All. sub A) TITOLO PIANO PER L'INNOVAZIONE DEL SISTEMA SANITARIO BASATA SULLE SCIENZE OMICHE INDICE PARTE PRIMA 1. Introduzione: perche' questo Piano? a. Il contesto programmatorio b. Vision, principi, struttura e obiettivi generali 2. Basi scientifiche e concettuali delle tecniche omiche PARTE SECONDA 3. La genomica nella diagnosi a. Malattie Mendeliane b. Malattie Complesse e multifattoriali c. Tumori i. Mutazioni germinali ii. Mutazioni somatiche 4. La prevenzione personalizzata a. Test Pre-concezionali b. Test Prenatali 1. NIPT 2. La diagnosi prenatale genomica (NGPD) c. Screening Neonatale ed Approcci genomici d. Test postnatali per: 1. Malattie Mendeliane 2. Malattie Complesse i. Concetti generali ii. Malattie cardiovascolari multifattoriali 3. Tumori i. Mutazioni germinali per tumori ereditari 1. Tumore della mammella 2. Sindrome di Lynch ii. Mutazioni germinali per suscettibilita' a tumori 1. Cancro alla Prostata iii. Mutazioni somatiche 5. La genomica nella terapia a. Risposta ai farmaci e farmaco genomica b. Terapia personalizzata dei tumori 6. Funzione di governo centrale e azioni di supporto alla implementazione del piano 7. Indicazioni per la ricerca e l'innovazione 8. Approfondimenti a. Aspetti etici degli approcci genomici b. Test genetici diretti al consumatore c. L'omica batterica d. Test post-natali per le malattie cardiache mendeliane e. Valutazioni economiche 9. Obiettivi e Raccomandazioni 10. Glossario ed acronimi PARTE PRIMA CAPITOLO 1 Introduzione: perche' questo Piano? - La finalita'. I progressi nell'ambito della genomica hanno implicazioni evidenti e cruciali per la salute pubblica; tali conoscenze permettono infatti di riconoscere piu' facilmente le basi genetiche delle malattie ereditarie ed offrono l'opportunita' di differenziare, all'interno delle popolazioni, individui e gruppi maggiormente suscettibili di sviluppare determinate condizioni, e questo con modalita' nuove rispetto a quelle tradizionalmente usate dai professionisti di sanita' pubblica. Nonostante la genomica abbia visto uno sviluppo notevole nell'ultimo decennio, ed un progresso ancora piu' rapido sia atteso nel prossimo futuro, fino ad oggi il suo impatto sulle politiche sanitarie e' stato limitato. Questo atto di pianificazione nasce quindi dalla esigenza di integrare la sempre maggiore disponibilita' di strumenti sofisticati nel settore delle scienze genomiche con le pratiche correnti di sanita' pubblica. Nello specifico, la finalita' del piano e' delineare le modalita' con cui l'innovazione nel settore della genomica si debba innestare nel SSN negli ambiti della prevenzione, diagnosi e cura, in un'ottica di efficacia (evidence-based) e di sostenibilita' (cost-effectiveness) del SSN ai fini del miglioramento della salute dell'individuo e della popolazione. Il Piano si inserisce in una strutturazione di "governance" e "capacita' di sistema" che da un lato si basa su e valorizza iniziative gia' in corso (es. progetti supportati dal Ministero della Salute ed altri Enti Finanziatori), e dall'altro necessita di una pianificazione adeguata a livello nazionale (interventi legislativi). - Lo scenario. I sistemi sanitari di tutto il mondo stanno affrontando una fase cruciale e delicata, caratterizzata da un'elevata pressione finanziaria che rischia di minare la sostenibilita' di tali sistemi. Per affrontare la sfida di questo scenario in evoluzione, i sistemi sanitari dovranno gestire tre nodi cruciali: ridare centralita' al cittadino nel contesto del sistema; dare maggiore enfasi alle attivita' di prevenzione; riorganizzare radicalmente il servizio spostando le cure dall'ospedale al territorio. Tuttavia, nei report piu' recenti ne' la genomica ne' le scienze della vita sono state considerate e discusse come settori importanti per lo scioglimento di questi nodi. Si suggerisce quindi, in linea con recenti report di esperti, che questi punti critici vengano affrontati anche con l'ausilio delle conoscenze e dei principi della genomica, in virtu' di una consapevolezza che negli ultimi anni sta maturando sempre di piu' su queste tematiche tra i professionisti di sanita' pubblica. Nello specifico, la genomica ed altre innovazioni scientifiche possono inserirsi in un trend sociale gia' in atto, cioe' la sempre maggiore centralita' dell'individuo, per rendere la salute pubblica e l'assistenza sanitaria piu' efficaci ed efficienti. La presente proposta quindi si focalizza su un nuovo paradigma che guarda oltre la genomica di sanita' pubblica, e che sia indirizzato ai mutevoli bisogni sanitari delle popolazioni. Questo nuovo paradigma dovrebbe fondarsi sui seguenti pilastri: la personalizzazione dell'assistenza sanitaria; l'adozione di nuove tecnologie, accanto a quelle genomiche, al fine di incrementare la conoscenza degli individui, del loro stato di salute e di malattia - includendo in particolare nuove tecnologie biomediche e digitali come l'imaging ed i sensori wireless -; lo sviluppo e l'integrazione di una prevenzione personalizzata, come approccio complementare alle classiche pratiche esistenti in sanita' pubblica; l'uso della connettivita' mobile e delle crescenti capacita' computazionali al fine di generare grandi quantita' di dati (big data) da utilizzare per il progresso della sanita' e di altri settori. Questo nuovo approccio supera esplicitamente quello della genomica classica, e unisce quelli che possono apparire campi totalmente distanti tra loro al fine di fornire un approccio piu' olistico all'assistenza sanitaria. - La sfida. Sara' essenziale affrontare alcune sfide, man mano che i progressi nel campo della genomica aprono nuove opportunita' per il miglioramento della salute attraverso l'uso di applicazioni genomiche e strumenti per la valutazione della storia di salute delle famiglie. E' infatti sempre piu' difficile per i comitati di esperti valutare in tempo reale e meticolosamente i benefici ed i possibili danni derivanti delle applicazioni genomiche e degli strumenti di valutazione del rischio, visto il loro rapido aumento. Sono quindi necessari dati nazionali validi ed affidabili per stabilire le misure di riferimento e per monitorare i progressi. Le classiche fonti di dati amministrativi dei sistemi sanitari probabilmente non sono ancora adeguate a questo scopo. Lo sviluppo di un programma sulla stregua di Healthy People potrebbe pertanto essere ostacolato dalla limitata disponibilita' sia di raccomandazioni basate sull'evidenza sia di dati nazionali per monitorare i progressi. - Lo sviluppo della genomica (e delle scienze "omiche" in generale) non comporta solo conseguenze sul piano della salute e della medicina. Per sua stessa natura la genomica contribuisce alla (e si alimenta della) innovazione della IT, tanto che e' considerata componente e "funzione" dei Big Data. Questo comporta delle conseguenze almeno nelle seguenti tre dimensioni, che quindi entrano per tale motivo in questo Piano come garanzia di governabilita' per il sistema Paese dell'innovazione basata sulle scienze omiche: - Norme e regole: l'innovativita' degli scenari generati dalla ricerca omica, il carattere dei problemi posti, le esigenze nuove che scaturiscono dall'impetuoso sviluppo in questo campo, impongono un adeguamento del quadro di riferimento normativo. Cio' e' evidente per la valutazione della conoscenza fruibile (con un ruolo per l'Health Technology Assessment) oppure per il governo della vendita direct to consumer, oppure per il data sharing (per rendere fattibile e governare tale cruciale fenomeno sia in Italia che nel contesto internazionale). - Logistica: le esigenze poste dalla "interrogazione dei Big Data" definiscono la necessita' di costruire una capacita' di sistema che riesca a integrare le capacita' super-computazionali disponibili in Italia ma anche a farle interagire con risorse di questo tipo in altri Paesi. Il networking in questo campo assume quindi la caratteristica di una soluzione logistica automa ma non autarchica che, a sua volta, e' conditio sine qua non per produrre nuova conoscenza rispetto alle esigenze "di scala" peculiari delle scienze omiche. - Innovazione: da un lato questo Piano intende acquisire all'interno del SSN le innovazioni culturali, scientifiche, tecnologiche ed erogative gia' in qualche modo acquisite dalla ricerca nelle scienze omiche. Intende anche promuovere le necessarie innovazioni congeniali alle caratteristiche di questo campo (per esempio tecnologie per rendere fruibili ai "medici di prossimita'" il corpus delle evidenze scientifiche effettivamente utilizzabili nel rapporto col singolo paziente). Ma bisogna anche riconoscere una fondamentale questione che riguarda la necessita' di assicurare al nostro Paese una dimensione di "innovazione continua"; in questo senso si deve riconoscere il legame specifico che lo sviluppo delle scienze omiche ha con la crescita economica. Pertanto, si tratta di attivare una capacita' sistemica di "Ricerca e sviluppo" che garantisca tale prospettiva di crescita mediante un uso sistematico di concorsi di idee e bandi di start-up. Considerazioni riguardo l'implementazione - L'applicazione della genomica nell'assistenza sanitaria ha il potenziale di ridurre l'impatto delle malattie sulla salute della popolazione. Il successo sara' tanto maggiore quanto questa applicazione avverra' come naturale ampliamento e complemento dei tradizionali approcci di sanita' pubblica. - I professionisti che lavorano nel campo della salute pubblica e coloro che hanno ruoli di responsabilita' nell'organizzazione del sistema sanitario hanno il compito di iniziare e facilitare il processo di implementazione al fine di assicurare un giusto equilibrio e di favorire la consapevolezza nei decisori politici. - Per una corretta implementazione della medicina genomica e' di importanza centrale l'educazione di professionisti, cittadini, decisori politici ed altri portatori di interesse. 1.a Il contesto programmatorio I contenuti del presente Piano tengono conto in primo luogo e in senso generale degli assetti specifici del SSN ed in secondo luogo dei seguenti atti di pianificazione strategica internazionale e nazionale: - WHO Global action plan for the prevention and control of non-communicable diseases 2013-2020. L'Italia ha sottoscritto l'obiettivo di ridurre, per il 2010, del 25% il rischio di mortalita' prematura per malattie cardiovascolari, cancro, diabete e malattie respiratorie croniche. Come e' evidente, questo obiettivo solleva potenzialmente il nostro sistema paese da un carico prevenibile di eventi morbosi e mortali, rafforzando il contributo da parte del servizio sanitario al sistema di welfare e rendendo questo piu' sostenibile, anche in relazione agli andamenti demografici tipici del nostro Paese. Questa caratteristica e', in modo particolare, attribuibile all'obiettivo sulla riduzione della mortalita' prematura da malattie croniche non trasmissibili, pur essendo valorizzabili in tal senso anche gli obiettivi sulla riduzione degli effetti dell'inquinamento, delle alterazioni epigenetiche e delle malattie infettive. - WHO The Human Genetic Programme. La WHO ha definito una propria policy di indirizzo in questo campo. Essa e' basata sulla necessita' di utilizzare le potenzialita' della genomica (e delle biotecnologie correlate) identificando interventi innovativi per raggiungere gli obiettivi di salute e mezzi costo-efficaci per la prevenzione, diagnosi e cura delle malattie. Nello stesso tempo, e' identificato come fondamentale considerare le implicazioni etiche, legali e sociali nonche' potenziare la ricerca. - European Union Council conclusions on personalized medicine for patients. Riguarda la medicina personalizzata come "modello che utilizza la caratterizzazione del fenotipo e del genotipo degli individui per personalizzare la strategia terapeutica per la persona giusta al momento giusto, e/o per determinare la predisposizione alla malattia e/o per erogare tempestivamente interventi di prevenzione mirati". Invita gli Stati membri a sviluppare politiche centrate sul paziente e basate sull'uso delle informazioni genomiche, integrandole nei programmi di sanita' pubblica e di ricerca e, nel contempo, assicurando l'adeguata valutazione delle nuove conoscenze e la sostenibilita' del sistema sanitario nazionale. Le conclusioni, tra l'altro (v.), forniscono indicazioni sull'equita' di accesso ai servizi, sull'approccio multidisciplinare, sul coinvolgimento degli stakeholders, sulla comunicazione, sulla formazione dei professionisti, sull'importanza dell'acquisizione di nuove conoscenze (biobanche ecc.) per lo sviluppo di nuove tecnologie. - Intesa Stato Regioni e PPAA del 13/3/13 recante "Linee di indirizzo sulla genomica in sanita' pubblica". L'Intesa ha lo scopo di fornire, in modo sistematico e organico, indirizzi generali che consentano il governo di questa tematica - fortemente innovativa e strategica per il futuro del SSN - nell'ambito della sanita' pubblica. A tale scopo vengono identificate le azioni finalizzate a definire una "capacita' di sistema" adeguata all'entita' delle sfide che i progressi nelle scienze genomiche offrono e pongono al sistema sanitario. - Intesa Stato Regioni e PPAA del 30/10/14 recante "Documento Tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro" L'intesa, nel quadro delle azioni necessarie alla lotta contro il cancro, sottolinea l'importanza di sviluppare pienamente le potenzialita' della genomica e della proteomica come definizione della suscettibilita' individuale; ribadisce inoltre che, in relazione alla grande crescita di conoscenze genetiche nella ricerca di base e nell'applicazione agli individui, e' emergente la necessita' di governare lo sviluppo di tale ricerca, la valutazione della sua applicabilita' nell'ambito del sistema sanitario, in particolare della prevenzione, e la costruzione di una rete per promuovere gli obiettivi della genomica a livello di popolazione. - Piano Nazionale della Prevenzione 2014-18 (di cui all'intesa Stato regioni e PPAA del 13/11/14). Il PNP, nell'ambito della lotta alle malattie croniche non trasmissibili, identifica uno specifico obiettivo riguardante la prevenzione secondaria del tumore della mammella dovuto a rischio genetico (Definizione di percorsi diagnostico-terapeutici integrati con i programmi di screening). - DM 13/2/16 Documento di indirizzo per l'attuazione delle linee di supporto centrali al Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018. Il DM definisce due linee strategiche: - una pianificazione finalizzata all'innovazione dell'erogazione dei servizi: si tratta di promuovere sistematicamente l'adeguamento dell'erogazione dei servizi con le acquisizioni della genomica soprattutto rispetto agli obiettivi gia' identificati dal PNP 2014-18 come maggiormente sfidanti per il sistema paese (innanzitutto, le malattie croniche non trasmissibili-macro-obiettivo 1). Tale linea strategica e' sostanzialmente imperniata sul Consiglio Superiore della Sanita' e in particolare sull'obiettivo assegnato al "Tavolo per la genomica" di proporre uno specifico atto di pianificazione; - la promozione di una capacita' di sistema, secondo le seguenti priorita': promuovere una autonoma ma non autarchica capacita' di analisi dei Big data; rendere normativamente agevole il data-sharing, comprensivamente della normazione per la privacy; regolamentare l'acquisto on-line dei test genetici (in collaborazione con gli altri Paesi europei); definire un assetto di sistema delle valutazioni HTA applicate a questo campo; promuovere la literacy e il capacity building del mondo professionale e degli utilizzatori finali. In definitiva, oltre allo scopo di valorizzare le acquisizioni della genomica innanzitutto a sostegno degli e in coerenza con gli obiettivi del PNP, si definisce quello di promuovere un complessivo innalzamento delle capacita' di sistema di promuovere, governare e gestire il previsto impetuoso sviluppo delle conoscenze genomiche. - "Linee guida per le attivita' di Genetica Medica" approvate dalla Conferenza Permanente per i Rapporti fra Stato e Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano (G.U. n. 224 del 23.09.2004), che forniscono le indicazione per la corretta organizzazione e sviluppo delle attivita' di genetica medica. Successivamente, con proprio Decreto il Ministero della Salute (D.M. 8 Maggio 2007) ha costituito un'apposita Commissione Nazionale con il compito di dare attuazione alle suddette linee guida definendo i servizi di Genetica Medica e il loro ruolo nell'ambito del Servizio Sanitario Regionale, fissare i criteri per la certificazione e l'accreditamento istituzionale delle strutture di Genetica Medica, pianificarne le attivita' per l'utilizzo ottimale delle risorse del SSN e SSR da destinarvi, fornire indicazioni sul corretto utilizzo dei test genetici, determinare le forme di collegamento con la rete delle malattie rare, definire indicatori di valutazione economica, fissare regole sulla pubblicizzazione e sulla promozione dei test genetici e sulla consulenza genetica, procedere alla divulgazione di raccomandazioni basate sull'evidenza scientifica in tema di Genetica medica. Nel successivo Accordo sull'"Attuazione delle linee guida per le attivita' di genetica medica" n. 241 del 26-11-2009, si sottolinea come i test genetici costituiscano un importante strumento diagnostico che prevede una valutazione clinica preliminare delle indicazioni ed una successiva interpretazione con il coinvolgimento non solo dell'individuo ma anche dei familiari, e si invitano le Regioni ad impegnarsi a promuovere ed adottare percorsi diagnostico-assistenziali aderenti alle linee guida nazionali. 1.b Vision, principi, struttura e obiettivi generali Vision Il presente Piano postula, all'interno dell'assetto istituzionale attuale e relativamente alle materie trattate, un SSN che vuole: - essere pienamente consapevole della profonda, copernicana innovativita' delle scienze 'omiche' per gli effetti possibili sulla salute degli individui e delle popolazioni, sull'innovazione tecnologica, sulla spinta propulsiva allo sviluppo dell'intero sistema Paese; - esprimere una strategia di 'governo dell'innovazione' della genomica ma anche inserirla nell'attuale contesto pianificatorio / programmatorio; - cogliere con prudenza e saggezza le opportunita' attualmente gia' offerte dalla genomica come contributo alle sfide gia' in atto e al raggiungimento degli obiettivi di salute gia' definiti. Principi - Il Piano recepisce gli obiettivi sottoscritti a livello internazionale e incorpora gli obiettivi gia' decisi all'interno di Piani nazionali di settore. Nel fare cio' intende promuovere l'armonizzazione degli obiettivi formalizzati in tali atti garantendo un approccio complessivo di sanita' pubblica. - Il Piano fissa obiettivi supportati da strategie ed azioni evidence based, in grado nel medio-lungo termine di produrre un impatto sia di salute sia di sistema e quindi di essere realizzati attraverso interventi sostenibili e "ordinari". - Il Piano nel definire i propri obiettivi riconosce che e' in corso (e che esso stesso contribuira' a) un rapido evolversi delle conoscenze basate sulla genomica (e su scienze affini) e quindi incorpora elementi di sviluppo e prevede un processo continuo e per quanto possibile tempestivo di aggiornamento. - Il Piano riconosce l'importanza fondamentale della genesi e fruizione della conoscenza e pertanto riconosce la genesi di informazioni e la loro valutazione come elementi infrastrutturali indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi di salute. - Le azioni previste come attuative degli obiettivi di questo Piano tengono in conto: - il carattere universalistico del nostro sistema sanitario e la garanzia dell'equita' - le implicazioni etiche, legali e sociali - un approccio Life-course - l'empowerment degli individui e delle comunita' - l'importanza della responsabilita' nella produzione, condivisone e uso dei dati. Struttura del piano La struttura del piano e' finalizzata a identificare obiettivi specifici per le strutture del sistema sanitario, in riferimento quindi alla attuale tripartizione dei macrolivelli di assistenza di cui al DPCM 29/11/2001 (assistenza sanitaria collettiva, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera). In particolare, i contenuti saranno articolati tenendo conto dell'apporto della genomica rispetto a: prevenzione, diagnosi e terapia. Nell'affrontare i contenuti, sara' applicata la seguente struttura logica (che diventa il 'quadro logico centrale' del presente Piano): a) Genesi della conoscenza: quale e' la conoscenza disponibile? Questo primo 'aspetto' nella scrittura riguarda il fatto che la produzione e la sintesi della nuova conoscenza alla base del presente atto di pianificazione assume alcuni caratteri innovativi. Quindi, oltre al 'razionale' scientifico di merito sembra opportuno evidenziare le 'innovazioni' possibili e sostenibili nel SSN. Tra questi emerge, sia sul piano epistemologico che organizzativo, il problema di "Interrogare i Big Data". b) Fruibilita' della conoscenza: quali conoscenze sono utilizzabili e mediante quali strumenti? Questo aspetto definisce innanzitutto il campo delle nuove conoscenze basate sulla genomica che hanno, secondo i criteri HTA, sufficiente forza di evidenza da potere essere implementati (nonche' in generale di "utilizzabilita'" secondo i principi ELSI), e le relative modalita' di erogazione degli stessi (v. anche dopo). c) Definizione del processo sanitario: quale sequenza di atti tecnico-professionali e' evidence-based per raggiungere l'obiettivo di salute? Questo aspetto ambisce a identificare quali siano sul piano delle evidenze scientifiche le 'conseguenze' operative (finalizzate ad un radicale riorganizzazione dei servizi) per la gestione dei cittadini e dei pazienti (mediante produzione di linee-guida ecc). d) Erogazione dei servizi: sulla base degli aspetti trattati nei paragrafi precedenti, quali strumenti sono necessari per innovare l'erogazione dei servizi? Questo aspetto riguarda gli strumenti (protocolli, percorsi diagnostico-terapeutici, sistemi d accreditamento) che dovranno essere messi a disposizione delle Regioni per l'organizzazione innovativa dei propri sistemi sanitari. e) Valutazione: quali sistemi sono utilizzabili/devono essere progettati per valutare l'innovazione pianificata? Questo aspetto riguarda il disegno e l'implementazione di sistemi di valutazione di processo e di impatto (a carattere ricorsivo) e la definizione di indicatori. Gli obiettivi generali del Piano Questo Piano identifica i seguenti obiettivi generali: 1) Traferire le conoscenze genomiche nella pratica dei servizi sanitari, in un approccio che metta al centro l'individuo. 