(Allegato)
                                             Documenti di riferimento 
 
 Disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta 
                        «Prosciutto di Parma» 
 
 
                         PROSCIUTTO DI PARMA 
 
 
                  DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA 
(Disciplinare  Generale  e  Dossier  di  cui   all'articolo   4   del
    Regolamento CEE n. 2081/92 del Consiglio del 14 luglio 1992) 
 
 
                              ALLEGATI 
 
 
 
                  Documenti di riferimento scheda A 
 
    Legge 4 luglio 1970 n. 506 
    Legge 13 febbraio 1990 n. 26 
    D.P.R. 3 gennaio 1978 n. 83 
    D.M. 15 febbbraio 1993 n. 253 
 
                  Documenti di riferimento scheda B 
 
    Provvedimento che ha definito i parametri analitici qualitativi. 
    Direttiva   concernente   le   operazioni   di   affettamento   e
confezionamento del Prosciutto di Parma. 
    Esemplare  "neutro"  di  confezione  di   Prosciutto   di   Parma
preaffettato. 
 
                  Documenti di riferimento scheda C 
 
    Delimitazione della zona di trasformazione 
    Delimitazione della zona di provenienza della materia prima 
    Estratto della legge 19 febbraio 1992 n. 142 
    Raccolta esemplificativa di articoli attinenti: 
      l'impiego del siero di latte  e  di  cereali  nella  dieta  del
"suino pesante"; 
      le razze idonee e non alla produzione del "suino pesante"; 
      alcune ricerche sulle caratteristiche del  tessuto  adiposo  di
copertura nel "suino pesante". 
    Segnalazioni bibliografiche sulla produzione  del  suino  pesante
italiano 
    Esemplare del certificato dell'allevatore 
    Direttiva sulle procedure per  la  compilazione  e  gestione  dei
certificati dell'allevatore 
    Esemplari di moduli di domanda per allevamenti e macelli 
    Esemplare di timbro numerato ("PP") del macello 
    Esemplari del sigillo 
    Esemplare di verbale di sigillatura 
    Esemplare di verbale di contrassegnatura (marchiatura) 
    Copia parziale del registro del produttore 
    Impronta della corona ducale 
 
                  Documenti di riferimento scheda D 
 
    Bibliografia dei testi contenenti  notizie  storiche  riguardanti
diversi aspetti del prosciutto di Parma in particolare  l'allevamento
del  suino  nella  Pianura  Padana  ed  a  Parma,  la  produzione   e
commercializzazione del prosciutto di Parma. 
    Copia di "Avviso per la notificazione delle carni suine salate, e
contrattazione   all'ingroffo   delle   medefime"   pubblicato    dal
Governatore di Parma il 21  aprile  1764,  in  cui  figura  anche  il
prosciutto con l'osso ("prefciuto con l'offo"). 
    Copia di un estratto del "vocabolario topografico dei  ducati  di
Parma,  Piacenza  e  Guastalla"  di  Lorenzo  Molossi,  stampato  nel
1832/34, in cui si trova un esplicito riferimento all'allevamento dei
"porci" per la produzione di prosciutti crudi. 
    Copie di alcune pagine del bollettino della Camera  di  commercio
di Parma risalente al 1915 in cui compare, nella classe  merceologica
dei salumi, il "prosciutto vecchio". 
    Estratto del registro delle ditte della Camera  di  commercio  di
Parma da cui risulta la costituzione, negli anni 20 e 30, di  aziende
produttrici di prosciutto. 
 
                  Documenti di riferimento scheda E 
 
    Esemplare di  modulo  per  la  richiesta  di  riconoscimento  del
produttore 
    Foto delle fasi di lavorazione del prosciutto di Parma. 
 
                  Documenti di riferimento scheda F 
 
    Regolamento (CEE) n. 3220/84; 
    Decisione della Commissione del 21 dicembre 1988 
    Decisione della Commissione del 20 novembre 1989 
    Decreto del Ministero dell'Agricoltura e Foreste del 24  febbraio
1989 
    Copie di articoli riportanti cenni sul legame tra la produzione e
l'area geografica delimitata. 
 
                  Documenti di riferimento scheda H 
 
    Verbale di deposito marchio "corona ducale" del 1963 
    Verbale di deposito del  marchio  "corona  ducale"  del  1973  (e
modifica di quella del 1963) 
    Decreto Ministeriale 9 ottobre 1978 - Allegato 4 
    Certificato di deposito del  marchio  "corona  ducale"  del  1987
(strumentale alla registrazione OMPI) 
    Decreto Ministeriale 26 agosto 1991 
    Decreto Ministeriale 9 ottobre 1978 - Allegato 3 
    Decreto Ministeriale 4 agosto 1986 
 
                        Premessa metodologica 
 
    Il presente lavoro si prefigge  lo  scopo  di  razionalizzare  il
panorama normativo posto alla base  della  denominazione  di  origine
"prosciutto di Parma", al fine di  renderlo  intelligibile  e  quindi
alla  portata  di  tutti  coloro  che   perseguono   una   conoscenza
dettagliata e specifica dello stesso. 
    La metodologia reputata maggiormente funzionale allo scopo  sopra
evidenziato  consiste  nella  suddivisione  per  materia  di   alcuni
argomenti base o principi generali, accompagnata dalla trasposizione,
per ogni argomento analizzato, di tutte le disposizioni legislative e
regolamentari allo stesso afferenti, anche  se  previste  da  diversi
testi di legge, regolamenti o direttive esecutive. 
    Pertanto, il lettore potra' trovare con  estrema  semplicita',  a
seguito  di  ogni  argomento  esposto,  una  completa  ed  esauriente
regolamentazione  inglobante  tutto  quanto  disposto  sull'argomento
stesso. 
    Il testo che si propone prende in  considerazione  esclusivamente
le  norme  attualmente  in  vigore  e   dovra'   chiaramente   essere
assoggettato alle variazioni del caso ogni qual volta detto complesso
normativo subira' modifiche di rilievo. 
 
                         PROSCIUTTO DI PARMA 
                 (Denominazione di origine protetta) 
 
 
                                                             SCHEDA A 
Nome del prodotto: PROSCIUTTO DI PARMA 
    La denominazione  di  origine  "Prosciutto  di  Parma"  e'  stata
inizialmente giuridicamente protetta a  livello  nazionale  dal  1970
attraverso la legge 4 luglio 1970 n. 506 ed e' poi stata riconosciuta
come DOP ai sensi del Regolamento CEE n. 2081/92 con  Regolamento  CE
n. 1107 del 12.6.96. 
 
                  Documenti di riferimento scheda A 
 
    A.1: Legge 4 luglio 1970 n. 506 
    A.2: Legge 13 febbraio 1990 n. 26 
    A.3: D.P.R. 3 febbraio 1978 n. 83 
    A.4: D.M. 15 febbraio 1993 n. 253 
 
                                                             SCHEDA B 
Descrizione del prodotto con indicazione delle materie prime e  delle
  principali caratteristiche fisiche,  chimiche,  microbiologiche  ed
  organolettiche. 
    La denominazione di origine "prosciutto di  Parma"  e'  riservata
esclusivamente  al  prosciutto  munito   di   contrassegno   atto   a
consentirne in via  permanente  la  identificazione,  ottenuto  dalla
cosce fresche di suini  nati,  allevati  e  macellati  in  una  delle
Regioni indicate dall'art. 3 del  Decreto  Ministeriale  15  febbraio
1993  n.  253,  prodotto  secondo  le   prescrizioni   di   legge   e
regolamentari stagionato nella  zona  tipica  di  produzione  di  cui
all'art. 2 della legge 13 febbraio 1990 n. 26 per il  periodo  minimo
di 12 mesi a decorrere  dalla  salagione.  Il  peso  e'  riferito  ai
prosciutti con osso all'atto dell'applicazione  del  contrassegno  di
cui sopra. 
    Le specifiche caratteristiche  merceologiche  del  prosciutto  di
Parma sono: 
      a) forma esteriore  tondeggiante:  privo  della  parte  distale
(piedino), privo di imperfezioni  esterne  tali  da  pregiudicare  la
immagine del prodotto, con limitazione della parte muscolare scoperta
oltre la testa del femore  (noce)  ad  un  massimo  di  6  centimetri
(rifilatura corta); 
      b) peso: normalmente tra gli  otto  e  i  dieci  chilogrammi  e
comunque non inferiore ai sette; 
      c) colore  al  taglio:  uniforme  tra  il  rosa  ed  il  rosso,
inframmezzato dal bianco puro delle parti grasse; 
      d) aroma e sapore: carne  di  sapore  delicato  e  dolce,  poco
salata e con aroma fragrante e caratteristico; 
      e) la  caratterizzazione  mediante  l'osservanza  di  parametri
analitici predeterminati. 
    Il criterio adottato per la selezione dei  parametri  qualitativi
e' quello della correlazione fra attributi organolettici e  parametri
chimici.  Con  questo  metodo  sono  stati  individuati  i   seguenti
parametri: la concentrazione di sale, di umidita' e di azoto solubile
(indice di proteolisi). Infatti e' noto che il prodotto  di  qualita'
deve contenere limitate quantita' di cloruro di sodio e di  umidita',
mentre nel caso dell'indice di proteolisi si  e'  osservato  che,  se
troppo elevato, esso influisce negativamente sulle caratteristiche di
consistenza del magro. 
    Per ciascuno dei tre suddetti parametri  sono  stati  individuati
degli intervalli che diventano i valori di riferimento per verificare
se un campione di prosciutti, estratto a caso da uno stabilimento  di
produzione, appartiene alla popolazione di riferimento e puo'  essere
quindi considerato rappresentativo delle  caratteristiche  medie  del
Prosciutto di Parma. 
    Tali intervalli risultano cosi' definiti: 
      Umidita': 59,0% - 63,5% 
      Sale: 4,2% - 6,2% 
      Indice di proteolisi: 24,0% - 31,0%. 
    I valori che  definiscono  gli  intervalli  di  variabilita'  dei
rispettivi parametri non si riferiscono  al  singolo  prosciutto,  ma
alla media dei prosciutti campionati nello stabilimento alla scadenza
prevista, dai quali viene prelevata la sola  frazione  magra  isolata
dal bicipite femorale. 
    La materia prima (cosce fresche) utilizzata per la produzione  di
prosciutto   di   Parma   presenta    i    seguenti    elementi    di
caratterizzazione: 
      -  la  consistenza  del  grasso:  e'  stimata   attraverso   la
determinazione del  numero  di  iodio  e/o  del  contenuto  di  acido
linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo
adiposo sottocutaneo della  coscia.  Per  ogni  singolo  campione  il
numero di iodio non  deve  superare  70  ed  il  contenuto  di  acido
linoleico non deve essere superiore al 15%; 
      - la copertura di grasso: lo spessore del  grasso  della  parte
esterna della  coscia  fresca  rifilata,  misurato  verticalmente  in
corrispondenza  della  testa  del  femore   ("sottonoce"),   dovrebbe
aggirarsi intorno ai 20 millimetri per le  cosce  fresche  utilizzate
nella produzione di prosciutto di Parma di peso ricompreso fra i 7  e
9 chilogrammi, ed ai 30 millimetri  nelle  cosce  fresche  utilizzate
nella produzione di prosciutto  di  Parma  di  peso  superiore  ai  9
chilogrammi. 
      Tale  spessore  non  deve,  in  ogni  caso,  essere   inferiore
rispettivamente a 15  millimetri  ed  a  20  millimetri  per  le  due
categorie di cosce fresche, cotenna compresa. 
      In "corona" deve essere presente una copertura  tale,  in  ogni
caso, da impedire il distacco della cotenna  dalla  fascia  muscolare
sottostante; 
      - peso delle cosce fresche: le cosce fresche rifilate, di  peso
preferibilmente compreso tra 12 e 14 chilogrammi, non devono in  ogni
caso pesare meno di 10 chilogrammi; 
      - qualita' della carne: sono escluse dalla produzione  protetta
le cosce fresche provenienti da suini con miopatie  conclamate  (PSE,
DFD, postumi evidenti di processi  flogistici  o  traumatici,  ecc..)
certificate da un medico veterinario al macello; 
      - le cosce fresche non devono subire, tranne la refrigerazione,
alcun trattamento di conservazione, ivi compresa la congelazione; per
refrigerazione si intende che  le  cosce  devono  essere  conservate,
nelle fasi di deposito e trasporto, ad una temperatura interna tra  -
1 °C e + 4 °C; 
      - non possono essere utilizzate cosce che risultino ricavate da
suini macellati da meno di 24 ore o da oltre 120 ore. 
    Il prosciutto di Parma,  dopo  l'applicazione  del  contrassegno,
puo' essere commercializzato anche disossato,  ovvero  in  tranci  di
forma  e  peso   variabili   ovvero   affettato   ed   opportunamente
confezionato. Qualora non sia possibile conservare  sul  prodotto  il
contrassegno, questo dovra' essere  apposto  in  modo  indelebile  ed
inamovibile  sulla  confezione,  sotto  il  controllo  dell'Organismo
abilitato. In questi casi le operazioni di  confezionamento  dovranno
essere effettuate nella zona tipica di produzione. Il confezionamento
del prosciutto di Parma puo'  avvenire  in  confezioni  in  atmosfera
modificata ovvero sottovuoto e di dimensioni, forma e peso variabili.
Tutte   le   confezioni   di   prosciutto   di    Parma    presentano
obbligatoriamente una porzione comune posizionata al vertice sinistro
superiore della confezione riportante  il  marchio  consortile  e  le
diciture "Prosciutto di Parma". Denominazione di origine protetta  ai
sensi della legge 13 febbraio  1990  n.  26.  Confezionato  sotto  il
controllo dell'organismo incaricato. Tale parte comune  deve  inoltre
avere  le  caratteristiche  e  rispondere  a  tutte   le   condizioni
specificamente previste dalla Direttiva Affettamento. 
    Nell'ambito della Direttiva che disciplina la materia sono  state
definite  le  caratteristiche  chimico-fisiche  e  merceologiche  del
prodotto da utilizzare, con particolare riferimento alla pezzatura ed
al periodo di stagionatura. Tutte le operazioni, dalla fase  iniziale
della disossatura a quella finale dell'affettamento e confezionamento
sono svolte sotto il diretto controllo  di  ispettori  dell'Organismo
abilitato (per questo particolare aspetto si rimanda alla scheda G). 
 
                  Documenti di riferimento scheda B 
 
    Provvedimento che ha definito i parametri analitici qualitativi. 
    Direttiva   concernente   le   operazioni   di   affettamento   e
confezionamento del Prosciutto di Parma. 
    Esemplare  "neturo"  di  confezione  di   prosciutto   di   Parma
preaffettato. 
    Altri documenti richiamati: 
    - Legge n. 26/90 (Scheda A) 
    - D.M. 253/93 (Scheda A) 
    - Prescrizioni produttive in materia di suinicoltura (Scheda C) 
 
                                                             SCHEDA C 
Delimitazione della zona geografica e rispetto  delle  condizioni  di
cui all'articolo 2 paragrafo 4. 
    La zona tipica di produzione del prosciutto di Parma - cosi' come
individuata dalla legge 13 febbraio 1990 n. 26 - ed  ancor  prima  la
legge 4 luglio 1970 n. 506 - comprende il territorio della  provincia
di Parma (regione Emilia-Romagna - Italia)  posto  a  Sud  della  via
Emilia distanza da questa non inferiore a 5 chilometri  fino  ad  una
altitudine non superiore a 900 metri, delimitato ad est dal corso del
fiume Enza e ad Ovest dal corso del torrente Stirone. 
    Nella zona  di  cui  al  punto  C.1  devono  essere  ubicati  gli
stabilimenti  di  produzione  (prosciuttifici)  ed  i  laboratori  di
affettamento e confezionamento e devono  quindi  svolgersi  tutte  le
fasi di trasformazione della materia prima previste dal disciplinare. 
    La materia prima proviene da un'area geograficamente  piu'  ampia
della  zona  di   trasformazione,   che   comprende   il   territorio
amministrativo  delle  seguenti  Regioni:   Emilia-Romagna,   Veneto,
Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio
(Italia). 
    C.4 Tale zona di provenienza della materia  prima  e'  delimitata
rigorosamente  dalla  legge  13  febbraio  1990  n.  26,  cosi'  come
modificata dall'articolo 60 della legge 19 febbraio 1992  n.  142,  e
dal Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993 n. 253. 
    In tale zona hanno sede tutti gli allevamenti dei  suini  le  cui
cosce sono destinate alla produzione del  prosciutto  di  Parma,  gli
stabilimenti di macellazione  abilitati  alla  relativa  preparazione
nonche' i laboratori di  sezionamento  eventualmente  ricompresi  nel
circuito della produzione protetta. 
    Per soddisfare alle esigenze indicate nella successiva scheda  F,
per  la  produzione  delle  materie  prime,   cosi'   come   definite
all'articolo 2 paragrafo 5 del Regolamento CEE n. 2081/92, sussistono
le seguenti condizioni particolari e prescrizioni: 
RAZZE E REQUISITI DEI SUINI DESTINATI ALLA PRODUZIONE  DI  PROSCIUTTO
DI PARMA 
      - Sono ammessi gli animali, in purezza o derivati, delle  razze
tradizionali di base Large White e Landrace,  cosi'  come  migliorate
dal Libro genealogico italiano. 
      - Sono altresi' ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc,
cosi' come migliorata dal Libro genealogico italiano. 
      - Sono inoltre ammessi gli animali di altre razze,  meticci  ed
ibridi, purche' provengano da schemi di selezione o incrocio  attuati
con finalita' non incompatibili  con  quelle  del  Libro  genealogico
italiano per la produzione del suino pesante. 
      - In osservanza alla tradizione,  restano  comunque  esclusi  i
portatori di caratteri antitetici, con particolare  riferimento  alla
sensibilita' agli stress (PSS), oggi rilevabili obiettivamente  anche
sugli animali "post mortem" e sui prodotti stagionati. 
      - Sono in ogni caso esclusi gli animali che non producano cosce
conformi alle presenti prescrizioni produttive; per  quanto  riguarda
gli elementi di caratterizzazione della  coscia  suina  fresca,  essi
sono prescritti nelle condizioni indicate alla precedente scheda B. 
      - Sono comunque esclusi gli  animali  in  purezza  delle  razze
Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spotted Poland. 
ALTRE PRESCRIZIONI E CONDIZIONI PARTICOLARI 
      -   I   tipi   genetici   utilizzati   devono   assicurare   il
raggiungimento di pesi elevati con buone efficienze e,  comunque,  un
peso medio per partita (peso vivo) di chilogrammi  160  piu'  o  meno
10%. 
      - L'eta' minima di macellazione e' di nove mesi ed e' accertata
sulla base della timbro apposto ai fini del comma 3  dell'articolo  4
del Decreto Ministeriale 253/93. 
      - E' esclusa l'utilizzazione di verri e scrofe. 
      - I suini devono essere macellati in ottimo stato  sanitario  e
perfettamente dissanguati. 
C.6.3.  ALIMENTAZIONE  DEI  SUINI  DESTINATI   ALLA   PRODUZIONE   DI
PROSCIUTTO DI PARMA 
      - Gli alimenti consentiti,  le  quantita'  e  le  modalita'  di
impiego sono riportati nella tabella di seguito riportata. 
      - L'alimento  dovra',  preferibilmente,  essere  presentato  in
forma liquida (broda o pastone)  e,  per  tradizione,  con  siero  di
latte. 
 
