(Allegato sub A)) (parte 1)
 
                                                          All. sub A) 
 
                               TITOLO 
PIANO PER L'INNOVAZIONE DEL SISTEMA SANITARIO  BASATA  SULLE  SCIENZE
                               OMICHE 
 
  INDICE 
 
                             PARTE PRIMA 
 
  1. Introduzione: perche' questo Piano? 
      a. Il contesto programmatorio 
      b. Vision, principi, struttura e obiettivi generali 
 
  2. Basi scientifiche e concettuali delle tecniche omiche 
 
 
                            PARTE SECONDA 
 
  3. La genomica nella diagnosi 
      a. Malattie Mendeliane 
      b. Malattie Complesse e multifattoriali 
      c. Tumori 
               i. Mutazioni germinali 
              ii. Mutazioni somatiche 
 
  4. La prevenzione personalizzata 
      a. Test Pre-concezionali 
      b. Test Prenatali 
               1. NIPT 
               2. La diagnosi prenatale genomica (NGPD) 
      c. Screening Neonatale ed Approcci genomici 
      d. Test postnatali per: 
               1. Malattie Mendeliane 
               2. Malattie Complesse 
                    i. Concetti generali 
                   ii. Malattie cardiovascolari multifattoriali 
               3. Tumori 
                    i. Mutazioni germinali per tumori ereditari 
                          1. Tumore della mammella 
                          2. Sindrome di Lynch 
                   ii. Mutazioni germinali per suscettibilita' a 
                       tumori 
                          1. Cancro alla Prostata 
                  iii. Mutazioni somatiche 
 
  5. La genomica nella terapia 
      a. Risposta ai farmaci e farmaco genomica 
      b. Terapia personalizzata dei tumori 
 
  6. Funzione di governo centrale e azioni di supporto alla 
     implementazione del piano 
 
  7. Indicazioni per la ricerca e l'innovazione 
 
  8. Approfondimenti 
      a. Aspetti etici degli approcci genomici 
      b. Test genetici diretti al consumatore 
      c. L'omica batterica 
      d. Test post-natali per le malattie cardiache mendeliane 
      e. Valutazioni economiche 
 
  9. Obiettivi e Raccomandazioni 
 
  10. Glossario ed acronimi 
 
 
                             PARTE PRIMA 
                             CAPITOLO 1 
                 Introduzione: perche' questo Piano? 
 
    - La finalita'. I  progressi  nell'ambito  della  genomica  hanno
implicazioni  evidenti  e  cruciali  per  la  salute  pubblica;  tali
conoscenze permettono infatti di riconoscere piu' facilmente le  basi
genetiche delle malattie  ereditarie  ed  offrono  l'opportunita'  di
differenziare, all'interno  delle  popolazioni,  individui  e  gruppi
maggiormente suscettibili di  sviluppare  determinate  condizioni,  e
questo con modalita' nuove rispetto a quelle  tradizionalmente  usate
dai professionisti di sanita' pubblica. Nonostante la genomica  abbia
visto uno sviluppo notevole nell'ultimo  decennio,  ed  un  progresso
ancora piu' rapido sia atteso nel prossimo futuro, fino  ad  oggi  il
suo impatto sulle politiche sanitarie e' stato limitato. Questo  atto
di pianificazione nasce quindi dalla esigenza di integrare la  sempre
maggiore disponibilita' di strumenti sofisticati  nel  settore  delle
scienze genomiche con le pratiche correnti di sanita' pubblica. Nello
specifico, la finalita' del piano e' delineare le modalita'  con  cui
l'innovazione nel settore della genomica si debba innestare  nel  SSN
negli ambiti della prevenzione, diagnosi  e  cura,  in  un'ottica  di
efficacia (evidence-based) e di  sostenibilita'  (cost-effectiveness)
del SSN ai fini del miglioramento della salute dell'individuo e della
popolazione. 
  Il Piano si inserisce  in  una  strutturazione  di  "governance"  e
"capacita' di sistema"  che  da  un  lato  si  basa  su  e  valorizza
iniziative gia' in corso (es. progetti supportati dal Ministero della
Salute ed altri Enti Finanziatori), e  dall'altro  necessita  di  una
pianificazione adeguata a livello nazionale (interventi legislativi). 
    - Lo scenario. I  sistemi  sanitari  di  tutto  il  mondo  stanno
affrontando  una  fase  cruciale  e   delicata,   caratterizzata   da
un'elevata  pressione  finanziaria   che   rischia   di   minare   la
sostenibilita' di tali sistemi. Per affrontare  la  sfida  di  questo
scenario in evoluzione, i sistemi sanitari dovranno gestire tre  nodi
cruciali: ridare centralita' al cittadino nel contesto  del  sistema;
dare maggiore enfasi alle  attivita'  di  prevenzione;  riorganizzare
radicalmente  il  servizio  spostando  le   cure   dall'ospedale   al
territorio. Tuttavia, nei report piu' recenti ne' la genomica ne'  le
scienze della vita sono state considerate  e  discusse  come  settori
importanti per lo scioglimento di questi nodi. Si suggerisce  quindi,
in linea con recenti report di  esperti,  che  questi  punti  critici
vengano  affrontati  anche  con  l'ausilio  delle  conoscenze  e  dei
principi della genomica, in virtu' di una  consapevolezza  che  negli
ultimi anni sta maturando sempre di piu' su queste  tematiche  tra  i
professionisti di sanita' pubblica. Nello specifico, la  genomica  ed
altre innovazioni scientifiche possono inserirsi in un trend  sociale
gia' in atto, cioe' la sempre  maggiore  centralita'  dell'individuo,
per rendere la salute pubblica e l'assistenza sanitaria piu' efficaci
ed efficienti. La presente proposta quindi si focalizza su  un  nuovo
paradigma che guarda oltre la genomica di sanita' pubblica, e che sia
indirizzato ai mutevoli bisogni sanitari  delle  popolazioni.  Questo
nuovo  paradigma  dovrebbe  fondarsi  sui   seguenti   pilastri:   la
personalizzazione  dell'assistenza  sanitaria;  l'adozione  di  nuove
tecnologie, accanto a quelle genomiche, al fine  di  incrementare  la
conoscenza degli individui, del loro stato di salute e di malattia  -
includendo in particolare nuove tecnologie biomediche e digitali come
l'imaging ed i sensori wireless -; lo sviluppo  e  l'integrazione  di
una prevenzione personalizzata,  come  approccio  complementare  alle
classiche  pratiche  esistenti  in  sanita'  pubblica;  l'uso   della
connettivita' mobile e delle crescenti  capacita'  computazionali  al
fine di generare grandi quantita' di dati (big  data)  da  utilizzare
per il progresso della sanita'  e  di  altri  settori.  Questo  nuovo
approccio supera esplicitamente quello  della  genomica  classica,  e
unisce quelli che possono apparire campi totalmente distanti tra loro
al  fine  di  fornire  un  approccio  piu'  olistico   all'assistenza
sanitaria. 
    - La sfida. Sara' essenziale affrontare alcune  sfide,  man  mano
che i progressi nel campo della genomica  aprono  nuove  opportunita'
per il miglioramento della salute attraverso  l'uso  di  applicazioni
genomiche e strumenti per la valutazione della storia di salute delle
famiglie. E' infatti sempre piu' difficile per i comitati di  esperti
valutare in tempo reale e meticolosamente i benefici ed  i  possibili
danni derivanti delle applicazioni genomiche  e  degli  strumenti  di
valutazione del rischio, visto il loro rapido  aumento.  Sono  quindi
necessari dati nazionali validi ed affidabili per stabilire le misure
di riferimento e per monitorare i progressi. Le  classiche  fonti  di
dati amministrativi  dei  sistemi  sanitari  probabilmente  non  sono
ancora adeguate a questo scopo. Lo sviluppo  di  un  programma  sulla
stregua di Healthy People potrebbe pertanto essere  ostacolato  dalla
limitata disponibilita' sia di raccomandazioni  basate  sull'evidenza
sia di dati nazionali per monitorare i progressi. 
 
    - Lo  sviluppo  della  genomica  (e  delle  scienze  "omiche"  in
generale) non comporta solo conseguenze  sul  piano  della  salute  e
della medicina. Per sua stessa natura la genomica  contribuisce  alla
(e si alimenta della) innovazione della IT, tanto che e'  considerata
componente  e  "funzione"  dei  Big  Data.  Questo   comporta   delle
conseguenze almeno nelle seguenti tre dimensioni, che quindi  entrano
per tale motivo in questo Piano come garanzia di  governabilita'  per
il sistema Paese dell'innovazione basata sulle scienze omiche: 
 
      - Norme e regole: l'innovativita' degli scenari generati  dalla
ricerca omica, il carattere dei problemi posti, le esigenze nuove che
scaturiscono dall'impetuoso sviluppo in questo  campo,  impongono  un
adeguamento del quadro di riferimento normativo. Cio' e' evidente per
la valutazione della conoscenza fruibile (con un ruolo  per  l'Health
Technology Assessment) oppure per il governo della vendita direct  to
consumer, oppure  per  il  data  sharing  (per  rendere  fattibile  e
governare tale cruciale fenomeno  sia  in  Italia  che  nel  contesto
internazionale). 
      - Logistica: le esigenze poste dalla  "interrogazione  dei  Big
Data" definiscono la necessita' di costruire una capacita' di sistema
che riesca a integrare le capacita' super-computazionali  disponibili
in Italia ma anche a farle interagire con risorse di questo  tipo  in
altri  Paesi.  Il  networking  in  questo  campo  assume  quindi   la
caratteristica di una soluzione logistica automa  ma  non  autarchica
che, a sua volta,  e'  conditio  sine  qua  non  per  produrre  nuova
conoscenza rispetto alle esigenze "di scala" peculiari delle  scienze
omiche. 
      - Innovazione:  da  un  lato  questo  Piano  intende  acquisire
all'interno  del  SSN   le   innovazioni   culturali,   scientifiche,
tecnologiche ed  erogative  gia'  in  qualche  modo  acquisite  dalla
ricerca nelle scienze omiche. Intende anche promuovere le  necessarie
innovazioni congeniali alle  caratteristiche  di  questo  campo  (per
esempio tecnologie per rendere fruibili ai "medici di prossimita'" il
corpus delle evidenze scientifiche  effettivamente  utilizzabili  nel
rapporto col singolo paziente).  Ma  bisogna  anche  riconoscere  una
fondamentale questione che riguarda la necessita'  di  assicurare  al
nostro Paese una dimensione  di  "innovazione  continua";  in  questo
senso si deve riconoscere il legame specifico che lo  sviluppo  delle
scienze omiche ha con la crescita economica. Pertanto, si  tratta  di
attivare  una  capacita'  sistemica  di  "Ricerca  e  sviluppo"   che
garantisca tale prospettiva di crescita mediante un  uso  sistematico
di concorsi di idee e bandi di start-up. 
 
              Considerazioni riguardo l'implementazione 
 
  - L'applicazione della genomica  nell'assistenza  sanitaria  ha  il
potenziale di ridurre l'impatto delle  malattie  sulla  salute  della
popolazione.  Il  successo  sara'  tanto   maggiore   quanto   questa
applicazione avverra' come naturale  ampliamento  e  complemento  dei
tradizionali approcci di sanita' pubblica. 
  - I professionisti che lavorano nel campo della salute  pubblica  e
coloro che hanno ruoli  di  responsabilita'  nell'organizzazione  del
sistema sanitario hanno  il  compito  di  iniziare  e  facilitare  il
processo  di  implementazione  al  fine  di  assicurare   un   giusto
equilibrio e di favorire la consapevolezza nei decisori politici. 
  - Per una corretta implementazione della medicina  genomica  e'  di
importanza  centrale  l'educazione  di   professionisti,   cittadini,
decisori politici ed altri portatori di interesse. 
 
                   1.a Il contesto programmatorio 
 
  I contenuti del presente Piano tengono conto in primo  luogo  e  in
senso generale degli assetti specifici del SSN ed  in  secondo  luogo
dei seguenti  atti  di  pianificazione  strategica  internazionale  e
nazionale: 
 
  - WHO  Global  action  plan  for  the  prevention  and  control  of
non-communicable diseases 2013-2020. 
  L'Italia ha sottoscritto l'obiettivo di ridurre, per il  2010,  del
25% il rischio di mortalita' prematura per malattie  cardiovascolari,
cancro, diabete e malattie respiratorie croniche. Come  e'  evidente,
questo obiettivo solleva potenzialmente il nostro sistema paese da un
carico prevenibile  di  eventi  morbosi  e  mortali,  rafforzando  il
contributo da parte del servizio sanitario al sistema  di  welfare  e
rendendo questo piu' sostenibile, anche in relazione  agli  andamenti
demografici tipici del nostro Paese.  Questa  caratteristica  e',  in
modo particolare, attribuibile all'obiettivo  sulla  riduzione  della
mortalita' prematura da  malattie  croniche  non  trasmissibili,  pur
essendo  valorizzabili  in  tal  senso  anche  gli  obiettivi   sulla
riduzione  degli   effetti   dell'inquinamento,   delle   alterazioni
epigenetiche e delle malattie infettive. 
 
  - WHO The Human Genetic Programme. 
  La WHO ha definito una propria policy di indirizzo in questo campo.
Essa e' basata sulla necessita' di utilizzare le potenzialita'  della
genomica (e delle biotecnologie correlate)  identificando  interventi
innovativi  per  raggiungere  gli  obiettivi  di   salute   e   mezzi
costo-efficaci per la prevenzione, diagnosi e  cura  delle  malattie.
Nello stesso tempo, e' identificato come fondamentale considerare  le
implicazioni etiche, legali e sociali nonche' potenziare la ricerca. 
 
  - European Union Council conclusions on personalized  medicine  for
patients. 
  Riguarda la medicina personalizzata come "modello che  utilizza  la
caratterizzazione del fenotipo e del  genotipo  degli  individui  per
personalizzare la strategia terapeutica  per  la  persona  giusta  al
momento giusto, e/o per determinare la predisposizione alla  malattia
e/o per erogare tempestivamente interventi di prevenzione mirati". 
  Invita  gli  Stati  membri  a  sviluppare  politiche  centrate  sul
paziente e basate sull'uso delle informazioni genomiche, integrandole
nei programmi di sanita' pubblica  e  di  ricerca  e,  nel  contempo,
assicurando  l'adeguata  valutazione  delle  nuove  conoscenze  e  la
sostenibilita' del sistema sanitario nazionale. Le  conclusioni,  tra
l'altro (v.),  forniscono  indicazioni  sull'equita'  di  accesso  ai
servizi, sull'approccio multidisciplinare, sul  coinvolgimento  degli
stakeholders,   sulla    comunicazione,    sulla    formazione    dei
professionisti, sull'importanza dell'acquisizione di nuove conoscenze
(biobanche ecc.) per lo sviluppo di nuove tecnologie. 
 
  - Intesa Stato  Regioni  e  PPAA  del  13/3/13  recante  "Linee  di
indirizzo sulla genomica in sanita' pubblica". 
  L'Intesa ha lo scopo di fornire, in modo  sistematico  e  organico,
indirizzi generali che consentano il governo  di  questa  tematica  -
fortemente  innovativa  e  strategica  per  il  futuro  del   SSN   -
nell'ambito della sanita' pubblica. A tale scopo vengono identificate
le azioni finalizzate a definire una "capacita' di sistema"  adeguata
all'entita' delle sfide  che  i  progressi  nelle  scienze  genomiche
offrono e pongono al sistema sanitario. 
 
  - Intesa Stato Regioni  e  PPAA  del  30/10/14  recante  "Documento
Tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia del cancro" 
  L'intesa, nel quadro delle azioni necessarie alla lotta  contro  il
cancro,  sottolinea  l'importanza   di   sviluppare   pienamente   le
potenzialita' della genomica  e  della  proteomica  come  definizione
della  suscettibilita'  individuale;  ribadisce   inoltre   che,   in
relazione alla grande crescita di conoscenze genetiche nella  ricerca
di  base  e  nell'applicazione  agli  individui,  e'   emergente   la
necessita' di governare lo sviluppo di tale ricerca,  la  valutazione
della  sua  applicabilita'  nell'ambito  del  sistema  sanitario,  in
particolare della prevenzione, e  la  costruzione  di  una  rete  per
promuovere gli obiettivi della genomica a livello di popolazione. 
 
  - Piano Nazionale della  Prevenzione  2014-18  (di  cui  all'intesa
Stato regioni e PPAA del 13/11/14). 
  Il  PNP,  nell'ambito  della  lotta  alle  malattie  croniche   non
trasmissibili, identifica  uno  specifico  obiettivo  riguardante  la
prevenzione secondaria del tumore della  mammella  dovuto  a  rischio
genetico (Definizione di percorsi  diagnostico-terapeutici  integrati
con i programmi di screening). 
 
  - DM 13/2/16 Documento di indirizzo per l'attuazione delle linee di
supporto centrali al Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018. 
 
  Il DM definisce due linee strategiche: 
 
      -    una     pianificazione     finalizzata     all'innovazione
dell'erogazione dei servizi: si tratta di promuovere sistematicamente
l'adeguamento dell'erogazione dei servizi con le  acquisizioni  della
genomica soprattutto rispetto agli obiettivi  gia'  identificati  dal
PNP  2014-18  come  maggiormente  sfidanti  per  il   sistema   paese
(innanzitutto, le malattie croniche non trasmissibili-macro-obiettivo
1). Tale linea strategica e' sostanzialmente imperniata sul Consiglio
Superiore della Sanita' e in particolare sull'obiettivo assegnato  al
"Tavolo  per  la  genomica"  di  proporre  uno  specifico   atto   di
pianificazione; 
      - la  promozione  di  una  capacita'  di  sistema,  secondo  le
seguenti  priorita':  promuovere  una  autonoma  ma  non   autarchica
capacita' di analisi dei Big data; rendere normativamente agevole  il
data-sharing,  comprensivamente  della  normazione  per  la  privacy;
regolamentare l'acquisto on-line dei test genetici (in collaborazione
con gli altri Paesi europei); definire un assetto  di  sistema  delle
valutazioni HTA applicate a questo campo; promuovere la literacy e il
capacity  building  del  mondo  professionale  e  degli  utilizzatori
finali. 
  In definitiva, oltre allo  scopo  di  valorizzare  le  acquisizioni
della genomica innanzitutto a sostegno degli e in  coerenza  con  gli
obiettivi del PNP, si definisce quello di promuovere  un  complessivo
innalzamento delle capacita' di sistema di  promuovere,  governare  e
gestire il previsto impetuoso sviluppo delle conoscenze genomiche. 
  - "Linee guida per le attivita' di Genetica Medica" approvate dalla
Conferenza Permanente per  i  Rapporti  fra  Stato  e  Regioni  e  le
Province Autonome di Trento e Bolzano (G.U. n. 224  del  23.09.2004),
che forniscono  le  indicazione  per  la  corretta  organizzazione  e
sviluppo delle attivita' di  genetica  medica.  Successivamente,  con
proprio Decreto il Ministero della Salute (D.M.  8  Maggio  2007)  ha
costituito un'apposita Commissione Nazionale con il compito  di  dare
attuazione alle suddette linee guida definendo i servizi di  Genetica
Medica e il loro ruolo nell'ambito del Servizio Sanitario  Regionale,
fissare  i  criteri  per   la   certificazione   e   l'accreditamento
istituzionale delle strutture di  Genetica  Medica,  pianificarne  le
attivita' per l'utilizzo ottimale delle risorse  del  SSN  e  SSR  da
destinarvi,  fornire  indicazioni  sul  corretto  utilizzo  dei  test
genetici, determinare le forme di  collegamento  con  la  rete  delle
malattie rare, definire indicatori di valutazione economica,  fissare
regole sulla pubblicizzazione e sulla promozione dei test genetici  e
sulla   consulenza   genetica,   procedere   alla   divulgazione   di
raccomandazioni basate sull'evidenza scientifica in tema di  Genetica
medica. 
 
  Nel successivo Accordo sull'"Attuazione delle linee  guida  per  le
attivita' di genetica medica" n. 241 del  26-11-2009,  si  sottolinea
come  i  test  genetici   costituiscano   un   importante   strumento
diagnostico che prevede una  valutazione  clinica  preliminare  delle
indicazioni ed una successiva interpretazione con  il  coinvolgimento
non solo dell'individuo ma anche dei  familiari,  e  si  invitano  le
Regioni   ad   impegnarsi   a   promuovere   ed   adottare   percorsi
diagnostico-assistenziali aderenti alle linee guida nazionali. 
 
        1.b Vision, principi, struttura e obiettivi generali 
 
                               Vision 
 
  Il presente Piano postula, all'interno  dell'assetto  istituzionale
attuale e relativamente alle materie trattate, un SSN che vuole: 
 
    -  essere  pienamente  consapevole  della  profonda,  copernicana
innovativita' delle scienze 'omiche' per gli effetti possibili  sulla
salute  degli  individui  e   delle   popolazioni,   sull'innovazione
tecnologica,  sulla  spinta  propulsiva  allo  sviluppo   dell'intero
sistema Paese; 
    - esprimere una strategia  di  'governo  dell'innovazione'  della
genomica ma anche inserirla nell'attuale  contesto  pianificatorio  /
programmatorio; 
    - cogliere con prudenza e saggezza  le  opportunita'  attualmente
gia' offerte dalla genomica come contributo alle sfide gia' in atto e
al raggiungimento degli obiettivi di salute gia' definiti. 
 
                              Principi 
 
    -  Il  Piano  recepisce  gli  obiettivi  sottoscritti  a  livello
internazionale e incorpora gli obiettivi gia' decisi  all'interno  di
Piani  nazionali  di  settore.  Nel  fare  cio'  intende   promuovere
l'armonizzazione degli obiettivi formalizzati in tali atti garantendo
un approccio complessivo di sanita' pubblica. 
    - Il Piano fissa obiettivi  supportati  da  strategie  ed  azioni
evidence based, in grado  nel  medio-lungo  termine  di  produrre  un
impatto sia di salute sia di sistema e quindi  di  essere  realizzati
attraverso interventi sostenibili e "ordinari". 
    - Il Piano nel definire i propri obiettivi riconosce  che  e'  in
corso (e che esso stesso contribuira' a) un  rapido  evolversi  delle
conoscenze basate sulla genomica  (e  su  scienze  affini)  e  quindi
incorpora elementi di sviluppo e prevede un processo continuo  e  per
quanto possibile tempestivo di aggiornamento. 
    - Il Piano riconosce l'importanza  fondamentale  della  genesi  e
fruizione  della  conoscenza  e  pertanto  riconosce  la  genesi   di
informazioni e la loro  valutazione  come  elementi  infrastrutturali
indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi di salute. 
 
    - Le azioni previste come attuative  degli  obiettivi  di  questo
Piano tengono in conto: 
 
      - il carattere universalistico del nostro sistema  sanitario  e
la garanzia dell'equita' 
      - le implicazioni etiche, legali e sociali 
      - un approccio Life-course 
      - l'empowerment degli individui e delle comunita' 
      -  l'importanza   della   responsabilita'   nella   produzione,
condivisone e uso dei dati. 
 
                         Struttura del piano 
 
  La struttura del piano  e'  finalizzata  a  identificare  obiettivi
specifici per le strutture  del  sistema  sanitario,  in  riferimento
quindi alla attuale tripartizione dei macrolivelli di  assistenza  di
cui al DPCM 29/11/2001 (assistenza sanitaria  collettiva,  assistenza
distrettuale, assistenza ospedaliera). 
 
  In  particolare,  i  contenuti  saranno  articolati  tenendo  conto
dell'apporto della  genomica  rispetto  a:  prevenzione,  diagnosi  e
terapia. 
 
  Nell'affrontare i contenuti, sara' applicata la seguente  struttura
logica (che diventa il 'quadro logico centrale' del presente Piano): 
 
    a) Genesi della conoscenza: quale e' la conoscenza disponibile? 
  Questo primo 'aspetto' nella scrittura riguarda  il  fatto  che  la
produzione e la sintesi della nuova conoscenza alla base del presente
atto di pianificazione assume alcuni  caratteri  innovativi.  Quindi,
oltre  al  'razionale'  scientifico  di   merito   sembra   opportuno
evidenziare le 'innovazioni' possibili e  sostenibili  nel  SSN.  Tra
questi emerge, sia sul piano  epistemologico  che  organizzativo,  il
problema di "Interrogare i Big Data". 
    b)  Fruibilita'   della   conoscenza:   quali   conoscenze   sono
utilizzabili e mediante quali strumenti? 
  Questo  aspetto  definisce  innanzitutto  il  campo   delle   nuove
conoscenze basate sulla genomica che hanno, secondo  i  criteri  HTA,
sufficiente forza di evidenza da potere essere implementati  (nonche'
in generale di "utilizzabilita'"  secondo  i  principi  ELSI),  e  le
relative modalita' di erogazione degli stessi (v. anche dopo). 
    c) Definizione del processo sanitario:  quale  sequenza  di  atti
tecnico-professionali e' evidence-based per  raggiungere  l'obiettivo
di salute? 
  Questo aspetto ambisce a identificare quali siano sul  piano  delle
evidenze scientifiche le 'conseguenze' operative (finalizzate  ad  un
radicale riorganizzazione dei servizi) per la gestione dei  cittadini
e dei pazienti (mediante produzione di linee-guida ecc). 
    d) Erogazione dei servizi: sulla base degli aspetti trattati  nei
paragrafi precedenti, quali strumenti  sono  necessari  per  innovare
l'erogazione dei servizi? 
  Questo  aspetto  riguarda  gli  strumenti   (protocolli,   percorsi
diagnostico-terapeutici,  sistemi  d  accreditamento)  che   dovranno
essere  messi  a  disposizione  delle  Regioni  per  l'organizzazione
innovativa dei propri sistemi sanitari. 
    e) Valutazione: quali  sistemi  sono  utilizzabili/devono  essere
progettati per valutare l'innovazione pianificata? 
  Questo aspetto riguarda il disegno e l'implementazione  di  sistemi
di valutazione di processo e di impatto (a carattere ricorsivo) e  la
definizione di indicatori. 
 