2) Aumentare l'efficacia degli interventi di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie a piu' alto burden tenendo in conto le differenze individuali relativamente a patrimonio genetico, stili di vita e ambiente e fornendo ai professionisti le risorse necessarie alla personalizzazione degli interventi. 3) Promuovere l'innovazione culturale, scientifica e tecnologica del sistema sanitario. Bibliografia 1. Healthy People U.S. Department for Health and Human Services Offices of Disease Prevention and Health promotion https://www.healthypeople.gov/ 2. Global Action Plan for the Prevention and Control of NCDs 2013-2020. http://www.who.int/nmh/events/ncd_action_plan/en/ 3. Boccia S. Why is personalized medicine relevant to public health? Eur J Public Health 2014;24:349-50 4. Healthcare, E.S.G.o.S., Acting Together: A roadmap for sustainable healthcare, in White Paper. 2014 5. Beyond Public Health Genomics A Framework for Future Personalised Healthcare 6. http://www.healthypeople.gov/2020/topics-objectives/topic/genomics 7. Floridi L The 4th Revolution Oxford University Press 2014 8. Council conclusions on personalized medicine for patients adopted by the Council at its 3434th meeting held on 7 December 2015; http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-15054-2015-INIT/en/pd f CAPITOLO 2 Basi scientifiche e concettuali delle tecniche omiche. - Origine del suffisso -oma. Il suffisso "-oma/omica" assume significati diversi a seconda del campo di applicazione. In biologia cellulare e molecolare viene in genere utilizzato per caratterizzare e quantificare insiemi di molecole biologiche rappresentative della struttura, funzione e dinamica di uno o piu' organismi. Le prime utilizzazioni di questo suffisso risalgono all'800 quando vennero coniati i termini "rizoma" (1832; modificazione del fusto di una pianta, di solito a decorso orizzontale, con funzioni di riserva) e "scleroma/rinoscleroma" (1870; una malattia batterica, cronica, granulomatosa), seguite, a distanza di diversi anni, dai termini "mitoma" (1913; la parte piu' densa del protoplasma di una cellula), "bioma" (1916; complesso delle comunita' climax mantenuto dalle condizioni ambientali di una regione e distinto dalle altre comunita') e "genoma", un sostantivo coniato da Hans Winkler nel 1920, correntemente utilizzato per indicare la totalita' aploide del DNA contenuto nella cellula di un organismo. I bioinformatici ed i biologi molecolari sono stati tra i primi ad utilizzare su larga scala il suffisso "-oma", che oggi annovera oltre 1000 neologismi. - Dalla Citogenetica alla citogenomica. L'analisi citogenetica ha rappresentato, dal punto di vista storico, il primo esempio traslazionale di analisi del genoma, sia pure a bassissima risoluzione. Infatti, le tecniche citogenetiche standard, ad una risoluzione media di 320 bande, consentono di identificare riarrangiamenti (patologie cromosomiche) di dimensioni di poco inferiori alle 10 megabasi (Mb), ovvero 10 milioni di basi, mentre le tecniche molecolari hanno livelli risolutivi significativamente piu' elevati, da svariate chilobasi (una kb = 1000 coppie di basi), alle singole basi. Negli anni '80 la citogenetica ha sviluppato alcuni protocolli in grado di analizzare le piastre cromosomiche decondensate, allo stadio prometafasico o profasico, permettendo di ottenere risoluzioni crescenti del genoma e di standardizzare ideogrammi contenenti fino a 850 bande per assetto cromosomico aploide, riuscendo cioe' a raddoppiare il livello di definizione, rispetto ai preparati metafasici standard (cosiddette tecniche ad alta risoluzione). Una parte del significativo divario esistente tra l'analisi del cromosoma visibile al microscopio ottico ed il gene e' stato colmato dalle tecniche di citogenetica molecolare. La prima applicazione di questo tipo sui vetrini dei preparati cromosomici, l'ibridazione in situ, permetteva di riconoscere sulle cellule o sui cromosomi specifiche sequenze di acidi nucleici. Questa tecnica si basava sulla ibridizzazione, sui cromosomi acrocentrici, dell'RNA ribosomiale marcato con isotopi radioattivi e forniva una nuova dimensione allo studio dei cromosomi, in quando facilitava la visualizzazione, sui preparati, di sequenze complementari di DNA o di RNA. L'uso di molecole fluorescenti degli anni '80 ha consentito di sviluppare e standardizzare l'ibridazione in situ fluorescente (FISH), basata sul legame diretto (combinato con un fluorocromo) o indiretto (attraverso una molecola intermedia incorporata nella sonda) con le basi del DNA. In questo modo e' stato possibile elevare significativamente la risoluzione dell'analisi ed identificare riarrangiamenti cromosomici submicroscopici, creando una vera e propria rivoluzione citogenetica (la seconda dopo l'introduzione delle tecniche di bandeggiamento). Negli anni sono state messe a punto varie tecniche di crescente sensibilita', basate sulla FISH, e sono stati sviluppati strumenti sempre piu' sofisticati per l'acquisizione digitale, il pre-processamento e l'analisi digitale delle immagini. Queste tecniche hanno consentito di utilizzare simultaneamente una o piu' sonde di DNA. L'ibridizzazione genomica comparativa (CGH) e' una tecnica che, con un singolo esperimento, analizza sui cromosomi le variazioni del numero delle copie (CNV), in termini di guadagno/duplicazione o perdita/delezione. Sviluppata all'inizio degli anni '90, si basa su una FISH quantitativa a due colori, che analizza direttamente il DNA. Sebbene questa tecnica abbia segnato un sostanziale progresso nella risoluzione degli sbilanciamenti genomici, il guadagno di informazione risultava ancora relativamente limitato (<3Mb) rispetto a quella dei preparati cromosomici bandeggiati. In questo contesto ha rappresentato un significativo progresso, alla fine degli anni '90, lo sviluppo di strumenti di CGH basati sugli array (array-CGH), nei quali i cromosomi metafasici sono stati sostituiti da sequenze di DNA adese ad un vetrino di supporto. L'array-CGH ha percio' sostituito in larga misura l'analisi citogenetica nella pratica clinica. Il suo principio e' sostanzialmente quello della CGH e si basa su un'ibridizzazione genomica comparativa che utilizza come substrato un array anziche' le metafasi. Con gli SNP-array, basati sui polimorfismi dei singoli nucleotidi, e' stata ottenuta una risoluzione fino a 5-10 kb. In questi casi non e' necessaria la co-ibridizzazione del DNA di riferimento e del campione in esame, in quanto quest'ultimo puo' essere ibridizzato direttamente sull'array. Oltre a fornire informazioni sulle variazioni nel numero delle copie (CNV), queste piattaforme consentono di identificare le regioni di omozigosi e percio' i geni potenzialmente correlati alle malattie recessive, le aneuploidie in mosaico e le disomie uniparentali. La capacita' diagnostica di queste tecniche puo' essere ulteriormente ottimizzata dalla associazione, sulla stessa piattaforma, dell'array-CGH e dello SNP-array. La risoluzione degli array viene definita dal numero, dalle dimensioni e dalla distribuzione dei frammenti di DNA sul vetrino e correla con il numero dei frammenti fissati. Il loro limite resta l'impossibilita' di identificare i riarrangiamenti cromosomici bilanciati. In conclusione, le analisi citogenetiche e le tecniche di citogenetica molecolare offrono la possibilita' di indagare il genoma umano a diversi livelli di risoluzione, per finalita' diagnostiche e di ricerca. Sebbene le tecniche di citogenetica standard e molecolare, basate sulla FISH, siano state progressivamente sostituite dagli array, l'analisi dei cromosomi bandeggiati resta ancora la tecnica maggiormente utilizzata a livello mondiale per l'analisi genomica. In parallelo con il progressivo aumento del numero delle malattie genomiche e cromosomiche diagnosticate con le analisi citogenetiche e citogenomiche, e' diventato sempre piu' difficile riconoscere, in base al solo fenotipo clinico, la specifica condizione presente in un paziente. Anche se l'array-CGH e' diventato uno strumento consolidato di diagnosi e da tempo sono disponibili algoritmi in grado di definire il numero delle copie, la risoluzione delle piattaforme e' in continuo sviluppo. I dati clinici e citogenetici raccolti nei database a libero accesso contribuiscono a conoscere le combinazioni delle varianti ad effetto patogenetico, ma al momento resta ancora spesso problematico differenziare le perdite e le acquisizioni di significato patogenetico. Per questo, nella pratica corrente, le CNV vengono ancora classificate come "benigne" o varianti genomiche normali, "patogenetiche" o di potenziale rilevanza clinica, e di "incerto" significato clinico (o VUS - Variant of Unknown Significance). Il numero delle tecnologie applicate allo studio del genoma umano e' in continua trasformazione. L'uso di piattaforme per il sequenziamento di seconda generazione si e' progressivamente trasferito dalla ricerca nella pratica clinica. Si tratta di tecniche per molti aspetti alternative ai microarray, anche se, analogamente ad essi, al momento non risolvono tutti i problemi di tipo interpretativo. - Dal sequenziamento di un gene a quello dell'intero genoma. Le prime metodologie di sequenziamento del DNA risalgono agli anni '70. Tra queste, la strategia sviluppata da Sanger, basata sul metodo enzimatico dei terminatori di catena e sulla migrazione elettroforetica dei prodotti della reazione di sequenziamento, e' ancora oggi ampiamente utilizzata per il sequenziamento di singoli frammenti di DNA, Questo metodo, che consente di ottenere prodotti di sequenziamento lunghi fino a 800-1000 basi, e' stato automatizzato per aumentarne la processivita'. Tuttavia, le limitazioni intrinseche alla metodologia (alto costo di esecuzione e bassa efficienza) non permettono la sua applicazione nel sequenziamento su larga scala. Piu' recentemente, sono state sviluppate nuove metodologie, riunite sotto il nome di sequenziamento ad elevato parallelismo o sequenziamento di seconda generazione (cosiddetto Next Generation Sequencing - NGS), che hanno la capacita' di sequenziare molti frammenti di DNA contemporaneamente, anche se con efficienza minore in termini di numero di basi sequenziate per frammento. Queste nuove tecnologie possono fornire, a prezzo contenuto, milioni di sequenze di DNA per singolo esperimento e, grazie alla loro alta processivita', consentono di acquisire un'enorme quantita' di informazioni sul patrimonio genetico individuale. Il loro uso rende possibile, ad esempio, il sequenziamento di un intero genoma in pochi giorni, un'analisi che richiederebbe anni per essere completata con le tecniche tradizionali di sequenziamento. Queste tecnologie, anche grazie allo sviluppo degli strumenti bioinformatici richiesti per la gestione e l'analisi dei dati di sequenziamento, consentono di raggiungere obiettivi impensabili fino a pochi anni fa, sia sul piano della ricerca, rendendo piu' facile l'individuazione di nuovi geni implicati nelle malattie rare e ultra-rare, sia sul piano clinico, favorendo lo sviluppo di test diagnostici piu' rapidi ed efficienti. La maggior parte delle malattie geniche sono eterogenee, cioe' possono essere causate dalle mutazioni di geni diversi. La loro diagnosi molecolare ha utilizzato in prevalenza, per alcuni lustri, il sequenziamento secondo un approccio gene per gene. Tuttavia, nelle malattie causate dalla mutazione di molti geni, potenzialmente diversi nei singoli pazienti, questo approccio e' costoso e richiede molto tempo, addirittura mesi o anni. Le tecniche di sequenziamento di seconda generazione consentono di superare tali limiti e molti laboratori le utilizzano oggi correntemente per caratterizzare il difetto molecolare delle malattie rare. Queste tecniche consentono di arricchire specifiche regioni genomiche (geni-malattia), sequenziare massivamente e in parallelo ampi tratti di DNA delle regioni selezionate ed analizzare diversi pazienti contemporaneamente. Utilizzando le tecniche NGS e' possibile analizzare fino a 96 campioni contemporaneamente, ciascuno per il pannello dei geni-malattia responsabili della condizione sospettata a livello clinico, ed ottenere dati analizzabili in circa 10-15 giorni. Le NGS hanno percio' rivoluzionato i protocolli dei test genetici, in quanto consentono di ottenere diagnosi molecolari in tempi brevi, ad un costo ridotto, mantenendo elevata la qualita' dei risultati. Inoltre, hanno portato notevoli vantaggi a livello clinico, sia nel caso delle malattie ad elevata eterogeneita', sia in quelle associate ad un fenotipo sfumato, in cui puo' risultare maggiormente problematico ipotizzare il gene causativo coinvolto. Infatti, l'analisi simultanea di tutti i geni potenzialmente associati alla malattia in esame, riduce i tempi necessari ad identificare il difetto molecolare, migliorando la presa in carico e la consulenza genetica. L'elevata potenzialita' delle tecniche NGS ne ha determinato l'uso routinario nella diagnostica molecolare, in particolare nello studio delle malattie che condividono segni clinici, come ad esempio le Rasopatie (malattie collegate alle mutazioni dei geni della cascata di RAS). E' stato dimostrato che, in questi pazienti, l'uso di un pannello NGS contenente i geni-malattia noti riduce di circa otto volte i tempi necessari ad identificare il difetto molecolare e di circa sei volte i costi dell'analisi, rispetto al tradizionale sequenziamento Sanger. Inoltre permette, nei casi dubbi, di identificare il difetto molecolare prima dell'inquadramento clinico. L'applicazione delle tecniche NGS, oltre ad essere utile nello studio delle malattie ad elevata eterogeneita', e' importante anche nella diagnosi molecolare delle patologie causate dalla mutazione di geni di grosse dimensioni e delle malattie spesso causate da mutazioni in mosaico, ad esempio la sclerosi tuberosa, una malattia rara caratterizzata dallo sviluppo di tumori benigni, in particolare sulla pelle, nel cervello e nei reni. L'analisi basata sulle tecniche NGS ha prodotto una significativa accelerazione nello studio delle malattie genetiche e spesso e' risolutiva nell'inquadramento dei pazienti. Tuttavia, considerato l'elevato numero di regioni genomiche analizzate nel singolo paziente, identifica varianti di incerto significato, che possono creare problemi interpretativi, con ricadute negative sulla gestione clinica del paziente e sulla strutturazione della consulenza genetica. E' percio' indispensabile che i pazienti analizzati mediante NGS siano correttamente informati attraverso una consulenza genetica pre-test delle potenzialita' e dei limiti della tecnica e che i risultati del test siano spiegati e commentati attraverso una consulenza successiva all'analisi. - Analisi esomica. Sebbene il sequenziamento dell'intero genoma sia la strategia d'eccellenza per lo studio della variabilita' genetica interindividuale, esso presenta ancora alcune problematiche che ne limitano l'applicazione su larga scala, in particolare le capacita' computazionali richieste per l'analisi e l'archiviazione dell'enorme massa di dati prodotta. Per queste ragioni, le tecniche di sequenziamento di seconda generazione vengono oggi spesso utilizzate per sequenziare l'esoma, cioe' la porzione codificante del genoma. Con questo approccio, basato sull'arricchimento dei frammenti genomici che si riferiscono alle sequenze geniche codificanti per proteine e per sottoclassi selezionate di RNA che hanno una funzione regolatoria (cioe' microRNA), e' possibile esaminare solo una piccola porzione del genoma (1-2%). Questa analisi non prende in considerazione le regioni non codificanti del genoma, che peraltro possono avere un impatto sull'espressione genica. Tuttavia, in base alle attuali conoscenze sulle cause genetiche delle malattie mendeliane, e' largamente accettato che la maggior parte delle mutazioni responsabili delle malattie mendeliane causi cambiamenti nella sequenza codificante di un gene o determini un processamento aberrante del trascritto. Per questo motivo, l'esoma rappresenta un sottoinsieme particolarmente arricchito del genoma nel quale e' utile cercare eventuali mutazioni di potenziale impatto funzionale. In accordo con questa nozione, il sequenziamento mirato della porzione codificante del genoma si e' dimostrato un approccio particolarmente efficiente per comprendere le basi molecolari delle malattie mendeliane, al punto che negli ultimi anni ha consentito di identificare oltre 500 geni-malattia. Nonostante che i dati prodotti dal sequenziamento di un esoma siano maggiormente maneggevoli rispetto a quelli ottenuti dal sequenziamento dell'intero genoma, la fase di analisi e di interpretazione delle varianti rappresenta una sfida piuttosto complessa. Negli ultimi anni, sono stati sviluppati numerosi strumenti bioinformatici per il processamento, l'analisi e l'annotazione dell'informazione contenuta in un esoma. In generale, le piattaforme di sequenziamento generano un'enorme quantita' di dati grezzi, che vengono convertiti in sequenze nucleotidiche mediante strumenti computazionali. I file cosi' generati di solito si trovano in un formato che contiene, oltre alla lettura delle sequenze nucleotidiche, score di qualita' associati ad ogni base letta. La risoluzione a singola base di un esoma richiede l'analisi di questi file mediante l'uso di un complesso flusso di lavoro bioinformatico che permette, in una prima fase, di allineare le sequenze prodotte al genoma di riferimento e, successivamente, di identificare e annotare funzionalmente le varianti che lo caratterizzano. La fase di allineamento viene eseguita con sistemi computazionali che confrontano ciascuna delle sequenze prodotte con il genoma di riferimento, permettendone il loro corretto posizionamento. Per garantire l'affidabilita' di questi sistemi ed ottenere una valutazione globale dell'efficienza di sequenziamento, si applicano di solito diversi parametri di qualita'. Tra essi, particolarmente rilevanti sono la copertura (coverage), cioe' la percentuale di sequenze genomiche bersaglio coperte dal sequenziamento, e la profondita' (depth), ossia il numero di letture riferite ad una specifica base della sequenza genomica d'interesse. La fase successiva dell'approccio bioinformatico e' la "chiamata delle varianti ", che identifica i siti varianti in cui le sequenze allineate differiscono dalle sequenze note nella posizione di riferimento. Le varianti cosi' ottenute, possono essere processate con metodi euristici di prioritizzazione e filtraggio, al fine di ridurre l'alto numero di varianti annotate e selezionare quelle con significato funzionale. Generalmente, nella prima fase di questo approccio vengono eliminate le varianti polimorfiche che si suppone non abbiano un impatto patologico su un fenotipo assunto come "raro". A tale scopo, si utilizzano di solito banche-dati pubbliche come dbSNP (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/SNP/) e ExAC (http://exac.broadinstitute.org/), che permettono di identificare le varianti di bassa frequenza nella popolazione o non annotate. In una seconda fase, si raccolgono e valutano le informazioni disponibili su ciascuna variante e sul relativo gene, in modo da ordinare, per priorita', le prime in base al loro effetto predetto, ed i geni in base alla loro rilevanza biologica (ad es. espressione, funzione), rispetto al fenotipo d'interesse. Per l'annotazione e la predizione funzionale delle varianti si utilizzano diversi strumenti, ognuno dei quali ha punti di forza e debolezza. Per questa ragione, in genere si consiglia di attuare una strategia di prioritizzazione in grado di sfruttare piu' strumenti di predizione. Ad esempio, in questo contesto, un metodo recente, dbNSFPv.2.0 (database for Nonsynonymous SNPs' Functional Predictions), facilita questo processo perche' integra gli score di previsione e di conservazione derivati da alcuni dei piu' comuni algoritmi in uso. Data la sua potenzialita', questo strumento bioinformatico e' facilmente applicabile al filtraggio ed alla prioritizzazione delle varianti ottenute per lo studio delle malattie mendeliane. Analogamente, sono stati sviluppati diversi strumenti per integrare l'informazione disponibile nelle banche-dati e facilitare approcci di prioritizzazione basati su criteri oggettivi. Il sequenziamento dell'esoma si e' dimostrato particolarmente efficiente in ambito diagnostico. Recenti studi concordano per una detection rate del 40% circa per le patologie senza nome o con diagnosi non accertata. Occorre tuttavia precisare che il successo nel raggiungere una diagnosi su base molecolare attraverso il sequenziamento dell'esoma puo' variare considerevolmente in base al tipo di patologia in esame ed alla strategia di sequenziamento utilizzata (analisi del solo probando vs analisi del nucleo familiare). L'uso del sequenziamento dell'esoma nella pratica clinica ha confermato le grandi potenzialita', ma anche la difficolta' di interpretazione dei dati ottenuti, particolarmente nel caso delle varianti in precedenza non annotate. Si deve anche considerare l'aspetto relativo all'identificazione delle variazioni di sequenza nei geni implicati in malattie non correlate con il quadro clinico che ha motivato l'accertamento molecolare. Questo problema e' particolarmente rilevante per il maggior potere risolutivo dell'analisi esomica e per l'attuale scarsa conoscenza sulla ricaduta fenotipica della maggior parte delle varianti genetiche. Occorre infine sottolineare che i dati attualmente disponibili indicano che il tasso di errore del sequenziamento di seconda generazione e' basso, ma non