        Alimenti ammessi fino a 80 chilogrammi di peso vivo. 
 
    Tutti quelli utilizzabili nel  periodo  di  ingrasso,  in  idonea
concentrazione, nonche' quelli sottoelencati. La presenza di sostanza
secca da cereali non dovra' essere inferiore al 45% di quella totale. 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
 
               Alimenti ammessi nella fase di ingrasso 
 
    La presenza di sostanza secca da cereali  nella  fase  d'ingrasso
non dovra' essere inferiore al 55% di quella totale. 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
      - Ai fini di ottenere un grasso di copertura di buona  qualita'
e' consentita una presenza massima di  acido  linoleico  pari  al  2%
della sostanza secca della dieta. 
      - Sono ammesse tolleranze massime del 10%. 
      - Siero e latticello insieme non devono  superare  i  15  litri
capo/giorno (*). 
      - Se associato a borlande il contenuto  totale  di  azoto  deve
essere inferiore al 2% (**). 
      - Patata disidratata e manioca insieme non devono  superare  il
15% della sostanza secca della razione (***). 
      -  Per  "latticello"  si   intende   il   sottoprodotto   della
lavorazione del burro e  per  siero  di  latte  il  sottoprodotto  di
cagliate. 
 
PRESCRIZIONI  RELATIVE  ALL'ALLEVAMENTO  DEI  SUINI  DESTINATI   ALLA
PRODUZIONE DI PROSCIUTTO DI PARMA 
 
    Fasi di allevamento: 
      - Le fasi di allevamento sono cosi' definite: 
        allattamento: prime quattro settimane sottoscrofa; 
        svezzamento: dalla 5^ alla 12^ settimana; 
        magronaggio: da 30 ad 80 chilogrammi di peso; 
        ingrasso: da 80 a 160 chilogrammi di peso ed oltre. 
      - Le tecniche di allevamento sono finalizzate  ad  ottenere  un
suino pesante,  obiettivo  che  deve  essere  perseguito  assicurando
moderati accrescimenti giornalieri, nonche' la produzione di carcasse
incluse nelle classi centrali della classificazione CEE ("U",  "R"  e
"O"). 
    A tal fine l'alimentazione dovra' essere  distribuita  razionata,
preferibilmente sottoforma liquida o di pastone  e,  per  tradizione,
con siero di latte. 
      -  Le  strutture  e  le  attrezzature  dell'allevamento  devono
garantire agli animali condizioni di benessere. 
      - I ricoveri devono risultare ben coibentati e  ben  aerati  in
modo  da  garantire  la  giusta  temperatura,  il  ricambio  ottimale
dell'aria e l'eliminazione dei gas nocivi. 
      -  I  pavimenti  devono  essere  caratterizzati  da  una  bassa
incidenza di fessurazione e realizzati con materiali  idrorepellenti,
termici ed antisdrucciolevoli. 
      - In relazione  alla  tipologia  dell'alimentazione,  tutte  le
strutture ed attrezzature devono  presentare  adeguati  requisiti  di
resistenza alla corrosione. 
    Salvo ogni specifico  ulteriore  approfondimento  demandato  alla
successiva  scheda  G,  il  regime  di  controllo  atto  a  garantire
l'osservanza delle condizioni particolari  per  la  produzione  delle
materie prime nonche' l'osservanza degli obblighi posti a  carico  di
tutti i soggetti ricompresi nel circuito  della  produzione  protetta
dalle norme e dai disciplinari vigenti, e' regolato  da  disposizioni
dettagliatamente descritte nel  piano  dei  controlli  approvato  dal
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. 
      - Per essere compresi nel circuito della  produzione  protetta,
gli  allevatori  devono   essere   preventivamente   riconosciuti   e
codificati dall'organismo abilitato. 
      - A tal fine, gli allevatori interessati  presentano  richiesta
all'organismo abilitato, che ne dispone la codificazione  e  fornisce
la documentazione di cui al presente disciplinare di produzione. 
      - L'allevatore inserito nel sistema dei controlli appone  sulle
cosce posteriori di ogni suino,  entro  il  trentesimo  giorno  dalla
nascita,  un  timbro  indelebile  recante  il   proprio   codice   di
identificazione. 
      - Nelle ipotesi in cui il suino timbrato  venga  trasferito  ad
altro allevamento, quest'ultimo  deve  essere  stato  preventivamente
codificato dall'organismo abilitato e deve apporre  un  nuovo  timbro
indelebile recante il proprio  codice  di  identificazione,  comunque
prima dell'avvio alla macellazione. Le modalita' di  codificazione  e
di applicazione dei timbri sono stabilite  dall'organismo  abilitato.
Nell'ipotesi sundicata, per soddisfare tutte  le  esigenze  correlate
con il benessere animale, la  seconda  apposizione  del  timbro  puo'
essere surrogata dalla indicazione  del  codice  di  origine  apposto
nelle forme prescritte dal § C.8.4 sui documenti che accompagnano  le
partite di suini ad ogni transazione o  trasferimento  e  nell'ambito
delle  registrazioni  e  delle  verifiche  incrociate  operate  dalla
struttura di controllo. La tracciabilita' del prodotto  e'  garantita
anche dalle procedure di registrazione adottate dal macello, soggette
ad omologazione e verifica sistematiche da  parte  dell'organismo  di
controllo. 
      - Timbro di cui al precedente punto. 
    La apposizione del timbro e' effettuata mediante applicazione con
apposito strumento a  compressione  di  un  tatuaggio  indelebile  ed
inamovibile anche post mortem, sulla porzione laterale di entrambe le
cosce del suinetto posta appena sopra una linea orizzontale che parte
dalla rotula ed in corrispondenza della parte inferiore del  bicipite
femorale. 
    La   timbratura   riproduce   il    codice    alfa-numerico    di
identificazione assegnato  all'allevatore  e  definito  con  apposita
direttiva emanata dall'organismo abilitato ed una  ulteriore  lettera
alfabetica, utilizzata in funzione variabile in relazione al mese  di
nascita dell'animale. 
    La   timbratura   e'    apposta    sotto    la    responsabilita'
dell'allevatore. 
      - Timbro di cui al precedente punto. 
    Il  timbro   riproduce   il   codice   alfa-numerico   attribuito
all'allevatore  ed  e'  apposto  su  entrambe  le  cosce  dei   suini
accompagnati dalla certificazione di cui al presente disciplinare  di
produzione. 
    Il timbro e' comunque apposto in modo da risultare indelebile  ed
inamovibile anche post mortem e deve avvenire sulla porzione laterale
della coscia  con  una  superficie  d'ingombro  non  superiore  a  45
millimetri  (altezza)  per  85   millimetri   (base),   evitando   la
sovrapposizione con il timbro di cui sopra. 
    L'allevatore appone il timbro preferibilmente non oltre  l'ottavo
mese di vita. 
      - L'allevatore e' tenuto a rilasciare per i suini avviati  alla
macellazione un certificato attestante la  conformita'  dei  medesimi
alle prescrizioni di cui ai punti C.6 e seguenti. 
      - All'atto  della  spedizione  dei  suini  presso  il  macello,
l'allevatore deve compilare, in triplice copia, la certificazione  di
cui al punto precedente, attestante l'osservanza  delle  prescrizioni
produttive,   rilasciandone   un   esemplare   al    macellatore    e
trasmettendone un altro all'organismo  abilitato.  La  certificazione
avviene su supporti distribuiti a  cura  dell'organismo  abilitato  e
dallo stesso prenumerati e codificati.  L'allevatore  sottoscrive  la
certificazione dopo aver inserito il numero  dei  capi,  la  relativa
destinazione e  la  data  della  spedizione  nonche'  la  indicazione
sintetica dei genotipi utilizzati. 
      -  I  criteri  e  le  metodologie  di  compilazione,  gestione,
utilizzazione e circolazione delle certificazioni  sono  disciplinate
nel piano dei controlli approvato. 
      - I macelli che intendono fornire le  cosce  fresche  destinate
alla  produzione   del   prosciutto   di   Parma   devono   inoltrare
all'organismo   abilitato   domanda   per   ottenere   un    apposito
riconoscimento. 
      -  La  domanda  deve  essere  corredata  dalla   documentazione
attestante il possesso  dell'autorizzazione  sanitaria,  nonche'  dei
requisiti igienico sanitari richiesti dalle norme vigenti in materia. 
      - L'organismo abilitato provvede alla attribuzione di un codice
di identificazione del macello ed alla fornitura del timbro di cui al
successivo punto. 
    Sulle cosce fresche destinate alla preparazione del prosciutto di
Parma  il  macellatore  e'  tenuto  alla   apposizione   del   timbro
indelebile, impresso a fuoco sulla  cotenna,  in  modo  ben  visibile
secondo le direttive impartite dall'organismo abilitato. 
      - Il  macellatore  appone  il  timbro  indelebile  sulle  cosce
fresche  ricavate   dai   suini   pervenutigli   accompagnati   dalla
certificazione  sopra  descritta   e   dopo   averne   accertata   la
corrispondenza ai requisiti indicati nella precedente scheda B. 
      - Il timbro riproduce il codice di identificazione del  macello
presso il quale e' avvenuta la macellazione. 
      - Il macellatore e' tenuto a munire  ogni  singola  partita  di
cosce fresche sulle quali ha provveduto ad apporre il timbro  di  cui
al presente punto di un esemplare o di una copia della certificazione
rilasciata nelle forme previste precedentemente. 
      -  Qualora   la   certificazione   originariamente   rilasciata
dall'allevatore si riferisca a suini le cui cosce vengano destinate a
diversi  stabilimenti  e,  comunque,   a   separate   forniture,   il
macellatore e' tenuto a  trasmettere  al  prosciuttificio,  per  ogni
singola consegna di cosce fresche sulle quali  e'  stato  apposto  il
timbro di  cui  sopra,  copia  della  certificazione  stessa  nonche'
eventuali altri documenti richiesti dall'organismo abilitato. 
      - I laboratori di sezionamento ricompresi  nel  circuito  della
produzione  protetta  sono  tenuti  ad  unire   alla   documentazione
accompagnatoria delle cosce fresche destinate alla  preparazione  del
prosciutto di Parma fotocopia dei documenti  previsti  dalla  vigente
normativa amministrativa e sanitaria, relativamente al  trasferimento
delle mezzene o degli altri tagli da uno  dei  macelli  riconosciuti,
nonche' copia della certificazione di cui sopra. 
      - I laboratori di sezionamento sono  altresi'  assoggettati  ai
controlli. 
      - Solo le cosce fresche provenienti  da  macelli  inseriti  nel
sistema dei controlli munite del timbro  indelebile  ed  accompagnate
dalla  richiesta  documentazione,   possono   essere   avviate   alla
produzione protetta del prosciutto di Parma. 
      -  Per  ogni  operazione  di  introduzione  di  cosce   fresche
destinate alla  preparazione  del  prosciutto  di  Parma  presso  uno
stabilimento riconosciuto,  un  incaricato  dell'organismo  abilitato
verifica  la  documentazione  sanitaria  di  accompagnamento  nonche'
quella di cui ai precedenti punti e accerta: 
        a) gli allevamenti ed il macello di provenienza,  l'eventuale
laboratorio di sezionamento e la data di spedizione allo stabilimento
di lavorazione; 
        b)  il  numero  delle  cosce  fresche   munite   dei   timbri
dell'allevamento e del macello; 
        c) l'assenza di trattamenti diversi dalla refrigerazione. 
      - All'atto della salagione  sulle  cosce  fresche  deve  essere
apposto un sigillo attestante la data di inizio della lavorazione. 
      - Per ottenere l'apposizione del sigillo sulle  cosce  fresche,
il produttore  deve  farne  richiesta  all'organismo  abilitato  che,
mediante i propri incaricati, controlla il  corretto  svolgimento  di
tutte le operazioni. 
      -  L'apposizione  del  sigillo  e'  effettuata   a   cura   del
produttore, comunque prima  della  salagione,  in  modo  da  rimanere
visibile permanentemente. 
      - Il sigillo riporta l'indicazione  del  mese  e  dell'anno  di
inizio della lavorazione; tale data equivale alla data di  produzione
ai sensi delle leggi vigenti in materia di vigilanza sanitaria  sulle
carni. 
      - L'incaricato dell'organismo abilitato vieta l'apposizione del
sigillo: 
        a) sulle cosce ritenute non idonee alla produzione protetta; 
        b)   sulle   cosce   non   accompagnate   dalla    prescritta
documentazione e/o prive dei timbri dell'allevamento e/o del macello; 
        c) sulle cosce che risultino ricavate da suini  macellati  da
meno di 24 ore o da oltre 120 ore. 
      -  Qualora  circostanze   pregiudizievoli   vengano   accertate
successivamente, il sigillo eventualmente gia' apposto e'  rimosso  a
cura degli incaricati dell'organismo abilitato, che redigono apposito
verbale. 
      - Al termine delle operazioni di cui al punto precedente, viene
redatto per ogni partita avviata alla  produzione  protetta  apposito
verbale contenente le seguenti indicazioni: 
        a) gli estremi del documento sanitario di accompagnamento; 
        b) la data della salagione; 
        c) il numero ed il peso complessivo delle cosce fresche sulle
quali e' stato apposto il sigillo; 
        d) il numero ed il  peso  complessivo  delle  cosce  ritenute
inidonee od oggetto di contestazione; 
        e) il numero ed il peso complessivo delle cosce  sulle  quali
non e' stato apposto il sigillo trattenute  presso  lo  stabilimento,
ovvero da rendere al macello conferente, ovvero da avviare  ad  altro
stabilimento. 
      -  L'operazione  di  apposizione  del  sigillo  deve  risultare
distintamente per ciascuna partita in un apposito registro. 
      - Il verbale e'  redatto  in  duplice  copia,  di  cui  una  e'
conservata  presso  lo  stabilimento   di   lavorazione   e   l'altra
dall'organismo abilitato. 
      -  L'incaricato   dell'organismo   abilitato   puo'   procedere
all'identificazione  delle  cosce  ritenute  non  idonee  e  che  non
costituiscono oggetto di contestazione, in tutti i  casi  in  cui  lo
ritenga necessario, mediante l'applicazione di specifici contrassegni
indicati a verbale. 
      -  Durante  le   fasi   della   lavorazione,   gli   incaricati
dell'organismo abilitato possono operare controlli ed  ispezioni  sia
per effettuare verifiche ed esami sulle carni, sia per  accertare  la
regolarita' della tenuta dei registri e di ogni altra documentazione,
sia per constatare che le modalita' di lavorazione corrispondano alle
prescrizioni della legge e del relativo regolamento. 
      - In caso di contestazione, ovvero in caso di  accertamenti  il
cui esito non sia immediato, gli incaricati dell'organismo  abilitato
provvedono ad una speciale identificazione del prodotto. 
      -   Gli   incaricati   dell'organismo   abilitato   presenziano
all'apposizione  del  contrassegno,  accertando  preliminarmente   la
sussistenza dei seguenti requisiti: 
        a) compimento del periodo minimo di stagionatura  prescritto,
previo esame dei registri,  della  documentazione  e  del  sigillo  e
computando nel periodo stesso il mese nel quale e' stato  apposto  il
sigillo; 
        b) conformita' delle modalita' di lavorazione; 
        c) esistenza delle caratteristiche  merceologiche  prescritte
dal presente disciplinare; 
        d) rispetto della osservanza dei parametri analitici. 
      - Gli incaricati procedono preliminarmente alla  spillatura  di
un  numero  di  prosciutti  sufficiente  per  ricavarne  un  giudizio
probante di qualita'; se necessario, possono  effettuare  l'ispezione
del prodotto, mediante apertura di prosciutti fino ad un massimo di 5
per mille o frazione di mille, che restano a carico del produttore. 
      - Le caratteristiche  organolettiche  sono  valutate  nel  loro
insieme, potendosi operare  una  compensazione  solo  per  lievissime
deficienze. 
      - Il contrassegno  e'  apposto,  anche  in  piu'  punti,  sulla
cotenna del prosciutto in modo da restare visibile fino alla completa
utilizzazione del prodotto. 
      - L'organismo abilitato custodisce la matrice  degli  strumenti
per l'apposizione  del  contrassegno;  gli  strumenti  devono  recare
ciascuno il numero di identificazione del produttore e sono  affidati
dall'organismo  abilitato   ai   propri   incaricati   in   occasione
dell'applicazione del contrassegno sui prosciutti. 
      -  L'incaricato  dell'organismo  abilitato  compila,  per  ogni
operazione di apposizione del contrassegno, apposito verbale  da  cui
risultino: 
        a) il numero dei prosciutti presentati per l'apposizione  del
contrassegno; 
        b) la data dell'inizio della lavorazione; 
        c) i riferimenti per l'individuazione del prodotto, riportati
nello apposito registro; 
        d) il numero complessivo dei prosciutti sui quali e'  apposto
il contrassegno e la data delle relative operazioni; 
        e) il numero dei prosciutti ritenuti inidonei alla produzione
protetta; 
        f)  il  numero  dei  prosciutti  eventualmente   oggetto   di
contestazione. 
      - I prosciutti oggetto di contestazione sono custoditi, con  le
cautele  necessarie  e  con  l'apposizione  di  eventuali  segni   di
identificazione per impedire la loro sostituzione e comunque la  loro
manomissione, a  cura  dell'organismo  abilitato  che  li  affida  in
custodia al produttore. 
      - Il produttore,  al  quale  viene  consegnata  una  copia  del
verbale, puo' farvi inserire sue osservazioni e  chiedere,  entro  il
termine di tre giorni, un nuovo esame tecnico con l'intervento  della
Stazione Sperimentale per l'industria delle  conserve  alimentari  di
Parma, con facolta' di nominare un proprio consulente. 
      - I prosciutti non idonei alla produzione protetta sono privati
del sigillo; l'operazione di annullamento  e'  compiuta  a  cura  del
produttore, alla presenza dell'incaricato dell'organismo abilitato. 
      -  Le  operazioni  di  apposizione  del   contrassegno   o   di
annullamento del sigillo devono  essere  trascritte  in  un  apposito
registro. 
      - Il produttore deve tenere, per ogni singolo stabilimento,  un
apposito registro,  suddiviso  in  fogli  mensili;  le  registrazioni
devono  essere  effettuate   nella   parte   mensile   del   registro
corrispondente al mese ed all'anno indicati nel sigillo. 
      - Il registro deve indicare: 
        a) il numero d'ordine progressivo e la data di  ogni  singola
registrazione; 
        b) il numero delle cosce  con  l'indicazione  della  data  di
apposizione del sigillo e del macello di provenienza; 
        c) il numero delle  cosce  con  sigillo  pervenute  da  altro
stabilimento; 
        d) il  numero  delle  cosce  con  sigillo  inviate  ad  altro
stabilimento; 
        e) il numero delle  cosce  dalle  quali  viene  asportato  il
sigillo; 
        f) il numero  dei  prosciutti  muniti  di  contrassegno,  con
l'indicazione del numero progressivo del verbale e della  data  delle
relative operazioni; 
      - Nel registro sono inoltre annotati, in apposita  sezione,  le
decisioni,  le  osservazioni  ed  i  provvedimenti  degli  incaricati
dell'organismo abilitato,  relativi  ad  errori  o  ad  irregolarita'
riscontrati. 
    I compiti di controllo sono svolti da un organismo  di  controllo
autorizzato conforme alle norme EN 45011. 
      - Per quanto riguarda, in generale,  l'attivita'  di  controllo
volta ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi  normativi  da
parte dei soggetti ricompresi nel circuito della produzione  protetta
ed  in  particolare  l'osservanza  delle   prescrizioni   produttive,
l'organismo abilitato: 
      -  fornisce  agli  allevatori  i  certificati  pre-intestati  e
pre-numerati e ne controlla la corretta gestione; 
      - fornisce ai macellatori il timbro indelebile  numerato  e  ne
controlla la regolare utilizzazione; 
      - fornisce ai produttori i sigilli metallici e ne controlla  la
regolare utilizzazione; 
      - fornisce ai produttori i registri vidimati di cui sopra; 
      - appone il contrassegno finale sui prosciutti  che  presentano
tutti i requisiti richiesti; 
      - effettua controlli sul rispetto delle prescrizioni produttive
presso gli allevamenti e i macelli; 
      -  effettua  controlli  durante  le  fasi  di  lavorazione  per
verificare il costante rispetto della normativa vigente e  degli  usi
tradizionali. 
 