                  Gli obiettivi generali del Piano 
 
  Questo Piano identifica i seguenti obiettivi generali: 
 
    1) Traferire le conoscenze genomiche nella  pratica  dei  servizi
sanitari, in un approccio che metta al centro l'individuo. 
    2)  Aumentare  l'efficacia  degli  interventi   di   prevenzione,
diagnosi e cura delle malattie a piu' alto burden tenendo in conto le
differenze individuali relativamente a patrimonio genetico, stili  di
vita e ambiente e fornendo ai professionisti  le  risorse  necessarie
alla personalizzazione degli interventi. 
    3) Promuovere l'innovazione culturale, scientifica e  tecnologica
del sistema sanitario. 
 
  Bibliografia 
 
  1. Healthy People U.S. Department for  Health  and  Human  Services
Offices    of    Disease    Prevention    and    Health     promotion
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  2. Global Action Plan  for  the  Prevention  and  Control  of  NCDs
2013-2020. http://www.who.int/nmh/events/ncd_action_plan/en/ 
  3. Boccia S.  Why  is  personalized  medicine  relevant  to  public
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  4.  Healthcare,  E.S.G.o.S.,  Acting  Together:   A   roadmap   for
sustainable healthcare, in White Paper. 2014 
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http://www.healthypeople.gov/2020/topics-objectives/topic/genomics 
  7. Floridi L The 4th Revolution Oxford University Press 2014 
  8.  Council  conclusions  on  personalized  medicine  for  patients
adopted by the Council at its 3434th meeting held on 7 December 2015;
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f 
 
                             CAPITOLO 2 
       Basi scientifiche e concettuali delle tecniche omiche. 
 
    - Origine del suffisso  -oma.  Il  suffisso  "-oma/omica"  assume
significati diversi a seconda del campo di applicazione. In  biologia
cellulare e molecolare viene in genere utilizzato per  caratterizzare
e quantificare insiemi di molecole biologiche  rappresentative  della
struttura, funzione e dinamica di uno  o  piu'  organismi.  Le  prime
utilizzazioni di questo suffisso  risalgono  all'800  quando  vennero
coniati i termini "rizoma" (1832;  modificazione  del  fusto  di  una
pianta, di solito a decorso orizzontale, con funzioni di  riserva)  e
"scleroma/rinoscleroma"  (1870;  una  malattia  batterica,   cronica,
granulomatosa), seguite, a distanza  di  diversi  anni,  dai  termini
"mitoma" (1913; la parte piu' densa del protoplasma di una  cellula),
"bioma" (1916;  complesso  delle  comunita'  climax  mantenuto  dalle
condizioni  ambientali  di  una  regione  e  distinto   dalle   altre
comunita') e "genoma", un sostantivo  coniato  da  Hans  Winkler  nel
1920, correntemente utilizzato per indicare la totalita' aploide  del
DNA contenuto nella cellula di un organismo. 
  I bioinformatici ed i biologi molecolari sono stati tra i primi  ad
utilizzare su larga scala il suffisso "-oma", che oggi annovera oltre
1000 neologismi. 
    - Dalla Citogenetica alla citogenomica. L'analisi citogenetica ha
rappresentato,  dal  punto  di  vista  storico,  il   primo   esempio
traslazionale  di  analisi  del  genoma,  sia   pure   a   bassissima
risoluzione. Infatti, le  tecniche  citogenetiche  standard,  ad  una
risoluzione  media  di  320   bande,   consentono   di   identificare
riarrangiamenti  (patologie  cromosomiche)  di  dimensioni  di   poco
inferiori alle 10 megabasi (Mb), ovvero 10 milioni di basi, mentre le
tecniche molecolari hanno livelli risolutivi significativamente  piu'
elevati, da svariate chilobasi (una kb = 1000 coppie di  basi),  alle
singole basi. 
  Negli anni '80 la citogenetica ha sviluppato alcuni  protocolli  in
grado di analizzare le piastre cromosomiche decondensate, allo stadio
prometafasico  o  profasico,  permettendo  di  ottenere   risoluzioni
crescenti del genoma e di standardizzare ideogrammi contenenti fino a
850  bande  per  assetto  cromosomico  aploide,  riuscendo  cioe'   a
raddoppiare  il  livello  di  definizione,  rispetto   ai   preparati
metafasici standard (cosiddette tecniche ad alta risoluzione). 
  Una parte del significativo divario  esistente  tra  l'analisi  del
cromosoma visibile al microscopio ottico ed il gene e' stato  colmato
dalle tecniche di citogenetica molecolare. La prima  applicazione  di
questo tipo sui vetrini dei preparati cromosomici,  l'ibridazione  in
situ,  permetteva  di  riconoscere  sulle  cellule  o  sui  cromosomi
specifiche sequenze di acidi nucleici. Questa tecnica si basava sulla
ibridizzazione,  sui  cromosomi  acrocentrici,  dell'RNA  ribosomiale
marcato con isotopi radioattivi e forniva una nuova  dimensione  allo
studio dei cromosomi, in quando facilitava  la  visualizzazione,  sui
preparati, di sequenze complementari  di  DNA  o  di  RNA.  L'uso  di
molecole fluorescenti degli anni '80 ha consentito  di  sviluppare  e
standardizzare l'ibridazione in situ fluorescente (FISH), basata  sul
legame diretto (combinato con un fluorocromo) o indiretto (attraverso
una molecola intermedia incorporata nella sonda) con le basi del DNA.
In questo modo  e'  stato  possibile  elevare  significativamente  la
risoluzione dell'analisi ed identificare riarrangiamenti  cromosomici
submicroscopici, creando una vera e propria rivoluzione  citogenetica
(la seconda dopo l'introduzione delle  tecniche  di  bandeggiamento).
Negli anni sono state messe  a  punto  varie  tecniche  di  crescente
sensibilita', basate sulla FISH, e sono  stati  sviluppati  strumenti
sempre   piu'   sofisticati   per   l'acquisizione    digitale,    il
pre-processamento  e  l'analisi  digitale  delle   immagini.   Queste
tecniche hanno consentito di utilizzare simultaneamente  una  o  piu'
sonde di DNA. 
  L'ibridizzazione genomica comparativa (CGH) e' una tecnica che, con
un singolo esperimento, analizza  sui  cromosomi  le  variazioni  del
numero delle copie  (CNV),  in  termini  di  guadagno/duplicazione  o
perdita/delezione. Sviluppata all'inizio degli anni '90, si  basa  su
una FISH quantitativa a due colori, che analizza direttamente il DNA.
Sebbene questa tecnica abbia segnato un sostanziale  progresso  nella
risoluzione   degli   sbilanciamenti   genomici,   il   guadagno   di
informazione risultava ancora relativamente limitato (<3Mb)  rispetto
a quella dei preparati cromosomici bandeggiati. In questo contesto ha
rappresentato un significativo progresso, alla fine degli  anni  '90,
lo sviluppo di strumenti di CGH basati sugli array  (array-CGH),  nei
quali i cromosomi metafasici sono stati sostituiti da sequenze di DNA
adese ad un vetrino di supporto. L'array-CGH ha percio' sostituito in
larga misura l'analisi citogenetica nella  pratica  clinica.  Il  suo
principio  e'  sostanzialmente  quello  della  CGH  e  si   basa   su
un'ibridizzazione genomica comparativa che utilizza come substrato un
array anziche' le metafasi. 
  Con gli SNP-array, basati sui polimorfismi dei singoli  nucleotidi,
e' stata ottenuta una risoluzione fino a 5-10 kb. In questi casi  non
e' necessaria la co-ibridizzazione  del  DNA  di  riferimento  e  del
campione in esame, in quanto  quest'ultimo  puo'  essere  ibridizzato
direttamente  sull'array.  Oltre   a   fornire   informazioni   sulle
variazioni  nel  numero  delle  copie   (CNV),   queste   piattaforme
consentono di identificare le regioni di omozigosi e percio'  i  geni
potenzialmente correlati alle malattie recessive, le  aneuploidie  in
mosaico e le disomie uniparentali. La capacita' diagnostica di queste
tecniche puo' essere ulteriormente  ottimizzata  dalla  associazione,
sulla stessa piattaforma, dell'array-CGH e dello SNP-array. 
  La  risoluzione  degli  array  viene  definita  dal  numero,  dalle
dimensioni e dalla distribuzione dei frammenti di DNA sul  vetrino  e
correla con il numero dei frammenti fissati.  Il  loro  limite  resta
l'impossibilita'  di  identificare  i   riarrangiamenti   cromosomici
bilanciati. 
  In  conclusione,  le  analisi  citogenetiche  e  le   tecniche   di
citogenetica molecolare offrono la possibilita' di indagare il genoma
umano a diversi livelli di risoluzione, per finalita' diagnostiche  e
di  ricerca.  Sebbene  le  tecniche  di   citogenetica   standard   e
molecolare,  basate  sulla   FISH,   siano   state   progressivamente
sostituite dagli array, l'analisi  dei  cromosomi  bandeggiati  resta
ancora la tecnica maggiormente  utilizzata  a  livello  mondiale  per
l'analisi genomica. 
  In parallelo con il progressivo aumento del numero  delle  malattie
genomiche e cromosomiche diagnosticate con le analisi citogenetiche e
citogenomiche, e' diventato sempre  piu'  difficile  riconoscere,  in
base al solo fenotipo clinico, la specifica condizione presente in un
paziente. Anche se l'array-CGH e' diventato uno strumento consolidato
di diagnosi e  da  tempo  sono  disponibili  algoritmi  in  grado  di
definire il numero delle copie, la risoluzione delle  piattaforme  e'
in continuo sviluppo. I dati  clinici  e  citogenetici  raccolti  nei
database a libero accesso contribuiscono a conoscere le  combinazioni
delle varianti ad effetto patogenetico, ma al  momento  resta  ancora
spesso problematico differenziare le perdite  e  le  acquisizioni  di
significato patogenetico. Per questo, nella pratica corrente, le  CNV
vengono ancora  classificate  come  "benigne"  o  varianti  genomiche
normali, "patogenetiche" o di  potenziale  rilevanza  clinica,  e  di
"incerto"  significato  clinico  (o  VUS   -   Variant   of   Unknown
Significance). Il numero delle tecnologie applicate allo  studio  del
genoma umano e' in continua trasformazione. L'uso di piattaforme  per
il sequenziamento  di  seconda  generazione  si  e'  progressivamente
trasferito dalla ricerca nella pratica clinica. Si tratta di tecniche
per molti aspetti alternative ai microarray, anche  se,  analogamente
ad  essi,  al  momento  non  risolvono  tutti  i  problemi  di   tipo
interpretativo. 
    - Dal sequenziamento di un gene a quello dell'intero  genoma.  Le
prime metodologie di sequenziamento del DNA risalgono agli anni  '70.
Tra queste, la strategia sviluppata  da  Sanger,  basata  sul  metodo
enzimatico   dei   terminatori   di   catena   e   sulla   migrazione
elettroforetica dei prodotti della  reazione  di  sequenziamento,  e'
ancora oggi ampiamente utilizzata per il  sequenziamento  di  singoli
frammenti di DNA, Questo metodo, che consente di ottenere prodotti di
sequenziamento lunghi fino a 800-1000 basi,  e'  stato  automatizzato
per aumentarne la processivita'. Tuttavia, le limitazioni intrinseche
alla metodologia (alto costo di esecuzione e  bassa  efficienza)  non
permettono la sua applicazione nel sequenziamento su larga scala. 
  Piu' recentemente, sono state sviluppate nuove metodologie, riunite
sotto  il  nome  di  sequenziamento   ad   elevato   parallelismo   o
sequenziamento di seconda  generazione  (cosiddetto  Next  Generation
Sequencing - NGS),  che  hanno  la  capacita'  di  sequenziare  molti
frammenti di DNA contemporaneamente, anche se con  efficienza  minore
in termini di numero di basi sequenziate per frammento. Queste  nuove
tecnologie possono fornire, a prezzo contenuto, milioni  di  sequenze
di  DNA  per  singolo  esperimento   e,   grazie   alla   loro   alta
processivita',  consentono  di  acquisire  un'enorme   quantita'   di
informazioni sul patrimonio genetico individuale. Il loro  uso  rende
possibile, ad esempio, il sequenziamento di un intero genoma in pochi
giorni, un'analisi che richiederebbe anni per essere  completata  con
le tecniche tradizionali di sequenziamento. Queste tecnologie,  anche
grazie allo sviluppo degli strumenti bioinformatici richiesti per  la
gestione e  l'analisi  dei  dati  di  sequenziamento,  consentono  di
raggiungere obiettivi impensabili fino a pochi anni fa, sia sul piano
della ricerca, rendendo piu' facile l'individuazione  di  nuovi  geni
implicati nelle malattie rare e ultra-rare, sia  sul  piano  clinico,
favorendo lo sviluppo di test diagnostici piu' rapidi ed efficienti. 
  La maggior parte delle  malattie  geniche  sono  eterogenee,  cioe'
possono essere causate dalle  mutazioni  di  geni  diversi.  La  loro
diagnosi molecolare ha utilizzato in prevalenza, per  alcuni  lustri,
il sequenziamento secondo un approccio gene per gene. Tuttavia, nelle
malattie  causate  dalla  mutazione  di  molti  geni,  potenzialmente
diversi nei singoli pazienti, questo approccio e' costoso e  richiede
molto tempo, addirittura mesi o anni. Le tecniche  di  sequenziamento
di seconda generazione consentono di superare  tali  limiti  e  molti
laboratori le utilizzano oggi  correntemente  per  caratterizzare  il
difetto molecolare delle malattie rare. Queste tecniche consentono di
arricchire specifiche regioni genomiche (geni-malattia),  sequenziare
massivamente  e  in  parallelo  ampi  tratti  di  DNA  delle  regioni
selezionate ed analizzare diversi pazienti contemporaneamente. 
  Utilizzando le tecniche NGS  e'  possibile  analizzare  fino  a  96
campioni   contemporaneamente,   ciascuno   per   il   pannello   dei
geni-malattia responsabili  della  condizione  sospettata  a  livello
clinico, ed ottenere dati analizzabili in circa 10-15 giorni. Le  NGS
hanno percio' rivoluzionato i protocolli dei test genetici, in quanto
consentono di ottenere diagnosi molecolari  in  tempi  brevi,  ad  un
costo ridotto, mantenendo elevata la qualita' dei risultati. Inoltre,
hanno portato notevoli vantaggi a livello clinico, sia nel caso delle
malattie ad elevata eterogeneita', sia  in  quelle  associate  ad  un
fenotipo sfumato, in cui  puo'  risultare  maggiormente  problematico
ipotizzare il gene causativo coinvolto. Infatti, l'analisi simultanea
di tutti i geni potenzialmente  associati  alla  malattia  in  esame,
riduce i tempi  necessari  ad  identificare  il  difetto  molecolare,
migliorando la presa in carico e la consulenza genetica. 
  L'elevata potenzialita' delle tecniche NGS ne ha determinato  l'uso
routinario nella diagnostica molecolare, in particolare nello  studio
delle malattie che condividono segni  clinici,  come  ad  esempio  le
Rasopatie (malattie collegate alle mutazioni dei geni  della  cascata
di RAS). E' stato dimostrato che, in questi  pazienti,  l'uso  di  un
pannello NGS contenente i geni-malattia noti  riduce  di  circa  otto
volte i tempi necessari ad identificare il difetto  molecolare  e  di
circa sei  volte  i  costi  dell'analisi,  rispetto  al  tradizionale
sequenziamento  Sanger.  Inoltre  permette,  nei   casi   dubbi,   di
identificare il difetto molecolare prima dell'inquadramento clinico. 
  L'applicazione delle tecniche NGS,  oltre  ad  essere  utile  nello
studio delle malattie ad elevata eterogeneita', e'  importante  anche
nella diagnosi molecolare delle patologie causate dalla mutazione  di
geni  di  grosse  dimensioni  e  delle  malattie  spesso  causate  da
mutazioni in mosaico, ad esempio la sclerosi tuberosa,  una  malattia
rara caratterizzata dallo sviluppo di tumori benigni, in  particolare
sulla pelle, nel cervello e nei reni. 
  L'analisi basata sulle tecniche NGS ha prodotto  una  significativa
accelerazione nello studio  delle  malattie  genetiche  e  spesso  e'
risolutiva nell'inquadramento  dei  pazienti.  Tuttavia,  considerato
l'elevato  numero  di  regioni  genomiche  analizzate   nel   singolo
paziente, identifica varianti di  incerto  significato,  che  possono
creare problemi interpretativi, con ricadute negative sulla  gestione
clinica  del  paziente  e  sulla  strutturazione   della   consulenza
genetica.  E'  percio'  indispensabile  che  i  pazienti   analizzati
mediante NGS siano correttamente informati attraverso una  consulenza
genetica pre-test delle potenzialita' e dei limiti  della  tecnica  e
che i risultati del test siano spiegati e commentati  attraverso  una
consulenza successiva all'analisi. 
    - Analisi esomica. Sebbene il sequenziamento  dell'intero  genoma
sia la  strategia  d'eccellenza  per  lo  studio  della  variabilita'
genetica interindividuale, esso presenta ancora alcune  problematiche
che ne limitano l'applicazione su  larga  scala,  in  particolare  le
capacita' computazionali richieste per  l'analisi  e  l'archiviazione
dell'enorme massa di dati prodotta. Per queste ragioni,  le  tecniche
di  sequenziamento  di  seconda  generazione  vengono   oggi   spesso
utilizzate per sequenziare l'esoma, cioe' la porzione codificante del
genoma. Con questo approccio, basato sull'arricchimento dei frammenti
genomici che si riferiscono alle  sequenze  geniche  codificanti  per
proteine e per sottoclassi selezionate di RNA che hanno una  funzione
regolatoria (cioe' microRNA), e' possibile esaminare solo una piccola
porzione  del  genoma  (1-2%).   Questa   analisi   non   prende   in
considerazione le regioni non codificanti del  genoma,  che  peraltro
possono avere un impatto sull'espressione genica. Tuttavia,  in  base
alle  attuali  conoscenze  sulle  cause  genetiche   delle   malattie
mendeliane, e'  largamente  accettato  che  la  maggior  parte  delle
mutazioni responsabili delle malattie  mendeliane  causi  cambiamenti
nella sequenza codificante di un gene o  determini  un  processamento
aberrante del trascritto. Per questo motivo, l'esoma  rappresenta  un
sottoinsieme particolarmente arricchito del genoma nel quale e' utile
cercare eventuali mutazioni  di  potenziale  impatto  funzionale.  In
accordo con questa nozione, il sequenziamento mirato  della  porzione
codificante del genoma si e' dimostrato un approccio  particolarmente
efficiente  per  comprendere  le  basi  molecolari   delle   malattie
mendeliane,  al  punto  che  negli  ultimi  anni  ha  consentito   di
identificare oltre 500 geni-malattia. 
  Nonostante che i dati prodotti dal sequenziamento di un esoma siano
maggiormente   maneggevoli   rispetto   a   quelli    ottenuti    dal
sequenziamento  dell'intero  genoma,  la  fase  di   analisi   e   di
interpretazione  delle  varianti  rappresenta  una  sfida   piuttosto
complessa.  Negli  ultimi  anni,  sono  stati   sviluppati   numerosi
strumenti  bioinformatici   per   il   processamento,   l'analisi   e
l'annotazione dell'informazione contenuta in un esoma.  In  generale,
le piattaforme di sequenziamento generano un'enorme quantita' di dati
grezzi, che vengono convertiti  in  sequenze  nucleotidiche  mediante
strumenti computazionali. I file cosi' generati di solito si  trovano
in un  formato  che  contiene,  oltre  alla  lettura  delle  sequenze
nucleotidiche, score di qualita' associati ad  ogni  base  letta.  La
risoluzione a singola base di un esoma richiede l'analisi  di  questi
file mediante l'uso di un complesso flusso di  lavoro  bioinformatico
che permette, in una prima fase, di allineare le sequenze prodotte al
genoma di riferimento e, successivamente, di identificare e  annotare
funzionalmente  le  varianti  che  lo  caratterizzano.  La  fase   di
allineamento  viene   eseguita   con   sistemi   computazionali   che
confrontano  ciascuna  delle  sequenze  prodotte  con  il  genoma  di
riferimento,  permettendone  il  loro  corretto  posizionamento.  Per
garantire  l'affidabilita'  di  questi  sistemi   ed   ottenere   una
valutazione globale dell'efficienza di sequenziamento,  si  applicano
di solito diversi parametri di qualita'.  Tra  essi,  particolarmente
rilevanti sono la  copertura  (coverage),  cioe'  la  percentuale  di
sequenze  genomiche  bersaglio  coperte  dal  sequenziamento,  e   la
profondita' (depth), ossia il  numero  di  letture  riferite  ad  una
specifica  base  della  sequenza  genomica   d'interesse.   La   fase
successiva  dell'approccio  bioinformatico  e'  la  "chiamata   delle
varianti ", che  identifica  i  siti  varianti  in  cui  le  sequenze
allineate  differiscono  dalle  sequenze  note  nella  posizione   di
riferimento. Le varianti cosi' ottenute,  possono  essere  processate
con metodi euristici di prioritizzazione e  filtraggio,  al  fine  di
ridurre l'alto numero di varianti annotate e selezionare  quelle  con
significato funzionale. Generalmente,  nella  prima  fase  di  questo
approccio vengono eliminate le varianti polimorfiche che  si  suppone
non abbiano un impatto patologico su un fenotipo assunto come "raro".
A tale scopo, si utilizzano  di  solito  banche-dati  pubbliche  come
dbSNP        (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/SNP/)        e         ExAC
(http://exac.broadinstitute.org/), che permettono di identificare  le
varianti di bassa frequenza nella popolazione o non annotate. In  una
seconda fase, si raccolgono e valutano le informazioni disponibili su
ciascuna variante e sul relativo  gene,  in  modo  da  ordinare,  per
priorita', le prime in base al loro effetto predetto, ed  i  geni  in
base alla loro rilevanza biologica (ad  es.  espressione,  funzione),
rispetto al fenotipo d'interesse. Per l'annotazione e  la  predizione
funzionale delle varianti si utilizzano diversi strumenti, ognuno dei
quali ha punti di forza e debolezza. Per questa ragione, in genere si
consiglia di attuare una strategia di prioritizzazione  in  grado  di
sfruttare  piu'  strumenti  di  predizione.  Ad  esempio,  in  questo
contesto, un metodo recente, dbNSFPv.2.0 (database for  Nonsynonymous
SNPs'  Functional  Predictions),  facilita  questo  processo  perche'
integra gli score di previsione e di conservazione derivati da alcuni
dei piu' comuni algoritmi in uso. Data la sua  potenzialita',  questo
strumento bioinformatico e' facilmente applicabile al  filtraggio  ed
alla prioritizzazione delle varianti ottenute  per  lo  studio  delle
malattie mendeliane.  Analogamente,  sono  stati  sviluppati  diversi
strumenti per integrare l'informazione disponibile nelle  banche-dati
e  facilitare  approcci  di  prioritizzazione   basati   su   criteri
oggettivi. 
  Il  sequenziamento  dell'esoma  si  e'  dimostrato  particolarmente
efficiente in ambito diagnostico. Recenti studi  concordano  per  una
detection rate del 40% circa  per  le  patologie  senza  nome  o  con
diagnosi non accertata. Occorre tuttavia precisare  che  il  successo
nel  raggiungere  una  diagnosi  su  base  molecolare  attraverso  il
sequenziamento dell'esoma puo' variare considerevolmente in  base  al
tipo di patologia  in  esame  ed  alla  strategia  di  sequenziamento
utilizzata  (analisi  del  solo  probando  vs  analisi   del   nucleo
familiare). L'uso del sequenziamento dell'esoma nella pratica clinica
ha confermato le grandi potenzialita', ma  anche  la  difficolta'  di
interpretazione dei dati ottenuti,  particolarmente  nel  caso  delle
varianti in  precedenza  non  annotate.  Si  deve  anche  considerare
l'aspetto relativo all'identificazione delle variazioni  di  sequenza
nei geni implicati in malattie non correlate con  il  quadro  clinico
che  ha  motivato  l'accertamento  molecolare.  Questo  problema   e'
particolarmente  rilevante   per   il   maggior   potere   risolutivo
dell'analisi esomica e per l'attuale scarsa conoscenza sulla ricaduta
fenotipica della maggior parte delle varianti genetiche. 
  Occorre infine sottolineare  che  i  dati  attualmente  disponibili
indicano che  il  tasso  di  errore  del  sequenziamento  di  seconda
generazione  e'  basso,  ma  non  trascurabile,  ed  e'  strettamente
dipendente dal tipo di variazione (singolo  cambiamento  nucleotidico
vs inserzione/delezione di piu' basi) e dal suo contesto di sequenza.
Di conseguenza, e' sempre necessario validare la variante selezionata
con il sequenziamento Sanger che rappresenta, ancora oggi, il  metodo
di sequenziamento di riferimento. 
 
