenza di vari fattori e le loro interazioni nel sistema suolo-acqua-pianta-clima rendono difficile la scelta delle tecniche da mettere in atto. L'adozione di una tecnica volta a risolvere un problema puo' collateralmente aggravarne o crearne un altro, si possono generare dei contrasti tra diverse tecniche, vi possono essere situazioni incontrollabili, come per esempio: le tecniche di contenimento dell'erosione possono risolvere i problemi dell'inquinamento da N e P, sebbene il loro effetto sia maggiore nei confronti delle perdite nei materiali erosi piuttosto che quelle nell'acqua di ruscellamento, ma non hanno alcun effetto sulla percolazione dei nitrati e talvolta possono persino aggravarla; le lavorazioni ridotte mantengono i residui in superficie per ridurre l'erosione e conservare il suolo, ma ostacolano l'incorporamento dei fertilizzanti nel terreno auspicabile per aumentarne l'efficienza produttiva e ridurne le perdite nelle acque superficiali; l'inquinamento delle acque per ruscellamento superficiale puo' difficilmente essere prevenuto in caso di nubifragio e con tale tipo di evento non ci sono molte differenze se erano stati somministrati concimi chimici o effluenti zootecnici. AZIONI Le perdite di elemento nutritivo sono particolarmente elevate se il ruscellamento avviene poco dopo la somministrazione dei fertilizzanti; l'interramento e' particolarmente importante per gli effluenti zootecnici che per la loro costituzione fisica tendono a rimanere in superficie; una rapida incorporazione nel terreno puo' ridurre le perdite per ruscellamento da un campo concimato allo stesso livello di un campo non concimato. Poiche' il rischio di erosione e' difforme durante l'anno, intervenire quando tale rischio e' minore, per esempio se l'erosione risulta elevata in autunno, evitare di arare a fine estate o in autunno, e non somministrare fertilizzanti. Evitare somministrazioni in periodi di probabile ruscellamento, se non si puo' provvedere all'interramento; per i prati, per i pascoli e per i terreni sodi in genere, questo aspetto e' molto importante. Casi particolari APPLICAZIONE DI FERTILIZZANTI AL TERRENO SATURO D'ACQUA, INONDATO, GELATO O INNEVATO MOTIVAZIONI Nel terreno saturo d'acqua l'azoto nitrico viene facilmente perduto per denitrificazione, se vi e' sufficiente sostanza organica mineralizzabile e la temperatura non e' inferiore a 50C. Sul terreno gelato o innevato il fertilizzante non riesce a infiltrarsi nel terreno e rischia durante il disgelo di essere trasportato per ruscellamento superficiale, soprattutto nei terreni in pendio. AZIONI La distribuzione di fertilizzante azotato in terreni saturi d'acqua in inverno sarebbe di scarsa utilita' in quanto una parte rilevante ne verrebbe perduta per denitrificazione. Nell'eventualita' di eccesso idrico durante il ciclo vegetativo delle colture e' opportuno effettuare la fertilizzazione non appena lo stato idrologico del terreno sara' ritornato normale. In condizioni di terreno gelato per tutte le 24 ore del giorno, oppure coperto di neve, la fertilizzazione e' da evitare. Tuttavia sul terreno che rimane gelato soltanto nelle ore piu' fredde della giornata, la fertilizzazione con dosi molto basse di concimi azotati o di liquami (non troppo densi) puo' essere effettuata per i cereali vernini. Casi particolari APPLICAZIONE DI FERTILIZZANTI AI TERRENI ADIACENTI AI CORSI D'ACQUA MOTIVAZIONI L'adozione di particolari cautele e di tecniche idonee nell'applicazione di fertilizzanti, minerali ed organici, sugli appezzamenti di terreno contigui ai corsi d'acqua, consente di limitare al minimo i rischi di eutrofizzazione dei corpi idrici superficiali dovuti all'apporto di nitrati. Secondo le tavolette in scala 1:25.000 dell'IGM vengono definiti "corsi d'acqua" fiumi, torrenti o fossi in ordine decrescente d'importanza. In particolare, poiche' i nitrati risultano presenti per la maggior parte nella soluzione del suolo e in quota minima sono debolmente adsorbiti, il passaggio diretto o indiretto, nei corpi idrici avviene principalmente per effetto dello scorrimento in superficie e per dilavamento sub-superficiale. Tale passaggio risulta tanto piu' veloce quanto piu' intenso e' l'apporto di fertilizzante e quanto minori sono i fattori che ostacolano il deflusso dei nitrati verso la rete scolante. In relazione a cio' le regole per una corretta applicazione dei fertilizzanti in prossimita' di corsi d'acqua, naturali ed artificiali, riguardano in primo luogo le modalita' con cui avviene l'applicazione stessa (quantita', epoche, tipo di fertilizzante, grado di frazionamento, ecc.) ma interessano anche altri fattori agronomici in grado di influenzare - accelerando o rallentando - il passaggio dei nitrati nei corpi idrici superficiali (es. presenza di colture di copertura, di siepi ripariali, ecc.). Va infine considerata la possibilita' che suoli adiacenti ai corsi d'acqua siano soggetti a periodiche esondazioni. AZIONI Le buone pratiche agricole da adottare nell'ambito di una corretta applicazione di fertilizzanti su terreni contigui ai corsi d'acqua interferiscono con i seguenti meccanismi: - riduzione della disponibilita' di sostanze nutrienti in soluzione e adsorbite sulle particelle di terreno; - creazione di fasce di interposizione che rallentino il flusso verso il recapito delle acque di scolo superficiali e sottosuperficiali; - riduzione della velocita' del deflusso idrico superficiale attraverso l'aumento della scabrezza del terreno e della capacita' di invaso superficiale, nonche' diminuzione della pendenza superficiale. Per le modalita' di somministrazione dei fertilizzanti occorre attenersi ai criteri enunciati in precedenza (vedi Applicazione dei fertilizzanti), tenendo comunque presente che in tali terreni il rischio e' piu' accentuato. Di conseguenza le applicazioni dovranno essere possibilmente frazionate mentre si dovra' evitare la somministrazione di concimi in corrispondenza dei periodi piovosi. Particolarmente utile per tali appezzamenti, ai fini del contenimento dei processi di dilavamento, e' l'effettuazione di colture di copertura durante il periodo invernale (vedi Gestione dell'uso del terreno) o la conservazione dei residui vegetali sulla superficie del terreno stesso. In particolare si dovra' prevedere il mantenimento di una fascia perennemente inerbita - sottoposta periodicamente a sfalcio - lungo il corso d'acqua per una larghezza tanto maggiore quanto minore e' la pendenza delle sponde; su tali fasce di rispetto, che corrispondono alle superfici piu' frequentemente soggette ad esondazione, dovra' essere evitata la somministrazione di liquami e di concimi minerali. Le pratiche di concimazione dovranno altresi' favorire l'apporto di sostanza organica e quindi la formazione di humus stabile, allo scopo di migliorare la struttura del terreno con conseguente minore compattazione e piu' ridotto grado di ruscellamento. Accanto alle pratiche colturali piu' direttamente connesse alla fase di somministrazione dei fertilizzanti rivestono grande importanza, ai fini della limitazione dei rischi di dilavamento negli appezzamenti contigui ai corsi d'acqua, le sistemazioni idraulico- agrarie e la presenza o meno di siepi campestri. In tal senso sono da favorire sistemazioni di piano che prevedano ridotta baulatura e falde di lunghezza contenuta, compatibilmente con le necessita' di allontanamento delle acque in eccesso; infine, la conservazione o l'introduzione, laddove possibile, di siepi campestri lungo i corsi d'acqua e' una pratica da favorire per proteggere le rive dall'erosione e per aumentare l'effetto di interposizione al flusso di elementi nutritivi verso la rete scolante. Avvicendamenti MOTIVAZIONI In linea di principio l'adozione di opportuni avvicendamenti deve assicurare un certo livello di sostanza organica nel terreno al fine di ridurre gli apporti azotati. Quando passa molto tempo tra la raccolta di una coltura e la semina di quella successiva l'azoto solubile esistente nel terreno e' esposto ad essere dilavato dalle piogge. I periodi piu' critici per la percolazione sono quelli in cui le precipitazioni sono tanto abbondanti da superare la capacita' di ritenzione idrica del terreno e quindi tali da far percolare i sali azotati solubili in profondita' fino agli acquiferi. La presenza di specie leguminose nella rotazione non e' scevra da inconvenienti per quanto riguarda la tutela degli acquiferi. L'azoto fissato da un sistema simbiotico "leguminosa - Bacillus radicicola" entra a far parte dello stock di azoto del terreno e subisce lo stesso destino dell'azoto proveniente da altre fonti, tra cui quello di essere nitrificato e percolato. Tutti i residui colturali che contengono poco azoto (rapporto C/N alto: >40-50) hanno l'interessante prerogativa, una volta incorporati nel terreno ed entrati nel ciclo della decomposizione ed umificazione, di prelevare l'azoto solubile presente ed utilizzarlo nel metabolismo degli organismi decompositori. L'interramento della paglia dei cereali e di altri residui pagliosi (stocchi di mais e di sorgo, steli di colza e girasole, ecc.) e' una pratica di grande efficacia antilisciviazione. AZIONI E' consigliabile evitare monosuccessioni o successioni di colture primaverili-estive che lasciano il terreno privo di copertura vegetale dall'autunno alla primavera (es. mais in monosuccessione, successione mais-soia, ecc.). Le rotazioni colturali piu' rispondenti al fine di ridurre le perdite per percolazione sono quelle che assicurano la copertura del terreno durante la stagione piovosa: i cereali vernini innanzitutto, in monosuccessione o, meglio, in rotazione con altre colture autunno- vernine (es.: colza, erbai di graminacee o di crucifere, cartamo, ecc.). Occorre porre particolare attenzione alla rotazione colturale che include una specie leguminosa in quanto e' necessario far seguire ad una leguminosa una specie in grado di utilizzare l'azoto fissato. In ogni caso l'avvicendamento delle colture deve essere programmato al fine di ottimizzare l'utilizzazione dell'azoto solubile residuo