(Allegato A)
                                                           Allegato A 
 
                Scheda tecnica indicazione geografica 
              «Ratafia Ciociara» o «Rattafia Ciociara» 
 
    1.  Denominazione  della  bevanda   spiritosa   con   indicazione
geografica: 
      «Ratafia Ciociara» o «Rattafia Ciociara». 
      Categoria della bevanda spiritosa con  indicazione  geografica:
liquore. 
    2. Descrizione della bevanda spiritosa: 
      a)   Principali   caratteristiche   fisiche,    chimiche    e/o
organolettiche del prodotto: 
        colore: rosso rubino piu' o meno intenso; 
        odore: intenso, caratteristico di visciole o amarene,  frutti
di bosco e/o mandorla; 
        sapore: aromatico, gradevole e persistente tipico del  frutto
di visciole o amarene e/o mandorla. 
      b) Caratteristiche specifiche della bevanda spiritosa  rispetto
alla categoria cui appartiene. 
        La denominazione «Ratafia Ciociara» o «Rattafia Ciociara»  e'
esclusivamente   riservata   alla    bevanda    spiritosa    ottenuta
dall'infusione idroalcolica di visciole  o  amarene  (Prunus  Cerasus
spp) e vino Cesanese del Piglio DOCG o Atina DOC  Cabernet,  lavorata
in impianti ubicati nella Provincia di Frosinone. 
    Le  caratteristiche  specifiche  della   «Ratafia   Ciociara»   o
«Rattafia Ciociara» sono: 
      titolo alcolometrico volumico: da 17 a 35% vol; 
      aromatizzata esclusivamente con succhi  o  infusi  naturali  di
visciole  o  amarene  e/o  spezie  (cannella,  vaniglia,  chiodi   di
garofano, mandorla amara). 
      c) Zona geografica interessata. 
        Il prodotto «Ratafia Ciociara»  o  «Rattafia  Ciociara»  deve
essere lavorato ed imbottigliato nel territorio  della  Provincia  di
Frosinone. 
      d) Metodo di produzione della bevanda spiritosa. 
        Le visciole o amarene,  dopo  essere  state  lavate,  vengono
poste in infusione in contenitori di acciaio con vino rosso  Cesanese
del Piglio DOCG o Atina DOC Cabernet nel rapporto variabile tra 0,5-1
kg: 1l. 
    La fermentazione ha una durata minima  di  trenta  giorni  se  si
usano dei contenitori termici in grado di mantenere la temperatura da
20 a 35°C ed almeno quaranta giorni per la fermentazione naturale «al
sole»; ovvero fino a quando le visciole si depositano sul  fondo  del
contenitore. 
    L'infuso viene  separato  dal  precipitato  per  filtrazione;  il
precipitato puo' essere sottoposto a spremitura. A  questo  punto  il
semilavorato liquido viene microfiltrato automaticamente per ottenere
un prodotto  limpido  al  quale  aggiungere  zucchero  extrafino  e/o
semolato e/o di canna nella proporzione variabile  tra  1l:  0,25-0,5
kg. Successivamente  si  aggiunge  alcool  puro  per  raggiungere  la
gradazione indicata al punto 2 b). 
    In alternativa le visciole o amarene, sempre  dopo  essere  state
lavate, possono essere messe in infusione in una miscela idroalcolica
alla gradazione da 22° a 96° nel rapporto di grammi 500 di frutti per
ogni litro di miscela idroalcolica, tanto da attuare un  processo  di
osmosi atto ad ottenere un tipico  estratto  del  frutto  dal  colore
rosso  scuro  e  dal  classico  gusto  di   Visciola   e/o   Amarena.
Successivamente questo infuso viene miscelato con vino  Cesanese  del
Piglio DOCG o Atina DOC Cabernet (sciroppo di zucchero, alcool)  fino
al raggiungimento della gradazione indicata al punto 2 b). 
    E' ammessa l'aggiunta esclusiva di succhi (con una percentuale di
frutta compresa tra il 12 e il 15%) o infusi naturali di  visciole  o
amarene in percentuale  massima  del  25%  e/o  l'aromatizzazione  di
spezie (cannella, vaniglia, chiodi di garofano, mandorla  amara)  non
superiore al 5% del prodotto. 
    L'immissione al consumo deve avvenire in bottiglie  di  capacita'
nominale di: 0,20 l - 0,375 l - 0,50 l - 0,70 l - 0,75 l -  1,0  l  -
1,5 l. 
      e) Elementi che dimostrano il legame con l'ambiente  geografico
o con l'origine geografica. 
    Informazioni sulla zona geografica o sull'origine  rilevanti  per
il legame: 
      Le specie vegetale Prunus Cerasus spp e' diffusa in Europa  fin
dall'antichita' e si  adatta  facilmente  al  clima  temperato  delle
regioni del centro Italia; ama terreni ben  drenati  e  fertili.  Non
tollera la pioggia durante le fasi di raccolta  in  quanto  i  frutti
tendono a spaccarsi. Tra le principali regioni  italiane  in  cui  si
diffonde spicca il Lazio - nella cosiddetta contea di  Alvito,  feudo
del Regno di Napoli, nel cuore della Terra di Lavoro che  interessava
alcuni comuni nella Valle di Comino  quali  Alvito,  San  Donato  Val
Comino, Settefrati, Picinisco,  Atina,  Belmonte,  Vicalvi,  Posta  e
Campoli  -  dove,  soprattutto  grazie  alle  specifiche   condizioni
pedoclimatiche, riesce ad avere rese produttive  significative  oltre
che di estrema qualita'. 
    La Prunus Cerasus spp, come in generale tutta la  frutta  fresca,
ha  delle  spiccate  capacita'  nutritive   e   terapeutiche,   nella
fattispecie e' ricca di vitamine A e C  che  contribuiscono  al  buon
funzionamento  delle  difese  immunitarie;  contiene  inoltre   acido
folico, calcio, potassio, magnesio, fosforo  e  flavonoidi,  sostanze
importanti  per  la  lotta  ai  radicali   liberi;   e'   depurativa,
disintossicante, diuretica e antireumatica. 
    Probabilmente queste sono le principali motivazione per  cui  nel
territorio in questione, la «Ciociaria», la specie ha  sempre  goduto
del rispetto degli esperti che gia'  da  tempi  remoti,  anche  prima
della I guerra mondiale,  in  assenza  di  medicinali,  erano  soliti
somministrare il succo estratto,  denominato  Ratafia  o  Rattafia  a
bambini ed  anziani  ciociari,  come  antisettico  e  come  fonte  di
vitamine e zuccheri. 
    Usato come digestivo e come rimedio per vari disturbi  fisici  si
racconta che al tempo «della spagnola», la pandemia  influenzale  che
fra il 1918 e il 1919 si diffuse in quasi tutta l'Europa, chi  avesse
assunto questo liquore  si  sarebbe  salvato  dalla  malattia.  Nello
scritto a cura di Lucia Zirizzotti «gli antichi Sapori  della  Cucine
Lepina», l'autore ricorda  come  le  nonne  ciociare,  non  avendo  a
disposizione medicinali in grado  di  rimediare  al  Tifo,  scoppiato
prima della prima  guerra  mondiale,  somministrassero  la  Rattafia,
liquore tipico  della  Ciociaria  anche  ai  bambini  come  fonte  di
vitamine. Le nonne preparavano il liquore nelle dame di  coccio  dove
ponevano visciole ricoperte di vino rosso e li tenevano al  sole  per
quaranta giorni, prima di condire l'infuso con alcol e zucchero. 
    La  tradizione  popolare  vuole  farne  risalire  l'origine   del
prodotto molto piu' indietro nel tempo, all'epoca di  ambasciatori  e
regnanti che, discutendo  solitamente  sia  di  pace  che  di  guerre
intorno a tavole  imbandite,  erano  soliti  suggellare  gli  accordi
brindando con questa gustosa bevanda ed esclamando: «Pax  Rata  Fiat»
da cui  deriverebbe  il  nome.  Nelle  famiglie  ciociare  la  stessa
tradizione ha avuto seguito nelle contrattazioni matrimoniali  tra  i
genitori dei ragazzi che si apprestavano alle nozze. 
    Degne di nota sono alcune  considerazioni  storiche  ancora  piu'
antiche che fanno risalire ai tempi della Res Publica  romana  almeno
100 anni prima della nascita di Cristo, la presenza  di  Visciole  in
Val Comino. Ai tempi in cui Lucullo parti' per la Bitinia, il Ponto e
l'Armenia nella battaglia contro Mitridate, egli incappo'  in  frutti
rossi  e  selvatici  che  crescevano  sugli  alberi,  diversi   dalle
ciliegie. Tornato a Roma Lucullo perde il suo ruolo politico e decide
di  abbandonare  la  scena  politica  per  dedicarsi  al  cibo  e  ai
banchetti. E' in questo periodo che pianta alberi  di  Prunus  e  da'
avvio alla produzione locale. E' narrata  gia'  nel  tomo  I  de  «Il
ducato di Alvito nell'eta' di Gallio», la presenza di visciole  nelle
mense locali. Nella citazione relativa a «l'ultimo  di  credenza»  si
legge:  «neve  di  latte  (meringhe)  con  zucchero,   cedri   conti,
mostacciuoli, ciambelle di monache, pasticcetti al miele, visciole in
gelo [...]». 
    Probabilmente sono queste le ragioni storiche per cui sono  cosi'
numerosi gli opifici nel territorio  provinciale,  fatto  questo  che
rende testimonianza del legame tra questo prodotto  e  il  territorio
ciociaro.  Secondo  «Gente  di  Ciociaria  -  concetto  territoriale,
condizioni economiche e sociali, migrazioni,  religiosita',  credenze
popolari, balie e modelle», testo di Ugo  Iannazzi  e  Eugenio  Maria
Beranger, e' citata  la  Ratafia  tra  le  bevande  gradevoli  che  i
ciociari potevano  concedere  essendo  i  loro  frutti  presenti  sui
terreni dei contadini; inoltre il testo cita che «nella seconda meta'
dell'800 sono attestate distillerie di acquavite ad  Alatri,  Arnara,
Ceccano, Frosinone, Pofi, Ripi,  Strangolagalli,  Torrice,  Veroli  e
Villa Santo Stefano, [...]. Distillerie con "lambicchi  di  capacita'
inferiore a  10  ettolittri"  sono  ricordati  nel  1883  ad  Anagni,
Frosinone (2) Ripi, (2) e Serrone [...].» Non e' un  caso  che  molti
produttori locali abbiano prodotto la «Ratafia»  o  «Rattafia»  anche
per ristoratori di altre province e regioni come  attestano  numerose
etichette del passato tra cui  la  «Ratafia  di  Fumone»,  comune  in
Provincia di Frosinone, prodotta da un noto opificio ciociaro. 
    Gli opifici locali, convinti del valore storico  del  prodotto  -
che  lo  ha  portato   all'inscrizione   nell'elenco   dei   prodotti
tradizionali della Regione Lazio - e della  sua  bonta',  da  diverso
tempo etichettano  in  proprio  la  «Ratafia  Ciociara»  o  «Rattafia
Ciociara» presentandola ai consumatori che sempre di piu' mostrano di
apprezzarla. 
    Caratteristiche specifiche della bevanda  spiritosa  attribuibili
alla zona geografica: 
    Dalla felice unione di sole, vino  Cesanese  del  Piglio  DOCG  o
Atina DOC Cabernet e visciole nasce la «Ratafia Ciociara» o «Rattafia
Ciociara». A  questi  semplici  ingredienti  di  base  col  tempo  si
aggiungono l'alcool e lo zucchero che ne aumentano il tenore alcolico
fino ad arrivare alla ricetta ancora oggi  diffusa  e  tramandata  di
generazione in generazione che risale agli inizi del '900. 
    Interessante la citazione in «L'economia agraria e  l'agricoltura
nel circondario di Frosinone» stampato a Veroli nel 1907 dal dott. G.
Del Nero della Scuola  superiore  di  agraria  in  Portici  che  cita
testualmente: «in qualche terreno si coltiva anche il  visciolo,  che
da' ciliege selvatiche, con cui si preparano conserve ed  un  liquore
speciale, di graditissimo sapore, che chiamasi rattafia». 
    Una ricetta di fine Ottocento scritta a mano dalla signora  Maria
Coletti Sipari e' oggi conservata nell'archivio  privato  Buriani  di
San Donato Val di Comino (FR), paese natale della  donna.  Si  legge:
«Amarene chilo uno, vino rosso buono litro uno,  spirito  un  quarto,
zucchero un quarto: Aromi:  cannella  e  pezzetti  di  noce  moscata.
L'infuso si mette per quaranta giorni al  sole,  poi  le  amarene  si
pressano al torchietto e si fa il liquore». 
    Molto significativa la notazione «vino rosso buono» come elemento
inequivocabilmente correlabile al territorio e alle sue piu'  tipiche
produzioni; e' infatti indubbio che la signora Coletti Sipari facesse
riferimento  a  eccellenze  vinicole  locali  riconducibili  al  vino
Cesanese del Piglio (riconosciuto DOC fin  dal  1973  -  decreto  del
Presidente della Repubblica 29 maggio 1973 - e da ultimo grazie  alla
sua reputazione nazionale ed internazionale e' stato riconosciuto con
la massima qualificazione della DOCG - Decreto ministeriale 1° agosto
2008) e al vino Atina Cabernet (approvato con decreto ministeriale 26
aprile 1999 e modificato con decreto ministeriale 2 agosto 2011). 
    La storia del prodotto Ratafia o Rattafia, come  risultato  della
lavorazione di visciole e/o amarene con vino,  e'  dunque  fatta  dal
connubio di due referenze locali: la materia  prima  visciole/amarene
(Prunus cerasus spp) e i vini che ne  esaltano  il  gusto  in  questa
pregiata comunione. 
    Le  millenarie  storie  vitivinicole  riferite  alla  terra   del
«Piglio» e alla terra dell'antica «Sannita», dai Romani, al medioevo,
fino ai giorni nostri e'  la  generale  e  fondamentale  prova  della
stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la
qualita' e le peculiari caratteristiche del «Cesanese del  Piglio»  e
dell'eccellenza di «Atina». 
    La «Ratafia Ciociara» o «Rattafia Ciociara» e'  un  prodotto  dal
quale la gastronomia ciociara non puo' prescindere, come dimostra  la
sua presenza in numerosi menu' e ricettari locali. 
      f)  Condizioni  da  rispettare   in   forza   di   disposizioni
comunitarie e/o nazionali e/o regionali. 
        La «Ratafia  Ciociara»  o  «Rattafia  Ciociara»  deve  essere
etichettata nel rispetto della normativa vigente. 
      g)  Termini  aggiuntivi  all'indicazione  geografica  e   norme
specifiche in materia di etichettatura. 
        La «Ratafia Ciociara» o «Rattafia Ciociara» deve  specificare
il processo produttivo di cui al punto 2 d). 
      h) Nome e l'indirizzo del richiedente: 
        Associazione  produttori  «Ratafia  Ciociara»   o   «Rattafia
Ciociara», viale Roma snc - 03100 Frosinone.