    -   Sequenziamento   dell'intero   genoma.   Le    tecniche    di
sequenziamento di seconda generazione hanno reso possibile  l'analisi
dell'intero genoma a costi e tempi stimati oggi oltre  100mila  volte
piu' bassi rispetto a quelli necessari  nel  2000,  quando  e'  stata
prodotta la prima mappa del genoma umano. In pratica  si  e'  passati
dagli oltre 100 milioni di dollari e dai tempi allora necessari,  che
venivano misurati in anni, ad un migliaio di dollari e a pochi giorni
per il completamento di  questi  studi.  Di  conseguenza,  oggi  sono
diventati in proporzione  significativamente  piu'  elevati  i  costi
dell'analisi bioinformatica, necessaria ad interpretare i milioni  di
dati prodotti, rispetto a quelli della genotipizzazione. 
  Le  analisi  genome  wide  hanno  avuto  un  grande  impatto  nella
comprensione  delle   differenze   e   percio'   della   variabilita'
interindividuale e hanno dato un senso ad una celebre affermazione di
Sir William Osler, risalente al 1892, che asseriva "se non  esistesse
la variabilita' tra le persone la medicina sarebbe una scienza e  non
un'arte", a sottolineare che "esistono i malati,  non  le  malattie".
Per lungo tempo il  senso  di  questa  variabilita'  non  e'  apparso
chiaro, anche se, proprio in quel periodo, una  scuola  di  pensiero,
quella del determinismo, tendeva a  ricondurla  alle  caratteristiche
ereditate al momento del concepimento, in un momento in  cui  si  era
ancora ben lontani dal comprenderne le basi  biologiche.  Nel  secolo
scorso, di pari  passo  con  la  scoperta  della  struttura  e  della
funzione del DNA, si e' affermato il concetto che lo stato di  salute
e  di  malattia   sono   il   risultato   dell'interazione   tra   le
caratteristiche genetiche e l'ambiente. E' diventato  contestualmente
chiaro   che,   mentre   alcune   malattie   sono    prioritariamente
riconducibili ai fattori genetici (patologie cromosomiche, genomiche,
mendeliane, mitocondriali) ed altre  all'ambiente  (traumi,  ustioni,
ecc.),  altre  ancora,   in   particolare   molte   malattie   comuni
(cardiovascolari, diabete, ipertensione, osteoporosi, ecc.) e diversi
difetti congeniti (cardiopatie congenite, difetti del  tubo  neurale,
labio-platoschisi, ecc.),  originano  dall'effetto  additivo  tra  la
suscettibilita' geneticamente determinata e l'ambiente. La componente
genetica di questo sistema  complesso  e'  definita  "ereditabilita'"
(h2) ed e' percio' riconducibile  alle  caratteristiche  del  genoma,
mentre la componente ambientale, intesa come alimentazione,  farmaci,
microbioma,  stili  di  vita,  e'  sintetizzabile  nell'  "esposoma",
letteralmente tutto cio' a cui siamo esposti  e  con  cui  veniamo  a
contatto nel corso della nostra esistenza. 
  La  rivoluzione  genetica  e'  stata  trainata  dalla   rivoluzione
tecnologica, che ha  permesso  di  indagare  per  la  prima  volta  i
meccanismi biologici  della  variabilita'  interindividuale,  nonche'
dell'ereditabilita'.  E'  stato  cosi'  scoperto   che   le   persone
differiscono tra loro di circa 4 milioni di basi, che circa una  base
ogni 200 basi e' diversa e  che  ogni  persona  possiede  oltre  1500
variazioni che la rendono diversa rispetto alle mappe di riferimento.
L'unicita' dell'individuo e' ulteriormente definita dalle  variazioni
funzionali dei geni (il trascrittoma) e dei loro prodotti (proteoma e
metaboloma), che variano nel tempo a livello tessutale  e  cellulare.
Questo aspetto e' bene illustrato dallo studio dei  gemelli  identici
che, pur condividendo  lo  stesso  patrimonio  genetico,  negli  anni
tendono a divergere sempre piu' a livello del loro fenotipo  clinico,
in particolare per  l'effetto  modulante  dell'esposoma  sul  genoma,
nonche' delle mutazioni somatiche. 
  A partire dal 2005, sono stati eseguiti  oltre  2000  studi  genome
wide che hanno reclutato individualmente migliaia o diverse decine di
migliaia di pazienti affetti da oltre 250 malattie  complesse  ed  un
numero analogo di soggetti non affetti, con lo scopo di  identificare
eventuali    variazioni    (mutazioni    comuni    o    polimorfismi)
differentemente rappresentati nei due gruppi. Le differenze osservate
tra gli affetti ed i  controlli  sono  riuscite  a  definire  geni  e
regioni genomiche potenzialmente associate alla  malattia  in  esame,
che concorrono percio' alla sua ereditabilita'. Complessivamente sono
state identificate  oltre  12.000  variazioni.  Tuttavia,  il  potere
predittivo  dei  singoli  polimorfismi  e'  basso,  con  un   rischio
aggiuntivo medio di 1,1-1,5; inoltre al momento, fatto  salve  alcune
eccezioni,  questi  studi  hanno  definito  solo  il   15%   o   meno
dell'ereditabilita'  delle  singole   malattie;   infine,   l'impatto
traslazionale di queste ricerche rimane molto limitato, anche perche'
la frequenza di molti polimorfismi  varia  in  maniera  spesso  molto
significativa nelle diverse popolazioni e gli studi effettuati in una
determinata  area  geografica  necessitano  di  essere  verificati  e
validati sulle  altre  popolazioni,  prima  di  essere  utilizzati  a
livello clinico. Pur con queste cautele, che rendono problematico  il
trasferimento  delle  ricerche  nella  consulenza  genetica,  non  va
ignorato che questo limitato potere predittivo non e' in  certi  casi
inferiore a quello in base al quale oggi viene calcolato  il  rischio
mediante test non-genetici, utilizzati nella clinica, come ad esempio
quelli relativi ai  livelli  del  colesterolo  LDL  o  agli  antigeni
prostata-specifici. 
  Non  vi  e'  dubbio  che  le  analisi  genomiche  stiano   comunque
contribuendo alla comprensione delle basi biologiche delle malattie e
dei caratteri poligenici.  Cosi',  ad  esempio,  alcuni  studi  hanno
riscoperto una serie di geni indiziati da tempo per essere  implicati
in queste condizioni, oppure che erano gia' noti per essere mutati in
alcune  malattie  mendeliane  correlate;  inoltre  hanno  evidenziato
l'importanza di certi geni che codificano per i  siti  di  azione  di
alcuni farmaci, come la sulfonilurea (negli studi  del  diabete  tipo
2), le statine (negli studi che indagano i  meccanismi  di  controllo
dei livelli lipidici), gli estrogeni (negli studi sulla densitometria
dell'osso), suggerendo potenziali  strategie  per  la  terapia  delle
malattie comuni. Infine, alcuni studi  hanno  messo  in  correlazione
certe malattie complesse con nuove vie metaboliche.  Ad  esempio,  le
variazioni geniche associate alla degenerazione maculare senile hanno
dimostrato  la  criticita'  di  alcune  componenti  del  sistema  del
complemento, mentre gli studi sulle malattie  infiammatorie  croniche
dell'intestino,  in  particolare  la   malattia   di   Crohn,   hanno
evidenziato l'importanza  dell'autofagia  e  dell'interleukina-23,  e
quelli sulla statura il ruolo dei geni che codificano proteine  della
cromatina  e  della  via  di  hedgehog  (una  famiglia  di  geni  che
codificano segnali induttivi durante l'embriogenesi), in  particolare
una proteina secreta che stabilisce il destino delle cellule  durante
lo sviluppo. 
 
  L'eventuale uso clinico di queste analisi dovrebbe tuttavia  tenere
conto di una serie di cautele: 
 
    1. le persone non  dovrebbero  sottoporsi  a  questi  test  senza
conoscere a priori come utilizzare i risultati; 
    2. almeno  un  test  ogni  20,  tra  quelli  con  una  dichiarata
specificita' del 95%, fornisce un risultato falso positivo  e  quindi
il sequenziamento completo del  genoma  di  una  persona  produce  un
risultato che contiene non meno di 6000 errori; 
    3. all'interno dei dati ottenuti,  alcuni  non  hanno  un  chiaro
significato  clinico  (i  cosiddetti  VUS  -  Variations  of  Unknown
Significance), il che limita ulteriormente il  potere  predittivo  di
queste analisi; 
    4.  il  valore  clinico  di   queste   indagini   dipende   dalla
possibilita' di collegare specifiche  varianti  ad  un  miglioramento
dell'esito clinico 
 
  Sebbene le  indagini  sulla  suscettibilita'  appaiano  al  momento
premature per quasi tutte  le  malattie  complesse,  questo  scenario
potrebbe cambiare nei prossimi anni. Ad oggi,  comunque,  le  analisi
sull'ereditabilita' dei caratteri  complessi  restano  essenzialmente
oggetto di studio e di ricerca. 
 
  Quanto sopra raccomanda interventi di formazione e di  informazione
sulle potenzialita' ed i limiti della cosiddetta medicina  predittiva
rivolta alle malattie  complesse,  basata  sulle  analisi  genomiche,
nonche'  di  contrasto  alla  pubblicita'  ingannevole,  al  fine  di
limitare l'uso dei test rivolti direttamente ai consumatori  che  una
commercializzazione spesso spregiudicata reclamizza con  il  miraggio
di acquisire informazioni utili a cambiare il destino delle  persone.
Uno studio,  che  ha  intervistato  un  campione  rappresentativo  di
persone che si sono sottoposte alle analisi genome wide con finalita'
predittive, ha indicato che, dopo il test,  il  34%  ha  cambiato  la
dieta, il 14% ha aumentato l'attivita' fisica, il 43% si e' informato
sulla patologia per la quale era stato ipotizzato  un  aumento  della
suscettibilita', il 28% ha condiviso i risultati  con  il  medico  di
famiglia,  il  9%  ha   effettuato   ulteriori   approfondimenti   di
laboratorio. Un risultato che complessivamente non giustifica i costi
di un test cosi' sofisticato! 
 
  Al momento stenta  a  decollare  la  promessa  di  Francis  Collins
formulta in occasione della conferenza di presentazione  della  prima
bozza della mappa del genoma umano, il 26 giugno 2000:  "La  medicina
personalizzata sara' disponibile dall'anno 2010: avremo test in grado
di identificare il rischio individuale di sviluppare malattie  comuni
e  subito  dopo  disporremo   di   protocolli   individualizzati   di
prevenzione e terapia". Tuttavia il divario, tra quanto anticipato  e
lo stato dell'arte, puo' costituire il volano per aiutare la  ricerca
a completare il processo di integrazione delle analisi -omiche  nella
pratica clinica. 
 
  Bibliografia 
 
  1. Monia Baker. Nature 2013; 494:416-419 
  2.  ISCN  2013:  An  International  System  for  Human   Chromosome
Nomeclature, Karger, Basel 
  3. Lepri et al. BMC Med Genet. 2014; 23;15:14 
  4. Kaufman et al. J Genet Couns, 2012; 21:413-22 
 
                            PARTE SECONDA 
                             CAPITOLO 3 
                     La genomica nella diagnosi. 
 
3.a  Malattie  mendeliane:  impatto  clinico  del  sequenziamento  di
                         seconda generazione 
 Dal sequenziamento Sanger al sequenziamento di seconda generazione. 
 
  Fino  alla  recente  introduzione   nella   pratica   clinica   del
sequenziamento   di   seconda   generazione,   l'analisi   molecolare
utilizzata  per  confermare  la  diagnosi  clinica  di  una  malattia
potenzialmente genica, era il sequenziamento del gene o di un  gruppo
di geni d'interesse, utilizzando la  tecnica  sviluppata  da  Sanger.
Questa metodologia, basata sull'analisi di  frammenti  di  DNA  della
lunghezza di 200-500 basi, ottenuti per amplificazione in  vitro  con
la reazione a catena della polimerasi (PCR), costituisce ancora  oggi
la strategia analitica elettiva per  le  malattie  caratterizzate  da
bassa eterogeneita'  genetica,  cioe'  causate  da  mutazioni  in  un
ristretto numero di geni, o dovute alla mutazione di geni di  piccole
dimensioni.  Nonostante  le  recenti  implementazioni  che  ne  hanno
aumentato la processivita', un limite principale di questa tecnologia
risiede nella necessita'  di  analizzare  singolarmente  i  frammenti
genomici d'interesse. Cio' diventa particolarmente  problematico  per
le malattie causate dalle mutazioni di geni di grosse dimensioni  e/o
contenenti numerosi  esoni,  oppure  per  le  malattie  geneticamente
eterogenee, cioe' causate dalle mutazioni di geni  diversi.  Inoltre,
l'elevato costo  di  esecuzione  non  consente  di  applicare  questa
tecnologia al sequenziamento su larga scala. Questi limiti sono stati
oggi superati dall'uso, sempre piu' esteso, anche in ambito  clinico,
delle tecnologie di sequenziamento di seconda generazione. Grazie  al
loro basso costo,  queste  tecnologie  consentono  di  analizzare  un
elevato numero di frammenti di DNA  in  parallelo  e  di  sequenziare
contemporaneamente molti  geni,  l'intera  porzione  del  genoma  che
codifica per proteine (esoma), o addirittura l'intero genoma  di  una
persona in pochi giorni. Queste tecniche permettono anche,  in  linea
di principio, di identificare le varianti strutturali, ad esempio, le
duplicazioni e le  delezioni  delle  regioni  genomiche.  Per  queste
caratteristiche, il sequenziamento di seconda generazione e i diversi
approcci diagnostici basati su questa tecnologia,  rappresentano  uno
strumento diagnostico innovativo, di elevato  interesse  clinico,  in
quanto consentendo di effettuare indagini in precedenza  tecnicamente
impraticabili oppure economicamente  onerose,  nonche'  di  abbattere
sensibilmente i tempi e i costi della diagnosi molecolare. 
 
  Attualmente   l'applicazione   del   sequenziamento   di    seconda
generazione in ambito clinico si basa  su  tre  principali  strategie
diagnostiche: il sequenziamento mirato di pannelli  di  geni-malattia
(targeted  resequencing),   il   sequenziamento   dell'esoma   e   il
sequenziamento dell'insieme dei geni noti per essere implicati  nelle
malattie.  Una   quarta   strategia   consiste   nel   sequenziamento
dell'intero genoma, che consente, tra  l'altro,  una  piu'  estesa  e
omogenea  copertura  rispetto  all'esoma.  Tuttavia   le   criticita'
relative  all'analisi,  compresa  l'interpretazione   di   tutte   le
variazioni  identificate,  l'archiviazione  della  massa   dei   dati
prodotti ed i costi ancora troppo elevati, ne limitano il suo impiego
in campo clinico-diagnostico. L'uso appropriato di  queste  strategie
di sequenziamento e l'ulteriore evoluzione  tecnologica,  consentira'
di ridurre i costi e i tempi della diagnosi e di ottenere la conferma
molecolare  di  un'ipotesi  diagnostica  formulata   attraverso   una
valutazione puramente clinica. 
 
    -  Targeted  resequencing.  Il  sequenziamento  selettivo  di  un
pannello di geni-malattia scelti sulla base della  loro  associazione
con la malattia in esame costituisce la strategia d'eccellenza per la
diagnosi molecolare delle malattie causate dalle mutazioni in geni di
grandi  dimensioni  o  di  malattie  geneticamente   eterogenee.   In
quest'ultimo caso, l'analisi e'  indicata  quando  le  mutazioni  nei
genimalattia  inseriti  nel   pannello   spiegano   una   percentuale
significativa dei casi  o  quando  si  sospetti  la  presenza  di  un
mosaicismo. Considerato l'elevato  beneficio  in  termini  di  costi,
sensibilita'  e   velocita'   dell'analisi,   questa   strategia   di
sequenziamento e' gia' ampiamente utilizzata nella  pratica  clinica,
ed e' destinata a diventare l'approccio di prima scelta  nell'analisi
delle   malattie   geneticamente   eterogenee    (ad    esempio    le
cardiomiopatie, le distrofie muscolari, le malattie  metaboliche,  la
retinite pigmentosa, ecc.); delle  malattie  dovute  a  mutazioni  di
famiglie di geni (condizioni nosologicamente distinte che condividono
una serie di segni clinici, ad esempio le RASopatie,  le  ciliopatie,
ecc.); dello screening di geni di grandi dimensioni (e.g., DMD,  ATM,
FBN1, MLL2, NF1, ecc.). 
  Il sequenziamento di pannelli di geni consente anche di  analizzare
contemporaneamente decine di campioni. Questa maggiore efficienza  e'
essenzialmente legata alla elevata profondita' di  lettura  dei  geni
sequenziati, nettamente superiore a quella mediamente ottenuta con il
sequenziamento  dell'esoma.  Tuttavia  questo  test  non  rileva   le
varianti strutturali e, ovviamente, non puo'  rilevare  varianti  che
interessano  le  regioni  non  codificanti  dei  geni  esaminati.  Lo
svantaggio del sequenziamento mirato di pannelli di geni-malattia  e'
legato  essenzialmente  alla   necessita'   di   un   loro   continuo
aggiornamento,  man  mano  che  nuovi  geni  vengono  associati  alla
malattia d'interesse e alla necessita', nel caso  di  esito  negativo
dello screening, di analizzare i pazienti  attraverso  sequenziamento
dell'esoma. 
    -  Sequenziamento  dell'esoma.   Il   sequenziamento   dell'esoma
rappresenta,  in  linea  di  principio,  la  migliore  strategia  per
arrivare alla diagnosi molecolare nel caso di una condizione  per  la
quale i dati disponibili suggeriscono una base genetica non associata
ad anomalie strutturali del genoma (ipotesi  verificabile  attraverso
l'uso  di  approcci  complementari   quali   l'ibridazione   genomica
comparativa e la genotipizzazione ad alta risoluzione), e  quando  il
quadro clinico non e' riconducibile ad una malattia nota, oppure sono
stati in precedenza esclusi i geni associati ad  una  malattia  nota.
L'analisi  dell'esoma  puo'  essere  utilizzata  anche  come   valida
alternativa al targeted resequencing nel  caso  in  cui  la  malattia
presenti elevata eterogeneita' genetica. 
  Numerosi  studi  finalizzati  a  stimare  l'efficienza  diagnostica
dell'analisi dell'esoma convergono nell'indicare un tasso di successo
superiore  al  25%  per  le  condizioni  prive  di  un  inquadramento
diagnostico. Tale percentuale varia tuttavia in rapporto al  tipo  di
malattia, alla selezione clinica, alla  strategia  di  sequenziamento
utilizzata. In particolare, il sequenziamento del  nucleo  familiare,
anche  se  maggiormente  costoso,  e'  di  solito  piu'  informativo.
Tuttavia, il sequenziamento dell'esoma non  e'  sempre  in  grado  di
rilevare le varianti  strutturali  e,  come  anticipato,  neppure  le
varianti presenti nelle regioni non codificanti del genoma (il 98-99%
del genoma non viene analizzato). 
  L'uso  del  sequenziamento  dell'esoma  nella  pratica  clinica  ha
confermato le  grandi  potenzialita',  ma  anche  la  difficolta'  di
interpretazione  dei  dati  ottenuti,  particolarmente  nel  caso  di
varianti in precedenza non annotate. La variabilita' genetica  inter-
e intra-popolazione puo' rendere maggiormente difficile l'analisi  di
filtraggio e  priorizzazione  delle  varianti  identificate  e  rende
necessaria la creazione di banche-dati popolazione-specifiche per una
piu'  precisa  valutazione  della  ricorrenza  delle  varianti  rare.
Nonostante il sostanziale miglioramento delle metodologie di  cattura
e/o arricchimento delle regioni genomiche codificanti,  e  la  sempre
piu' dettagliata caratterizzazione  della  topologia  funzionale  del
genoma, ancora oggi non sono disponibili  kit  in  grado  di  coprire
omogeneamente il 100% dell'esoma, incluse le regioni  particolarmente
ricche in GC, come il primo esone codificante di numerosi geni. 
    - Esoma  clinico.  Il  cosidetto  "esoma  clinico"  si  pone  tra
l'analisi di pannelli di geni-malattia e l'analisi dell'intero esoma.
Si basa sul sequenziamento dell'intera porzione codificante di  tutti
i geni noti per  la  loro  rilevanza  clinica,  cioe'  in  precedenza
associati  alle  malattie.  Questa  strategia,   a   differenza   del
sequenziamento  dell'esoma,   per   definizione   non   consente   di
identificare nuovi geni-malattia, ma e' utile  nel  caso  in  cui  la
malattia presenti  un'elevata  eterogeneita'  genetica  e  i  singoli
geni-malattia siano mutati solo in una bassa  percentuale  dei  casi;
oppure, nel caso di malattie che, per la loro rarita', non sono state
sufficientemente  caratterizzate  dal   punto   di   vista   clinico.
Analogamente all'analisi  dell'esoma,  l'esoma  clinico  permette  in
linea di principio di identificare la coesistenza in un  paziente  di
mutazioni  responsabili  di  malattie  genetiche   distinte.   Questa
situazione non deve essere sottovalutata, in quanto  questo  tipo  di
associazione e' stato documentato nel  5%  dei  casi  in  coorti  non
selezionate di  pazienti  analizzati  utilizzando  il  sequenziamento
dell'esoma per finalita' diagnostiche. 
  La mole di dati acquisita con  il  sequenziamento  dell'esoma  puo'
eventualmente   essere   analizzata    considerando    esclusivamente
sottogruppi  di  geni  di  interesse.  Questo  approccio,  noto  come
targeted data analysis, consente di focalizzare  l'analisi  sui  dati
genomici   riguardanti   pannelli   selezionati   "in   silico"    di
geni-malattia precedentemente implicati  nella  patologia  in  esame.
Questo approccio rende il sequenziamento  dell'esoma  particolarmente
vantaggioso, in quanto consente di acquisire il piu' elevato  livello
di informazione in un singolo esame di  laboratorio,  e  permette  di
analizzare successivamente  i  dati  prodotti,  tenendo  conto  delle
conoscenze acquisite negli anni, o di formulare una  diversa  ipotesi
diagnostica dopo la rivalutazione clinica del paziente. 
 
Impatto  clinico  delle  tecnologie  di  sequenziamento  di   seconda
                             generazione 
 
  Le tecnologie di  sequenziamento  di  seconda  generazione  trovano
applicazione in diversi ambiti della medicina. Accanto alla  diagnosi
di malattie mendeliane, il loro uso trova impiego crescente in  campo
oncologico,   nella   caratterizzazione   molecolare   dei    tumori,
nell'identificazione di potenziali bersagli molecolari di  terapia  o
di varianti di predisposizione  all'insorgenza  di  tumori.  Un'altra
importante applicazione riguarda lo screening prenatale non  invasivo
sul sangue materno (Non Invasive Prenatal Testing - NIPT). Nonostante
le difficolta'  interpretative  dovute  all'alta  densita'  dei  dati
prodotti, le informazioni generate dall'applicazione delle tecnologie
di sequenziamento di seconda generazione, in particolare dall'analisi
dell'esoma, offrono importanti opportunita' per diagnosi piu'  rapide
e corrette, con enormi ricadute a livello  clinico,  consentendo  una
piu' rapida ed efficace presa  in  carico  del  paziente  affetto  da
malattia genetica. 
 
  Anche  se  il  tasso  di  errore  del  sequenziamento  di   seconda
generazione e' basso, esso non e'  trascurabile  ed  e'  strettamente
dipendente dal tipo di variazione (singolo  cambiamento  nucleotidico
vs inserzione/delezione di piu' basi) e dal suo contesto di sequenza.
Di  conseguenza,  e'   sempre   necessario   validare   le   varianti
identificate con il sequenziamento  Sanger,  che  rappresenta  ancora
oggi il metodo di sequenziamento di riferimento,  e,  con  la  stessa
metodica, verificarne la co-segregazione con la malattia  nel  nucleo
familiare. 
 
  Un aspetto  non  marginale  riguarda  la  gestione  dei  cosiddetti
"risultati inattesi" (incidental findings),  cioe'  l'identificazione
di varianti di potenziale  significato  patogenetico  all'interno  di
geni-malattia,  ma  non  correlati  con  il  quadro  clinico  che  ha
determinato  l'indicazione  all'accertamento  molecolare.  Alcuni  di
questi risultati potrebbero essere clinicamente  rilevanti,  come  ad
esempio le varianti d'interesse farmacogenetico,  di  predisposizione
alle neoplasie o relativi alle malattie per le quali sono disponibili
approcci  terapeutici  o   di   prevenzione.   Questo   problema   e'
particolarmente  rilevante   stante   l'elevato   potere   risolutivo
dell'analisi esomica, ma anche per l'attuale  scarsa  conoscenza  del
significato funzionale e della rilevanza clinica della maggior  parte
delle varianti genetiche. Le conseguenti  implicazioni  sanitarie  ed
etiche devono essere gestite nel corso della consulenza genetica. 
 