dalla coltura precedente e di quello mineralizzato della sostanza organica. Una misura atta a contenere la percolazione dei nitrati e' quella di assicurare, nel periodo piu' critico, la presenza di una copertura vegetale attiva nell'assorbire e assimilare i nitrati sottraendoli cosi' al dilavamento. L'interramento dei residui pagliosi puo' comportare che 100 kg di paglia di frumento intercettino oltre 1 kg di N solubile, che cosi e' sottratto alla possibile percolazione. E' possibile ridurre le perdite indesiderate di nitrati per percolazione mediante un'appropriata gestione dell'uso del terreno. Le linee operative possibili vanno dalla adozione di avvicendamenti colturali che non lascino il terreno scoperto a lungo, all'interramento dei residui colturali pagliosi ed alla corretta gestione delle lavorazioni del terreno. Mantenimento della copertura vegetale MOTIVAZIONI La presenza di una copertura vegetale impedisce un accumulo di nitrati grazie al loro assorbimento da parte delle radici. Oltre ad intercettare i nitrati naturalmente presenti nel suolo o apportati con le fertilizzazioni, la copertura vegetale puo' assicurare una protezione delle acque sotterranee nei confronti di quelli di origine extragricola. Particolare importanza viene assunta dalla copertura vegetale nelle superfici temporaneamente ritirate dalla produzione ai sensi della normativa comunitaria. AZIONI Le coperture vegetali potenzialmente realizzabili sono le seguenti: - vegetazione spontanea: l'inerbimento naturale che si produce in fine estate-autunno dopo la raccolta delle colture dovrebbe essere visto molto positivamente nelle zone a rischio, come mezzo per contrastare la percolazione dei nitrati; quindi non dovrebbe essere ostacolato con lavorazioni, ma lasciato svolgere la sua funzione quanto piu' a lungo possibile, compatibilmente con le esigenze di preparazione del terreno per la coltura che seguira'; l'inerbimento spontaneo potrebbe trarre utile applicazione sulle superfici temporaneamente ritirate dalla produzione (set-aside); - colture intercalari: l'inserimento, ogni volta che sia possibile, di colture intercalari tra la raccolta della coltura precedente e la semina di quella successiva e' una misura di notevole efficacia antidilavamento; tali colture intercalari possono configurarsi come colture foraggere (erbai), colture ortensi o anche colture di interesse apistico (es. Phacelia) o igienizzante (specie nematocide e nematofughe); - colture di copertura ("catch crops"): si tratta di colture intercalari senza finalizzazione utilitaristica, ma unicamente finalizzate ad intercettare l'azoto solubile; in altre parole si tratta di realizzare un "inerbimento controllato" seminando specie vegetali capaci di nascere e crescere durante i periodi critici per il dilavamento dei nitrati; la biomassa vegetale prodotta sara' poi sovesciata in tempo utile per la semina della successiva coltura prevista dalla rotazione. Le specie da considerare idonee a questa funzione dovrebbero soddisfare le seguenti condizioni: - avere basse esigenze termiche in modo da poter crescere nel periodo autunno-inverno; - avere seme poco costoso, reperibile e di facile emergenza; - essere dotate di scarsa capacita' infestante; - essere consumatrici di azoto (con esclusione quindi delle leguminose); - non creare problemi fitosanitari o di infestazione alla coltura che seguira'. Le famiglie botaniche piu' rispondenti a questo modello sono le graminacee, le crucifere, le composite e le chenopodiacee. Per tutte le famiglie sopradicate la tecnica colturale che appare consigliabile tecnicamente ed economicamente e' la seguente. Preparazione del terreno con la tecnica della lavorazione minima (erpicatura). Semina a spaglio con abbondanza di seme alle prime piogge di fine estate e interramento con erpice. Concimazione: nessuna. Interramento: all'uscita dall'inverno, mediante aratura a media profondita' (0,20-0,25 cm), comunque prima che le piante disseminino. Lavorazioni e struttura del terreno MOTIVAZIONI Nell'ambito delle lavorazioni principali, la tradizionale aratura e, all'opposto, la non lavorazione o l'inerbimento del terreno sembrano essere le tecniche maggiormente in grado di determinare nel tempo piu' o meno consistenti modificazioni dell'ambiente pedagogico. Le lavorazioni hanno effetti profondi ed evidenti, anche se piu' o meno duraturi, sulla struttura del suolo, coinvolgendo i molteplici fattori che la influenzano. Le lavorazioni profonde causano la distribuzione delle sostanze organiche in tutto lo spessore interessato; viene cosi' ridotto il livello umico nello strato piu' superficiale e, in complesso, viene aumentata la velocita' di mineralizzazione; aumenta quindi la produzione di azoto nitrico, utile per la nutrizione delle piante, ma anche potenzialmente lisciviabile. Nelle colture arative le lavorazioni determinano a lungo termine abbassamenti del livello di sostanza organica con tendenza verso un punto di equilibrio piu' basso di quello iniziale; nel caso del passaggio da prato stabile a seminativo, il calo della sostanza organica puo' essere piu' rapido; letamazioni e interramenti di residui tendono a innalzare il livello di sostanza organica, ma in tempi comunque lunghi e dove l'effetto inverso delle lavorazioni non annulli gli incrementi. Al di sotto di livelli critici di sostanza organica. sono possibili effetti negativi sulla struttura e/o sulla fertilita' attuale e potenziale. Le lavorazioni principale e secondaria del terreno causano variazioni di porosita' che non sono uniformi nel profilo ne', tanto meno, interessano indifferentemente i pori di tutte le dimensioni. L'aumento di porosita' interessa soltanto lo strato lavorato, dove si incrementano i pori di dimensioni maggiori e praticamente restano invariati quelli di dimensioni minori. Tale macroporosita' creata dalle lavorazioni e' nel tempo soggetta a diminuzioni, la cui intensita' e' funzione del tipo di suolo, degli agenti meteorici e delle pratiche colturali. La non lavorazione e l'inerbimento se, da un lato, favoriscono entrambe il mantenimento o la crescita del contenuto di sostanza organica del terreno, dall'altro lato, singolarmente prese hanno effetti opposti sulla ripartizione dell'acqua tra ruscellamento e infiltrazione: la non lavorazione favorisce il primo, l'inerbimento facilita la seconda. Con queste pratiche colturali conservative, la macroporosita' e' ridotta al minimo, salvo il caso di terreni soggetti al crepacciamento. Riguardo alla capacita' del terreno a trattenere l'acqua, i macropori hanno un ruolo di serbatoio transitorio, utile per evitare il ruscellamento e favorire l'infiltrazione; l'acqua e' invece trattenuta piu' stabilmente nei micropori che sono pertanto importanti nel sottrarre l'acqua alla percolazione, mettendola poi a disposizione delle piante. AZIONI L'inerbimento e' particolarmente efficace sui terreni in pendenza nel ridurre il ruscellamento superficiale e, di conseguenza, l'apporto di nitrati nelle acque dei corpi idrici di superficie. Inoltre, il terreno ha una minore potenzialita' di lasciare percolare l'acqua a causa della sua maggiore capacita' di immagazzinamento, conseguenza del consumo idrico del manto erboso. E' ormai sufficientemente assodato che e' possibile diminuire l'intensita' delle lavorazioni del terreno (profondita', numero e tipo) senza riduzione della produzione delle colture in numerose situazioni pedoclimatiche. La natura del terreno e' l'elemento determinante la decisione sull'opportunita' di una lavorazione principale. Su terreni massivi per caratteristiche di tessitura, quali quelli limosi o anche limoso sabbiosi, oppure in quelli asfittici perche' di cattiva struttura, saranno necessari interventi piu' frequenti con lavorazioni atte a creare macroporosita'. L'opportunita' di fare lavorazioni puo' derivare dalla necessita' di interrare residui colturali o materiali organici, oppure dall'esigenza di pareggiare il terreno sul quale siano rimaste tracce marcate di passaggio di macchine. Va comunque tenuto presente che, nella maggioranza dei casi, non appare opportuno fare lavorazioni principali di una certa consistenza tutti gli anni e per tutte le colture. Per esempio, puo' non essere necessaria l'aratura dopo la bietola che sara' seguita dal frumento; dopo le colture da rinnovo l'aratura eseguita post-raccolta specie su terreno argilloso e umido produce effetti negativi. Le lavorazioni secondarie che riguardano la preparazione del letto di semina devono tener conto delle diverse esigenze delle colture, ma senza sminuzzare troppo in anticipo il terreno per evitare la formazione di croste superficiali. Inoltre, si stanno sempre piu' diffondendo seminatrici capaci di operare su terreni anche compatti. Nel caso in cui le piogge autunnali o primaverili ostacolino le lavorazioni in presemina, puo' essere opportuna una semina su sodo. Per il contenimento delle malerbe, le lavorazioni possono essere sostituite da operazioni di diserbo effettuate con conveniente anticipo sulla semina e con prodotti di cui sia ampiamente dimostrata la compatibilita' ambientale. Sistemazioni MOTIVAZIONI Scopi delle sistemazioni idraulico-agrarie dei terreni coltivati sono, tradizionalmente, quello di ridurre il ruscellamento superficiale nei terreni declivi e quello di assicurare la evacuazione delle acque saturanti nei terreni piani. Nel primo caso lo scopo si persegue con affossature che frenano il ruscellamento, nel secondo caso con un sistema di drenaggio sotterraneo o, piu' comunemente, con affossature a cielo aperto. E' nei terreni di pianura che la sistemazione idraulico-agraria fa conseguire importanti benefici ambientali oltreche' agronomici: il rapido smaltimento idrico conseguente alla sistemazione fa si che l'acqua gravitazionale con i nitrati in soluzione ha meno tempo per percolare verso la falda trovando vie di piu' rapida evacuazione nella rete di fossi o dreni che la convogliano nella rete idrologica superficiale. AZIONI Nelle aree vulnerabili, le sistemazioni di pianura vanno incoraggiare al massimo, in quanto consentono anche la protezione delle acque profonde. Vanno previsti fossi o dreni razionalmente disposti, specie per quanto riguarda la distanza, la quale dovra' essere stabilita in funzione delle caratteristiche tessiturali e strutturali del terreno e pluviometriche del sito. Molto utile ad accelerare l'evacuazione delle acque saturanti superficiali verso le affossature risulta la "baulatura" dei campi. Per contenere l'erosione vanno auspicate le sistemazioni collinari classiche, che hanno svolto in passato un ruolo fondamentale e conservano tuttora piena validita' tecnica, ma oggi sono spesso trascurate o abbandonate per motivi economici e di gestione aziendale; le tecniche alternative piu' semplici e meno costose oggi disponibili (non lavorazione o lavorazione minima, pacciamatura, inerbimento parziale o totale, diserbo chimico parziale o totale) sono caratterizzate da differenti livelli di contenimento dell'erosione e delle perdite di elementi nutritivi e pertanto vanno scelte e calibrate in relazione alla singola situazione reale. La produzione di effluenti zootecnici da parte del bestiame allevato e' la conseguenza della normale attivita' biologica; essa dipende dalla efficienza con la quale l'organismo animale trasforma gli alimenti ingeriti. Vi e' stato in questi ultimi decenni un consistente miglioramento nell'efficienza degli organismi ammali allevati, per effetto della selezione e della migliore conoscenza da parte degli allevatori delle tecniche di allevamento e' di alimentazione. La composizione degli effluenti zootecnici e' variabile in dipendenza della specie allevata, delle tecniche di allevamento, delle modalita' di raccolta e manipolazione delle deiezioni. Nell'ambito delle tecniche di allevamento si devono considerare gli effetti dell'allevamento su lettiera di paglia di cereali o su altri materiali, come segature di legno, torbe ecc., dell'asportazione delle deiezioni con tecniche innovative e delle modalita' di alimentazione. In ogni caso la quantita' globale di deiezioni, di azoto, di fosforo, di potassio, di metalli e di residui che si trovano nelle deiezioni dipende dalla differenza fra la quota ingerita con gli alimenti e la quota di elementi nutritivi trattenuta e trasformata in produzioni. Per ridurre la produzione di deiezioni, in termini generali di sostanza secca eliminata con gli effluenti zootecnici, l'intervento piu' efficace e' quello di rendere massima l'efficienza con la quale funziona in generale la macchina animale. Si tratta di rendere il piu' basso possibile l'indice di conversione per qualsiasi produzione si intenda realizzare. In pratica si deve tendere a rendere minima la quantita' di sostanza secca di alimento per unita' di prodotto ottenuto (carne, latte, lana, uova; ecc.). Questo obiettivo e' perseguibile seguendo due strade: miglioramento genetico e corretta formulazione della dieta. Miglioramento genetico MOTIVAZIONI Il miglioramento genetico si pone l'obiettivo di migliorare l'efficienza della macchina animale, inteso fondamentalmente come rapporto fra unita' di prodotto (alimenti) ingerito per unita' di prodotto fornito (latte, carne, uova, ecc.) nell'unita' di tempo. La correlazione genetica fra quantita' di alimenti ingeriti per unita' di prodotto fornito e queste stesse unita' e' molto prossima a meno uno. Le ragioni di questa stretta relazione sono da ricercare nella ripartizione dell'energia e dei elementi nutritivi ingeriti in una quota di mantenimento e in una di produzione. Accade che l'energia e la quota di principi nutritivi da impegnare per l'ottenimento della quota di produzione sono difficilmente modificabili in una dieta correttamente predisposta, mentre si puo' incidere sulla quota di mantenimento necessaria per unita' di prodotto. Infatti, la quota di elementi nutritivi e di energia necessaria per ottenere una unita' di prodotto, ovvero la quota di produzione, e' relativamente costante ed indipendente dall'entita' della produzione, mentre la quota di mantenimento per unita' di prodotto dipende dall'entita' della produzione. Ne deriva che, entro i limiti del potenziale genetico, quante piu' quote di prodotto si ottengono da un singolo animale allevato tanto maggiore e' l'efficienza per minore quantita' di elementi nutritivi e di energia necessari per soddisfare la quota di mantenimento. La quota di mantenimento e' funzione del peso vivo o piu' correttamente del peso metabolico degli animali. Per cui se, ad esempio, si confrontano i fabbisogni di due vacche del peso di 600 kg con produzioni differenziate, una di 20 kg di latte al giorno, l'altra di 40 kg di latte, con la stessa composizione, l'energia richiesta per kg di latte prodotto e' analoga per la quota di produzione, ma l'energia richiesta per la quota di mantenimento da attribuire a ciascun kg di latte e' doppia. I due animali di identico peso hanno le stesse necessita' di mantenimento da dividere in un diverso quantitativo di latte. Lo stesso dicasi per le scrofe che producono piu' o meno suinetti, per le ovaiole e per i maggiori o minori incrementi degli animali in accrescimento. AZIONI Si puo' intervenire sia potenziando geneticamente l'attitudine produttiva, sia soprattutto accrescendo il rapporto fra animali in produzione e animali non in produzione attraverso la riduzione dell'intervallo anteparto e di quello fra i parti e attraverso l'allungamento della carriera produttiva. Metodologicamente, oltre all'adozione delle modalita' usuali per i caratteri quantitativi, non vanno trascurate tecniche innovative - trasferimento e sessaggio degli embrioni, splitting ecc. - qualora ne sia dimostrato nella pratica attuazione, non solo il vantaggio economico. GESTIONE DELL'ALLEVAMENTO Formulazione della dieta MOTIVAZIONI I fattori alimentari che influiscono sull'efficienza di utilizzazione dei componenti della dieta attengono all'apporto quantitativo e qualitativo dei componenti gli alimenti, e soprattutto ai rapporti fra i vari elementi nutritivi. I rapporti fra i componenti la dieta con lo svilupparsi delle conoscenze sul metabolismo dei principi nutritivi stanno acquisendo una importanza sempre maggiore. Una particolare attenzione e' stata posta, fino dalla fine degli anni settanta, ai rapporti fra i componenti le frazioni azotate. In particolare sono stati oggetto di attenzione il rapporto fra azoto non proteico ed azoto proteico vero, i rapporti fra gli amminoacidi componenti le proteine vere, con l'indicazione di rapporti generici fra gli aminoacidi non essenziali e quelli essenziali e piu' specificatamente con la proposta di proteine ideali, definite dal rapporto fra gli amminoacidi essenziali. In misura maggiore o minore questo problema e' stato affrontato per tutte le specie. A prescindere dalla mancanza di concordanza fra i vari ricercatori nella definizione dei parametri della proteina ideale e' emersa molto chiara la constatazione che le diete che non tengono conto di questi aspetti, comportano eccessi proteici e per di piu' ridotta efficienza di utilizzazione. Nelle diete a ridotta efficienza e' maggiore la quota di azoto eliminato con le urine; e' questa la quota di azoto piu' facilmente volatilizzabile e che in relazione alle condizioni di allevamento e di utilizzo agronomico dei reflui, puo' raggiungere percentuali molto rilevanti. I sistemi normalmente applicati dai formulisti nello studio e nella ottimizzazione dei razionamenti si basano su criteri che poco tengono in considerazione questi aspetti. Basti pensare che, rispetto ai normali livelli di tenore proteico utilizzati nelle diete per suini, teoricamente sarebbe possibile ridurre l'apporto azotato di oltre il 50%, assicurando ugualmente il soddisfacimento dei fabbisogni azotati anche in animali ad elevato livello produttivo. Inoltre va considerato che di norma non vengono presi in considerazione gli effetti dei fattori che peggiorano la utilizzabilita' degli alimenti, detti fattori antinutrizionali, che agiscono sia peggiorando la digeribilita' sia aumentando, anche in misura molto rilevante, le perdite di azoto endogeno a livello del tubo digerente. Queste considerazioni valgono anche per altri componenti della dieta che possono contribuire a dare origine a residui inquinanti. AZIONI Devono tendere all'ottimizzazione della dieta commisurandone la composizione ai fabbisogni. Lo si puo' realizzare attraverso: a) la formulazione e l'adozione di diete appropriate in rapporto, nell'ambito della specie, sia alle fasi biologica e fisiologica, sia all'entita' e alla qualita' delle produzioni; b) un equilibrio dei componenti azotati fra loro e con gli altri componenti che possono agire sulla loro utilizzazione; c) l'esclusione o la riduzione al minimo di fattori antinutrizionali; d) l'aumento della percentuale di sostanza secca della dieta; e) l'inclusione di sostanze che permettono di ridurre la percentuale di azoto escreto con le urine (carboidrati a buona fermentescibilita' cecale, estratti di vegetali, alluminosilicati). E' evidente che l'allevatore in generale non sempre puo' assolvere da solo alla corretta formulazione della dieta per i suoi animali, motivo per cui e' opportuno si rivolga ai Servizi regionali di assistenza tecnica, ovvero si avvalga dei risultati della ricerca e sperimentazione promossa e coordinata dalla Pubblica Amministrazione. Il tenore in azoto delle deiezioni e la loro qualita' agronomica sono influenzati da numerosi fattori che hanno peso, alcuni, sulla qualita' escreta (condizioni di allevamento, razione alimentare ed in particolare tenore proteico e qualita' delle proteine) ed altri sulle perdite che si verificano durante la conservazione (tipologia degli stoccaggi, trattamenti di stabilizzazione, di separazione dei solidi, ecc.) ed al momento e successivamente alla distribuzione (sistemi di distribuzione ad alta e bassa pressione, per strisciamento o interramento; presenza o assenza di vegetazione, ecc.). L'elevato numero di fattori interessati e le loro reciproche interazioni rendono necessario intervenire sia sulle strutture di allevamento che sui successivi trattamenti degli effluenti prevedendo adeguati stoccaggi. La diffusione di odori sgradevoli rappresenta inoltre un ulteriore e serio condizionamento all'impiego, quali fertilizzanti, dei reflui zootecnici soprattutto se questi possono interessare terreni agricoli in prossimita' di zone abitate. Strutture dell'allevamento MOTIVAZIONI Sia negli insediamenti esistenti che soprattutto in quelli di nuova impostazione si dovra' considerare l'opportunita' di adottare soluzioni d'allevamento in grado di migliorare sia la qualita' dell'ambiente interno, sia le caratteristiche dei reflui ai fini dell'utilizzo agronomico. Gli effluenti, infatti, in funzione della tipologia del ricovero (e del management) possono essere: liquami: deiezioni piu' o meno diluite con acque di lavaggio, di veicolazione o per perdite dell'impianto idrico e sprechi agli abbeveratoi. Si considerano liquami anche i materiali ispessiti derivanti da sedimentazione e le acque utilizzate per il lavaggio di pavimentazioni o impianti (es. tipico la sala di mungitura) o che comunque dilavano deiezioni anche se in quantita' relativamente contenute (es. acque piovane che dilavano le aree di esercizio scoperte); materiali solidi: effluenti in forma palabile che danno luogo alla formazione di cumuli. Sono da adottare le soluzioni costruttive che limitano il consumo idrico ai fabbisogni fisiologici degli animali AZIONI Applicando, a livello operativo, tali considerazioni si ricavano le seguenti indicazioni. NEGLI ALLEVAMENTI PER BOVINI: a) Evitare stalle libere "aperte" con zone di riposo ed alimentazione separate da una zona di esercizio scoperta. E' una soluzione ancora molto diffusa, soprattutto per il giovane bestiame da rimonta, e che va invece decisamente sconsigliata. b) Privilegiare le soluzioni "accorpate" nelle quali, durante le stagioni sfavorevoli, sia possibile escludere le zone scoperte. c) Favorire le soluzioni "elastiche" che, in presenza di disponibilita' di materiali da lettiera, consentono di passare dalla produzione di liquame alla produzione di deiezioni solide (cio' porta a limitare l'uso del pavimento fessurato). d) Fare particolare attenzione al settore della mungitura prevede- ndo soluzioni che evitino/riducano l'uso di acqua per il lavaggio delle pavimentazioni e degli impianti. NEGLI ALLEVAMENTI SUINI: e) Evitare soluzioni costruttive che richiedono le effettuazioni di lavaggi delle pavimentazioni e l'impiego di acqua per la veicolazione delle deiezioni. L'adozione della pavimentazione fessurata su tutta, o parte, della superficie del box consente di evitare i lavaggi. Per ottenere la movimentazione delle deiezioni raccolte nelle fosse sottostanti e' necessario che queste siano realizzate e gestite in modo particolarmente accurato. In particolare sono da privilegiare soluzioni che prevedono lo svuotamento discontinuo e frequente o che consentono l'allontanamento, per semplice gravita', dei solidi. f) Evitare la realizzazione delle fosse di stoccaggio dei liquami sotto al fessurato ed all'interno del ricovero. Tale situazione, oltre che di solito piu' costosa, presenta numerose controindicazioni, in particolare: - induce un aumento delle emissioni di gas nocivi (NH3, H2S) in ambiente a causa della maggior permanenza dei liquami nel ricovero; - la maggior profondita' delle fosse aumenta la probabilita' di interessare per impermeabilizzazione non perfetta le falde piu' superficiali con pericoli di diluizione dei liquami per l'ingresso di acqua, o inquinamento delle falde per fuoriuscita di liquami; - in caso di presenza di fosse dovra' essere realizzato un adeguato stoccaggio esterno ove effettuare il trattamento di omogeneizzazione dei liquami, pratica indispensabile per un loro corretto utilizzo agronomico; - non e' possibile conservare i liquami, per il periodo minimo di "cautela sanitaria", evitando la immissione di materiale fresco nelle fosse; Le fosse interne al ricovero dovranno quindi essere progettate solo per la "veicolazione" dei liquami e non per il loro stoccaggio prolungato. In pratica non si dovra' superare una altezza complessiva di 80-100 cm. g) Adottare accorgimenti per evitare ogni spreco d'acqua degli abbeveratoi. E' questo un problema ancora troppo spesso trascurato che deve invece rientrare nelle specifiche dei requisiti di ogni impianto idrico. Un ruolo importante, oltre al tipo ed al numero degli abbeveratoi, e' svolto dalle modalita' di installazione e dal livello della pressione di erogazione. h) Optare, nella progettazione di nuovi insediamenti, a favore di soluzioni che prevedano un maggior tempo di permanenza degli animali nello stesso ambiente. In questo modo se ne riducono gli spostamenti e, di conseguenza, anche le operazioni di lavaggio richieste ad ogni ristallo. NEGLI ALLEVAMENTI AVICOLI IN GABBIA: i) Per quanto riguarda gli interventi strutturali e' consigliabile: - installare all'interno del ricovero, o in ricovero annesso, sistemi che utilizzano l'aria esausta per la predisidratazione della pollina, in modo da portare l'umidita' relativa a un livello al di sotto del quale si riducono sensibilmente l'attivita' ureasica e le fermentazioni. Si viene cosi a disporre di un materiale che conserva il proprio tenore in azoto, non maleodorante, di volume piu' ridotto, facilmente spandibile; - l'installazione di abbeveratoi e di mangiatoie antispreco: si riducono il volume e la diluizione della pollina e, assieme, le emissioni di odori; - la coibentazione adeguata del ricovero al fine di consentire elevati volumi di ventilazione con effetto positivo sulla predisidratazione della pollina nonche' sul benessere degli animali. l) Relativamente alle buone pratiche gestionali bisognera' prevedere: - una riduzione del numero di animali per gabbia in accordo con la normativa sul benessere degli animali: la distribuzione delle deiezioni su di una superficie piu' ampia, favorisce la riduzione del tenore di umidita' delle medesime; - ventilazione efficace nel periodo estivo, eventualmente abbinata al raffrescamento, per contenere l'innalzamento termico e la conseguente eccessiva assunzione di acqua di abbeverata che si traduce, a sua volta, in deiezioni piu' liquide. NEGLI ALLEVAMENTI AVICOLI A TERRA: m) Per quanto riguarda gli interventi struttuali e' consigliabile: - la coibentazione adeguata dei ricoveri, compreso il pavimento, con eliminazione dei ponti termici e con barriera vapore: oltre al beneficio del risparmio energetico, si evita la formazione di condensa e, di conseguenza, la umidificazione della lettiera; - l'installazione di sistemi di abbeverata studiati per evitare la dispersione di acqua sulla lettiera, con erogatori in numero sufficiente ad evitare il medesimo effetto; - un numero di alimentatori sufficiente ad evitare competizione tra gli animali e conseguenti spargimenti di mangime sulla lettiera. n) Relativamente alle buone pratiche gestionali bisognera' tenere presente che: - gli erogatori dell'acqua dovranno essere aggiustati ad altezza degli occhi, man mano che i soggetti crescono, in modo da evitare sprechi e bagnamento della lettiera; - la lettiera dovra' essere mantenuta ad uno spessore adeguato per una incorporazione efficace delle deiezioni; - la formulazione del mangime deve essere tale da non favorire la formazione di deiezioni acquose; - la densita' di animali dovra' rispettare gli standard della normativa sul benessere: ne consegue un carico ridotto sulla lettiera che favorisce una trasformazione corretta della medesima con riduzione delle emissioni di azoto e di odori. GESTIONE DEGLI EFFLUENTI DI ALLEVAMENTO Caratteristiche stoccaggi per effluenti MOTIVAZIONI La corretta utilizzazione agricola degli effluenti di allevamento presuppone che questi siano resi disponibili nei periodi piu' idonei sotto il profilo agronomico, e nelle condizioni piu' vantaggiose per la loro distribuzione. Per questo e' necessario disporre di adeguati contenitori che siano in grado di assicurare agli effluenti di allevamento: un periodo di stoccaggio sufficiente a programmare la distribuzione nei periodi piu' adatti alle colture; la riduzione della carica microbica con la eliminazione degli eventuali agenti patogeni presenti; una sufficiente "maturazione" per garantire la stabilizzazione con valide caratteristiche agronomiche. I contenitori dovranno essere realizzati e gestiti in modo tale da evitare rischi di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee e da ridurre le emissioni in atmosfera. AZIONI DIMENSIONAMENTO I contenitori degli effluenti di allevamento dovranno essere dimensionati considerandone la complessiva produzione giornaliera (deiezioni palabili, liquami, acque di lavaggio e acque piovane) ed il periodo di stoccaggio necessario per programmare una corretta distribuzione. Quest'ultimo e' strettamente legato all'ordinamento colturale aziendale ed alle caratteristiche pedoclimatiche della zona. Difficilmente comunque risulta possibile un corretto impiego dei liquami se non si dispone di contenitori in grado di garantire almeno i 140-150 giorni di stoccaggio. Un orientamento prudenziale, che tenga quindi conto anche di possibili andamenti climatici sfavorevoli, porta a considerare, per il Nord-Italia, una estensione di tale periodo a 180 giorni. Meno pressante e' questa esigenza al Centro-Sud dove le condizioni climatiche piu' favorevoli risultano meno vincolanti per il corretto impiego dei liquami. Piu' contenuto puo' essere il periodo di stoccaggio per le deiezioni pagliose ed i materiali solidi palabili (90-120 giorni) che sono caratterizzati da una maggiore compatibilita' ambientale che puo' consentire, se necessario, sia la distribuzione invernale sui prati, sia il prolungamento dello stoccaggio direttamente a pie' di campo. In tal caso lo stoccaggio temporaneo su terreno nudo dovra' essere evitato in prossimita' di terreni particolarmente permeabili e comunque dovra' prevedere la formazione di un solco perimetrale isolato idraulicamente dal reticolo scolante. CARATTERISTCHE COSTRUTTIVE Per i materiali liquidi e' necessario prevedere lo stoccaggio in bacini a perfetta tenuta, impermeabili per natura del sito o impermeabilizzati artificialmente; qualora siano interamente o parzialmente interrati dovranno essere realizzati al di sopra del livello massimo di escursione del pelo libero della prima falda acquifera. Mentre per i contenitori di stoccaggio realizzati in cemento armato, se correttamente costruiti, la impermeabilita' e' garantita dalle caratteristiche stesse del materiale, per le lagune in terra tale impermeabilita' dovra' essere assicurata dalle caratteristiche proprie del terreno e da uno spessore sufficiente dello strato compattato (almeno 50 cm). Nel caso in cui il coefficiente di permeabilita' del fondo e delle pareti non risulti sufficiente (K<1 x l0-7 cm/s) e' necessario provvederne l'impermeabilizzazione con rivestimenti artificiali (geomembrane) che abbiano garanzie di congrua durata (almeno 10 anni). Per avere garanzie sul livello di autodisinfezione e' necessario che i liquami siano stati conservati per almeno 40-5O giorni, evitando la immissione di materiale fresco. A tale fine lo stoccaggio dovra' essere realizzato con piu' comparti o suddiviso in piu' bacini. Motivi di sicurezza e di facilita' di gestione consigliano di non realizzare bacini con volume unitario superiore ai 5000 mc, anche se per facilita' di gestione e' opportuno non superare i 2000-3000 mc. E' necessario inoltre prevedere un sufficiente franco di sicurezza (30-50 cm) tra livello massimo del battente liquido e il bordo del bacino, per fare fronte a situazioni improvvise ed impreviste. Il volume dei contenitori dovra' essere aumentato del volume di acqua piovana che vi si raccoglie nel periodo di stoccaggio E' opportuno infine prevedere la possibilita' di accedere all'interno dei bacini per poter eseguire, con cadenza pluriennale, operazioni di pulizia e controllo delle eventuali attrezzature fisse (saracinesche, tubazioni, ecc.). Sono consigliabili bacini a pareti verticali per liquami tal quali o frazioni dense derivanti da processi di sedimentazione o flottazione. Cio' al fine di migliorare l'efficienza delle attrezzature di miscelazione. Sono accettabili, per le frazioni chiarificate, bacini con un rapporto superficie/volume superiore (nei liquami chiarificati l'azoto, presente prevalentemente in forma ammoniacale, si diffonde naturalmente in modo uniforme e pertanto e' meno sentita l'esigenza della miscelazione). Per i materiali palabili e' necessario prevedere lo stoccaggio in apposite concimaie, realizzate su platee impermeabilizzate dotate di cordolo perimetrale e provviste di pozzetti di raccolta del percolato, di adeguate dimensioni. La semplice formazione di un cumulo di altezza non superiore a 2 metri e il suo eventuale rivoltamento garantiscono una idonea maturazione del letame e lo sviluppo di temperature sufficientemente elevate per controllare i patogeni, tanto che ne puo' essere previsto l'impiego con sufficiente tranquillita' dopo tre settimane. Trattamento degli effluenti LA SEPARAZIONE DEI SOLIDI MOTIVAZIONI Nei liquami zootecnici sono presenti solidi sospesi, di varia granulometria, che si possono ripartire, approssimativamente, in particelle grossolane (dimensioni > 0,1 mm) e in particelle fini (dimensioni <0,1 mm). L'applicazione di tecniche di separazione consente di ottenere una frazione chiarificata ed una frazione inspessita, di consistenza pastosa o palabile a seconda del dispositivo adottato, la cui gestione risulta, nella maggior parte delle situazioni aziendali, piu' razionale di quella del liquame tal quale. Sulla frazione chiarificata risultano infatti piu' agevoli: il pompaggio per l'uso fertirriguo e per la rimozione idraulica delle deiezioni dai ricoveri; la miscelazione e la stabilizzazione, con riduzione delle potenze installate e, di conseguenza, dei consumi di energia elettrica, per le attrezzature di movimentazione (pompe, miscelatori) e di trattamento (aeratori); il convogliamento mediante tubazione e/o l'impiego di attrezzature per lo spandimento caratterizzate dalla presenza di ugelli di piccolo diametro. Anche la gestione agronomica dei liquami trae vantaggio dalla separazione dei liquami in due frazioni a diverso contenuto di sostanza secca e di elementi nutritivi. La frazione chiarificata puo' essere utilizzata nelle aree a minor distanza dai contenitori di stoccaggio: grazie alla riduzione del contenuto di azoto e fosforo ottenuta con la separazione, tale frazione puo' essere applicata con volumi superiori rispetto al liquame tal quale. Puo' inoltre essere destinata alle somministrazioni in copertura, sia perche' la minore presenza di solidi in sospensione riduce sostanzialmente il fenomeno dell'imbrattamento fogliare, sia perche' l'azoto e' presente in prevalenza in forma minerale (azoto ammoniacale) ed e' pertanto immediatamente disponibile per la nutrizione vegetale. La frazione inspessita e' caratterizzata, oltre che da una maggiore concentrazione di sostanza secca, di sostanza organica e di elementi nutritivi, da una percentuale piu' elevata di azoto in forma organica e, quindi, a lento rilascio (tra il 65 e l'80% dell'azoto totale) rispetto al liquame tal quale. Grazie a tali caratteristiche si presta a essere impiegata come ammendante prima delle lavorazioni principali dei terreni. La separazione solido-liquido, oltre che per ottimizzare la gestione dei liquami in ambito aziendale, puo' avere una valenza positiva ai fini della compatibilita' ambientale della zootecnia in aree ad elevata vulnerabilita'. La quota di elementi nutritivi contenuta nella frazione solida puo' infatti essere trasferita a distanza, in aree non soggette a vincoli ambientali, con minori oneri rispetto alla movimentazione di liquami tal quali. Inoltre, nel caso di conferimento a terzi, tale frazione, opportunamente stabilizzata ed eventualmente valorizzata, puo' essere piu' facilmente richiesta dagli agricoltori. AZIONI E' particolarmente utile effettuare la separazioni (dei solidi dai reflui zootecnici prodotti in forma di liquame quando si verifica una delle seguenti condizioni: - per dimensioni di stoccaggio superiori a 500 m3 : le operazioni di omogeneizzazione, richieste in fase di prelievo dallo stoccaggio del liquame tal quale per lo spandimento, sono complesse, richiedono forte impegno di potenza; operando su liquami chiarificati e' possibile invece limitare la potenza installata e conseguire risparmi energetici significativi (15-20%); - nella situazione in cui i vari appezzamenti a disposizione per lo spandimento non siano accorpati e alcuni di essi siano posti a grande distanza: e' economicamente conveniente trasportare i solidi su questi ultimi, riservando alla frazione liquida i terreni posti a mi- nor distanza dal centro aziendale; - quando il piano di spandimento preveda le somministrazioni di liquami in copertura, ai fini di evitare gli imbrattamenti fogliari; - nel caso in cui si utilizzino, per lo spandimento, linee fisse o semifisse e/o dispositivi irrigatori dotati di ugelli di piccolo diametro. E' poi necessario distinguere tra: - dispositivi per la separazione dei soli solidi grossolani (vagli rotativi, statici e vibranti, vaglio centrifugo ad asse verticale, separatore cilindrico rotante, separatore a compressione elicoidale); - dispositivi per la separazione dei solidi grossolani e fini, a loro volta distinti in separatori per gravita', per flottazione e meccanici (centrifughe e nastropresse). Trattamento degli effluenti MISCELAZIONE MOTIVAZIONI Il peso specifico delle frazioni solide sospese dei liquami e' diverso; a cio' consegue, nella fase di stoccaggio, la stratificazione di una frazione densa di fondo, di una frazione intermedia chiarificata e di una frazione flottante, contenente solidi a basso peso specifico, che gradualmente si asciuga. A parte l'azoto ammoniacale e il potassio, che, essendo presenti in fase disciolta, sono uniformemente distribuiti nella massa, gli altri elementi della fertilita', in particolare il fosforo, seguono la disomogeneita' di distribuzione dei solidi sospesi. E' opportuno intervenire con mezzi atti a contrastare tale tendenza alla stratificazione, ai fini di ottenere un liquame di composizione uniforme, per diversi motivi: facilitare il funzionamento dei dispositivi di movimentazione, sia che si debbano trasferire i liquami tra contenitori di stoccaggio, sia che si debba procedere allo spandimento; favorire la distribuzione dei liquami, soprattutto nel caso in cui si impieghino tubazioni di adduzione e mezzi dotati di ugelli di piccolo diametro; favorire lo svuotamento dei bacini nelle operazioni di spurgo; effettuare campionamenti rappresentativi dei liquami da sottoporre all'analisi chimica per determinarne il potere fertilizzante e calibrare le dosi di somministrazione; effettuare apporti omogenei di elementi della fertilita' sulla superficie trattata con i liquami. Alcune attrezzature effettuano la miscelazione contestualmente alla immissione di aria nel liquame, operazione finalizzata alla riduzione del problema degli odori. Il trattamento di aerazione verra' esaminato in dettaglio successivamente. AZIONI Per miscelazione e/o omogeneizzazione, si intende una tecnica che, mediante l'impiego di apposite attrezzature e rispettando precise modalita' operative, consente di ottenere un liquame di composizione uniforme. Le linee guida nelle applicazioni della miscelazione ai liquami zootecnici sono le seguenti. Nel caso di liquami tal quali sarebbe opportuno procedere periodicamente alla miscelazione durante tutto il periodo di stoccaggio. Si puo' ritenere adeguata una miscelazione effettuata per almeno 0,5-1 ora/settimana. Il consumo energetico risulta in tal modo assai modesto, 3-12 Wh-m-3 di vasca alla settimana. E' opportuno adottare per la miscelazione apposite attrezzature. La miscelazione mediante ricircolo con pompa di sollevamento o con immissione di aria in pressione o liquame da carrobotte non risulta efficace se non in caso di bacini di dimensione inferiore a 200-300 m3. Le apparecchiature che permettono la maggiore elasticita' di funzionamento e che meglio si adattano alle differenti geometrie e volumi dei bacini sono gli agitatori meccanici posizionati all'interno del bacino. E' opportuno sottoporre i liquami alla separazione solido/liquido prima della omogeneizzazione. In tal modo e' possibile ridurre la potenza installata (la potenza specifica richiesta dipende anche dal contenuto di solidi sospesi del liquame) e ridurre i tempi di funzionamento dei miscelatori. STABILIZZAZIONE La stabilizzazione facilita il processo di umificazione e comporta la mineralizzazione del contenuto di sostanza organica facilmente degradabile. Essa consente di raggiungere due obiettivi principali: ridurre significativamente i processi putrefattivi a carico del materiale trattato, processi di decomposizione della sostanza organica, in genere anaerobici, che danno luogo alla formazione di composti maleodoranti; ridurre la concentrazione di microrganismi patogeni. Trattamento degli effluenti TRATTAMENTO AEROBICO MOTIVAZIONI L'insufflazione di aria nel liquame ha la funzione di favorire l'azione di batteri aerobici facoltativi che indirizzano la degradazione della sostanza organica verso la produzione di composti non maleodoranti. Per il controllo degli odori e' sufficiente una parziale stabilizzazione che si ottiene instaurando nella massa dei liquami condizioni di ossigeno disciolto di poco superiori allo zero. AZIONI Le macchine utilizzabili per il trattamento aerobico dei liquami zootecnici sono: - aeratori superficiali; - aeratori sommersi (a elica o eiettori); - aeratori con eiettori verticali su circuito. Tra queste attrezzature e' importante scegliere quelle che: - garantiscano un'ossigenazione piu' uniforme della massa alle di- verse profondita' (esigenza particolarmente sentita per i liquami a elevata sedimentabilita', come quelli suini); - limitino la formazione di aerosol; - consentano di mantenere una temperatura dei liquami leggermente superiore a quella rilevata con gli aeratori di superficie. Nella scelta e nel dimensionamento dei dispositivi di aerazione andranno presi in considerazione i seguenti fattori: - caratteristiche dei liquami da ossigenare; - caratteristiche dei bacini di aerazione; - caratteristiche degli aeratori; - potenza specifica. Relativamente alle modalita' di impiego degli aeratori, le esperienze gia' maturate per i liquami zootecnici consigliano cicli di trattamento di 10-20 minuti all'ora sull'intero arco giornaliero, per un totale di 4-8 ore al giorno. Tempi di trattamento prolungati sono richiesti per liquami nei quali si sono gia' attivati processi di degradazione anaerobica che sono all'origine dei cattivi odori; e' quindi consigliabile, quando si deve ossigenare, ottimizzare e rendere piu' frequente la rimozione dei liquami dalle stalle, per impedirne il ristagno nelle fosse sottostanti i fessurati e/o nella rete fognaria. E' consigliabile, inoltre, che il liquame, prima di qualsiasi trattamento di ossigenazione, sia sottoposto a separazione dei solidi sospesi. La rimozione dei solidi grossolani mediante vagliatura consente una riduzione di circa il 20% della potenza richiesta per l'aerazione. La rimozione dei solidi fini mediante sedimentazione o con centrifuga e nastropressa aumenta ulteriormente l'efficienza dell'ossigenazione. Trattamento degli effluenti TRATTAMENTO ANAEROBICO MOTIVAZIONI Il trattamento anaerobico in condizioni controllate porta alla degradazione della sostanza organica, alla stabilizzazione dei liquami e alla produzione di energia sotto forma di biogas, una miscela formata per il 60-75% da metano e, per la quota restante, quasi esclusivamente da anidride carbonica. La digestione anaerobica del liquame non comporta riduzione significativa ne' del volume ne' del contenuto di azoto e fosforo. Un buon abbattimento degli odori, pressoche' completo per quelli piu' sgradevoli, e' ottenibile con impianti nei quali il processo di digestione anaerobica sia condotto in condizioni mesofile (30-350C) o termofile (50-550C). Buoni risultati possono essere raggiunti anche con la digestione a temperature piu' basse, nell'intervallo 10-25 0C, purche' siano assicurati tempi adeguati di permanenza. L'abbattimento del carico organico carbonioso ottenibile in digestione anaerobica conferisce al liquanne una sufficiente stabilita' anche nei successivi periodi di stoccaggio: si ha un rallentamento dei processi degradativi e fermentativi con conseguente diminuzione nella produzione di composti maleodoranti. La digestione anaerobica in mesofilia riduce solo in parte l'eventuale carica patogena presente nei liquami. Operando in termofilia (oltre 55C) e' possibile, invece, ottenere l'effettiva igienizzazione del liquame. Tra i benefici della digestione anaerobica si riporta il miglioramento della qualita' agronomica dei liquami. In questo senso puo' interpretarsi la trasformazione, che si verifica nel processo, dell'azoto organico, a lento rilascio, in azoto ammoniacale prontamente disponibile per la nutrizione vegetale. Tale modificazione puo' rappresentare un vantaggio per impieghi in presenza delle colture o in prossimita' della semina; tuttavia puo' comportare perdite di maggiore entita' per volatilizzazione nel corso dello spandimento ed accentuare il pericolo di percolazione di nitrati conseguenti a somministrazioni estive ed autunnali. Non e' poi apprezzabile il miglioramento della qualita' della sostanza organica, in quanto la digestione anaerobica comporta principalmente mineralizzazione della frazione organica facilmente degradabile presente nei liquami. Il trattamento; anaerobico convenzionale (impianti mesofili ad alto carico) puo' essere convenientemente impiegato: nell'ambito del ciclo depurativo di reflui zootecnici, per la sola stabilizzazione dei fanghi di supero primari e secondari; previa una accurata verifica dei bilanci energetici ed economici, per la stabilizzazione dei liquami in impianti interaziendali o consortili di potenzialita' adeguata e che prevedano l'impiego fertirriguo degli effluenti. AZIONI Gli impianti proposti fino a un recente passato dall'industria (impianti mesofili, completamente miscelati, ad alto carico) hanno evidenziato una serie di limiti non superabili, ai fini dell'inserimento in aziende zootecniche: - costi elevati dovuti alla complessita' costruttiva: sistemi di miscelazione e riscaldamento, volumi rilevanti in relazione alla diluizione dei reflui zootecnici, complessi sistemi di utilizzazione dell'energia prodotta; - complessita' gestionale spesso non adeguatamente affrontata (e affrontabile) nell'azienda agricola; - difficolta' nell'utilizzazione completa dell'energia prodotta. Una proposta tecnologica che ovvia almeno in parte a tali limiti e che riveste pertanto interesse per la singola azienda zootecnica e' la digestione anaerobica in impianto semplificato. L'impianto e' ricavato dalla copertura del contenitore di stoccaggio dei liquami o di una sua parte. La copertura consente di recuperare il biogas che spontaneamente si sviluppa dalla fermentazione anaerobica dei liquami a temperatura ambiente (nel caso degli impianti a freddo) e in assenza di miscelazione. Nel caso degli impianti riscaldati, parte del calore ottenuto dalla combustione del biogas in caldaia o in cogeneratore viene inviata, sotto forma di acqua calda, in scambiatori di calore semplificati (serpentine) immersi nella vasca di stoccaggio. LE APPLICAzIONI AZIENDALI E' consigliabile che il liquame, prima di essere avviato al bacino coperto, sia sottoposto a un trattamento di vagliatura per rimuovere i solidi sospesi grossolani che potrebbero dar luogo a formazioni flottanti al di sotto della copertura, di ostacolo al buon funzionamento dell'impianto. Lo schema operativo piu' semplice consiste nel coprire, con il telo in materiale plastico, il bacino utilizzato per lo stoccaggio dei liquami zootecnici. E' questo uno schema che in genere comporta ampie superfici coperte e basse rese in termini di biogas recuperato per unita' di superficie coperta. E' difficile infatti, in questo caso, localizzare la copertura al di sopra di una zona di sedimentazione dei liquame; zona ove tende ad accumularsi quel fango organico la cui mineralizzazione comporta produzione di biogas e stabilizzazione-deodo-rizzazione del liquame. Lo schema operativo piu' efficiente prevede la presenza di piu' bacini, dei quali il primo ha funzione di sedimentatore, i successivi di bacini di stoccaggio. La copertura ai fini della captazione del biogas viene prevista sul primo, dove e' maggiore la concentrazione di sostanza organica digeribile. In tal modo, a parita' di efficienza nella produzione di biogas, risulta ridotta al minimo la superficie coperta. Trattamento degli effluenti COMPOSTAGGIO DEI SOLIDI MOTIVAZIONI Il compostaggio e' un processo controllato di decomposizione ossidativa della sostanza organica operato da microrganismi aerobi; rispetto ai processi naturali conosciuti che portano ad esempio alla formazione di letame e lettiera di bosco, e' caratterizzato da una maggiore velocita' di trasformazione e da una notevole produzione di calore che assicura la distruzione dei germi patogeni e dei semi delle erbe infestanti eventualmente presenti, garantendo un sufficiente grado di igienizzazione del prodotto. Il prodotto ottenuto (compost) ha un elevato valore agronomico, soprattutto se confrontato con i reflui zootecnici tal quali. Infatti: e' un prodotto caratterizzato da un contenuto di sostanza secca del 60-70%, stabilizzato e non maleodorante. Cio' implica una riduzione in peso (il peso del prodotto finale rappresenta il 25-30% di quello iniziale), un minore volume occupato, una piu' omogenea struttura fisica, una gestione semplificata e agevole (e' stoccabile in cumulo e convenientemente trasportabile a distanza); la sostanza organica presente e' stabilizzata e parzialmente umificata; risulta, quindi, convenientemente impiegabile in pieno campo, anche a diretto contatto con le radici, per migliorare il tenore di sostanza organica dei terreni e quindi la loro fertilita'; fornisce le migliori garanzie di igienizzazione, grazie alle ele- vate temperature che si raggiungono nel corso del processo; pur essendo un ammendante, in funzione del materiale di partenza (refluo bovino, suino o avicolo), puo' apportare una discreta qualita' di elementi nutritivi; grazie alle caratteristiche fisicochimiche che gli sono proprie, trova impiego come substrato di coltivazione nel settore orto-floro- vivaistico, e anche in settori extra-agricoli; nel recupero di aree degradate, nella realizzazione di manti erbosi. quali parchi, campi sportivi. ecc. Per tali caratteristiche puo' trovare una collocazione all'esterno dell'area di produzione del refluo zootecnico di provenienza e rappresentare pertanto una soluzione quando si verifichi una situazione di eccedenza di liquami rispetto alla possibilita' di ufilizzazione agronomica in prossimita' dell'allevamento. AZIONI Il compostaggio puo' essere applicato: - a deiezioni tal quali solo se il contenuto di sostanza secca e' superiore al 2025% (pollina di ovaiole); - a deiezioni miste a lettiera; - a frazioni solide ottenute con dispositivi atti ad assicurare i valori di secco opportuni (almeno il 25%). Tra le soluzioni impiantistiche attualmente disponibili le piu' idonee per una conveniente applicazione su scala aziendale o interaziendale sono: a) Impianti semplificati per la trasformazione in cumulo, di tipo aperto. Sono utilizzabili per le frazioni solide di reflui suini, per miscele di deiezioni bovine con residui organici, per miscele di fanghi di depurazione di liquami zootecnici con residui vegetali, per le polline preessiccate. Sono costituiti da una platea impermeabilizzata, correttamente dimensionata, attrezzata per il convogliamento e la raccolta dei percolati (da ricircolare sul materiale in fase di attiva trasformazione). La platea ospita tanto la fase attiva del processo, durante la quale si facilita l'arieggiamento mediante periodici rivoltamenti, tanto la fase di maturazione. Lo stoccaggio dei composti prodotti prima dell'utilizzazione agronomica potra' prevedere ulteriori superfici di platea. b) Reattori chiusi. Sono preferibili per il trattamento di residui che svolgono elevate quantita' di ammoniaca (ad esempio le polline tal quali) e nei casi in cui risulti necessario ridurre drasticamente le emissioni ammoniacali, in quanto l'aria esausta dell'impianto puo' essere avviata a "scrubber" chimici o biologici. Trattamento degli effluenti EFFLUENTI DAI SILI PER LO STOCCAGGIO DEI FORAGGI MOTIVAZIONI Le perdite per percolazione dai foraggi insilati rappresentano, oltre che una causa di riduzione del loro valore nutritivo, una possibile fonte di inquinamento. Il loro volume e' determinato essenzialmente dal tipo e dal tenore in sostanza secca del materiale insilato; con un contenuto di solidi totali (S.T.) superiore al 28-30% la formazione di colature e' praticamente nulla. L'insilamento di erbai raccolti in primavera (in genere di graminacee in purezza) puo' pero' comportare, a causa di andamenti metereologici avversi, la necessita' di effettuare l'insilamento anche di foraggio dotato di un basso tenore di S.T., rendendo cosi' inevitabile la formazione di coli. AZIONI Occorre seguire due linee di intervento, una gestionale ed una relativa alle caratteristiche delle strutture destinate alla conservazione dei foraggi insilati. Per la prima e' evidente la necessita' di tendere all'insilamento di materiale con un sufficiente tenore di S.T. In questo senso puo' essere utile effettuare, in caso di foraggi troppo umidi, aggiunte di materiali piu' secchi (ad esempio polpe secche di barbabietola) per arrivare ad un contenuto di S.T. almeno pari al 30% bloccando cosi' la potenziale fonte di inquinamento sin dall'origine. Per quanto relativo alle strutture per l'insilamento occorre prevedere la raccolta e l'invio ad uno stoccaggio (che puo' essere quello stesso previsto per i liquami zootecnici opportunamente aumentato di volume) degli effluenti provenienti dall'insilato. La produzione di questi effluenti e' massima nei periodi immediatamente successivi all'insilamento, ma si evidenzia anche nella successiva fase di utilizzo. Mentre, in presenza di sili verticali, il volume dei reflui e' limitato alle effettive percolazioni del prodotto, quando si utilizzano i sili orizzontali a platea questo puo' essere notevolmente aumentato a causa delle acque piovane che si raccolgono sulle pavimentazioni. Per questo e' importante predisporre, nei pozzetti e/o nella fognatura, la possibilita' di escludere dalla raccolta le acque piovane provenienti dalla platea quando (o perche' il silo e' vuoto o per il sufficiente livello della sostanza secca del materiale insilato) a queste non si aggiungono i percolati. Un altro aspetto importante riguarda la prevenzione della fuoriuscita degli eventuali liquidi di colo del foraggio attraverso la pavimentazione deteriorata. Tali liquidi, infatti, sono caratterizzati da una notevole aggressivita' nei confronti del calcestruzzo che, con il tempo, puo' perdere la sua integrita'. Per ovviare a questo inconveniente si puo' intervenire stendendo sulla pavimentazione esistente un manto in conglomerato bituminoso, dello spessore minimo di 5-6 cm, in modo da evitare ogni ulteriore contatto tra i liquidi di colo e la pavimentazione in calcestruzzo. Tale pratica e' da raccomandare anche nelle nuove realizzazioni per le quali puo' essere prevista una pavimentazione costituita da una massicciata ben assestata e da sovrastante manto in conglomerato bituminoso dello spessore di circa 10 cm. PREVENZIONE DELL'INQUINAMENTO DELLE ACQUE DOVUTO ALLO SCORRIMENTO ED ALLA PERCOLAZIONE NEI SISTEMI DI IRRIGAZIONE MOTIVAZIONI L'irrigazione puo' contribuire all'inquinamento delle acque mediante il movimento dell'acqua irrigua sia in verticale dalla superficie agli strati piu' profondi (percolazione) che orizzontalmente per scorrimento superficiale. I rischi dell'inquinamento per irrigazione variano in relazione alle caratteristiche del terreno (permeabilita', capacita' di ritenzione idrica, profondita', pendenza, profondita' della falda, ecc.), alle pratiche agronomiche (modalita' di concimazione, ordinamenti colturali, lavorazione del terreno, ecc.), al metodo irriguo ed alle variabili irrigue adottate. Le zone ove l'irrigazione e' a piu' elevato rischio presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: terreni sabbiosi molto permeabili ed a limitata capacita' di ritenzione idrica; presenza di falda superficiale (profondita' non superiore a 2 m); terreni superficiali (profondita' inferiore a 1520 cm) poggianti su roccia fessurata; terreni con pendenza elevata superiore al 23%; pratica di una agricoltura intensa con apporti elevati di fertilizzanti; terreni ricchi in sostanza organica e lavorati frequentemente in profondita'; presenza di risale su terreni con media permeabilita', ecc. Le zone a rischio moderato sono invece caratterizzate: da terreni di media composizione granulometrica, a bassa permeabilita' ed a discreta capacita' di ritenzione idrica; presenza di falda mediamente profonda (da 2 a 15-20 m); da terreni di media profondita' (non inferiore a 50-60 cm); terreni con pendenza moderata; apporto moderato di fertilizzanti ecc. Le zone a basso rischio sono quelle con terreni tendenzialmente argillosi, poco permeabili e con elevata capacita' di ritenzione idrica, profondi piu' di 60-70 cm con falda oltre i 20 m e con scarsa pendenza, inferiore al 10%. AZIONI Una buona pratica irrigua deve mirare a contenere la percolazione e lo scorrimento superficiale delle acque e dei nitrati in esse contenuti e a conseguire valori elevati di efficienza distributiva dell'acqua. Per quanto riguarda il primo punto, il concetto-base e' di fornire ad ogni adacquatura volumi esattamente adeguati a riportare alla capacita' idrica di campo lo strato di terreno maggiormente esplorato dalle radici della coltura. Cio' presuppone la conoscenza delle caratteristiche idrologiche del terreno e la misura o la stima del suo stato idrico al momento dell'adacquamento (che varia da coltura a coltura). Sia la profondita' da bagnare sia il punto d'intervento irriguo sono facilmente reperibili per le principali colture sui manuali. Ai fini della realizzazione di valori elevati di efficienza distributiva dell'acqua il metodo irriguo assume un ruolo determinante. I principali fattori agronomici che influenzano la scelta del metodo irriguo sono le caratteristiche fisiche, chimiche ed orografiche del terreno, le esigenze o/e caratteristiche delle colture da irrigare, la qualita' e quantita' di acqua disponibile e le caratteristiche dell'ambiente in cui si deve operare. Per contenere le perdite di nitrato per irrigazione a scorrimento superficiale e per percolazione profonda tale metodo dovrebbe essere adottato su terreni profondi, tendenzialmente argillosi, per colture dotate di apparato radicale profondo e che richiedono interventi irrigui frequenti. L'irrigazione per scorrimento superficiale e' sconsigliata in zone a rischio elevato e moderato. Qualora si adotti l'irrigazione per infiltrazione laterale da solchi e' bene ricordare che il rischio di percolazione dei nitrati decresce passando dall'inizio alla fine del solco, da terreni tendenzialmente sabbiosi, poco rigonfiabili ed a permeabilita' relativamente elevata, a terreni tendenzialmente argillosi, rigonfiabili ed a bassa permeabilita'; da terreni superficiali a quelli profondi; da colture con apparato radicale superficiale a quelle con apparato radicale profondo. In terreni fortemente rigonfiabili sono sconsigliati turni irrigui molto lunghi per evitare la formazione di crepacciature molto profonde attraverso cui potrebbero disperdersi notevoli quantita' di acqua negli strati profondi, con trasporto in essi di soluti lisciviati degli strati piu' superficiali. Nel caso si pratichi una irrigazione a pioggia, per evitare perdite di nitrati per percolazione e ruscellamento superficiale bisognera' porre particolare attenzione alla distribuzione degli irrigatori sull'appezzamento, all'intensita' di pioggia elevata rispetto alla permeabilita' del terreno, all'interferenza del vento sul diagramma di distribuzione degli irrigatori, all'influenza della vegetazione sulla distribuzione dell'acqua nel terreno. Nel caso si effettui una fertirrigazione per prevenire fenomeni di inquinamento essa deve essere praticata con metodi irrigui che assicurano una elevata efficienza distributiva dell'acqua; il fertilizzante non deve essere immesso nell'acqua di irrigazione sin dall'inizio dell'adacquata, ma preferibilmente dopo aver somministrato circa il 20-25% del volume di adacquamento; la fertirrigazione dovrebbe completarsi quando e' stato somministrato l'80-90% del volume di adacquamento. PIANI DI FERTILIZZAZIONE AZOTATA MOTIVAZIONI Ogni specie vegetale e/o varieta' ha un livello di produttivita' che dipende, oltre che dal proprio patrimonio genetico, dal livello di disponibilita' dei vari fattori necessari alla sua crescita e al suo sviluppo, fattori che per i vegetali sono la luce, la C02, l'acqua, gli elementi micro e macronutritivi. Secondo la ben nota legge del minimo qualsiasi fattore puo' limitare la produzione; la scienza delle coltivazioni ha tra i suoi compiti proprio quello di rimuovere tutti i fattori limitanti tecnicamente ed economicamente rimovibili (elementi nutritivi sempre, acqua e quando disponibile), accettando solo i limiti alla produttivita' imposti da fattori non modificabili: l'energia luminosa, la C02 e talora, l'acqua. In altre parole, per ogni coltura e' possibile stabilire il livello di produttivita' massima che essa e' capace di realizzare, quando i fattori limitanti agronomicanniente regolabili sono stati corretti. Si intende che vanno tenuti presenti i limiti economici, riconducibili alla legge degli incrementi produttivi decrescenti. In base a questa, ci si deve limitare alle dosi dei fattori, nella fattispecie dell'azoto, al livello che assicura risposte produttive tecnicamente ed economicamente significative, senza salire al livello massimo, di stretta marginalita': si tratta quindi di stabilire gli obiettivi di produzione, quelli che conciliano al meglio la remunerazione dei produttori, l'approvvigionamento dei consumatori e la minimizzazione del rischio ambientale. E' su questo concetto di produttivita' potenziale che proponiamo di definire il fabbisogno massimo di azoto delle varie specie coltivate da considerarsi come livello massimo consentito di concimazione azotata; in questo modo si eviteranno gli eccessi che sono la causa piu' importante di rischio di rilascio di azoto. Nello stimare i fabbisogni di azoto si e' seguita la linea di prendere come base i livelli medioalti di produttivita' e i conseguenti prelevamenti di azoto da parte delle colture (salvo le leguminose), quali risultanio dalla composizione chimica delle biomasse prodotte. Le stime per tutte le colture erbacee elencale nel Compendio Statistico Italiano (ISTAT 1992) sono riportate nella Tabella 1. Questi valori potrebbero far conseguire con il massimo di semplicita' il risultato di evitare eccessi clamorosi di concimazione azotata. Quanto detto non esclude che gli agricoltori considerino la possibilita' di ridurre ulteriormente le dosi d'impiego dell'azoto secondo le peculiarita' della loro azienda tenendo conto della natura del loro terreno e del sistema colturale del quale le singole colture fanno parte. Si tratta quindi di veri e propri piani di fertilizzazione. AZIONI Il Piano di Fertilizzazione e' il documento che, in funzione delle caratteristiche del suolo, del clima, delle colture previste e della loro produzione attesa (obiettivo di produzione), determina quantita', tempi e modalita' di distribuzione dei fertilizzanti naturali e di sintesi. Il Piano di Fertilizzazione aziendale, articolato per singole colture, deve mirare a ottimizzare le risorse disponibili, tenendo conto di tutti i fattori che interagiscono con il sistema suolopianta. pianta. Presupposti per i Piani di Fertilizzazione sono: - la conoscenza del grado di fertilita' del suolo e la stima dei fabbisogni delle diverse colture; - la conoscenza delle caratteristiche pedoclimatiche che condizionano il comportamento nel suolo degli elementi nutritivi nelle loro diverse forme. Ne consegue che una adeguata conoscenza dei suoli e del clima, che non si basi sulle sole analisi chimico-fisiche routinarie dello strato arato, ma che tenga conto anche dei rischi di inquinamento del suolo e delle acque superficiali e profonde, costituisce il presupposto indispensabile per la redazione di un Piano di Fertilizzazione. Tale conoscenza dei suoli oltre che derivare dall'uso di strumenti di riferimento quali le carte pedologiche, le carte attitudinali da esse derivate, le carte della fertilita' dei suoli, discende soprattutto dalle osservazioni di campagna effettuate direttamente da un tecnico. Indispensabile, inoltre, e' avere un quadro complessivo dell'azienda soprattutto relativamente a: - colture e rotazioni praticate e praticabili; - disponibilita' aziendale ed extra aziendale di fertilizzanti organici; - possibilita' di irrigazione e metodo utilizzato; disponibilita' di mezzi tecnici per la distribuzione dei fertilizzanti; - tipi di lavorazioni e sistemazioni idrauliche adottate. La redazione del Piano di Fertilizzazione deve porre particolare attenzione ad evitare il pericolo di dilavamento dei nitrati, prendendo in considerazione le caratteristiche dei suoli e la distribuzione ed entita' delle precipitazioni, fondandosi su un pur semplificato bilancio dell'azoto. Deve essere presa in considerazione la possibilita' di utilizzare sostanza organica prodotta in azienda o disponibile in altre aziende agricole o comunque reperibile sul mercato, valorizzandola opportunamente come illustrato nei precedenti capitoli. Il Piano di Fertilizzazione assume speciale rilevanza quando si intendono impiegare anche reflui zootecnici aziendali ed extraziendali che, per la loro natura e continuita' di produzione, richiedono particolare attenzione per una corretta utilizzazione agricola. Il Piano di Fertilizzazione diventa infine indispensabile nel caso si vogliano utilizzare reflui di origine extra-agricola, tenuto conto di quanto indicato nel capitolo "Tipologia dei fertilizzanti azotati". In tal caso oltre al bilancio dell'azoto dovranno essere valutati gli accorgimenti e le soluzioni necessari ad evitare i rischi di ruscellamento ed altresi' l'accumulo nel terreno di fosforo, potassio, rame, zinco ed altri metalli pesanti nonche' la possibile emergenza di problemi igienico-sanitari. Un bilancio dell'azoto sia pure approssimato dovrebbe basarsi sulla stima delle diverse entrate ed uscite determinando gli apporti azotati in funzione dell'obiettivo di produzione secondo la semplice relazione di seguito riportata: concimazione azotata = fabbisogni colturali - (apporti naturali di N) + + (immobilizzazioni e dispersioni di N) I fattori da prendere in pratica considerazione in quanto quantificabili abbastanza facilmente sono i seguenti. Apporti (da defalcare dal fabbisogno) a) Fornitura da parte del terreno: in una stagione di mineralizzazione (dalla primavera all'autunno) l'humus del terreno puo' mediamente contribuire alla nutrizione azotata delle colture fornendo complessivamente 30-35 kg/ha di azoto per ogni unita' percentuale di humus presente nel terreno. b) Residui della coltura precedente; la quantita', composizione e destinazione dei residui colturali determina la disponibilita' di azoto assimilabile per la coltura successiva. A titolo di esempio, valori indicativi, validi per qualche precedente colturale, sono i seguenti: - dopo prato di erba medica 60-80 kg/ha di N - dopo leguminose da granella 30-40 kg/ha di N - dopo barbabietola 40-50 kg/ha di N - dopo frumento tracce c) Post-effetto di precedenti concimazioni organiche: - dopo letamazione (30 t/ha) 10 anno 40-50 kg/ha di N 20 anno 20-25 kg/ha di N d) Azoto delle deposizioni atmosferiche secche e umide; 10-15 kg/ha anno. Immobilizzazioni e dispersioni di azoto (da aggiungere al fabbisogno) e) Riorganizzazione: dopo interramento di residui pagliosi considerare 8-10 kg di N/t. f) Lisciviazione: l'azoto di cui alle voci a) e b) puo' essere totalmente o parzialmente dilavato durante la stagione piovosa. Nei piani di fertilizzazione delle colture a semina primaverile puo' essere stimato, ancorche' grossolanamente, se e quante volte le piogge autunno invernali hanno superato la capacita' di ritenzione idrica dei terreni provocando dilavamento dei nitrati. Si considera che ogni saturazione idrica di un suolo seguita da sgrondo dell'acqua gravitazionale riduce a meta' la quantita' di sali solubili. g) Efficienza degli effluenti zootecnici: quando il piano di concimazione prevede l'utilizzo di effluenti zootecnici e' indispensabile considerarne l'efficienza nella stagione colturale nella quale essi vengono impiegati e poi gli effetti residui (cfr. capitolo "Tipologia dei fertilizzanti azotati"). PIANI DI FERTILIZZAZIONE AZOTATA Tabella 1 LE PRINCIPALI SPECIE AGRARIE E I LIMITI FISIOLOGICI DEL LORO FABBISOGNO AZOTATO PER UNA PRODUZIONE MEDIO-ALTA (a cura di F. Bonciarelli) =================================================================== FABBISOGNO DI AZOTO RESA IPOTIZZATA kg/ha t/ha =================================================================== CEREALI Frumento tenero (CentroNord) 180 6 Frumento duro (Sud) 140 4 Orzo 120 5 Avena 100 4,5 Segale 80 4 Riso 160 7 Mais (irrigato) 280 10 LEGUMINOSE DA GRANELLA Fava 20 3 Fagiolo 20 3 Pisello 20 3,5 PIANTE DA TUBERO Patata 150 30 PIANTE INDUSTRIALI Barbabietola da zucchero 150 4,5 Colza 180 3,5 Girasole 100 3 Soia 20 3 PIANTE ORTICOLE Aglio 120 12 Carota 150 40 Cipolla 120 30 Rapa 120 25 Asparago 180 5 Bietola da coste 130 50 Carciofo 200 15 Cavolo verza e cappuccio 200 30 Cavolo broccolo 150 15 Cavolfiore 200 30 Finocchio 180 30 Insalata (Lattuga) 120 25 Insalata (Cicoria) 180 35 Sedano 200 Spinacio 120 15 Cetriolo 150 60 Cocomero 100 50 Fragola 150 20 Melanzana 200 40 Melone 120 35 Peperone 180 50 Pomodoro 160 60 Zucchina 200 30