                  Documenti di riferimento scheda C 
 
    C.1: Delimitazione della zona di trasformazione 
    C.2: Delimitazione della zona di provenienza della materia prima 
    C.3: Estratto della legge 19 febbraio 1992 n.142 
    C.4: Raccolta esemplificativa di articoli attinenti: 
      - l'impiego del siero di latte e di  cereali  nella  dieta  del
"suino pesante"; 
      - le razze idonee e non alla produzione del "suino pesante"; 
      - alcune ricerche sulle caratteristiche del tessuto adiposo  di
copertura nel "suino pesante". 
    C.5:  Segnalazioni  bibliografiche  sulla  produzione  del  suino
pesante italiano 
    C.6: Esemplare del certificato dell'allevatore 
    C.7: Direttiva sulle procedure per la compilazione e gestione dei
certificati dell'allevatore 
    C.8: Esemplari di moduli di domanda per allevamenti e macelli 
    C.9: Esemplare di timbro numerato ("PP") del macello 
    C.10 Esemplari del sigillo 
    C.11: Esemplare di verbale di sigillatura 
    C.12: Esemplare di verbale di contrassegnatura (marchiatura) 
    C.13: Copia parziale del registro del produttore 
    C.14: Impronta della corona ducale 
    Altri documenti richiamati: 
      - legge n. 26/90 (scheda A) - D.M. n. 253/93 (scheda A) 
 
                                                             SCHEDA D 
 
ELEMENTI  COMPROVANTI  L'ORIGINARIETA'  DEL   PRODOTTO   NELLA   ZONA
GEOGRAFICA. 
PREMESSA 
    Nella  produzione  agroalimentare  italiana  trovano   spazio   i
prodotti che si distinguono per le materie prime impiegate,  per  una
forte caratterizzazione del processo  produttivo  ed  infine  per  la
delimitazione della zona di produzione. 
    I prodotti tutelati per origine e  tecniche  di  produzione  sono
sottoposti  ad  un  complesso  di  controlli  che  nel  loro  insieme
garantiscono specifiche  caratteristiche  qualitative;  a  queste  si
unisce  un  ulteriore  elemento  fondamentale,  che  scaturisce   dal
concatenarsi di elementi naturali, ambientali ed umani,  dovuti  alle
profonde relazioni che nel tempo si sono  create  tra  la  produzione
agricola e la trasformazione del prodotto. 
    Questo insieme di relazioni si compenetra  e  si  evolve  con  la
storia stessa delle persone e dei luoghi che le hanno generate, ed e'
per questo che la descrizione storica, culturale, nonche' legislativa
della nascita e del divenire di un  prodotto  alimentare  rappresenta
senz'altro  il  modo  migliore,  forse   addirittura   l'unico,   per
descriverne la peculiarita' che gli e' propria. 
    L'indicazione degli elementi che comprovano che  il  prodotto  e'
originario della zona geografica richiamata dalla  denominazione  che
lo designa, deve considerare  necessariamente  l'articolazione  della
delimitazione fissata con la precedente scheda C. Infatti: 
      - il prosciutto di Parma e' sicuramente originario  della  zona
geografica  indicata  alla  precedente  scheda  C   e   le   relative
caratteristiche sono essenzialmente  dovute  all'ambiente  geografico
comprensivo  dei  fattori  naturali  ed  umani;  inoltre,  come  gia'
indicato al precedente punto C.2, la relativa trasformazione  avviene
esclusivamente nell'area geografica delimitata; 
      - nel contempo la materia prima utilizzata per la  preparazione
del prosciutto di Parma e' anch'essa originaria della zona geografica
delimitata  indicata  alla   precedente   scheda   C.,   dove   viene
esclusivamente sviluppata la produzione e le relative caratteristiche
sono dovute  essenzialmente  all'ambiente,  comprensivo  dei  fattori
naturali ed umani. 
IL MAIALE PADANO NEI TEMPI STORICI. 
    Il  maiale  e'  un  animale  abbastanza  facile  da  domesticare,
onnivoro e di agevole alimentazione. Per questo motivo e' da ritenere
che il passaggio dalla selvaticita' alla domesticazione sia  avvenuto
piu' volte, in diversi luoghi, a  partire  da  diverse  razze  suine,
varieta' e sottovarieta'. Per questo motivo ogni "regione  culturale"
ha il "suo maiale" ed a questo principio non fa eccezione la Padania. 
    La domesticazione del maiale, in ogni area o  regione  culturale,
e' stata per lunghissimo tempo parziale. Solo in tempi  relativamente
recenti il maiale e' divenuto realmente un "maiale domestico" e cioe'
completamente  dipendente  dall'uomo.  Recentissimamente  poi  questa
dipendenza   si   e'   ulteriormente   accentuata    attraverso    la
tecnicizzazione degli allevamenti, con la quale  si  e'  arrivati  al
maiale denominato "maiale tecnologico" o "maiale industriale". 
    Gli studi, le ricerche, nonche' le testimonianze acquisite, fanno
ritenere che, forse, il maiale e' stato  domesticato  in  Europa,  ma
molto piu' probabilmente e' stato importato gia' domestico dall'Est e
successivamente sono stati domesticati i suini europei autoctoni  (il
cinghiale ancora esistente - noto come Sus scrofa  ferus  sarebbe  il
residuo di tali maiali). Comunque con incroci tra il  "Sus  vittatus"
di  importazione  e  il  "Sus  scrofa"  autoctono,  il  processo   di
domesticazione del maiale  ha  interessato  prevalentemente  l'Europa
mediterranea. E' infatti agevole constatare che in epoca  preistorica
la domesticazione del maiale e' avvenuta soprattutto nell'Italia  del
nord (Alpi, Pre-Alpi, Pianura Padana) e questo in rapporto al tipo di
vegetazione dominante. Il maiale e' infatti  un  animale  "selvatico"
che si alimenta largamente dei frutti della selva  o  bosco  come  le
ghiande. 
    Tutto porta quindi a ritenere che vi sia stato lo sviluppo di una
semi-domesticazione nell'Italia  Settentrionale  del  maiale,  tipica
dell'area culturale  padana,  soprattutto  in  ambito  della  cultura
celtica. 
    Verosimilmente, quindi, nel lento passaggio tra la  preistoria  e
la storia, nella Pianura Padana  esistevano  piu'  "tipi"  di  suini,
differenziati piu' per le dimensioni e le  abitudini  che  per  altri
motivi. Tutti inoltre costituivano un'unica  "specie"  biologica  con
possibilita' di reciproco incrocio fecondo. 
    Il cinghiale (Sus scrofa ferus) viveva libero nei  vasti  terreni
boschivi e/o paludosi della pianura e nelle boscaglie delle colline e
montagne, si alimentava dei frutti del bosco,  in  particolare  delle
ghiande,  ed  era  oggetto  di  caccia.   Branchi   di   animali   di
relativamente  grande  taglia  e  semidomestici,  ma   con   continue
possibilita' di incrocio con i cinghiali,  vivevano  nelle  boscaglie
attorno  agli  insediamenti  umani;  da  questi  branchi  gli  uomini
prelevavano  i  giovani  per  la  macellazione.  Maiali  ancora  piu'
domestici e di minor taglia vivevano  inoltre  in  stretta  vicinanza
dell'uomo, nei suoi villaggi e abitazioni, in stretta "antropofilia",
alimentandosi di rifiuti. 
    Fin dagli inizi  della  civilizzazione  umana  il  maiale  assume
quindi due aspetti: quello  di  animale  "di  bosco"  in  opposizione
quindi agli animali "di pascolo" come le pecore, e come  animale  "di
citta'". 
    Per quanto concerne l'allevamento del maiale in periodo etrusco e
nella pianura  padana,  come  riferito  anche  da  Dancer  (1984)  e'
necessario riferirsi a Polibio (Storie, XII, 4) ed a M.T. Varrone (De
Re Rustica, II, 4, 9). 
    Estremamente interessanti sono  le  recenti  ricerche  su  di  un
insediamento etrusco a Forcello  (Bagnolo  S.  Vito,  nei  pressi  di
Mantova) eseguiti da Olivieri del Castillo (1990) e  riguardanti  una
citta' etrusca del V secolo a.C.. Tra i reperti ossei  oltre  il  60%
riguarda il maiale. L'eta' di macellazione dei  maiali  era  verso  i
due, tre anni. Questo significa che gli Etruschi  padani  praticavano
un tipo di allevamento stabile e specializzato per la  produzione  di
carne suina. Gli studi  effettuati  dimostrano  che  si  trattava  di
maiali di piccola taglia (65-75 centimetri di altezza al  garrese  al
momento della macellazione); erano  allevati  sia  i  maschi  che  le
femmine. Si tratta di maiali simili a  quelli  allevati  in  un'altra
citta' etrusca padana, Spina, ed analoghi a  quelli  di  razze  suine
pre-romane, di altezza e robustezza sicuramente inferiori a quelli di
razze piu' antiche. 
    Quella ora tratteggiata e' piu' o meno la  situazione  che  nella
Pianura padana si trova all'inizio della dominazione  romana,  quando
il gia' citato Polibio  ricorda  la  estensione  dei  querceti  e  la
conseguente abbondanza di suini. Conferma ulteriore viene da Strabone
secondo il quale l'Emilia riforniva di carni suine e di  maiali  vivi
tutta l'Italia:  "Tanta  e'  l'abbondanza  di  ghiande  raccolte  nei
querceti della pianura, che la maggior parte dei suini  macellati  in
Italia,  per  le  necessita'  dell'alimentazione  domestica  e  degli
eserciti, si ricava da quella zona"(Polibio, II secolo a.C.). 
    Nel periodo romano, e per questo possiamo riferirci a  Columella,
esistevano allevamenti stanziali e "razionali" di maiali.  Le  scrofe
con i loro maialini sono allevate in  parchetti  singoli,  nei  quali
Columella consiglia di mettere un gradino davanti a ogni  cella.  Che
questo espediente, atto ad impedire la  uscita  della  scrofa,  fosse
"reale" e' stato dimostrato dai reperti archeologici  nella  fattoria
di Settefinestre recentemente  scavata  in  Toscana  e  descritta  da
Carandini e Settis (1979). Si deve quindi ritenere che, almeno  nelle
fattorie piu' "moderne", i Romani  avessero  attuato  un  allevamento
razionale ed intensivo del maiale, nel quale  eseguivano  una  scelta
dei singoli riproduttori e  quindi  una  selezione,  ed  effettuavano
un'alimentazione guidata, seppure integrata dal pascolo, come appunto
fa supporre l'artificio  del  "gradino"  per  impedire  o  permettere
l'uscita della scrofa dal suo parchetto. 
    La grande crisi agricola e demografica  del  III-IV  secolo  d.C.
vide  grandemente  estendersi  le  aree  incolte  e  boschive  e   di
conseguenza rilancio' l'allevamento brado e semibrado  dei  suini,  a
scapito dell'allevamento degli animali pascolativi (ovini e  bovini).
Un'ulteriore spinta in questa direzione venne dalle successive ondate
di invasioni di popoli dell'Est e  del  Nord  Europa  e  decisiva  fu
soprattutto l'invasione Longobarda (anno 569),  che  a  poco  a  poco
diffuse  consuetudini  economiche  e  alimentari  diverse  da  quelle
romane. 
    Nella Pianura Padana si diffusero le  abitudini  tipiche  di  una
civilta' seminomade che sfruttava  soprattutto  cio'  che  la  natura
offriva spontaneamente, e quindi  utilizzava  il  bosco  con  i  suoi
diversi frutti e "sottoprodotti": tra questi il maiale  era  uno  dei
piu' importanti (Baruzzi e Montanari, 1981). 
    Nelle  parti  della  Pianura   Padana   invase   dai   Longobardi
(Longobardia da cui Lombardia) l'allevamento del  maiale  subisce  un
ulteriore rafforzamento e  si  estende  nei  boschi,  soprattutto  di
querce. 
    La zona di Parma, Modena e tutto il Veneto  sono  comprese  nella
vasta area di cultura longobarda del maiale. 
    Nel Medioevo fra le attivita' silvo-pastorali  un  rilievo  tutto
particolare aveva il pascolo  dei  maiali,  al  punto  che  i  boschi
venivano "misurati" non in termine di superficie, ma  di  maiali.  Ad
esempio si diceva "il bosco di Alfiano puo' ingrassare 700  porci"  e
con questa unica stima si forniva il dato che si riteneva piu'  utile
(Baruzzi e Montanari, 1981). I branchi di maiali erano  "guidati"  da
un verro secondo le leggi longobarde, denominato  "sonorpair"  quando
comanda un gregge di almeno  trenta  capi,  o  da  una  scrofa  detta
"ducaria", sempre secondo le leggi longobarde (Baruzzi  e  Montanari,
1981; Grand-Delatouche, 1968). I branchi di  maiali  erano  sotto  la
custodia di un porcaro molto spesso  "legato"  al  territorio  (servo
della  gleba)  che  inoltre  provvedeva  ai  maiali  nei  periodi  di
"difficolta'". 
    Ricoveri  provvisori,  denominati  "porcaritie"   dai   documenti
altomedioevali, venivano approntati nei boschi  quando  il  tempo  si
faceva inclemente. D'inverno i maiali venivano riportati a casa,  per
brevi e provvisori periodi di stabulazione, durante i  quali  inoltre
si procedeva alla macellazione dei soggetti  previamente  ingrassati.
Un significativo  segno  di  importanza  del  capo-porcaro  (magister
porcarius) risulta dall'Editto di Rotari del 653:  la  somma  che  si
pagava al loro proprietario, come risarcimento, qualora uno di questi
venisse ucciso  o  ferito,  ha  il  valore  piu'  alto  in  assoluto,
uguagliato solo da quello di un maestro artigiano. 
    Sulla base della abbondante iconografia recentemente  raccolta  e
discussa da Baruzzi e Montanari (1981)  i  maiali  padani  medioevali
erano magri e snelli, con gambe lunghe e sottili,  di  colore  scuro,
rosso o nerastro, ma non mancavano anche animali con pelo piu' chiaro
o animali con  "fasce",  ad  esempio  del  tipo  della  razza  "cinta
senese". 
    Il  passaggio  dal  bosco  al  porcile  avviene  con  la  ripresa
dell'agricoltura ed il connesso sviluppo demografico che  inizia  nei
secoli X-XI e continua, sia pure con alterne vicende, in  connessione
all'estendersi  dei  territori  destinati  all'agricoltura  ed   alla
sottrazione all'uso comune dei boschi e  delle  selve  acquisite  dai
ceti dominanti a favore della  selvaggina  "Res  regalis".  Piero  De
Crescenzi, agronomo bolognese del XIII secolo, scrive che "si  devono
dar loro le ghiande, le castagne e simiglianti cose,  o  le  fave,  o
l'orzo, o il grano: imperocche' queste cose non solamente ingrassano,
ma danno dilettevole sapore alla carne". 
    Con la comparsa della mezzadria (Roda, 1979-80) l'allevamento del
maiale tende a restringersi, ma soprattutto si modifica. Il contadino
continua a tenere qualche animale all'interno  del  podere  al  quale
dedica  tutta  la  sua  attivita'  non   svolgendo   piu'   attivita'
silvo-forestali (Montanari, 1979 - Baruzzi e Montanari, 1981). 
    Tuttavia, come risulta da una relazione del Du Tillot della  fine
del 1700, relazione riguardante il territorio di Parma e recentemente
messa in luce e discussa da Dall'Olio  (1983),  in  tale  periodo  la
produzione del maiale era ancora strettamente legata  al  pascolo  ed
alle ghiande, cosi' vi  erano  annate  favorevoli  a  sfavorevoli  in
rapporto alla produzione di ghiande. 
    Sempre alla fine del 1700 il consumo di carne di maiale  a  Parma
era relativamente elevato (4.500 maiali circa macellati ogni anno, ad
uso soprattutto dei monasteri e conventi) e si propose  di  allestire
due macelli per suini analoghi al Pelatoio di Bologna. 
CENNI SULL'USO ALIMENTARE DEL MAIALE NELLA PADANIA. 
    Precise documentazioni dell'uso alimentare del  maiale  si  hanno
dallo studio dei reperti ossei preistorici, davanti alle grotte o nei
primi insediamenti  umani  (terramare).  Etruschi,  Galli  (a  questo
ultimo riguardo esiste la testimonianza di Ateneo)  e  soprattutto  i
Romani della Pianura Padana usavano  ampiamente  le  carni  suine.  A
questo ultimo proposito, come ricorda Susini (1960), poche  comunita'
romane  come  quella  bolognese  hanno  restituito  un  numero  cosi'
cospicuo di menzioni artigianali e professionali, e tra queste quella
di "suarius". Bisogna infatti ricordare che la funzione della  citta'
come incrocio tra la via Emilia e  le  strade  dell'Appennino  e  del
Delta del Po cui forse conduceva una via d'acqua, aveva  determinato,
gia' dalla fiorentissima eta' felsinea etrusca,  il  formarsi  di  un
cospicuo ceto mercantile ed artigianale. In modo analogo era avvenuto
in altri centri lungo la via Emilia, ad esempio Parma nella quale  la
via  Emilia  si  incrocia  con  il  Torrente  Parma  e  con  una  via
appenninica che portava al mare Tirreno; una via,  quest'ultima,  che
ebbe incremento con lo sviluppo del porto di  Luni  e  da  questo  le
derrate  alimentari  prodotte  nella   zona   di   Parma   arrivavano
agevolmente via mare fino a Roma. 
    Venivano macellati animali che difficilmente avevano meno  di  un
anno di vita e le ossa riportate alla luce dagli  scavi  archeologici
appartengono il piu' delle volte ad animali uccisi fra il primo e  il
secondo anno di vita, ma anche al terzo e perfino al quarto  anno  di
vita (Marcuzzi e Vannozzi, 1981; Barker, 1973; Tozzi, 1980). Il lungo
periodo di  allevamento  era  la  conseguenza  delle  caratteristiche
genetiche delle  razze  allevate,  ad  alta  rusticita'  ed  a  bassa
precocita' e ad una alimentazione certamente non adeguata e ricca  di
carenze. 
    Il periodo dell'uccisione era per lo piu' nei mesi di novembre  e
dicembre, comunque sempre nell'inverno (Marcuzzi e  Vannozzi,  1981).
Da un'ampia iconografia e' anche nota la tecnica  di  mattazione  con
stordimento tramite un colpo sulla testa e successiva  iugulazione  o
colpo al cuore; seguiva  la  raccolta  del  sangue  e  la  successiva
pulitura  della  pelle  con  fuoco  ed  acqua  bollente,  apertura  e
divisioni in mezzene e successivamente  in  parti.  I  "tagli"  erano
destinati al consumo fresco od alla conservazione. 
NOTIZIE STORICHE SUI PROSCIUTTI PADANI 
    Una tecnica fondamentale di conservazione della carne era  quella
della salagione, la cui origine si perde nella notte dei  tempi,  che
certamente e'  stata  "scoperta"  piu'  volte  ed  indipendentemente,
applicata su carni di tipo diverso, ma soprattutto su carni  prodotte
stagionalmente, in particolare di maiale e di pesce. "Nulla  e'  piu'
utile del sale e del sole" scriveva  nel  I  secolo  a.C.  Plinio  Il
Vecchio e nel VII ripeteva Isidoro Di Siviglia. La prima  importante,
anche  se  "indiretta",  testimonianza  di  cosce  salate  di  maiale
(prosciutti o proto-prosciutti) nella Pianura  Padana  la  si  ricava
dalle gia' citate indagini archeologiche  di  Olivieri  del  Castillo
(1990) a Forcello (Bagnolo S.  Vito  di  Mantova)  e  riguardante  un
insediamento etrusco del V secolo a.C.. Infatti tra le  numerosissime
ossa   di   maiale   ritrovate   (circa   30.000   reperti!!)    sono
sorprendentemente rare quelle degli arti posteriori. Questo fatto non
puo' essere casuale e fa ritenere che  le  cosce  di  maiale  fossero
utilizzate altrove e quindi esportate, ovviamente dopo  essere  state
salate e quindi trasformate in prosciutti o  "proto-prosciutti".  Non
e' escluso che questi prosciutti fossero esportati  fino  in  Grecia,
dove erano noti. Infatti indizi sulla conoscenza del prosciutto nella
Grecia Antica li ricaviamo anche dai termini usati di kolia  e  perna
(Aristofane: Plutus, Luciano: Lessifane XXXIV, 6). 
    I  romani  conoscevano  bene  il  Prosciutto   di   maiale,   che
denominavano "perna" (Varrone, De Lingua  Latina)  e  che  ritroviamo
anche in una insegna di taverna (Tacca, 1990). E' anche da  ricordare
Q. Orazio Flacco (Satira II, vv 116-117) e l'uso medicinale dell'osso
di  prosciutto  (Marcello  Empirico  -  De   medicamentibus   fisycis
razionalibus). Columella (I  secolo  d.C.)  nel  suo  De  Re  Rustica
ricorda che "tutti gli animali, ma  specialmente  il  maiale,  devono
essere tenuti senza bere il giorno prima della macellazione,  perche'
la carne risulti piu' asciutta... Quando avrai  ucciso  il  maiale...
disossalo accuratamente; con questo si rende  la  carne  salata  meno
soggetta  a  decomporsi  e  piu'  durevole..  salalo  con  del   sale
torrefatto.. e soprattutto riempi di sale con tutta abbondanza quelle
parti in cui sono state lasciate le ossa; dopo  aver  predisposto  le
placche o i pezzi sopra dei tavolati, mettili sopra dei larghi  pesi,
in modo che scolino bene. Al terzo giorno rimuovi i pesi  e  strofina
diligentemente con le mani la carne  salata,  quando  poi  la  vorrai
rimettere a posto, aspergila di sale sminuzzato e ridotto in polvere,
e riponila cosi'; non tralasciare di strofinare tutti  i  giorni  col
sale finche' sara' matura. 
    Se mentre si strofina la carne ci sara' bel  tempo,  la  lascerai
sotto sale per nove giorni; ma se il cielo sara' nuvoloso, bisognera'
portare la carne salata alla vasca dopo undici o dodici giorni:  dopo
i quali prima si scuote il sale, poi si lava accuratamente con  acqua
dolce, in modo che da nessuna parte rimanga attaccato del sale e dopo
averla lasciata asciugare un poco,  la  sospenderemo  nella  dispensa
della carne, dove giunga un po' di  fumo  che  possa  asciugarla  del
tutto, nel caso che contenesse ancora un po' d'acqua. Questo tipo  di
salatura si potra' fare molto bene  durante  l'epoca  del  solistizio
invernale, ma anche nei mesi di febbraio, prima pero' delle idi".  E'
facile rilevare una serie di  consigli  tutt'ora  validi:  attenzione
alle parti vicine all'osso, uso di sale ben asciutto,  schiacciamento
per estrarre l'umidita', macellazione del maiale durante  il  periodo
freddo (dal 21 di dicembre a meta' febbraio) e cosi' via. 
    Tuttavia qui si parla di carni salate e poi in parte asciugate al
calore del fuoco e non affumicate, disossate, e non  del  "prosciutto
crudo" quale ora lo intendiamo, ma con una tecnica analoga  a  quella
ancora attuale per quest'ultimo. 
    Per quanto riguarda la conservazione di cosce  intere  di  maiale
tramite  "prosciugamento"  (da  cui  il  termine  di  "perxuctus"   o
prosciugatissimo) bisogna arrivare a Catone Il Censore che nella  sua
De Agricoltura (II secolo a.C.) indica  che  le  cosce  devono  venir
poste in un doglio a strati, coprendo ogni strato  ed  il  tutto  con
abbondante sale, avendo l'avvertenza che i pezzi non si tocchino  tra
loro; dopo una permanenza di dodici giorni i pezzi di  carne  vengono
tolti dal sale, accuratamente lavati, fatti asciugare al vento  secco
per due giorni, quindi unti con olio ed aceto,  ed  appiccati  ad  un
palo nei pressi del focolare. 
    Anche in questo caso non vi e' alcun affumicamento,  ma  soltanto
un asciugamento favorito dall'aria calda. 
    Nel  Medioevo,  quando   abbiamo   ulteriori   e   piu'   precise
informazioni, era diffusa l'abitudine di tagliare il maiale  a  meta'
in senso longitudinale, costituendo due "mezene" da  cui  il  termine
ancora diffuso di mezzena, di peso abbastanza limitato  (Messedaglia,
1943-44) e che venivano conservate tramite salagione. 
    Quando il maiale non veniva conservato  intero,  si  salavano  le
parti piu' pregiate: coscia o prosciutto e  "gambuccio",  "scamarita"
(parte della schiena vicina alla coscia; Sella, 1937), spalla. Non si
salvano parti meno pregiate a causa dell'alto prezzo del sale. 
    L'importante ruolo del sale per la conservazione della carne come
di altri alimenti tra cui pesci e formaggi, ed equilibratore  di  una
alimentazione umana  prevalentemente  vegetariana,  quindi  ricca  di
potassio,  mantenne  sempre  vivo  un  intenso  commercio  di  questa
derrata. Come anche recenti autori hanno dettagliatamente descritto e
discusso (Meyer,  1981)  il  sale  delle  saline  costiere  (Venezia,
Comacchio,  Cervia)  risaliva  all'interno   della   Pianura   Padana
orientale, soprattutto tramite le vie fluviali, lungo il Po ed i suoi
affluenti. A causa del costo non tanto  di  trasporto,  quanto  delle
gabelle alle quali era sottoposto, appunto perche' derrata alimentare
"indispensabile", si  cercava  di  produrlo  in  loco  sfruttando  le
miniere  di  salgemma  ed  in  particolar  modo  le  sorgenti  saline
dell'entroterra. 
    La  Pianura  Padana,  formatasi  lentamente  per  sedimentazione,
contiene nelle sue profondita' e  racchiusi  tra  strati  di  argilla
impermeabile notevoli quantita' di sale marino fossile e  per  questo
acque e pozzi salati pullulano nella bassa pianura, sulle  colline  e
nella montagna (Marenghi, 1963). 
    Famosi erano i  pozzi  di  acque  salse  della  collina  parmense
attorno ai  paesi  denominati  appunto  Salsomaggiore  e  Salsominore
(Baruzzi e Montanari, 1981;  Bonatti,  1981).  In  questi  luoghi  si
svilupparono quelle che furono denominate "fabbriche  del  sale"  che
risalgono probabilmente al tempo dei  romani  (Bonatti,  1981;  Drei,
1939). 
    Evidentemente la lavorazione delle carni e la loro  conservazione
con il sale esigeva una determinata tecnologia e fin dall'inizio  del
IX secolo il capitolare di Carlo Magno sulla gestione  delle  Aziende
Regie prescriveva che "Omino praevidendum est cum omni diligentia  it
quicquid manibus laboraverint aut facerint, id est lardum,  siccamen,
sulcia, niusaltus... omnia cum summo nitore sint facta vel parata". 
    Il maiale produceva una derrata che doveva servire per una intera
annata. Accanto alle parti da conservare  a  lungo,  le  preparazioni
salate, ve ne erano altre da utilizzare  immediatamente  (frattaglie,
sangue...)  ed  altre  a  "media  conservazione",  costituita   dagli
insaccati, fra cui si ricordano i salami, i cotechini, gli zamponi, i
cappelli da prete, le bondiole e cosi' via. 
    Da quanto esposto e' facile individuare,  nella  Pianura  Padana,
una antichissima "vocazione" suinicola, che  e'  stata  intensificata
dalla dominazione longobarda. In questa vasta "area", fin  dai  tempi
molto antichi, si sono sviluppate alcune tecnologie di  conservazione
delle carni, ad esempio la salagione. Contemporaneamente si e'  avuta
una quasi infinita serie di "varianti", per le quali non e' possibile
individuare singole origini e motivazioni storiche. Una di queste  e'
per esempio tipica dell'area bolognese e risalente almeno al  periodo
romano. Con la finissima triturazione delle carni e  del  grasso,  si
ottiene un impasto da conservare tramite l'aggiunta di sale e  spezie
ed eventualmente tramite cottura  (mortadella),  da  consumare  cruda
(salsicce e salami) o dopo cottura (cotechini  e  zamponi).  Piu'  ad
Ovest, in una zona in cui erano presenti affioramenti di sali  iodati
con bromo e  piccole  quantita'  di  salnitro  (Marenghi,  1963),  si
sviluppa la  tecnologia  di  conservazione  di  cosce  di  maiale  di
dimensioni medie, ma soprattutto elevate, con la sola salagione e  la
loro "asciugatura" in ambiente asciutto come indicato  da  Catone  Il
Censore. 
    Con la rivoluzione agraria dell'inizio  di  questo  millennio  la
Pianura Padana fu disboscata e contemporaneamente  le  acque  vennero
regolate:  il  coltivo  prese  il  sopravvento  sull'incolto   e   di
conseguenza  il  maiale  al  pascolo  ridusse  sempre  piu'  la   sua
importanza, ma trovo' una  nuova  opportunita':  il  siero  di  latte
derivato dalla produzione dei formaggi,  soprattutto  nelle  zone  di
produzione del Formaggio Grana (Parmigiano-Reggiano, Grana Padano)  e
di altri formaggi,  come  nel  Veneto.  La  rivoluzione  agraria,  se
ridusse e fece scomparire gran parte degli  animali  che  sfruttavano
l'incolto, non influi' sul maiale, che anzi se ne avvantaggio',  come
risulta ad esempio dalle opere di Tanara (1965) e di Landi (1969). La
evoluzione della alimentazione del maiale padano alla  fine  del  XIX
secolo si associo' alla modifica  delle  popolazioni  suine,  con  la
introduzione  delle  "razze  bianche"  inglesi,  di  buona  taglia  e
particolarmente vocate alla  produzione  di  grasso.  Caratteristiche
queste che influirono positivamente sulla taglia  del  prosciutto  da
stagionare. 
    Nonostante i cambiamenti avvenuti  nella  alimentazione  e  nelle
popolazioni  di  maiali  allevati,  rimasero  assolutamente  costanti
alcune  caratteristiche  indispensabili  per  la  produzione  di   un
prosciutto crudo (stagionato) di tipo padano: 
      - accrescimento  corporeo  "lento"  e  quindi  macellazione  di
maiali "maturi" e non con carni "giovani"; 
      - peso "elevato" dell'animale, ma soprattutto  della  coscia  e
buona copertura di grasso sottocutaneo anche a livello della coscia. 
    La salagione delle carni di maiale ed in  particolare  dei  tagli
piu' pregiati, come le cosce e quindi il prosciutto, e' sempre  stata
presente nella Pianura Padana fino ai giorni nostri. 
    Una tecnologia di conservazione fondamentalmente unitaria  e  che
ha avuto una differenziazione territoriale importante  secondo  anche
alcune fondamentali caratteristiche climatiche ambientali  e  che  ha
portato  ad  una  distinzione  tra  allevamento  e  stagionatura  dei
prosciutti. 
CONCLUSIONI SUL PROSCIUTTO PADANO. 
Allevamento dei maiali 
    In  tutta  la  Padania  l'allevamento  del   maiale   ha   sempre
prevalentemente  interessato  la  parte  pianeggiante  e   collinare.
Inizialmente perche' coperta da querceti che fornivano le ghiande con
cui  il  maiale,   onnivoro,   veniva   prevalentemente   ingrassato.
Successivamente l'allevamento e l'ingrasso si basarono  sui  prodotti
derivati  dall'allevamento  di  bovini  (siero  di  latte)  ed  altri
vegetali, come il grano turco (mais). L'allevamento e' quindi  sempre
stato prevalentemente di pianura od al massimo di collina. 
Stagionatura dei prosciutti 
    La salatura delle carni e' possibile in  qualsiasi  ambiente  che
abbia talune caratteristiche di temperatura ed umidita'. Non  a  caso
la tradizione riservava la macellazione del maiale e  la  lavorazione
delle sue carni al periodo  dicembre-febbraio  e  gli  stessi  Autori
antichi sopra citati davano periodi di salagione  diversi  a  seconda
delle condizioni climatiche. Diversamente e' per quanto  concerne  la
successiva  "stagionatura"  che  necessita   di   un   ambiente   non
eccessivamente  umido.   In   questo   contesto   di   ambiente   non
eccessivamente umido si comprende come la stagionatura dei prosciutti
di  maiale  nella  Padania  si  sia  sviluppata  nelle  colline   che
circondano la pianura: verso Sud nelle colline parmensi (anche per la
locale disponibilita' di sale) e successivamente modenesi, verso Nord
e nella parte veneta della padania. La  stagionatura  e'  quindi  una
attivita' delle zone collinari od immediatamente ai loro piedi,  dove
sia possibile avere un clima non  eccessivamente  umido,  soprattutto
durante  l'estate  successiva  alla  macellazione  del   maiale.   La
stagionatura infatti deve permettere di mantenere il  prosciutto  per
almeno un anno. Vi era un detto che "per avere un  prosciutto  padano
il maiale aveva dovuto passare  due  inverni  ed  il  prosciutto  due
estati": un maiale "maturo" ed un "prosciutto maturato". 
    Una chiara linea unisce quindi il  prosciutto  padano  dalle  sue
origini (probabili nel V secolo a.C.; certe nel II  secolo  a.C.)  ad
oggi con una precisa distinzione e caratterizzazione dei: 
      territori di allevamento: bassa pianura; 
      aree di stagionatura: pre-collinare e collinare; 
      tipologia  del  maiale:  "maturo"  e  con  sufficiente   grasso
sottocutaneo; 
      trattamento con limitata quantita' di sale (prosciutti "dolci")
in conseguenza della "maturita' del maiale"; 
      assenza di altri trattamenti "conservativi" e  soprattutto  del
fumo; 
      possibilita'  di  una  lunga  stagionatura  (e  quindi  di  una
naturale, elevata aromatizzazione) in  conseguenza  della  "maturita'
del maiale", limitata quantita' di sale e caratteristiche  ambientali
di stagionatura. 
    La lunghissima storia dei Prosciutti Padani testimonia della loro
origine  comune,  strettamente  legata  alla  unita'   ambientale   e
culturale  della  Padania.  Le  particolari  caratteristiche  di   un
allevamento di pianura e di stagionatura  collinare  e  precollinare,
unitamente alle caratteristiche qualita' del maiale  che,  nonostante
le modificazioni di popolazioni e di alimentazioni,  hanno  mantenuta
intatta la "maturita'", il peso relativamente "elevato" e  una  certa
copertura  di  grasso  sottocutaneo.  Tutti  questi   elementi   sono
indispensabili per una "lunga stagionatura", ma ancor  piu'  per  una
ridotta quantita' di sale che condiziona una elevata  aromatizzazione
naturale del Prosciutto. 
    La  indubbia  "unicita'"  del  Prosciutto  Padano  non  ha  pero'
impedito che si siano potute avere delle "modulazioni", alcune  delle
quali ben definite e con una piu' o meno lunga storia (Prosciutto  di
Parma, Prosciutto di San Daniele, Prosciutto  di  Modena,  Prosciutto
Veneto). 
    Questa "modulazione" ha interessato diversi caratteri, ad esempio
la forma del prosciutto, ma soprattutto  la  entita'  e  la  qualita'
della sua "aromatizzazione naturale" derivata dai processi maturativi
endogeni, guidati da: 
      qualita' (maturita') dei maiali allevati; 
      ambiente di maturazione; 
      tecnologia di produzione. 
PROSCIUTTO DI PARMA 
    Sulla vocazione salumiera di Parma abbiamo diverse note  storiche
che  riguardano  il  Prosciutto,  ma  anche  altri  salumi  a   lunga
stagionatura (ad esempio il Culatello o Culattello). 
    Nella "Secchia Rapita" di A. Tassoni pubblicata nel 1622, durante
il Concilio degli  Dei  il  "cuoco  maggiore"  e'  Mastro  Presciutto
("traduzione" del dialetto Persutt o Parsutt). Abbastanza  chiara  e'
l'origine   del   termine   "prosciutto":   si   tratta   di    carne
"prosciugatissima" o "perxuctus". 
    La spalla -  e  con  questo  ci  riferiamo  alla  "Spalla  di  S.
Secondo", un paese  vicino  a  Parma  e  posto  nella  pianura  nelle
vicinanze del Po - e' costituita da una porzione di maiale abbastanza
grossa, corrispondente appunto alla spalla, che viene conservata  per
un limitato periodo di tempo con la salagione e l'essiccazione, e che
prima dell'uso viene cotta. La sua presenza e' documentata nella zona
fin dalla fine del 1100, come riportano  sia  l'Allodi  che  il  Drei
sulla base delle loro ricerche nelle Carte  degli  Archivi  Parmensi,
dove la spalla, oltre che come "spalla", viene anche indicata con  il
termine latino di "spatulam". 
    Il culatello, che pure e' tradizionalmente prodotto  nella  parte
piu' bassa della provincia di Parma, e' costituito da una parte della
coscia di maiale, conservata con  la  sola  salagione  (limitata!)  e
l'essiccazione all'aria. La sua presenza e' documentata fin dal 1322:
Bonaventura Angeli, nella sua Historia della Citta'  di  Parma  della
fine del 1500, ricorda che al  principesco  sposalizio  avvenuto  nel
1322 fra Andrea dei Conti Rossi e Giovanna dei Conti Sanvitale  erano
presenti, quali doni dei Marchesi Pallavicino di Busseto e dei  Conti
Rossi  di  Zibello  cugini  degli   sposi,   degli   "eccellentissimi
culatelli". 
    La citazione di questi due  salumi  parmensi  e  soprattutto  del
Culatello o Culattello  (da  "culatta"),  prodotto  nella  pianura  e
quindi in ambiente umido - e' d'obbligo in quanto puo' permettere  di
intuire i rapporti di tecnologie tra  la  pianura  (Culatello)  e  la
collina e precollina (Prosciutto)  e  quindi  meglio  comprendere  la
evoluzione nella produzione del Prosciutto di Parma,  ma  soprattutto
lo stretto legame con il territorio. 
    E' infatti ipotizzabile che l'esperienza  accumulata  nei  secoli
con la "lavorazione" della  spalla,  ma  soprattutto  del  culatello,
abbia dato origine al  Prosciutto  di  Parma,  scarsamente  salato  e
quindi "dolce", quando questa lavorazione  sia  stata  "tentata"  con
successo in un'area ambientale favorevole  per  la  scarsa  umidita'.
Nelle colline  parmigiane  era  presente  un  tale  ambiente  ed  era
possibile l'incontro tra la tecnologia della pianura ed  il  sale  di
Salsomaggiore. 
    Circa il prosciutto di Parma vi sono  numerose  notizie  storiche
che riguardano diversi aspetti: 
Allevamento del maiale a Parma. 
    Oltre alle notizie  generiche  e  comuni  per  tutta  la  Pianura
Padana,  l'allevamento  del  maiale  e'  fortemente  inserito   nella
tradizione parmigiana, come documentato  anche  da  modi  di  dire  e
proverbi  dialettali.  Per  l'allevamento  di  questo  animale  e  le
relative   tecniche   sono   inoltre   da   ricordare   le   seguenti
pubblicazioni: 
      - Landi, O. "Commentario delle piu' notabili e  mostruose  cose
d'Italia." -Venezia, Bariletto, 1569; 
      - Manoscritto di  Anonimo  del  secolo  XVIII  sull'Agricoltura
(1744); 
      - Spaggiari, P.L. "Insegnamenti di Agricoltura  parmigiana  del
XVIII sec." 
      - Silva, Parma, 1964. 
      - Anonimo "Trattato sopra i Majali" dedicato a  Sua  Eccellenza
Mederico-Luigi-Elia Moreau Saint-Mery; 
      - Jacini, S. "Relazione  finale  sui  risultati  dell'inchiesta
agraria" - 1884; 
      - Rozzi, U. "L'allevamento suino in provincia di Parma" - 1932; 
      - Rozzi, U. "I suini" - Parma, 1937; 
      - Cassella, P. e O. "Manuale per l'allevamento  del  maiale"  -
1880; 
      - Lemoigne, A. "Torniamo all'antico?" - Parma, 1893; 
      - Strobel 1844. 
Produzione e commercializzazione del Prosciutto di Parma. 
    Diverse notizie storiche riguardano il Prosciutto di Parma e  tra
queste sono da segnalare le seguenti. 
      - 1309: Statuto dei Beccai, ASP, Fondo Comune,  Sez.  1,  Serie
XXII b. 1959. (citazione del prosciutto, denominato "bassa") 
      - 1386: Pacta ordines et statuta dacy douane salis (1386)  (ASP
comune, b. 1765) cit. A. Tacca -  Perna  et  Parma,  1990)  -  (prima
citazione del Prosciutto di Parma) 
      - 1440 circa: Dall'Olio, E. "Sagre, mercati e fiere di Parma  e
Provincia", 1979 
      -  1589:  Menu'  nozze  Marcantonio  Colonna  -Orsina   Peretti
(Furositto, R.-aggiunta al "Trinciante" del Cervio - Roma, Burchioni,
1953). 
      - 1503-1545: (censimenti)  Consumi  di  sale  pro-capite  nella
pianura e collina parmense (da A. Tacca - Perna et Parma, 1990) 
      - 1500-1600-1700: Calmieri e "Gridari" diversi sui prezzi degli
alimenti (tra i quali il Prosciutto con osso e senza osso) 
      - 1768-1799: Acquisti di Prosciutto dalla Corte  Borbonica  (A.
Tacca, 1990) 
      - 1700 (prima meta'): Situazione delle  Miniere  del  Sale  nel
parmense - Di Noto,  S.  (a  cura  di)  "Le  Istituzioni  dei  Durati
Parmensi nella Prima Meta' del Settecento", 1980 (pag. 164 e seg.) 
      - 1700: (come risulta da una relazione del Du Tillot della fine
del 1700) Relazione riguardante il territorio di Parma e recentemente
messa in luce e discussa da Dall'Olio  (1983),  in  tale  periodo  la
produzione del maiale era ancora strettamente legata  al  pascolo  ed
alle ghiande, cosi' vi  erano  annate  favorevoli  e  sfavorevoli  in
rapporto alla produzione di ghiande. Sempre alla  fine  del  1700  il
consumo di carne di maiale a Parma era  relativamente  elevato  (4500
maiali circa macellati ogni anno, ad uso soprattutto dei monasteri  e
conventi) e si propose di allestire due macelli per suini analoghi al
Pelatoio di Bologna. 
      -  1899:  Micheli,  G.  "Le  Corporazioni  Parmensi  d'arti   e
mestieri" - Battei, Parma, 1899 
      - 910: Distribuzione del sale Salsomaggiore  (A.  Tacca,  1990,
pag. 136) 
      - 1860-1915: Prime Ditte che si occupano della  produzione  del
Prosciutto di Parma (Relazioni e Bollettini  Camera  di  Commercio  e
d'Arti della Provincia di Parma - Cataloghi Esposizioni) 
      - 1937: Bianchi, M.  "Le  specialita'  della  nostra  industria
salumiera (1937, p. 96). 
Caratteristiche morfologiche 
    Sulle caratteristiche  morfologiche  (dimensioni,  conformazione,
ecc..) del Prosciutto di Parma nel passato sono molto  importanti  le
nature morte che lo rappresentano. Una di queste - che rappresenta un
Prosciutto di Parma perfettamente riportabile a  quello  tradizionale
ed attuale - e' la natura morta del XVII secolo di N. Levoli  (Natura
morta con prosciutto, olio su tela, Parma, collezione privata -  cit.
A. Tacca - Perna et Parma, 1990). 
    Sulla  base  della  documentazione   disponibile   e'   possibile
riconoscere che per quanto concerne la produzione del  Prosciutto  di
Parma si ripete lo schema  degli  altri  prosciutti  padani  e  cioe'
l'allevamento dei maiali nelle zone pianeggianti della pianura padana
e  la  stagionatura  dei  prosciutti  nella  zona   pedecollinare   e
collinare. 
    E' inoltre stabilito quanto segue: 
      l'allevamento del maiale e' una  antica  tradizione  parmigiana
che si riallaccia a quella celtica-longobarda padana; 
      l'allevamento del maiale  ha  avuto  soprattutto  dal  1700  in
avanti l'attenzione sia delle istituzioni pubbliche che dei privati; 
      l'allevamento del maiale nel parmigiano ha interessato tutto il
territorio di pianura, sfruttando i querceti e le ghiande  da  questi
prodotte  (allevamento  semibrado).  Successivamente  vi   e'   stata
l'utilizzazione del siero di latte e quindi, uno stretto collegamento
tra l'allevamento del maiale ed il caseificio per la  produzione  del
formaggio Parmigiano-Reggiano; 
      la salagione delle carni di maiale nel territorio parmigiano ha
una antica tradizione, con la produzione di  prodotti  rinomati  gia'
alla fine del 1300, anche per la disponibilita' delle locali "miniere
di sale"; 
      la  produzione  del  Prosciutto  di  Parma  (come  degli  altri
prodotti salumieri parmigiani) esclude nel modo piu'  assoluto  l'uso
del fumo o di altri procedimenti conservativi, ad esclusione del sale
e del controllo dell'umidita' e della temperatura ambientale; 
      il Prosciutto di Parma e' citato gia' nel  1300  ed  una  buona
bibliografia ne accerta la continuita' produttiva e commerciale; 
      le caratteristiche morfologiche del  Prosciutto  di  Parma  nel
passato e soprattutto la sua dimensione  sono  ricavabili  da  nature
morte di pittori che hanno operato a Parma; 
      la industrializzazione della produzione del prosciutto di Parma
e' passata attraverso una fase di artigianato  che  ha  mantenuto  le
caratteristiche tradizionali del prodotto. 
EVOLUZIONE DELLA ATTIVITA' DI STAGIONATURA DEL  PROSCIUTTO  DI  PARMA
DAI PRIMI DEL 1900. 
    E' con l'inizio del XX secolo  che  il  prosciutto  del  Parmense
comincia a costruirsi pazientemente la  sua  grande  fama  anche  dal
punto di vista commerciale,  dato  che  proprio  in  quegli  anni  si
crearono i presupposti che  favorirono  due  eventi  di  fondamentale
importanza per lo sviluppo del comparto: 
      - introduzione nel processo produttivo della cella frigorifera; 
      - primi  passi  di  un  cambiamento  di  indirizzo  produttivo,
consistente nella installazione dei primi stabilimenti attrezzati per
la stagionatura di ingenti quantita' di prosciutto. 
    Nel periodo antecedente l'adozione delle celle  frigorifere,  gli
uomini  impegnati  nella  stagionatura  dei  prosciutti,   sfruttando
abilmente - come detto - l'andamento stagionale  dei  mesi  invernali
(nei mesi caldi la lavorazione delle carni fresche non  poteva  avere
luogo causa le  elevate  temperature),  portavano  a  maturazione  un
numero di prosciutti sufficienti ai  bisogni  locali  ed  alle  prime
richieste del mercato di Parma. 
    Questi  stagionatori  fondavano  il  loro  lavoro  su  cognizioni
empiriche.  C'erano   infatti   inquietanti   incognite   e   aspetti
imprevedibili nella lavorazione del prosciutto. Scoprire e colpire la
radice dei mali che insidiavano il  processo  di  maturazione  voleva
dire assicurare l'avvenire al prodotto; in questo senso  operarono  i
pionieri del  settore,  quelli  che  tentarono  ogni  strada  pur  di
arrivare alla meta. Di quelle esperienze compiute agli inizi del 1900
da' attendibile testimonianza, forse l'unica, Guglielmo  Bonati,  che
nelle sue memorie descrive la tecnologia adottata in quel  momento  e
le prospettive per  l'avvenire  del  comparto.  Erano  i  giorni  che
precedevano l'avvento dei frigoriferi, con i quali si pensava sarebbe
stato scritto un nuovo capitolo della "stagionatura" del  prosciutto,
poiche' consentivano la conservazione delle cosce fresche  anche  nei
mesi caldi. Viceversa, al dire  del  memoriale,  i  frigoriferi  "non
portarono che  mali  peggiori  dei  primi"  in  quanto  le  immediate
esperienze, costituirono una grande delusione, un sogno  svanito  ben
presto. 
    Nella storia del prosciutto di Parma furono scritte,  proprio  in
quel periodo, pagine difficili, per il  verificarsi  di  tracolli  di
aziende nate e cresciute nel settore,  con  la  perdita  di  capitali
ingenti. La  tecnica  della  salagione  era  nota  a  tutti,  ma  non
altrettanto gli accorgimenti per ovviare ai malanni  lungo  il  corso
della maturazione, e non c'erano scuole in tutto il mondo in grado di
insegnare tale disciplina. Ci vollero anni per individuare la  natura
di tali mali, e dopo tentativi di vario genere, emerse che il fattore
principale  non  era  il   freddo,   bensi'   l'umidita';   pertanto,
disciplinare  la  temperatura  per   non   lasciare   spazio   alcuno
all'umidita', fu il campo di battaglia di tutti gli stagionatori. 
    I consigli produttivi contenuti nelle memorie del Bonati (52 anni
di  esperienze),  erano  a  quei  tempi   senz'altro   coraggiosi   e
lungimiranti, tornando utili a chi vi  presto'  fiducia.  Al  periodo
compreso tra le due guerre si possono ascrivere  talune  acquisizioni
rilevanti, e precisamente, la formazione di un'alta  specializzazione
nella lavorazione del prodotto, dovuta alla  lunga  esperienza  degli
stagionatori,  ed  il  consolidarsi  di   patrimoni   aziendali   che
contribuirono, insieme ad altri fattori, alla  successiva  espansione
produttiva del settore. 
    Per quanto riguarda invece il  secondo  evento  fondamentale,  il
mutamento di  indirizzo  produttivo,  occorre  sottolineare  come  la
stagionatura del prosciutto inizio' ad assumere le caratteristiche di
attivita' economica di un certo peso intorno agli anni '20, anche  se
fino al secondo dopoguerra la ristrettezza  del  mercato,  dovuta  ai
limitati consumi interni non bilanciati da correnti di  esportazione,
fu  un  dato  che  venne  a  condizionare  la   politica   produttiva
dell'epoca,  politica  essenzialmente   di   adattamento.   I   primi
stagionatori, insediati prevalentemente a  Langhirano  e  Collecchio,
operavano su scala  familiare  e  con  prevalente  utilizzo  di  mano
d'opera  stagionale.  Negli  anni  '50,  pero',  la   diffusione   di
condizioni  agricole  e  zootecniche  piu'   favorevoli,   unitamente
all'aumento  dei  redditi  individuali,  ridotti  di  molto  e  quasi
annullati  durante  la  guerra,  contribuirono  a  modificare  quella
statica situazione che aveva contraddistinto il periodo compreso  tra
i  due  conflitti  mondiali.  In  particolare,  mentre  lo   sviluppo
dell'attivita'  casearia,  legato  alla  produzione   del   formaggio
parmigiano, diede alla suinicoltura un notevole impulso in virtu'  di
una nuova e piu' razionale alimentazione costituita dai sottoprodotti
di caseificio e dai cascami di cereali, gli  incrementi  dei  redditi
individuali,  partendo  da  soglie  assai  modeste,  provocarono  una
espansione della spesa in beni di consumo, specie alimentari,  ed  un
innalzamento generale dello standard di vita della popolazione. 
    Conseguentemente, si  registro'  un  ampliamento  dimensionale  e
spaziale del mercato, per cui vennero incrementati i contatti con  le
province  limitrofe  e,  gradatamente,   attraverso   una   capillare
espansione, il prodotto comincio' ad essere apprezzato  non  solo  su
tutto il territorio nazionale, ma anche oltre frontiera. 
    La nuova ampiezza del mercato, tuttavia, mal si combinava con  le
modeste dimensioni  delle  singole  imprese,  caratterizzate  da  una
gestione  strettamente  familiare.  Se  in   passato,   pero',   tale
conduzione aziendale, stante  i  modesti  volumi  di  prodotto  e  la
stazionarieta' dell'assorbimento, aveva potuto affrontare la  domanda
senza  un  particolare  assetto  organizzativo,  l'attuale  attivita'
produttiva, che nel frattempo si era portata  a  livelli  decisamente
elevati e che trovava il suo sbocco in mercati  sempre  piu'  ampi  e
dinamici, non poteva seguire i vecchi schemi, ma  doveva  utilizzarne
dei nuovi. 
    Alcuni operatori,  sentendo  questa  necessita',  potenziarono  -
grazie  anche  agli  apporti  del  risparmio  privato  -  le  imprese
esistenti  o  ne  costituirono  delle  nuove,  favorendo,  cosi',  il
progressivo  avvicinamento  delle  stesse   verso   maggiori   volumi
produttivi, nonche' il graduale abbandono del cliche' familiare  che,
da  sempre,  le  aveva  caratterizzate.  Simili  trasformazioni   non
operarono, pero', sull'intero numero di aziende del settore,  poiche'
la maggior parte di esse mantenne la fisionomia originaria:  in  ogni
caso, l'incidenza dei cambiamenti fu tale da imprimere una  rilevante
dinamica all'evoluzione del comparto. 
    In seguito all'espansione del mercato e all'aumento dei  consumi,
l'attivita' di stagionatura  dei  tradizionali  centri  della  fascia
pedemontana (Langhirano, Collecchio, Felino e Sala Baganza),  inizio'
a diffondersi lungo le vallate della Provincia. E' noto, infatti, che
i risparmi, formatisi nelle zone  limitrofe  alle  citate  localita',
affluirono agli stagionatori sotto forma di mutui o  di  conferimenti
di prosciutti freschi per la lavorazione, per  cui  le  considerevoli
prospettive  economico-commerciali  e  la  sperimentata  possibilita'
ambientale, favorirono la trasformazione in imprenditori da parte  di
coloro  che,  in  precedenza,  avevano  proficuamente  investito  nel
settore. 
    Di qui  alcune  delle  ragioni  della  diffusione  dell'attivita'
industriale anche in zone diverse da quelle usuali: alla stagionatura
dei prosciutti, si interessarono, infatti,  i  Comuni  di  Corniglio,
Neviano  e  Palanzano  (confluenti  su  Langhirano),   di   Calestano
(confluente  su  Felino  e  Sala  Baganza)  di  Varano,   Pellegrino,
Traversetolo,  Montechiarugolo,  confluenti  su  altri  centri  della
pedemontana. 
    Nel 1963 fu fondato da un gruppo di 23 Aziende di stagionatura il
Consorzio Volontario fra i Produttori del Prosciutto Tipico di Parma. 
    Le finalita' di base  di  tale  Ente  miravano,  in  sostanza,  a
difendere, distinguere e garantire la produzione ed il commercio  del
prosciutto tipico, tutelare il nome "prosciutto di  Parma"  da  abusi
del nome, imitazioni, contraffazioni, atti di concorrenza  sleale  in
danno del prodotto autentico, ottenere  il  riconoscimento  giuridico
del nome Prosciutto  di  Parma,  ossia  una  legge  di  tutela  della
denominazione di origine. 
    Tale legge fu effettivamente emanata nel 1970 ed  il  seguito  e'
storia contemporanea. 
CONCLUSIONI 
    Sulla base delle notizie archeologiche,  storiche,  linguistiche,
delle  tradizioni  e  della  iconografia  esistente,  nonche'   delle
conoscenze  scientifiche  di  biologia,  allevamento  del  maiale   e
tecnologie di trasformazione degli  alimenti,  in  particolare  della
conservazione  delle  carni  tramite  la  salagione,   e'   possibile
riconoscere quanto segue. 
    Da un punto di vista sociale e culturale,  ma  soprattutto  delle
esperienze di produzione sviluppate e conservate dalla tradizione, la
Padania  costituisce  una  "unita'"   anche   per   quanto   riguarda
l'allevamento del maiale e soprattutto la lavorazione di  alcune  sue
parti di grande pregio, come la coscia  dalla  quale  si  origina  il
prosciutto. 
    La "unita'" padana ha dato  origine  ad  un  unico  "modello"  di
addomesticamento  e  allevamento  del  maiale  e  di  produzione   di
prosciutto   stagionato.   Questo   "modello"   nel   tempo   si   e'
successivamente differenziato dando origine  alle  "modulazioni"  che
oggi corrispondono al Prosciutto di Parma, Prosciutto di San Daniele,
Prosciutto di Modena, Prosciutto Veneto. 
    Per quanto attiene al Prosciutto di Parma, e' stato attestato che
la applicazione delle tecniche arcaiche di produzione,  sopravvissute
nella sostanza nel corso dei secoli - anzi arricchitesi  sempre  piu'
di esperienze personali ereditate da  ogni  epoca  -  ed  evolute  in
parallelo con  il  complesso  dipanarsi  delle  situazioni  storiche,
economiche e sociali, non ha  conosciuto  soluzioni  di  continuita';
cio' dimostra  come  le  peculiari  caratteristiche  qualitative  del
prosciutto di Parma siano essenzialmente ed intimamente  collegate  -
anzi da  essi  dipendono  -  con  insostituibili  ed  irriproducibili
fattori naturali, ambientali ed umani. 
    Ulteriore  conferma  delle  suddette  conclusioni  potra'  essere
tratta dalla analisi storica e dalle  indicazioni  considerate  nella
seguente scheda F che riprende e sviluppa gli argomenti trattati  con
peculiare riferimento al legame con l'ambiente geografico. 
 
                  Documenti di riferimento scheda D 
 
    Bibliografia dei testi contenenti  notizie  storiche  riguardanti
diversi aspetti del Prosciutto di Parma in particolare  l'allevamento
del suino nella pianura  Padana  ed  a  Parma.  La  produzione  e  la
commercializzazione del prosciutto di Parma. 
    Copia di "Avviso per la notificazione delle carni suine salate  e
contrattazione   all'ingroffo   delle   medefime"   pubblicato    dal
Governatore di Parma il 21  aprile  1764,  in  cui  figura  anche  il
prosciutto con l'osso ("prefciuto con l'offo"). 
    Copia di un estratto del "vocabolario topografico dei  Ducati  di
Parma,  Piacenza  e  Guastalla"  di  Lorenzo  Molossi,  stampato  nel
1832/34, in cui si trova un esplicito riferimento all'allevamento dei
"Porci" per la produzione di prosciutti crudi. 
    Copie di alcune pagine del bollettino della Camera  di  commercio
di Parma risalente al 1915 in cui compare, nella classe  merceologica
dei salumi, il "prosciutto vecchio". 
    Estratto del registro delle ditte della Camera  di  commercio  di
Parma da cui risulta la costituzione, negli anni 20 e 30, di  aziende
produttrici di prosciutto. 
 
                                                             SCHEDA E 
 
METODO DI OTTENIMENTO DEL PROSCIUTTO 
    I metodi di ottenimento del prosciutto di Parma sono  contemplati
dalla Legge della Repubblica Italiana 13 febbraio 1990 n.  26  e  dal
Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993 n. 253 e da ultimo  sono  stati
riconosciuti dal Regolamento CEE n. 1107 del 12.6.96. Sono confermate
le  metodologie  e  le  prescrizioni  relative  alla  materia   prima
illustrate nelle precedenti schede B e C. 
    La lavorazione del "Prosciutto di Parma", prevede 9 fasi: 
      1. Isolamento 
      2. Raffreddamento 
      3. Rifilatura 
      4. Salagione 
      5. Riposo 
      6. Lavatura-Asciugatura 
      7. Pre-stagionatura - Toelettatura 
      8. Sugnatura 
      9. Sondaggio-Stagionatura 
Isolamento 
    Il maiale deve essere: 
      - sano - riposato - digiuno da 15 ore 
    In presenza di queste condizioni si procede alla macellazione, in
seguito la coscia viene isolata dalla mezzena. 
Raffreddamento 
    Il  prosciutto  isolato  viene  portato  in  apposite  celle   di
raffreddamento per 24 ore: 
      - per portare la temperatura della coscia da 40 °C. a 0 °C.; 
      - perche' il freddo rassoda la carne che puo'  essere  rifilata
piu' facilmente. 
    Durante la fase di raffreddamento il prosciutto subisce  un  calo
di peso pari ad almeno 1%. 
Rifilatura 
    Attraverso  la  rifilatura,  asportando  grasso  e  cotenna,   si
conferisce al  prosciutto  la  caratteristica  forma  tondeggiante  a
"coscia di pollo". 
    La rifilatura si esegue per due motivi, uno prettamente estetico,
l'altro tecnico, favorisce infatti la salagione. 
    Durante  questa  operazione  vengono  scartate   le   cosce   che
presentano imperfezioni anche minime. 
    Con la rifilatura la coscia perde grasso e muscolo per un 24% del
suo peso. 
    Le cosce impiegate per la produzione del prosciutto di Parma  non
devono  subire,  tranne  la  refrigerazione,  alcun  trattamento   di
conservazione, ivi compresa la congelazione. 
Salagione 
    La coscia raffreddata e rifilata viene avviata dai  macelli  agli
stabilimenti di salagione; e' molto importante che questa  operazione
sia effettuata su cosce con temperatura giusta e  uniforme;  infatti,
una coscia troppo fredda assorbe poco sale,  mentre  una  coscia  non
sufficientemente fredda puo' subire fenomeni  di  deterioramento.  La
salagione avviene usando sale umido e  sale  secco:  le  parti  della
cotenna sono trattate con sale umido, mentre le parti  magre  vengono
cosparse con sale secco. 
    Non vengono utilizzate sostanze  chimiche,  conservanti  o  altri
additivi, ne' si fa ricorso a procedimento di affumicatura. 
    I prosciutti vengono  posti  in  una  cella  frigorifera  ad  una
temperatura variante fra 1 e 4 °C., con un'umidita'  dell'80%  circa.
Dopo 6/7 giorni di permanenza in questa cella, detta di primo sale, i
prosciutti  vengono  ripresi,  puliti  dal  sale  residuo  e   infine
sottoposti ad una leggera passata di sale, per  poi  tornare  in  una
nuova cella frigorifera, detta di secondo sale, e restarvi per  15/18
giorni a seconda del loro peso. 
    Durante questo periodo il prosciutto assorbe lentamente il sale e
cede parte della sua  umidita'.  Al  termine  di  questo  periodo  di
salagione la perdita di peso e' del 3,5/4% circa. 
Riposo 
    Dopo aver eliminato il sale residuo, i prosciutti  vengono  posti
in cella di riposo per periodi variabili da 60 a 90  giorni  con  una
umidita' del 75% circa a temperatura da 1 a 5 °C. Durante questa fase
il prosciutto deve "respirare" senza inumidirsi o seccarsi troppo. E'
molto frequente il ricambio dell'aria nelle celle. Il sale  assorbito
penetra in profondita' distribuendosi uniformemente all'interno della
massa muscolare. Il calo di peso nel riposo e' pari a 8/10% circa. 
Lavatura-Asciugatura 
    I prosciutti vengono lavati con acqua  tiepida,  raschiati  nella
cotenna  per  togliere  eventuale  sale  e  impurita'.  L'asciugatura
avviene sfruttando le condizioni ambientali naturali, nelle  giornate
di sole secche e ventilate, oppure in appositi asciugatoi. 
Pre-stagionatura 
    Avviene  in  stanzoni  con  le  finestre  contrapposte,  dove   i
prosciutti sono  appesi  alle  tradizionali  "scalere".  Le  finestre
vengono aperte in relazione ai rapporti  umidita'  interna/esterna  e
umidita'  interna/umidita'  del  prodotto.   Tali   rapporti   devono
permettere un  asciugamento  del  prodotto  graduale  e  quanto  piu'
possibile costante. 
    Dopo  la  fase  di  pre-stagionatura  viene  battuto  per  meglio
conferirgli la forma tondeggiante e, talvolta,  la  fossetta  attorno
alla noce viene cosparsa di pepe per mantenere asciutta  la  zona  di
contatto. Il calo di peso in questa fase e' pari a 8/10%. 
Sugnatura 
    La fossetta attorno alla noce, la  parte  muscolare  scoperta  ed
eventuali screpolature vengono ricoperte  di  sugna,  un  impasto  di
grasso di maiale macinato cui viene aggiunto un po' di sale e di pepe
macinato e, eventualmente, farina di riso.  La  sugnatura  svolge  la
funzione di ammorbidire gli strati muscolari superficiali evitando un
asciugamento degli stessi troppo rapido rispetto a quelli  interni  e
consentendo una ulteriore  perdita  di  umidita'.  La  sugna  non  e'
considerata ingrediente dalla legislazione italiana. 
Sondaggio e Stagionatura. 
    Dopo la sugnatura, al 7° mese,  il  prosciutto  viene  trasferito
nelle "cantine", locali piu' freschi e meno ventilati delle stanze di
pre-stagionatura.  All'atto  del  trasferimento  si   effettuano   le
operazioni  di  sondaggio,  momento  essenziale   nella   "vita   del
prosciutto". In questa fase, un ago di osso di  cavallo,  che  ha  la
particolarita' di assorbire rapidamente per poi riperdere  gli  aromi
del prodotto,  viene  fatto  penetrare  in  vari  punti  della  massa
muscolare ed e' poi annusato da operai esperti dotati di  particolari
caratteristiche olfattive che potranno stabilire  il  buon  andamento
del processo produttivo. 
    Nel  corso  della  stagionatura  avvengono  importanti   processi
biochimici ed enzimatici che determinano il caratteristico profumo  e
il sapore del prosciutto. In corso di stagionatura il calo di peso e'
di 5% circa. 
    Trascorsi 12 mesi di stagionatura e  dopo  appositi  accertamenti
effettuati dagli ispettori dell'Organismo Abilitato viene apposto  il
marchio a fuoco "corona ducale". 
RICONOSCIMENTO   DELL'IMPRESA   PRODUTTRICE   E    IDONEITA'    DEGLI
STABILIMENTI. 
      - Le aziende che intendono  produrre  il  prosciutto  di  Parma
devono essere riconosciute dall'Organismo abilitato e,  a  tal  fine,
presentano domanda dalla quale risultino: 
        a)  l'iscrizione  alla  Camera   di   commercio,   industria,
agricoltura e artigianato di Parma; 
        b) la denominazione e la sede della ditta; 
        c) la sede dello stabilimento, nonche' la relativa  capacita'
produttiva,  con  gli  estremi  della  autorizzazione  sanitaria   in
conformita' alle norme vigenti in materia. 
      - L'Organismo abilitato, all'atto del riconoscimento,  provvede
alla attribuzione di un numero  di  identificazione  del  produttore;
tale numero figura sul contrassegno di cui all'art. 1 della legge  n.
26/90. 
      - Sono a  carico  delle  aziende  interessate  tutte  le  spese
derivanti dagli adempimenti previsti dal presente  dispositivo  e  le
spese per le perizie a tal fine richieste dall'Organismo abilitato  o
dall'interessato. 
      - Per essere considerati idonei alla produzione del  prosciutto
di  Parma,  gli  stabilimenti  devono  essere   in   possesso   delle
autorizzazioni igienico-sanitarie prescritte dalle  norme  vigenti  e
devono essere muniti di: 
        a) locale per il ricevimento ed il  primo  trattamento  delle
cosce suine; 
        b)  celle  dotate  di  apparecchiature  o  sistemi  idonei  a
mantenere l'umidita' e la temperatura  ai  livelli  prescritti  nelle
norme vigenti per le fasi di salagione e riposo; 
        c)  altri  locali   indipendenti   per   le   operazioni   di
stagionatura. 
      - I locali di stagionatura devono essere  muniti  di  superfici
finestrate tali  da  consentire  una  opportuna  ventilazione  ed  un
adeguato ricambio dell'aria. Tali locali  possono  essere  muniti  di
attrezzature  idonee  a  mantenere  il   giusto   equilibrio   e   le
caratteristiche termo-igrometriche proprie dell'ambiente. 
 
                  Documenti di riferimento scheda E 
 
    Esemplare di  modulo  per  la  richiesta  di  riconoscimento  del
produttore 
    Foto delle fasi di lavorazione del prosciutto di Parma. 
    Altri documenti richiamati: 
      - Legge n. 26/90 (scheda A) 
      - Decreto Ministeriale n. 253/93 (scheda A) 
 
                                                             SCHEDA F 
 
ELEMENTI COMPROVANTI IL LEGAME CON L'AMBIENTE GEOGRAFICO 
PREMESSA 
    Gli elementi riportati nella precedente scheda D a  testimonianza
della originarieta' del prosciutto di Parma e della relativa  materia
prima dalle aree geografiche  rispettivamente  delimitate  consentono
gia' di dimostrare  ampiamente,  attraverso  l'excursus  storico,  lo
stretto  e  profondo  legame  tra  le  produzioni   agricole   e   la
trasformazione del  prodotto  con  le  aree  di  riferimento,  legame
vieppiu' rinsaldato e confermato dall'evoluzione dei fattori sociali,
economici,  produttivi  e  di  esperienza   umana   consolidatisi   e
stratificatisi nel corso  dei  secoli.  Per  quanto  riguarda  l'area
delimitata della provenienza della  materia  prima  (animali  vivi  e
carni) esistono  fattori  geografici,  ambientali,  e  di  esperienza
produttiva nell'allevamento assolutamente costanti e caratterizzanti,
come sara' piu' diffusamente rappresentato ai prossimi  punti  F.2  e
seguenti. Per quanto riguarda viceversa la  piu'  ristretta  zona  di
trasformazione  nella  quale   insistono   tutti   i   prosciuttifici
riconosciuti, i fattori  ambientali,  climatici,  naturali  ed  umani
costituiscono,   nella    loro    irripetibile    combinazione,    un
irriproducibile "unicum". 
EVOLUZIONE  DELL'ALLEVAMENTO   DEL   SUINO   PESANTE   NELLA   ITALIA
CENTRO-SETTENTRIONALE. 
    Dai molti frammenti ossei provenienti dai vari  scavi  si  deduce
che  l'allevamento  del  bestiame  suino,  bovino  ed  ovino  si   e'
sviluppato nel nord Italia nel periodo neolitico. 
    Inizialmente pero', come risulta dai reperti ossei  ritrovati  in
proporzione omogenea, il  bestiame  veniva  allevato  unicamente  per
soddisfare le necessita' della famiglia o del villaggio. 
    Solo in epoca etrusca viene  praticato  un  tipo  di  allevamento
stabile e specializzato, il cui obiettivo e' la produzione  di  carne
suina e bovina, lana, latte e suoi derivati, finalizzati non  solo  a
soddisfare i fabbisogni locali ma anche alla esportazione. 
    Particolare menzione meritano, a tal  proposito,  gli  scavi  del
Forcello, un insediamento Etrusco  (V  sec.  a.C.)  posto  a  Sud  di
Mantova, sul terrazzo della  sponda  destra  del  Mincio,  non  molto
lontano da Andes, localita' che diede i natali a Virgilio. 
    In detta localita' furono  trovati  un  numero  notevolissimo  di
reperti e, tra essi, ben 50.000 resti di ossa animali, di cui il  60%
appartenenti alla specie suina,  segno  evidente  della  predilezione
degli etruschi per l'allevamento del maiale;  seguono  in  ordine  di
importanza gli ovini ed i bovini. 
    Dallo studio delle ossa si pote' dedurre che i maiali erano stati
macellati  in  eta'  adulta  a  2   o   3   anni   ed   inoltre   che
proporzionalmente mancavano molti arti posteriori. L'allevamento  del
maiale  ha  sempre  costituito  uno  fra  i  piu'   importanti   rami
dell'industria zootecnica italiana. 
    Nel censimento del bestiame del 1908, sono indicati  presenti  in
Italia 2.507.798 capi di cui 322.099 scrofe. 
    Nel 1926, secondo  il  Fotticchia,  i  capi  allevati  in  Italia
assommano a 2.750.000 di cui 1.400.000  in  Italia  settentrionale  e
570.000 nell'Italia centrale. 
    All'inizio del secolo, e fino alla  Prima  Guerra  Mondiale,  tre
sono i sistemi di allevamento tradizionalmente praticati: 
      - l'allevamento familiare, un tempo il piu' diffuso nella valle
padana; esso si basa su un limitato numero di capi, generalmente  ben
curati, alimentati con residui di cucina e prodotti ortivi. Tali capi
sono destinati all'autoconsumo ed  in  parte  al  rifornimento  delle
salumerie locali. Questo allevamento e' andato riducendo via  via  la
sua importanza con il diffondersi della specializzazione; 
      - l'allevamento allo stato brado  o  semibrado  era  preminente
lungo l'Appennino ed  i  suoi  contrafforti,  nonche'  sulle  Prealpi
lombarde, venete e del Friuli, ove abbondano la macchia ed  i  boschi
di quercia; 
      - l'allevamento di tipo industriale primeggiava in Lombardia ed
in Emilia gia' nel secolo scorso, perche' collegato al caseificio per
lo sfruttamento dei sottoprodotti di latteria (siero  e  latticello),
dell'industria molitoria (farinette, crusca  e  cruschello)  e  della
brillatura del riso (pula di riso). 
    Il 1872 puo' essere indicato come l'anno in cui  ebbe  inizio  in
Italia la moderna suinicoltura. Infatti in quell'anno, per iniziativa
del   Ministero   dell'Agricoltura,   che   si   avvalse   dell'opera
dell'Istituto Sperimentale di  Zootecnia  di  Reggio  Emilia,  furono
importati dall'Inghilterra in alcune province della  Valle  Padana  i
primi riproduttori Yorkshire. 
LE RAZZE INDIGENE 
    Esistevano   in   Italia   molte   razze   indigene,   che,   con
l'introduzione della Yorkshire, a seguito dei ripetuti incroci  fatti
nell'intento di ottenere maiali con maggiore attitudine all'ingrasso,
maggiore precocita' e con scheletro piu' ridotto, finirono per  veder
sminuire la loro importanza e la loro identita'. 
    Le  razze   piu'   diffusamente   allevate   in   Italia   centro
settentrionale ed ancora  presenti  agli  inizi  della  Prima  Guerra
Mondiale, divise per regioni, sono le seguenti: 
      - Piemonte: due erano le razze autoctone, la Cavour, a mantello
nero, orecchie pendenti, maschera  facciale  bianca,  allevata  sulla
riva destra del Po; la Garlasco che si  allevava  invece  sulla  riva
sinistra; razza un po' piu' ridotta con pelle e  setole  color  rosso
giallastro.  Le  caratteristiche  di  entrambe  le  razze  erano   la
robustezza, la precocita' e la buona attitudine al pascolo. 
      - Lombardia: si allevava la razza Lombarda  dal  mantello  nero
rossiccio con varie  macchie  bianche,  di  grande  mole,  facile  da
ingrassare, che a fine ingrasso raggiungeva il peso di 200-220 Kg. 
      - Emilia:  la  razza  Parmigiana  era  diffusa  oltre  che  nel
parmense anche nel piacentino ed in parte a Reggio Emilia.  Essa  era
caratterizzata da manto grigio scurissimo con rade setole nere, molto
prolifica, alta, robusta, viveva al  pascolo  per  la  maggior  parte
dell'anno. 
    Altra razza emiliana che occupava un'area assai piu' estesa della
parmigiana (bolognese, modenese e parte del reggiano, del mantovano e
del Veneto), di  taglia  ancor  maggiore  della  precedente,  era  la
Bolognese, a setole corte, rade, tra le quali traspariva la  cute  di
color rosso violaceo. Le sue carni, come riferisce il Marchi nel  suo
testo del 1914, "hanno costituito la fama degli  zamponi  di  Modena,
delle mortadelle, spalle e bondole di Bologna". 
      - Romagna: vi si allevava una razza mora,  castagnina,  diffusa
in tutta la Romagna  e  detta  appunto  razza  Romagnola.  Lo  Stanga
(Suinicultura pratica, 1922)  la  considerava  una  sottorazza  della
Bolognese.  Le  caratteristiche  che  contraddistinguevano  la  razza
Romagnola erano il buon sviluppo in altezza (80-90 cm.  al  garrese),
il tronco cilindrico con linea dorso-lombare convessa  e  soprattutto
la cosiddetta linea sparta, "costituita da robustissime irte e  fitte
setole che trovansi lungo tutta la linea dorsale" (Ballardini). 
      - Veneto: oltre alle razze lombarda e la romagnola  nel  veneto
troviamo anche la razza Friulana, rustica, facile da ingrassare,  sia
al pascolo che nel porcile, con carni molto saporite ma  di  mediocre
fertilita'. 
      - Toscana: terra ricca di boschi di leccio, quercia, castagno e
cerro che costituivano ambiente ideale per il pascolo dei  suini;  si
allevavano tre razze: la Cinta, la Cappuccia e la Maremmana. Di  esse
la piu' importante era la Cinta senese, maiale  lungo  ed  alto,  con
tronco cilindrico, con linea dorsale convessa e linea ventrale spesso
retratta. 
    Altre caratteristiche di detta razza riguardano  la  testa  molto
lunga, le orecchie piccole portate in avanti, un mantello color  nero
ardesia a setola sottile e folta, con fascia bianca che, partendo dal
garrese, scende alle spalle e  cinge  tutto  il  torace  estendendosi
anche agli arti anteriori. La cinta era prolifica e precoce. Il Dondi
ne fa una accurata descrizione e riferisce che "la carne e' ottima  e
molto saporita e  sono  noti  nel  commercio  i  prodotti  senesi  di
salumeria, in particolar  modo  salsicce,  mortadelle  e  prosciutti,
prodotti  in  notevole  quantita'  da  stabilimenti  locali  che   di
preferenza attingono la materia  prima  dalla  montagna  senese".  Il
Mascheroni (Zootecnia speciale, 1927) afferma che  "questa  razza  e'
allevata ed ingrassata al bosco, sia durante la buona che la  cattiva
stagione e solo alla sera fa ritorno al porcile.  L'alimentazione  si
basa sul pascolo di quercia e di leccio la cui produzione in  ghianda
e'  variabilissima,  integrata  con  beveroni,  farina  di  castagne,
granoturco e crusche". 
      - Umbria: la popolazione suina  umbra,  genericamente  chiamata
Perugina variava parecchio dal monte al piano. 
    In montagna prevalevano i suini "da  macchia"  a  manto  scuro  e
setole abbondanti, con testa lunga e orecchie  pendenti;  maiali  nel
complesso rustici e resistenti, che vivevano a branchi nei boschi. Vi
erano poi i suini perugini di collina e di pianura, molto simili alla
razza Cappuccia della Toscana; erano caratterizzati da alta  statura,
da testa di media lunghezza con orecchie pendenti, da una linea dorso
lombare convessa accompagnata da  groppa  spiovente  e  da  coscie  e
natiche non molto muscolose. Il mantello era nero ardesia con  setole
poco abbondanti ed arti quasi sempre balzani. 
    In  collina  ed  in  pianura,  dove  esistevano  zone   boschive,
l'allevamento  era  semibrado;  se  mancava  il  pascolo  in   genere
prevaleva l'allevamento da riproduzione per la produzione di lattoni,
riservando all'ingrasso solo qualche capo. 
DALLE RAZZE AUTOCTONE ALLA SUINICOLTURA MODERNA 
    La  sostituzione  delle  popolazioni  suine  locali   con   razze
selezionate piu' produttive,  iniziata  gia'  alla  fine  del  secolo
scorso, fu, soprattutto nei primi decenni, molto  lenta  e  graduale.
Cio', non tanto per  le  difficolta'  proprie  del  settore  primario
nell'acquisire ed introdurre le novita' emergenti, ma  per  il  fatto
che pure molto lenta e graduale e' stata l'evoluzione dei sistemi  di
allevamento. 
    Finche' brado e semibrado hanno rappresentato per molte regioni i
sistemi piu' comuni e piu' economici per l'ingrasso  del  maiale,  la
rusticita', la resistenza, l'attitudine al pascolo e piu' in generale
la  capacita'  di  procurarsi  cibo  hanno  rappresentato  condizioni
prioritarie ed irrinunciabili;  detti  caratteri  sono  propri  delle
razze autoctone, affermatesi sul territorio per selezione naturale. 
    Nel periodo intercorrente tra le due  guerre  mondiali,  anche  a
seguito  della  notevole  espansione   nella   valle   padana   degli
allevamenti da latte, andarono via via  aumentando  le  richieste  di
lattoni e magroni da parte degli allevamenti collegati ai  caseifici.
Gli ingrassatori rivolgevano le loro preferenze ai maiali  di  grande
taglia, sufficientemente rustici,  dotati  di  elevata  capacita'  di
utilizzare il siero, i cruscami e le farine; caratteristiche  che  si
riscontravano nei prodotti di incrocio  delle  razze  locali  con  il
verro Yorkshire-Large White. 
    Contemporaneamente, poiche' a causa del disboscamento era  andato
scomparendo il sistema brado e semibrado per l'ingrasso  dei  maiali,
in  Emilia  Romagna,  in  Toscana  ed  in  Umbria  si  era  affermato
l'allevamento delle scrofe per la produzione di  suinetti,  ricercati
dagli ingrassatori della valle padana. 
    Questa   suddivisione   di   compiti    tra    regioni    diverse
nell'allevamento del suino favori'  ed  accelero'  il  processo  gia'
iniziato di incrociare le popolazioni suine,  e  tra  esse  in  primo
luogo la Romagnola, la Cinta senese,  la  Perugina  e  la  Cappuccia,
razze rustiche e di buona taglia, con verri della piu' precoce e piu'
selezionata razza Large White. 
    Vi e' da osservare a questo punto  che,  nonostante  l'affermarsi
degli allevamenti industriali, permane  e  si  accentua,  proprio  in
questo periodo, la pratica di ingrassare i maiali  fino  al  peso  di
160-180 Kg ed oltre. 
    Il motivo va ricercato nel fatto  che  la  produzione  del  suino
pesante  trova  concordi  sia  i  suinicoltori  che   gli   operatori
industriali. 
    L'industria richiedeva, come richiede tuttora,  carcasse  pesanti
per disporre di carni mature, adatte a conferire ai prodotti lavorati
e stagionati, primi  fra  tutti  i  prosciutti,  quelle  insuperabili
caratteristiche organolettiche che hanno reso  famosa  nel  mondo  la
salumeria italiana. 
    I caseifici  dell'Emilia  e  della  bassa  Lombardia,  in  grande
maggioranza  orientati  alla  produzione   del   formaggio   "grana",
iniziavano la produzione a primavera, dopo il parto delle bovine e lo
svezzamento dei vitelli, e chiudevano  a  fine  novembre,  quando  le
vacche andavano in asciutta. 
    I suini, allevati per il consumo  del  siero  e  del  latticello,
venivano percio' acquistati verso il mese di marzo al peso  di  35-45
Kg (magroncelli) e venduti dopo la chiusura del  caseificio,  durante
l'inverno, nel periodo piu' adatto per la  lavorazione  delle  carni,
considerato che ancora non esistevano i frigoriferi. Durante  i  9-10
mesi di permanenza nelle porcilaie il suino raggiungeva  il  peso  di
160-180 Kg. Il suino pesante pertanto soddisfaceva  le  esigenze  del
mercato e quelle del caseificio. 
    Un solo  ciclo  annuale  consentiva,  d'altra  parte,  di  meglio
ammortizzare il costo della rimonta nonche' di contenere  le  perdite
per malattie e per mortalita', molto piu' frequenti  nel  periodo  di
ambientamento. Una critica che viene fatta a questo sistema  riguarda
l'alto consumo di alimenti necessari, nell'ultima fase dell'ingrasso,
per produrre 1 Kg di incremento. Pero' bisogna tener presente che, in
detta fase, piu' di un terzo del valore  nutritivo  della  dieta  era
fornito dal siero fresco, disponibile in abbondanza. 
    La produzione di incroci utilizzando verri Large White  e  scrofe
di razze locali continuo' per alcuni anni anche dopo l'ultima  guerra
mondiale. Pero', gia' da tempo, le razze  autoctone,  a  seguito  dei
ripetuti  incroci,  al  fine  di  ottenere  animali  piu'  adatti  al
caseificio, finirono, come  sopra  accennato,  per  perdere  la  loro
importanza fino ad essere sostituite da  una  popolazione  avente  le
caratteristiche proprie del Large White. 
    Soggetti "fumati"  (Large  White  x  Romagnola)  provenienti  dal
mercato di Cesena e soggetti  "grigi"  o  "tramacchiati"  provenienti
dalla Toscana  (Large  White  x  Cinta)  erano  presenti  in  qualche
porcilaia dei caseifici lombardi agli inizi degli anni '50. In questo
stesso periodo, in conseguenza delle piu' approfondite conoscenze  in
fatto di alimentazione e dello sviluppo dell'industria  mangimistica,
incominciarono ad  affermarsi  allevamenti  specializzati  suini  non
collegati ai caseifici. 
    A seguito di questi nuovi indirizzi la popolazione suina  subisce
in Italia, e soprattutto nel Nord, un sensibile aumento. 
    Contro una  consistenza  media,  nel  quinquennio  1951-1955,  di
3.320.000 capi si passa nel 1962 a 4.800.000 unita'. 
    Incrementa la produzione lattiera, si potenziano i caseifici e si
estende l'ingrasso suino; pero' all'aumento dei capi concorrono  pure
gli allevamenti specializzati, per lo piu' senza terra, non collegati
ai caseifici, gestiti da imprenditori provenienti anche da  attivita'
extra agricole, dediti di preferenza alla riproduzione piuttosto  che
all'ingrasso. 
    Si diffusero gli allevamenti iscritti ai libri genealogici, e con
l'aiuto dei centri di  controllo  genetico  istituiti  dal  Ministero
dell'Agricoltura (1960), si diede inizio ad  un  serio  programma  di
selezione delle razze Large White e Landrace. 
    Si gettarono pertanto le basi di una moderna suinicoltura  avendo
sempre come traguardo la produzione di un suino pesante,  dotato  dei
requisiti richiesti dall'industria di trasformazione  in  continua  e
rapida espansione. 
    Dal 1960  al  1970  furono  molte  ed  importanti  le  tecnologie
innovative  introdotte  negli  allevamenti,  specie  in   quelli   da
riproduzione. 
    Da allevamenti agricoli, suddivisi in gruppi costituiti da  poche
unita',  condizione  irrinunciabile  per  combattere  le   pericolose
malattie  neonatali,  si  passo',  nel  giro  di  pochi  anni,   alla
concentrazione di centinaia di fattrici  in  allevamenti  industriali
completamente automatizzati. 
    Dette innovazioni, che consentirono  la  produzione  di  suinetti
anche negli allevamenti intensivi della  valle  padana,  modificarono
gli equilibri, durati per molti decenni, tra  le  regioni  del  Nord,
prevalentemente   dedite   all'ingrasso   e   quelle   del    Centro,
specializzate nella riproduzione. 
    Mentre nel Nord la suinicoltura trovo' motivo  per  un  ulteriore
rafforzamento ed espansione, la Romagna,  e  le  Regioni  dell'Italia
centrale si avviarono ad  una  ristrutturazione  dell'intero  settore
suinicolo. 
    La  consistenza  della  popolazione  suina  italiana  passa   dai
4.800.000 capi nel 1962 ai 9.014.600  del  1981,  con  un  incremento
medio annuo del 4,4%. 
    Negli anni immediatamente successivi, e piu' precisamente fino al
1987, si assiste ad un ulteriore incremento dei capi suini, ma con un
ritmo di crescita molto piu' modesto rispetto al decennio precedente.
Pero', anche a seguito della  necessita'  di  ristrutturazione  sopra
evidenziata, l'espansione risulta meno accentuata nelle  regioni  del
Centro Italia. 
    Negli ultimi anni, peraltro, l'emanazione, in alcune regioni  del
nord, di normative locali di tipo ambientalistico,  tali  da  rendere
piu' problematico il mantenimento delle attuali strutture  e,  ancora
di piu', il reperimento di aree  idonee  per  nuovi  allevamenti,  ha
creato i presupposti  per  un  potenziamento  dell'allevamento  anche
nelle zone omogenee delle regioni dell'Italia centrale dove comunque,
come dianzi richiamato, la tradizione contadina di una produzione  di
un suino pesante e' ugualmente antichissima. 
PREMESSA 
    Vi   e',   peraltro,   un   ulteriore   elemento    -    attuale,
scientificamente  provato,  normato  a  livello  comunitario  -   che
comprova  il  legame  esistente  tra  la  materia  prima  e  la  zona
geografica, in funzione  di  un  insieme  di  requisiti  specifici  e
vocazionali. 
    Infatti, se e' vero che la caratterizzazione produttiva di natura
zootecnica e' strettamente funzionale ai  requisiti  del  prodotto  a
denominazione  di  origine,  tanto  da  assumere  tratti   distintivi
esclusivi  e  peculiari  con  riferimento  all'area  geografica,   e'
altrettanto vero che il riconoscimento di questa peculiarita'  -  che
definisce il legame di cui si discute  -  interviene  a  conferma  di
quanto fin qui sostenuto. 
    Il tratto distintivo che collega territorio, produzione  agricola
e trasformazione del prodotto a denominazione di origine  "prosciutto
di Parma" e' indiscutibilmente sintetizzabile nel concetto di  "suino
pesante", piu'  volte  specificato  nella  presente  scheda  e  nella
precedente  scheda  D,  nella  stessa   legislazione   nazionale   di
protezione e sempre richiamato, nella forma  e  nella  sostanza,  dal
presente disciplinare, con particolare riferimento alle  prescrizioni
produttive di cui alla precedente scheda C. 
    E'  quindi  assolutamente  pertinente  sottolineare  che   questo
particolare  indirizzo  produttivo  della  suinicoltura  delle   aree
delimitate, insieme alla  definizione  di  suino  pesante,  e'  stata
riconosciuta  formalmente  a  livello   comunitario   attraverso   la
legislazione  concernente  la   classificazione   commerciale   delle
carcasse suine. 
    Il Regolamento (CEE) n. 3220 del  13  novembre  1984  costituisce
l'ultimo aggiornamento introdotto dalla Commissione sulla materia. 
    Entrato in vigore a partire dal 1° gennaio 1989, tale dispositivo
introduce  metodi  di  misura  oggettivi  per  la  valutazione  della
percentuale di carne magra contenuta nelle  carcasse,  suddividendole
in cinque classi commerciali con le lettere della sigla  EUROP  e  la
possibilita', per ogni  Paese,  di  introdurre  una  classe  speciale
denominata "S". 
    In sede di applicazione del regolamento in questione,  unicamente
all'Italia e' stata riconosciuta la presenza sul  territorio  di  due
popolazioni suine: 
      a) una di "suino leggero", macellato a pesi conformi alle medie
europee; 
      b) l'altra di "suino pesante",  macellato  a  pesi  di  150-160
chilogrammi, le cui carni sono destinate alla trasformazione. 
    Conseguentemente, con Decisione della Commissione del 21 dicembre
1988, si e' autorizzata la distinzione delle  carcasse  in  "leggere"
(peso morto < a 120 chilogrammi) e "pesanti"  (peso  morto  >  a  120
chilogrammi), con la derivante applicazione di due formule nettamente
diverse nella valutazione commerciale. 
    Sul piano attuativo nazionale, poi, e'  noto  che  il  competente
dicastero ha elaborato un piano per dare attuazione  all'articolo  3,
comma 4, del citato Regolamento (CEE) n.  3220/84,  per  la  messa  a
punto di criteri  di  valutazione  della  qualita'  della  carne  che
possano essere associati a quelli della qualita' del magro. 
    Interpretare  lo   sdoppiamento   della   popolazione   suinicola
nazionale,  normato  in  sede  comunitaria,  come  un  riconoscimento
dell'esistenza   di   requisiti   diversificati   che,   con   totale
sovrapposizione, si identificano con  quelli  previsti  dal  presente
disciplinare,  comporta  l'identificazione  della  categoria   "suino
pesante" con quella insistente nell'area delimitata e ad essa  legata
da precise motivazioni storiche, economiche e sociali. 
    Ne  consegue  che  il  riconoscimento  della  presenza   di   due
popolazioni  cosi'  profondamente  diverse  sullo  stesso  territorio
nazionale costituisce una formale  anticipazione  del  riconoscimento
del legame che salda entrambe ai rispettivi contesti geo-economici. 
    In sintesi quanto sopra esposto sta a significare che: 
      - la materia prima utilizzabile per la produzione di prosciutto
di Parma e' tratta unicamente dal cosiddetto "suino pesante"; 
      - la Comunita' ha riconosciuto attraverso la Decisione  del  21
dicembre  1988  l'esistenza  in  Italia  e  solo  in  Italia  di  due
popolazioni suinicole, una delle  quali  "leggera"  e  conforme  alle
medie  europee,  l'altra  "pesante",  conforme  alle  esigenze  della
industria  salumiera,  tradizionali  e   storicamente   affermate   e
documentate; 
      - il suddetto  riconoscimento  ha  indotto  ad  autorizzare  la
definizione  di  due  categorie  di  carcasse  con   la   conseguente
applicazione  di  formule   nettamente   diversificate   nella   loro
valutazione commerciale; 
      - la normazione dello sdoppiamento della popolazione  suinicola
nazionale riconosce  l'esistenza  di  requisiti  peculiari  che,  non
casualmente, si sovrappongono con quelli previsti dalle  prescrizioni
contenute nel presente disciplinare e che, ancora  senza  casualita',
identificano  la  categoria  del  "suino  pesante"  insistente,  come
ampiamente documentato, nell'area delimitata in quanto ad essa legata
da precise motivazioni storiche, sociali e produttive; 
      -  il  riconoscimento  comunitario  costituisce   pertanto   un
sostanziale riconoscimento  del  legame  al  contesto  geografico  di
riferimento. 
ZONA TIPICA DI PRODUZIONE 
    Come gia' riportato alla scheda B, la zona tipica  di  produzione
del Prosciutto di Parma comprende il territorio  della  provincia  di
Parma posto a sud della via Emilia a distanza da questa non inferiore
a cinque chilometri, fino ad  una  altitudine  non  superiore  a  900
metri, delimitato ad est dal corso del fiume  Enza  e  ad  ovest  dal
corso del torrente Stirone. Tale  zona  e'  favorita  da  eccezionali
condizioni ecologiche, climatiche  e  ambientali.  Infatti  solo  qui
arriva, preziosa ed unica, l'aria che "prosciuga" e  rende  dolce  ed
esclusivo il prosciutto di Parma. Aria  che  giunge  dal  mare  della
Versilia, si addolcisce tra gli ulivi e i pini della  Val  Magra,  si
asciuga   ai   passi   appenninici   (Cisa,   Lagastrello,    Cirone)
arricchendosi  del  profumo  dei  castagni  fino  a  soffiare  tra  i
prosciutti delle valli parmensi. Proprio per sfruttare al meglio tali
brezze, gli stabilimenti di produzione sono orientati trasversalmente
al flusso dell'aria e sono dotati  di  grandi  e  numerose  finestre,
affinche' l'aerazione possa dare il suo decisivo contributo per  quei
processi enzimatici e di trasformazione biochimica del  prodotto  che
caratterizzano il Prosciutto di Parma. 
    Tali trasformazioni biochimiche, che si  verificano  nella  lunga
fase di stagionatura seguono un loro preciso andamento proprio grazie
alle condizioni ecologiche che caratterizzano le valli parmensi e che
in misura cosi' ottimale non si verificano in alcun altro luogo. 
    Cio'  e'  tanto  piu'  facilmente  constatabile  raffrontando  il
prosciutto di Parma con  altri  prodotti  sottoposti  ad  artificiosi
trattamenti allo scopo di conferire  ad  essi  l'aspetto,  ma  niente
altro che l'aspetto,  di  una  regolare  maturazione.  Si  tratta  di
prodotti i quali, sia per l'effetto dell'alto tenore di sale  sia  in
seguito alla esposizione in ambienti necessariamente condizionati  in
assenza delle ideali condizioni naturali,  si  prosciugano  in  breve
tempo e, in particolare, assumono (piu' esternamente che nelle  parti
interne)  l'aspetto  esteriore  del  prosciutto  che  ha  subito   un
razionale e naturale processo di stagionatura, senza pero' averne ne'
il profumo ne' la fragranza ne' la dolcezza caratteristica. 
    La zona "a monte" della zona tipica di produzione del  prosciutto
di Parma e' inoltre caratterizzata  dalla  mancanza  di  insediamenti
produttivi che possano, attraverso  emissioni  liquide  e/o  gassose,
determinare    fenomeni    di    inquinamento    ambientale.     Tale
caratterizzazione  e'  peraltro  preservata  dalla  legge  di  tutela
13/2/90 n. 26,  la  quale,  infatti,  prevede  che:  "Ai  fini  della
salvaguardia delle condizioni proprie dell'ambiente di produzione  da
cui dipendono le caratteristiche organolettiche e  merceologiche  del
prosciutto di Parma, l'insediamento nell'ambito della zona tipica  di
industrie insalubri di prima classe - cosi' come individuate a  norma
dell'articolo 216 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con
Regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 - e di ogni altra attivita' che
pregiudichi un equilibrato mantenimento delle condizioni  ambientali,
e' subordinato al preventivo favorevole parere del comitato regionale
per  l'inquinamento  atmosferico  competente  per   territorio".   La
adozione di cosi' severe  norme  (per  "azienda  insalubre  di  primo
grado" la norma nazionale citata considera praticamente  quasi  tutte
le attivita' manifatturiere  e  perfino  le  stalle  per  bovini)  e'
giustificata  solo  da  una  radicata  consapevolezza  di  necessita'
obiettiva di salvaguardia e tutela ambientale. 
    L'attuale  quadro  normativo  nazionale,  che  costituisce  parte
integrante del presente disciplinare, in via formale  e  sostanziale,
altro  non  rappresenta   che   la   consolidazione   e   conseguente
codificazione del percorso che i fattori  umani  e  produttivi  hanno
storicamente  compiuto,  in   contesti   geografici   ed   ambientali
particolari, nell'ambito delle aree rispettivamente  vocate  ai  fini
della produzione della materia prima destinata ad approvvigionare  la
lavorazione del  prosciutto  di  Parma  e  della  trasformazione  del
prosciutto  di  Parma  stesso,  aree  rigorosamente  identificate   e
delimitate. 
 
                  Documenti di riferimento scheda F 
 
    Regolamento (CEE) n. 3220/84; 
    Decisione della Commissione del 21 dicembre 1988 
    Decisione della Commissione del 20 novembre 1989 
    Decreto del Ministero dell'Agricoltura e Foreste del 24  febbraio
1989 
    Copia di articoli riportanti cenni sul legame tra la produzione e
l'area geografica delimitata. 
    Altri documenti richiamati: 
      - Riferimenti bibliografici gia' contenuti nella scheda D punto
D.6; 
      - Bibliografia gia' allegata alla scheda D. 
 
                                                             SCHEDA G 
 
STRUTTURA DI CONTROLLO PREVISTA DALL'ARTICOLO 10 DEL REGOLAMENTO  CEE
n. 2081/92. 
    Ogni fase del processo produttivo viene  monitorata  documentando
per ognuna gli input e gli  output.  In  questo  modo,  e  attraverso
l'iscrizione  in  appositi  elenchi,  gestiti  dalla   struttura   di
controllo,   degli   allevatori,   macellatori,   sezionatori,    dei
produttori, degli stagionatori e dei porzionatori, nonche' attraverso
la  dichiarazione  tempestiva  alla  struttura  di  controllo   delle
quantita' prodotte e nel rispetto degli  adempimenti  previsti  nelle
precedenti  schede  e  nel  piano  dei  controlli,  e'  garantita  la
tracciabilita' del prodotto. Tutte le persone, fisiche o  giuridiche,
iscritte nei relativi elenchi,  sono  assoggettate  al  controllo  da
parte della struttura  di  controllo,  secondo  quanto  disposto  dal
disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. 
 
                                                             SCHEDA H 
 
ELEMENTI   SPECIFICI   DELLA   PRESENTAZIONE,   IDENTIFICAZIONE    ED
ETICHETTATURA DEL PROSCIUTTO DI PARMA 
PREMESSA 
    Il vigente dispositivo di legge e regolamentare nazionale dispone
per il prosciutto di  Parma  regole  particolari  relativamente  alla
identificazione del prodotto sia nel contesto del circuito produttivo
(materia prima) sia al momento della sua preparazione finale, sia nel
momento della presentazione nella fase commerciale. 
    Il  dispositivo  vigente  prevede  infatti  timbri,   sigilli   e
contrassegni che identificano la produzione protetta ai vari  livelli
delle  fasi  di  lavorazione,   in   un   concatenarsi   di   momenti
identificativi e certificativi di tutti i  "passaggi"  del  prodotto:
dalla materia prima al prosciutto stagionato e oltre. 
    Infatti, come gia' prospettato  nella  precedente  scheda  C,  e'
prevista nel contesto  del  circuito  della  produzione  protetta  la
seguente sequenza: 
      - timbro/i di cui alla scheda C., apposto/i dall'allevatore; 
      - timbro di cui alla scheda C apposto dal macellatore; 
      - sigillo metallico di cui alla scheda C  apposto  a  cura  del
produttore; 
      - contrassegno a fuoco "corona ducale" di  cui  alla  scheda  C
apposto alla presenza degli incaricati dell'Organismo abilitato. 
    Anzitutto il contrassegno a fuoco "corona ducale" a cinque  punte
contenente la parola "Parma": il primo simbolo risale al  1963;  esso
e' stato successivamente modificato attraverso  nuovi  provvedimenti,
l'ultimo dei  quali  -  pubblicato  sulla  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica  Italiana  il  31  agosto  1991  -  e'  stato  il  Decreto
Ministeriale 26 agosto 1991. Il contrassegno "corona  ducale"  e'  il
marchio a fuoco apposto al termine della stagionatura dei  prosciutti
che presentano, una volta effettuati gli opportuni controlli, tutti i
requisiti merceologici e qualitativi richiesti dal  disciplinare.  La
corona ducale  vale  come  marchio  sia  di  identificazione  sia  di
qualificazione del prosciutto di  Parma,  nel  senso  che  svolge  la
duplice funzione di identificare il prodotto tra gli altri prosciutti
crudi assicurandone l'autenticita' e di  garantire  che  il  prodotto
stesso ha subito tutti i passaggi produttivi previsti e che  tutti  i
passaggi stessi sono stati identificati dai soggetti interessati.  Il
contrassegno "corona ducale" e' accompagnato,  a  far  tempo  dal  1°
ottobre  1991,  da  una  sigla  di  identificazione  del  produttore,
attribuito dal Consorzio del  Prosciutto  di  Parma  al  momento  del
riconoscimento e dell'abilitazione dell'azienda. In ogni caso solo la
presenza del contrassegno "corona ducale"  accompagnato  dalla  sigla
del produttore consente, qualsiasi sia la forma di presentazione  del
prodotto  (con   osso,   disossato,   in   tranci   o   affettato   e
preconfezionato), la legittima qualificazione del  prodotto  medesimo
come prosciutto di Parma. Per quanto riguarda il contrassegno "corona
ducale"  presente  sulle   confezioni   di   prodotto   affettato   e
preconfezionato,  la  sigla  del  produttore,  posizionata  sotto  il
contrassegno stesso, e' sostituita con una sigla  identificativa  del
soggetto che ha posto in  essere  le  operazioni  di  affettamento  e
confezionamento e si distingue da quella del produttore. 
    Il Consorzio di tutela custodisce le matrici degli strumenti  per
l'apposizione del  contrassegno  che  sono  affidati  agli  ispettori
dell'Organismo di controllo. Gli strumenti stessi, di proprieta'  del
Consorzio di tutela  incaricato,  sono  affidati  agli  Ispettori  in
occasione della apposizione  dei  contrassegni  sui  prosciutti.  Gli
incaricati stessi hanno, nella circostanza  del  loro  lavoro,  piena
responsabilita'  della  custodia,  gestione  ed  utilizzazione  degli
strumenti  e  rispondono  in  via  disciplinare  e,  se   del   caso,
giudiziaria, di eventuali negligenze, omissioni o  usi  impropri.  In
conclusione, il piu' rilevante elemento distintivo del prosciutto  di
Parma - anzi l'unico elemento formale discriminante -  a  livello  di
presentazione  del  prodotto  nella  fase  commerciale  e'   pertanto
costituito dal contrassegno "corona ducale". E' solo la presenza  del
contrassegno che consente infatti  l'uso  legittimo  e  legale  della
denominazione di origine: senza la "corona ducale"  un  prodotto  non
puo' essere denominato, ne' sulle etichette  o  confezioni,  ne'  sui
documenti di vendita,  ne'  all'atto  della  transazione  commerciale
(intero, affettato e preconfezionato ovvero alla  vendita  frazionata
al  dettaglio).  Il  "plus  valore"  rappresentato  dal  contrassegno
"corona ducale" e' peraltro attestato dai  non  infrequenti  casi  di
rinvenimento di prosciutti  di  tipo  comune  sui  quali  sono  state
addirittura apposti contrassegni "corona" contraffatti, in violazione
quindi di norme penali previste sia dalla normativa speciale  che  da
quella generale. 
    Anche la riproduzione grafica del  contrassegno  "corona  ducale"
non  e'  nella  libera  disponibilita'  di  chiunque   (neppure   con
riferimento a prodotti autentici: essa infatti, comunque  utilizzata,
e' riservata al Consorzio del Prosciutto di  Parma,  il  quale  puo',
volta per volta e per singole e precise iniziative, autorizzare terzi
alla produzione grafica del  simbolo  del  contrassegno,  ponendo  le
condizioni e le limitazioni che ritiene opportune e  predisponendo  i
controlli del caso. Ogni riproduzione del  simbolo  del  contrassegno
non autorizzato e' perseguibile penalmente e civilmente. 
    Si e' gia' riferito che la apposizione  del  contrassegno  corona
ducale e' l'ultimo elemento, in ordine cronologico, identificativo  e
qualificativo del prodotto tutelato; esso infatti puo' essere apposto
solo su prosciutti che rechino il sigillo metallico "C.P.P."  apposto
all'inizio della lavorazione. Si tratta di un sigillo  metallico,  il
cui simbolo e' stato approvato con  Decreto  Ministeriale  9  ottobre
1978 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  Italiana
del 19 ottobre 1978) recante il mese e l'anno dell'inizio lavorazione
che viene  applicato  a  cura  del  produttore  sulle  cosce  fresche
pervenute nello stabilimento e che intende  avviare  alla  produzione
protetta. Tale sigillo e' elemento indispensabile per il computo  del
periodo minimo di stagionatura e,  inoltre,  equivale  alla  data  di
produzione ai sensi delle  vigenti  leggi  nazionali  in  materia  di
vigilanza sanitaria delle carni. 
    Il sigillo e' apposto solo sulle  cosce  fresche  provenienti  da
macelli abilitati e munite dal timbro a  fuoco  numerato  attribuito,
per  ragioni  di  identificazione,   a   ciascun   macello,   nonche'
accompagnate dalla documentazione sanitaria e merceologica prescritta
e che risponda alle caratteristiche sostanziali  e  qualitative,  ivi
compreso il rispetto  delle  parametrazioni  oggettive  di  cui  alla
scheda B; il sigillo stesso non puo' essere apposto su cosce  fresche
prive  di  alcuno  dei  suddetti  requisiti  ed  una  sua   eventuale
applicazione indebita e' sanzionata per legge. 
    Sigillo: costituito da  una  corona  circolare  dove  appariranno
impressi  a  rilievo  la  sigla  CPP  e  la  data  di  inizio   della
lavorazione, espressa con il mese (indicato con le prime tre lettere)
e con l'anno (indicato con le ultime due cifre in numeri arabi). 
    Il timbro indelebile apposto a caldo dal macello e' costituito da
una base comune recante la sigla "PP" e da  una  sigla  alfa-numerica
(una lettera e due cifre) identificativa di ogni  macello  abilitato.
Il macello appone il proprio timbro sulle cosce fresche ricavate  dai
suini  provenienti  da   allevamenti   riconosciuti,   scortate   dai
certificati  di  origine  e  di  conformita'  attestanti   l'avvenuto
rispetto delle prescrizioni produttive nelle fasi  di  allevamento  e
che presentino gli  elementi  di  caratterizzazione  qualitativa  dei
prosciutti  per  le  cosce  fresche  da  destinare  alla   produzione
protetta. Anche il  timbro  del  macello,  per  il  fatto  di  essere
numerato  e  quindi  identificativo  di  ogni  singola   azienda   di
macellazione, svolge un ruolo rilevante -  oltre  che  dal  punto  di
vista della certezza della "ricostruzione" della provenienza di tutti
i prosciutti nella fase di lavorazione (e spesso anche a stagionatura
ultimata) - anche in funzione di controllo. 
    Timbro a fuoco: costituito dalla sigla fissa "PP" e da una  sigla
mobile di identificazione del macello costituita da una lettera e  da
due numeri, da riportare nello spazio sottostante in luogo dei punti. 
    Le regole per la etichettatura del prosciutto di Parma intero con
osso, intero confezionato,  presentato  in  tranci  o  affettato  non
prescindono, naturalmente, da quelle di ordine generale  fissate,  in
particolare, dal Decreto Legislativo 27 giugno 1992 n. 109 che a  sua
volta e' il provvedimento di recepimento delle Direttive 89/395 CEE e
89/396  CEE  concernenti  l'etichettatura,  la  presentazione  e   la
pubblicita' dei prodotti alimentari. Tali regole sono state  recepite
nel disciplinare di produzione approvato  con  Regolamento  (CEE)  n.
1107 del 12.06.96. 
    Il disciplinare stesso richiede peraltro, per ciascuno  dei  tipi
di presentazione del prosciutto di Parma alcune peculiari indicazioni
obbligatorie, ed in particolare: 
      a) per il prosciutto di Parma intero con osso: 
        - "prosciutto di Parma - denominazione di origine protetta"; 
        - la sede dello stabilimento di produzione; 
      b) per il prosciutto di Parma confezionato intero o  presentato
in tranci: 
        - "prosciutto di Parma - denominazione di origine protetta"; 
        - la sede dello stabilimento di confezionamento; 
        - la data di produzione, qualora  il  sigillo  (di  cui  alla
precedente scheda H) non risulti piu' visibile; 
      c) per il prosciutto di Parma affettato e preconfezionato: 
        - le confezioni presentano una parte  comune  posizionata  al
vertice sinistro superiore della confezione, rispondente a  tutte  le
caratteristiche  e  le  condizioni  specificamente   previste   dalla
Direttiva Affettamento e comunque riportante il contrassegno  "corona
ducale" e le diciture: 
          prosciutto di Parma denominazione di  origine  protetta  ai
sensi della Legge 13 febbraio 1990 n. 26 e del Regolamento  (CEE)  n.
1107 del 12.06.96; 
          confezionato sotto il controllo dell'Organismo autorizzato. 
        - la sede del laboratorio di confezionamento; 
        -  la  data  di  produzione  (inizio   stagionatura;   quella
riportata sul sigillo di cui alla precedente scheda H). 
    E' vietata l'utilizzazione di  qualificativi  quali,  "classico",
"autentico", "extra", "super", e di altre qualificazioni, menzioni ed
attribuzioni abbinate alla denominazione di vendita, ad esclusione di
"disossato" ed "affettato". 
    E'  vietato  utilizzare,  in  alternativa  o  in  aggiunta   alla
denominazione   protetta,    qualsiasi    altra    denominazione    o
qualificazione geografica del prodotto, comunque attinente  a  comuni
compresi nella zona tipica di produzione di cui alla scheda C. 
    I divieti di cui alla presente scheda H si estendono,  in  quanto
compatibili,  anche  alla  reclamizzazione  pubblicitaria   ed   alla
promozione in qualsiasi forma del prosciutto tutelato. 
    L'uso  delle  denominazioni  geografiche  riferentisi  ai  comuni
compresi  nella  zona  tipica  di  produzione  o   loro   variazioni,
deformazioni, derivazioni o abbreviazioni  e'  vietato  nella  ditta,
ragione o denominazione  sociale  o  marchio  d'impresa  a  meno  che
l'imprenditore interessato non ne dimostri  la  utilizzazione  -  con
riferimento al prosciutto - da epoca anteriore alla data  di  entrata
in vigore della legge 4 luglio 1970, n. 506. 
 
                  Documenti di riferimento scheda H 
 
    Verbale di deposito marchio "corona ducale" del 1963 
    Verbale di deposito del  marchio  "corona  ducale"  del  1973  (e
modifica di quella del 1963) 
    Decreto Ministeriale 9 ottobre 1978 - Allegato 4 
    Certificato di deposito del  marchio  "corona  ducale"  del  1987
(strumentale alla registrazione OMPI) 
    Decreto Ministeriale 26 agosto 1991 
    Decreto Ministeriale 9 ottobre 1978 - Allegato 3 
    Decreto Ministeriale 4 agosto 1986 
    Altri documenti richiamati: 
      - Legge 13 febbraio 1990 n. 26 (scheda A); 
      - Decreto Ministeriale 15 febbraio 1993 n. 253 (scheda A); 
      - Accordi Bilaterali (Scheda I) 
 
                                                             SCHEDA I 
 
CONDIZIONI DA RISPETTARE IN FORZA DI DISPOSIZIONI E/O INTERNAZIONALI. 
    Il Prosciutto di Parma DOP, gia' protetto a livello nazionale  ed
in forza di  una  serie  di  accordi  e  convenzioni  bilaterali,  e'
attualmente protetto ai sensi  del  Regolamento  (CEE)  n.  1107  del
12.06.96. 
    Il Prosciutto di Parma  DOP  e'  tutelato  contro  ogni  tipo  di
usurpazione in virtu' della normativa comunitaria e nazionale vigente
ed il Consorzio incaricato dal  Ministero  delle  politiche  agricole
alimentari e  forestali  svolge  azione  di  tutela,  valorizzazione,
salvaguardia e vigilanza sul mercato ai sensi dell'articolo 14  della
legge 526/99.