                     Obiettivi e Raccomandazioni 
 
  Da quanto esposto emergono le  seguenti  priorita',  rispetto  alle
quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 1): 
 
    -   Programmazione   dell'Implementazione   delle   tecniche   di
sequenziamento  di  seconda  generazione.  E'  necessaria  un'accorta
programmazione, che  parta  dal  censimento  delle  piattaforme  gia'
implementate e delle competenze gia' disponibili. Tale indagine e' di
interesse  nazionale  e   puo'   essere   condotta   utilizzando   il
questionario prodotto, ai sensi dell'Intesa 13/3/13 con  il  relativo
progetto CCM (Definizione e promozione di programmi per  il  sostegno
all'attuazione  del  Piano  d'Intesa  del13/3/13  recante  Linee   di
indirizzo su "La Genomica in Sanita' Pubblica). Il  successivo  piano
di potenziamento, anche in relazione ai costi connessi, dovra' essere
oggetto di uno specifico accordo Stato - Regioni. 
    - Produrre, a partire dai documenti delle  societa'  scientifiche
gia' disponibili e dalle indicazioni internazionali, linee-guida  per
l'utilizzo del sequenziamento. L'implementazione di una capacita'  di
sequenziamento  evidentemente  postula  anche  un   suo   appropriato
utilizzo.  Il  Sistema   Nazionale   Linee   Guida   (SNLG)   elabora
raccomandazioni  di  comportamento   clinico   basate   sugli   studi
scientifici  piu'  aggiornati,  secondo   il   proprio   metodo;   e'
riconducibile a tale processo anche la  collaborazione  con  societa'
scientifiche ed esperti di settore.  In  tale  framework  di  livello
nazionale  potra'  essere  prodotta   una   linea-guida   per   l'uso
appropriato del sequenziamento; la successiva fase di implementazione
e' riconducibile alle responsabilita' e metodi della programmazione e
management dei servizi sanitari  regionali  e  richiede  un  processo
esplicito di recepimento e applicazione. 
 
                          Raccomandazioni. 
 
  In accordo con le linee guida che la Societa' Italiana di  Genetica
Umana (SIGU)  ha  prodotto  per  dare  elementi  di  indirizzo  circa
l'utilizzo  dei  test  di   sequenziamento   di   nuova   generazione
nell'ambito  della  Genetica  Medica,  si  forniscono   le   seguenti
raccomandazioni: 
 
    - La caratterizzazione fenotipica e' fondamentale per  la  scelta
della tecnica di diagnosi molecolare (sequenziamento Sanger, Targeted
resequencing,  WES)  e  per  la  successiva  analisi  delle  varianti
identificate. 
    -  Nel  caso  di  fenotipi  specifici,  caratterizzati  da  bassa
eterogeneita' genetica e coinvolgenti  geni  di  piccole  dimensioni,
puo' essere opportuno ricorrere ad analisi con  metodiche  molecolari
convenzionali (ad esempio:  sequenziamento  Sanger,  PCR  mirata  per
mutazioni dinamiche). Anche la lunghezza del gene puo' influenzare la
scelta  della  tecnica  analitica  da  utilizzare.  In  generale,  e'
auspicabile che l'analisi molecolare di geni molto  grandi  (numerosi
esoni; per esempio NF1, CFTR, etc.) sia trasferita su piattaforme NGS
per l'abbattimento dei costi e dei tempi di refertazione. 
    - Nel caso di condizioni con elevata eterogeneita' genetica nelle
quali mutazioni in un numero ridotto di geni sono responsabili  della
maggioranza dei casi e' auspicabile l'uso di un targeted resequencing
(pannelli di geni noti). Tale strategia e' indicata anche in caso  di
sospetto mosaicismo. 
    -   Nel   caso   di   condizioni   con   eterogeneita'   genetica
particolarmente marcata dove e' coinvolto un numero sempre  crescente
di geni, ognuno dei quali e' responsabile di una bassa percentuale di
casi  (per  esempio   paraparesi   spastiche   ereditarie,   retiniti
pigmentose, etc.) e' indicata l'esecuzione di un WES  con  un  filtro
limitato all'analisi di  un  pannello  di  geni  noti  (pannello  "in
silico"). In caso di negativita' dell'analisi di un pannello di geni,
i dati  esomici  restano  quindi  a  disposizione  per  le  eventuali
indagini successive indirizzate alla ricerca di nuovi geni  candidati
o per l'analisi di geni causativi identificati in un secondo tempo. 
    - Infine in tutti  i  casi  in  cui  non  puo'  essere  formulata
un'ipotesi diagnostica  su  base  clinica  e'  preferibile  l'analisi
dell'intero  esoma  per   l'individuazione   del   difetto   genetico
responsabile, che puo' riguardare mutazioni/geni  gia'  noti  (ambito
diagnostico)  o  nuovi  geni  candidati  (ambito  di   ricerca)   che
necessitano di ulteriori conferme. E' auspicabile che  tali  indagini
siano  eseguite  in  centri  con  comprovata  esperienza  nell'ambito
dell'analisi di dati esomici per garantire la piu' alta  probabilita'
di successo, che  al  momento,  secondo  la  letteratura  medica,  si
attesta attorno al 25%. 
    - E' utile confermare sempre la  mutazione  identificata  tramite
metodica NGS con sequenziamento Sanger e stabilirne  la  segregazione
nella famiglia quando possibile. 
 
                Tabella 1. Interventi identificabili 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
3.b   Genomica   nella   diagnosi   delle   Malattie   Complesse    e
                           Multifattoriali 
 
  Lo  studio  della   variabilita'   interindividuale   e'   definito
dall'analisi della distribuzione e della  frequenza  dei  geni  nelle
popolazioni. Lo sviluppo  di  questi  studi  ha  fornito  risposte  a
numerosi quesiti circa  l'origine  della  nostra  specie,  le  grandi
migrazioni che hanno caratterizzato l'evoluzione  dell'uomo  moderno,
il ruolo della selezione naturale nel mantenere le frequenze  geniche
nelle popolazioni e, sul piano applicativo, la comprensione di  parte
delle basi biologiche di molte malattie complesse e multifattoriali. 
 
  La variabilita' genica della nostra specie e' talmente  elevata  da
definire mappe geografiche  basate  sulla  frequenza  di  particolari
alleli,  ed  e'  misurata  attraverso  il  polimorfismo,   cioe'   la
percentuale di loci per i quali e' presente  piu'  di  un  allele,  e
l'eterozigosita',  cioe'  la  percentuale   di   individui   in   una
popolazione che porta alleli diversi nello  stesso  gene.  Il  valore
medio  di  polimorfismo  nei   mammiferi   e'   circa   15%,   mentre
l'eterozigosita' e' circa 4% se riferita alle proteine, ma  e'  molto
piu' elevata (>90%), se l'analisi e' basata sul DNA.  L'esistenza  di
questa straordinaria variabilita' ha permesso di dimostrare che nella
popolazione  umana  non  esistono  le  razze.  I  polimorfismi   sono
indicatori della variabilita' e percio' sono dei marcatori  genetici.
Le categorie piu'  importanti  di  questi  marcatori  sono  i  gruppi
sanguigni, le proteine del siero o dei globuli  rossi,  gli  antigeni
linfocitari, i polimorfismi del  DNA.  La  disponibilita'  di  questi
sistemi  consente  di  ottenere  informazioni  sull'evoluzione  delle
frequenze geniche, che cambiano nel  tempo  in  rapporto  all'effetto
delle mutazioni, della migrazioni, della selezione naturale  e  della
deriva genetica casuale. 
 
  La mutazione e' un elemento chiave dell'evoluzione e la sua assenza
determinerebbe l'arresto evolutivo di una specie. A meno che la quota
di radiazioni a cui siamo esposti non aumenti considerevolmente o che
un nuovo potente mutageno  sia  introdotto  nella  nostra  dieta,  e'
probabile che il  tasso  di  mutazione  per  qualsiasi  gene  rimanga
abbastanza costante (tasso di mutazione medio: 10-5 - 10-9). Oggi  si
stima che il tasso reale di mutazioni nell'uomo, stimato mediante  il
sequenziamento completo dei genitori e dei figli,  sia  di  circa  75
nuove mutazioni per generazione. Analogamente, la deriva genetica non
ha conseguenze in  popolazioni  estese,  ma  puo'  invece,  avere  un
effetto notevole sulle frequenze geniche, nelle piccole popolazioni. 
 
  Nel secolo scorso, di pari passo con la scoperta della struttura  e
della funzione del DNA, si e' affermato il concetto che lo  stato  di
salute e di  malattia  sono  il  risultato  dell'interazione  tra  le
caratteristiche genetiche e l'ambiente. Le tecniche di sequenziamento
di   seconda   generazione   stanno   contribuendo   a   decodificare
l'ereditabilita' delle malattie complesse, anche se dopo  una  decina
di anni di ricerche hanno definito  mediamente,  fatte  salve  alcune
eccezioni, meno del 15% della loro componente genetica. Una possibile
spiegazione di questa  "ereditabilita'  mancante"  e'  da  attribuire
certamente a valutazioni sovrastimate  dell'ereditabilita'  calcolata
su base empirica in quanto gli effetti ambientali intra-familiari non
sono stati inclusi nel modello di calcolo o perche' essi non potevano
essere stimati. Inoltre, la variabilita'  della  frequenza  di  molti
polimorfismi nelle popolazioni hanno contribuito a "diluire" il  peso
dei singoli marcatori nel  calcolo  delle  loro  associazioni  e,  di
conseguenza, la loro utilizzazione clinica. E' stato chiarito da  uno
studio  effettuato  sulla  popolazione  Islandese   che   una   parte
sostanziale  dell'ereditabilita'  mancante  e'  dovuta  a  variazioni
polimorfiche  rare,  che   non   sono   incluse   nei   pannelli   di
genotipizzazione utilizzati. 
 
  Per queste ed analoghe considerazioni e' necessario utilizzare  con
cautela i polimorfismi genetici associati  alle  malattie  complesse,
valutare con attenzione la sensibilita' e la  specificita'  dei  test
genetici  e  percio'  l'accuratezza   di   predizione   del   rischio
utilizzando curve ROC (Receiver-Operating Characteristic) e definendo
le conseguenti aree AUC (Area Under the Curve), che costituiscono  la
misura  del  potere  discriminante  del  test.  E'  pero'  importante
osservare che anche la predizione AUC puo' avere una scarsa  utilita'
clinica se  la  malattia  e'  rara  nella  popolazione.  Ad  esempio,
l'allele HLAB27 e' fortemente  associato  al  rischio  di  spondilite
anchilosante,  una  rara  forma  di  artrite  cronica  che   colpisce
mediamente 1-5% della popolazione. Nonostante  il  potere  predittivo
del biomarcatore in termini di specificita' e sensibilita' (99%), con
una OR di circa 70, il rischio di sviluppare la malattia dopo un test
HLAB27 positivo, e' molto basso. Pur con queste limitazioni,  non  va
ignorato che questo limitato potere predittivo e' spesso assimilabile
a quello con il quale oggi si calcola un  rischio  utilizzando  nella
clinica test non-genetici. 
 
  Sebbene le analisi della suscettibilita'  alla  maggior  parte  dei
fenotipi complessi appaiano al  momento  poco  utilizzabili  ai  fini
clinici, molti polimorfismi associati a malattie  complesse,  trovano
interesse come biomarcatori genomici per definire la patogenesi delle
malattie complesse (ad esempio malattie infiammatorie intestinali)  e
quali indicatori della risposta terapeutica. Ad esempio,  l'allele  C
del polimorfismo rs8192675 del  gene  SLC2A2,  che  codifica  per  un
trasportatore del glucosio, presenta una  correlazione  positiva  con
l'efficacia della metformina nel  ridurre  i  livelli  di  emoglobina
glicosilata, influenzando direttamente l'espressione del  gene  SLC2A
nel fegato. Per questo viene considerato un potenziale  marcatore  di
medicina personalizzata. Questo  esempio  illustra  come,  nel  breve
periodo, le analisi  genome  wide  (GWA),  integrate  con  quelle  di
espressione  genica  estesa  (Genome-Wide  Expression  -  GWE)  e  di
epigenomica (Epigenome-Wide  Association  Studies,  EWAS)  potrebbero
diventare uno strumento privilegiato  per  l'identificazione  di  una
serie  di  biomarcatori  genomici  fondamentali   per   la   medicina
personalizzata  o  di  precisione.  Questi  approcci  integrativi   e
convergenti consentono infatti di definire network biologici di  geni
e proteine, che, attraverso l'analisi bioinformatica  di  banche-dati
disponibili,  potrebbero  modificare  lo   scenario   diagnostico   e
terapeutico delle patologie multifattoriali. 
 
                     Obiettivi e Raccomandazioni 
 
  Da quanto esposto emergono le  seguenti  priorita',  rispetto  alle
quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 2): 
 
    - Garantire l'uso  appropriato  dei  polimorfismi  nella  pratica
clinica.  Poiche'  bisogna  utilizzare  con  cautela  i  polimorfismi
genetici associati a  malattie  complesse,  e  considerando,  d'altra
parte, il grande potenziale di nuove conoscenze che  caratterizza  la
ricerca in questo  campo,  e'  necessario  che  l'uso  clinico  delle
analisi genomiche applicato alle malattie complesse sia sostenuto  da
chiare  indicazioni  basate  sull'evidenza.  E'   quindi   necessario
prevedere sia un'accurata valutazione del loro uso nella clinica, sia
un loro continuo aggiornamento in  base  alle  evidenze  scientifiche
prodotte; cio' e' conseguibile mediante la produzione di  linee-guida
con una funzione di  quick-review  periodica  della  letteratura  sia
primaria che secondaria; tale funzione dovrebbe essere assicurata dal
network HTA previsto nel Cap. 6. 
 
                Tabella 2. Interventi identificabili 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
                             3.c Tumori 
                      3.c.i Mutazioni germinali 
 
  I tumori ereditari rappresentano solo una piccola frazione di tutti
i tumori (1-10%). La ricerca di  mutazioni  germinali  e'  funzionale
all'identificazione di un aumentato rischio familiare, e' un percorso
da sviluppare correttamente tramite la Consulenza Genetica Oncologica
(CGO) ed e' strettamente focalizzato alla prevenzione  e  all'analisi
precoce   della   malattia.   La   sua   applicabilita'   e'   quindi
nell'individuazione preventiva di  pazienti  sani  con  un  aumentato
rischio per patologie oncologiche quali ad esempio il carcinoma della
mammella e dell'ovaio, il carcinoma del colon, la sindrome di Lynch. 
 
  Il  numero  di  geni  responsabili  di  forme  di   predisposizione
ereditaria al cancro e' in continua  crescita  e  attualmente  se  ne
conoscono quasi un centinaio, implicati in una cinquantina di diverse
sindromi, ciascuna delle quali presenta le sue  specificita',  legate
alla sede e tipologia dei tumori. 
 
  Nella maggior parte dei pazienti la predisposizione viene ereditata
con  modalita'  autosomica  dominante  con  penetranza  incompleta  e
interessa un gene oncosoppressore. In questi  casi  la  cancerogenesi
segue il modello two-hits, per cui la prima  mutazione  e'  ereditata
mentre la seconda,  somatica,  disattiva  l'altro  allele.  Viceversa
nelle forme tumorali sporadiche entrambe le mutazioni devono avvenire
a livello somatico. Noto anche  come  "ipotesi  di  Knudson",  questo
modello e' stato formulato la prima volta piu'  di  40  anni  fa  per
spiegare l'origine del Retinoblastoma, un raro tumore infantile della
retina, ma viene  oggi  esteso  a  moltissime  altre  forme  tumorali
ereditarie (ad esempio geni APC, PTEN, p53, VHL, NF1, NF2). 
 
  Anche  alcuni  geni  della  riparazione  del  DNA  trasmettono   la
predisposizione  con  analogo  meccanismo  autosomico  dominante,  in
accordo con il suddetto modello (ad esempio geni Mismatch Repair-MMR,
BRCA1, BRCA2). Meno frequentemente l'ereditarieta' imputabile ad essi
e' autosomica recessiva (ad  esempio  gene  MUTYH  del  sistema  Base
Excision Repair-BER). 
 
  Numerose sono inoltre le sindromi da instabilita' genetica,  spesso
associate  allo  sviluppo  di  tumori,  con  ereditarieta'  di   tipo
autosomico recessivo  legate  a  mutazioni  in  geni  appartenenti  a
diversi sistemi di riparazione e/o di controllo  dell'integrita'  del
DNA (ad esempio geni FANC, BLM,ATM, geni XP  del  sistema  Nucleotide
Excision Repair-NER). Le  rare  forme  di  predisposizione  dovute  a
oncogeni sono invece sempre dominanti  (ad  esempio  geni  RET,  KIT,
MET). 
 
  Nella Tabella 3 sono riportati alcuni esempi relativi ad alcune tra
le sindromi di predisposizione al cancro  piu'  note,  le  principali
manifestazioni  cliniche  (tumorali   e   non),   le   modalita'   di
trasmissione (AD, autosomico dominante; AR, autosomico recessivo) e i
geni coinvolti. 
 
Tabella 3. Esempi relativi ad alcune sindromi di  predisposizione  al
                               cancro 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
  Nel caso specifico di ricerca di una  mutazione  in  pazienti  gia'
affetti da patologia oncologica il test per  le  mutazioni  germinali
oggi e' uno strumento utile per stimare il rischio di secondi  tumori
e  per  screenare  i  consanguinei  al  fine  di  attuare   strategie
preventive. Inoltre il test genetico puo' oggi consentire una terapia
personalizzata, come ad esempio nel caso dei nuovi  farmaci  quali  i
PARP inibitori  che  hanno  mostrato  efficacia  nelle  pazienti  con
carcinoma ovarico BRCA mutato. 
 
                     3.c.ii Mutazioni somatiche 
 
  La maggior  parte  dei  tumori  sono  sporadici  e  contraddistinti
esclusivamente da mutazioni acquisite nel corso della vita, a  carico
di oncogeni, oncosoppressori e geni della riparazione del DNA. 
 
  Gli oncogeni sono geni  cellulari  dotati  di  proprieta'  oncogene
trasformanti; si tratta spesso di sequenze  di  DNA  omologhe,  cioe'
molto simili, a sequenze "v-onc  "  presenti  in  alcuni  Retrovirus,
ossia in virus a  RNA  capaci  di  causare  tumori  in  animali.  Gli
oncogeni vengono classificati in base a  localizzazione  cellulare  e
funzione del loro prodotto proteico in: 
 
    - fattori di crescita 
    - recettori per fattori di crescita 
    - trasduttori intracellulari 
    - fattori di  trascrizione  nucleare  e  inibitori  dell'apoptosi
(morte cellulare). 
 
  I geni  oncosoppressori  hanno  la  funzione  di  "sopprimere"  una
proliferazione  cellulare  inappropriata  o,  piu'  in  generale,  la
trasformazione neoplastica. Hanno quindi funzioni  opposte  a  quelle
degli oncogeni. In condizioni normali, i processi di  proliferazione,
differenziamento e morte cellulare sono il risultato di  un  delicato
equilibrio che deriva dall'azione bilanciata di entrambe le categorie
di geni, oncogeni e oncosoppressori.  La  mutazione  di  una  singola
copia dell'oncosoppressore consente ancora il funzionamento del  gene
a livelli sufficienti e quindi non e'  associato  allo  sviluppo  del
tumore, mentre il danneggiamento o la perdita di  entrambe  le  copie
determina  invece  la  "loss  of  function",  ossia   l'inattivazione
completa della sua  funzione  che  induce  percio'  la  comparsa  del
tumore. 
 
  I geni della riparazione del DNA  sono  in  grado  di  determinare,
quando  alterati,   un   aumento   del   tasso   di   mutazione   e/o
un'instabilita' genetica che facilita l'acquisizione  progressiva  di
mutazioni in oncogeni e oncosoppressori che portano allo sviluppo  di
un tumore. A differenza dei geni precedenti,  essi  hanno  quindi  un
ruolo indiretto nella genesi del cancro:  la  mutazione  di  un  gene
mutatore determina infatti una perdita della sua funzione  riparativa
e quindi del meccanismo di controllo sulla stabilita'  del  materiale
genetico che e' essenziale per uno sviluppo normale delle cellule. 
 
  L'identificazione  nei  tumori  di   alcune   anomalie   genetiche,
soprattutto quelle a carico degli oncogeni, e' importante in  termini
di diagnosi, prognosi e terapia. Ad esempio la traslocazione 9;22 che
attiva l'oncogene abl e che comporta la formazione di un cromosoma 22
anomalo (detto cromosoma Philadelphia) e'  specifica  della  leucemia
mieloide cronica ed e' fondamentale  per  fare  correttamente  questa
diagnosi.  Inoltre,  il  monitoraggio  del  midollo  osseo   mediante
citogenetica o analisi molecolare puo' documentare il  raggiungimento
e  la  persistenza  della  guarigione   o,   alternativamente,   puo'
diagnosticare    precocemente    la    ripresa    della     malattia.
L'amplificazione di alcuni oncogeni,  quali  ad  esempio  N-MYC  (nel
neuroblastoma)  e  HER-2  (nel  carcinoma  della  mammella  e   dello
stomaco), e' riscontrata spesso in fasi avanzate di  malattia  ed  ha
significato prognostico negativo. Infine, molti sforzi  vengono  oggi
rivolti alla target therapy per lo sviluppo  di  farmaci  mirati  che
agiscono in maniera specifica sulle proteine alterate o  iperespresse
prodotte  da  un  oncogene  attivato,  quali  ad   esempio   Imatinib
(inibitore di abl) nella leucemia mieloide cronica  e  Trastuzumab  e
Pertuzumab (anticorpi anti-HER2) nel carcinoma mammario, Cetuximab  e
Panitumumab nel carcinoma del colon RAS wild type, Gefitinib e  altri
TKI nell'adenocarcinoma del polmone con mutazione di EGFR. 
 
                     Obiettivi e Raccomandazioni 
 
  Da quanto esposto emergono le  seguenti  priorita',  rispetto  alle
quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 4): 
 
    - Test per  le  mutazioni  germinali.  La  ricerca  di  mutazioni
germinali e' funzionale all'identificazione di un  aumentato  rischio
familiare, e' un percorso  da  sviluppare  correttamente  tramite  la
Consulenza Genetica Oncologica ed e'  strettamente  focalizzato  alla
prevenzione  e  all'analisi  precoce  della  malattia.   Quindi,   la
somministrazione di test per  le  mutazioni  germinali  oggi  e'  uno
strumento utile per stimare  il  rischio  di  secondi  tumori  e  per
screenare i consanguinei al fine di attuare strategie  preventive.  A
questo  riguardo  v.4.3.i.  Inoltre  il  test  genetico   puo'   oggi
consentire una terapia personalizzata, come ad esempio nel  caso  dei
nuovi farmaci quali i PARP inibitori  che  hanno  mostrato  efficacia
nelle pazienti con carcinoma ovarico BRCA mutato. A questo riguardo v
5.b. 
    - Test per le mutazioni somatiche. L'identificazione  nei  tumori
di alcune anomalie  genetiche,  soprattutto  quelle  a  carico  degli
oncogeni, e' importante in termini di diagnosi, prognosi  e  terapia.
Poiche'   bisogna   utilizzare   appropriatamente   tali   test,    e
considerando, d'altra parte, il grande potenziale di nuove conoscenze
che caratterizza la ricerca in questo campo, e' necessario che  l'uso
clinico  di  tali  test   sia   sostenuto   da   chiare   indicazioni
evidence-based.  E'  quindi  necessario  prevedere  sia   un'accurata
valutazione  di  utilizzabilita'  clinica  sia  un   suo   tempestivo
aggiornamento in base alle evidenze scientifiche  prodotte.  Il  SNLG
elabora raccomandazioni di comportamento clinico basate  sugli  studi
scientifici  piu'  aggiornati,  secondo   il   proprio   metodo;   e'
riconducibile a tale processo anche la  collaborazione  con  societa'
scientifiche ed esperti di settore.  In  tale  framework  di  livello
nazionale  potra'  essere  prodotta   una   linea-guida   per   l'uso
appropriato  dei  test  per  le  mutazioni  somatiche   nonche'   una
quick-review periodica della letteratura sia primaria che secondaria;
tale funzione dovrebbe essere assicurata dal network HTA previsto nel
Cap. 6. 
 
                Tabella 4. Interventi identificabili 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
  Bibliografia. 
 
  1. Societa' Italiana di Genetica Umana  (SIGU).  Il  sequenziamento
del DNA di nuova  generazione:  indicazioni  per  l'impiego  clinico.
Disponibile su: http://www.sigu.net/show/documenti/5/1/linee%20guida 
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  3.  Lee  H  et  al.   Clinical   exome   sequencing   for   genetic
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clinical whole-exome sequencing. JAMA. 2014 Nov 12;312(18):1870-9. 
  5. Zaitlen N et al. Using extended genealogy to estimate components
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is associated with glycemic response to metformin.  Nat  Genet.  2016
Sep;48(9):1055-9. 
 
                             CAPITOLO 4 
                   La prevenzione personalizzata. 
 