trascurabile, ed e' strettamente dipendente dal tipo di variazione (singolo cambiamento nucleotidico vs inserzione/delezione di piu' basi) e dal suo contesto di sequenza. Di conseguenza, e' sempre necessario validare la variante selezionata con il sequenziamento Sanger che rappresenta, ancora oggi, il metodo di sequenziamento di riferimento. - Sequenziamento dell'intero genoma. Le tecniche di sequenziamento di seconda generazione hanno reso possibile l'analisi dell'intero genoma a costi e tempi stimati oggi oltre 100mila volte piu' bassi rispetto a quelli necessari nel 2000, quando e' stata prodotta la prima mappa del genoma umano. In pratica si e' passati dagli oltre 100 milioni di dollari e dai tempi allora necessari, che venivano misurati in anni, ad un migliaio di dollari e a pochi giorni per il completamento di questi studi. Di conseguenza, oggi sono diventati in proporzione significativamente piu' elevati i costi dell'analisi bioinformatica, necessaria ad interpretare i milioni di dati prodotti, rispetto a quelli della genotipizzazione. Le analisi genome wide hanno avuto un grande impatto nella comprensione delle differenze e percio' della variabilita' interindividuale e hanno dato un senso ad una celebre affermazione di Sir William Osler, risalente al 1892, che asseriva "se non esistesse la variabilita' tra le persone la medicina sarebbe una scienza e non un'arte", a sottolineare che "esistono i malati, non le malattie". Per lungo tempo il senso di questa variabilita' non e' apparso chiaro, anche se, proprio in quel periodo, una scuola di pensiero, quella del determinismo, tendeva a ricondurla alle caratteristiche ereditate al momento del concepimento, in un momento in cui si era ancora ben lontani dal comprenderne le basi biologiche. Nel secolo scorso, di pari passo con la scoperta della struttura e della funzione del DNA, si e' affermato il concetto che lo stato di salute e di malattia sono il risultato dell'interazione tra le caratteristiche genetiche e l'ambiente. E' diventato contestualmente chiaro che, mentre alcune malattie sono prioritariamente riconducibili ai fattori genetici (patologie cromosomiche, genomiche, mendeliane, mitocondriali) ed altre all'ambiente (traumi, ustioni, ecc.), altre ancora, in particolare molte malattie comuni (cardiovascolari, diabete, ipertensione, osteoporosi, ecc.) e diversi difetti congeniti (cardiopatie congenite, difetti del tubo neurale, labio-platoschisi, ecc.), originano dall'effetto additivo tra la suscettibilita' geneticamente determinata e l'ambiente. La componente genetica di questo sistema complesso e' definita "ereditabilita'" (h2) ed e' percio' riconducibile alle caratteristiche del genoma, mentre la componente ambientale, intesa come alimentazione, farmaci, microbioma, stili di vita, e' sintetizzabile nell' "esposoma", letteralmente tutto cio' a cui siamo esposti e con cui veniamo a contatto nel corso della nostra esistenza. La rivoluzione genetica e' stata trainata dalla rivoluzione tecnologica, che ha permesso di indagare per la prima volta i meccanismi biologici della variabilita' interindividuale, nonche' dell'ereditabilita'. E' stato cosi' scoperto che le persone differiscono tra loro di circa 4 milioni di basi, che circa una base ogni 200 basi e' diversa e che ogni persona possiede oltre 1500 variazioni che la rendono diversa rispetto alle mappe di riferimento. L'unicita' dell'individuo e' ulteriormente definita dalle variazioni funzionali dei geni (il trascrittoma) e dei loro prodotti (proteoma e metaboloma), che variano nel tempo a livello tessutale e cellulare. Questo aspetto e' bene illustrato dallo studio dei gemelli identici che, pur condividendo lo stesso patrimonio genetico, negli anni tendono a divergere sempre piu' a livello del loro fenotipo clinico, in particolare per l'effetto modulante dell'esposoma sul genoma, nonche' delle mutazioni somatiche. A partire dal 2005, sono stati eseguiti oltre 2000 studi genome wide che hanno reclutato individualmente migliaia o diverse decine di migliaia di pazienti affetti da oltre 250 malattie complesse ed un numero analogo di soggetti non affetti, con lo scopo di identificare eventuali variazioni (mutazioni comuni o polimorfismi) differentemente rappresentati nei due gruppi. Le differenze osservate tra gli affetti ed i controlli sono riuscite a definire geni e regioni genomiche potenzialmente associate alla malattia in esame, che concorrono percio' alla sua ereditabilita'. Complessivamente sono state identificate oltre 12.000 variazioni. Tuttavia, il potere predittivo dei singoli polimorfismi e' basso, con un rischio aggiuntivo medio di 1,1-1,5; inoltre al momento, fatto salve alcune eccezioni, questi studi hanno definito solo il 15% o meno dell'ereditabilita' delle singole malattie; infine, l'impatto traslazionale di queste ricerche rimane molto limitato, anche perche' la frequenza di molti polimorfismi varia in maniera spesso molto significativa nelle diverse popolazioni e gli studi effettuati in una determinata area geografica necessitano di essere verificati e validati sulle altre popolazioni, prima di essere utilizzati a livello clinico. Pur con queste cautele, che rendono problematico il trasferimento delle ricerche nella consulenza genetica, non va ignorato che questo limitato potere predittivo non e' in certi casi inferiore a quello in base al quale oggi viene calcolato il rischio mediante test non-genetici, utilizzati nella clinica, come ad esempio quelli relativi ai livelli del colesterolo LDL o agli antigeni prostata-specifici. Non vi e' dubbio che le analisi genomiche stiano comunque contribuendo alla comprensione delle basi biologiche delle malattie e dei caratteri poligenici. Cosi', ad esempio, alcuni studi hanno riscoperto una serie di geni indiziati da tempo per essere implicati in queste condizioni, oppure che erano gia' noti per essere mutati in alcune malattie mendeliane correlate; inoltre hanno evidenziato l'importanza di certi geni che codificano per i siti di azione di alcuni farmaci, come la sulfonilurea (negli studi del diabete tipo 2), le statine (negli studi che indagano i meccanismi di controllo dei livelli lipidici), gli estrogeni (negli studi sulla densitometria dell'osso), suggerendo potenziali strategie per la terapia delle malattie comuni. Infine, alcuni studi hanno messo in correlazione certe malattie complesse con nuove vie metaboliche. Ad esempio, le variazioni geniche associate alla degenerazione maculare senile hanno dimostrato la criticita' di alcune componenti del sistema del complemento, mentre gli studi sulle malattie infiammatorie croniche dell'intestino, in particolare la malattia di Crohn, hanno evidenziato l'importanza dell'autofagia e dell'interleukina-23, e quelli sulla statura il ruolo dei geni che codificano proteine della cromatina e della via di hedgehog (una famiglia di geni che codificano segnali induttivi durante l'embriogenesi), in particolare una proteina secreta che stabilisce il destino delle cellule durante lo sviluppo. L'eventuale uso clinico di queste analisi dovrebbe tuttavia tenere conto di una serie di cautele: 1. le persone non dovrebbero sottoporsi a questi test senza conoscere a priori come utilizzare i risultati; 2. almeno un test ogni 20, tra quelli con una dichiarata specificita' del 95%, fornisce un risultato falso positivo e quindi il sequenziamento completo del genoma di una persona produce un risultato che contiene non meno di 6000 errori; 3. all'interno dei dati ottenuti, alcuni non hanno un chiaro significato clinico (i cosiddetti VUS - Variations of Unknown Significance), il che limita ulteriormente il potere predittivo di queste analisi; 4. il valore clinico di queste indagini dipende dalla possibilita' di collegare specifiche varianti ad un miglioramento dell'esito clinico Sebbene le indagini sulla suscettibilita' appaiano al momento premature per quasi tutte le malattie complesse, questo scenario potrebbe cambiare nei prossimi anni. Ad oggi, comunque, le analisi sull'ereditabilita' dei caratteri complessi restano essenzialmente oggetto di studio e di ricerca. Quanto sopra raccomanda interventi di formazione e di informazione sulle potenzialita' ed i limiti della cosiddetta medicina predittiva rivolta alle malattie complesse, basata sulle analisi genomiche, nonche' di contrasto alla pubblicita' ingannevole, al fine di limitare l'uso dei test rivolti direttamente ai consumatori che una commercializzazione spesso spregiudicata reclamizza con il miraggio di acquisire informazioni utili a cambiare il destino delle persone. Uno studio, che ha intervistato un campione rappresentativo di persone che si sono sottoposte alle analisi genome wide con finalita' predittive, ha indicato che, dopo il test, il 34% ha cambiato la dieta, il 14% ha aumentato l'attivita' fisica, il 43% si e' informato sulla patologia per la quale era stato ipotizzato un aumento della suscettibilita', il 28% ha condiviso i risultati con il medico di famiglia, il 9% ha effettuato ulteriori approfondimenti di laboratorio. Un risultato che complessivamente non giustifica i costi di un test cosi' sofisticato! Al momento stenta a decollare la promessa di Francis Collins formulta in occasione della conferenza di presentazione della prima bozza della mappa del genoma umano, il 26 giugno 2000: "La medicina personalizzata sara' disponibile dall'anno 2010: avremo test in grado di identificare il rischio individuale di sviluppare malattie comuni e subito dopo disporremo di protocolli individualizzati di prevenzione e terapia". Tuttavia il divario, tra quanto anticipato e lo stato dell'arte, puo' costituire il volano per aiutare la ricerca a completare il processo di integrazione delle analisi -omiche nella pratica clinica. Bibliografia 1. Monia Baker. Nature 2013; 494:416-419 2. ISCN 2013: An International System for Human Chromosome Nomeclature, Karger, Basel 3. Lepri et al. BMC Med Genet. 2014; 23;15:14 4. Kaufman et al. J Genet Couns, 2012; 21:413-22 PARTE SECONDA CAPITOLO 3 La genomica nella diagnosi. 3.a Malattie mendeliane: impatto clinico del sequenziamento di seconda generazione Dal sequenziamento Sanger al sequenziamento di seconda generazione. Fino alla recente introduzione nella pratica clinica del sequenziamento di seconda generazione, l'analisi molecolare utilizzata per confermare la diagnosi clinica di una malattia potenzialmente genica, era il sequenziamento del gene o di un gruppo di geni d'interesse, utilizzando la tecnica sviluppata da Sanger. Questa metodologia, basata sull'analisi di frammenti di DNA della lunghezza di 200-500 basi, ottenuti per amplificazione in vitro con la reazione a catena della polimerasi (PCR), costituisce ancora oggi la strategia analitica elettiva per le malattie caratterizzate da bassa eterogeneita' genetica, cioe' causate da mutazioni in un ristretto numero di geni, o dovute alla mutazione di geni di piccole dimensioni. Nonostante le recenti implementazioni che ne hanno aumentato la processivita', un limite principale di questa tecnologia risiede nella necessita' di analizzare singolarmente i frammenti genomici d'interesse. Cio' diventa particolarmente problematico per le malattie causate dalle mutazioni di geni di grosse dimensioni e/o contenenti numerosi esoni, oppure per le malattie geneticamente eterogenee, cioe' causate dalle mutazioni di geni diversi. Inoltre, l'elevato costo di esecuzione non consente di applicare questa tecnologia al sequenziamento su larga scala. Questi limiti sono stati oggi superati dall'uso, sempre piu' esteso, anche in ambito clinico, delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione. Grazie al loro basso costo, queste tecnologie consentono di analizzare un elevato numero di frammenti di DNA in parallelo e di sequenziare contemporaneamente molti geni, l'intera porzione del genoma che codifica per proteine (esoma), o addirittura l'intero genoma di una persona in pochi giorni. Queste tecniche permettono anche, in linea di principio, di identificare le varianti strutturali, ad esempio, le duplicazioni e le delezioni delle regioni genomiche. Per queste caratteristiche, il sequenziamento di seconda generazione e i diversi approcci diagnostici basati su questa tecnologia, rappresentano uno strumento diagnostico innovativo, di elevato interesse clinico, in quanto consentendo di effettuare indagini in precedenza tecnicamente impraticabili oppure economicamente onerose, nonche' di abbattere sensibilmente i tempi e i costi della diagnosi molecolare. Attualmente l'applicazione del sequenziamento di seconda generazione in ambito clinico si basa su tre principali strategie diagnostiche: il sequenziamento mirato di pannelli di geni-malattia (targeted resequencing), il sequenziamento dell'esoma e il sequenziamento dell'insieme dei geni noti per essere implicati nelle malattie. Una quarta strategia consiste nel sequenziamento dell'intero genoma, che consente, tra l'altro, una piu' estesa e omogenea copertura rispetto all'esoma. Tuttavia le criticita' relative all'analisi, compresa l'interpretazione di tutte le variazioni identificate, l'archiviazione della massa dei dati prodotti ed i costi ancora troppo elevati, ne limitano il suo impiego in campo clinico-diagnostico. L'uso appropriato di queste strategie di sequenziamento e l'ulteriore evoluzione tecnologica, consentira' di ridurre i costi e i tempi della diagnosi e di ottenere la conferma molecolare di un'ipotesi diagnostica formulata attraverso una valutazione puramente clinica. - Targeted resequencing. Il sequenziamento selettivo di un pannello di geni-malattia scelti sulla base della loro associazione con la malattia in esame costituisce la strategia d'eccellenza per la diagnosi molecolare delle malattie causate dalle mutazioni in geni di grandi dimensioni o di malattie geneticamente eterogenee. In quest'ultimo caso, l'analisi e' indicata quando le mutazioni nei genimalattia inseriti nel pannello spiegano una percentuale significativa dei casi o quando si sospetti la presenza di un mosaicismo. Considerato l'elevato beneficio in termini di costi, sensibilita' e velocita' dell'analisi, questa strategia di sequenziamento e' gia' ampiamente utilizzata nella pratica clinica, ed e' destinata a diventare l'approccio di prima scelta nell'analisi delle malattie geneticamente eterogenee (ad esempio le cardiomiopatie, le distrofie muscolari, le malattie metaboliche, la retinite pigmentosa, ecc.); delle malattie dovute a mutazioni di famiglie di geni (condizioni nosologicamente distinte che condividono una serie di segni clinici, ad esempio le RASopatie, le ciliopatie, ecc.); dello screening di geni di grandi dimensioni (e.g., DMD, ATM, FBN1, MLL2, NF1, ecc.). Il sequenziamento di pannelli di geni consente anche di analizzare contemporaneamente decine di campioni. Questa maggiore efficienza e' essenzialmente legata alla elevata profondita' di lettura dei geni sequenziati, nettamente superiore a quella mediamente ottenuta con il sequenziamento dell'esoma. Tuttavia questo test non rileva le varianti strutturali e, ovviamente, non puo' rilevare varianti che interessano le regioni non codificanti dei geni esaminati. Lo svantaggio del sequenziamento mirato di pannelli di geni-malattia e' legato essenzialmente alla necessita' di un loro continuo aggiornamento, man mano che nuovi geni vengono associati alla malattia d'interesse e alla necessita', nel caso di esito negativo dello screening, di analizzare i pazienti attraverso sequenziamento dell'esoma. - Sequenziamento dell'esoma. Il sequenziamento dell'esoma rappresenta, in linea di principio, la migliore strategia per arrivare alla diagnosi molecolare nel caso di una condizione per la quale i dati disponibili suggeriscono una base genetica non associata ad anomalie strutturali del genoma (ipotesi verificabile attraverso l'uso di approcci complementari quali l'ibridazione genomica comparativa e la genotipizzazione ad alta risoluzione), e quando il quadro clinico non e' riconducibile ad una malattia nota, oppure sono stati in precedenza esclusi i geni associati ad una malattia nota. L'analisi dell'esoma puo' essere utilizzata anche come valida alternativa al targeted resequencing nel caso in cui la malattia presenti elevata eterogeneita' genetica. Numerosi studi finalizzati a stimare l'efficienza diagnostica dell'analisi dell'esoma convergono nell'indicare un tasso di successo superiore al 25% per le condizioni prive di un inquadramento diagnostico. Tale percentuale varia tuttavia in rapporto al tipo di malattia, alla selezione clinica, alla strategia di sequenziamento utilizzata. In particolare, il sequenziamento del nucleo familiare, anche se maggiormente costoso, e' di solito piu' informativo. Tuttavia, il sequenziamento dell'esoma non e' sempre in grado di rilevare le varianti strutturali e, come anticipato, neppure le varianti presenti nelle regioni non codificanti del genoma (il 98-99% del genoma non viene analizzato). L'uso del sequenziamento dell'esoma nella pratica clinica ha confermato le grandi potenzialita', ma anche la difficolta' di interpretazione dei dati ottenuti, particolarmente nel caso di varianti in precedenza non annotate. La variabilita' genetica inter- e intra-popolazione puo' rendere maggiormente difficile l'analisi di filtraggio e priorizzazione delle varianti identificate e rende necessaria la creazione di banche-dati popolazione-specifiche per una piu' precisa valutazione della ricorrenza delle varianti rare. Nonostante il sostanziale miglioramento delle metodologie di cattura e/o arricchimento delle regioni genomiche codificanti, e la sempre piu' dettagliata caratterizzazione della topologia funzionale del genoma, ancora oggi non sono disponibili kit in grado di coprire omogeneamente il 100% dell'esoma, incluse le regioni particolarmente ricche in GC, come il primo esone codificante di numerosi geni. - Esoma clinico. Il cosidetto "esoma clinico" si pone tra l'analisi di pannelli di geni-malattia e l'analisi dell'intero esoma. Si basa sul sequenziamento dell'intera porzione codificante di tutti i geni noti per la loro rilevanza clinica, cioe' in precedenza associati alle malattie. Questa strategia, a differenza del sequenziamento dell'esoma, per definizione non consente di identificare nuovi geni-malattia, ma e' utile nel caso in cui la malattia presenti un'elevata eterogeneita' genetica e i singoli geni-malattia siano mutati solo in una bassa percentuale dei casi; oppure, nel caso di malattie che, per la loro rarita', non sono state sufficientemente caratterizzate dal punto di vista clinico. Analogamente all'analisi dell'esoma, l'esoma clinico permette in linea di principio di identificare la coesistenza in un paziente di mutazioni responsabili di malattie genetiche distinte. Questa situazione non deve essere sottovalutata, in quanto questo tipo di associazione e' stato documentato nel 5% dei casi in coorti non selezionate di pazienti analizzati utilizzando il sequenziamento dell'esoma per finalita' diagnostiche. La mole di dati acquisita con il sequenziamento dell'esoma puo' eventualmente essere analizzata considerando esclusivamente sottogruppi di geni di interesse. Questo approccio, noto come targeted data analysis, consente di focalizzare l'analisi sui dati genomici riguardanti pannelli selezionati "in silico" di geni-malattia precedentemente implicati nella patologia in esame. Questo approccio rende il sequenziamento dell'esoma particolarmente vantaggioso, in quanto consente di acquisire il piu' elevato livello di informazione in un singolo esame di laboratorio, e permette di analizzare successivamente i dati prodotti, tenendo conto delle conoscenze acquisite negli anni, o di formulare una diversa ipotesi diagnostica dopo la rivalutazione clinica del paziente. Impatto clinico delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione Le tecnologie di sequenziamento di seconda generazione trovano applicazione in diversi ambiti della medicina. Accanto alla diagnosi di malattie mendeliane, il loro uso trova impiego crescente in campo oncologico, nella caratterizzazione molecolare dei tumori, nell'identificazione di potenziali bersagli molecolari di terapia o di varianti di predisposizione all'insorgenza di tumori. Un'altra importante applicazione riguarda lo screening prenatale non invasivo sul sangue materno (Non Invasive Prenatal Testing - NIPT). Nonostante le difficolta' interpretative dovute all'alta densita' dei dati prodotti, le informazioni generate dall'applicazione delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione, in particolare dall'analisi dell'esoma, offrono importanti opportunita' per diagnosi piu' rapide e corrette, con enormi ricadute a livello clinico, consentendo una piu' rapida ed efficace presa in carico del paziente affetto da malattia genetica. Anche se il tasso di errore del sequenziamento di seconda generazione e' basso, esso non e' trascurabile ed e' strettamente dipendente dal tipo di variazione (singolo cambiamento nucleotidico vs inserzione/delezione di piu' basi) e dal suo contesto di sequenza. Di conseguenza, e' sempre necessario validare le varianti identificate con il sequenziamento Sanger, che rappresenta ancora oggi il metodo di sequenziamento di riferimento, e, con la stessa metodica, verificarne la co-segregazione con la malattia nel nucleo familiare. Un aspetto non marginale riguarda la gestione dei cosiddetti "risultati inattesi" (incidental findings), cioe' l'identificazione di varianti di potenziale significato patogenetico all'interno di geni-malattia, ma non correlati con il quadro clinico che ha determinato l'indicazione all'accertamento molecolare. Alcuni di questi risultati potrebbero essere clinicamente rilevanti, come ad esempio le varianti d'interesse farmacogenetico, di predisposizione alle neoplasie o relativi alle malattie per le quali sono disponibili approcci terapeutici o di prevenzione. Questo problema e' particolarmente rilevante stante l'elevato potere risolutivo dell'analisi esomica, ma anche per l'attuale scarsa conoscenza del significato funzionale e della rilevanza clinica della maggior parte delle varianti genetiche. Le conseguenti implicazioni sanitarie ed etiche devono essere gestite nel corso della consulenza genetica. Obiettivi e Raccomandazioni Da quanto esposto emergono le seguenti priorita', rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 1): - Programmazione dell'Implementazione delle tecniche di sequenziamento di seconda generazione. E' necessaria un'accorta programmazione, che parta dal censimento delle piattaforme gia' implementate e delle competenze gia' disponibili. Tale indagine e' di interesse nazionale e puo' essere condotta utilizzando il questionario prodotto, ai sensi dell'Intesa 13/3/13 con il relativo progetto CCM (Definizione e promozione di programmi per il sostegno all'attuazione del Piano d'Intesa del13/3/13 recante Linee di indirizzo su "La Genomica in Sanita' Pubblica). Il successivo piano di potenziamento, anche in relazione ai costi connessi, dovra' essere oggetto di uno specifico accordo Stato - Regioni. - Produrre, a partire dai documenti delle societa' scientifiche gia' disponibili e dalle indicazioni internazionali, linee-guida per l'utilizzo del sequenziamento. L'implementazione di una capacita' di sequenziamento evidentemente postula anche un suo appropriato utilizzo. Il Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) elabora raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici piu' aggiornati, secondo il proprio metodo; e' riconducibile a tale processo anche la collaborazione con societa' scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potra' essere prodotta una linea-guida per l'uso appropriato del sequenziamento; la successiva fase di implementazione e' riconducibile alle responsabilita' e metodi della programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede un processo esplicito di recepimento e applicazione. Raccomandazioni. In accordo con le linee guida che la Societa' Italiana di Genetica Umana (SIGU) ha prodotto per dare elementi di indirizzo circa l'utilizzo dei test di sequenziamento di nuova generazione nell'ambito della Genetica Medica, si forniscono le seguenti raccomandazioni: - La caratterizzazione fenotipica e' fondamentale per la scelta della tecnica di diagnosi molecolare (sequenziamento Sanger, Targeted resequencing, WES) e per la successiva analisi delle varianti identificate. - Nel caso di fenotipi specifici, caratterizzati da bassa eterogeneita' genetica e coinvolgenti geni di piccole dimensioni, puo' essere opportuno ricorrere ad analisi con metodiche molecolari convenzionali (ad esempio: sequenziamento Sanger, PCR mirata per mutazioni dinamiche). Anche la lunghezza del gene puo' influenzare la scelta della tecnica analitica da utilizzare. In generale, e' auspicabile che l'analisi molecolare di geni molto grandi (numerosi esoni; per esempio NF1, CFTR, etc.) sia trasferita su piattaforme NGS per l'abbattimento dei costi e dei tempi di refertazione. - Nel caso di condizioni con elevata eterogeneita' genetica nelle quali mutazioni in un numero ridotto di geni sono responsabili della maggioranza dei casi e' auspicabile l'uso di un targeted resequencing (pannelli di geni noti). Tale strategia e' indicata anche in caso di sospetto mosaicismo. - Nel caso di condizioni con eterogeneita' genetica particolarmente marcata dove e' coinvolto un numero sempre crescente di geni, ognuno dei quali e' responsabile di una bassa percentuale di casi (per esempio paraparesi spastiche ereditarie, retiniti pigmentose, etc.) e' indicata l'esecuzione di un WES con un filtro limitato all'analisi di un pannello di geni noti (pannello "in silico"). In caso di negativita' dell'analisi di un pannello di geni, i dati esomici restano quindi a disposizione per le eventuali indagini successive indirizzate alla ricerca di nuovi geni candidati o per l'analisi di geni causativi identificati in un secondo tempo. - Infine in tutti i casi in cui non puo' essere formulata un'ipotesi diagnostica su base clinica e' preferibile l'analisi dell'intero esoma per l'individuazione del difetto genetico responsabile, che puo' riguardare mutazioni/geni gia' noti (ambito diagnostico) o nuovi geni candidati (ambito di ricerca) che necessitano di ulteriori conferme. E' auspicabile che tali indagini siano eseguite in centri con comprovata esperienza nell'ambito dell'analisi di dati esomici per garantire la piu' alta probabilita' di successo, che al momento, secondo la letteratura medica, si attesta attorno al 25%. - E' utile confermare sempre la mutazione identificata tramite metodica NGS con sequenziamento Sanger e stabilirne la segregazione nella famiglia quando possibile. Tabella 1. Interventi identificabili Parte di provvedimento in formato grafico 3.b Genomica nella diagnosi delle Malattie Complesse e Multifattoriali Lo studio della variabilita' interindividuale e' definito dall'analisi della distribuzione e della frequenza dei geni nelle popolazioni. Lo sviluppo di questi studi ha fornito risposte a numerosi quesiti circa l'origine della nostra specie, le grandi migrazioni che hanno caratterizzato l'evoluzione dell'uomo moderno, il ruolo della selezione naturale nel mantenere le frequenze geniche nelle popolazioni e, sul piano applicativo, la comprensione di parte delle basi biologiche di molte malattie complesse e multifattoriali. La variabilita' genica della nostra specie e' talmente elevata da definire mappe geografiche basate sulla frequenza di particolari alleli, ed e' misurata attraverso il polimorfismo, cioe' la percentuale di loci per i quali e' presente piu' di un allele, e l'eterozigosita', cioe' la percentuale di individui in una popolazione che porta alleli diversi nello stesso gene. Il valore medio di polimorfismo nei mammiferi e' circa 15%, mentre l'eterozigosita' e' circa 4% se riferita alle proteine, ma e' molto piu' elevata (>90%), se l'analisi e' basata sul DNA. L'esistenza di questa straordinaria variabilita' ha permesso di dimostrare che nella popolazione umana non esistono le razze. I polimorfismi sono indicatori della variabilita' e percio' sono dei marcatori genetici. Le categorie piu' importanti di questi marcatori sono i gruppi sanguigni, le proteine del siero o dei globuli rossi, gli antigeni linfocitari, i polimorfismi del DNA. La disponibilita' di questi sistemi consente di ottenere informazioni sull'evoluzione delle frequenze geniche, che cambiano nel tempo in rapporto all'effetto delle mutazioni, della migrazioni, della selezione naturale e della deriva genetica casuale. La mutazione e' un elemento chiave dell'evoluzione e la sua assenza determinerebbe l'arresto evolutivo di una specie. A meno che la quota di radiazioni a cui siamo esposti non aumenti considerevolmente o che un nuovo potente mutageno sia introdotto nella nostra dieta, e' probabile che il tasso di mutazione per qualsiasi gene rimanga abbastanza costante (tasso di mutazione medio: 10-5 - 10-9). Oggi si stima che il tasso reale di mutazioni nell'uomo, stimato mediante il sequenziamento completo dei genitori e dei figli, sia di circa 75 nuove mutazioni per generazione. Analogamente, la deriva genetica non ha conseguenze in popolazioni estese, ma puo' invece, avere un effetto notevole sulle frequenze geniche, nelle piccole popolazioni. Nel secolo scorso, di pari passo con la scoperta della struttura e della funzione del DNA, si e' affermato il concetto che lo stato di salute e di malattia sono il risultato dell'interazione tra le caratteristiche genetiche e l'ambiente. Le tecniche di sequenziamento di seconda generazione stanno contribuendo a decodificare l'ereditabilita' delle malattie complesse, anche se dopo una decina di anni di ricerche hanno definito mediamente, fatte salve alcune eccezioni, meno del 15% della loro componente genetica. Una possibile spiegazione di questa "ereditabilita' mancante" e' da attribuire certamente a valutazioni sovrastimate dell'ereditabilita' calcolata su base empirica in quanto gli effetti ambientali intra-familiari non sono stati inclusi nel modello di calcolo o perche' essi non potevano essere stimati. Inoltre, la variabilita' della frequenza di molti polimorfismi nelle popolazioni hanno contribuito a "diluire" il peso dei singoli marcatori nel calcolo delle loro associazioni e, di conseguenza, la loro utilizzazione clinica. E' stato chiarito da uno studio effettuato sulla popolazione Islandese che una parte sostanziale dell'ereditabilita' mancante e' dovuta a variazioni polimorfiche rare, che non sono incluse nei pannelli di genotipizzazione utilizzati. Per queste ed analoghe considerazioni e' necessario utilizzare con cautela i polimorfismi genetici associati alle malattie complesse, valutare con attenzione la sensibilita' e la specificita' dei test genetici e percio' l'accuratezza di predizione del rischio utilizzando curve ROC (Receiver-Operating Characteristic) e definendo le conseguenti aree AUC (Area Under the Curve), che costituiscono la misura del potere discriminante del test. E' pero' importante osservare che anche la predizione AUC puo' avere una scarsa utilita' clinica se la malattia e' rara nella popolazione. Ad esempio, l'allele HLAB27 e' fortemente associato al rischio di spondilite anchilosante, una rara forma di artrite cronica che colpisce mediamente 1-5% della popolazione. Nonostante il potere predittivo del biomarcatore in termini di specificita' e sensibilita' (99%), con una OR di circa 70, il rischio di sviluppare la malattia dopo un test HLAB27 positivo, e' molto basso. Pur con queste limitazioni, non va ignorato che questo limitato potere predittivo e' spesso assimilabile a quello con il quale oggi si calcola un rischio utilizzando nella clinica test non-genetici. Sebbene le analisi della suscettibilita' alla maggior parte dei fenotipi complessi appaiano al momento poco utilizzabili ai fini clinici, molti polimorfismi associati a malattie complesse, trovano interesse come biomarcatori genomici per definire la patogenesi delle malattie complesse (ad esempio malattie infiammatorie intestinali) e quali indicatori della risposta terapeutica. Ad esempio, l'allele C del polimorfismo rs8192675 del gene SLC2A2, che codifica per un trasportatore del glucosio, presenta una correlazione positiva con l'efficacia della metformina nel ridurre i livelli di emoglobina glicosilata, influenzando direttamente l'espressione del gene SLC2A nel fegato. Per questo viene considerato un potenziale marcatore di medicina personalizzata. Questo esempio illustra come, nel breve periodo, le analisi genome wide (GWA), integrate con quelle di espressione genica estesa (Genome-Wide Expression - GWE) e di epigenomica (Epigenome-Wide Association Studies, EWAS) potrebbero diventare uno strumento privilegiato per l'identificazione di una serie di biomarcatori genomici fondamentali per la medicina personalizzata o di precisione. Questi approcci integrativi e convergenti consentono infatti di definire network biologici di geni e proteine, che, attraverso l'analisi bioinformatica di banche-dati disponibili, potrebbero modificare lo scenario diagnostico e terapeutico delle patologie multifattoriali. Obiettivi e Raccomandazioni Da quanto esposto emergono le seguenti priorita', rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 2): - Garantire l'uso appropriato dei polimorfismi nella pratica clinica. Poiche' bisogna utilizzare con cautela i polimorfismi genetici associati a malattie complesse, e considerando, d'altra parte, il grande potenziale di nuove conoscenze che caratterizza la ricerca in questo campo, e' necessario che l'uso clinico delle analisi genomiche applicato alle malattie complesse sia sostenuto da chiare indicazioni basate sull'evidenza. E' quindi necessario prevedere sia un'accurata valutazione del loro uso nella clinica, sia un loro continuo aggiornamento in base alle evidenze scientifiche prodotte; cio' e' conseguibile mediante la produzione di linee-guida con una funzione di quick-review periodica della letteratura sia primaria che secondaria; tale funzione dovrebbe essere assicurata dal network HTA previsto nel Cap. 6. Tabella 2. Interventi identificabili Parte di provvedimento in formato grafico 3.c Tumori 3.c.i Mutazioni germinali I tumori ereditari rappresentano solo una piccola frazione di tutti i tumori (1-10%). La ricerca di mutazioni germinali e' funzionale all'identificazione di un aumentato rischio familiare, e' un percorso da sviluppare correttamente tramite la Consulenza Genetica Oncologica (CGO) ed e' strettamente focalizzato alla prevenzione e all'analisi precoce della malattia. La sua applicabilita' e' quindi nell'individuazione preventiva di pazienti sani con un aumentato rischio per patologie oncologiche quali ad esempio il carcinoma della mammella e dell'ovaio, il carcinoma del colon, la sindrome di Lynch. Il numero di geni responsabili di forme di predisposizione ereditaria al cancro e' in continua crescita e attualmente se ne conoscono quasi un centinaio, implicati in una cinquantina di diverse sindromi, ciascuna delle quali presenta le sue specificita', legate alla sede e tipologia dei tumori. Nella maggior parte dei pazienti la predisposizione viene ereditata con modalita' autosomica dominante con penetranza incompleta e interessa un gene oncosoppressore. In questi casi la cancerogenesi segue il modello two-hits, per cui la prima mutazione e' ereditata mentre la seconda, somatica, disattiva l'altro allele. Viceversa nelle forme tumorali sporadiche entrambe le mutazioni devono avvenire a livello somatico. Noto anche come "ipotesi di Knudson", questo modello e' stato formulato la prima volta piu' di 40 anni fa per spiegare l'origine del Retinoblastoma, un raro tumore infantile della retina, ma viene oggi esteso a moltissime altre forme tumorali ereditarie (ad esempio geni APC, PTEN, p53, VHL, NF1, NF2). Anche alcuni geni della riparazione del DNA trasmettono la predisposizione con analogo meccanismo autosomico dominante, in accordo con il suddetto modello (ad esempio geni Mismatch Repair-MMR, BRCA1, BRCA2). Meno frequentemente l'ereditarieta' imputabile ad essi e' autosomica recessiva (ad esempio gene MUTYH del sistema Base Excision Repair-BER). Numerose sono inoltre le sindromi da instabilita' genetica, spesso associate allo sviluppo di tumori, con ereditarieta' di tipo autosomico recessivo legate a mutazioni in geni appartenenti a diversi sistemi di riparazione e/o di controllo dell'integrita' del DNA (ad esempio geni FANC, BLM,ATM, geni XP del sistema Nucleotide Excision Repair-NER). Le rare forme di predisposizione dovute a oncogeni sono invece sempre dominanti (ad esempio geni RET, KIT, MET). Nella Tabella 3 sono riportati alcuni esempi relativi ad alcune tra le sindromi di predisposizione al cancro piu' note, le principali manifestazioni cliniche (tumorali e non), le modalita' di trasmissione (AD, autosomico dominante; AR, autosomico recessivo) e i geni coinvolti. Tabella 3. Esempi relativi ad alcune sindromi di predisposizione al cancro Parte di provvedimento in formato grafico Nel caso specifico di ricerca di una mutazione in pazienti gia' affetti da patologia oncologica il test per le mutazioni germinali oggi e' uno strumento utile per stimare il rischio di secondi tumori e per screenare i consanguinei al fine di attuare strategie preventive. Inoltre il test genetico puo' oggi consentire una terapia personalizzata, come ad esempio nel caso dei nuovi farmaci quali i PARP inibitori che hanno mostrato efficacia nelle pazienti con carcinoma ovarico BRCA mutato. 3.c.ii Mutazioni somatiche La maggior parte dei tumori sono sporadici e contraddistinti esclusivamente da mutazioni acquisite nel corso della vita, a carico di oncogeni, oncosoppressori e geni della riparazione del DNA. Gli oncogeni sono geni cellulari dotati di proprieta' oncogene trasformanti; si tratta spesso di sequenze di DNA omologhe, cioe' molto simili, a sequenze "v-onc " presenti in alcuni Retrovirus, ossia in virus a RNA capaci di causare tumori in animali. Gli oncogeni vengono classificati in base a localizzazione cellulare e funzione del loro prodotto proteico in: - fattori di crescita - recettori per fattori di crescita - trasduttori intracellulari - fattori di trascrizione nucleare e inibitori dell'apoptosi (morte cellulare). I geni oncosoppressori hanno la funzione di "sopprimere" una proliferazione cellulare inappropriata o, piu' in generale, la trasformazione neoplastica. Hanno quindi funzioni opposte a quelle degli oncogeni. In condizioni normali, i processi di proliferazione, differenziamento e morte cellulare sono il risultato di un delicato equilibrio che deriva dall'azione bilanciata di entrambe le categorie di geni, oncogeni e oncosoppressori. La mutazione di una singola copia dell'oncosoppressore consente ancora il funzionamento del gene a livelli sufficienti e quindi non e' associato allo sviluppo del tumore, mentre il danneggiamento o la perdita di entrambe le copie determina invece la "loss of function", ossia l'inattivazione completa della sua funzione che induce percio' la comparsa del tumore. I geni della riparazione del DNA sono in grado di determinare, quando alterati, un aumento del tasso di mutazione e/o un'instabilita' genetica che facilita l'acquisizione progressiva di mutazioni in oncogeni e oncosoppressori che portano allo sviluppo di un tumore. A differenza dei geni precedenti, essi hanno quindi un ruolo indiretto nella genesi del cancro: la mutazione di un gene mutatore determina infatti una perdita della sua funzione riparativa e quindi del meccanismo di controllo sulla stabilita' del materiale genetico che e' essenziale per uno sviluppo normale delle cellule. L'identificazione nei tumori di alcune anomalie genetiche, soprattutto quelle a carico degli oncogeni, e' importante in termini di diagnosi, prognosi e terapia. Ad esempio la traslocazione 9;22 che attiva l'oncogene abl e che comporta la formazione di un cromosoma 22 anomalo (detto cromosoma Philadelphia) e' specifica della leucemia mieloide cronica ed e' fondamentale per fare correttamente questa diagnosi. Inoltre, il monitoraggio del midollo osseo mediante citogenetica o analisi molecolare puo' documentare il raggiungimento e la persistenza della guarigione o, alternativamente, puo' diagnosticare precocemente la ripresa della malattia. L'amplificazione di alcuni oncogeni, quali ad esempio N-MYC (nel neuroblastoma) e HER-2 (nel carcinoma della mammella e dello stomaco), e' riscontrata spesso in fasi avanzate di malattia ed ha significato prognostico negativo. Infine, molti sforzi vengono oggi rivolti alla target therapy per lo sviluppo di farmaci mirati che agiscono in maniera specifica sulle proteine alterate o iperespresse prodotte da un oncogene attivato, quali ad esempio Imatinib (inibitore di abl) nella leucemia mieloide cronica e Trastuzumab e Pertuzumab (anticorpi anti-HER2) nel carcinoma mammario, Cetuximab e Panitumumab nel carcinoma del colon RAS wild type, Gefitinib e altri TKI nell'adenocarcinoma del polmone con mutazione di EGFR. Obiettivi e Raccomandazioni Da quanto esposto emergono le seguenti priorita', rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 4): - Test per le mutazioni germinali. La ricerca di mutazioni germinali e' funzionale all'identificazione di un aumentato rischio familiare, e' un percorso da sviluppare correttamente tramite la Consulenza Genetica Oncologica ed e' strettamente focalizzato alla prevenzione e all'analisi precoce della malattia. Quindi, la somministrazione di test per le mutazioni germinali oggi e' uno strumento utile per stimare il rischio di secondi tumori e per screenare i consanguinei al fine di attuare strategie preventive. A questo riguardo v.4.3.i. Inoltre il test genetico puo' oggi consentire una terapia personalizzata, come ad esempio nel caso dei nuovi farmaci quali i PARP inibitori che hanno mostrato efficacia nelle pazienti con carcinoma ovarico BRCA mutato. A questo riguardo v 5.b. - Test per le mutazioni somatiche. L'identificazione nei tumori di alcune anomalie genetiche, soprattutto quelle a carico degli oncogeni, e' importante in termini di diagnosi, prognosi e terapia. Poiche' bisogna utilizzare appropriatamente tali test, e considerando, d'altra parte, il grande potenziale di nuove conoscenze che caratterizza la ricerca in questo campo, e' necessario che l'uso clinico di tali test sia sostenuto da chiare indicazioni evidence-based. E' quindi necessario prevedere sia un'accurata valutazione di utilizzabilita' clinica sia un suo tempestivo aggiornamento in base alle evidenze scientifiche prodotte. Il SNLG elabora raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici piu' aggiornati, secondo il proprio metodo; e' riconducibile a tale processo anche la collaborazione con societa' scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potra' essere prodotta una linea-guida per l'uso appropriato dei test per le mutazioni somatiche nonche' una quick-review periodica della letteratura sia primaria che secondaria; tale funzione dovrebbe essere assicurata dal network HTA previsto nel Cap. 6. Tabella 4. Interventi identificabili Parte di provvedimento in formato grafico Bibliografia. 1. Societa' Italiana di Genetica Umana (SIGU). Il sequenziamento del DNA di nuova generazione: indicazioni per l'impiego clinico. Disponibile su: http://www.sigu.net/show/documenti/5/1/linee%20guida 2. Yang Y et al. Clinical whole-exome sequencing for the diagnosis of mendelian disorders. N Engl J Med. 2013 Oct 17;369(16):1502-11. 3. Lee H et al. Clinical exome sequencing for genetic identification of rare Mendelian disorders. JAMA. 2014 Nov 12;312(18):1880-7. 4. Yang Y et al. Molecular findings among patients referred for clinical whole-exome sequencing. JAMA. 2014 Nov 12;312(18):1870-9. 5. Zaitlen N et al. Using extended genealogy to estimate components of heritability for 23 quantitative and dichotomous traits. PLoS Genet. 2013 May;9(5):e1003520 6. Zhou K et al. Variation in the glucose transporter gene SLC2A2 is associated with glycemic response to metformin. Nat Genet. 2016 Sep;48(9):1055-9. CAPITOLO 4 La prevenzione personalizzata. 4.a. Test preconcezionali La prevenzione delle malattie mendeliane da tempo utilizza lo screening dei "portatori sani" per intercettare le coppie a rischio di malattie recessive comuni o per le quali esiste nella famiglia uno specifico rischio (cosiddetto screening a cascata). Un esempio illustrativo e' la prevenzione della beta talassemia omozigote, la cui incidenza e' stata drasticamente abbattuta in varie aree del mondo, combinando lo screening degli eterozigoti con la consulenza genetica e la diagnosi prenatale. Negli ultimi anni si e' proposto di allargare la ricerca dei portatori anche per altre malattie recessive comuni, come la fibrosi cistica (FC), causata dalle mutazioni del gene CFTR. L'offerta attiva dello screening a cascata tra i fratelli e le sorelle di una persona affetta da una malattia recessiva appare giustificato solo per le condizioni che hanno una frequenza non inferiore a 1:10.000 nella popolazione, il che corrisponde ad una frequenza di eterozigoti di almeno 1:50. Di regola tale screening non e' giustificato per i consanguinei piu' remoti, se la frequenza della malattia non e' elevata nella popolazione. Negli Stati Uniti, l'American College of Obstetrics and Gynecology (ACOG) e l'American College of Medical Genetics (ACMG) hanno raccomandato di offrire questo screening alle coppie che intendono affrontare una gravidanza. Il test, inoltre, viene offerto dalla sanita' pubblica in Israele nell'ambito di un pannello di diagnosi genetiche. Esistono comunque diverse altre esperienze di screening genetico limitate a piccoli gruppi, per la ricerca degli eterozigoti per la FC ed altre malattie genetiche. Gli obiettivi di queste raccomandazioni sono il miglioramento della consapevolezza procreativa e/o la riduzione dell'incidenza delle malattie sottoposte allo screening. Oggi e' in forte espansione l'offerta dei test genetici diretti ai consumatori, favorita dalla disseminazione di informazioni attraverso internet. In alcune aree geografiche il test del portatore della FC e' relativamente diffuso, per l'adesione spontanea all'offerta che proviene da laboratori pubblici e privati, anche se non viene raccomandato dalle societa' scientifiche e neppure promosso dalle autorita' sanitarie. Per quanto riguarda l'Italia, si stima che negli ultimi 20 anni siano stati eseguiti nel Veneto oltre 130.000 test per lo screening dei portatori della FC, una campagna a cui ha fatto seguito una significativa diminuzione dell'incidenza della malattia. Analogamente, negli Stati Uniti, dopo le raccomandazioni della ACOG-ACMG a favore dello screening della mutazione piu' comune (F508del), si e' registrata una significativa riduzione dell'incidenza della malattia. Ovviamente si tratta di un approccio mirato all'analisi di specifici geni-malattia, che non incide sulla frequenza delle altre malattie recessive. L'introduzione delle tecnologie NGS consente, in teoria, di verificare, nelle coppie che vogliono avviare una gravidanza, la condizione di portatore per una specifica malattia mendeliana, oppure escludere la presenza di mutazioni in geni responsabili di malattie dominanti a penetranza incompleta o espressivita' variabile, non diagnosticate clinicamente. Il primo scenario e' esemplificato dall'analisi delle mutazioni del gene CFTR, (www.genet.sickkids.on.ca). Molte variazioni nella sequenza di questo gene non hanno significato patogenetico; per altre non e' chiaro il rapporto con la malattia. Nessun metodo commerciale permette oggi di identificare tutte le mutazioni del gene malattia la cui frequenza varia significativamente a livello geografico.. Questo problema sta diventando rilevante in alcune regioni italiane per la costante crescita della multietnicita'. Sono invece disponibili test commerciali di primo livello per la ricerca delle mutazioni piu' frequenti di CFTR che garantiscono in Italia una detection rate del 70-90%. Alcuni laboratori utilizzano metodi sviluppati in casa, in grado di ridurre i costi. Un risultato negativo di questi test non esclude la presenza di mutazioni non ricercate. Il rischio residuo puo' essere quantificato in base alla frequenza delle mutazioni nella popolazione in esame e alla detection rate del test. Questo limite ha rappresentato finora una delle principali obiezioni alla raccomandazione dello screening del portatore nella popolazione generale, data la particolare difficolta' di spiegare adeguatamente il significato di un test negativo. Le tecniche NGS hanno migliorato la sensibilita' e gia' oggi hanno costi minori e potrebbero in futuro essere utili per lo screening di popolazione per diverse malattie a maggiore incidenza. La loro evoluzione tecnologica e' rapida, ma il loro limite sta nella loro capacita' di evidenziare variazioni di sequenza al momento di significato clinico non noto. Cio' comporta da un lato il ricorso ad un grande numero di consulenze genetiche complesse, e dall'altro lato il rischio di una mancata comprensione da parte dei probandi e/o dei medici curanti dei risultati del test, un aumento del numero dei test nei partner, l'esecuzione di indagini prenatali non interpretabili e l'ansia dei futuri genitori che si troverebbero a prendere decisioni riproduttive in assenza di informazioni certe o affidabili. A tutto cio' si deve aggiungere che persino nel caso delle mutazioni delle quali e' nota l'associazione con la malattia non e' sempre possibile predire, a livello individuale, la gravita' del quadro clinico, in quanto l'effetto modulante di altri geni e dell'ambiente puo' dare origine a fenotipi variabili. Per altre malattie recessive ad elevata frequenza sono disponibili evidenze che giustificherebbero l'introduzione delle tecniche NGS nella pratica clinica, come dimostra il caso dell'atrofia muscolare spinale o della distrofia muscolare di Duchenne/Becker. Le tecnologie NGS hanno maggiore sensibilita' rispetto alle tecniche tradizionali e abbattono i tempi ed i costi dei test di screening dei portatori di mutazioni associate a malattie mendeliane eterogenee, come la sindrome di Alport. Gli altri scenari, ovvero la ricerca simultanea di mutazioni in diversi geni responsabili di malattie recessive, oppure la ricerca di mutazioni ipomorfe in malattie dominanti, non trovano ancora sufficiente supporto dai dati della letteratura. Se e' vero che le tecniche NGS consentono in linea teorica di intercettare i portatori sani per le malattie recessive di cui sono note le basi molecolari, di fatto l'estensione dello screening preconcezionale alla maggior parte dei geni delle malattie gravi e' considerato finora impraticabile, anche se esistono prove di concetto che indicano, in prospettiva, la possibilita' di introdurlo nella pratica sanitaria. In conclusione i test che hanno come oggetto lo screening dei portatori di mutazioni genetiche responsabili di malattie recessive comuni, come la fibrosi cistica, sono altamente attendibili e sono facilmente eseguibili con le tecniche tradizionali. Esistono quindi le condizioni per la loro implementazione, una volta che sia garantita la qualita' e la disponibilita' della consulenza genetica e siano avviate campagne di informazione a livello di popolazione. La prevedibile evoluzione delle tecnologie NGS ampliera' le possibilita' di screening dei portatori di geni associati a molte malattie genetiche. Tuttavia, l'eventuale implementazione di programmi di screening di questo tipo dovra' essere testata su programmi pilota. Obiettivi e Raccomandazioni Da quanto esposto emergono le seguenti priorita', rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 5): - Programmazione dell'Implementazione delle piattaforme NGS (tale priorita' e' gia' definita nel Cap. 3.a) - Promuovere programmi evidence-based di screening dei portatori di mutazioni genetiche responsabili di malattie recessive comuni. La disponibilita' di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale screening in modo sistematico nell'ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento (come definita dalle Linee-guida: v. dopo). Si identifica quindi un intervento di sanita' pubblica con le seguenti caratteristiche: basato su valutazioni di efficacia sperimentale; organizzato per profili di assistenza e quindi non soltanto delegato alla competenza /sensibilita'/ iniziativa tecnico-professionale; mirato all'equita' e quindi basato sul coinvolgimento attivo della popolazione destinataria; dotato di un esplicito sistema informativo e di valutazione. Il processo di trasferimento delle nuove conoscenze scientifiche nella pratica, impone la sua articolazione nelle seguenti fasi: - Produzione di linee guida per screening dei portatori di mutazioni genetiche responsabili di malattie recessive comuni. Il Sistema nazionale linee guida (SNLG) elabora raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici piu' aggiornati, secondo il proprio metodo; e' riconducibile a tale processo anche la collaborazione con societa' scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potra' essere prodotta una linea-guida per l'uso appropriato dello screening. - La successiva fase di implementazione e' riconducibile alle responsabilita' e metodi della programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede un processo esplicito di recepimento e applicazione. - Organizzazione di un percorso. Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale, le raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione di un'organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su 'nodi organizzativi' chiaramente definiti e procedure di 'ingaggio' precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un percorso diagnostico- terapeuticoassistenziale (PDTA: sequenza predefinita, articolata e coordinata di prestazioni, ambulatoriali e/o di ricovero, che prevede la partecipazione integrata di diversi specialisti e professionisti, al fine di realizzare la diagnosi e la terapia piu' adeguate per una specifica patologia. Questo contesto comprende l'identificazione nel territorio regionale delle strutture/risorse responsabili dei vari step del percorso) che prenda in carico gli individui destinatari dello screening. - Progetti pilota di screening dei portatori di geni associati a (molte) malattie genetiche (con tecnologia NGS). La forza delle evidenze scientifiche relative allo screening dei portatori di geni associati a molte malattie genetiche e' ritenuta sufficiente per proporre un intervento sulla popolazione target. Tuttavia le modalita' organizzative e, complessivamente la sua fattibilita' devono ancora essere definite e valutate; inoltre, le patologie 'bersaglio' di tale intervento devono essere accuratamente definite. Per tali motivi e' richiesta la definizione di una linea-guida (nell'ambito gia' sopra ricordato del SNLG) e relativamente a questa e' opportuno, per la sua implementazione, organizzare progetti pilota accuratamente disegnati e valutati. - Campagne di informazione. Come espresso nel Capitolo 7, nella attuale fase di sviluppo dell'uso delle scienze omiche, si tratta prioritariamente di sviluppare una vera e propria literacy sia del personale non specializzato del SSN sia della popolazione piuttosto che programmare direttamente l'uso dei media di massa. Pertanto le esigenze divulgative ed informative sull'uso appropriato dei test preconcezionali di carattere genomico vanno perseguite con le strategie e metodologie previste nel cap 7. Tabella 5. Interventi identificabili Parte di provvedimento in formato grafico 4.b Test Prenatali Le tecniche di diagnosi prenatale comprendono indagini strumentali e di laboratorio sviluppate negli ultimi 50 anni, con l'obiettivo di monitorare il concepito, a partire dalle prime fasi dello sviluppo embrionale fino ai momenti che precedono il parto. L'ecografia prenatale e' la tecnica non invasiva di diagnosi prenatale piu' importante e diffusa. Viene impiegata per monitorizzare lo sviluppo dell'embrione e del feto, verificarne il benessere, seguire l'evoluzione della gravidanza e come supporto alle indagini invasive che prevedono l'acquisizione dei tessuti fetali. La sua non invasivita' e l'elevato grado di risoluzione ottenuta con le apparecchiature di ultima generazione ne giustificano la straordinaria diffusione ed il suo impiego sistematico, nei paesi industrializzati, pressoche' in tutte le gravidanze. Le sue potenzialita' correlano con l'epoca gestazionale in cui viene utilizzata, la risoluzione dell'apparecchiatura e l'esperienza dell'operatore. L'amniocentesi e' la tecnica invasiva di diagnosi prenatale maggiormente utilizzata ed e' finalizzata all'acquisizione, mediante puntura transaddominale, sotto controllo ecografico, del liquido amniotico, idealmente attorno alla XV-XVI settimana di amenorrea. Il rischio di aborto, collegato all'invasivita' della tecnica e' calcolato in circa 1:200, ma varia in rapporto all'esperienza dell'operatore. Il liquido amniotico contiene una parte non corpuscolata, cioe' priva di cellule, che viene isolata, per centrifugazione del campione, ed una parte corpuscolata, formata dagli amniociti, le cellule che derivano dalla cute, dalle mucose, dalle vie genito-urinarie, dall'apparato gastrointestinale del feto e dalle membrane amniotiche. Sulla porzione non corpuscolata e' possibile dosare l'alfafetoproteina (AFP) ed, eventualmente, altri marcatori biochimici, mentre gli amniociti si utilizzano, in primo luogo, per le analisi citogenetiche, ed eventualmente quelle molecolari e biochimiche, sia direttamente che sulle cellule coltivate. La villocentesi e' una tecnica invasiva, utilizzata per il prelievo del trofoblasto mediante puntura transaddominale, sotto controllo ecografico, idealmente attorno alla X-XII settimana di amenorrea. Il rischio di aborto, collegato all'invasivita' della tecnica, e' circa 2-3%, ma varia significativamente in rapporto all'esperienza dell'operatore. Il tessuto acquisito puo' essere utilizzato per l'analisi citogenetica, direttamente sulle cellule del citotrofoblasto o sulle colture (cellule mesenchimali del villo). L'uso combinato delle due tecniche fornisce informazioni su popolazioni cellulari che hanno un'origine embrionale diversa, consentendo, nella maggior parte dei casi, di risolvere il potenziale problema delle discrepanze tra il cariotipo placentare ed il cariotipo fetale (riscontrabile in circa il 2% dei campioni), che e' riconducibile ad una condizione di mosaicismo postzigotico. La villocentesi permette di acquisire materiale biologico in quantita' relativamente abbondanti ed e' percio' la tecnica di elezione per la diagnosi molecolare dei geni-malattia e per le analisi biochimiche. La precocita' della tecnica, rispetto all'amniocentesi, e' controbilanciata dalla sua maggiore invasivita' e dall'acquisizione di tessuto placentare e non fetale. La cordocentesi e' la tecnica di acquisizione del sangue fetale, per puntura transaddominale, attorno alla XVIII settimana di amenorrea. Il rischio di aborto, collegato all'invasivita' della tecnica, e' circa 2%, ma varia significativamente in base all'esperienza dell'operatore. La tecnica e' fortemente in disuso, essendo utilizzata soprattutto per monitorizzare alcune patologie infettive ed eventualmente per tentare di chiarire dubbi emersi dall'analisi citogenetica sugli amniociti. Gli screening prenatali non invasivi, sviluppati negli ultimi 40 anni, si basano essenzialmente sull'analisi di marcatori biochimici sul sangue materno, combinati con le indagini ecografiche. Il prototipo di queste analisi e' il dosaggio dell'AFP, inizialmente utilizzato come marcatore dei difetti del tubo neurale (valore aumentato) e, successivamente, della sindrome di Down (SD; valore ridotto). Con il tempo questi screening, basati sull'associazione di marcatori diversi, hanno ottenuto un crescente sviluppo nel calcolo della probabilita' delle aneuploidie fetali, soprattutto nelle madri che rientravano nella fascia di eta' a bassa probabilita' di patologia cromosomica nel feto, e percio' non candidate al monitoraggio invasivo della gravidanza. Il triplo-test (o tri-test) basato sul dosaggio, nel secondo trimestre, dell'AFP, della gonadotropina corionica e dell'estriolo non coniugato, combinato con l'eta' materna e con l'eta' gestazionale misurata ecograficamente, consentiva di predire circa il 65% delle SD, con una percentuale di falsi positivi (FPR) compresa tra il 5 ed il 10%. A questo protocollo ne sono stati affiancati nel tempo numerosi altri, basati su vari marcatori, in diverse combinazioni, e sull'anticipazione dello screening dal secondo al primo trimestre. Parallelamente, i marcatori biochimici sono stati integrati con quelli ecografici, in particolare l'analisi dello spessore della cute nucale (translucenza nucale - TN), che, sebbene non patognomonico della SD, tra l'XI e la XIV settimana di amenorrea, diagnostica circa il 75% dei casi, con una FPR del 5%. Successivamente, si e' affermato il bi-test, che utilizza il sangue materno acquisito attorno alla X-XI settimana, sul quale viene dosata la frazione libera della beta gonadotropina corionica ed una glicoproteina ad elevato peso molecolare, la Pregnancy Associated Plasma Protein A (PAPP-A). Questa analisi, integrata con la misurazione della TN e l'eta' materna, predice circa l'80% delle SD, con una percentuale di falsi positivi pari a circa il 6%. In questo contesto va considerato anche il test contingente (TN + marker biochimici a 11-13 settimane; marker ecografici a 12-13 settimane o biochimici a 14- 16 settimane nei gruppi a probabilita' intermedia), che consente di migliorare la specificita' del test. 4.b.1 Diagnosi prenatale non invasiva sul DNA fetale presente nel circolo materno: il Non Invasive Prenatal Testing (NIPT) E' stato dimostrato che, a partire dal I trimestre di gravidanza, e' presente nel circolo ematico materno DNA libero (cell free fetal DNA, cfDNA), parte del quale e' di origine fetale (cell free fetal DNA, cffDNA), che puo' essere recuperato in maniera non-invasiva ed utilizzato per lo screening di alcune patologie fetali. Il cfDNA origina dalla lisi delle cellule materne e placentari. I frammenti di DNA fetale degradato contengono mediamente 180 paia di basi (bp) e sono sospesi nel plasma arterioso. Il cffDNA puo' essere isolato a partire dalla X settimana, quando raggiunge quantita' sufficienti per un potenziale impiego clinico. La sua percentuale puo' variare tra <4%, una quantita' non utile per lo screening, a circa il 40%, con una media del 10%, alla XII settimana, quando il 90% circa dei frammenti di DNA libero circolante nel plasma originano dall'apoptosi degli epiteli materni, creando una commistione di cfDNA materno e cffDNA. Il cffDNA scompare dal circolo materno poche ore dopo il parto, probabilmente per escrezione renale. Il cffDNA viene utilizzato nei protocolli di Non Invasive Prenatal Testing (NIPT), soprattutto per lo screening delle aneuploidie cromosomiche. Indipendentemente dalla tecnica utilizzata, l'analisi si basa su comparazioni. Ad esempio, nel caso del cromosoma 21 (CR21), la tecnica confronta il numero dei frammenti del CR21 nella gravidanza in esame, con il numero dei frammenti di un altro cromosoma dello stesso campione atteso in una condizione di disomia, oppure con quelli di un pool di gravidanze disomiche (due CR21) di riferimento. Se il campione ottenuto dalla gravidanza in esame contiene due coppie di CR21 (due della madre e due del feto), il rapporto tra i conteggi (numero dei frammenti del CR21 nel test/numero dei frammenti nei campioni di riferimento disomici) e' all'incirca uguale a 1. Se nella gravidanza in esame e' presente un feto con trisomia 21 (T21), aumenta la frazione fetale (FF) per la presenza di frammenti circolanti aggiuntivi rilasciati dal CR21 soprannumerario del feto. L'entita' dell'aumento dipende dalla percentuale della FF totale e dal numero delle bp del CR21, in rapporto alle bp del genoma complessivo del feto. In circa il 2% dei diversi campioni analizzati attorno alla XII settimana la FF non supera la soglia del 4% e pertanto non sono idonei per lo screening. E' possibile che in questi campioni la percentuale delle patologie cromosomiche sia significativamente piu' elevata, rispetto a quella dei campioni con FF =4%. Il NIPT non differenzia il DNA feto-placentare da quello materno. Pertanto non e' un test diagnostico, ma di screening, che, mediante algoritmi dedicati, definisce la probabilita' che il feto sia affetto da una delle principali trisomie autosomiche (trisomia 21 [T21], trisomia 18 [T18], trisomia 13 [T13]) o da un'aneuploidia dei cromosomi sessuali (X, XXX, XXY, XYY), analizzando selettivamente, nel cffDNA, il numero dei frammenti contribuiti da ciascuno dei cromosomi oggetto del test. Una recente metanalisi ha riportato, per le tre principali aneuploidie autosomiche, nelle gravidanze singole, le seguenti percentuali di sensibilita' (detection rate - DR) e di specificita' (FPR) del NIPT: - T21 - DR 99,2% (95% CI, 98,5-99,6%); FPR 0,09% (95% CI, 0,05-0,14%) - T18 - DR 96,3% (95% CI, 94,3-97,9%); FPR 0,13% (95% CI, 0,07-0,20%) - T13 - DR 91,0% (95% CI, 85,0-95,6%); FPR 0,13% (95% CI, 0,05-0,26%). Vari fattori spiegano queste discrepanze, in particolare i mosaicismi feto-placentari, la presenza di un vanishing twin, le malattie tumorali materne, i mosaicismi cromosomici materni, l'assenza/insufficienza della FF. L'analisi del cffDNA puo' essere effettuata anche sulle gravidanze bigemine, limitatamente allo screening delle principali trisomie autosomiche; il risultato esprime una probabilita' distribuita tra i due feti. Il gemello piu' piccolo, che fornisce una quantita' minore di DNA, produce una FF statisticamente inferiore alla media della FF presente nelle gravidanze singole, suggerendo che il contributo al cffDNA della FF da parte delle due placente sia disomogeneo e sia addirittura possibile che una di esse non sia sufficientemente rappresentata (FF <4%), con il rischio di una percentuale di falsi negativi (FNR). I dati disponibili suggeriscono per la T21, una sensibilita' del 95%; per la T18, dell'86%; per la T13, del 100% (i dati numerici delle T13 e T18 sono comunque troppo limitati per raggiungere un valore verosimile di sensibilita'), in assenza di FPR per nessuna delle tre trisomie. In presenza di un risultato positivo, il test non indica quale feto sia affetto. La specificita' del NIPT nello screening delle aneuploidie dei cromosomi sessuali e' inferiore rispetto a quella degli autosomi. Una metanalisi ha indicato per la monosomia X una sensibilita' (DR) del 90,3% (95% CI, 85,7-94,2%) ed una specificita' (FPR) dello 0,23% (95% CI, 0,14-0,34%). Per tutte le altre aneuploidie dei 39 cromosomi sessuali, la sensibilita' e' risultata del 93,0% (95% CI, 85,8-97,8%) e la specificita' dello 0,14% (95% CI, 0,06-0,24%). Nella prospettiva di sviluppare tecniche in grado di analizzare l'intero genoma, sono stati messi a punto pannelli che analizzano singole microdelezioni associate ad alcune sindromi clinicamente riconoscibili, ma questi test necessitano tutti di essere validati. Analogamente, si stanno mettendo a punto test per lo screening molecolare di malattie mendeliane. I primi screening hanno riguardato la determinazione del sesso del feto, basata sulla ricerca nel plasma materno di sequenze di SRY e DYS14 del cromosoma Y, una tecnica attualmente utilizzata in alcuni Paesi per monitorizzare le gravidanze a rischio per alcune malattie legate al cromosoma X. Altri protocolli riguardano lo screening del fenotipo Rh del feto concepito da madri RhDnegative, dell'acondroplasia originata de novo al concepimento o segregata da un padre affetto, del nanismo tanatoforo, della sindrome di Apert. Analogamente possono essere sottoposte a screening le malattie autosomiche recessive, nelle quali i genitori sono eterozigoti per mutazioni diverse. In questi casi, l'esclusione o la presenza dell'allele paterno possono essere utilizzate per precisare la probabilita' che il feto sia affetto, come nel caso della talassemia o della fibrosi cistica. La maggior parte di questi protocolli sono ancora sperimentali. Le linee-guida del Ministero della Salute hanno formulato una serie di raccomandazioni: - Il cfDNA/NIPT e' il test di screening prenatale dotato al momento di maggiore sensibilita' e specificita' per lo screening della trisomia 21. - Il cfDNA/NIPT riduce il ricorso alle indagini diagnostiche invasive, che hanno costi piu' elevati, e, di conseguenza, riduce il rischio di aborto collegato a quelle tecniche. - Il cfDNA/NIPT non fornisce un risultato in circa il 2% dei casi, per l'inadeguatezza del campione correlata alla bassa concentrazione del cfDNA nel plasma materno; al momento non sono disponibili studi in grado di chiarire se questi fallimenti si associno alla presenza, nel feto, di altre anomalie cromosomiche al di fuori delle trisomie 13 e 18. L'utilizzo del cfDNA/NIPT come screening contingente dopo il Test Combinato (eseguito da operatori certificati) appare il modello migliore per la sua implementazione a livello nazionale, in quanto avrebbe un limitato impatto complessivo sulla spesa sanitaria, a differenza dello screening universale, ed appare in grado di superare il problema dei casi senza risultato. L'estensione del cfDNA/NIPT alle trisomie 18 e 13, utilizzandolo come screening contingente, non aumenterebbe il ricorso alle tecniche invasive, qualora i casi senza risultato fossero gestiti con il Test Combinato. Il cfDNA/NIPT deve essere offerto nell'ambito di una consulenza con specialisti di genetica medica/medicina fetale, integrata da un esaustivo consenso informato, nel quale deve essere fatto specifico riferimento alla volonta' di essere o di non essere informati su eventuali risultati incidentali, clinicamente rilevanti, emersi dall'analisi. Il cfDNA/NIPT non e' sostitutivo e percio' non evita di effettuare le altre indagini cliniche, laboratoristiche e strumentali che fanno parte integrante del monitoraggio della gravidanza. I Centri che erogano il test devono avere competenze nella diagnosi ecografica e nella diagnosi prenatale; essere in grado di offrire la consulenza prima e dopo il test; devono essere collegati con laboratori certificati, che partecipano a programmi di controllo della qualita', nazionali ed internazionali e sono dotati di personale con competenza specifica nelle tecniche NGS. Le caratteristiche del test raccomandano che esso venga eseguito presso un numero ristretto di laboratori a livello nazionale; per questo e' auspicabile una pianificazione ed un accordo interregionale. Devono essere predisposte campagne di informazione alla popolazione e di formazione dei professionisti, per garantire equita' nell'accesso al test. 4.b.2 La diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis) Il DNA estratto dalle cellule fetali acquisite mediante amniocentesi o villocentesi, viene di solito esaminato per singoli geni le cui mutazioni sono causa di malattie mendeliane per le quali la coppia e' a rischio. I dati raccolti dalla SIGU hanno stimato che il 5-10% di tutte le indagini molecolari effettuate in Italia riguardino la diagnosi prenatale di malattie mendeliane. I test molecolari nel loro complesso sono aumentati negli anni. L'ultima rilevazione, del 2011 ne aveva censiti piu' di 260.000 (con un incremento del 6% rispetto alla precedente rilevazione del 2007). Queste analisi fanno ovviamente riferimento al gene-malattia indagato (al momento sono note le basi molecolari di circa 4500 malattie mendeliane per le quali sono disponibili specifici test). Il sequenziamento tradizionale (secondo la metodica di Sanger) e' attualmente il gold standard per la diagnosi molecolare prenatale delle malattie genetiche a difetto molecolare noto. Le tecnologie NGS hanno rivoluzionato i protocolli diagnostici, rendendo in teoria possibile l'analisi di tutte le malattie mendeliane. Nelle sue applicazioni allo studio del DNA fetale, questa procedura viene definita amniocentesi genomica o diagnosi prenatale con sequenziamento di seconda generazione o NGPD (Next Generation Prenatal Diagnosis), impropriamente "super-amniocentesi ". Questa analisi consente di effettuare lo screening di circa il 50% delle malattie mendeliane (di molte malattie genetiche non e' ancora noto il difetto molecolare; inoltre dallo screening sono escluse le malattie estremamente rare e quelle per le quali non viene ritenuta etica la diagnosi prenatale). La NGPD non analizza i polimorfismi di suscettibilita' (SNP), cioe' le varianti che predispongono allo sviluppo delle malattie complesse, e neppure le malattie ad esordio tardivo, ne' le malattie del comportamento ne' quelle psichiatriche. Si possono considerare tre principali scenari all'interno dei quali effettuare la diagnosi prenatale molecolare, con tecniche tradizionali e/o NGS. Il primo, riguarda la diagnosi di una specifica malattia mendeliana per la quale la gravidanza e' a rischio; il secondo, l'esclusione di una malattia mendeliana in un feto affetto da difetti eco-evidenziati, in una gravidanza che non presentava un rischio a priori aumentato, in base alla storia familiare; il terzo, lo screening allargato delle mutazioni correlate a molte malattie mendeliane, in una gravidanza che non presenta a priori uno specifico aumento del rischio. Nel primo caso, e' indispensabile identificare nella famiglia o in un probando la mutazione responsabile della malattia per la quale la gravidanza e' a rischio. L'approccio piu' efficace e' quello di definire, prima della gravidanza, il difetto molecolare responsabile della malattia. In questo caso, la NGS puo' eventualmente essere utilizzata per ricercare nella famiglia la mutazione patogenetica, mentre la successiva diagnosi prenatale viene effettuata con un test molecolare tradizionale. Nel secondo caso, la NGPD puo' intercettare una malattia mendeliana non sospettata in base alla storia familiare, qualora il feto presenti dei difetti, non interpretabili con le tecniche strumentali e di laboratorio tradizionali. Tuttavia, la detection rate in questi casi e' molto bassa: in una piccola coorte di feti e neonati con anomalie ecografiche prenatali e cariotipo normale, la NGPD ha identificato varianti patogenetiche nel 10% dei casi. Sono inoltre noti singoli casi di malattie mendeliane sospettate nel corso della gravidanza, poi risolte con la NGS. Nel terzo caso, al fine di escludere la presenza di una malattia mendeliana nel feto, la NGPD puo' trovare applicazione nello screening delle gravidanze senza rischi specifici, utilizzando le cellule fetali acquisite con le tecniche invasive routinarie. Questo test e' oggi disponibile presso alcune strutture private, ma presenta una serie di criticita', ad esempio, l'incapacita' di individuare tutte le mutazioni presenti nei geni analizzati, cioe' un limite nella sensibilita' del test, che dipende essenzialmente dal numero delle volte in cui la stessa sequenza di DNA viene decodificata (cosiddetto coverage). Di fatto, non e' chiaro in quale misura i geni in esame siano "coperti ", il che comporta una percentuale non piccola di risultati falsi negativi. Inoltre, la capacita' di questi test di individuare le malattie genetiche nel feto e' di solito sovrastimata. Infatti, il test individua le mutazioni presenti in un numero limitato di geni-malattia, di solito quelli responsabili delle malattie piu' comuni, mentre le malattie genetiche a difetto molecolare noto sono ben piu' numerose. Inoltre, il test non riconosce alcuni tipi di errore presenti nel DNA (ad esempio le mutazioni da espansione del DNA, le inserzioni e le delezioni). A tutto cio' va aggiunto che le analisi genomiche identificano migliaia di variazioni nella sequenza del DNA, molte delle quali prive di significato patologico e molte di interpretazione non univoca. Percio', questo test necessita di essere preceduto e seguito da una complessa consulenza genetica. In conclusione, l'uso di questi test non ha al momento sufficienti supporti scientifici per giustificarne l'applicazione nella diagnosi prenatale. A fronte della strabordante pubblicita' ingannevole del settore, e' indispensabile che le donne che intendono sottoporsi a questo test ricevano informazioni complete e veritiere da un genetista medico. Obiettivi e Raccomandazioni Da quanto esposto emergono le seguenti priorita', rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 6): - Promuovere la diffusione della diagnosi prenatale non invasiva sul DNA fetale presente nel circolo materno. Relativamente all'uso del test cfDNA/NIPT per lo screening della trisomia 21, il CSS ha gia' prodotto la relativa LG. E' tuttavia da garantire l'accesso a tutta la popolazione target; pertanto permane l'esigenza di promuovere/monitorare la diffusione dei Percorsi di presa in carico (PDTA) e la consapevolezza nella popolazione in tutto il personale sanitario teoricamente coinvolto (Literacy). - Organizzazione di un percorso. Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale; le raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione di un'organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su 'nodi organizzativi' chiaramente definiti e procedure di 'ingaggio' precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un PDTA che prenda in carico gli individui destinatari dello screening. - Campagne di informazione: Come espresso nel Capitolo 7, nella attuale fase di sviluppo dell'uso delle scienze omiche, si tratta prioritariamente di sviluppare una vera e propria literacy sia del personale non specializzato del servizio sanitario nazionale sia della popolazione piuttosto che programmare direttamente l'uso dei media. Pertanto le esigenze divulgative ed informative sull'uso appropriato dei test prenatali di carattere genomico vanno perseguite con le strategie e metodologie previste nel cap 7. - Definire percorsi per diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis). La disponibilita' di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale valutazione in modo sistematico nell'ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento (secondo le modalita' identificate dalle Linee-guida: v. dopo). Si identifica quindi un intervento di sanita' pubblica con le seguenti caratteristiche: basato su valutazioni di efficacia sperimentale; organizzato per profili di assistenza e quindi non soltanto delegato alla competenza /sensibilita'/ iniziativa tecnico-professionale; mirato all'equita' e quindi basato sul coinvolgimento attivo della popolazione destinataria; dotato di un esplicito sistema informativo e di valutazione. Il processo di trasferimento delle nuove conoscenze scientifiche nella pratica, impone la sua articolazione nei seguenti step: - Produrre line-guida per la definizione di percorsi per diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis). Tale obiettivo puo' essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG) che e' impostato per elaborare raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici piu' aggiornati, secondo il proprio metodo; e' riconducibile a tale processo anche la collaborazione con societa' scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potra' essere prodotta una linea-guida per l'uso appropriato della diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis). La successiva fase di implementazione e' riconducibile alle responsabilita' e metodi della programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede un processo esplicito di recepimento e applicazione. - Organizzazione di un percorso. Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale; le raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione di un'organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su 'nodi organizzativi' chiaramente definiti e procedure di 'ingaggio' precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un PDTA che prenda in carico gli individui destinatari dello screening. - Campagne di informazione: Come espresso nel Capitolo 7, nella attuale fase di sviluppo dell'uso delle scienze omiche, si tratta prioritariamente di sviluppare una vera e propria literacy sia del personale non specializzato del servizio sanitario nazionale sia della popolazione piuttosto che programmare direttamente l'uso dei media. Pertanto le esigenze divulgative ed informative sull'uso appropriato dei test prenatali di carattere genomico vanno perseguite con le strategie e metodologie previste nel cap 7. Tabella 6. Interventi identificabili Parte di provvedimento in formato grafico 4.c Screening neonatale ed approcci genomici - Introduzione. Lo screening neonatale ha lo scopo di individuare i neonati affetti da malattie congenite genetiche del metabolismo ed avviare il piu' precocemente possibile un trattamento in grado di impedire lo sviluppo e la progressione della malattia. In Italia dal 1999 tutti i neonati sono sottoposti a screening neonatale per ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica, fenilchetonuria. Ulteriori malattie oggetto di screening introdotte successivamente sono il deficit di biotinidasi, la galattosemia, l'iperplasia surrenale congenita. Alcune Regioni hanno promosso uno screening allargato a piu' di 40 malattie metaboliche, indicazione recepita anche dalle recenti proposte dei LEA. Attualmente la "Spettrometria di massa tandem" (MS/MS) spettrometria di massa e' la tecnica utilizzata per l'analisi di screening delle malattie metaboliche ereditarie e si basa sul dosaggio dell'attivita' enzimatica e/o l'identificazione di metaboliti su spot di sangue essiccato. Come tutti i test di screening, l'analisi biochimica ha un elevata sensibilita' che riduce al minimo i "falsi negativi", a scapito di una specificita' piu' bassa con un numero relativamente elevato di "falsi positivi". L'analisi genetica nello screening neonatale e' al momento considerata un esame di II livello, riservato a quei campioni risultati positivi al test biochimico (I livello), al fine di ridurre il numero di "falsi positivi". Il suo ruolo e' determinato dalle caratteristiche intrinseche delle tecnologie utilizzate, quali la quantita' di DNA necessaria, il costo elevato, i tempi di refertazione e i limiti tecnici di analisi. - Introduzione di approcci genomici nello Screening neonatale. Le tecnologie NGS consentono di rivalutare l'uso dell'analisi genetica nell'ambito dello screening neonatale, come potenziale test di I livello in sostituzione dell'analisi biochimica. I vantaggi che ne deriverebbero comprendono la possibilita' di aumentare lo spettro delle mutazioni indagabile e l'estensione dell'analisi anche ai geni responsabili di patologie non metaboliche, comunque trattabili. Alcuni aspetti renderebbero pero' problematico l'uso delle tecniche NGS nello screening neonatale. Tra essi, i limiti tecnici dell'analisi (coverage, riproducibilita', quantita' di DNA necessaria e tipo di campione), l'interpretazione delle varianti di significato incerto e la loro rivalutazione a distanza di tempo, la refertazione di dati non propriamente relativi a malattie metaboliche soggette a screening (ad es quelli relativi alle malattie ad insorgenza nell'eta' adulta, la suscettibilita' allo sviluppo di neoplasie, i dati di farmacogenetica, ecc). Per tentare di valutare l'efficacia e la riproducibilita' delle tecniche NGS nello screening neonatale, sono stati condotti alcuni studi,che hanno utilizzato piccole quantita' di DNA estratto da spot di sangue essiccato su cartine di Guthrie mediante targeted resequencing, whole genome sequencing (WGS) e whole exome sequencing (WES), con risultati pressoche' sovrapponibili a dimostrazione di una elevata concordanza e riproducibilita' dei risultati. Altri studi hanno effettuato in parallelo lo screening neonatale biochimico e l'analisi con tecniche NGS per confrontarne i risultati. In uno studio di Bodian et al. sono stati analizzati i campioni di 1696 neonati di diversa origine geografica, sia sani che affetti o prematuri, ed e' stata ottenuta una buona concordanza tra i risultati biochimici e quelli genetici in 1183 campioni, con una discordanza in 513 casi, comprendenti tra l'altro varianti di significato incerto (80%), falsi positivi all'analisi biochimica (16%), falsi positivi all'analisi genetica (3%), falsi negativi all'analisi genomica (1%). - Aspetti etici e legali. Lo screening neonatale biochimico viene attualmente eseguito senza richiesta del consenso dei genitori nell'ambito degli screening obbligatori. L'introduzione dell'NGS nello screening neonatale comporterebbe l'acquisizione del consenso dopo aver adeguatamente informato le famiglie riguardo al tipo di analisi, ai possibili risultati, soprattutto per l'analisi di genoma o esoma. I genitori avrebbero la possibilita' di scegliere se fare sottoporre i propri figli al test, con la conseguenza che non tutti i neonati potrebbero essere sottoposti a screening. I genitori dovrebbero inoltre decidere se ricevere i risultati relativi alle patologie metaboliche dello screening e sugli eventuali "incidental findings" riguardanti malattie ad insorgenza in eta' adulta. Su questo punto le attuali linee guida sconsigliano l'analisi di WGS e WES in soggetti sani, soprattutto in minorenni: questa raccomandazione si basa sulla tutela del diritto di scelta del singolo individuo di essere informato riguardo ai propri dati genetici e il consenso puo' essere espresso solo al raggiungimento della maggiore eta' in caso di dati relativi a patologie di "rilevanza non immediata". - La propensione dei genitori. Alcuni studi si sono proposti di indagare l'interesse dei genitori in relazione alla possibilita' di sottoporre i propri figli al sequenziamento del genoma. Waisbren et al. hanno sottoposto un questionario a 663 genitori, subito dopo la nascita del loro figlio e qualche mese dopo. Dai risultati e' emerso che la scelta dei genitori e' influenzata in parte dallo stress del periodo neonatale, e ci sono stati piu' genitori favorevoli all'analisi WGS tra i casi in cui lo screening biochimico aveva fornito un risultato patologico. Questi dati sono stati confermati da un altro studio di Frankel et al., in cui e' stato anche osservato che il riscontro di mutazioni o varianti comporta un senso di colpa nei genitori tale da incrementare lo stress e l'ansia del periodo neonatale. Secondo Waisbren et al, la proposta dell'analisi WGS dopo qualche mese dal parto ha avuto meno consensi rispetto alla proposta alla nascita, per cui e' stato concluso che le tempistiche del test influenzano il parere delle famiglie, probabilmente in relazione allo stress del periodo neonatale. Joseph e al. hanno proposto di estendere l'analisi WGS ai genitori di bambini affetti da deficit immunitario congenito, dopo l'acquisizione del consenso informato ed un colloquio con le famiglie. Nonostante la differenza dei livelli culturali e socioeconomici, tutti i genitori erano favorevoli a ricevere i risultati dell'analisi WGS relativi allo screening neonatale, ma non tutti concordavano sulle informazioni riguardanti le malattie a esordio nella vita adulta e sui dati di farmacogenetica. Obiettivi e Raccomandazioni Da quanto esposto emergono le seguenti priorita', rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 7): - Definire i percorsi di presa in carico. Considerata l'evoluzione della conoscenza scientifica e del quadro legislativo, emerge la priorita' di garantire l'organizzazione della presa in carico per assicurare qualita' ed equita' di accesso. Raccomandazioni. Finora e' stata dimostrata l'efficacia e la riproducibilita' dell'analisi NGS, anche su campioni utilizzati di routine nello screening neonatale, caratteristiche tecniche che consentono la potenziale introduzione di approcci genomici come indagini per lo screening neonatale. Tuttavia, l'interpretazione delle varianti di significato incerto e le tempistiche di refertazione delle analisi di migliaia di campioni, lo stoccaggio dei numerosi dati, rendono poco realistico al momento il loro impiego come analisi di I livello. Pertanto attualmente si raccomanda che tecniche di analisi NGS siano eseguite solo in seconda istanza, successivamente allo screening biochimico positivo, per ridurre il numero di falsi positivi, risolvere diagnosi dubbie, distinguere mutazioni causative di condizioni non identificabili con lo screening biochimico. A questo proposito la Societa' Europea di Genetica Umana (ESHG https://www.eshg.org/home.0.html) consiglia di ricorrere al target sequencing in ambito di screening neonatale, per focalizzare l'analisi solo alle condizioni genetiche di patologie metaboliche per le quali e' possibile un trattamento efficace. Infine, l'introduzione dell'analisi genetica nello screening implica una riflessione su alcune tematiche, principalmente etiche, sulla possibilita' di sottoporre un neonato apparentemente sano, che non ha manifestato ancora sintomi o segni di alcuna patologia, ad analisi WGS e WES, con conseguente consenso dei genitori all'informazione dei dati genetici. Tabella 7. Interventi identificabili Parte di provvedimento in formato grafico 4.d Test post-natali 4.d.1 Malattie Mendeliane La possibilita' di analizzare l'intera sequenza del genoma con le nuove tecniche di sequenziamento di seconda generazione ha trovato un'estesa applicazione nel riconoscimento delle mutazioni responsabili di malattie ereditarie. L'approccio genomico ha rivoluzionato lo studio di queste malattie, supera spesso l'analisi del singolo gene (o di una sua porzione) considerato responsabile, quando mutato, della malattia, ma utilizza l'analisi dell'intera sequenza del DNA genomico, o della porzione codificante (esoma), o di un pannello allargato di geni potenzialmente coinvolti nella malattia (targeting resequencing). Il capitolo 3a ha gia' discusso l'approccio genomico nella diagnosi delle malattie Mendeliane. In questa sezione del documento vengono sviluppati alcuni concetti in relazione all'impiego dell'indagine genomica nella prevenzione personalizzata di queste malattie. I test genetici La ricerca genetica applicata all'uomo ha prodotto negli ultimi 30 anni un risultato traslazionale principale, ovvero il trasferimento delle conoscenze nella pratica clinica, con lo sviluppo dei test genetici. Secondo una definizione accreditata, "i test genetici consistono nell'analisi di un gene, del suo prodotto o della sua funzione, dei cromosomi o di altro DNA, per identificare o escludere una modificazione che puo' associarsi ad una malattia genetica" (Harper, 1997). Tuttavia, dato che i test genetici non analizzano necessariamente solo le condizioni patologiche, l'autorevole Human Genetic Commission britannica (2009) ha ridefinito i test genetici indicandoli come "le analisi rivolte ad individuare la presenza, l'assenza o la mutazione di un particolare gene, di un cromosoma, di un prodotto di un gene o di un metabolita, che sono indicative di una specifica modificazione genetica". Questa definizione viene correntemente utilizzata come il contenitore di alcune indagini di largo impatto, soprattutto, ma non esclusivamente, nella professione medica. Esse comprendono, secondo la modalita' ricercata: i test diagnostici, i test presintomatici, i test per l'identificazione dei portatori sani, i test di farmaco genetica, i test predittivi o di suscettibilita', i test comportamentali e di orientamento sugli stili di vita, i test di nutri genetica, i test fenotipici, i test rivolti a definire i rapporti di parentela, i test ancestrali, i test di compatibilita' genetica. I test diagnostici si applicano alle persone affette da qualche patologia, spesso trasmessa con il modello dell'eredita' semplice o mendeliana (ad es. distrofia muscolare di Duchenne, da mutazione del gene DMD), oppure a dismorfismi causati da una patologia cromosomica (ad es. sindrome di Down da trisomia 21) o genomica (ad es. sindrome di Williams, da microdelezione 7q11.23), e vengono utilizzati per confermare un sospetto clinico o per aiutare il clinico in una diagnosi, per sottoclassificare una malattia, per stabilire correlazioni genotipo-fenotipo (cioe' tra la costituzione genetica e l'insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali), e percio' definire la storia naturale della malattia. In generale, per migliorare la consulenza genetica e, occasionalmente, per orientare la terapia. I test presintomatici si eseguono sulle persone non affette, che appartengono alle famiglie nelle quali una malattia, ad esordio tardivo, si trasmette in maniera autosomica dominante (ad es. corea di Huntington, rene policistico tipo adulto, atassie spino-cerebellari, distrofia miotonica, ecc.). L'identificazione di una mutazione nel gene-malattia stabilisce che quella persona, se vivra' sufficientemente a lungo, sviluppera' la malattia. I test per l'identificazione dei portatori sani riguardano in teoria tutta la popolazione, in quanto, per definizione, ogni persona e' eterozigote (portatore sano) per un piccolo numero di geni che, se mutati, possono causare delle malattie e che possono essere trasmessi da una generazione all'altra. Nel caso di pazienti affetti da malattie recessive (sia autosomiche sia legate all'X), il test genetico e' indicato per i familiari in eta' riproduttiva, per definire il rischio di ricorrenza collegato alla condizione di portatore sano. Nel caso specifico delle malattie autosomiche recessive, puo' essere orientativamente indicata la frequenza di 1:10.000 nella popolazione degli omozigoti affetti da tale condizione, per indicare la soglia, al di sotto della quale i familiari potenzialmente a rischio di essere portatori dovrebbero essere testati. Di fatto, per una frequenza di 1:10.000 omozigoti affetti e' attesa una frequenza di eterozigoti di 1:50. In questo caso un fratello/sorella di un affetto ha 2/3 di probabilita' di essere eterozigote e, considerata la frequenza di 1:50 eterozigoti attesa nella popolazione, il loro rischio riproduttivo sale da 1:10.000 (frequenza di quella malattia nella popolazione) a 1:300. I test di farmacogenetica predicono la risposta individuale ai farmaci, in termini di efficacia e di rischio relativo di eventi avversi (ad es. il gene della tiopurina metiltransferasi definisce la risposta alla 6-mercaptopurina, un farmaco utilizzato nel trattamento delle leucemie). I test predittivi o di suscettibilita' valutano, nella persona che si sottopone al test, la presenza di una suscettibilita' o di una resistenza nei confronti di una malattia complessa e comune (cosiddette "malattie multifattoriali" che originano dall'interazione tra i geni e l'ambiente), diversa da quella media della popolazione (ad es. suscettibilita' alla celiachia, al diabete tipo 2; alla malattia di Crohn). I test comportamentali e di orientamento sugli stili di vita forniscono informazioni sulle tendenze comportamentali individuali, sulle capacita' fisiche e cognitive, sulla risposta a certe condizioni ambientali. Hanno lo scopo di aiutare la persona a modificarne le conseguenze potenzialmente negative di tali comportamenti, attraverso cambiamenti elettivi (ad es. analisi dell'HLA per definire la sensibilita' al berillio, un metallo utilizzato in vari tipi di lavorazione industriale). I test di nutrigenetica forniscono informazioni sulle modalita' con le quali una persona metabolizza i cibi (ad es. geni coinvolti nel metabolismo dei lipidi, degli acidi grassi, degli zuccheri, degli aminoacidi). I test fenotipici identificano le modalita' con le quali il genotipo condiziona il fenotipo (ad es. correlazione tra certe mutazioni alleliche del gene LAMNA/C e quadri clinici nosologicamente distinti). I test per la definizione dei rapporti di parentela definiscono la percentuale di geni condivisi dalle persone potenzialmente correlate a livello genetico (ad es. paternita' e maternita' biologica). I test ancestrali stabiliscono i rapporti di una persona nei confronti di un antenato o di una determinata popolazione e quanto del suo genoma sia stato ereditato dagli antenati appartenenti ad una particolare area geografica o gruppo etnico. I test di identificazione genetica determinano la probabilita' con la quale un campione o una traccia di DNA recuperato da un oggetto o da altro materiale appartenga ad una determinata persona. L'approccio finora utilizzato prevede l'analisi di singoli sequenze di DNA, in relazione al problema che si intende indagare. E' evidente che con uno studio genomico si raccolgono tutte le informazioni relative al genotipo di una persona, che di fatto comprendono tutte le tipologie dei test genetici sopra riportati. Percio' in teoria fornisce informazioni sulle mutazioni responsabili di malattie mendeliane, permette di riconoscere i genimalattia per i quali l'individuo e' portatore sano, fornisce informazioni sulle reazioni ai farmaci, sulle abitudini alimentari, sui tratti somatici e comportamentali, sulle malattie complesse per le quali e' a rischio o nei confronti delle quali e' protetto, e puo' predire le condizioni di rischio nei confronti di malattie monogeniche ad insorgenza nell'eta' adulta e/o a penetranza incompleta. Ad esempio, la mutazione del gene BRCA1 ha una probabilita' di circa il 70 ed il 40% rispettivamente di esprimersi come tumore della mammella o come carcinoma dell'ovaio nell'arco della vita di una donna eterozigote. Questa caratteristica fa assimilare questo test alla categoria dei predittivi, in quanto e' in grado di identificare una suscettibilita' diversa da quella media della popolazione. Tuttavia si tende ad utilizzare la definizione di predittivo solo per i test che identificano la componente genetica delle malattie multifattoriali, quelle dovute all'interazione tra l'effetto additivo di piu' geni e l'ambiente. Analogamente, i test comportamentali e di orientamento sugli stili di vita e i test di nutrigenetica sono, di fatto, test predittivi o di suscettibilita' (in quanto si applicano a caratteri complessi), mentre quelli fenotipici possono essere considerati test diagnostici (in quanto si applicano a caratteri semplici). Il sequenziamento del genoma umano e l'impressionante sviluppo tecnologico, consentono dunque di analizzare in tempi rapidi e a costi relativamente contenuti l'intero genoma, promettono di rendere disponibile su larga scala la decodificazione del profilo genomico individuale e, in teoria, di identificare le variazioni costituzionali che ci rendono suscettibili alle malattie e che influenzano i nostri stili di vita. I test di suscettibilita' e predittivi nel mercato della salute: la categoria dei "non-pazienti" Il bioeticista George Annas (2000) aveva immaginato che la decodificazione del genoma umano avrebbe identificato nella molecola del DNA una sorta di cartella clinica. Aveva anche anticipato che, prima di raggiungere quell'obiettivo, sarebbe stato necessario rispondere ad alcune domande fondamentali, fra le quali: chi e' autorizzato a creare il 'CD' che contiene l'informazione genetica? Chi lo conserva? Chi ne controlla l'uso? In che maniera il 'CD' potrebbe essere trattato come un'informazione medica sensibile? A distanza di oltre tre lustri da quella previsione, lo scenario anticipato sembra a portata di mano. Non solo l'obiettivo di abbattere i costi del sequenziamento del genoma umano e percio' di renderlo disponibile e' stato raggiunto ma, soprattutto, le tecniche in grado di processare su larga scala i campioni biologici sono disponibili presso molti laboratori e i cittadini sono oggetto di crescenti pressioni da parte del mercato della salute, che enfatizza le presunte potenzialita' predittive e preventive di queste analisi. Il sequenziamento del genoma di alcune persone celebri, come i genetisti James Watson (uno degli scopritori della doppia elica del DNA) e Craig Venter (uno dei due coordinatori dei progetti che hanno sequenziato il genoma umano), ha dato il via all'era della "medicina personalizzata " e ha creato nell'opinione pubblica enormi aspettative. Una piccola frazione della sequenza di Watson non e' stata resa pubblica, mentre quella di Venter e' stata pubblicata nella sua interezza, per quanto riguarda i suoi 23.224 geni e le regioni variabili, compresi alcuni polimorfismi che lo renderebbero potenzialmente suscettibile al comportamento antisociale, all'alcolismo, alla coronaropatia, all'ipertensione, all'obesita', all'insulino-resistenza, all'ipertrofia del cuore sinistro, all'infarto acuto del miocardio, al deficit di lipasi lipoproteica, all'ipertrigliceridemia, all'ictus, alla malattia di Alzheimer. Craig Venter non e' tuttavia una persona particolarmente sfortunata. La sua sequenza genomica esemplifica, di fatto, il "genoma imperfetto " condiviso da ogni persona, per la sola ragione di appartenere alla specie umana. E' infatti noto che ogni persona, presa a caso, e' eterozigote per un numero significativo di mutazioni (il 44% dei geni di Venter era eterozigote per una o piu' varianti). Un piccolo numero di queste mutazioni riguarda i geni responsabili di malattie rare (per lo piu' trasmesse in maniera mendeliana), mentre alcune migliaia di varianti interessano geni correlati alle malattie complesse, sul cui fenotipo agiscono con un piccolo effetto additivo, che si somma alla componente ambientale (eredita' multifattoriale). Il concetto di eredita' multifattoriale e' anche suffragato dal sequenziamento del primo uomo di provenienza Asiatica, nel quale e' stata dimostrata la presenza di oltre il 56% dei polimorfismi noti che conferiscono suscettibilita' alla malattia di Alzheimer, del 15% di quelli per il diabete, del 10% di quelli per l'ipertensione, del 9% di quelli per la malattia di Parkinson e del 63% di quelli della dipendenza dal tabacco. Lo scenario evidenziato dal sequenziamento di questi primi genomi e confermato dal sequenziamento successivo di centinaia di migliaia di genomi e il potenziale impatto della "predizione genetica ", basata sul sequenziamento del genoma delle persone, sulla concezione della salute era stato delineato una decina di anni prima da Jonsen et al. (1996), che avevano anticipato l'incombente presenza, sulla scena della medicina, dei "non-pazienti ". Gia' allora era apparso chiaro che l'imminente possibilita' di analizzare la suscettibilita' alle malattie comuni avrebbe avvicinato al mondo della medicina milioni di persone asintomatiche. Secondo gli autori dell'articolo, gli unpatients sono una nuova classe di persone all'interno della medicina: non sono "pazienti" nel senso classico, in quanto non presentano sintomi; sono persone che condividono predisposizioni genetiche, che potrebbero vivere nell'attesa dell'ipotetica comparsa di qualche segno di malattia, organizzano la loro vita in funzione delle visite mediche o delle analisi di laboratorio, finiscono per sentirsi ammalati o addirittura sviluppano sintomi psicosomatici. Senza negare l'importanza del profilo genomico e le sue capacita' di condizionare in prospettiva la qualita' della vita, non si puo' non ripetere che il nostro stato di salute/malattia non viene definito solo dal DNA ma anche dalla sua interazione con l'ambiente. E' esemplificativo il caso dei gemelli identici (monozigoti) che, pur condividendo lo stesso DNA, nel corso della vita amplificano le loro divergenze fenotipiche, in quanto la complessa regolazione del genoma, che e' fortemente condizionata dall'ambiente, crea, di fatto, differenze a livello della funzione dei rispettivi genomi. Proprio sulla base di queste considerazioni, l'epigenetica ha assunto negli ultimi anni un crescente sviluppo, avendo l'obiettivo di analizzare gli aspetti funzionali del genoma, in particolare i processi biochimici che non modificano la sequenza del DNA, ma che possano modificare il fenotipo attraverso modificazioni funzionali. Il Catalogo delle Malattie Mendeliane Il numero complessivo dei fenotipi con accertata o sospetta base mendeliana superava gli 8000 nel mese di novembre del 2016. Erano note le basi genetiche di circa i 2/3 dei tali fenotipi (http://www.omim.org/statistics/entry). Questo gap conoscitivo potra' essere colmata dalle tecniche di sequenziamento di seconda generazione. In parallelo sta aumentando il numero dei fenotipi nosologicamente distinti, come conseguenza del miglioramento delle capacita' di caratterizzare i fenotipi, alla condivisione delle terminologie cliniche e delle infrastrutture sulle quali mettere in comune le casistiche delle malattie rare (Centers for Mendelian Genomics supportati da NHGRI e NHLBI negli USA, FORGE Canada, e WTDDD nel Regno Unito). L'aumento del numero dei fenotipi non e' peraltro inatteso, se si considera che il genoma umano contiene oltre 20.000 geni codificanti proteine, la maggior parte dei quali si e' altamente conservata nell'evoluzione. E' percio' verosimile che anche la maggior parte delle mutazioni in questi geni comportino conseguenze fenotipiche. Si deve inoltre considerare che le alleliche (mutazioni diverse dello stesso gene) possono associarsi a fenotipi diversi. La maggior parte delle malattie sono al momento riconducibili alla parte codificante del genoma, ma sta emergendo un nuovo paradigma. Un gene e' un tratto di DNA che viene trascritto, anche se non viene tradotto; e' probabile che quest'altro catalogo di geni (non codificanti ma utilizzati comunque dal nostro organismo) siano almeno numerosi quanto quelli codificanti. Stanno di fatto emergendo malattie monogeniche dovute a mutazioni di sequenze non codificanti per proteine, ma che codificano per RNA. Il catalogo dei geni e' quindi destinato ad aumentare, cosi' come il catalogo delle malattie dovute a mutazioni di sequenze del DNA. La prevenzione delle malattie mendeliane I risultati della ricerca e le crescenti potenzialita' diagnostiche conseguenti all'introduzione nella pratica clinica delle tecniche di sequenziamento di seconda generazione hanno avuto ripercussioni anche sul fronte della prevenzione delle patologie mendeliane ad esordio nella vita post-natale (ad esempio diverse patologie neoplastiche, miocardiopatie e cardiopatie aritmogene, diabete mellito tipo MODY). La maggior parte di queste condizioni mostra un elevato grado di eterogeneita' genetica e pertanto l'approccio NGS e' particolarmente indicato nella individuazione delle varianti genetiche causative. Queste tecniche, in particolare l'analisi di pannelli di geni candidati mediante targeted resequencing, vengono sempre piu' utilizzate nella prevenzione oncologica e cardiologica. In questo modo e' stato possibile ottenere un miglioramento della resa diagnostica, con l'identificazione mediante WES di nuovi geni-malattia, anche se sono aumentati contestualmente i risultati di difficile interpretazione, in particolare i cosiddetti VOUS e gli incidental findings. Trattandosi di condizioni non frequenti (nel caso di malattie comuni, come i tumori, le forme su base mendeliana, rappresentano circa il 5-10% del totale dei casi), l'approccio standard alla prevenzione delle malattie mendeliane in epoca post-natale prevede l'individuazione dei soggetti a rischio attraverso l'analisi dell'albero genealogico ed il fenotipo clinico (ad es. aggregazione familiare di specifiche patologie, insorgenza in eta' precoce rispetto alla media della popolazione generale, e/o altre caratteristiche cliniche specifiche). Un risultato negativo di un test di predisposizione, eseguito con metodiche tradizionali o analizzando un pannello di geni, non consente di escludere la presenza di una variante genetica causativa non rilevata; cio' puo' essere dovuto al fatto che non sono stati analizzati tutti i geni noti gia' correlati con il fenotipo di interesse, oppure al coinvolgimento di altri meccanismi genetici non ancora individuati. Inoltre, e' noto che l'approccio clinico basato sull'analisi del fenotipo e sull'impiego dei test convenzionali comporta ritardi ed errori diagnostici, anche di fronte a patologie per le quali i test sono ampiamente disponibili e validati, come la fibrosi cistica e la sindrome dell'X fragile. Un approccio su scala piu' larga (WES o WGS) dovrebbe quindi consentire di ridurre il numero di risultati non informativi. In effetti, gli approcci genomici hanno consentito di individuare nuovi geni responsabili di patologie mendeliane potenzialmente prevenibili mediante implementazione di specifiche misure cliniche. Il sequenziamento genomico preventivo Il miglioramento delle conoscenze sulle basi genomiche di diverse patologie, insieme alla riduzione dei costi delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione, ha dato origine al concetto di sequenziamento genomico preventivo (Preventive Genomic Sequencing; PGS), un termine con il quale si indica l'obiettivo di identificare i portatori silenti di varianti che determinano un'elevata predisposizione allo sviluppo di malattie mendeliane, in particolare quelle per le quali sono disponibili approcci preventivi validati. A differenza dei programmi di screening genetico tradizionali, il PGS non sarebbe quindi limitato alle persone/famiglie riconosciute ad alto rischio, ma sarebbe applicabile all'intera popolazione per individuare casi latenti o non ancora individuati di patologie genetiche. La possibile implementazione del PGS comporta diverse problematiche, di natura etica, legale e clinica. Limitandosi a considerare quest'ultimo aspetto, il problema centrale e' rappresentato dalla scelta delle patologie che si vorrebbero testare. In ambito diagnostico e di ricerca e' stato gia' proposto di limitare la comunicazione dei risultati incidentali alle varianti genetiche responsabili di patologie per le quali siano disponibili interventi clinici di provata efficacia (medically actionable genes; MAGs), lasciando ai pazienti la scelta se essere informati e, in caso affermativo, in maniera completa o parziale, dei risultati emersi dall'indagine. Al momento e' stato proposto che gli eventuali programmi di PGS, essendo di natura pilota, siano focalizzati sui MAGs. Un aspetto importante da chiarire riguarda il grado di informazioni da comunicare preliminarmente alle persone che richiedono il test e la possibilita' di decidere se ricevere o meno i risultati inerenti a specifici geni o malattie. Se la finalita' del PGS fosse la riduzione della frequenza globale delle patologie causate dalle varianti nei geni indagati, il programma dovrebbe essere applicato a tutta la popolazione. Ammesso che tutti i soggetti potenzialmente interessati potessero accedere al test, l'impatto, in termini di salute pubblica, non sarebbe tuttavia molto significativo. Si stima infatti un tasso di risultati positivi dello 0,5-1%. Per alcune patologie, cio' comporterebbe la possibilita' di implementare programmi di prevenzione, ma l'incidenza globale della malattia non sarebbe sostanzialmente ridotta. Ad esempio, i geni BRCA1 e BRCA2 causano circa il 5- 10% dei tumori del seno e il 15% dei carcinomi ovarici, e i geni del mismatch repair, associati alla sindrome di Lynch, sono implicati nell'1-3% dei carcinomi colorettali e nell'1% circa dei carcinomi dell'endometrio. La maggior parte di questi tumori non sarebbe quindi prevenibile attraverso l'implementazione di programmi PGS, e il beneficio, a livello della popolazione generale, sarebbe limitato. Inoltre, il rischio conferito da una variante patogenetica riscontrata in un soggetto che non ha storia familiare o personale della malattia alla quale la variante e' associata potrebbe essere sostanzialmente diverso da quello che ha una persona affetta e/o con storia familiare positiva per la malattia, a causa dell'intervento di fattori modificatori ancora largamente sconosciuti. I database genetici contenenti i risultati delle analisi WES effettuate con finalita' di ricerca (ExAC, Exome Aggregation Consortium; http://exac.broadinstitute.org/) hanno messo in evidenza una frequenza relativamente elevata di varianti associate a patologie mendeliane considerate patogenetiche, sollevando dubbi sul loro effettivo significato clinico. In conclusione, i test genomici post-natali per la prevenzione delle malattie mendeliane trovano oggi indicazione per l'analisi di pannelli di geni mediante targeted resequencing o in silico dopo sequenziamento dell'intero esoma. Puo' essere preso in considerazione l'esoma quando la causa genetica di un fenotipo con caratteristiche che suggeriscono una base mendeliana non e' stata identificata in base all'analisi dei geni candidati noti. L'offerta e l'implementazione di programmi di PGS richiede invece ulteriori discussioni ed eventuali studi pilota per verificarne l'utilita' clinica e chiarirne le problematiche etiche connesse. A titolo di esempio, negli approfondimenti viene riportato l'approccio genomico alla prevenzione delle malattie cardiovascolari mendeliane (v. Capitolo 8 d). 4 d.2 Test post-natali per malattie complesse. 4.d 2.i Concetti generali Le analisi genome-wide hanno avuto un grande impatto nella comprensione delle differenze e percio' della variabilita' interindividuale e hanno permesso di mappare un migliaio di loci-malattia associabili a fenotipi di suscettibilita' alle malattie piu' comuni nell'uomo. La suscettibilita' a sviluppare una determinata malattia e' dovuta alla componente genetica della malattia, ovvero la sua "ereditabilita' " riconducibile alle caratteristiche del genoma individuale, distinguendola dalla componente ambientale, intesa come alimentazione, farmaci, microbioma, stili di vita, (esposoma). L'analisi genetica della suscettibilita' alle malattie complesse ha permesso di indagare per la prima volta i meccanismi biologici della variabilita' interindividuale, nonche' dell'ereditabilita'. E' stato cosi' scoperto che le persone differiscono tra loro in media da 4,1 a 5 milioni di varianti di singolo nucleotide (SNVs), almeno 459.000 - 565.000 delle quali si sovrappongono con le regioni regolatorie, che circa una ogni 200 basi e' diversa e ogni persona possiede oltre 1500 variazioni che la rendono diversa rispetto alle mappe di riferimento. Delle varianti trascritte, piu' del 85% sono rare con frequenze alleliche minori (MAFS) al di sotto dello 0,5%. Inoltre se considerassimo solo le varianti putativamente funzionali, il loro numero aumenterebbe di oltre il 95%, a sottolineare l'importanza dell'analisi delle varianti rare, al fine di stabilire con maggiore precisione la suscettibilita' ad una malattia o una risposta ad un farmaco. La suscettibilita' genetica e' appunto la risultante della variazione di un gene che altera la funzione biologica espressa dal gene all'origine, modificando il rischio di un soggetto di sviluppare una determinata patologia. Si definisce gene di suscettibilita', una variante genetica che conferisce un rischio modificato di contrarre una specifica malattia ma non e' di per se sufficiente a causare la malattia. Le variazioni di questi geni sono note come polimorfismi e possono variare quantitativamente e qualitativamente. Ad esempio, e' stato riconosciuto che vi sono almeno 300 polimorfismi che influenzano lo sviluppo delle patologie cardiovascolari. Tuttavia, nessuno di questi, valutato singolarmente puo' essere utilizzato per una stima del rischio predittivo ne' tantomeno come target di terapia. Il potere predittivo dei singoli polimorfismi e' limitato proprio dalla loro variabilita' a livello di popolazione, dal contesto del genoma nella quale si trovano, dall'architettura genomica (posizione nel gene, presenza di mutazioni aggiuntive, controllo epigenetico, interazione con altri polimorfismi). Soltanto un'analisi complessiva delle varianti di rischio (mediante precisi algoritmi) di un determinato numero di polimorfismi, permette di prevedere statisticamente il rischio di sviluppare una malattia o di rispondere a un intervento terapeutico sulla base della determinazione del genotipo per una o piu' mutazioni geniche. Un algoritmo (RACE) sviluppato dalle Universita' di Roma Tor Vergata e Vita e Salute di Milano ha permesso di valutare il rischio individuale di ogni persona basandosi sull'analisi di 11 geni di suscettibilita' alle malattie cardiovascolari congiuntamente alla presenza di tutti gli altri fattori di rischio (fumo, stili di vita, patologie concomitanti, dati di laboratorio clinico, attivita' culturale). Combinati insieme in un modello a quattro dimensioni, e' stato possibile stimare il rischio individuale prospettico in oltre 200 casi con accuratezza e precisione. Questo e' un esempio applicativo di medicina personalizzata basato sulla variazione genomica individuale di un set di 11 loci integrato con i fattori di rischio ambientali riferiti al soggetto in esame e non alla popolazione generale. Questi studi nei prossimi anni si moltiplicheranno in conseguenza della grande quantita' di dati clinici appartenenti ai singoli soggetti (cartelle cliniche elettroniche), che saranno collegate a informazioni genotipiche (SNPs) e renderanno possibile Phenome-Wide association studies (PheWASs) ovvero, analisi comparative delle varianti genetiche associate a fenotipi multipli utilizzando solo i dati raccolti nelle banche dati. Il metodo PheWAS ha contribuito a definire diversi sottotipi di una malattia ed e' determinante negli studi di riposizionamento dei farmaci e nella medicina di precisione. L'approccio PheWASs ha permesso di identificare e mappare con precisione 160 loci-malattie diverse nella regione HLA sul braccio corto del cromosoma 6 in una regione di DNA di circa 4 Mb, tra cui geni di suscettibilita' alla schizofrenia, al diabete, alla psoriasi, al lupus e ad altre malattie autoimmuni. Altri ricercatori hanno utilizzato il metodo PheWAS per identificare l'origine di alcune malattie neurologiche, psichiatriche e dermatologiche in segmenti di DNA di origine Neandertaliana. PheWASs puo' essere utilizzato anche per scoprire condizioni di co-morbidita', come ad esempio la suscettibilita' alla paradontite che e' co-localizzata con loci di suscettibilita' al diabete, all'ipertensione e all'ipercolesterolemia, o anche di individuare sottotipi di pazienti con patologie complesse, come nel diabete di tipo 2, distinguendo su base genetica i soggetti suscettibili ad alcune complicanze, come la nefropatia o la retinopatia. Analogamente, la neuropatia diabetica e' stata associata ai polimorfismi di alcuni geni codificanti miRNAs aprendo la strada a nuovi alleli di suscettibilita' in geni mai identificati fino ad oggi su base polimorfica. Gli stessi autori hanno identificato polimorfismi "a monte" del gene MIR1279 che risultano associati con lo sviluppo della pericardite nei pazienti affetti da Lupus Eritematoso Sistemico, indipendentemente dagli altri loci di suscettibilita' alla malattia. Questi esempi dimostrano la straordinaria potenza dell'approccio genomico per dissezionare le malattie complesse. Ad esempio hanno identificato come loci di suscettibilita' alle malattie autoimmuni, i geni STAT4, IL10, PSORS1C1, PTPN2, ERAP1, TRAF3IP2 e MIR146A, che influenzano la sintomatologia dell'artrite reumatoide in modo pleiotropico e additivo. Attualmente le ricerche sulle basi biologiche dei caratteri complessi restano essenzialmente oggetto di studio; in questo contesto si va sempre piu' configurando l'idea che le malattie comuni siano determinate dall'effetto cumulativo di molte variazioni che individualmente conferiscono un rischio di malattia molto modesto o addirittura trascurabile, se non in associazione con molte/moltissime altre variazioni. L'utilizzo clinico dei polimorfismi di suscettibilita' dovrebbe tenere conto di alcune cautele principali. In primo luogo, le persone non dovrebbero sottoporsi a questi test senza conoscere a priori come utilizzare i risultati. In secondo luogo, deve essere chiaro che almeno un test ogni 20, tra quelli con una dichiarata specificita' del 95%, fornisce un risultato falso positivo; ne consegue che il sequenziamento completo del genoma di una persona fornisce un risultato contenente almeno 6000 errori. Inoltre, va ricordato che, all'interno dei dati ottenuti, ne vengono evidenziati alcuni di non chiaro significato clinico (i cosiddetti VUS - Variations of Unknown Significance), oppure la specificita' allelica (posizione in cis/trans degli alleli in condizione di eterozigosi) che limitano ulteriormente il potere predittivo di queste analisi. Non ultimo, il valore clinico di un'indagine di questo tipo dipende dalla possibilita' di collegare specifiche varianti ad un miglioramento dell'esito clinico, il che di solito non e' affatto scontato. La diversita' genetica individuale si presenta come un continuum che va da polimorfismi neutri, attraverso polimorfismi funzionali e suscettibilita' alla malattia con varianti di vero significato patologico. E' evidente pertanto che diverse combinazioni di polimorfismi a minore o elevato rischio costituiscono una rete complessa e funzionale con diverse conseguenze cliniche. Infatti, e' proprio la combinazione di alleli comuni a bassa penetranza con alleli rari ad elevata penetranza che influenzano l'eta' di insorgenza e / o la gravita' clinica di una malattia complessa. La definizione del rischio per un singolo soggetto non dipende quindi solo dal numero e dalla posizione delle varianti di suscettibilita' individuate, ma anche dalla composizione unica del proprio genoma a livello di carico mutazionale. A questo si aggiunge l'impatto fornito dai fattori epigenetici e ambientali che in modo sinergico e a volte antagonista, puo' contribuire alla definizione del fenotipo (in modo deleterio o protettivo) perturbando l'equilibrio di vie metaboliche specifiche innescando o inibendo il processo patogenetico. Per questa ragione e' necessario sviluppare nuovi algoritmi in grado non solo di identificare quelle varianti funzionali di elevato significato clinico ma capaci di elaborare rischi personalizzati interattivi con singoli fattori ambientali e migliorare in tal modo la nostra comprensione della natura della malattia complessa. 4.d 2.ii L'esempio delle malattie cardiovascolari multifattoriali La cardiopatia ischemica e' la prima causa di morte nel mondo occidentale. L'aterosclerosi coronarica e' il substrato anatomopatologico che sottende quasi tutte le manifestazioni cliniche (angina cronica stabile, sindromi coronariche acute, morte improvvisa coronarica) della cardiopatia ischemica. La malattia aterosclerotica coronarica e' una malattia complessa alla cui espressione clinica concorrono due meccanismi patogenetici ugualmente importanti: i fattori ambientali comunemente chiamati fattori di rischio; la suscettibilita' genetica, cioe' tutto il corredo dei geni con i propri polimorfismi che facilitano il processo aterosclerotico. I fattori ambientali o di rischio, sono stati identificati nei principali studi epidemiologici, ad esempio il Framingham Heart Study effettuato a partire dal 1948 nella cittadina statunitense di Framingham (Massachusetts) e piu' recentemente l'INTERHEART, che ha individuato, in ordine decrescente di odds ratio o probabilita' di associazione il livello di colesterolo, il fumo, il diabete, l'ipertensione, l'obesita', ed ha individuato, come fattori protettivi, il consumo giornaliero di frutta e verdura, l'esercizio fisico e un moderato consumo di alcool. I fattori di stress psico-sociali sono stati classificati come fattori che influenzano negativamente tutti gli altri. Sono state proposte molte le teorie che hanno cercato di spiegare la formazione della placca aterosclerotica. Quella oggi piu' accreditata e' la teoria metabolica, che pone il colesterolo LDL come punto cardine nella formazione, progressione e destabilizzazione della placca aterosclerotica. E' stato riconosciuto uno stretto legame tra alcuni polimorfismi dei geni che codificano per proteine importanti nei processi biologici alla base della formazione della placca aterosclerotica e della fisiologia cardiocircolatoria e lo sviluppo delle patologie cardiovascolari. Ad esempio e' noto che il polimorfismo M235T del gene codificante per l'angiotensinogeno (AGT) e' strettamente correlato con l'ipertensione arteriosa. Numerosi altri studi hanno riguardato i geni che producono proteine/enzimi attivi nel metabolismo del colesterolo, della coagulazione, delle lipoproteine, dell'aggregazione ed adesione piastrinica, dei processi infiammatori a livello della parete vasale, del collagene e dell'ossidazione delle LDL, nonche' dei loro recettori. Tra questi, i geni di maggiore interesse per la definizione della suscettibilita' genetica comprendono: i geni del metabolismo lipidico (ApoB, ApoCIII, ApoE, CETP, LPL, PON, TRIB1); dell'ipertensione (ACE, AGT, ATIIR1); del metabolismo dell'omocisteina (MTHFR, CBS); della trombosi (FV, FBNGN, GPIIIa); dell'adesione leucocitaria (ELAM) ed altri geni a funzione sconosciuta ma probabilmente con attivita' regolatoria, come la regione non codificante 9p21 e regolazione dei geni CDKN2B e CDKN2A, considerato oggi un polimorfismo ad elevata penetranza nelle malattie cardiovascolari. Quanti e quali di questi geni di suscettibilita' all'aterosclerosi e all'infarto del miocardio possono essere considerati importanti per la predizione della malattia? Ogni allele di suscettibilita' deve essere identificato e classificato in base al proprio score genetico di rischio (GRS) risultante dalla combinazione degli alleli di rischio. Un GRS rappresenta l'elemento costante di esposizione al rischio dell'individuo durante tutta la sua vita che naturalmente si interfaccia con gli altri fattori di rischio ambientali. Utilizzando specifici algoritmi, e' possibile stabilire un punteggio di rischio genetico (GRS) associato al rischio cardiovascolare individuale e stabilire, l'eventuale effetto additivo o moltiplicativo dei singoli fattori di rischio nella valutazione complessiva del rischio ischemico nella malattia coronarica. Ad esempio, i valori del colesterolo LDL e dei trigliceridi hanno un effetto additivo sul rischio cardiovascolare, quando combinati, ma la loro interazione con il GRS e' piu' complessa e potrebbe avere un effetto moltiplicativo. Questo conferma che la progressione dell'aterosclerosi e' la risultante di una combinazione tra il processo infiammatorio e i livelli lipidici. E' bene chiarire subito che un set di geni selezionati esclusivamente in base alla loro funzione nella patogenesi cardiovascolare possono essere utili in termini di predizione del rischio di malattia coronarica. Tuttavia, nessuno di questi geni, valutato singolarmente, puo' essere utilizzato per una valutazione del rischio predittivo ne' tantomeno come target di terapia. Soltanto un'analisi complessiva delle varianti di rischio (mediante precisi algoritmi) di un determinato set di geni non-pleiotropici validato e qualificato, attraverso opportuni studi di popolazione, e di analisi retrospettive e prospettive, permette di prevedere statisticamente il rischio individuale di sviluppare la malattia aterosclerotica o di rispondere a un intervento terapeutico sulla base della determinazione del genotipo per una o piu' mutazioni geniche. Oltre ai polimorfismi che aumentano direttamente il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, esistono alcuni geni che indirettamente aumentano tale rischio. Queste suscettibilita' "indirette" sono dovute ad alcuni geni che influenzano comportamenti non salutari come il consumo di alcool e tabacco. L'importanza "comportamentale" nella modificazione del rischio individuale e' stata dimostrata in maniera inconfutabile da alcuni studi di popolazione sulle migrazioni. Ad esempio, gli individui giapponesi hanno una piu' bassa incidenza di sviluppare CVD rispetto agli americani, ma gli americani-giapponesi, che hanno adottato uno stile di vita "occidentale", hanno la stessa incidenza di sviluppare CVD della restante popolazione americana. Un altro drammatico esempio di una popolazione stazionaria, che ha subito un cambiamento ambientale, e' quello degli Indiani Pima dell'Arizona. Prima dell'adattamento allo stile di vita occidentale, questi indiani avevano una modesta incidenza di obesita' e diabete, attualmente invece queste malattie sono in dilagante crescita in questa popolazione. Molto studi scientifici hanno documentato che la differenza di incidenza delle CVD tra le popolazioni e' dovuta principalmente a fattori ambientali. Questo non si puo' dire tuttavia per le popolazioni che non differiscono nella suscettibilita' genetica; per esempio, gli indiani Pima hanno sorprendentemente una bassa incidenza di CVD nonostante l'alta frequenza di diabete. Le interazioni gene-ambiente sono difficili da studiare negli esseri umani, ma gli studi genetico-epidemiologici hanno rivelato alcuni esempi possibili. I Masai, una tribu' dell'Africa orientale, hanno una alimentazione estremamente elevata di grassi (la loro dieta e' composta quasi interamente da prodotti di origine animale), ma i loro livelli di colesterolo tendono ad essere relativamente bassi. Questo e' una conseguenza di una insolita regolazione a feedback negativo della sintesi del colesterolo per ragioni genetiche. D'altra parte, gli eschimesi hanno relativamente scarsa repressione della sintesi del colesterolo in risposta ad una dieta con un elevato contenuto di grassi. Questo e' conseguente all'adattamento a condizioni ambientali estreme con basse temperature e dieta ricca di acidi grassi polinsaturi, che ha permesso di selezionare varianti specifiche di geni codificanti per desaturasi che modulano il metabolismo degli acidi grassi semi essenziali. L'importanza del GRS nelle malattie cardiovascolari attualmente puo' essere importante nella valutazione dell'aumento del rischio di un consanguineo di un individuo affetto rispetto alla popolazione generale. Le CVD si presentano di solito dopo i 55 anni, per cui tali valutazioni sono importanti soprattutto negli eventi cardiovascolari precoci. L'utilizzo del GRS nella valutazione del rischio preventivo di malattia coronarica dovrebbe pertanto essere utilizzato nella pratica clinica solo nelle seguenti condizioni: - consulenza genetica pre- e post-test; - impiego di polimorfismi non-pleiotropici gia' analizzati e validati; - interpretazione del risultato effettuato da un team di esperti con figure professionali differenti (cardiologi, genetisti, bioinformatici); - il Centro che offre il test deve disporre di database, di programmi e di algoritmi in grado di interconnettere i dati clinici con i dati genetici. Obiettivi e Raccomandazioni (Cap.4 d 2) Da quanto esposto emergono le seguenti priorita', rispetto alle quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 8): - Promuovere il ricorso alla valutazione della suscettibilita' genetica nei pazienti con CVD e di un programma organizzato di screening del GRS nei familiari sani. La disponibilita' di sufficienti evidenze scientifiche mette il Sistema Sanitario in condizione di inserire tale screening in modo sistematico nell'ambito dei servizi offerti alla popolazione di riferimento (come definita dalle Lineeguida: v. dopo). Si identifica quindi un intervento di sanita' pubblica con le seguenti caratteristiche: basato su valutazioni di efficacia sperimentale; organizzato per profili di assistenza e quindi non soltanto delegato alla competenza /sensibilita'/ iniziativa tecnico-professionale; mirato all'equita' e quindi basato sul coinvolgimento attivo della popolazione destinataria; dotato di un esplicito sistema informativo e di valutazione. Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello internazionale ma appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel Sistema Sanitario italiano. E' quindi necessario: - Contestualizzare linee-guida per la valutazione della suscettibilita' genetica nei pazienti con CVD e dello GRS nei familiari sani. Tale obiettivo puo' essere conseguito in armonia con il Sistema nazionale linee guida (SNLG) che e' impostato per elaborare raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi scientifici piu' aggiornati, secondo il proprio metodo; e' riconducibile a tale processo anche la collaborazione con societa' scientifiche ed esperti di settore. In tale framework di livello nazionale potra' essere prodotta una contestualizzazione di una linea-guida internazionale. La successiva fase di implementazione e' riconducibile alle responsabilita' e metodi della programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede un processo esplicito di recepimento e applicazione - Organizzazione di un percorso. Assunto che la linea-guida riguarda per definizione la dimensione tecnico-professionale; le raccomandazioni derivate dalla L-G devono portare alla implementazione di un'organizzazione in grado di accogliere la popolazione target in un percorso esplicito, basato su 'nodi organizzativi' chiaramente definiti e procedure di 'ingaggio' precise ed esplicite. Si tratta quindi di definire un percorso diagnostico- terapeutico- assistenziale (PDTA) che prenda in carico gli individui destinatari dello screening. Tabella 8: Interventi identificabili Parte di provvedimento in formato grafico