                      4.a. Test preconcezionali 
 
  La prevenzione delle  malattie  mendeliane  da  tempo  utilizza  lo
screening dei "portatori sani" per intercettare le coppie  a  rischio
di malattie recessive comuni o per le quali esiste nella famiglia uno
specifico  rischio  (cosiddetto  screening  a  cascata).  Un  esempio
illustrativo e' la prevenzione della beta  talassemia  omozigote,  la
cui incidenza e' stata drasticamente  abbattuta  in  varie  aree  del
mondo, combinando lo screening degli eterozigoti  con  la  consulenza
genetica e la diagnosi prenatale. Negli ultimi anni si e' proposto di
allargare la ricerca dei portatori anche per altre malattie recessive
comuni, come la fibrosi cistica (FC),  causata  dalle  mutazioni  del
gene CFTR. L'offerta attiva dello screening a cascata tra i  fratelli
e le sorelle di una persona affetta da una malattia recessiva  appare
giustificato solo per le  condizioni  che  hanno  una  frequenza  non
inferiore a 1:10.000 nella popolazione, il  che  corrisponde  ad  una
frequenza di eterozigoti di almeno 1:50. Di regola tale screening non
e' giustificato per i consanguinei piu' remoti, se la frequenza della
malattia non e' elevata nella popolazione. 
 
  Negli Stati Uniti, l'American College of Obstetrics and  Gynecology
(ACOG)  e  l'American  College  of  Medical  Genetics  (ACMG)   hanno
raccomandato di offrire questo screening alle  coppie  che  intendono
affrontare una gravidanza. Il  test,  inoltre,  viene  offerto  dalla
sanita' pubblica in Israele nell'ambito di un  pannello  di  diagnosi
genetiche. Esistono comunque diverse altre  esperienze  di  screening
genetico limitate a piccoli gruppi, per la ricerca degli  eterozigoti
per la FC ed  altre  malattie  genetiche.  Gli  obiettivi  di  queste
raccomandazioni   sono   il   miglioramento   della    consapevolezza
procreativa e/o la riduzione dell'incidenza delle malattie sottoposte
allo screening. 
 
  Oggi e' in forte espansione l'offerta dei test genetici diretti  ai
consumatori, favorita dalla disseminazione di informazioni attraverso
internet. In alcune aree geografiche il test del portatore  della  FC
e' relativamente diffuso, per l'adesione  spontanea  all'offerta  che
proviene da  laboratori  pubblici  e  privati,  anche  se  non  viene
raccomandato dalle societa' scientifiche  e  neppure  promosso  dalle
autorita' sanitarie. Per quanto riguarda l'Italia, si stima che negli
ultimi 20 anni siano stati eseguiti nel Veneto oltre 130.000 test per
lo screening dei portatori della FC, una  campagna  a  cui  ha  fatto
seguito una significativa diminuzione dell'incidenza della  malattia.
Analogamente,  negli  Stati  Uniti,  dopo  le  raccomandazioni  della
ACOG-ACMG a  favore  dello  screening  della  mutazione  piu'  comune
(F508del),   si   e'   registrata   una    significativa    riduzione
dell'incidenza della malattia. Ovviamente si tratta di  un  approccio
mirato all'analisi di specifici geni-malattia, che non  incide  sulla
frequenza delle altre malattie recessive. 
 
  L'introduzione  delle  tecnologie  NGS  consente,  in  teoria,   di
verificare, nelle coppie che  vogliono  avviare  una  gravidanza,  la
condizione di portatore per una specifica malattia mendeliana, oppure
escludere la presenza di mutazioni in geni responsabili  di  malattie
dominanti a penetranza  incompleta  o  espressivita'  variabile,  non
diagnosticate clinicamente. 
 
  Il primo scenario e' esemplificato dall'analisi delle mutazioni del
gene  CFTR,  (www.genet.sickkids.on.ca).   Molte   variazioni   nella
sequenza di questo gene non hanno significato patogenetico; per altre
non e' chiaro il rapporto con la malattia. Nessun metodo  commerciale
permette oggi di identificare tutte le mutazioni del gene malattia la
cui frequenza varia significativamente a livello geografico..  Questo
problema sta diventando rilevante in alcune regioni italiane  per  la
costante crescita della multietnicita'. Sono invece disponibili  test
commerciali di primo livello per  la  ricerca  delle  mutazioni  piu'
frequenti di CFTR che garantiscono in Italia una detection  rate  del
70-90%. Alcuni laboratori utilizzano metodi sviluppati  in  casa,  in
grado di ridurre i costi. Un risultato negativo di  questi  test  non
esclude la presenza di mutazioni non ricercate.  Il  rischio  residuo
puo' essere quantificato in base alla frequenza delle mutazioni nella
popolazione in esame e alla detection rate del test. Questo limite ha
rappresentato   finora   una   delle   principali   obiezioni    alla
raccomandazione  dello  screening  del  portatore  nella  popolazione
generale, data la particolare difficolta' di  spiegare  adeguatamente
il significato di un test negativo. 
 
  Le tecniche NGS hanno migliorato la sensibilita' e gia' oggi  hanno
costi minori e potrebbero in futuro essere utili per lo screening  di
popolazione per  diverse  malattie  a  maggiore  incidenza.  La  loro
evoluzione tecnologica e' rapida, ma il loro limite  sta  nella  loro
capacita'  di  evidenziare  variazioni  di  sequenza  al  momento  di
significato clinico non noto. Cio' comporta da un lato il ricorso  ad
un grande numero di consulenze genetiche complesse, e dall'altro lato
il rischio di una mancata comprensione da parte dei probandi e/o  dei
medici curanti dei risultati del test, un aumento del numero dei test
nei partner, l'esecuzione di indagini prenatali non interpretabili  e
l'ansia dei futuri genitori che si troverebbero a prendere  decisioni
riproduttive in assenza di informazioni certe o affidabili.  A  tutto
cio' si deve aggiungere che persino nel caso  delle  mutazioni  delle
quali e' nota l'associazione con la malattia non e' sempre  possibile
predire, a livello individuale, la gravita' del  quadro  clinico,  in
quanto l'effetto modulante di altri geni e  dell'ambiente  puo'  dare
origine a fenotipi variabili. 
 
  Per altre malattie recessive ad elevata frequenza sono  disponibili
evidenze che giustificherebbero  l'introduzione  delle  tecniche  NGS
nella pratica clinica, come dimostra il caso  dell'atrofia  muscolare
spinale o della distrofia muscolare di Duchenne/Becker. Le tecnologie
NGS hanno maggiore sensibilita' rispetto alle tecniche tradizionali e
abbattono i tempi ed i costi dei test di screening dei  portatori  di
mutazioni  associate  a  malattie  mendeliane  eterogenee,  come   la
sindrome di Alport. 
 
  Gli altri scenari, ovvero la ricerca  simultanea  di  mutazioni  in
diversi geni responsabili di malattie recessive, oppure la ricerca di
mutazioni  ipomorfe  in  malattie  dominanti,  non   trovano   ancora
sufficiente supporto dai dati della letteratura. Se e'  vero  che  le
tecniche NGS consentono in linea teorica di intercettare i  portatori
sani per le malattie recessive di cui sono note le  basi  molecolari,
di fatto l'estensione dello screening  preconcezionale  alla  maggior
parte  dei  geni  delle  malattie   gravi   e'   considerato   finora
impraticabile, anche se esistono prove di concetto che  indicano,  in
prospettiva, la possibilita' di introdurlo nella pratica sanitaria. 
 
  In conclusione i test che  hanno  come  oggetto  lo  screening  dei
portatori di mutazioni genetiche responsabili di  malattie  recessive
comuni, come la fibrosi cistica, sono altamente  attendibili  e  sono
facilmente eseguibili con le tecniche tradizionali.  Esistono  quindi
le  condizioni  per  la  loro  implementazione,  una  volta  che  sia
garantita la qualita' e la disponibilita' della consulenza genetica e
siano avviate campagne di informazione a livello di  popolazione.  La
prevedibile evoluzione delle tecnologie NGS ampliera' le possibilita'
di screening  dei  portatori  di  geni  associati  a  molte  malattie
genetiche. Tuttavia,  l'eventuale  implementazione  di  programmi  di
screening di questo tipo dovra' essere testata su programmi pilota. 
 
                     Obiettivi e Raccomandazioni 
 
  Da quanto esposto emergono le  seguenti  priorita',  rispetto  alle
quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 5): 
 
    - Programmazione dell'Implementazione delle piattaforme NGS (tale
priorita' e' gia' definita nel Cap. 3.a) 
    - Promuovere programmi evidence-based di screening dei  portatori
di mutazioni genetiche responsabili di malattie recessive comuni.  La
disponibilita' di sufficienti evidenze scientifiche mette il  Sistema
Sanitario  in  condizione  di  inserire  tale   screening   in   modo
sistematico nell'ambito  dei  servizi  offerti  alla  popolazione  di
riferimento (come definita dalle Linee-guida: v. dopo). Si identifica
quindi  un  intervento  di   sanita'   pubblica   con   le   seguenti
caratteristiche: basato su  valutazioni  di  efficacia  sperimentale;
organizzato per profili di assistenza e quindi non soltanto  delegato
alla  competenza  /sensibilita'/  iniziativa   tecnico-professionale;
mirato all'equita' e quindi basato sul  coinvolgimento  attivo  della
popolazione destinataria; dotato di un esplicito sistema  informativo
e di valutazione. 
 
  Il processo di trasferimento delle  nuove  conoscenze  scientifiche
nella pratica, impone la sua articolazione nelle seguenti fasi: 
 
      - Produzione di linee guida  per  screening  dei  portatori  di
mutazioni genetiche responsabili di  malattie  recessive  comuni.  Il
Sistema nazionale  linee  guida  (SNLG)  elabora  raccomandazioni  di
comportamento clinico basate sugli studi scientifici piu' aggiornati,
secondo il proprio metodo; e' riconducibile a tale processo anche  la
collaborazione con societa' scientifiche ed esperti  di  settore.  In
tale framework  di  livello  nazionale  potra'  essere  prodotta  una
linea-guida per l'uso appropriato dello screening. 
      - La successiva fase di implementazione e'  riconducibile  alle
responsabilita'  e  metodi  della  programmazione  e  management  dei
servizi sanitari  regionali  e  richiede  un  processo  esplicito  di
recepimento e applicazione. 
      - Organizzazione di un percorso.  Assunto  che  la  linea-guida
riguarda per  definizione  la  dimensione  tecnico-professionale,  le
raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione
di un'organizzazione in grado di accogliere la popolazione target  in
un percorso esplicito, basato  su  'nodi  organizzativi'  chiaramente
definiti e procedure di 'ingaggio' precise ed  esplicite.  Si  tratta
quindi di definire un percorso diagnostico-  terapeuticoassistenziale
(PDTA: sequenza predefinita, articolata e coordinata di  prestazioni,
ambulatoriali  e/o  di  ricovero,  che  prevede   la   partecipazione
integrata  di  diversi  specialisti  e  professionisti,  al  fine  di
realizzare la diagnosi e la terapia piu' adeguate per  una  specifica
patologia. Questo contesto comprende l'identificazione nel territorio
regionale delle strutture/risorse  responsabili  dei  vari  step  del
percorso) che  prenda  in  carico  gli  individui  destinatari  dello
screening. 
 
    - Progetti pilota di screening dei portatori di geni associati  a
(molte) malattie genetiche  (con  tecnologia  NGS).  La  forza  delle
evidenze scientifiche relative allo screening dei portatori  di  geni
associati a molte malattie  genetiche  e'  ritenuta  sufficiente  per
proporre  un  intervento  sulla  popolazione  target.   Tuttavia   le
modalita'  organizzative  e,  complessivamente  la  sua  fattibilita'
devono ancora essere  definite  e  valutate;  inoltre,  le  patologie
'bersaglio' di tale intervento devono essere accuratamente  definite.
Per tali motivi  e'  richiesta  la  definizione  di  una  linea-guida
(nell'ambito gia' sopra ricordato del SNLG) e relativamente a  questa
e' opportuno, per la sua implementazione, organizzare progetti pilota
accuratamente disegnati e valutati. 
 
    - Campagne di informazione. Come espresso nel Capitolo  7,  nella
attuale fase di sviluppo dell'uso delle  scienze  omiche,  si  tratta
prioritariamente di sviluppare una vera e propria  literacy  sia  del
personale non specializzato del SSN sia della  popolazione  piuttosto
che programmare direttamente l'uso dei media di  massa.  Pertanto  le
esigenze divulgative ed informative  sull'uso  appropriato  dei  test
preconcezionali  di  carattere  genomico  vanno  perseguite  con   le
strategie e metodologie previste nel cap 7. 
 
                Tabella 5. Interventi identificabili 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
                         4.b Test Prenatali 
 
  Le tecniche di diagnosi prenatale comprendono indagini  strumentali
e di laboratorio sviluppate negli ultimi 50 anni, con l'obiettivo  di
monitorare il concepito, a partire dalle prime  fasi  dello  sviluppo
embrionale fino ai momenti che precedono il parto. 
 
  L'ecografia prenatale  e'  la  tecnica  non  invasiva  di  diagnosi
prenatale  piu'   importante   e   diffusa.   Viene   impiegata   per
monitorizzare lo sviluppo dell'embrione e del  feto,  verificarne  il
benessere, seguire l'evoluzione della gravidanza e come supporto alle
indagini invasive che prevedono l'acquisizione dei tessuti fetali. La
sua non invasivita' e l'elevato grado di risoluzione ottenuta con  le
apparecchiature   di   ultima   generazione   ne   giustificano    la
straordinaria diffusione ed il suo  impiego  sistematico,  nei  paesi
industrializzati,  pressoche'  in  tutte  le   gravidanze.   Le   sue
potenzialita'  correlano  con  l'epoca  gestazionale  in  cui   viene
utilizzata,  la  risoluzione  dell'apparecchiatura   e   l'esperienza
dell'operatore. 
 
  L'amniocentesi  e'  la  tecnica  invasiva  di  diagnosi   prenatale
maggiormente utilizzata ed e' finalizzata all'acquisizione,  mediante
puntura transaddominale,  sotto  controllo  ecografico,  del  liquido
amniotico, idealmente attorno alla XV-XVI settimana di amenorrea.  Il
rischio  di  aborto,  collegato  all'invasivita'  della  tecnica   e'
calcolato  in  circa  1:200,  ma  varia  in  rapporto  all'esperienza
dell'operatore.  Il  liquido  amniotico  contiene   una   parte   non
corpuscolata,  cioe'  priva  di  cellule,  che  viene  isolata,   per
centrifugazione del campione,  ed  una  parte  corpuscolata,  formata
dagli amniociti, le cellule che derivano dalla  cute,  dalle  mucose,
dalle vie genito-urinarie, dall'apparato gastrointestinale del feto e
dalle  membrane  amniotiche.  Sulla  porzione  non  corpuscolata   e'
possibile dosare l'alfafetoproteina (AFP)  ed,  eventualmente,  altri
marcatori biochimici, mentre gli amniociti si  utilizzano,  in  primo
luogo,  per  le  analisi  citogenetiche,  ed   eventualmente   quelle
molecolari  e  biochimiche,  sia  direttamente  che   sulle   cellule
coltivate. 
 
  La villocentesi e' una tecnica invasiva, utilizzata per il prelievo
del trofoblasto mediante  puntura  transaddominale,  sotto  controllo
ecografico, idealmente attorno alla X-XII settimana di amenorrea.  Il
rischio di aborto, collegato all'invasivita' della tecnica, e'  circa
2-3%,  ma  varia  significativamente   in   rapporto   all'esperienza
dell'operatore. Il  tessuto  acquisito  puo'  essere  utilizzato  per
l'analisi    citogenetica,    direttamente    sulle    cellule    del
citotrofoblasto o sulle colture  (cellule  mesenchimali  del  villo).
L'uso  combinato  delle  due  tecniche   fornisce   informazioni   su
popolazioni  cellulari  che  hanno  un'origine  embrionale   diversa,
consentendo, nella maggior parte dei casi, di risolvere il potenziale
problema  delle  discrepanze  tra  il  cariotipo  placentare  ed   il
cariotipo fetale (riscontrabile in circa il 2% dei campioni), che  e'
riconducibile  ad  una  condizione  di  mosaicismo  postzigotico.  La
villocentesi permette di acquisire materiale biologico  in  quantita'
relativamente abbondanti ed e' percio' la tecnica di elezione per  la
diagnosi molecolare dei geni-malattia e per le  analisi  biochimiche.
La  precocita'   della   tecnica,   rispetto   all'amniocentesi,   e'
controbilanciata dalla sua maggiore invasivita'  e  dall'acquisizione
di tessuto placentare e non fetale. 
 
  La cordocentesi e' la tecnica di acquisizione  del  sangue  fetale,
per  puntura  transaddominale,  attorno  alla  XVIII   settimana   di
amenorrea. Il rischio  di  aborto,  collegato  all'invasivita'  della
tecnica,  e'  circa  2%,  ma   varia   significativamente   in   base
all'esperienza dell'operatore. La tecnica e'  fortemente  in  disuso,
essendo utilizzata soprattutto  per  monitorizzare  alcune  patologie
infettive ed eventualmente  per  tentare  di  chiarire  dubbi  emersi
dall'analisi citogenetica sugli amniociti. 
 
  Gli screening prenatali non invasivi, sviluppati  negli  ultimi  40
anni, si basano essenzialmente sull'analisi di  marcatori  biochimici
sul  sangue  materno,  combinati  con  le  indagini  ecografiche.  Il
prototipo di queste analisi e'  il  dosaggio  dell'AFP,  inizialmente
utilizzato come  marcatore  dei  difetti  del  tubo  neurale  (valore
aumentato) e, successivamente, della sindrome  di  Down  (SD;  valore
ridotto). Con il tempo questi screening, basati sull'associazione  di
marcatori diversi, hanno ottenuto un crescente sviluppo  nel  calcolo
della probabilita' delle aneuploidie fetali, soprattutto nelle  madri
che  rientravano  nella  fascia  di  eta'  a  bassa  probabilita'  di
patologia  cromosomica  nel  feto,  e  percio'   non   candidate   al
monitoraggio invasivo della gravidanza. Il triplo-test  (o  tri-test)
basato  sul  dosaggio,  nel  secondo   trimestre,   dell'AFP,   della
gonadotropina corionica e dell'estriolo non coniugato, combinato  con
l'eta' materna e con l'eta'  gestazionale  misurata  ecograficamente,
consentiva di predire circa il 65% delle SD, con una  percentuale  di
falsi positivi (FPR) compresa tra il 5 ed il 10%. A questo protocollo
ne sono stati affiancati nel tempo numerosi  altri,  basati  su  vari
marcatori,  in  diverse  combinazioni,  e  sull'anticipazione   dello
screening dal secondo al primo trimestre. Parallelamente, i marcatori
biochimici sono stati integrati con quelli ecografici, in particolare
l'analisi dello spessore della cute  nucale  (translucenza  nucale  -
TN), che, sebbene non patognomonico della  SD,  tra  l'XI  e  la  XIV
settimana di amenorrea, diagnostica circa il 75% dei  casi,  con  una
FPR del 5%. Successivamente, si e' affermato il bi-test, che utilizza
il sangue materno acquisito attorno alla X-XI  settimana,  sul  quale
viene dosata la frazione libera della beta gonadotropina corionica ed
una glicoproteina ad elevato peso molecolare, la Pregnancy Associated
Plasma  Protein  A  (PAPP-A).  Questa  analisi,  integrata   con   la
misurazione della TN e l'eta' materna, predice circa l'80% delle  SD,
con una percentuale di falsi positivi pari a circa il 6%.  In  questo
contesto va considerato  anche  il  test  contingente  (TN  +  marker
biochimici a 11-13 settimane; marker ecografici a 12-13  settimane  o
biochimici a 14- 16 settimane nei gruppi a probabilita'  intermedia),
che consente di migliorare la specificita' del test. 
 
4.b.1 Diagnosi prenatale non invasiva sul  DNA  fetale  presente  nel
      circolo materno: il Non Invasive Prenatal Testing (NIPT) 
 
  E' stato dimostrato che, a partire dal I trimestre  di  gravidanza,
e' presente nel circolo ematico materno DNA libero (cell  free  fetal
DNA, cfDNA), parte del quale e' di origine fetale  (cell  free  fetal
DNA, cffDNA), che puo' essere recuperato in maniera  non-invasiva  ed
utilizzato per lo screening di  alcune  patologie  fetali.  Il  cfDNA
origina dalla lisi delle cellule materne e placentari. I frammenti di
DNA fetale degradato contengono mediamente 180 paia di  basi  (bp)  e
sono sospesi nel plasma arterioso. Il cffDNA puo'  essere  isolato  a
partire dalla X settimana, quando raggiunge quantita' sufficienti per
un potenziale impiego clinico. La sua percentuale  puo'  variare  tra
<4%, una quantita' non utile per lo screening, a circa  il  40%,  con
una media del 10%, alla  XII  settimana,  quando  il  90%  circa  dei
frammenti di DNA libero circolante nel plasma originano dall'apoptosi
degli epiteli materni, creando una commistione  di  cfDNA  materno  e
cffDNA. Il cffDNA scompare dal circolo  materno  poche  ore  dopo  il
parto, probabilmente per escrezione renale. 
 
  Il cffDNA viene utilizzato nei protocolli di Non Invasive  Prenatal
Testing  (NIPT),  soprattutto  per  lo  screening  delle  aneuploidie
cromosomiche. Indipendentemente dalla tecnica  utilizzata,  l'analisi
si basa su comparazioni.  Ad  esempio,  nel  caso  del  cromosoma  21
(CR21), la tecnica confronta il numero dei frammenti del  CR21  nella
gravidanza in  esame,  con  il  numero  dei  frammenti  di  un  altro
cromosoma dello stesso campione atteso in una condizione di  disomia,
oppure con quelli di un pool di gravidanze disomiche  (due  CR21)  di
riferimento. Se  il  campione  ottenuto  dalla  gravidanza  in  esame
contiene due coppie di CR21 (due della madre  e  due  del  feto),  il
rapporto  tra  i  conteggi  (numero  dei  frammenti  del   CR21   nel
test/numero dei frammenti nei campioni di  riferimento  disomici)  e'
all'incirca uguale a 1. Se nella gravidanza in esame e'  presente  un
feto con trisomia 21 (T21), aumenta la frazione fetale  (FF)  per  la
presenza di  frammenti  circolanti  aggiuntivi  rilasciati  dal  CR21
soprannumerario  del  feto.  L'entita'  dell'aumento  dipende   dalla
percentuale della FF totale e  dal  numero  delle  bp  del  CR21,  in
rapporto alle bp del genoma complessivo del feto. 
 
  In circa il 2% dei diversi campioni  analizzati  attorno  alla  XII
settimana la FF non supera la soglia  del  4%  e  pertanto  non  sono
idonei per lo screening. E'  possibile  che  in  questi  campioni  la
percentuale delle patologie cromosomiche sia significativamente  piu'
elevata, rispetto a quella dei campioni con FF =4%. 
 
  Il NIPT non differenzia il DNA feto-placentare da  quello  materno.
Pertanto non e' un test diagnostico, ma di screening,  che,  mediante
algoritmi dedicati, definisce la probabilita' che il feto sia affetto
da una delle principali  trisomie  autosomiche  (trisomia  21  [T21],
trisomia 18  [T18],  trisomia  13  [T13])  o  da  un'aneuploidia  dei
cromosomi sessuali (X, XXX, XXY,  XYY),  analizzando  selettivamente,
nel cffDNA, il numero  dei  frammenti  contribuiti  da  ciascuno  dei
cromosomi oggetto del test. 
 
  Una  recente  metanalisi  ha  riportato,  per  le  tre   principali
aneuploidie  autosomiche,  nelle  gravidanze  singole,  le   seguenti
percentuali di sensibilita' (detection rate - DR) e  di  specificita'
(FPR) del NIPT: 
 
    - T21 - DR  99,2%  (95%  CI,  98,5-99,6%);  FPR  0,09%  (95%  CI,
0,05-0,14%) 
    - T18 - DR  96,3%  (95%  CI,  94,3-97,9%);  FPR  0,13%  (95%  CI,
0,07-0,20%) 
    - T13 - DR  91,0%  (95%  CI,  85,0-95,6%);  FPR  0,13%  (95%  CI,
0,05-0,26%). 
 
  Vari  fattori  spiegano  queste  discrepanze,  in   particolare   i
mosaicismi feto-placentari, la presenza  di  un  vanishing  twin,  le
malattie  tumorali  materne,  i   mosaicismi   cromosomici   materni,
l'assenza/insufficienza della FF. 
 
  L'analisi del cffDNA puo' essere effettuata anche sulle  gravidanze
bigemine, limitatamente  allo  screening  delle  principali  trisomie
autosomiche; il risultato esprime una probabilita' distribuita tra  i
due feti. Il gemello piu' piccolo, che fornisce una quantita'  minore
di DNA, produce una FF statisticamente inferiore alla media della  FF
presente nelle gravidanze singole, suggerendo che  il  contributo  al
cffDNA della FF da parte delle due placente  sia  disomogeneo  e  sia
addirittura possibile  che  una  di  esse  non  sia  sufficientemente
rappresentata (FF <4%), con il rischio di una  percentuale  di  falsi
negativi (FNR). I dati  disponibili  suggeriscono  per  la  T21,  una
sensibilita' del 95%; per la T18, dell'86%; per la T13, del  100%  (i
dati numerici delle T13 e  T18  sono  comunque  troppo  limitati  per
raggiungere un valore verosimile di sensibilita'), in assenza di  FPR
per nessuna delle tre trisomie. In presenza di un risultato positivo,
il test non indica quale feto sia affetto. 
 
  La specificita' del NIPT  nello  screening  delle  aneuploidie  dei
cromosomi sessuali e' inferiore rispetto a quella degli autosomi. Una
metanalisi ha indicato per la monosomia X una sensibilita'  (DR)  del
90,3% (95% CI, 85,7-94,2%) ed una specificita' (FPR) dello 0,23% (95%
CI, 0,14-0,34%). Per tutte le  altre  aneuploidie  dei  39  cromosomi
sessuali, la sensibilita' e' risultata del 93,0% (95% CI, 85,8-97,8%)
e la specificita' dello 0,14% (95% CI, 0,06-0,24%). 
 
  Nella prospettiva di sviluppare tecniche  in  grado  di  analizzare
l'intero genoma, sono stati messi a  punto  pannelli  che  analizzano
singole microdelezioni  associate  ad  alcune  sindromi  clinicamente
riconoscibili, ma questi test necessitano tutti di  essere  validati.
Analogamente, si stanno  mettendo  a  punto  test  per  lo  screening
molecolare di malattie mendeliane. I primi screening hanno riguardato
la determinazione del sesso del feto, basata sulla ricerca nel plasma
materno di sequenze di SRY e  DYS14  del  cromosoma  Y,  una  tecnica
attualmente  utilizzata  in  alcuni  Paesi   per   monitorizzare   le
gravidanze a rischio per alcune malattie legate al cromosoma X. Altri
protocolli riguardano lo screening del fenotipo Rh del feto concepito
da  madri  RhDnegative,  dell'acondroplasia  originata  de  novo   al
concepimento o segregata da un padre affetto, del nanismo tanatoforo,
della sindrome di Apert. Analogamente  possono  essere  sottoposte  a
screening le malattie autosomiche recessive, nelle quali  i  genitori
sono eterozigoti per mutazioni diverse. In questi casi,  l'esclusione
o la presenza  dell'allele  paterno  possono  essere  utilizzate  per
precisare la probabilita' che il feto  sia  affetto,  come  nel  caso
della talassemia o della fibrosi cistica. La maggior parte di  questi
protocolli sono ancora sperimentali. 
 
  Le linee-guida del Ministero della Salute hanno formulato una serie
di raccomandazioni: 
 
    - Il cfDNA/NIPT e' il  test  di  screening  prenatale  dotato  al
momento di maggiore sensibilita'  e  specificita'  per  lo  screening
della trisomia 21. 
    - Il cfDNA/NIPT riduce  il  ricorso  alle  indagini  diagnostiche
invasive, che hanno costi piu' elevati, e, di conseguenza, riduce  il
rischio di aborto collegato a quelle tecniche. 
    - Il cfDNA/NIPT non fornisce un risultato  in  circa  il  2%  dei
casi,  per  l'inadeguatezza  del  campione   correlata   alla   bassa
concentrazione del cfDNA nel plasma  materno;  al  momento  non  sono
disponibili studi in  grado  di  chiarire  se  questi  fallimenti  si
associno alla presenza, nel feto, di altre anomalie  cromosomiche  al
di fuori delle trisomie 13 e 18. 
 
  L'utilizzo del cfDNA/NIPT come screening contingente dopo  il  Test
Combinato (eseguito  da  operatori  certificati)  appare  il  modello
migliore per la sua implementazione a livello  nazionale,  in  quanto
avrebbe un limitato impatto  complessivo  sulla  spesa  sanitaria,  a
differenza dello screening universale, ed appare in grado di superare
il problema dei casi senza risultato. 
 
  L'estensione del cfDNA/NIPT alle trisomie 18  e  13,  utilizzandolo
come screening contingente, non aumenterebbe il ricorso alle tecniche
invasive, qualora i casi senza risultato fossero gestiti con il  Test
Combinato. 
 
  Il cfDNA/NIPT deve essere offerto nell'ambito di una consulenza con
specialisti di  genetica  medica/medicina  fetale,  integrata  da  un
esaustivo consenso informato, nel quale deve essere  fatto  specifico
riferimento alla volonta' di essere o  di  non  essere  informati  su
eventuali  risultati  incidentali,  clinicamente  rilevanti,   emersi
dall'analisi. 
 
  Il cfDNA/NIPT non e' sostitutivo e percio' non evita di  effettuare
le altre indagini cliniche, laboratoristiche e strumentali che  fanno
parte integrante del monitoraggio della gravidanza. 
 
  I Centri che erogano il test devono avere competenze nella diagnosi
ecografica e nella diagnosi prenatale; essere in grado di offrire  la
consulenza  prima  e  dopo  il  test;  devono  essere  collegati  con
laboratori certificati, che  partecipano  a  programmi  di  controllo
della  qualita',  nazionali  ed  internazionali  e  sono  dotati   di
personale con competenza specifica nelle tecniche NGS. 
 
  Le caratteristiche del test raccomandano che  esso  venga  eseguito
presso un numero ristretto di laboratori  a  livello  nazionale;  per
questo   e'   auspicabile   una   pianificazione   ed   un    accordo
interregionale. 
 
  Devono essere predisposte campagne di informazione alla popolazione
e  di  formazione   dei   professionisti,   per   garantire   equita'
nell'accesso al test. 
 
4.b.2 La diagnosi prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal
                             Diagnosis) 
 
  Il  DNA  estratto   dalle   cellule   fetali   acquisite   mediante
amniocentesi o villocentesi, viene di solito  esaminato  per  singoli
geni le cui mutazioni sono causa di malattie mendeliane per le  quali
la coppia e' a rischio. I dati raccolti dalla SIGU hanno stimato  che
il 5-10%  di  tutte  le  indagini  molecolari  effettuate  in  Italia
riguardino la diagnosi  prenatale  di  malattie  mendeliane.  I  test
molecolari nel loro complesso sono  aumentati  negli  anni.  L'ultima
rilevazione, del 2011 ne  aveva  censiti  piu'  di  260.000  (con  un
incremento del 6% rispetto alla  precedente  rilevazione  del  2007).
Queste analisi fanno ovviamente riferimento al gene-malattia indagato
(al momento sono note le  basi  molecolari  di  circa  4500  malattie
mendeliane  per  le  quali  sono  disponibili  specifici  test).   Il
sequenziamento  tradizionale  (secondo  la  metodica  di  Sanger)  e'
attualmente il gold standard per  la  diagnosi  molecolare  prenatale
delle malattie genetiche a difetto molecolare noto. Le tecnologie NGS
hanno rivoluzionato i  protocolli  diagnostici,  rendendo  in  teoria
possibile l'analisi  di  tutte  le  malattie  mendeliane.  Nelle  sue
applicazioni allo studio  del  DNA  fetale,  questa  procedura  viene
definita   amniocentesi   genomica   o   diagnosi    prenatale    con
sequenziamento  di  seconda  generazione  o  NGPD  (Next   Generation
Prenatal Diagnosis),  impropriamente  "super-amniocentesi  ".  Questa
analisi consente di effettuare lo screening di  circa  il  50%  delle
malattie mendeliane (di molte malattie genetiche non e'  ancora  noto
il difetto  molecolare;  inoltre  dallo  screening  sono  escluse  le
malattie estremamente rare e quelle per le quali non  viene  ritenuta
etica la diagnosi prenatale). La NGPD non analizza i polimorfismi  di
suscettibilita' (SNP),  cioe'  le  varianti  che  predispongono  allo
sviluppo delle malattie complesse, e neppure le malattie  ad  esordio
tardivo, ne' le malattie del comportamento ne' quelle psichiatriche. 
 
  Si possono considerare tre principali scenari all'interno dei quali
effettuare   la   diagnosi   prenatale   molecolare,   con   tecniche
tradizionali e/o NGS. 
 
  Il primo, riguarda la diagnosi di una specifica malattia mendeliana
per la quale la gravidanza e' a rischio; il secondo, l'esclusione  di
una   malattia   mendeliana   in   un   feto   affetto   da   difetti
eco-evidenziati, in una gravidanza che non presentava  un  rischio  a
priori aumentato,  in  base  alla  storia  familiare;  il  terzo,  lo
screening  allargato  delle  mutazioni  correlate  a  molte  malattie
mendeliane, in una gravidanza che non presenta a priori uno specifico
aumento del rischio. 
 
  Nel primo caso, e' indispensabile identificare nella famiglia o  in
un probando la mutazione responsabile della malattia per la quale  la
gravidanza e' a rischio.  L'approccio  piu'  efficace  e'  quello  di
definire, prima della gravidanza, il difetto molecolare  responsabile
della malattia. In questo caso,  la  NGS  puo'  eventualmente  essere
utilizzata per ricercare nella famiglia  la  mutazione  patogenetica,
mentre la successiva diagnosi prenatale viene effettuata con un  test
molecolare tradizionale. 
 
  Nel secondo caso, la NGPD puo' intercettare una malattia mendeliana
non sospettata  in  base  alla  storia  familiare,  qualora  il  feto
presenti dei difetti, non interpretabili con le tecniche  strumentali
e di laboratorio tradizionali. Tuttavia, la detection rate in  questi
casi e' molto bassa: in una piccola coorte  di  feti  e  neonati  con
anomalie ecografiche  prenatali  e  cariotipo  normale,  la  NGPD  ha
identificato varianti patogenetiche nel 10% dei  casi.  Sono  inoltre
noti singoli casi di malattie mendeliane sospettate nel  corso  della
gravidanza, poi risolte con la NGS. 
 
  Nel terzo caso, al fine di escludere la presenza  di  una  malattia
mendeliana  nel  feto,  la  NGPD  puo'  trovare  applicazione   nello
screening delle gravidanze senza  rischi  specifici,  utilizzando  le
cellule fetali acquisite con le tecniche invasive routinarie. 
 
  Questo test e' oggi disponibile presso alcune strutture private, ma
presenta una  serie  di  criticita',  ad  esempio,  l'incapacita'  di
individuare tutte le mutazioni presenti nei geni analizzati, cioe' un
limite nella sensibilita' del test, che  dipende  essenzialmente  dal
numero  delle  volte  in  cui  la  stessa  sequenza  di   DNA   viene
decodificata (cosiddetto coverage). Di fatto, non e' chiaro in  quale
misura i geni  in  esame  siano  "coperti  ",  il  che  comporta  una
percentuale non piccola di  risultati  falsi  negativi.  Inoltre,  la
capacita' di questi test di individuare  le  malattie  genetiche  nel
feto e'  di  solito  sovrastimata.  Infatti,  il  test  individua  le
mutazioni presenti in un numero limitato di geni-malattia, di  solito
quelli responsabili delle malattie piu' comuni,  mentre  le  malattie
genetiche a difetto molecolare noto sono ben piu' numerose.  Inoltre,
il test non riconosce alcuni tipi di  errore  presenti  nel  DNA  (ad
esempio le mutazioni da  espansione  del  DNA,  le  inserzioni  e  le
delezioni). A  tutto  cio'  va  aggiunto  che  le  analisi  genomiche
identificano migliaia di variazioni nella  sequenza  del  DNA,  molte
delle  quali   prive   di   significato   patologico   e   molte   di
interpretazione non univoca. Percio', questo test necessita di essere
preceduto e seguito da una complessa consulenza genetica. 
 
  In conclusione, l'uso di questi test non ha al momento  sufficienti
supporti scientifici per giustificarne l'applicazione nella  diagnosi
prenatale. A fronte della strabordante  pubblicita'  ingannevole  del
settore, e' indispensabile che le donne che  intendono  sottoporsi  a
questo  test  ricevano  informazioni  complete  e  veritiere  da   un
genetista medico. 
 
                     Obiettivi e Raccomandazioni 
 
  Da quanto esposto emergono le  seguenti  priorita',  rispetto  alle
quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 6): 
 
    - Promuovere la diffusione della diagnosi prenatale non  invasiva
sul DNA fetale presente nel circolo  materno.  Relativamente  all'uso
del test cfDNA/NIPT per lo screening della trisomia  21,  il  CSS  ha
gia' prodotto la relativa LG. E' tuttavia da  garantire  l'accesso  a
tutta  la  popolazione  target;  pertanto   permane   l'esigenza   di
promuovere/monitorare la diffusione dei Percorsi di presa  in  carico
(PDTA) e la consapevolezza nella popolazione in  tutto  il  personale
sanitario teoricamente coinvolto (Literacy). 
    - Organizzazione di  un  percorso.  Assunto  che  la  linea-guida
riguarda per  definizione  la  dimensione  tecnico-professionale;  le
raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione
di un'organizzazione in grado di accogliere la popolazione target  in
un percorso esplicito, basato  su  'nodi  organizzativi'  chiaramente
definiti e procedure di 'ingaggio' precise ed  esplicite.  Si  tratta
quindi di definire  un  PDTA  che  prenda  in  carico  gli  individui
destinatari dello screening. 
    - Campagne di informazione: Come espresso nel Capitolo  7,  nella
attuale fase di sviluppo dell'uso delle  scienze  omiche,  si  tratta
prioritariamente di sviluppare una vera e propria  literacy  sia  del
personale non specializzato  del  servizio  sanitario  nazionale  sia
della popolazione piuttosto che programmare  direttamente  l'uso  dei
media. Pertanto  le  esigenze  divulgative  ed  informative  sull'uso
appropriato dei test prenatali di carattere genomico vanno perseguite
con le strategie e metodologie previste nel cap 7. 
    - Definire percorsi per diagnosi prenatale genomica (NGPD -  Next
Generation Prenatal  Diagnosis).  La  disponibilita'  di  sufficienti
evidenze scientifiche mette il Sistema  Sanitario  in  condizione  di
inserire tale valutazione in modo sistematico nell'ambito dei servizi
offerti  alla  popolazione  di  riferimento  (secondo  le   modalita'
identificate dalle Linee-guida: v. dopo).  Si  identifica  quindi  un
intervento di  sanita'  pubblica  con  le  seguenti  caratteristiche:
basato su valutazioni  di  efficacia  sperimentale;  organizzato  per
profili di assistenza e quindi non soltanto delegato alla  competenza
/sensibilita'/ iniziativa tecnico-professionale; mirato all'equita' e
quindi   basato   sul   coinvolgimento   attivo   della   popolazione
destinataria;  dotato  di  un  esplicito  sistema  informativo  e  di
valutazione. Il processo  di  trasferimento  delle  nuove  conoscenze
scientifiche nella pratica, impone la sua articolazione nei  seguenti
step: 
    - Produrre line-guida per la definizione di percorsi per diagnosi
prenatale genomica (NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis).  Tale
obiettivo puo' essere conseguito in armonia con il Sistema  nazionale
linee guida (SNLG) che e' impostato per elaborare raccomandazioni  di
comportamento clinico basate sugli studi scientifici piu' aggiornati,
secondo il proprio metodo; e' riconducibile a tale processo anche  la
collaborazione con societa' scientifiche ed esperti  di  settore.  In
tale framework  di  livello  nazionale  potra'  essere  prodotta  una
linea-guida per l'uso appropriato della diagnosi  prenatale  genomica
(NGPD - Next Generation Prenatal Diagnosis). La  successiva  fase  di
implementazione e' riconducibile alle responsabilita' e metodi  della
programmazione e management dei servizi sanitari regionali e richiede
un processo esplicito di recepimento e applicazione. 
    - Organizzazione di  un  percorso.  Assunto  che  la  linea-guida
riguarda per  definizione  la  dimensione  tecnico-professionale;  le
raccomandazioni derivate dalla LG devono portare alla implementazione
di un'organizzazione in grado di accogliere la popolazione target  in
un percorso esplicito, basato  su  'nodi  organizzativi'  chiaramente
definiti e procedure di 'ingaggio' precise ed  esplicite.  Si  tratta
quindi di definire  un  PDTA  che  prenda  in  carico  gli  individui
destinatari dello screening. 
    - Campagne di informazione: Come espresso nel Capitolo  7,  nella
attuale fase di sviluppo dell'uso delle  scienze  omiche,  si  tratta
prioritariamente di sviluppare una vera e propria  literacy  sia  del
personale non specializzato  del  servizio  sanitario  nazionale  sia
della popolazione piuttosto che programmare  direttamente  l'uso  dei
media. Pertanto  le  esigenze  divulgative  ed  informative  sull'uso
appropriato dei test prenatali di carattere genomico vanno perseguite
con le strategie e metodologie previste nel cap 7. 
 
  Tabella 6. Interventi identificabili 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
            4.c Screening neonatale ed approcci genomici 
 
    - Introduzione. Lo screening neonatale ha lo scopo di individuare
i neonati affetti da malattie congenite genetiche del metabolismo  ed
avviare il piu' precocemente possibile un  trattamento  in  grado  di
impedire lo sviluppo e la progressione della malattia. In Italia  dal
1999 tutti i  neonati  sono  sottoposti  a  screening  neonatale  per
ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica, fenilchetonuria.  Ulteriori
malattie oggetto di  screening  introdotte  successivamente  sono  il
deficit  di  biotinidasi,  la  galattosemia,  l'iperplasia  surrenale
congenita. Alcune Regioni hanno promosso uno  screening  allargato  a
piu' di 40 malattie metaboliche,  indicazione  recepita  anche  dalle
recenti proposte dei LEA. 
  Attualmente   la   "Spettrometria   di   massa   tandem"    (MS/MS)
spettrometria di massa e' la  tecnica  utilizzata  per  l'analisi  di
screening  delle  malattie  metaboliche  ereditarie  e  si  basa  sul
dosaggio   dell'attivita'   enzimatica   e/o   l'identificazione   di
metaboliti su  spot  di  sangue  essiccato.  Come  tutti  i  test  di
screening, l'analisi biochimica ha un elevata sensibilita' che riduce
al minimo i "falsi negativi", a  scapito  di  una  specificita'  piu'
bassa con un numero relativamente elevato di "falsi positivi". 
  L'analisi  genetica  nello  screening  neonatale  e'   al   momento
considerata un  esame  di  II  livello,  riservato  a  quei  campioni
risultati positivi al test biochimico (I livello), al fine di ridurre
il numero di "falsi positivi". Il  suo  ruolo  e'  determinato  dalle
caratteristiche intrinseche delle  tecnologie  utilizzate,  quali  la
quantita'  di  DNA  necessaria,  il  costo  elevato,   i   tempi   di
refertazione e i limiti tecnici di analisi. 
    - Introduzione di approcci genomici nello Screening neonatale. Le
tecnologie NGS consentono di rivalutare l'uso  dell'analisi  genetica
nell'ambito dello screening neonatale,  come  potenziale  test  di  I
livello in sostituzione dell'analisi biochimica. I  vantaggi  che  ne
deriverebbero comprendono la possibilita'  di  aumentare  lo  spettro
delle mutazioni indagabile e l'estensione dell'analisi anche ai  geni
responsabili di patologie non metaboliche, comunque trattabili. 
  Alcuni aspetti renderebbero pero' problematico l'uso delle tecniche
NGS  nello  screening  neonatale.  Tra   essi,   i   limiti   tecnici
dell'analisi (coverage, riproducibilita', quantita' di DNA necessaria
e tipo di campione), l'interpretazione delle varianti di  significato
incerto e la loro rivalutazione a distanza di tempo, la  refertazione
di dati non propriamente relativi a malattie metaboliche  soggette  a
screening  (ad  es  quelli  relativi  alle  malattie  ad   insorgenza
nell'eta' adulta, la suscettibilita' allo sviluppo  di  neoplasie,  i
dati di farmacogenetica, ecc). 
  Per tentare di valutare l'efficacia  e  la  riproducibilita'  delle
tecniche NGS nello screening neonatale, sono  stati  condotti  alcuni
studi,che hanno utilizzato piccole quantita' di DNA estratto da  spot
di  sangue  essiccato  su  cartine  di  Guthrie   mediante   targeted
resequencing, whole genome sequencing (WGS) e whole exome  sequencing
(WES), con risultati pressoche' sovrapponibili a dimostrazione di una
elevata concordanza e riproducibilita' dei risultati. 
  Altri studi hanno effettuato in parallelo  lo  screening  neonatale
biochimico e l'analisi con tecniche NGS per confrontarne i risultati.
In uno studio di Bodian et al. sono stati analizzati  i  campioni  di
1696 neonati di diversa origine geografica, sia sani  che  affetti  o
prematuri, ed e' stata ottenuta una buona concordanza tra i risultati
biochimici e quelli genetici in 1183 campioni, con una discordanza in
513 casi, comprendenti tra l'altro varianti  di  significato  incerto
(80%), falsi positivi all'analisi biochimica  (16%),  falsi  positivi
all'analisi genetica (3%), falsi negativi all'analisi genomica (1%). 
    - Aspetti etici e legali. Lo screening neonatale biochimico viene
attualmente  eseguito  senza  richiesta  del  consenso  dei  genitori
nell'ambito  degli  screening  obbligatori.  L'introduzione  dell'NGS
nello screening neonatale comporterebbe l'acquisizione  del  consenso
dopo aver adeguatamente informato le famiglie  riguardo  al  tipo  di
analisi, ai possibili risultati, soprattutto per l'analisi di  genoma
o esoma. I genitori avrebbero la possibilita' di  scegliere  se  fare
sottoporre i propri figli al test, con la conseguenza che non tutti i
neonati  potrebbero  essere  sottoposti  a  screening.   I   genitori
dovrebbero inoltre decidere se ricevere  i  risultati  relativi  alle
patologie metaboliche dello screening e sugli  eventuali  "incidental
findings" riguardanti malattie  ad  insorgenza  in  eta'  adulta.  Su
questo punto le attuali linee guida sconsigliano l'analisi di  WGS  e
WES   in   soggetti   sani,   soprattutto   in   minorenni:    questa
raccomandazione si basa  sulla  tutela  del  diritto  di  scelta  del
singolo  individuo  di  essere  informato  riguardo  ai  propri  dati
genetici e il consenso puo' essere espresso  solo  al  raggiungimento
della  maggiore  eta'  in  caso  di  dati  relativi  a  patologie  di
"rilevanza non immediata". 
    - La propensione dei genitori. Alcuni studi si sono  proposti  di
indagare l'interesse dei genitori in relazione alla  possibilita'  di
sottoporre i propri figli al sequenziamento del genoma.  Waisbren  et
al. hanno sottoposto un questionario a 663 genitori, subito  dopo  la
nascita del loro figlio e qualche mese dopo. Dai risultati e'  emerso
che la scelta dei genitori e' influenzata in parte dallo  stress  del
periodo  neonatale,  e  ci  sono  stati  piu'   genitori   favorevoli
all'analisi WGS tra i casi  in  cui  lo  screening  biochimico  aveva
fornito un risultato patologico. Questi dati sono stati confermati da
un altro studio di Frankel et al., in cui e'  stato  anche  osservato
che il riscontro di mutazioni o varianti comporta un senso  di  colpa
nei genitori tale da incrementare lo stress  e  l'ansia  del  periodo
neonatale. Secondo Waisbren et al, la proposta dell'analisi WGS  dopo
qualche mese dal parto ha avuto meno consensi rispetto alla  proposta
alla nascita, per cui e' stato concluso che le tempistiche  del  test
influenzano il parere delle famiglie, probabilmente in relazione allo
stress  del  periodo  neonatale.  Joseph  e  al.  hanno  proposto  di
estendere l'analisi WGS ai genitori di  bambini  affetti  da  deficit
immunitario congenito, dopo l'acquisizione del consenso informato  ed
un colloquio con le famiglie. Nonostante la  differenza  dei  livelli
culturali e socioeconomici,  tutti  i  genitori  erano  favorevoli  a
ricevere  i  risultati  dell'analisi  WGS  relativi  allo   screening
neonatale, ma non tutti concordavano sulle  informazioni  riguardanti
le  malattie  a  esordio  nella   vita   adulta   e   sui   dati   di
farmacogenetica. 
 
                     Obiettivi e Raccomandazioni 
 
  Da quanto esposto emergono le  seguenti  priorita',  rispetto  alle
quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 7): 
 
    -  Definire  i  percorsi  di   presa   in   carico.   Considerata
l'evoluzione della conoscenza scientifica e del  quadro  legislativo,
emerge la priorita' di  garantire  l'organizzazione  della  presa  in
carico per assicurare qualita' ed equita' di accesso. 
 
                          Raccomandazioni. 
 
  Finora  e'  stata  dimostrata  l'efficacia  e  la  riproducibilita'
dell'analisi NGS, anche  su  campioni  utilizzati  di  routine  nello
screening  neonatale,  caratteristiche  tecniche  che  consentono  la
potenziale introduzione di approcci genomici  come  indagini  per  lo
screening neonatale. Tuttavia, l'interpretazione  delle  varianti  di
significato incerto e le tempistiche di refertazione delle analisi di
migliaia di campioni, lo stoccaggio dei numerosi dati,  rendono  poco
realistico al momento il loro impiego come analisi di I livello. 
 
  Pertanto attualmente si raccomanda  che  tecniche  di  analisi  NGS
siano  eseguite  solo  in  seconda  istanza,   successivamente   allo
screening  biochimico  positivo,  per  ridurre  il  numero  di  falsi
positivi, risolvere diagnosi dubbie, distinguere mutazioni  causative
di condizioni non identificabili con lo screening biochimico. 
 
  A questo proposito la Societa'  Europea  di  Genetica  Umana  (ESHG
https://www.eshg.org/home.0.html) consiglia di  ricorrere  al  target
sequencing  in  ambito  di  screening  neonatale,   per   focalizzare
l'analisi solo alle condizioni genetiche di patologie metaboliche per
le quali e' possibile un trattamento efficace. 
 
  Infine,  l'introduzione  dell'analisi  genetica   nello   screening
implica una riflessione su alcune tematiche,  principalmente  etiche,
sulla possibilita' di sottoporre un neonato apparentemente sano,  che
non ha manifestato ancora sintomi o segni  di  alcuna  patologia,  ad
analisi  WGS  e  WES,   con   conseguente   consenso   dei   genitori
all'informazione dei dati genetici. 
 
                Tabella 7. Interventi identificabili 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
                        4.d Test post-natali 
 
                      4.d.1 Malattie Mendeliane 
 
  La possibilita' di analizzare l'intera sequenza del genoma  con  le
nuove tecniche di sequenziamento di seconda  generazione  ha  trovato
un'estesa   applicazione   nel   riconoscimento    delle    mutazioni
responsabili  di  malattie  ereditarie.   L'approccio   genomico   ha
rivoluzionato lo studio di queste malattie, supera  spesso  l'analisi
del singolo gene (o di una sua  porzione)  considerato  responsabile,
quando mutato, della  malattia,  ma  utilizza  l'analisi  dell'intera
sequenza del DNA genomico, o della porzione codificante (esoma), o di
un pannello allargato di geni potenzialmente coinvolti nella malattia
(targeting resequencing). Il capitolo 3a ha gia' discusso l'approccio
genomico nella diagnosi delle malattie Mendeliane. In questa  sezione
del  documento  vengono  sviluppati  alcuni  concetti  in   relazione
all'impiego dell'indagine genomica nella  prevenzione  personalizzata
di queste malattie. 
 
                           I test genetici 
 
  La ricerca genetica applicata all'uomo ha prodotto negli ultimi  30
anni un risultato traslazionale principale, ovvero  il  trasferimento
delle conoscenze nella pratica clinica,  con  lo  sviluppo  dei  test
genetici. Secondo  una  definizione  accreditata,  "i  test  genetici
consistono nell'analisi di un gene, del  suo  prodotto  o  della  sua
funzione, dei cromosomi o di altro DNA, per identificare o  escludere
una modificazione che  puo'  associarsi  ad  una  malattia  genetica"
(Harper, 1997). 
 
  Tuttavia, dato che i test genetici non  analizzano  necessariamente
solo le condizioni patologiche, l'autorevole Human Genetic Commission
britannica (2009) ha ridefinito i test genetici indicandoli come  "le
analisi rivolte ad individuare la presenza, l'assenza o la  mutazione
di un particolare gene, di un cromosoma, di un prodotto di un gene  o
di un metabolita, che sono indicative di una specifica  modificazione
genetica". 
 
  Questa  definizione  viene   correntemente   utilizzata   come   il
contenitore di alcune indagini di largo impatto, soprattutto, ma  non
esclusivamente, nella professione medica. Esse  comprendono,  secondo
la modalita' ricercata: i test diagnostici, i test presintomatici,  i
test per l'identificazione dei portatori  sani,  i  test  di  farmaco
genetica,  i  test  predittivi   o   di   suscettibilita',   i   test
comportamentali e di orientamento sugli stili  di  vita,  i  test  di
nutri genetica, i test  fenotipici,  i  test  rivolti  a  definire  i
rapporti di parentela, i test ancestrali, i  test  di  compatibilita'
genetica. 
 
  I test diagnostici si applicano alle  persone  affette  da  qualche
patologia, spesso trasmessa con il modello dell'eredita'  semplice  o
mendeliana (ad es. distrofia muscolare di Duchenne, da mutazione  del
gene DMD), oppure a dismorfismi causati da una patologia  cromosomica
(ad es. sindrome di Down da trisomia 21) o genomica (ad es.  sindrome
di Williams, da microdelezione 7q11.23),  e  vengono  utilizzati  per
confermare un sospetto clinico  o  per  aiutare  il  clinico  in  una
diagnosi,  per  sottoclassificare   una   malattia,   per   stabilire
correlazioni genotipo-fenotipo (cioe' tra la costituzione genetica  e
l'insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali), e percio'
definire  la  storia  naturale  della  malattia.  In  generale,   per
migliorare la consulenza genetica e, occasionalmente,  per  orientare
la terapia. 
 
  I test presintomatici si eseguono sulle persone  non  affette,  che
appartengono alle famiglie  nelle  quali  una  malattia,  ad  esordio
tardivo, si trasmette in maniera autosomica dominante (ad  es.  corea
di   Huntington,    rene    policistico    tipo    adulto,    atassie
spino-cerebellari, distrofia miotonica, ecc.).  L'identificazione  di
una mutazione nel gene-malattia stabilisce  che  quella  persona,  se
vivra' sufficientemente a lungo, sviluppera' la malattia. 
 
  I test per  l'identificazione  dei  portatori  sani  riguardano  in
teoria tutta la popolazione, in quanto, per definizione, ogni persona
e' eterozigote (portatore sano) per un piccolo numero di geni che, se
mutati, possono causare delle malattie e che possono essere trasmessi
da una  generazione  all'altra.  Nel  caso  di  pazienti  affetti  da
malattie recessive  (sia  autosomiche  sia  legate  all'X),  il  test
genetico e' indicato  per  i  familiari  in  eta'  riproduttiva,  per
definire il  rischio  di  ricorrenza  collegato  alla  condizione  di
portatore  sano.  Nel  caso  specifico  delle  malattie   autosomiche
recessive, puo' essere  orientativamente  indicata  la  frequenza  di
1:10.000  nella  popolazione  degli   omozigoti   affetti   da   tale
condizione, per indicare  la  soglia,  al  di  sotto  della  quale  i
familiari potenzialmente a rischio  di  essere  portatori  dovrebbero
essere testati. Di fatto, per una  frequenza  di  1:10.000  omozigoti
affetti e' attesa una frequenza di eterozigoti  di  1:50.  In  questo
caso un fratello/sorella di un affetto  ha  2/3  di  probabilita'  di
essere eterozigote e, considerata la frequenza  di  1:50  eterozigoti
attesa nella  popolazione,  il  loro  rischio  riproduttivo  sale  da
1:10.000 (frequenza di quella malattia nella popolazione) a 1:300. 
 
  I test di farmacogenetica  predicono  la  risposta  individuale  ai
farmaci, in termini di efficacia e  di  rischio  relativo  di  eventi
avversi (ad es. il gene della tiopurina metiltransferasi definisce la
risposta alla 6-mercaptopurina, un farmaco utilizzato nel trattamento
delle leucemie). 
 
  I test predittivi o di suscettibilita' valutano, nella persona  che
si sottopone al test, la presenza di una  suscettibilita'  o  di  una
resistenza  nei  confronti  di  una  malattia  complessa   e   comune
(cosiddette "malattie multifattoriali" che originano dall'interazione
tra i geni e l'ambiente), diversa da quella media  della  popolazione
(ad es. suscettibilita' alla  celiachia,  al  diabete  tipo  2;  alla
malattia di Crohn). 
 
  I test comportamentali  e  di  orientamento  sugli  stili  di  vita
forniscono informazioni sulle tendenze  comportamentali  individuali,
sulle  capacita'  fisiche  e  cognitive,  sulla  risposta   a   certe
condizioni ambientali.  Hanno  lo  scopo  di  aiutare  la  persona  a
modificarne  le   conseguenze   potenzialmente   negative   di   tali
comportamenti,  attraverso  cambiamenti  elettivi  (ad  es.   analisi
dell'HLA  per  definire  la  sensibilita'  al  berillio,  un  metallo
utilizzato in vari tipi di lavorazione industriale). 
 
  I test di nutrigenetica forniscono informazioni sulle modalita' con
le quali una persona metabolizza i cibi (ad es.  geni  coinvolti  nel
metabolismo dei lipidi, degli acidi  grassi,  degli  zuccheri,  degli
aminoacidi). 
 
  I test  fenotipici  identificano  le  modalita'  con  le  quali  il
genotipo condiziona  il  fenotipo  (ad  es.  correlazione  tra  certe
mutazioni alleliche del gene LAMNA/C e quadri clinici nosologicamente
distinti). 
 
  I test per la definizione dei rapporti di parentela definiscono  la
percentuale di geni condivisi dalle persone potenzialmente  correlate
a livello genetico (ad es. paternita' e maternita' biologica). 
 
  I test ancestrali  stabiliscono  i  rapporti  di  una  persona  nei
confronti di un antenato o di una determinata  popolazione  e  quanto
del suo genoma sia stato ereditato dagli antenati appartenenti ad una
particolare area geografica o gruppo etnico. 
 
  I test di identificazione genetica determinano la probabilita'  con
la quale un campione o una traccia di DNA recuperato da un oggetto  o
da altro materiale appartenga ad una determinata persona. 
 
  L'approccio finora utilizzato prevede l'analisi di singoli sequenze
di DNA, in relazione al problema che si intende indagare. E' evidente
che con uno studio  genomico  si  raccolgono  tutte  le  informazioni
relative al genotipo di una persona, che di fatto  comprendono  tutte
le tipologie dei test genetici sopra  riportati.  Percio'  in  teoria
fornisce  informazioni  sulle  mutazioni  responsabili  di   malattie
mendeliane, permette  di  riconoscere  i  genimalattia  per  i  quali
l'individuo e' portatore sano, fornisce informazioni  sulle  reazioni
ai  farmaci,  sulle  abitudini  alimentari,  sui  tratti  somatici  e
comportamentali, sulle malattie complesse per le quali e' a rischio o
nei confronti delle quali e' protetto, e puo' predire  le  condizioni
di rischio  nei  confronti  di  malattie  monogeniche  ad  insorgenza
nell'eta'  adulta  e/o  a  penetranza  incompleta.  Ad  esempio,   la
mutazione del gene BRCA1 ha una probabilita' di circa il 70 ed il 40%
rispettivamente di esprimersi  come  tumore  della  mammella  o  come
carcinoma dell'ovaio nell'arco della vita di una  donna  eterozigote.
Questa caratteristica fa assimilare questo test  alla  categoria  dei
predittivi, in quanto e' in grado di identificare una suscettibilita'
diversa da quella media  della  popolazione.  Tuttavia  si  tende  ad
utilizzare  la  definizione  di  predittivo  solo  per  i  test   che
identificano la componente genetica delle  malattie  multifattoriali,
quelle dovute all'interazione tra l'effetto additivo di piu'  geni  e
l'ambiente. Analogamente, i test comportamentali  e  di  orientamento
sugli stili di vita e i test di nutrigenetica sono,  di  fatto,  test
predittivi o di suscettibilita' (in quanto si applicano  a  caratteri
complessi), mentre quelli fenotipici possono essere considerati  test
diagnostici (in quanto si applicano a caratteri semplici). 
 
  Il sequenziamento del  genoma  umano  e  l'impressionante  sviluppo
tecnologico, consentono dunque di analizzare  in  tempi  rapidi  e  a
costi relativamente contenuti l'intero genoma, promettono di  rendere
disponibile su larga scala la decodificazione  del  profilo  genomico
individuale   e,   in   teoria,   di   identificare   le   variazioni
costituzionali che  ci  rendono  suscettibili  alle  malattie  e  che
influenzano i nostri stili di vita. 
 
I test di suscettibilita' e predittivi nel mercato della  salute:  la
                    categoria dei "non-pazienti" 
 
  Il  bioeticista  George  Annas  (2000)  aveva  immaginato  che   la
decodificazione del genoma umano avrebbe identificato nella  molecola
del DNA una sorta di cartella clinica. Aveva  anche  anticipato  che,
prima  di  raggiungere  quell'obiettivo,  sarebbe  stato   necessario
rispondere ad alcune domande  fondamentali,  fra  le  quali:  chi  e'
autorizzato a creare il 'CD' che  contiene  l'informazione  genetica?
Chi lo conserva? Chi ne controlla  l'uso?  In  che  maniera  il  'CD'
potrebbe essere trattato come  un'informazione  medica  sensibile?  A
distanza di oltre  tre  lustri  da  quella  previsione,  lo  scenario
anticipato  sembra  a  portata  di  mano.  Non  solo  l'obiettivo  di
abbattere i costi del sequenziamento del genoma umano  e  percio'  di
renderlo disponibile e' stato raggiunto ma, soprattutto, le  tecniche
in grado di processare su  larga  scala  i  campioni  biologici  sono
disponibili presso molti laboratori e i  cittadini  sono  oggetto  di
crescenti pressioni da parte del mercato della salute, che  enfatizza
le presunte potenzialita' predittive e preventive di queste analisi. 
 
  Il sequenziamento del genoma di  alcune  persone  celebri,  come  i
genetisti James Watson (uno degli scopritori della doppia  elica  del
DNA) e Craig Venter (uno dei due coordinatori dei progetti che  hanno
sequenziato il genoma umano), ha dato il via all'era della  "medicina
personalizzata  "  e  ha   creato   nell'opinione   pubblica   enormi
aspettative. Una piccola frazione della sequenza  di  Watson  non  e'
stata resa pubblica, mentre quella  di  Venter  e'  stata  pubblicata
nella sua interezza, per quanto riguarda i  suoi  23.224  geni  e  le
regioni variabili, compresi alcuni polimorfismi che  lo  renderebbero
potenzialmente    suscettibile    al    comportamento    antisociale,
all'alcolismo, alla  coronaropatia,  all'ipertensione,  all'obesita',
all'insulino-resistenza,   all'ipertrofia   del    cuore    sinistro,
all'infarto acuto del miocardio, al deficit di  lipasi  lipoproteica,
all'ipertrigliceridemia, all'ictus, alla malattia di Alzheimer. 
 
  Craig  Venter  non  e'   tuttavia   una   persona   particolarmente
sfortunata. La  sua  sequenza  genomica  esemplifica,  di  fatto,  il
"genoma imperfetto " condiviso da ogni persona, per la  sola  ragione
di appartenere alla specie umana. E' infatti noto che  ogni  persona,
presa a caso, e' eterozigote per un numero significativo di mutazioni
(il 44% dei geni di Venter era eterozigote per una o piu'  varianti).
Un piccolo numero di queste mutazioni riguarda i geni responsabili di
malattie rare (per lo piu' trasmesse in maniera  mendeliana),  mentre
alcune migliaia di varianti interessano geni correlati alle  malattie
complesse, sul cui fenotipo agiscono con un piccolo effetto additivo,
che si somma alla componente ambientale (eredita' multifattoriale). 
 
  Il concetto di eredita' multifattoriale  e'  anche  suffragato  dal
sequenziamento del primo uomo di provenienza Asiatica, nel  quale  e'
stata dimostrata la presenza di oltre il 56%  dei  polimorfismi  noti
che conferiscono suscettibilita' alla malattia di Alzheimer, del  15%
di quelli per il diabete, del 10% di quelli per  l'ipertensione,  del
9% di quelli per la malattia di Parkinson e del 63% di  quelli  della
dipendenza dal tabacco. 
 
  Lo scenario evidenziato dal sequenziamento di questi primi genomi e
confermato dal sequenziamento successivo di centinaia di migliaia  di
genomi e il potenziale impatto della "predizione genetica  ",  basata
sul sequenziamento del genoma delle persone, sulla  concezione  della
salute era stato delineato una decina di anni prima da Jonsen et  al.
(1996), che avevano anticipato  l'incombente  presenza,  sulla  scena
della medicina, dei "non-pazienti ". Gia' allora era  apparso  chiaro
che l'imminente possibilita' di analizzare  la  suscettibilita'  alle
malattie comuni avrebbe avvicinato al mondo della medicina milioni di
persone  asintomatiche.  Secondo  gli   autori   dell'articolo,   gli
unpatients  sono  una  nuova  classe  di  persone  all'interno  della
medicina: non sono "pazienti"  nel  senso  classico,  in  quanto  non
presentano sintomi;  sono  persone  che  condividono  predisposizioni
genetiche, che potrebbero vivere nell'attesa dell'ipotetica  comparsa
di qualche segno di malattia, organizzano la loro  vita  in  funzione
delle visite mediche o delle analisi di  laboratorio,  finiscono  per
sentirsi ammalati o addirittura sviluppano sintomi psicosomatici. 
 
  Senza negare l'importanza del profilo genomico e le  sue  capacita'
di condizionare in prospettiva la qualita' della vita,  non  si  puo'
non ripetere  che  il  nostro  stato  di  salute/malattia  non  viene
definito solo dal DNA ma anche dalla sua interazione con  l'ambiente.
E' esemplificativo il caso dei gemelli identici (monozigoti) che, pur
condividendo lo stesso DNA, nel corso della vita amplificano le  loro
divergenze  fenotipiche,  in  quanto  la  complessa  regolazione  del
genoma, che e' fortemente condizionata dall'ambiente, crea, di fatto,
differenze a livello della funzione dei rispettivi genomi. 
 
  Proprio sulla  base  di  queste  considerazioni,  l'epigenetica  ha
assunto negli ultimi anni un crescente sviluppo,  avendo  l'obiettivo
di analizzare gli aspetti funzionali del  genoma,  in  particolare  i
processi biochimici che non modificano la sequenza del  DNA,  ma  che
possano modificare il fenotipo attraverso modificazioni funzionali. 
 
                Il Catalogo delle Malattie Mendeliane 
 
  Il numero complessivo dei fenotipi con accertata  o  sospetta  base
mendeliana superava gli 8000 nel mese di  novembre  del  2016.  Erano
note  le  basi  genetiche  di  circa  i   2/3   dei   tali   fenotipi
(http://www.omim.org/statistics/entry). Questo gap conoscitivo potra'
essere  colmata  dalle  tecniche   di   sequenziamento   di   seconda
generazione. In parallelo  sta  aumentando  il  numero  dei  fenotipi
nosologicamente distinti, come conseguenza  del  miglioramento  delle
capacita' di  caratterizzare  i  fenotipi,  alla  condivisione  delle
terminologie cliniche e delle infrastrutture sulle quali  mettere  in
comune le casistiche  delle  malattie  rare  (Centers  for  Mendelian
Genomics supportati da NHGRI e NHLBI negli USA, FORGE Canada, e WTDDD
nel Regno Unito). L'aumento del numero dei fenotipi non  e'  peraltro
inatteso, se si considera che il genoma umano contiene  oltre  20.000
geni codificanti proteine, la maggior parte dei quali si e' altamente
conservata  nell'evoluzione.  E'  percio'  verosimile  che  anche  la
maggior parte delle mutazioni in questi geni  comportino  conseguenze
fenotipiche. Si deve inoltre considerare che le alleliche  (mutazioni
diverse dello stesso gene) possono associarsi a fenotipi diversi. 
 
  La maggior parte delle malattie sono al momento riconducibili  alla
parte codificante del genoma, ma sta emergendo un nuovo paradigma. Un
gene e' un tratto di DNA che viene trascritto,  anche  se  non  viene
tradotto;  e'  probabile  che  quest'altro  catalogo  di  geni   (non
codificanti ma utilizzati comunque dal nostro organismo) siano almeno
numerosi  quanto  quelli  codificanti.  Stanno  di  fatto   emergendo
malattie monogeniche dovute a mutazioni di sequenze  non  codificanti
per proteine, ma che codificano per RNA.  Il  catalogo  dei  geni  e'
quindi destinato ad aumentare, cosi' come il catalogo delle  malattie
dovute a mutazioni di sequenze del DNA. 
 
              La prevenzione delle malattie mendeliane 
 
  I risultati della ricerca e le crescenti potenzialita' diagnostiche
conseguenti all'introduzione nella pratica clinica delle tecniche  di
sequenziamento di seconda generazione hanno avuto ripercussioni anche
sul fronte della prevenzione delle patologie  mendeliane  ad  esordio
nella vita post-natale (ad esempio  diverse  patologie  neoplastiche,
miocardiopatie e cardiopatie aritmogene, diabete mellito tipo  MODY).
La maggior parte di queste condizioni  mostra  un  elevato  grado  di
eterogeneita' genetica e pertanto l'approccio NGS e'  particolarmente
indicato nella individuazione  delle  varianti  genetiche  causative.
Queste  tecniche,  in  particolare  l'analisi  di  pannelli  di  geni
candidati  mediante  targeted  resequencing,  vengono   sempre   piu'
utilizzate nella prevenzione oncologica  e  cardiologica.  In  questo
modo  e'  stato  possibile  ottenere  un  miglioramento  della   resa
diagnostica,   con   l'identificazione   mediante   WES   di    nuovi
geni-malattia, anche se sono aumentati contestualmente i risultati di
difficile interpretazione, in particolare i  cosiddetti  VOUS  e  gli
incidental findings. 
 
  Trattandosi di condizioni  non  frequenti  (nel  caso  di  malattie
comuni, come i tumori, le forme  su  base  mendeliana,  rappresentano
circa il 5-10%  del  totale  dei  casi),  l'approccio  standard  alla
prevenzione delle malattie mendeliane in  epoca  post-natale  prevede
l'individuazione  dei  soggetti  a   rischio   attraverso   l'analisi
dell'albero genealogico ed il fenotipo clinico (ad  es.  aggregazione
familiare  di  specifiche  patologie,  insorgenza  in  eta'   precoce
rispetto  alla  media   della   popolazione   generale,   e/o   altre
caratteristiche cliniche specifiche). Un  risultato  negativo  di  un
test  di  predisposizione,  eseguito  con  metodiche  tradizionali  o
analizzando un  pannello  di  geni,  non  consente  di  escludere  la
presenza di una variante genetica causativa non rilevata;  cio'  puo'
essere dovuto al fatto che non sono stati  analizzati  tutti  i  geni
noti  gia'  correlati  con  il  fenotipo  di  interesse,  oppure   al
coinvolgimento di altri meccanismi genetici non  ancora  individuati.
Inoltre, e' noto che  l'approccio  clinico  basato  sull'analisi  del
fenotipo e sull'impiego dei test convenzionali  comporta  ritardi  ed
errori diagnostici, anche di fronte a patologie per le quali  i  test
sono ampiamente disponibili e validati, come la fibrosi cistica e  la
sindrome dell'X fragile. Un approccio su scala piu' larga (WES o WGS)
dovrebbe quindi consentire di ridurre  il  numero  di  risultati  non
informativi. In effetti, gli approcci genomici  hanno  consentito  di
individuare  nuovi  geni   responsabili   di   patologie   mendeliane
potenzialmente prevenibili  mediante  implementazione  di  specifiche
misure cliniche. 
 
                Il sequenziamento genomico preventivo 
 
  Il miglioramento delle conoscenze sulle basi genomiche  di  diverse
patologie, insieme alla  riduzione  dei  costi  delle  tecnologie  di
sequenziamento di seconda generazione, ha dato origine al concetto di
sequenziamento genomico preventivo  (Preventive  Genomic  Sequencing;
PGS), un termine con il quale si indica l'obiettivo di identificare i
portatori   silenti   di   varianti   che   determinano    un'elevata
predisposizione allo sviluppo di malattie mendeliane, in  particolare
quelle per le quali sono disponibili approcci preventivi validati.  A
differenza dei programmi di screening genetico tradizionali,  il  PGS
non sarebbe quindi limitato  alle  persone/famiglie  riconosciute  ad
alto rischio,  ma  sarebbe  applicabile  all'intera  popolazione  per
individuare casi  latenti  o  non  ancora  individuati  di  patologie
genetiche. 
 
  La   possibile   implementazione   del   PGS    comporta    diverse
problematiche, di natura  etica,  legale  e  clinica.  Limitandosi  a
considerare   quest'ultimo   aspetto,   il   problema   centrale   e'
rappresentato dalla scelta delle patologie che si vorrebbero testare.
In ambito diagnostico e di ricerca e' stato gia' proposto di limitare
la comunicazione dei risultati incidentali  alle  varianti  genetiche
responsabili di patologie per le quali siano  disponibili  interventi
clinici di provata  efficacia  (medically  actionable  genes;  MAGs),
lasciando ai pazienti la  scelta  se  essere  informati  e,  in  caso
affermativo, in maniera completa o  parziale,  dei  risultati  emersi
dall'indagine. 
 
  Al momento e' stato proposto che gli eventuali  programmi  di  PGS,
essendo di natura pilota, siano  focalizzati  sui  MAGs.  Un  aspetto
importante  da  chiarire  riguarda  il  grado  di   informazioni   da
comunicare preliminarmente alle persone che richiedono il test  e  la
possibilita' di decidere se ricevere o meno i  risultati  inerenti  a
specifici geni o malattie. Se la finalita' del PGS fosse la riduzione
della frequenza globale delle patologie causate  dalle  varianti  nei
geni indagati, il programma dovrebbe  essere  applicato  a  tutta  la
popolazione. Ammesso che tutti i soggetti potenzialmente  interessati
potessero accedere al test, l'impatto, in termini di salute pubblica,
non sarebbe tuttavia molto significativo. Si stima infatti  un  tasso
di risultati  positivi  dello  0,5-1%.  Per  alcune  patologie,  cio'
comporterebbe  la   possibilita'   di   implementare   programmi   di
prevenzione,  ma  l'incidenza  globale  della  malattia  non  sarebbe
sostanzialmente ridotta. Ad esempio, i geni  BRCA1  e  BRCA2  causano
circa il 5- 10% dei tumori del seno e il 15% dei carcinomi ovarici, e
i geni del mismatch repair, associati alla sindrome  di  Lynch,  sono
implicati nell'1-3% dei carcinomi colorettali  e  nell'1%  circa  dei
carcinomi dell'endometrio. La maggior  parte  di  questi  tumori  non
sarebbe quindi prevenibile attraverso l'implementazione di  programmi
PGS, e il beneficio, a livello della  popolazione  generale,  sarebbe
limitato. Inoltre, il rischio conferito da una variante  patogenetica
riscontrata in un soggetto che non ha storia  familiare  o  personale
della malattia alla quale la variante e'  associata  potrebbe  essere
sostanzialmente diverso da quello che ha una persona affetta e/o  con
storia familiare positiva per la malattia, a causa dell'intervento di
fattori  modificatori  ancora  largamente  sconosciuti.  I   database
genetici contenenti i risultati  delle  analisi  WES  effettuate  con
finalita'   di   ricerca   (ExAC,   Exome   Aggregation   Consortium;
http://exac.broadinstitute.org/)  hanno   messo   in   evidenza   una
frequenza relativamente elevata di  varianti  associate  a  patologie
mendeliane  considerate  patogenetiche,  sollevando  dubbi  sul  loro
effettivo significato clinico. 
 
  In conclusione, i test  genomici  post-natali  per  la  prevenzione
delle malattie mendeliane trovano oggi indicazione per  l'analisi  di
pannelli di geni mediante targeted  resequencing  o  in  silico  dopo
sequenziamento dell'intero esoma. Puo' essere preso in considerazione
l'esoma quando la causa genetica di un fenotipo  con  caratteristiche
che suggeriscono una base mendeliana non  e'  stata  identificata  in
base   all'analisi   dei   geni   candidati   noti.    L'offerta    e
l'implementazione di  programmi  di  PGS  richiede  invece  ulteriori
discussioni ed eventuali  studi  pilota  per  verificarne  l'utilita'
clinica e chiarirne le problematiche etiche connesse. 
 
  A  titolo  di  esempio,  negli  approfondimenti   viene   riportato
l'approccio genomico alla prevenzione delle malattie  cardiovascolari
mendeliane (v. Capitolo 8 d). 
 
           4 d.2 Test post-natali per malattie complesse. 
 
                      4.d 2.i Concetti generali 
 
  Le  analisi  genome-wide  hanno  avuto  un  grande  impatto   nella
comprensione  delle   differenze   e   percio'   della   variabilita'
interindividuale  e  hanno  permesso  di  mappare  un   migliaio   di
loci-malattia associabili a fenotipi di suscettibilita' alle malattie
piu'  comuni  nell'uomo.  La   suscettibilita'   a   sviluppare   una
determinata  malattia  e'  dovuta  alla  componente  genetica   della
malattia,  ovvero  la  sua  "ereditabilita'  "   riconducibile   alle
caratteristiche  del   genoma   individuale,   distinguendola   dalla
componente   ambientale,   intesa   come   alimentazione,    farmaci,
microbioma, stili di vita, (esposoma). 
 
  L'analisi genetica della suscettibilita' alle malattie complesse ha
permesso di indagare per la prima volta i meccanismi biologici  della
variabilita' interindividuale, nonche' dell'ereditabilita'. E'  stato
cosi' scoperto che le persone differiscono tra loro in media da 4,1 a
5 milioni di varianti di singolo nucleotide (SNVs), almeno 459.000  -
565.000 delle quali si sovrappongono con le regioni regolatorie,  che
circa una ogni 200 basi e' diversa e ogni persona possiede oltre 1500
variazioni che la rendono diversa rispetto alle mappe di riferimento.
Delle varianti trascritte, piu'  del  85%  sono  rare  con  frequenze
alleliche  minori  (MAFS)  al  di  sotto  dello  0,5%.   Inoltre   se
considerassimo solo le varianti  putativamente  funzionali,  il  loro
numero aumenterebbe di oltre  il  95%,  a  sottolineare  l'importanza
dell'analisi delle varianti rare, al fine di stabilire  con  maggiore
precisione la suscettibilita' ad una malattia o una  risposta  ad  un
farmaco. 
 
  La  suscettibilita'  genetica  e'  appunto  la   risultante   della
variazione di un gene che altera la funzione biologica  espressa  dal
gene all'origine, modificando il rischio di un soggetto di sviluppare
una determinata patologia. Si definisce gene di suscettibilita',  una
variante genetica che conferisce un rischio modificato  di  contrarre
una specifica malattia ma non e' di per se sufficiente a  causare  la
malattia. Le variazioni di questi geni sono note come polimorfismi  e
possono variare quantitativamente e qualitativamente. Ad esempio,  e'
stato  riconosciuto  che  vi  sono  almeno   300   polimorfismi   che
influenzano lo sviluppo delle  patologie  cardiovascolari.  Tuttavia,
nessuno di questi, valutato singolarmente puo' essere utilizzato  per
una stima  del  rischio  predittivo  ne'  tantomeno  come  target  di
terapia. Il potere predittivo dei singoli  polimorfismi  e'  limitato
proprio  dalla  loro  variabilita'  a  livello  di  popolazione,  dal
contesto  del  genoma  nella  quale  si  trovano,   dall'architettura
genomica (posizione  nel  gene,  presenza  di  mutazioni  aggiuntive,
controllo epigenetico, interazione con altri polimorfismi).  Soltanto
un'analisi complessiva delle varianti di  rischio  (mediante  precisi
algoritmi) di un determinato  numero  di  polimorfismi,  permette  di
prevedere statisticamente il rischio di sviluppare una malattia o  di
rispondere   a   un   intervento   terapeutico   sulla   base   della
determinazione del genotipo per una  o  piu'  mutazioni  geniche.  Un
algoritmo (RACE) sviluppato dalle Universita' di Roma Tor  Vergata  e
Vita  e  Salute  di  Milano  ha  permesso  di  valutare  il   rischio
individuale di ogni persona basandosi  sull'analisi  di  11  geni  di
suscettibilita' alle  malattie  cardiovascolari  congiuntamente  alla
presenza di tutti gli altri fattori di rischio (fumo, stili di  vita,
patologie  concomitanti,  dati  di  laboratorio  clinico,   attivita'
culturale). Combinati insieme in un modello a quattro dimensioni,  e'
stato possibile stimare il rischio individuale prospettico  in  oltre
200  casi  con  accuratezza  e  precisione.  Questo  e'  un   esempio
applicativo  di  medicina  personalizzata  basato  sulla   variazione
genomica individuale di un set di 11 loci integrato con i fattori  di
rischio  ambientali  riferiti  al  soggetto  in  esame  e  non   alla
popolazione generale. 
 
  Questi studi nei prossimi anni si moltiplicheranno  in  conseguenza
della grande  quantita'  di  dati  clinici  appartenenti  ai  singoli
soggetti (cartelle cliniche elettroniche), che  saranno  collegate  a
informazioni genotipiche (SNPs) e renderanno  possibile  Phenome-Wide
association  studies  (PheWASs)  ovvero,  analisi  comparative  delle
varianti genetiche associate a fenotipi multipli utilizzando  solo  i
dati raccolti nelle banche dati. Il metodo PheWAS  ha  contribuito  a
definire diversi sottotipi di una malattia ed e'  determinante  negli
studi di riposizionamento dei farmaci e nella medicina di precisione.
L'approccio  PheWASs  ha  permesso  di  identificare  e  mappare  con
precisione 160 loci-malattie diverse nella regione  HLA  sul  braccio
corto del cromosoma 6 in una regione di DNA di circa 4  Mb,  tra  cui
geni di suscettibilita' alla schizofrenia, al diabete, alla psoriasi,
al lupus e ad altre  malattie  autoimmuni.  Altri  ricercatori  hanno
utilizzato il metodo PheWAS  per  identificare  l'origine  di  alcune
malattie neurologiche, psichiatriche e dermatologiche in segmenti  di
DNA di origine Neandertaliana. PheWASs puo' essere  utilizzato  anche
per  scoprire  condizioni  di  co-morbidita',  come  ad  esempio   la
suscettibilita' alla paradontite che e' co-localizzata  con  loci  di
suscettibilita'      al       diabete,       all'ipertensione       e
all'ipercolesterolemia, o anche di individuare sottotipi di  pazienti
con patologie complesse, come nel diabete di tipo 2, distinguendo  su
base genetica i soggetti suscettibili ad alcune complicanze, come  la
nefropatia o la retinopatia. Analogamente, la neuropatia diabetica e'
stata associata ai polimorfismi di  alcuni  geni  codificanti  miRNAs
aprendo la strada a nuovi  alleli  di  suscettibilita'  in  geni  mai
identificati fino ad oggi su  base  polimorfica.  Gli  stessi  autori
hanno identificato  polimorfismi  "a  monte"  del  gene  MIR1279  che
risultano associati con lo sviluppo della  pericardite  nei  pazienti
affetti da Lupus Eritematoso Sistemico, indipendentemente dagli altri
loci di suscettibilita' alla malattia. Questi  esempi  dimostrano  la
straordinaria potenza dell'approccio  genomico  per  dissezionare  le
malattie complesse.  Ad  esempio  hanno  identificato  come  loci  di
suscettibilita'  alle  malattie  autoimmuni,  i  geni  STAT4,   IL10,
PSORS1C1, PTPN2,  ERAP1,  TRAF3IP2  e  MIR146A,  che  influenzano  la
sintomatologia  dell'artrite  reumatoide  in  modo   pleiotropico   e
additivo. 
 
  Attualmente  le  ricerche  sulle  basi  biologiche  dei   caratteri
complessi  restano  essenzialmente  oggetto  di  studio;  in   questo
contesto si va sempre piu' configurando l'idea che le malattie comuni
siano determinate dall'effetto cumulativo  di  molte  variazioni  che
individualmente conferiscono un rischio di malattia molto  modesto  o
addirittura trascurabile, se non in associazione con molte/moltissime
altre variazioni. 
 
  L'utilizzo clinico dei  polimorfismi  di  suscettibilita'  dovrebbe
tenere conto di alcune cautele principali. In primo luogo, le persone
non dovrebbero sottoporsi a questi test senza conoscere a priori come
utilizzare i risultati. In secondo  luogo,  deve  essere  chiaro  che
almeno un test ogni 20, tra quelli con  una  dichiarata  specificita'
del 95%, fornisce un risultato falso positivo;  ne  consegue  che  il
sequenziamento  completo  del  genoma  di  una  persona  fornisce  un
risultato contenente almeno 6000 errori. Inoltre, va  ricordato  che,
all'interno dei dati ottenuti, ne vengono evidenziati alcuni  di  non
chiaro significato clinico (i cosiddetti VUS - Variations of  Unknown
Significance),  oppure  la  specificita'   allelica   (posizione   in
cis/trans degli alleli in condizione  di  eterozigosi)  che  limitano
ulteriormente il potere predittivo di queste analisi. Non ultimo,  il
valore  clinico  di  un'indagine  di  questo   tipo   dipende   dalla
possibilita' di collegare specifiche  varianti  ad  un  miglioramento
dell'esito clinico, il che di solito  non  e'  affatto  scontato.  La
diversita' genetica individuale si presenta come un continuum che  va
da  polimorfismi  neutri,  attraverso   polimorfismi   funzionali   e
suscettibilita'  alla  malattia  con  varianti  di  vero  significato
patologico.  E'  evidente  pertanto  che  diverse   combinazioni   di
polimorfismi a  minore  o  elevato  rischio  costituiscono  una  rete
complessa e funzionale con diverse conseguenze cliniche. Infatti,  e'
proprio la combinazione di  alleli  comuni  a  bassa  penetranza  con
alleli  rari  ad  elevata  penetranza  che  influenzano   l'eta'   di
insorgenza e / o la gravita' clinica di una  malattia  complessa.  La
definizione del rischio per un singolo soggetto  non  dipende  quindi
solo dal numero e dalla posizione delle varianti  di  suscettibilita'
individuate, ma anche dalla composizione unica del proprio  genoma  a
livello di carico mutazionale. A questo si aggiunge l'impatto fornito
dai fattori epigenetici e ambientali che in modo sinergico e a  volte
antagonista, puo' contribuire alla definizione del fenotipo (in  modo
deleterio o protettivo) perturbando l'equilibrio di  vie  metaboliche
specifiche innescando o inibendo il processo patogenetico. Per questa
ragione e' necessario sviluppare nuovi algoritmi in grado non solo di
identificare  quelle  varianti  funzionali  di  elevato   significato
clinico ma capaci di elaborare rischi personalizzati interattivi  con
singoli fattori  ambientali  e  migliorare  in  tal  modo  la  nostra
comprensione della natura della malattia complessa. 
 
  4.d 2.ii L'esempio delle malattie cardiovascolari multifattoriali 
 
  La cardiopatia ischemica e' la  prima  causa  di  morte  nel  mondo
occidentale.   L'aterosclerosi    coronarica    e'    il    substrato
anatomopatologico che sottende quasi tutte le manifestazioni cliniche
(angina cronica stabile, sindromi coronariche acute, morte improvvisa
coronarica) della cardiopatia ischemica. 
 
  La malattia aterosclerotica coronarica e'  una  malattia  complessa
alla cui espressione clinica concorrono due  meccanismi  patogenetici
ugualmente importanti:  i  fattori  ambientali  comunemente  chiamati
fattori di rischio;  la  suscettibilita'  genetica,  cioe'  tutto  il
corredo dei geni con i propri polimorfismi che facilitano il processo
aterosclerotico. 
 
  I fattori ambientali o di  rischio,  sono  stati  identificati  nei
principali studi epidemiologici, ad esempio il Framingham Heart Study
effettuato  a  partire  dal  1948  nella  cittadina  statunitense  di
Framingham (Massachusetts) e piu' recentemente l'INTERHEART,  che  ha
individuato, in ordine decrescente di odds ratio  o  probabilita'  di
associazione  il  livello  di  colesterolo,  il  fumo,  il   diabete,
l'ipertensione,  l'obesita',  ed   ha   individuato,   come   fattori
protettivi, il consumo giornaliero di frutta e  verdura,  l'esercizio
fisico  e  un  moderato  consumo  di  alcool.  I  fattori  di  stress
psico-sociali sono stati classificati come  fattori  che  influenzano
negativamente tutti gli altri. 
 
  Sono state proposte molte le teorie che hanno cercato  di  spiegare
la formazione della placca aterosclerotica. 
 
  Quella oggi piu' accreditata e' la teoria metabolica, che  pone  il
colesterolo LDL come punto cardine nella formazione,  progressione  e
destabilizzazione della placca aterosclerotica. 
 
  E' stato riconosciuto uno stretto legame  tra  alcuni  polimorfismi
dei  geni  che  codificano  per  proteine  importanti  nei   processi
biologici alla base della formazione della placca  aterosclerotica  e
della fisiologia cardiocircolatoria e  lo  sviluppo  delle  patologie
cardiovascolari. Ad esempio e' noto che  il  polimorfismo  M235T  del
gene  codificante  per  l'angiotensinogeno  (AGT)   e'   strettamente
correlato con l'ipertensione arteriosa. Numerosi  altri  studi  hanno
riguardato  i  geni  che   producono   proteine/enzimi   attivi   nel
metabolismo del colesterolo, della coagulazione, delle  lipoproteine,
dell'aggregazione ed adesione piastrinica, dei processi  infiammatori
a livello della parete vasale, del collagene e dell'ossidazione delle
LDL, nonche' dei loro recettori.  Tra  questi,  i  geni  di  maggiore
interesse  per  la   definizione   della   suscettibilita'   genetica
comprendono: i geni del metabolismo lipidico  (ApoB,  ApoCIII,  ApoE,
CETP, LPL, PON, TRIB1); dell'ipertensione  (ACE,  AGT,  ATIIR1);  del
metabolismo dell'omocisteina (MTHFR, CBS); della trombosi (FV, FBNGN,
GPIIIa); dell'adesione leucocitaria (ELAM) ed altri geni  a  funzione
sconosciuta ma  probabilmente  con  attivita'  regolatoria,  come  la
regione non codificante 9p21 e regolazione dei geni CDKN2B e  CDKN2A,
considerato oggi un polimorfismo ad elevata penetranza nelle malattie
cardiovascolari. 
 
  Quanti e quali di questi geni di suscettibilita'  all'aterosclerosi
e all'infarto del miocardio possono essere considerati importanti per
la predizione della malattia? 
 
  Ogni  allele  di  suscettibilita'  deve   essere   identificato   e
classificato in base al  proprio  score  genetico  di  rischio  (GRS)
risultante  dalla  combinazione  degli  alleli  di  rischio.  Un  GRS
rappresenta   l'elemento   costante   di   esposizione   al   rischio
dell'individuo  durante  tutta  la  sua  vita  che  naturalmente   si
interfaccia con gli altri fattori di rischio ambientali.  Utilizzando
specifici algoritmi, e' possibile stabilire un punteggio  di  rischio
genetico (GRS) associato al  rischio  cardiovascolare  individuale  e
stabilire, l'eventuale effetto additivo o moltiplicativo dei  singoli
fattori  di  rischio  nella  valutazione  complessiva   del   rischio
ischemico  nella  malattia  coronarica.  Ad  esempio,  i  valori  del
colesterolo LDL e dei trigliceridi  hanno  un  effetto  additivo  sul
rischio cardiovascolare, quando combinati, ma la loro interazione con
il GRS e' piu' complessa e potrebbe avere un effetto  moltiplicativo.
Questo  conferma  che  la  progressione  dell'aterosclerosi   e'   la
risultante di una combinazione tra  il  processo  infiammatorio  e  i
livelli lipidici.  E'  bene  chiarire  subito  che  un  set  di  geni
selezionati  esclusivamente  in  base  alla   loro   funzione   nella
patogenesi  cardiovascolare  possono  essere  utili  in  termini   di
predizione del rischio di malattia coronarica. Tuttavia,  nessuno  di
questi geni, valutato singolarmente, puo' essere utilizzato  per  una
valutazione del rischio  predittivo  ne'  tantomeno  come  target  di
terapia. Soltanto un'analisi complessiva delle  varianti  di  rischio
(mediante  precisi  algoritmi)  di  un  determinato   set   di   geni
non-pleiotropici validato e qualificato, attraverso  opportuni  studi
di popolazione, e di analisi retrospettive e prospettive, permette di
prevedere statisticamente il rischio  individuale  di  sviluppare  la
malattia aterosclerotica o di rispondere a un intervento  terapeutico
sulla base della determinazione del genotipo per una o piu' mutazioni
geniche. 
 
  Oltre ai polimorfismi che  aumentano  direttamente  il  rischio  di
sviluppare  malattie  cardiovascolari,  esistono  alcuni   geni   che
indirettamente  aumentano  tale   rischio.   Queste   suscettibilita'
"indirette" sono dovute ad alcuni geni che influenzano  comportamenti
non salutari come  il  consumo  di  alcool  e  tabacco.  L'importanza
"comportamentale" nella  modificazione  del  rischio  individuale  e'
stata  dimostrata  in  maniera  inconfutabile  da  alcuni  studi   di
popolazione sulle migrazioni. Ad esempio,  gli  individui  giapponesi
hanno una piu'  bassa  incidenza  di  sviluppare  CVD  rispetto  agli
americani, ma gli americani-giapponesi, che hanno adottato uno  stile
di vita "occidentale", hanno la stessa incidenza  di  sviluppare  CVD
della restante popolazione americana. Un altro drammatico esempio  di
una popolazione stazionaria, che ha subito un cambiamento ambientale,
e' quello degli Indiani  Pima  dell'Arizona.  Prima  dell'adattamento
allo stile di vita occidentale, questi indiani  avevano  una  modesta
incidenza di obesita' e diabete, attualmente invece  queste  malattie
sono  in  dilagante  crescita  in  questa  popolazione.  Molto  studi
scientifici hanno documentato che la differenza  di  incidenza  delle
CVD tra le popolazioni e' dovuta principalmente a fattori ambientali.
Questo  non  si  puo'  dire  tuttavia  per  le  popolazioni  che  non
differiscono nella suscettibilita' genetica; per esempio, gli indiani
Pima hanno sorprendentemente una bassa incidenza  di  CVD  nonostante
l'alta  frequenza  di  diabete.  Le  interazioni  gene-ambiente  sono
difficili  da   studiare   negli   esseri   umani,   ma   gli   studi
genetico-epidemiologici hanno rivelato  alcuni  esempi  possibili.  I
Masai, una tribu'  dell'Africa  orientale,  hanno  una  alimentazione
estremamente elevata di grassi  (la  loro  dieta  e'  composta  quasi
interamente da prodotti di origine animale), ma  i  loro  livelli  di
colesterolo tendono ad essere  relativamente  bassi.  Questo  e'  una
conseguenza di una insolita regolazione  a  feedback  negativo  della
sintesi del colesterolo per ragioni  genetiche.  D'altra  parte,  gli
eschimesi hanno relativamente scarsa repressione  della  sintesi  del
colesterolo in risposta ad una dieta  con  un  elevato  contenuto  di
grassi. Questo e' conseguente all'adattamento a condizioni ambientali
estreme  con  basse  temperature  e  dieta  ricca  di  acidi   grassi
polinsaturi, che ha permesso di selezionare  varianti  specifiche  di
geni codificanti per desaturasi che  modulano  il  metabolismo  degli
acidi grassi semi essenziali. 
 
  L'importanza del GRS  nelle  malattie  cardiovascolari  attualmente
puo' essere importante nella valutazione dell'aumento del rischio  di
un consanguineo di un individuo  affetto  rispetto  alla  popolazione
generale. Le CVD si presentano di solito dopo i 55 anni, per cui tali
valutazioni sono importanti soprattutto negli eventi  cardiovascolari
precoci. L'utilizzo del GRS nella valutazione del rischio  preventivo
di malattia coronarica  dovrebbe  pertanto  essere  utilizzato  nella
pratica clinica solo nelle seguenti condizioni: 
 
    - consulenza genetica pre- e post-test; 
    - impiego di  polimorfismi  non-pleiotropici  gia'  analizzati  e
validati; 
    - interpretazione del risultato effettuato da un team di  esperti
con   figure   professionali   differenti   (cardiologi,   genetisti,
bioinformatici); 
    - il Centro che offre il  test  deve  disporre  di  database,  di
programmi e di algoritmi in grado di interconnettere i  dati  clinici
con i dati genetici. 
 
               Obiettivi e Raccomandazioni (Cap.4 d 2) 
 
  Da quanto esposto emergono le  seguenti  priorita',  rispetto  alle
quali sono identificabili i relativi interventi (Tabella 8): 
 
  - Promuovere il  ricorso  alla  valutazione  della  suscettibilita'
genetica nei pazienti con  CVD  e  di  un  programma  organizzato  di
screening  del  GRS  nei  familiari  sani.   La   disponibilita'   di
sufficienti evidenze  scientifiche  mette  il  Sistema  Sanitario  in
condizione di inserire tale screening in modo sistematico nell'ambito
dei servizi offerti alla popolazione di  riferimento  (come  definita
dalle Lineeguida: v. dopo). Si identifica  quindi  un  intervento  di
sanita'  pubblica  con  le  seguenti   caratteristiche:   basato   su
valutazioni di efficacia sperimentale;  organizzato  per  profili  di
assistenza  e  quindi   non   soltanto   delegato   alla   competenza
/sensibilita'/ iniziativa tecnico-professionale; mirato all'equita' e
quindi   basato   sul   coinvolgimento   attivo   della   popolazione
destinataria;  dotato  di  un  esplicito  sistema  informativo  e  di
valutazione. 
 
  Sono disponibili LG e raccomandazioni a livello  internazionale  ma
appare comunque utile verificarne la contestualizzazione nel  Sistema
Sanitario italiano. E' quindi necessario: 
 
    -  Contestualizzare  linee-guida   per   la   valutazione   della
suscettibilita' genetica  nei  pazienti  con  CVD  e  dello  GRS  nei
familiari sani. Tale obiettivo puo' essere conseguito in armonia  con
il  Sistema  nazionale  linee  guida  (SNLG)  che  e'  impostato  per
elaborare raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi
scientifici  piu'  aggiornati,  secondo   il   proprio   metodo;   e'
riconducibile a tale processo anche la  collaborazione  con  societa'
scientifiche ed esperti di settore.  In  tale  framework  di  livello
nazionale potra'  essere  prodotta  una  contestualizzazione  di  una
linea-guida internazionale. La successiva fase di implementazione  e'
riconducibile alle responsabilita' e metodi  della  programmazione  e
management dei servizi sanitari  regionali  e  richiede  un  processo
esplicito di recepimento e applicazione 
 
    - Organizzazione di  un  percorso.  Assunto  che  la  linea-guida
riguarda per  definizione  la  dimensione  tecnico-professionale;  le
raccomandazioni   derivate   dalla   L-G    devono    portare    alla
implementazione  di  un'organizzazione  in  grado  di  accogliere  la
popolazione  target  in  un  percorso  esplicito,  basato  su   'nodi
organizzativi' chiaramente definiti e procedure di 'ingaggio' precise
ed esplicite. Si tratta quindi di definire un  percorso  diagnostico-
terapeutico- assistenziale (PDTA) che prenda in carico gli  individui
destinatari dello screening. 
 
                Tabella 8: Interventi identificabili 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico