(Relazione illustrativa)
                             AVVERTENZA 
    In via del tutto eccezionale e senza  costituire  precedente,  si
procede alla pubblicazione dell'allegata relazione  illustrativa,  al
fine  di  fornire  elementi  interpretativi   utili   alla   migliore
intellegibilita' di un testo normativo particolarmente rilevante  per
i cittadini. 
                       RELAZIONE ILLUSTRATIVA 
    TITOLO I - DEFINIZIONI 
    Articolo 1 (Definizioni) 
    Contiene le definizioni dei principali riferimenti adoperati  nel
decreto. 
    TITOLO II - PARAMETRI DI INDICIZZAZIONE, CALCOLI INTERMEDI E 
IMPORTI IN LIRE CONTENUTI IN NORME VIGENTI 
    Articolo 2 (Parametri di indicizzazione) 
    Premessa. Il presente  articolo  da'  attuazione  all'articolo  4
della legge delega che, relativamente agli  strumenti  giuridici  che
contengono parametri di indicizzazione, consente  di  dare  effettivo
contenuto al principio  della  continuita'  dei  rapporti  in  corso,
enunciato nei suoi termini generali alla lettera a)  dell'articolo  2
della suddetta legge. 
    In particolare, al fine di garantire l'ordinata prosecuzione  dei
rapporti in corso, e' consentito disciplinare  i  casi  nei  quali  i
parametri di indicizzazione venuti meno a  seguito  dell'introduzione
dell'euro non possono essere automaticamente sostituiti. 
    Primo comma. In attuazione della norma suddetta, il  primo  comma
e' dedicato ad uno specifico parametro di indicizzazione: la "ragione
normale dello sconto", vale a  dire  il  tasso  ufficiale  di  sconto
(t.u.s.), fissato dal Governatore della Banca d'Italia in  base  alla
Legge n. 82 del 7 febbraio 1992. 
    La norma si ritiene necessaria per due ragioni: a) il  t.u.s.  e'
un  parametro  largamente  utilizzato  nelle  indicizzazioni;  b)  e'
l'unico  parametro  che  con   certezza   verra'   meno   a   seguito
dell'introduzione dell'euro e non sara'  automaticamente  sostituito.
Infatti a partire  dal  1  gennaio  1999,  le  funzioni  di  politica
monetaria nei Paesi aderenti all'Unione  Europea  saranno  trasferite
dalle banche centrali nazionali al S.E.B.C.. Di conseguenza  i  tassi
ufficiali fissati dalla Banca d'Italia  -  come  dalle  altre  banche
centrali nazionali - verranno meno. 
    Allo scopo di garantire un'ordinata transizione alla moneta unica
relativamente ai contratti ed  agli  altri  strumenti  giuridici  che
prevedono clausole di  indicizzazione  legate  al  t.u.s.,  la  norma
istituisce un  tasso  automaticamente  sostitutivo  del  t.u.s.,  che
all'inizio del periodo transitorio sara' pari alla misura del  t.u.s.
risultante al 31 dicembre 1998. 
    La norma attribuisce  al  Governatore  della  Banca  d'Italia  il
compito di  stabilire  autonomamente  le  variazioni  di  tale  tasso
sostitutivo per un periodo massimo di cinque anni, sulla  base  delle
variazioni  del  tasso  d'interesse  della  Banca  Centrale   Europea
considerato equivalente al cessato t.u.s. in termini di funzione,  di
frequenza, di variazioni e di tipo di effetto. Il periodo  di  cinque
anni e' da considerare un termine massimo, nel senso che  sara'  cura
dell'autorita'  monetaria  far  cessare  la   determinazione   e   la
pubblicazione di questo parametro provvisorio nel momento in cui  non
dovesse piu' ravvisarsene la necessita'. 
    Secondo comma. La norma fissa  il  principio  della  sostituzione
automatica dei parametri finanziari di indicizzazione, gli unici  per
i quali e'  possibile  predeterminare  un  criterio  di  sostituzione
automatica. 
    La  fissazione  del  principio  e'  necessaria.  Solo   chiarendo
quand'e'  che  si  ha  sostituzione  automatica   diventa   poi   per
sottrazione possibile, cosi' com'e' richiesto dall'articolo  4  della
legge  delega,  disciplinare  i  parametri  venuti  meno  a   seguito
dell'introduzione dell'euro che non  possono  essere  automaticamente
sostituiti. 
    Data l'estrema varieta' dei suddetti parametri - si  tratta,  per
lo piu', di tassi di interesse - e la loro caratteristica d'essere il
frutto di continue e capillari negoziazioni tra gli operatori, si  e'
ritenuto di attribuire al comportamento dei  mercati  un  particolare
rilievo: alla sostituzione di  fatto,  se  cosi'  si  puo'  dire,  si
attribuisce anche valore "legale". 
    Se il parametro x negoziato nel mercato K viene  sostituito,  nel
medesimo  mercato,  dal  parametro  y,  cio'   implica   che   y   ha
automaticamente sostituito x, anche ai fini legali. 
    L'avvenuta sostituzione viene dichiarata dal Ministro del tesoro,
del bilancio e  della  programmazione  economica,  sentita  la  Banca
d'Italia, il che contribuisce a dare certezza. La  pubblicazione  del
predetto decreto sara' di regola  effettuata  entro  il  31  dicembre
1998. 
    Questa norma, unita a quella del comma 1 relativa al  t.u.s.,  si
ritiene consentira' di risolvere la maggior  parte  delle  situazioni
che in concreto potranno porsi. 
    Alle restanti ipotesi sono  dedicati  i  commi  successivi.  Essi
svolgono la funzione tipica delle norme di "chiusura". 
    Terzo, quarto e quinto comma. Qualora gli strumenti giuridici non
prevedano meccanismi di uscita da eventuali situazioni  di  conflitto
che riguardano i  parametri  di  indicizzazione  a  sostituzione  non
automatica, il comma introduce l'obbligo al ricorso di un arbitratore
- o di un Collegio di tre arbitratori se il  valore  dello  strumento
giuridico supera i cinquecento milioni - cosi' da rendere  rapida  la
soluzione di eventuali controversie e  dare,  tra  l'altro,  concreta
effettivita' al principio della continuita' degli strumenti giuridici
anche nei casi piu' difficili. 
    L'obbligo  del  ricorso  agli  arbitratori  scatta  solo  se  gli
strumenti giuridici non individuano gia' delle possibili soluzioni e,
naturalmente, se le parti non trovano un accordo. 
    Poiche'  l'eventuale   disaccordo   puo'   vertere   solo   sulla
determinazione dei  parametri  a  sostituzione  non  automatica  (sia
quelli finanziari per i quali la sostituzione automatica non ha avuto
luogo, sia quelli non finanziari per i quali non e' possibile neppure
stabilire  preventivamente  un  possibile  criterio  di  sostituzione
automatica), si limita l'intervento degli arbitratori  a  quest'unica
questione. 
    I commi quattro e cinque dettano le  modalita'  di  scelta  degli
arbitratori, il tempo massimo entro il quale essi devono terminare il
loro incarico, l'oggetto del loro intervento,  il  vincolo  che  essi
devono  rispettare  (...  l'equivalenza  economico-finanziaria   ...)
nonche' il criterio di ripartizione del compenso loro spettante e  il
rinvio  all'articolo  1349  del  codice   civile   per   quanto   non
diversamente disposto. 
    Articolo 3 (Calcoli intermedi) 
    Premessa. Il presente  articolo  da'  attuazione  all'articolo  5
della legge delega. 
    Primo comma. Il comma anzitutto chiarisce l'ambito  oggettivo  di
sua applicazione: tutti gli strumenti giuridici diversi  dalle  norme
vigenti. Queste ultime vengono trattate separatamente  al  successivo
articolo 4. 
    In secondo luogo, si individua - per negazione -  la  nozione  di
calcolo intermedio: si considera tale un importo  monetario  in  euro
che non va autonomamente contabilizzato o pagato. 
    Perche'  possa  parlarsi  di  calcolo  intermedio   occorre   che
l'importo  non  costituisca  autonomo  importo   da   pagare   o   da
contabilizzare. A tal fine, non rileva la circostanza che  esso  sia,
oppure no, collocato all'interno  di  un  processo  di  calcolo  piu'
ampio. Anche se lo fosse - e si tratta probabilmente  del  caso  piu'
frequente qualora l'importo andasse  autonomamente  contabilizzato  o
rappresentasse  un  pagamento,  non  potrebbe  comunque  considerarsi
calcolo intermedio.  In  tal  caso,  infatti,  non  sarebbe  comunque
possibile  operare  con  un  numero  di  decimali  superiore  a  due,
coincidente con l'unita' divisionale minima della nuova moneta  (cfr.
l'articolo 5 del Regolamento (CE) n. 1103/97 del 17 giugno 1997). 
    La questione dell'utilizzo di un numero di decimali  superiore  a
due nei calcoli intermedi si pone in particolare per quelle monete la
cui  unita'  divisionale  minima,  col  passaggio  all'euro,   cresce
sensibilmente. Tra queste rientra senz'altro la lira, la  cui  unita'
divisionale minima (1 lira) cresce circa  19-20  volte  (infatti,  un
centesimo di euro corrispondera' presumibilmente a 19-20 lire).  Cio'
comporta marcati problemi quando occorre convertire in  euro  importi
in lire di ammontare modesto, inferiori alle decine  di  migliaia  di
lire (per maggiori chiarimenti sugli aspetti numerici della questione
si veda piu' avanti  la  relazione  di  accompagnamento  al  comma  1
dell'articolo 4). 
    Infatti, se in questi casi  non  si  regolasse  adeguatamente  la
questione, imponendo - salvo  diverso  accordo  -  l'utilizzo  di  un
numero di decimali superiore a due dell'importo convertito  in  euro,
si otterrebbero significativi scostamenti percentuali tra gli importi
espressi nelle due monete, con conseguenze  facilmente  immaginabili,
specie sui risultati dei calcoli che  dell'importo  convertito  fanno
uso. 
    Poiche' la necessita' di precisione e' tanto maggiore quanto piu'
e' basso l'importo in lire da convertire, la norma impone, sempre  in
mancanza di un diverso accordo, l'uso di un  numero  di  decimali  di
euro decrescente al crescere dell'importo in lire da  cui  si  parte,
lasciando comunque piena liberta' per gli importi  pari  o  superiori
alle decine di migliaia di lire, per i quali il grado  di  precisione
risulta accettabile senza necessita' di regole particolari. 
    Il comma si applica anche alle tariffe, ai prezzi amministrati  o
comunque imposti che fossero contenuti in strumenti giuridici diversi
dalle norme vigenti, fattispecie - quest'ultima  -  disciplinata  dal
comma 1 dell'articolo 4 (per approfondimenti si veda la relazione  di
accompagnamento del suddetto comma). 
    Secondo comma. Il comma chiarisce, cosi' da fugare  ogni  dubbio,
che quando un importo in euro non va autonomamente  contabilizzato  o
pagato (nel qual  caso  permane  l'obbligo  all'uso  di  massimi  due
decimali) e' possibile  trattarlo,  anche  elettronicamente,  con  un
numero di cifre decimali a piacere. 
    Peraltro, poiche' nei casi indicati al comma 1 s'impone l'uso  di
un numero minimo di cifre decimali, si stabilisce che,  comunque,  in
quei casi l'importo non puo' essere trattato, anche elettronicamente,
con un numero di cifre inferiore al detto minimo. 
    Per quanto riguarda la rappresentazione nei confronti  dei  terzi
degli importi in euro non si e' ritenuto di dover dire  qualcosa.  Si
reputa infatti che laddove v'e'  l'obbligo  ad  utilizzare  un  certo
numero minimo di cifre decimali, va da se' che la rappresentazione ai
terzi non puo' che avvenire con un numero di  cifre  decimali  almeno
pari a quello minimo. D'altra parte, sebbene non si ponga  un  limite
massimo al numero di cifre decimali rappresentabili ai terzi, non  si
ritiene vi possa essere interesse - dati  anche  gli  oneri  che  do'
comporterebbe - ad utilizzare un numero di cifre decimali superiore a
quello minimo. 
    Articolo 4 (Importi in lire contenuti in norme vigenti) 
    Premessa. 
    L'articolo 6 della legge delega  consente,  ma  non  obbliga,  di
riesprimere sistematicamente in euro, fin dal  1  gennaio  1999,  gli
importi in lire contenuti in norme vigenti. 
    Si tratta di importi che svolgono  le  funzioni  piu'  varie.  Ad
esempio,  taluni  costituiscono  presupposto  per  l'attribuzione   o
l'esercizio di un diritto, di una  facolta',  di  una  azione,  ecc.,
mentre altri, invece, costituiscono il presupposto per il verificarsi
di doveri, obblighi,  oneri,  pesi,  gravami,  ecc.  e  altri  ancora
stabiliscono la ripartizione delle competenze tra organi  giudiziari,
amministrativi, o fissano sanzioni, ecc. 
    Anzitutto, occorre dire che la questione della conversione  degli
importi in lire contenuti in norme vigenti e'  risolta  in  linea  di
massima dai Regolamenti comunitari. 
    A questo proposito, si vedano  i  considerando  11  e  20  e,  in
particolare, gli  articoli  52  e  14  del  Progetto  di  Regolamento
0000/97, pubblicato in G.U.C.E. n. C 236/8 del 2 agosto 1997. 
    L'articolo 5 comma 2 fissa gia', per il periodo  transitorio,  il
seguente principio: "Ove uno strumento giuridico faccia riferimento a
un'unita' monetaria nazionale, tale riferimento ha il medesimo valore
di un riferimento all'unita' euro in base ai tassi di conversione". 
    L'articolo 14, a sua volta, regola  il  periodo  definitivo  come
segue: "I riferimenti alle unita' monetarie nazionali presenti  negli
strumenti giuridici in vigore  al  termine  del  periodo  transitorio
vengono intesi come riferimenti all'unita'  euro,  da  calcolarsi  in
base ai rispettivi tassi di conversione. Si applicano le regole di 
arrotondamento definite nel Regolamento (CE) n. 1103/97." 
    Tra gli strumenti giuridici indicati dai  due  suddetti  articoli
rientrano senz'altro anche le norme vigenti. 
    Porre mano alla sistematica conversione in euro degli importi  in
lire contenuti  in  norme  vigenti  e'  questione  complessa  che  e'
possibile affrontare in un  tempo  ristretto  solo  a  condizione  di
dettare regole generali di rettifica dei risultati della  conversione
per classi di norme omogenee. 
    Si parla di rettifica dei risultati della conversione in quanto: 
    a) se ci si dovesse limitare alla  pura  e  semplice  conversione
"aritmetica" non occorrerebbe dire nulla,  avendo  gia'  il  suddetto
Regolamento comunitario disciplinato questo aspetto; 
    b) la legge delega consente, appunto, di rettificare i  risultati
della conversione oltre il semplice arrotondamento  ai  centesimi  di
euro. 
    Data l'estrema varieta' delle situazioni  concrete  -  facilmente
verificabile scorrendo  a  caso,  ad  esempio,  il  codice  civile  -
procedere con regole generali per classi di norme rischia tuttavia di
provocare conseguenze imprevedibili e indesiderate. 
    Spesso infatti accade  che  le  norme,  pure  omogenee  tra  loro
rispetto  al   carattere   scelto   per   classificarle,   presentino
significative  differenze  nei  restanti  loro   caratteri,   sicche'
l'applicazione automatica, a ciascuna classe di norme, della medesima
regola generale di rettifica dei risultati della conversione  rischia
di produrre risultati che possono collidere con la  molteplicita'  di
funzioni che la norma talvolta assolve. 
    Si rende pertanto  necessario  avviare  un  lavoro  analitico  di
revisione generale degli importi in lire contenuti in norme  vigenti,
che riguardi anche le  sanzioni,  da  concludersi  quanto  prima  con
l'emanazione di un apposito decreto legislativo da adottarsi ai sensi
del comma 4 dell'articolo 1 della legge delega. 
    In questa fase ci si limita quindi a modificare quelle norme  per
le quali si ravvisa la necessita' o l'opportunita' di intervenire fin
dal 1 gennaio 1999. 
    I prezzi imposti (tariffe,  ecc.)  e  talune  norme  del  diritto
societario rientrano tra queste. 
    Primo comma. Quando  gli  importi  in  lire  contenuti  in  norme
vigenti stabiliscono tariffe, prezzi amministrati o comunque  imposti
e il loro ammontare e' modesto (orientativamente al  di  sotto  delle
decine di migliaia di  lire,  cosa  frequente  quando  si  tratta  di
importi unitari) l'applicazione delle regole generali di  conversione
e  di  arrotondamento  al  centesimo  di   euro   produce   risultati
inaccettabili. Infatti, se ad esempio una tariffa ammonta a lire  85,
la sua riespressione ai centesimi di euro - con un euro compreso  tra
le 1.900 e le 2.000 lire - condurrebbe ad uno scostamento massimo del
12,5% tra l'importo espresso in lire e quello espresso  in  euro,  di
segno  positivo  o  negativo  casuale,  dipendente   dai   tassi   di
conversione. 
    In  termini  piu'  generali,  la  seguente  tabella  indica   gli
scostamenti percentuali massimi che si possono registrare  traducendo
in euro, col vincolo dei centesimi, importi in  lire  inferiori  alle
decine di migliaia, assumendo sempre che un euro valga tra le 1.900 e
le 2.000 lire. 
    Come puo' notarsi, per gli importi espressi in migliaia di lire o
superiori la variazione massima e' inferiore all'1%, per gli  importi
espressi in centinaia di lire la variazione massima e'  compresa  tra
l'1 e il 10%, per gli importi compresi tra le 50 e  le  100  lire  la
variazione massima e' compresa tra il 10 e il 25%,  per  gli  importi
compresi tra le 20 e le 50 lire la variazione massima e' compresa tra
il 25 e il 50% e, infine, per gli importi inferiori alle 20  lire  la
variazione massima supera il 50%. 
 
  (a) (b) = (a) / 2.000 e 1.900 (c) (d) = (c) (b) x 
                                                          100 
 
  Valore Importo in euro troncato Scarto massimo Variazione % 
 in lire ai centesimi dell'arrotondamento massima 
 
 10.000 5,00 - 5,26 0,005 0,1 - 0,09 
  1.000 0,50 - 0,52 0,005 1,00 - 0,96 
    100 0,05 - 0,05 0,005 10,00 - 10,00 
     50 0,02 - 0,03 0,005 25,00 - 16,66 20 0,01 - 0,01 0,005 50,00  -
     50,00 
     10 0,00 - 0,00 0,005 > 50,00 
      1 0,00 - 0,00 0,005 > 50,00 
 
    Si rende pertanto necessario imporre, laddove le  circostanze  lo
richiedano, l'uso di un numero di decimali di euro superiore  a  due,
tanto maggiore quanto minore e' l'importo in lire da cui si parte, in
modo tale da rendere accettabile lo scarto percentuale tra  l'importo
espresso in lire e quello espresso in euro. 
    Il comma, si noti, non produce dal 1  gennaio  1999  l'automatica
sostituzione in euro, ex lege, degli importi  in  lire  contenuti  in
norme  vigenti  che  stabiliscono  tariffe,  prezzi  amministrati   o
comunque imposti. Esso trova applicazione solo qualora le circostanze
lo richiedano. L'espressione in lire e quella in euro  degli  importi
potranno quindi convivere nel  triennio  transitorio.  Si  pensi,  ad
esempio, alle imprese concessionarie di  pubblici  servizi  tenute  a
praticare determinate tariffe il cui  ammontare  fosse  contenuto  in
norme vigenti piuttosto che in altri strumenti  giuridici  (nel  qual
caso si applicherebbe il comma 1  dell'articolo  3).  Poiche'  queste
imprese, al pari di tutte le altre,  sono  libere  d'adottare  l'euro
quale moneta di conto nel triennio transitorio, se alcune decideranno
di continuare ad utilizzare la lira nulla per loro cambia rispetto  a
prima. Solo quelle che  decideranno  di  utilizzare  l'euro,  avranno
l'esigenza di fatturare con le tariffe espresse in  euro  e  solo  in
questo caso il comma trovera' effettiva applicazione. 
    Secondo e terzo comma. Il secondo e  il  terzo  comma  modificano
quelle norme del  codice  civile  che  trattano  del  capitale  delle
societa' al fine di rendere possibile, fin dal  1  gennaio  1999,  la
costituzione e l'ordinato funzionamento delle societa'  con  capitale
espresso in euro. 
    Poiche' le norme sono formulate in  modo  idoneo  a  regolare  la
situazione a regime, il secondo comma fa decorrere gli effetti  delle
modifiche dal 1 gennaio 2002, quando l'adozione dell'euro  diventera'
obbligatoria. 
    Il terzo comma anticipa la decorrenza del comma  2  limitatamente
alle societa che liberamente sceglieranno di costituirsi in euro  fin
dal 1 gennaio 1999. 
    La lettera a) del comma 2 modifica il comma 1 dell'articolo  2327
del codice civile e fissa il  nuovo  capitale  sociale  minimo  delle
societa' per azioni in centomila euro. Si tratta, per scelta,  di  un
importo presumibilmente inferiore a quello che si otterra' applicando
ai 200 milioni  di  lire  attualmente  previsti  il  tasso  fisso  di
conversione. Poiche' l'ammontare di capitale minimo e' condizione per
esercitare una facolta' (la costituzione della societa' per  azioni),
dovendo  scegliere  la  direzione   dell'aggiustamento   dell'importo
risultante dalla conversione, si e' ritenuto  preferibile  anticipare
il momento a partire dal quale la facolta'  puo'  essere  esercitata,
rendendo meno gravosa la costituzione di una  societa'  con  capitale
sociale espresso in  euro,  seppur  di  poco,  nei  ristretti  limiti
richiesti dalla funzione che la norma svolge. 
    La lettera b) aggiunge all'articolo 2327  del  codice  civile  un
secondo comma che stabilisce  in  euro  o  suoi  multipli  il  valore
nominale delle azioni delle societa' per  azioni.  Si  tratta  dl  un
principio nuovo. A tutt'oggi, infatti, non esiste  un  corrispondente
obbligo per il valore nominale delle azioni espresse in lire.  Si  e'
ritenuto opportuno introdurlo per facilitare lo svolgimento di  tutte
quelle operazioni che riguardano il capitale sociale. Il mantenimento
dell'attuale situazione di liberta' incondizionata, che non trova  in
realta' neppure riscontro nel diffuso  concreto  comportamento  delle
imprese, non e' sembrato meritevole di particolare tutela, potendo il
nuovo principio assolvere alla  funzione  che  gli  e'  affidata  con
efficacia e semplicita' anche maggiori. Naturalmente, come si  evince
facilmente anche dalla collocazione della norma,  l'obbligo  riguarda
solo le societa' di nuova costituzione. Per ragioni sistematiche,  si
e' ritenuto preferibile inserire qui, subito  dopo  la  modifica  del
comma 1, il nuovo comma  2  dell'articolo  2327  del  codice  civile,
ancorche' esso - a rigore - non riguardi importi in lire contenuti in
norme vigenti. 
    La  lettera  c)  modifica  rispettivamente  i  commi  1,  2  e  3
dell'articolo 2474  dei  codice  civile  riguardante  le  societa'  a
responsabilita' limitata il cui  capitale  minimo  viene  fissato  in
diecimila euro,  frazionabile  in  quote  pari  ad  un  euro  o  suoi
multipli. 
    La lettera d) modifica i commi  1  e  2  dell'articolo  2521  del
codice civile riguardante le societa' cooperative. L'attuale  importo
di lire 80 milioni che rappresenta il limite massimo delle quote  che
un socio puo' possedere viene fissato in cinquantamila euro.  In  tal
caso,  poiche'  l'importo  stabilisce  un  divieto,  si  e'  ritenuto
d'innalzare il corrispondente  limite  espresso  in  euro,  cosi'  da
spostare "un po' piu' in la'" il verificarsi del  presupposto  e  non
creare  altresi'  incertezze  nel  momento  in  cui  le   cooperative
costituite in lire passeranno all'euro. 
    Le lettere e), f) e g) modificano taluni commi degli articoli 29,
33 e 34 del decreto legislativo n. 385 del 1 settembre  1993  (TULB),
relativi alle societa'  bancarie  costituite  in  forma  cooperativa,
secondo gli stessi  criteri  adottati  per  le  societa'  cooperative
"ordinarie" richiamate alla lettera d) precedente. 
    Le  lettere  h)  ed  l)  modificano  gli  articoli  dei   decreti
legislativi che regolano l'esercizio delle assicurazioni vita e danni
che stabiliscono gli ammontari minimi  del  capitale  sociale  e  del
fondo di garanzia delle societa' di  mutua  assicurazione.  Anche  in
questo caso, per le ragioni gia' viste, si e' scelto  di  fissare  un
importo in euro presumibilmente inferiore a quello  che  si  otterra'
applicando all'importo in lire attualmente vigente il tasso fisso  di
conversione,  visto  che  l'ammontare  minimo   e'   condizione   per
esercitare una facolta'. 
    Quarto comma. Il quarto comma adegua alla mutata  situazione  che
verra' a crearsi a partire dal 1 gennaio  1999  la  facolta'  che  le
imprese oggi hanno di pubblicare il proprio bilancio d'impresa  anche
in ECU, sancita dal comma 2 dell'articolo  2435  del  codice  civile.
Poiche' l'ECU verra' ad ogni effetto sostituto  dall'euro  a  partire
dalla suddetta data, si stabilisce che la facolta'  di  pubblicazione
va riferita all'euro e non piu' all'ecu. Naturalmente, cio' vale  per
le imprese che nel triennio transitorio continueranno ad adottare  la
lira quale  moneta  di  conto,  le  sole  per  le  quali  e'  sensato
consentire che possano pubblicare il proprio bilancio anche in euro. 
    D'altra parte,  poiche'  a  partire  dal  1  gennaio  2002  sara'
obbligatorio per tutte le imprese pubblicare i bilanci  in  euro,  si
stabilisce l'abrogazione della norma a decorrere da tale data. 
    Quinto comma. Provvede ad introdurre la necessaria  flessibilita'
operativa affinche' la Banca d'Italia nell'ambito delle decisioni che
saranno adottate dal consiglio dell'unione europea ex art.  109J  del
Trattato, per la fissazione dei tassi irrevocabili di conversione  in
euro delle valute dei paesi designati a partecipare sin dall'inizio 
alla terza fase dell'Unione 
    TITOLO III - RIDENOMINAZIONE IN EURO DEGLI STRUMENTI DI DEBITO 
    Il Titolo III del  decreto  legislativo  e'  stato  suddiviso  in
quattro sezioni, allo scopo di raggruppare in  comparti  omogenei  la
disciplina  tipica  dei  diversi  strumenti  finanziari  (prime   tre
sezioni) e di dettare in coda al provvedimento le disposizioni finali
e di carattere generale (Sezione IV). 
    Sezione I (Titoli di Stato) 
    Nella Sezione I, composta da quattro  articoli  (dall'articolo  5
all'articolo 8) si disciplina la ridenominazione in euro  dei  Titoli
di Stato. 
    Con l'articolo 5 si dispone la ridenominazione in euro di tutti i
titoli  di  Stato  denominati  in  lire  e  negoziabili  sui  mercati
regolamentati. In tal modo  sl  ridenomina  la  quasi  totalita'  dei
titoli di  Stato,  escludendo  solamente  i  titoli  nominativi  che,
proprio a  causa  della  loro  nominativita'  non  sono  fungibili  e
pertanto non possono essere negoziati sui  mercati  regolamentati,  a
differenza di tutti i titoli al portatore. 
    Con l'articolo 6 si autorizza il tesoro a  ridenominare  anche  i
propri prestiti emessi sui mercati esteri e denominati  nella  valuta
di uno Stato partecipante, a condizione che lo Stato  medesimo  abbia
provveduto a ridenominare il proprio debito pubblico, espresso  nella
propria moneta e disciplinato secondo il proprio  diritto  nazionale,
in accordo con quanto  prescritto  dal  Regolamento  Comunitario  che
sara' emanato subito dopo l'individuazione dei  paesi  facenti  parte
dell'UEM fin dal 1 gennaio 1999  (ma  il  cui  testo  e'  gia'  stato
formalmente approvato dal Consiglio Europeo). 
    L'articolo 7, suddiviso in sei commi, definisce  le  modalita'  e
gli aspetti tecnici di  maggior  rilievo  della  ridenominazione.  In
particolare: 
    -  il  comma  1  stabilisce  che  la   ridenominazione   avverra'
convertendo in euro il valore del taglio minimo di ciascun prestito e
moltiplicando il risultato per il numero di volte in cui detto taglio
minimo e' compreso nell'ammontare complessivo del prestito  medesimo.
Si richiamano altresi' le regole  di  arrotondamento  prescritte  dal
Regolamento (CE) n. 1103 del 17 giugno 1997, che per l'appunto  fissa
queste regole; 
    - il comma 2 precisa la definizione di taglio minimo per i titoli
emessi sul mercato interno e collocati tramite le  normali  procedure
d'asta; si specifica,  in  particolare,  che  per  taglio  minimo  si
intende l'importo che un sottoscrittore puo' chiedere  di  acquistare
in asta agli operatori abilitati; in tal  modo  si  evita  che  possa
esserci un'ambiguita' di interpretazione per quel che concerne i BTP. 
Infatti,  i  possessori  di  titoli  nominativi   (che,   come   gia'
specificato)  non  sono  oggetto  di  ridenominazione)  possono,   in
occasione della scadenza, chiederne al Tesoro il rinnovo  con  titoli
emessi con le normali procedure di collocamento, con il privilegio di
ricevere  anche  tagli  molto  piu'   piccoli   del   taglio   minimo
sottoscrivibile (anche 100.000 lire,  a  fronte  del  normale  taglio
minimo di cinque milioni); 
    - il comma 3 precisa che per i Titoli  emessi  per  rimborsare  i
crediti d'imposta si fa riferimento al  taglio  minimo  indicato  nel
decreto di emissione; 
    - il  comma  4  specifica  che  il  taglio  minimo  indicato  dal
prospetto di emissione e' quello da  prendere  a  riferimento  per  i
titoli emessi dalle Ferrovie dello Stato e riconosciuti  come  debito
dello Stato dalla legge n. 662 del 1996; 
    - il comma 5 rimanda ad un  apposito  decreto  del  Ministro  del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica  la  disciplina
della ridenominazione in euro degli strumenti finanziari che  saranno
oggetto di operazioni di stripping, la cui negoziazione  sui  mercati
regolamentati e' programmata per il primo  semestre  del  1998.  Tali
operazioni consistono nel frazionamento e nella negoziazione separata
delle  cedole  e  del  cosiddetto  "mantello",  rappresentativo   del
capitale nominale del prestito; 
    - il comma 6 specifica che, per effetto della ridenominazione,  i
titoli verranno suddivisi in tagli unitari di valore nominale pari ad
un centesimo di euro, che  costituiranno  a  tutti  gli  effetti  dei
titoli perfetti, negoziabili e corredati della  relativa  cedola,  il
cui importo potra' naturalmente essere  corrisposto  solo  quando  la
quantita'  posseduta  consentira'   di   far   emergere   un   valore
significativo,  cioe'  pari  ad  almeno  un  centesimo  di  euro.  Il
micro-titolo da un centesimo si configura, infatti,  in  maniera  del
tutto simile al caso di un conto corrente  la  cui  giacenza  sia  di
importo  cosi'  modesto  da  non   far   emergere   alcun   interesse
effettivamente pagabile: solo quando l'ammontare del  deposito  avra'
raggiunto un determinato livello, il tasso applicato potra'  tradursi
nella effettiva corresponsione di un  interesse.  D'altra  parte,  la
scomposizione  in  tagli  unitari  da  un  centesimo  consentira'  al
risparmiatore di poter ricomporre, attraverso l'acquisto o la vendita
di un certo numero di microtitoli, quantitativi "tondi", da 1000 euro
o multipli di tale valore,  corrispondenti  a  quello  che  sara'  il
taglio minimo di negoziazione nei mercati regolamentati a partire dal
1 gennaio 1999. 
    L'articolo  8  definisce  i  dettagli   tecnici   connessi   agli
adempimenti riguardanti i pagamenti e le transazioni  sui  titoli  di
Stato ridenominati. In particolare: 
    - il comma 1 stabilisce che, per tutte le operazioni di pagamento
relative ai titoli di Stato (in termini tecnici,  il  c.d.  "servizio
finanziario"), si fa riferimento al nuovo valore in euro  dei  titoli
ridenominati; 
    - il comma  2  specifica  che  i  valori  in  lire  indicati  sui
certificati rappresentativi dei titoli ridenominati,  riferiti  tanto
alle cedole quanto al mantello, sono da considerarsi  automaticamente
tradotti nel controvalore in euro, senza che ci sia la necessita'  di
apporre stampigliature ne', tantomeno (alla luce del Titolo  V  sulla
dematerializzazione), di ristampare il titolo cartaceo; 
    - il comma 3 detta  le  modalita'  di  calcolo  degli  interessi,
specificando che non bisogna operare  alcun  troncamento  alle  cifre
decimali, al fine di conservare il contenuto del tasso  di  interesse
che matura su ogni  micro-titolo  da  un  centesimo  originato  dalla
ridenominazione; 
    - il comma 4 rimanda ad un  apposito  decreto  del  Ministro  del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica la  definizione
di ulteriori e piu' specifici dettagli tecnici; 
    - il comma 5 garantisce ai possessori di titoli ridenominati  che
vogliano negoziare blocchi di  titoli  inferiori  a  1.000  euro  (le
cosiddette Êspezzature") la possibilita' realizzare la transazione in
condizioni di trasparenza e senza aggravi ingiustificati di costi. 
    Sezione  II  (Strumenti  di  debito  emessi  da  altri   soggetti
pubblici) 
    Nella Sezione II, composta dagli articoli 9 e 10, si  delinea  la
disciplina per la ridenominazione degli strumenti di debito emessi da
altri soggetti pubblici. 
    Con  l'articolo  9  si  ribadisce  che  il  debito  pubblico  non
negoziabile   non   e'   oggetto   di   ridenominazione,   ma   sara'
automaticamente convertito in euro il 1 gennaio 2002  (comma  1),  si
stabilisce che sara' possibile richiedere le  tradizionali  forme  di
risparmio postale denominate in  euro  fin  dall'inizio  del  periodo
transitorio (comma 2) e, per quanto riguarda in particolare  i  Buoni
postali fruttiferi, si limita la possibilita'  di  sottoscrizione  in
lire durante il  periodo  transitorio  in  relazione  alla  materiale
disponibilita' degli stampati filigranati  in  dotazione  presso  gli
sportelli postali (comma 3). 
    L'articolo  10  delimita  il  campo   di   applicabilita'   della
ridenominazione per  i  titoli  emessi  dagli  enti  territoriali  in
maniera da garantire la conservazione dei diritti dei sottoscrittori 
e la sostanziale equivalenza dei valori in causa. In particolare: 
    - il comma 1 prescrive che i titoli obbligazionari  emessi  dalle
regioni   possano   essere   ridenominati    se    rispondono    alle
caratteristiche richieste per gli emittenti privati; 
    - il comma 2 dispone che il Ministro del tesoro, del  bilancio  e
della  programmazione  economica   possa   rendere   possibile,   ove
opportuna, la ridenominazione delle emissioni  obbligazionarie  degli
enti locali territoriali di cui agli articoli 35  e  37  della  legge
724/94 (province, comuni,  comunita'  montane,  consorzi  di  comuni,
consorzi tra enti locali territoriali e regioni,  unioni  di  comuni,
consorzi tra comunita' montane ed enti locali) attraverso la modifica
del Regolamento di  disciplina  di  tali  emissioni,  avuto  riguardo
all'estrema eterogeneita' ed alla particolare  struttura  finanziaria
che li contraddistingue; tali titoli sono infatti  caratterizzati  da
rimborsi di quote capitale in corrispondenza del pagamento delle rate
di interesse, determinati caso per  caso  da  piani  di  ammortamento
verosimilmente dissimili e disparati. 
    Sezione III (Strumenti di debito privati) 
    La sezione III del titolo III riguarda la ridenominazione in euro
degli strumenti di debito privati. 
  Coerentemente con il principio "no compulsion,  no  prohibition3/4,
durante il periodo transitorio non  e'  previsto  alcun  obbligo  nei
confronti degli emittenti privati di  ridenominare  in  euro  proprie
obbligazioni e altri titoli di debito  negoziabili  sul  mercato  dei
capitali  nonche'  i  titoli  normalmente   negoziati   sul   mercato
monetario. 
    In ogni caso la ridenominazione potra' essere effettuata solo per
i titoli fungibili, con taglio minimo non inferiore a un  milione  di
lire e per i quali e' previsto il rimborso in  unica  soluzione  alla
scadenza. 
    Le modalita' operative per procedere alla ridenominazione sono le
stesse indicate per i  titoli  di  Stato.  Tale  scelta  e'  motivata
dall'esigenza di evitare una molteplicita' di sistemi di  conversione
che avrebbe potuto aumentare i costi e generare confusione. 
    Potranno  essere  ridenominati  in  euro  anche   gli   strumenti
finanziari privati, con le caratteristiche di cui  sopra,  denominati
nelle valute di altri Stati aderenti all'Unione Europea  che  abbiano
gia' proceduto alla ridenominazione. 
    I tassi di conversione - precisa il comma secondo dell'art. 13  -
sono quelli di cui all'art. 109 L, par. 4, del Trattato  e  dunque  -
verosimilmente - quelli contenuti nella nota proposta di  regolamento
C.E.  che  contiene  la  nuova  legge  monetaria  degli   Stati   che
adotteranno l'euro come moneta unica. 
    Vengono invece esclusi dal processo di ridenominazione  i  titoli
soggetti ad estrazione, quelli con piano di ammortamento che  prevede
la restituzione del capitale in tranche successive e quelli con tagli
minimi  estremamente  contenuti,  per  i  quali  la   ridenominazione
effettuata seguendo le stesse modalita' applicate  alle  obbligazioni
standard  comporterebbe  complicazioni  amministrative  ed  eccessivi
oneri a carico degli emittenti. Tali titoli resteranno denominati  in
lire ma, a partire  dal  gennaio  2002,  il  pagamento  dei  relativi
interessi e i rimborsi avverranno in euro. 
    Il necessario coordinamento delle operazioni  di  ridenominazione
sara' realizzato in un apposito  regolamento  emanato  dalla  Consob,
sentita la Banca d'Italia. 
    In particolare nella Sezione III, composta dagli articoli 11,  12
e 13: 
    a) in primo luogo, nell'articolo 11, si precisa quali  siano  gli
strumenti finanziari che possono essere ridenominati; 
    b) in secondo luogo, nell'articolo 12: 
    - al comma 1 si delineano  le  principali  caratteristiche  degli
titoli  privati  che  possono  essere  ridenominati  (taglio   minimo
abbastanza elevato da non provocare sensibili scostamenti di valore a
causa  degli  arrotondamenti,  fungibilita'  e  rimborso   in   unica
soluzione alla scadenza) e si stabilisce che si  debbano  seguire  le
regole di conversione dei valori  e  di  arrotondamento  previste  al
comma 1 dell'art. 4. In particolare, poiche'  tali  regole  implicano
che anche le obbligazioni  private  ridenominate  vengano  ad  essere
costituite da tagli unitari di importo pari ad un centesimo di  euro,
si  specifica  che,  dal  punto  di  vista  giuridico,  questa  nuova
suddivisione ha valore solo per gli effetti patrimoniali che  produce
e non si intende estesa all'esercizio di eventuali diritti societari,
quali,  ad  esempio,  il  diritto  di   voto   nell'assemblea   degli
obbligazionisti: in altri termini, se un'obbligazione da  un  milione
di lire dava diritto ad  un  voto  in  assemblea,  il  fatto  che  la
ridenominazione la trasformi  in  51.258  micro  obbligazioni  da  un
centesimo non comporta la moltiplicazione per 51.258 del  diritto  di
voto;  per  l'esercizio  di  tale   diritto,   il   peso   originario
dell'obbligazione rimane inalterato; 
    - con il comma  2  si  demanda  alla  Consob,  sentita  la  Banca
d'Italia,  di   disciplinare   operativamente   tempi   e   modi   di
realizzazione della ridenominazione degli strumenti privati, al  fine
di assicurare una transizione ordinata e trasparente; 
    c) infine, con l'articolo 13, si dispone che anche gli  strumenti
denominati nella valuta  di  un  Stato  partecipante  possono  essere
ridenominati, applicando le necessarie distinzioni per la  differente
moneta di denominazione iniziale, in analogia a quanto previsto per i
titoli pubblici. 
    Sezione IV (Disposizioni generali) 
    Nella Sezione IV, contenente disposizioni di carattere generale: 
    - attraverso il disposto dell'articolo 14, che fa riferimento  al
periodo che inizia dal 1 gennaio  2002,  in  cui  l'euro  diventa  la
moneta nazionale italiana, si sancisce  l'equivalenza  tra  i  valori
degli strumenti ancora  formalmente  espressi  in  lire  e  i  valori
effettivi in euro; 
    -  con  l'articolo   15   si   precisa   che,   pur   funzionando
esclusivamente in euro tutti i  mercati  regolamentati,  nel  periodo
transitorio  la  clientela  potra'  intrattenere  rapporti  con   gli
intermediari sia in lire che in euro. 
    TITOLO IV - L'EURO, LA MONETA DI CONTO E I DOCUMENTI OBBLIGATORI 
A RILEVANZA ESTERNA 
    Sezione I (Disposizioni per le imprese in genere) 
    Articolo 16 (Adozione dell'euro quale moneta di conto) 
    Premessa. Il presente  articolo  da'  attuazione  all'articolo  8
della legge delega e fissa i principi generali relativi  all'adozione
dell'euro  quale  moneta  di  conto.  L'articolo  riguarda  tutte  le
imprese, anche quelle che non  corrono  rischi  di  cambio.  Infatti,
l'adozione dell'euro quale moneta di conto interessera' prima  o  poi
anche quelle imprese  che  non  hanno  in  essere  alcuna  operazione
soggetta al detto rischio. 
    Col termine imprese, ci si riferisce alla nozione piu' ampia  che
l'ordinamento conosce, quella dell'ordinamento tributario. 
    Alle disciplina delle operazioni in corso soggette al rischio  di
cambio relativo ad una delle valute aderenti all'euro  sono  dedicati
appositi articoli. 
    Primo comma. Il comma fissa il  principio  che  le  imprese  sono
libere di adottare l'euro quale moneta di conto gia' a partire dal  1
gennaio 1999 e ribadisce che l'obbligo scatta solo a  partire  dal  1
gennaio 2002. 
    L'adozione dell'euro e'  valida  ad  ogni  effetto:  civilistico,
tributario o di altra natura. 
    Secondo  comma.  Il  comma  stabilisce  che  quando   l'euro   e'
utilizzato quale moneta di conto, i documenti contabili obbligatori a
rilevanza esterna riferiti ad una data compresa tra il 1 gennaio 1999
e il 31 dicembre 2001 possono essere redatti  e  pubblicati  in  euro
mentre  se  riferiti  a  date  successive  devono  essere  redatti  e
pubblicati in euro. Come per  il  comma  precedente,  si  afferma  il
principio che la redazione dei suddetti documenti in euro  e'  valida
ad ogni effetto. 
    Non tutti  i  documenti  contabili  obbligatori  rientrano  nella
definizione della norma, ma solo quelli che hanno rilevanza  esterna,
in quanto tali rivolti potenzialmente  erga  omnes.  Sono  quindi  ad
esempio escluse le cosiddette segnalazioni di  vigilanza  che  talune
categorie di imprese  sono  tenute  ad  inoltrare  periodicamente  ai
rispettivi  organi  di  controllo  (si  pensi  alle  banche  e   alle
assicurazioni) e quei documenti contabili richiesti  dalle  autorita'
nell'esercizio dei loro poteri, non destinati al pubblico indistinto. 
    Naturalmente,  sono  esclusi  dalla   definizione   i   documenti
contabili non obbligatori, anche se hanno rilevanza esterna. 
    Il comma consente la redazione e la  pubblicazione  in  euro  dei
documenti contabili obbligatori a rilevanza esterna a condizione  che
l'euro sia utilizzato quale moneta di conto. La condizione  e'  posta
al fine di mantenere un legame tra forma e sostanza, cosi' da evitare
che i documenti possano essere redatti e pubblicati in  euro  (forma)
quando la moneta di conto resta la  lira  (sostanza).  Nell'accezione
comune, la moneta di  conto  e'  quella  solitamente  utilizzata  per
rilevare le operazioni di gestione (al limite, si potrebbe  dire:  la
moneta  nella  quale  l'impresa  quotidianamente   "pensa")   e,   di
conseguenza, quella nella quale - di regola - si redigono i documenti
contabili obbligatori a rilevanza esterna. Ma non potrebbe  dirsi  il
contrario. I suddetti documenti contabili potrebbero  infatti  essere
redatti in una  moneta  diversa  da  quella  di  conto  ma  cio'  non
autorizzerebbe a dire che la moneta di conto e' quella utilizzata per
redigerli. 
    Ad eccezione di quanto previsto al comma  3,  e'  sembrato  fuori
luogo consentire che un'impresa potesse, al limite,  non  fare  alcun
passo per adottare l'euro quale moneta di conto per tutto il triennio
transitorio - cosi' snaturando la stessa funzione di adattamento alla
nuova realta' che il triennio transitorio e' chiamato a svolgere - ma
redigere e pubblicare i documenti contabili obbligatori  a  rilevanza
esterna in euro. 
    D'altra parte, si consideri che, almeno per  quanto  riguarda  il
bilancio d'impresa, anche qualora  si  fosse  tenuti  a  redigerlo  e
pubblicarlo in  lire  perche'  non  si  rispetta  la  condizione,  si
mantiene comunque la facolta' di poterlo pubblicare  anche  in  euro,
cosi' come stabilisce il modificato comma 2  dell'articolo  2435  del
codice civile (cfr. il comma 4 dell'articolo 4). 
    Inoltre, si consideri che la condizione  e'  stata  costruita  in
modo da renderla il piu' possibile elastica. La moneta di conto viene
infatti definita all'articolo 1 come la moneta che, a partire  da  un
dato momento, risulta in prevalenza  utilizzata  per  la  rilevazione
delle operazioni di gestione. La prevalenza, quindi, non va  riferita
al complesso delle operazioni di gestione poste in essere nel periodo
a cui il documento si riferisce ma e' sufficiente che sia  realizzata
a partire da un dato momento, anche a  periodo  inoltrato,  guardando
quindi al presente. Nella consapevolezza che le rilevazioni contabili
sono ormai diffusamente attuate, anche nelle  realta'  piu'  piccole,
mediante l'utilizzo di molteplici procedure informatiche  che  spesso
possono essere introdotte solo in successione, si vuole consentire la
redazione e la pubblicazione dei documenti  contabili  obbligatori  a
rilevanza esterna in euro anche a quelle imprese che non  fossero  in
grado di far partire simultaneamente tutte le procedure  informatiche
in euro fin dall'inizio del periodo a cui i documenti si riferiscono. 
Quindi, ad  esempio,  un'impresa  potra'  redigere  e  pubblicare  il
proprio bilancio in euro purche' l'euro sia la moneta  in  prevalenza
utilizzata per rilevare le operazioni di gestione  a  partire  da  un
qualunque momento precedente non solo  la  data  di  riferimento  del
bilancio ma la stessa delibera del Consiglio di  Amministrazione  che
ne approva la bozza. Solo se ancora a  questa  data-limite  l'impresa
utilizzasse in prevalenza la  lira  quale  moneta  di  conto  sarebbe
tenuta a redigere e pubblicare il bilancio di quell'esercizio  ancora
in lire. 
    L'uso abbinato dei termini  redigere  e  pubblicare  conferma  la
circostanza  che  la  norma  riguarda  i  soli  documenti   contabili
obbligatori a rilevanza esterna. Il termine pubblicare va  inteso  in
senso lato, con riferimento alle forme di divulgazione  di  volta  in
volta previste per i vari tipi di documenti contabili  obbligatori  a
rilevanza esterna. 
    Terzo comma. La condizione posta per le  imprese  in  genere  col
comma 2 non opera per le banche, le societa' finanziarie, le  imprese
di  assicurazione,  le  societa'  quotate  e  le  rispettive  imprese
controllate, cosi' come definite  dalle  norme  che  disciplinano  il
bilancio consolidato. Si tratta di imprese soggette - direttamente  o
indirettamente - ad autorita' di controllo, per le quali  lo  stimolo
ad  adattarsi  alla  nuova  realta'  si  ritiene  venga  gia'  svolto
efficacemente  dalle  specifiche  norme  che  le   regolano   e   dal
particolare contesto "vigilato" in cui esse operano. 
    Quarto comma. Il comma fissa  i  principi  di  omogeneita'  e  di
irreversibilita' nella redazione dei documenti contabili  obbligatori
a rilevanza esterna. 
    A partire dalla data di riferimento del primo documento contabile
obbligatorio redatto in euro, tutti i documenti contabili obbligatori
riferiti a quella data (principio di omogeneita') e a date successive
(principio di irreversibilita') vanno  redatti  in  euro,  salvo  che
ricorrano particolari ragioni. 
    La  valutazione  e  la  decisione  circa  la  sussistenza   delle
particolari ragioni e' lasciata alle  imprese,  alle  quali  peraltro
s'impone l'obbligo di illustrare nei documenti contabili  obbligatori
i motivi  che  le  hanno  portate  a  non  applicare  i  principi  di
omogeneita' e  di  irreversibilita'.  La  responsabilizzazione  delle
imprese, accompagnata dall'obbligo di informativa, e' sembrata essere
una strada senz'altro piu'  flessibile  di  quella,  ad  esempio,  di
predeterminare i casi nei quali sarebbe stato possibile  derogare  ai
suddetti principi. 
    Quinto comma. Il comma chiarisce un aspetto  che  avrebbe  potuto
dar luogo a dei problemi  operativi  e  a  comportamenti  eterogenei.
Quando nei documenti contabili obbligatori e' richiesta l'indicazione
di dati comparativi riferiti a date precedenti  l'adozione  dell'euro
quale  moneta  di  conto,  la  conversione  in  euro  degli   importi
originariamente  espressi  in  lire  va  effettuata   al   tasso   di
conversione con la lira. 
    Sesto  comma.  Il  comma  tratta  delle  differenze  dovute  alla
traduzione in euro dei valori di conto espressi in lire. Nel  momento
in cui occorre trasformare i valori di  conto  dalla  lira  all'euro,
possono rilevarsi delle differenze dovute in particolare al fatto che
si migra verso una moneta di conto la cui unita'  divisionale  minima
e' circa 19-20 volte  superiore  alla  lira  (un  centesimo  di  euro
presumibilmente ammontera' infatti a circa 19-20 lire). La  questione
riguarda tutte le imprese che cambiano moneta di conto, a prescindere
dal fatto che abbiano in essere operazioni  soggette  al  fischio  di
cambio. 
    Di tutte le differenze di traduzione occorre fare  il  saldo,  il
che concorre a ridurne l'ammontare a cosa  di  poco  conto,  a  causa
delle  compensazioni  che  cio'  comporta  tra  differenze  di  segno
opposto. 
    Il saldo delle differenze puo' essere  direttamente  imputato  in
una riserva. 
    Settimo e ottavo comma. Il comma 7 anticipa gli effetti di quanto
stabilito al comma 8 (formulato in modo da regolare le  operazioni  a
regime, successive al termine del periodo transitorio)  ai  documenti
contabili  obbligatori  a  rilevanza  esterna  redatti  in  euro  nel
triennio compreso tra il 1 gennaio 1999 e il 31 dicembre 2001. 
    Le lettere a) e b) del comma 8, introducono  per  le  imprese  in
genere (quelle soggette al  D.  Lgs.  n.  127/91)  due  significative
novita'  volte  a  semplificare   gli   adempimenti,   a   migliorare
snellendola - l'informativa  esterna  e  a  rendere  i  bilanci  piu'
facilmente comparabili con quelli delle imprese  degli  altri  paesi.
Infatti si stabilisce che  il  bilancio  d'impresa  va  redatto  alle
unita' di euro senza  cifre  decimali,  con  l'eccezione  della  nota
integrativa che puo' essere redatta in migliaia di euro. Il  bilancio
consolidato, a sua volta, puo' essere redatto in migliaia di euro. 
    Sono principi di portata generale, in quanto tali applicabili per
analogia anche ai documenti contabili obbligatori a rilevanza esterna
diversi dal bilancio d'impresa e consolidato. 
    Le  norme  attuali  nulla  dicono  a  questo  proposito  con   la
conseguenza che a tutt'oggi e' prassi generalizzata che  il  bilancio
d'impresa  (ivi  compresa  la  nota  integrativa)   e   il   bilancio
consolidato  siano  redatti  alla  lira,  non  essendo  espressamente
consentito - salvo casi particolari - adottare sintesi superiori. 
    Le lettere c)  e  d)  si  riferiscono  alle  imprese  bancarie  e
finanziarie (quelle  soggette  al  D.  Lgs.  n.  87/92)  e  replicano
nell'ordinamento settoriale quanto stabilito per le imprese in genere
con le lettere a) e b), ma con una differenza. Alla  Banca  d'Italia,
tramite gli atti di cui all'articolo 5 del citato decreto, e' infatti
data la facolta' di consentire o imporre che la nota integrativa e il
bilancio consolidato siano redatti in migliaia di euro o con un grado
di sintesi anche maggiore, sentita la Consob se si tratta di societa'
quotate. 
    Le lettere e) ed f) si riferiscono alle imprese di  assicurazione
(quelle soggette al D. Lgs. n. 173/97) e  replicano  nell'ordinamento
settoriale quanto stabilito per le imprese in genere con  le  lettere
a)  e  b),  ma  -  anche  qui  -  con  una   differenza.   All'ISVAP,
nell'esercizio dei poteri indicati all'articolo 6 del citato decreto,
e' infatti data la facolta' - analogamente a quanto previsto  per  la
Banca d'Italia - di consentire o imporre che la nota integrativa e il
bilancio consolidato siano redatti in migliaia di euro o con un grado
di sintesi anche maggiore, sentita la Consob se si tratta di societa'
quotate. 
    La  lettera  g)  attribuisce  alla  Consob  i   medesimi   poteri
attribuiti alla Banca d'Italia e all'ISVAP  per  quanto  riguarda  le
societa'  quotate  diverse  da   quelle   bancarie,   finanziarie   e
assicurative. 
    Articolo 17 (Conversione in euro del capitale sociale) 
    Premessa. La questione della conversione del capitale sociale  si
colloca nel piu' ampio contesto della traduzione in euro  dei  valori
di conto. Pertanto, come la scelta del momento in cui adottare l'euro
quale moneta di conto  al  posto  della  lira  e'  libera,  cosi'  la
traduzione  del  capitale  sociale  puo'  essere  effettuata  in   un
qualunque momento del triennio 1 gennaio 1999-31 dicembre 2001 e  non
e'  dunque  necessario  compierla   all'inizio   di   tale   periodo.
Naturalmente,  appare  logico  attendersi  che   questa   operazione,
rappresentando uno dei  passi  da  compiere  verso  il  generalizzato
impiego dell'euro quale  moneta  di  conto,  di  solito  avverra'  in
connessione con le restanti operazioni  che  occorre  effettuare  per
passare alla nuova valuta. Cio' tuttavia non preclude alle imprese di
operare diversamente, laddove esigenze legate alla loro  operativita'
o al funzionamento dei mercati lo rendano opportuno. 
    La circostanza che  il  capitale  sociale  sia  rappresentato  da
azioni aventi ciascuna un proprio valore nominale  da  convertire  in
euro  col  vincolo  dell'unita'  divisionale  minima  dei   centesimi
richiede una  specifica  disciplina  della  conversione  al  fine  di
mantenere intero il rapporto tra i sottomultipli  (le  azioni)  e  il
multiplo (il capitale sociale). Inoltre, occorre adottare particolari
cautele quando al valore nominale delle azioni sono  commisurati  dei
privilegi e quando esso e' di modesto ammontare. 
    I commi da 1 a 4 si applicano qualora  le  societa'  scelgano  di
avvalersi della procedura semplificata prevista dal  comma  5.  Negli
altri casi le societa' sono  libere  di  procedere  in  modo  diverso
seguendo le regole ordinarie e fermo restando il vincolo di un valore
nominale  delle  azioni  in  euro  espresso  con  massime  due  cifre
decimali. 
    Primo comma. Il comma detta la regola di conversione in euro  del
capitale sociale quando il valore nominale delle azioni e'  superiore
alle duecento lire. Si parte dal valore nominale in lire di  ciascuna
azione, gli si applica il tasso di conversione e lo si  arrotonda  ai
centesimi di euro secondo  le  regole  dettate  dall'articolo  5  del
Regolamento (CE) n. 1103/97. Naturalmente,  moltiplicando  il  valore
cosi' ottenuto per  il  numero  delle  azioni  si  ottiene  il  nuovo
ammontare del capitale sociale espresso in euro. 
    Poiche' l'operazione di arrotondamento delle azioni ai  centesimi
di euro comporta una variazione  in  aumento  o  in  diminuzione  del
valore  nominale  unitario  delle  azioni  (e  quindi  del   capitale
sociale), si regolano coi commi 2, 3 e 4  le  relative  modalita'  di
attuazione. 
    Secondo, terzo e quarto comma. Se l'arrotondamento  ai  centesimi
di euro viene effettuato per eccesso (comma 2),  il  valore  nominale
unitario delle azioni e il capitale sociale sono  aumentati  mediante
l'utilizzo di riserve, ivi compresa quella legale  se  necessaria,  e
dei fondi speciali iscritti in bilancio. Rimangono impregiudicate  le
valutazioni ai fini fiscali  relative  alle  vicende  successive  del
capitale incrementato ai sensi della medesima disposizione. 
    Qualora  le  riserve  mancassero  o  fossero  insufficienti   per
realizzare l'aumento di capitale  richiesto  dall'arrotondamento  per
eccesso (comma 3), si consente il  troncamento  del  risultato  della
conversione del valore nominale  unitario  delle  azioni.  In  questa
ipotesi,  infatti,  se  non  si   ammettesse   il   troncamento,   si
obbligherebbero i soci ad effettuare quei conferimenti  occorrenti  a
raggiungere il risultato richiesto dall'arrotondamento  per  eccesso.
Naturalmente, se si opera mediante troncamento,  si  procede  con  le
stesse modalita' di attuazione dell'arrotondamento per difetto. 
    Se l'arrotondamento ai centesimi di  euro  viene  effettuato  per
difetto (o in caso di troncamento), il valore nominale unitario delle
azioni e il  capitale  sociale  sono  diminuiti  (comma  4)  mediante
accredito della riserva legale che risulta essere, dopo  il  capitale
sociale, la posta di patrimonio netto soggetta al maggior  numero  di
vincoli anche per quanto riguarda le sue modalita' di utilizzo. 
    Quinto comma. La norma dispone  una  procedura  semplificata  per
tutte le operazioni indicate ai commi precedenti. 
    Infatti,    si    attribuisce    agli     amministratori     (sia
all'Amministratore unico sia  al  Consiglio  di  Amministrazione)  il
relativo potere in deroga agli articoli 2365 e 2376 del codice civile
e, con riferimento all'operazione di aumento del capitale sociale  di
cui al comma 2, anche in deroga all'articolo 2443 del codice civile. 
    Inoltre, qualora si proceda a riduzioni del valore nominale delle
azioni  (e  del  capitale  sociale)  non  si  applica  il   comma   3
dell'articolo 2445 del codice civile. 
    I verbali del consiglio possono essere redatti senza l'assistenza
del  notaio  ma  vanno  comunque  depositati  e  iscritti   a   norma
dell'articolo 2436 del codice civile Gli amministratori sono tenuti a
riferire del loro operato alla prima assemblea utile. 
    L'attribuzione agli amministratori del potere  di  modificare  il
capitale sociale - tipica materia di  competenza  assembleare  -  non
comporta alcun potere discrezionale e si  configura  come  attuazione
vincolata di un obbligo di legge. La conversione, in altre parole, si
configura come tecnicamente dovuta a motivo  della  sostituzione  del
"metro" monetario e della conseguente - e prima o  poi  necessaria  -
riespressione in euro del capitale sociale. Si consideri infatti che: 
    Le fattispecie sono individuate senza possibilita'  di  equivoco:
quando le azioni hanno valore nominale superiore alle duecento  lire,
e sempre che non vi siano azioni con privilegi commisurati al  valore
nominale: vedi il successivo comma 6. 
    Cio'  significa   consentire   -   fermo   restando   l'ammontare
complessivo  del  patrimonio   netto,   garantito   dall'obbligo   di
"movimentare" in contropartita le riserve -  una  variazione  massima
del capitale sociale del 5%, come viene dimostrato qui di seguito. 
    La variazione percentuale massima che il capitale sociale viene a
subire per effetto della sua conversione  ai  centesimi  di  euro  e'
funzione inversa dell'ammontare del valore nominale delle  azioni,  a
parita' di altre condizioni. Quanto maggiore e'  il  valore  nominale
tanto minore e' la variazione, quanto minore e'  il  valore  nominale
tanto maggiore e' la variazione. 
    Assumendo orientativamente che un euro valga tra le  1.900  e  le
2.000  lire,  e  considerando  che  lo  scarto  massimo  dovuto  agli
arrotondamenti e' pari a 5 millesimi di euro (ovvero 0,005 euro),  si
puo' calcolare la percentuale massima di variazione che  il  capitale
sociale subisce al variare del valore nominale unitario di partenza: 
 
  (a) (b) = (a) / 2.000 e 1.900 (c) (d) = (c) (b) x 
                                                          100 
 
  Valore Importo in euro troncato Scarto massimo Variazione % 
 nominale ai centesimi dell'arrotondamento massima 
 unitario del capitale 
                           in lire sociale 
 
  5.000 2,5 - 2,63 0,005 0,2 - 0,19 
  2.000 1 - 1,05 0,005 0,5 - 0,48 
  1.000 0,50 - 0,52 0,005 1,00 - 0,96 
    750 0,37 - 0,39 0,005 1,35 - 1,28 500 0,25 - 0,26  0,005  2,00  -
    1,92 200 0,10 - 0,11 0,005 5 - 4,55 100 0,05 - 0,05 0,005 10,00 -
    10,00 
 
    Come si vede, se il valore nominale  supera  o  e'  pari  a  lire
1.000, la  variazione  massima  del  capitale  sociale  e'  inferiore
all'1%, se supera o e' pari a lire 500 e' inferiore al 2%, se  supera
o e' pari a lire 200 e' inferiore al 5%. Di conseguenza,  consentendo
agli  amministratori  di  procedere  alla  conversione  in  euro  del
capitale sociale in presenza di un valore nominale superiore  a  lire
200, si ha al tempo stesso la certezza matematica che  la  variazione
massima che il capitale sociale subira' a causa della sua conversione
ai centesimi di euro non potra' superare  il  5%.  Si  tratta  di  un
limite di variazione giudicato contenuto e ragionevole. 
    Le modalita' di conversione sono automatiche: gli  amministratori
sono infatti tenuti ad  effettuare  la  conversione  seguendo  regole
vincolanti anche per quanto riguarda l'arrotondamento. 
    Naturalmente, le societa' sono libere  di  modificare  il  valore
nominale delle azioni e  il  capitale  sociale  seguendo  una  strada
diversa da quella "automatica" prevista dalla procedura  semplificata
del comma 5 - al fine, ad esempio, di  raggiungere  importi  nominali
tondi, di un euro o frazioni di euro - ma in tal caso si applicano le
regole ordinarie. 
    Sesto comma. Il comma si occupa di due situazioni particolari: 
    - quando al valore nominale delle azioni - quale che sia  il  suo
ammontare - sono commisurati  privilegi  (si  pensi  alle  azioni  di
risparmio); 
    - e quando il valore nominale e' pari o inferiore alle 200 lire. 
    Al ricorrere di queste situazioni la competenza a decidere  circa
la conversione in euro del capitale sociale viene mantenuta  -  senza
possibilita' di procedure semplificate - in capo ai soci  secondo  le
regole "ordinarie" che disciplinano il formarsi della loro volonta'. 
    Circa l'esito della conversione s'impone che il  valore  nominale
risulti espresso in euro con non piu'  di  due  decimali.  Si  lascia
invece piena liberta' di giungere, se lo si desidera, a valori  tondi
di un euro o suoi multipli in accordo  col  nuovo  principio  fissato
obbligatoriamente per le sole societa' di nuova costituzione (si veda
la lettera b) del comma 2 dell'articolo 4). 
    Circa le modalita' di conversione viene anzitutto tolto l'obbligo
- previsto nel caso a decidere siano gli amministratori - di  operare
con arrotondamenti automatici, non essendovi qui l'esigenza d'evitare
un potere discrezionale. 
    Inoltre, si lascia  liberta'  di  scelta  circa  i  modi  in  cui
l'obiettivo di massime due cifre decimali va  raggiunto:  aumenti  di
capitale  gratuiti,   a   pagamento   o   misti,   raggruppamenti   o
frazionamenti di azioni o riduzioni di capitale. 
    Nel solo caso di riduzione del capitale sociale si stabilisce che
esso va attuato mediante accredito della riserva legale  -  cosi'  da
mantenere inalterato l'ammontare del patrimonio netto  -  e  che  non
puo' superare il 5% del  capitale  sociale  medesimo.  In  tal  caso,
analogamente a quanto previsto per le riduzioni di  capitale  attuale
dagli amministratori, non si applica il comma  3  dell'articolo  2445
del codice civile. 
    Le riduzioni del capitale sociale che vengono a  determinarsi  ai
sensi del  presente  articolo  configurano  una  fattispecie  diversa
rispetto a quelle "canoniche"  disciplinate  dall'articolo  2445  del
codice civile che tratta della riduzione del capitale esuberante. 
    Un conto, infatti, e' disciplinare riduzioni di capitale  imposte
o consentite (ma comunque entro il limite massimo del 5%)  le  quali,
aumentando  contestualmente  la  riserva   legale,   non   modificano
l'ammontare complessivo del patrimonio  netto;  tutt'altro  conto  e'
disciplinare quelle riduzioni del  capitale  sociale  volontarie  che
comportano al tempo stesso una  riduzione  del  patrimonio  netto  in
quanto liberano i soci dall'obbligo dei versamenti  ancora  dovuti  o
procedono al rimborso del capitale ai soci. Ad  ogni  modo,  al  fine
d'evitare  ogni  possibile  dubbio  interpretativo  e  facilitare  la
conversione si e' stabilita espressamente  la  non  applicazione  del
comma 3 dell'articolo  2445  del  codice  civile  alle  riduzioni  di
capitale attuate ai sensi del presente articolo. 
    In questo contesto, i creditori  sociali  nel  cui  interesse  e'
posto il richiamato comma 3  dell'articolo  2445  del  codice  civile
risultano ugualmente tutelati. 
    Al fine di agevolare le operazioni di conversione  e'  consentita
la  movimentazione  delle  riserve,  in  contropartita  del  capitale
sociale, come illustrata nei commi 2 e 4,  nonche'  l'acquisto  delle
azioni proprie in deroga alle disposizioni di cui  all'articolo  2357
del codice civile. 
    Settimo comma. Il comma, considerata la necessita' di ridurre gli
oneri   a   carico   delle   societa',   stabilisce   che   l'obbligo
all'annotazione sui titoli del mutato valore nominale non opera primo
a quando non ricorrono altre ragioni  di  modifica  e  differisce  al
secondo esercizio successivo a quello  nel  quale  la  variazione  e'
avvenuta l'obbligo di indicare  negli  atti  e  nella  corrispondenza
l'ammontare del capitale sociale, sempre che il capitale sia  variato
in applicazione dell'articolo 17. 
    Ottavo comma. Il comma determina l'ammontare "legale" minimo  del
capitale sociale post conversione. Per le societa' per azioni  e'  di
centomila euro e per le societa' a  responsabilita'  limitata  e'  di
diecimila euro. 
    Al fine di fugare ogni possibile dubbio,  la  norma  non  fa  che
ribadire, per il caso della conversione in euro del capitale espresso
in lire di societa' gia' esistenti, quanto l'articolo 4 stabilisce  a
proposito delle societa' di nuova costituzione  che  esprimeranno  il
capitale sociale in euro fin dalla costituzione. 
    Nono comma. Prevede che le negoziazioni dei titoli azionari  sono
effettuate esprimendo i prezzi unitari in  euro,  con  il  numero  di
cifre decimali determinato dalle societa' di  gestione  del  mercato,
nel  rispetto  dell'autonomia  dei  mercati  e  degli  operatori  del
settore. 
    Decimo comma. Il comma estende alle  societa'  a  responsabilita'
limitata le regole previste da alcuni dei  commi  precedenti  per  le
societa' il cui capitale sociale e' rappresentato  da  azioni.  Anche
per il capitale sociale delle societa' a responsabilita'  limitata  -
diversamente da quanto accade per le restanti forme societarie  -  si
pongono problemi analoghi a quelli visti in precedenza, dato  che  il
capitale stesso e' rappresentato, com'e' noto,  da  quote  aventi  un
proprio valore unitario (cfr. i commi  primo  e  terzo  dell'articolo
2474 del codice civile). 
    Articolo  18  (Criteri  di  rilevazione  delle  operazioni  e  di
trattamento delle relative differenze cambio) 
    Premessa. L'articolo da' attuazione all'articolo  9  della  legge
delega per  le  imprese  in  genere  e  tratta  sia  dei  criteri  di
rilevazione delle operazioni in corso soggette al rischio  di  cambio
"generato" da una delle valute aderenti all'euro, sia del trattamento
delle relative differenze cambio. 
    Conformemente  alle  indicazioni  riportate  nel   documento   di
orientamento  della  Commissione  Europea  n.  XV/7002/97   titolato:
"Aspetti contabili dell'introduzione  dell'euro",  la  disciplina  e'
stata disegnata nell'ambito del vigente quadro normativo  comunitario
in materia di bilancio. 
    Primo comma. L'articolo si applica ai bilanci d'impresa redatti a
far tempo da quelli chiusi o in  corso  al  31  dicembre  1998  e,  a
differenza dell'articolo 16, non riguarda tutte le  imprese  ma  solo
quelle che corrono rischi di cambio  in  una  delle  valute  aderenti
all'euro. 
    I bilanci chiusi al 31  dicembre  1998  vanno  ancora  redatti  e
pubblicati obbligatoriamente in lire, quelli chiusi a date successive
comprese nel triennio 1 gennaio 1999-31 dicembre 2001 possono  essere
redatti  e  pubblicati  in  euro  nel  rispetto  di  quanto  previsto
all'articolo 16. 
    Peraltro, quale  che  sia  la  moneta  di  conto  utilizzata  per
redigere e pubblicare il bilancio, occorre disciplinare le operazioni
in corso al 31  dicembre  1998  soggette  al  richiamato  rischio  di
cambio. 
    Secondo comma. Il comma detta  i  criteri  di  rilevazione  delle
operazioni  in  corso  e  stabilisce  l'obbligo,  limitatamente  agli
elementi  monetari,  di  tradurli  in  lire  adottando  i  tassi   di
conversione irrevocabilmente  fissati  e  le  regole  previste  dagli
articoli 4 e 5 del Regolamento (CE) n. 1103/97 del 17 giugno 1997. 
    Gli elementi monetari, definiti alla lettera q) dell'articolo  1,
non possono essere quindi convertiti  in  lire  adottando  il  cambio
"storico". 
    Nulla cambia rispetto a prima per quanto riguarda la  conversione
in moneta  di  conto  delle  operazioni  in  corso  rappresentate  da
elementi  non  monetari,  anche  se  rientranti  nella   contabilita'
plurimonetaria eventualmente tenuta. 
    Terzo, quarto, quinto e sesto comma. Il comma 3 inizia a  dettare
le  regole  di  trattamento  delle  differenze  cambio  rilevate   in
applicazione del comma 2 prevedendo che esse vanno per intero incluse
nel conto economico. 
    In  alterativa,  il  comma  4  prevede  che  le  imprese  possono
scegliere di applicare il trattamento previsto  dal  comma  5  o  dal
comma 6. 
    Con distinto riferimento a ciascun elemento monetario, il comma 5
consente di ripartire la relativa differenza cambio in funzione della
durata residua e della prevista evoluzione del capitale dell'elemento
considerato (metodo analitico pro rata). 
    Se l'elemento monetario viene  incassato,  pagato  o  ceduto,  la
differenza cambio residua va per intero inclusa nel  conto  economico
nel quale l'incasso, il pagamento o la cessione avvengono. 
    Il comma 6, a sua volta,  consente  di  ripartire  le  differenze
cambio in quote costanti nell'esercizio e nei tre successivi  (metodo
sintetico), anziche' includerle per intero  nel  conto  economico  ai
sensi del comma 3.  La  ripartizione  delle  differenze  cambio  deve
riguardare - sempre per l'intero - sia  quelle  negative  sia  quelle
positive; non e' quindi consentita una ripartizione  cronologicamente
diversa delle differenze negative e di quelle positive. 
    Settimo  comma.  Il  comma  prevede  che  le  differenze   cambio
concorrono a determinare il reddito d'impresa nell'esercizio  in  cui
sono iscritte nel conto economico. In tal  modo,  si  assicura  piena
uniformita' di trattamento tra la  disciplina  civilistica  e  quella
tributaria del fenomeno, secondo le indicazioni contenute nella legge
delega. 
    La norma  attribuisce  rilevanza  tributaria  all'iscrizione  nel
conto economico delle differenze  cambio.  Considerata  isolatamente,
l'espressione "iscritte nel  conto  economico"  potrebbe  in  realta'
prestarsi ad equivoci. Infatti, in linea di principio possono  aversi
iscrizioni nel  conto  economico  che  producono  una  corrispondente
variazione del reddito d'esercizio e iscrizioni  che,  per  il  fatto
d'avvenire per ammontari bilanciati inclusi tanto tra i costi  quanto
tra i ricavi, non  producono  alcun  effetto  sul  reddito,  come  ad
esempio accade quando la "capitalizzazione" dei componenti di reddito
avviene mediante accrediti e addebiti  al  conto  economico  di  pari
ammontare. 
    Per questa ragione, al comma 8 si e'  previsto  che  l'iscrizione
(eventuale) nello stato patrimoniale delle differenze cambio  avvenga
direttamente, senza possibilita' di transito per il conto  economico.
In tal modo, l'espressione  "iscritte  nel  conto  economico"  assume
sempre  l'univoco  significato  di   iscrizione   che   produce   una
corrispondente variazione del reddito d'esercizio. 
    Ottavo e nono comma. Il comma 8 prescrive che l'iscrizione  nello
stato    patrimoniale    delle    differenze     cambio     derivanti
dall'applicazione dei commi 5 o 6 avvenga direttamente. 
    Il comma  9,  infine,  richiede  che  al  numero  1)  della  nota
integrativa siano fornite alcune specifiche informazioni inerenti  le
differenze cambio. 
    Decimo comma. Il comma contiene disposizioni volte  a  confermare
la neutralita' tributaria del passaggio all'Euro, al fine di  evitare
possibili dubbi  interpretativi.  La  disposizione,  in  particolare,
chiarisce i rapporti che intercorrono tra  il  regime  civilistico  e
tributario previsto dai precedenti commi per  gli  elementi  monetari
indicati nel comma 2 e quanto stabilito  dall'articolo  76  del  TUIR
circa  le  stabili  organizzazioni  all'estero.  Al  riguardo   viene
precisato che l'introduzione dell'euro non comporta  alcuna  modifica
del trattamento tributario delle differenze che si registrano  da  un
esercizio all'altro a motivo della conversione in moneta di conto (ai
cambi alla data di chiusura dell'esercizio) dei saldi di conto  delle
stabili organizzazioni all'estero, se relativi ad elementi monetari e
non monetari, diversi da  quelli  indicati  nel  comma  2  (regolati,
questi ultimi, dagli altri commi dell'articolo 18). 
    Poiche' la disciplina dettata dal secondo comma dell'articolo  76
del decreto del presidente della Repubblica.  n.  917/86  si  applica
alle  imprese  di  qualunque   settore   (industriali,   commerciali,
bancarie, finanziarie, assicurative, ecc.), cio' vale - a fortiori  -
per il chiarimento disposto dal presente comma. 
    Articolo 19 (Bilancio consolidato) 
    Analogamente a quanto gia' avviene, si ribadisce che al  bilancio
consolidato si applicano le disposizioni  previste  per  il  bilancio
d'esercizio. Diversamente da quanto previsto per le imprese  bancarie
e finanziarie (cgr. L'articolo 23,  comma  2)  e  assicurative  (cfr.
l'articolo 25, comma 2), nulla viene detto in ordine  al  trattamento
delle differenze derivanti dalla conversione  del  patrimonio  netto,
denominato in valute aderenti, delle imprese controllate incluse  nel
consolidamento, cosi' come nulla dice a questo proposito  il  decreto
legislativo n. 127 del 1991. Conseguenza pratica di questa scelta  e'
che le imprese restano libere - come in precedenza -  di  seguire  le
indicazioni   fornite   dai   principi    contabili    nazionali    e
internazionali,  i  quali  prevedono,  secondo  i  casi,  un  diverso
trattamento di queste differenze. 
    Articolo 20 (Operatori economici diversi dalle imprese) 
    La norma stabilisce che i principi fissati dai commi 1, 2, 4, 5 e
6 dell'articolo 16 valgono anche per gli operatori economici  diversi
dalle imprese. 
    SEZIONE II (Disposizioni speciali per le  banche  e  le  societa'
finanziarie) 
    Articolo  21  (Criteri  di   rilevazione   delle   operazioni   e
trattamento delle relative differenze cambio) 
    Premessa.  Il  presente  articolo   da'   attuazione,   per   gli
intermediari bancari e finanziari, all'articolo 9 della legge delega. 
Esso disciplina -  come  il  precedente  articolo  18  relativo  alle
imprese in genere - i criteri da utilizzare per la rilevazione  delle
operazioni  in  corso  attive  e  passive  (comprese  quelle   "fuori
bilancio") comunque influenzate  dalla  fissazione  irrevocabile  dei
tassi di conversione tra le valute aderenti e  l'euro  e  regolamenta
altresi' le modalita' di  trattamento  delle  conseguenti  differenze
cambio. 
    L'esigenza di dettare una specifica disciplina  per  il  comparto
degli enti creditizi e finanziari trova la sua ragion d'essere  nelle
peculiarita'  operative  di   questi   soggetti,   riconosciuta   sia
dall'ordinamento  comunitario  che  ne  regolamenta  i  bilanci   con
apposita direttiva (n. 86/635) sia  dall'ordinamento  nazionale  che,
con il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87 e con le successive
istruzioni amministrative della Banca d'Italia, ha  recepito  e  dato
attuazione alla direttiva comunitaria. 
    Conformemente  alle  indicazioni  riportate  nel   documento   di
orientamento  della  Commissione  Europea  n.  XV/7002/97   titolato:
"Aspetti contabili dell'introduzione dell'euro", anche la  disciplina
speciale degli operatori bancari  e  finanziari  e'  stata  disegnata
nell'ambito del vigente quadro normativo comunitario  in  materia  di
bilancio e segnatamente dell'articolo 39 dell'anzidetta direttiva che
fissa i criteri per la conversione in moneta di conto delle attivita'
e delle passivita' - a pronti e a  termine  -  denominate  in  valute
estere. 
    Primo  comma.  Il  comma  individua  l'ambito   di   applicazione
soggettivo e oggettivo delle disposizioni contenute nell'articolo. Si
tratta rispettivamente delle banche e delle societa'  finanziarie  di
cui all'articolo 1 del decreto legislativo n.  87/92  e  dei  bilanci
d'impresa redatti a far tempo da quelli relativi all'esercizio chiuso
o in corso al 31 dicembre 1998. 
    Secondo comma. Questo comma sancisce la regola  generale  per  la
conversione delle  operazioni  denominate  nelle  valute  aderenti  o
comunque variabili in  funzione  dell'andamento  del  loro  tasso  di
cambio (e' il caso, ad esempio, di operazioni denominate in lire o in
dollari le cui ragioni di variazione  sono  "ancorate"  all'andamento
dei cambi delle valute  aderenti).  Si  stabilisce  che  le  suddette
operazioni: 
    a) siano tradotte nella moneta di conto applicando  i  rispettivi
tassi di cambio con l'euro irrevocabilmente fissati; 
    b) la traduzione deve avvenire seguendo le prescrizioni contenute
negli articoli 4 e 5 del Regolamento (CE) n. 1103/97  del  17  giugno
1997. 
    Il comma prevede  anche,  in  alternativa,  la  facolta'  che  le
partecipazioni, le immobilizzazioni materiali  e  quelle  immateriali
non coperte dal rischio  di  cambio  mediante  strumenti  valutari  a
pronti o a termine vengano convertite al tasso di cambio corrente  al
momento del loro acquisto, vale a dire al cambio "storico". 
    Quest'ultima opzione  presenta  un  campo  di  applicazione  piu'
ristretto di quello consentito dall'articolo 39, paragrafo  1,  della
direttiva n. 86/635 e dal corrispondente articolo 21,  comma  1,  del
decreto legislativo n. 87/92, in  quanto  esclude  dal  novero  delle
immobilizzazioni "traducibili" al cambio storico i titoli  di  debito
immobilizzati. In  ragione  infatti  della  loro  natura  "monetaria"
(secondo la definizione riportata nell'articolo 1),  si  e'  ritenuto
piu' congruo imporre  -  come  alle  imprese  in  genere  -  la  loro
traduzione  nella  moneta  di  conto  adottando  i  tassi  fissi   di
conversione, in modo da dare  piena  evidenza  in  bilancio,  fin  da
subito, agli effetti derivanti dall'introduzione dell'euro. 
    Entrambe le alternative di  conversione  nella  moneta  di  conto
disciplinate nel presente comma sono riconosciute efficaci  anche  ai
fini  della  determinazione  del  reddito  d'impresa,  in   modo   da
assicurare  piena  uniformita'  di  trattamento   tra   il   versante
civilistico e quello  tributario  secondo  le  indicazioni  contenute
nella legge delega. 
    Terzo  e  quarto  comma.  Tali  commi  dettano  le  modalita'  di
trattamento contabile  e  di  bilancio  delle  differenze  di  cambio
determinate a norma del comma precedente. La disciplina e' orientata,
da un lato,  a  salvaguardare  la  continuita'  storica  dei  bilanci
bancari e finanziari, dall'altro, a soddisfare - nel  nuovo  contesto
valutario nascente con l'introduzione  dell'euro  -  le  esigenze  di
trasparenza e di rappresentativita' dei valori patrimoniali figuranti
nei bilanci. 
    Nel  merito,  viene  confermato  (comma  3)  l'attuale  principio
generale fissato dagli anzidetti  articoli  39,  paragrafo  3,  della
direttiva europea e 21, comma 3, del decreto 87/92 secondo i quali le
differenze di cambio devono essere iscritte nel conto economico.  Nel
contempo, per le sole immobilizzazioni non  coperte  dal  rischio  di
cambio, viene anche consentito agli operatori (comma 4) di esercitare
l'ulteriore opzione ammessa dal suddetto articolo 39 che permette  di
imputare le differenze di cambio direttamente al patrimonio netto. 
    Per i titoli di debito immobilizzati, considerata la loro  natura
monetaria, e' stabilito che  le  differenze  di  cambio  inizialmente
"attribuite"   alle   riserve   patrimoniali   vengano   gradualmente
rilasciate al conto economico secondo un profilo  temporale  scandito
dalle date di scadenza o  di  cessione  dei  singoli  titoli  (metodo
analitico "per cassa")  oppure  determinato  in  ragione  della  loro
durata residua (metodo analitico pro rata  temporis).  Inoltre,  come
per  le  imprese   in   genere,   viene   riconosciuta   un'ulteriore
possibilita' di contabilizzazione nel conto economico,  basata  sulla
ripartizione del saldo complessivo delle differenze cambio in quattro
quote annue costanti a decorrere dal primo bilancio  di  applicazione
della normativa (metodo sintetico). Naturalmente, nei casi in cui  e'
imposta l'inclusione di una frazione delle suddette  differenze  gia'
nel conto economico del primo esercizio, l'attribuzione al patrimonio
netto  riguardera'  unicamente  la   restante   quota   parte   delle
differenze. 
    Diversamente dalle altre imprese, alle  banche  e  alle  societa'
finanziarie viene consentito di adottare anche  il  metodo  analitico
"per cassa" in quanto esso risulta circoscritto a valori  dell'attivo
che,  pur  essendo  immobilizzati,  restano  comunque  potenzialmente
negoziabili e non  abbraccia  tutte  le  altre  poste  monetarie  del
bilancio come accade per le imprese in genere. 
    I descritti procedimenti contabili sono in grado  di  assicurare,
rispetto alla valutazione fondata sul cambio storico,  condizioni  di
maggiore trasparenza  informativa,  giacche'  il  valore  dei  titoli
figurante  nello  stato  patrimoniale  risultera'   sin   dall'inizio
allineato alle parita' fisse di conversione con l'euro. 
    Quanto alle altre immobilizzazioni non  coperte  (partecipazioni,
immobilizzazioni materiali e immateriali), il previsto obbligo di non
distribuibilita' della riserva  nella  quale  potranno  essere  fatte
affluire le differenze di cambio positive (nell'ipotesi di  esercizio
di  questa  facolta')  tutela  i  terzi  e   la   stessa   integrita'
patrimoniale degli intermediari,  evitando  l'erogazione  di  risorse
rappresentative di valori non ancora realizzati. Conseguentemente, il
vincolo  alla  distribuzione  verra'   meno   quando   detti   valori
risulteranno conseguiti a seguito di cessioni, di ammortamenti  o  di
svalutazioni. 
    Va  infine  notato  che  non  si  indicano  le  voci   di   stato
patrimoniale e di conto economico  in  cui  iscrivere  le  differenze
cambio  dal  momento  che  la  regolamentazione  di   tali   aspetti,
concernendo  la  materia  delle  "forme  tecniche"  di  bilancio,  e'
riservata alla Banca d'Italia ai sensi dell'articolo  5  del  decreto
legislativo 27 gennaio 1992, n. 87. 
    Quinto comma. Il presente comma  uniforma  il  trattamento  delle
differenze di cambio nel  bilancio  "civilistico"  e  ai  fini  della
determinazione del reddito d'impresa, fissando il principio che  esse
rilevano sul  piano  tributario  negli  esercizi  nei  quali  vengono
iscritte nel conto economico. 
    Anche nel caso delle  banche  e  delle  societa'  finanziarie  e'
previsto che l'eventuale "capitalizzazione" delle  differenze  cambio
avvenga direttamente (cfr. il  comma  4)  il  che  rende  univoco  il
significato dell'espressione  "iscritte  nel  conto  economico".  Per
approfondimenti si veda il commento al comma 7 dell'articolo 18. 
    Per le differenze cambio di cui alla lettera b) del  comma  4  la
rilevanza fiscale si produce nell'esercizio di realizzo delle  stesse
a seguito della  cessione,  dell'ammortamento  o  della  svalutazione
degli attivi sottostanti. 
    Sesto  comma.  Tale  comma  prescrive  i  requisiti   minimi   di
informativa che occorre soddisfare relativamente alle  operazioni  di
conversione e di trattamento contabile delle differenze cambio di cui
ai precedenti commi 2, 3 e 4. 
    In particolare, viene sancito l'obbligo di illustrare nella  nota
integrativa, separatamente dal resto, i criteri adottati (tassi fissi
di conversione oppure, quando consentito, tassi  di  cambio  storici)
per tradurre nella moneta di conto le operazioni a pronti e a termine
di cui al comma 2 nonche' le  modalita'  di  iscrizione  in  bilancio
delle differenze emergenti (imputazione al  conto  economico  oppure,
per  le  immobilizzazioni  non  coperte,   imputazione   diretta   al
patrimonio netto con rilascio  graduale  al  conto  economico  per  i
titoli di debito) e, infine, l'ammontare complessivo delle differenze
cambio positive e negative. 
    Articolo  22  (Organismi  di  investimento  collettivo   per   il
risparmio) 
    L'articolo  estende,  in  primo  luogo,  ai  documenti  contabili
obbligatori a  rilevanza  esterna  degli  organismi  di  investimento
collettivo  del  risparmio  le  disposizioni  concernenti  l'adozione
dell'euro quale moneta di conto (articolo 16) ivi inclusa la facolta'
di redigere  in  euro  tali  documenti  a  prescindere  dalla  valuta
utilizzata  nella  contabilita'.  In  secondo  luogo,  l'obbligo   di
applicare i tassi di cambio irreversibili con l'euro alle  attivita',
passivita' ed operazioni fuori bilancio denominate in valute aderenti
o comunque variabili in funzione dei tassi di cambio di  tali  valute
e' prescritto a far tempo dall'1.1.1999, in modo da consentire che il
valore  patrimoniale  della  quota  dal   31.12.1998   possa   essere
determinato - secondo le procedure attualmente vigenti -  sulla  base
dei  prezzi  correnti  di  mercato  alla  fine  di  quella   giornata
lavorativa. Vene infine imposto  agli  amministratori  di  illustrare
nella loro relazione l'operazione di conversione e i suoi effetti sul
bilancio o rendiconto di gestione. 
    Articolo 23 (Bilancio consolidato) 
    Primo comma. In linea con la vigente disciplina di  bilancio,  il
presente comma estende ai conti consolidati le regole di  rilevazione
delle operazioni e di trattamento delle differenze  cambio  stabilite
dall'articolo 21 per la redazione dei conti annuali delle imprese. 
    Secondo comma. La disposizione chiarisce che le differenze cambio
derivanti dalla  conversione  del  patrimonio  netto,  denominato  in
valute aderenti, delle imprese controllate incluse nel consolidamento
devono essere imputate alle riserve consolidate, conformemente quindi
a quanto  prescritto  dalla  disciplina  generale  di  settore  (cfr.
articolo 32, comma 6, primo periodo, del decreto  legislativo  n.  87
del 27 gennaio 1992). 
    Sezione  III   (Disposizioni   speciali   per   le   imprese   di
assicurazione) 
    Articolo  24  (Criteri  di  rilevazione  delle  operazioni  e  di
trattamento delle relative differenze cambio) 
    Premessa. Il presente articolo da' attuazione, per le imprese  di
assicurazione, all'articolo  9  della  legge  delega.  Esso  fissa  i
criteri da adottare per la  rilevazione  delle  operazioni  in  corso
attive e passive (comprese quelle "fuori bilancio") il cui valore  e'
funzione dei tassi di cambio irrevocabilmente fissati tra  le  valute
aderenti e l'euro e regolamenta le  modalita'  di  trattamento  delle
conseguenti differenze cambio. 
    La necessita' di prevedere  una  disciplina  particolare  per  il
settore  assicurativo  e'  giustificata  dalla   specificita'   della
normativa contabile di settore, contenuta nel D. Lgs. n. 173  del  26
maggio 1997, che ha dato attuazione  alla  direttiva  comunitaria  n.
91/674 in materia di conti annuali e  consolidati  delle  imprese  di
assicurazione. 
    Primo  comma.  Il  comma  individua  l'ambito   di   applicazione
soggettivo ed oggettivo dell'articolo. Quanto all'individuazione  dei
soggetti si e' fatto riferimento  al  medesimo  ambito  previsto  per
l'applicazione delle disposizioni del citato D. Lgs. n.  173/97.  Per
quanto riguarda invece l'ambito oggettivo sono  stati  individuati  i
bilanci d'impresa redatti  a  partire  dall'esercizio  chiuso  al  31
dicembre 1998. 
    Poiche'   l'articolo   11   del   D.   Lgs.   n.   173/97   fissa
obbligatoriamente il termine dell'esercizio sociale delle imprese  di
assicurazione al  31  dicembre  di  ogni  anno,  non  si  prevede  la
possibilita' di un esercizio in corso al 31 dicembre 1998. 
    Secondo comma. Il comma regola i  criteri  di  rilevazione  delle
operazioni denominate nelle valute aderenti o comunque  variabili  in
funzione del loro tasso di cambio. Il contenuto del  comma  riproduce
quanto previsto  dal  comma  2  dell'articolo  18,  applicabile  alle
imprese in genere. 
    S'impone l'adozione dei rispettivi tassi di  conversione  per  la
traduzione in moneta di conto degli elementi monetari il  cui  valore
sia variabile in funzione dell'andamento dei tassi  di  cambio  delle
valute aderenti. Al riguardo e'  opportuno  precisare  che  tutte  le
tipologie di riserve tecniche di cui agli articoli 31, 38  e  39  del
decreto  legislativo  n.  173/97  rientrano  nella   definizione   di
"elementi monetari" fornita all'articolo 1 del presente decreto. 
    L'adozione dei medesimi criteri di rilevazione  previsti  per  la
generalita' delle imprese e' in linea con il vigente quadro normativo
comunitario e nazionale, considerata l'assenza, sia  nella  direttiva
contabile  del  settore  assicurativo  sia  nella   legislazione   di
attuazione, di specifiche  disposizioni  in  materia  di  trattamento
delle poste in valuta. 
    Anche in relazione al  settore  assicurativo,  peraltro,  occorre
precisare che nulla cambia rispetto a prima per  quanto  riguarda  la
conversione  in  moneta  di   conto   delle   operazioni   in   corso
rappresentate da elementi non monetari,  anche  se  rientranti  nella
contabilita' plurimonetaria eventualmente tenuta. 
    Tuttavia, tenuto conto della normativa di bilancio delle  imprese
assicuratrici, e' stato  previsto  che  i  tassi  di  conversione  si
applicano  anche  agli  elementi  non  monetari  iscritti,  ai  sensi
dell'articolo 24 del D. Lgs. n. 173/97, nella classe D) "Investimenti
a beneficio di assicurati dei rami vita  i  quali  ne  sopportano  il
rischio e derivanti dalla gestione dei  fondi  pensione"  dell'attivo
patrimoniale. Per tali attivi, infatti, il comma 8  dell'articolo  16
del suddetto decreto ne stabilisce l'iscrizione in bilancio al valore
corrente. In pratica, tutte le poste in  valuta  della  classe  D)  -
monetarie e non monetarie - vanno tradotte in lire applicando i tassi
di conversione. 
    Terzo e quarto comma. I commi disciplinano il  trattamento  delle
differenze  cambio  determinate  ai  sensi  del   comma   precedente.
Analogamente a quanto prescritto  in  materia  di  rilevazione  delle
operazioni, anche in tale ambito sono state riprese - mediante rinvio
- le soluzioni gia' individuate per la generalita' delle imprese. 
    Per le differenze  cambio  relative  agli  investimenti  iscritti
nella classe D) sopra indicata, in  linea  con  la  prescrizione  del
comma 2 e con  il  trattamento  contabile  ad  esse  riservato  dalla
normativa  assicurativa,  e'   stata   prevista   esclusivamente   la
possibilita'  di  inclusione  delle  differenze  cambio   nel   conto
economico dell'esercizio. 
    In considerazione dei poteri conferiti all'ISVAP  in  materia  di
disciplina contabile e di bilancio  delle  imprese  di  assicurazione
dall'articolo  6  del  D.  Lgs.  n.  173/97,  non  si  e'  proceduto,
analogamente   a   quanto   previsto   per   la    Banca    d'Italia,
all'individuazione delle voci  del  conto  economico  e  dello  stato
patrimoniale nelle quali iscrivere le differenze cambio. 
    Quinto comma. Il comma disciplina, mediante rinvio, la  rilevanza
tributaria delle differenze cambio analogamente a quanto previsto per
la generalita' delle imprese, e le relative modalita'  di  iscrizione
nello stato patrimoniale. 
    Sesto comma. Il comma fissa  l'obbligo  di  indicare  nella  nota
integrativa, con specifico riferimento  alle  operazioni  di  cui  ai
commi 3 e 4, i  criteri  utilizzati,  l'ammontare  complessivo  delle
differenze positive e di quelle negative e gli  importi  iscritti  in
bilancio. 
    Anche in questo caso, la disciplina di dettaglio  riguardante  la
collocazione delle informazioni nella nota  integrativa  e'  rimessa,
per competenza, all'ISVAP. 
    Settimo comma. Poiche' il comma 7 dell'articolo 16 del D. Lgs. n.
173/97, richiede l'indicazione  nella  nota  integrativa  del  valore
corrente degli investimenti iscritti alla classe  C)  "Investimenti",
valutati in bilancio in base al criterio del costo di acquisto  o  di
produzione,  il  comma  precisa  che  a  tal   fine   va   applicato,
indipendentemente  dalla  natura   monetaria   degli   elementi,   il
rispettivo tasso di conversione. 
    Articolo 25 (Bilancio consolidato) 
    L'articolo precisa che al bilancio consolidato  sono  applicabili
le disposizioni previste per  il  bilancio  d'esercizio  e  fissa  la
modalita' di imputazione delle differenze derivanti dalla conversione
del patrimonio netto denominato in una valuta aderente, delle imprese
consolidate.  Tali  differenze  vanno  imputate  a  patrimonio  netto
utilizzando l'apposita voce "Riserva di conversione" dello schema  di
stato patrimoniale, in linea con  le  disposizioni  gia'  vigenti  in
materia. 
    Sezione IV (Disposizioni speciali per i fondi pensione) 
    Articolo 26 (Adozione dell'euro quale moneta di conto) 
    L'articolo precisa che si applicano anche ai  fondi  pensione  le
disposizioni relative all'adozione dell'euro quale  moneta  di  conto
(articolo 16), ivi inclusa la facolta' di redigere  e  pubblicare  in
euro tali documenti  a  prescindere  dalla  valuta  utilizzata  nella
contabilita'. 
    Articolo 27 (Criteri di rilevazione delle operazioni) 
    Primo comma. Il comma stabilisce che si applichi anche  ai  fondi
pensione il principio generale che i documenti contabili a  rilevanza
esterna riferiti a date pari o successive al 31 dicembre  1998  siano
redatti applicando i tassi  di  cambio  con  l'euro  irrevocabilmente
fissati a tutte  le  attivita',  passivita'  e  le  operazioni  fuori
bilancio denominate  in  valute  aderenti  o  comunque  variabili  in
funzione dei tassi di cambio di tali valute. 
    Secondo comma. Il comma fornisce conferma che  i  poteri  di  cui
all'art. 17, comma 2, lettera g) del decreto  legislativo  21  aprile
1993 n. 124 e successive modificazioni e integrazioni  relativi  alla
redazione del bilancio e della contabilita' dei  fondi,  ivi  inclusi
gli aspetti di valutazione, trovano applicazione  anche  in  tema  di
passaggio all'euro; con riferimento agli elementi non monetari,  essi
sono esercitabili anche in deroga alla disposizione di cui  al  comma
precedente, con la limitazione di attenersi comunque ai principi  del
presente decreto legislativo. 
    Terzo comma. Il  comma  precisa  che  alle  forme  pensionistiche
interne a banche  e  a  imprese  di  assicurazione  si  applicano  le
specifiche disposizioni relative alle imprese all'interno delle quali
esse sono istituite. 
    TITOLO V - DEMATERIALIZZAZIONE 
    Sezione I (Disposizioni generali) 
    Il Titolo V sulla "dematerializzazione", in attuazione  dell'art.
10 della legge 17 dicembre 1997, n. 433,  prefigura  -  coerentemente
con la relazione illustrativa della cennata  legge  di  delega  -  la
soppressione del documento cartaceo e l'emissione e  circolazione  di
strumenti finanziari tramite mere scritturazioni contabili. 
    La soppressione del documento cartaceo ovviamente non esclude che
i contratti  o  diritti  tipicamente  aventi  ad  oggetto  titoli  di
credito,  quali  riporto,  pronti  contro   termine,   mutuo,   pegno
irregolare, privilegio e diritto di ritenzione, possano applicarsi  a
strumenti  finanziari  dematerializzati.  Le   specifiche   modalita'
potranno  eventualmente  essere  dettate  in   sede   di   normazione
secondaria, ai sensi dell'articolo 36, comma 2. 
    L'articolo 28 individua quale perimetro cogente della  disciplina
speciale  quello  relativo  agli  strumenti  finanziari  negoziati  o
destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati; si prevede poi
che  anche  strumenti  finanziari  non  destinati  alla  negoziazione
possano     essere     assoggettati     alla     disciplina     della
dematerializzazione, e cio'  essenzialmente  in  funzione  del  grado
della loro diffusione tra il pubblico; in funzione appunto di  questa
diffusione   potranno   aversi    due    ipotesi:    la    necessaria
dematerializzazione e una  dematerializzazione  volontaria,  cioe'  a
richiesta dell'emittente. 
    La successiva norma (articolo 29) specifica il  procedimento  che
l'emittente degli strumenti finanziari dovra' seguire ai  fini  della
dematerializzazione. In coerenza con quanto disposto dal Testo  Unico
delle norme sull'intermediazione finanziaria,  si  prevede  che  piu'
possano essere le societa' di gestione accentrata, con l'unico limite
che ogni emissione dovra' essere appoggiata ad un solo gestore. 
    Ribadita  in  principio  la  riserva  ex  d.  lgs.  n.   415/1996
all'esercizio dei servizi di investimento sub specie negoziazione  di
strumenti finanziari a favore delle  categorie  di  intermediari  ivi
contemplate, l'articolo 30 si preoccupa di precisare: 
    a)  che  il  gestore  accentrato  dovra'   accendere   per   ogni
intermediario autorizzato conti destinati a  registrare  i  movimenti
degli strumenti finanziari disposti tramite lo stesso; 
    b) che l'intermediario, una volta concluso  il  trasferimento  (a
qualsiasi titolo) degli strumenti finanziari,  dovra'  registrare  la
movimentazione sul conto del  proprio  cliente,  se  mandatario  allo
svolgimento di questo servizio (corrispondente,  nella  sostanza,  al
contratto di deposito di titoli in amministrazione), ovvero  -  nella
negativa - comunicare  l'operazione  all'intermediario  titolare  del
conto. 
    Alla   naturale   riserva   dell'attivita'   agli    intermediari
autorizzati si prevede la  possibilita'  di  eccezioni,  in  funzione
soprattutto  dell'esigenza  di  venire   incontro   a   problematiche
particolari che potrebbero sorgere; sara'  ancora  un  regolamento  a
precisare questi altri soggetti. 
    L'articolo 31 introduce - nel nuovo sistema - la regola che vuole
l'intermediario gestire i diritti c.d.  patrimoniali;  rilasciare  al
cliente  certificazione  idonea  all'esercizio   dei   diritti   c.d.
"corporativi";  segnalare  all'emittente  quanto  di  competenza  per
l'annotazione nel libro soci. 
    Gli articoli 32 e 33 sono rispettivamente volti a  definire,  nel
nuovo sistema, regole equivalenti a quelle degli effetti del possesso
di buona fede di titoli di  credito,  da  un  lato,  delle  eccezioni
opponibili, dall'altro, nella piena osservanza del principio statuito
dall'art.  10  della  legge  di  delega  di  tutelare  "la  posizione
dell'emittente e del possessore". 
    Medesime esigenze di tutela sono  sottese  alla  norma  contenuta
nell'articolo 35 in tema di responsabilita'  dell'intermediario,  che
ridefinisce l'allocazione del rischio conseguente alla scomparsa  del
supporto cartaceo. 
    L'articolo  34  -  specularmente  ai  trasferimenti  -  fissa  il
principio  della  costituzione   del   vincolo   unicamente   tramite
annotazioni contabili da parte dell'intermediario e disciplina  -  al
secondo comma - il pegno "fluttuante"  (regolare  o  irregolare)  nel
regime di dematerializzazione dei titoli. 
    Infine, l'articolo  36  rimette  alla  normazione  secondaria  la
determinazione delle regole per  la  tenuta  dei  conti,  mentre  gli
articoli 37 e 38  dettano  la  disciplina  transitoria,  ispirata  al
principio che per l'esercizio  dei  diritti  relativi  ai  titoli  di
credito, in tempo successivo all'entrata in vigore  della  legge,  il
possessore deve immetterli nel sistema. 
    Sezione II (Disposizioni speciali per i titoli di Stato) 
    Articoli da 39 a 46  -  Le  disposizioni  speciali  di  cui  alla
presente sezione seconda hanno la finalita' di ricomprendere tutti  i
titoli di Stato in un regime  di  totale  dematerializzazione,  cosi'
come disposto per i titoli privati, alla cui disciplina  generale  si
fa rimando, individuando forme di tutela per  l'emittente  e  per  il
possessore equivalenti a  quelle  gia'  assicurate  dalla  precedente
disciplina. 
    I titoli di Stato non ricompresi nella disciplina dei  titoli  di
credito del codice civile, sono regolati  dalle  norme  speciali  del
Testo Unico delle leggi sul Debito Pubblico, che con l'attuale regime
in gran parte decadono, in quanto viene  meno  il  presupposto  della
cartolarita'. Sono fatte salve le esenzioni ed agevolazioni  relative
al trattamento fiscale previste per i titoli di Stato. 
    Le emissioni  di  prestiti  sui  mercati  internazionali  vengono
ricomprese nel nuovo regime allorquando: 
    a) siano disciplinate dalla legge italiana; 
    b) la legge straniera applicabile al prestito contempli un regime
di dematerializzazione. 
    La normativa individua  piu'  fasi  dispositive  e  regolamentari
inerenti: 
    a) i titoli di nuova emissione; 
    b) il ritiro del circolante cartaceo; 
    c) la conversione del titolo in iscrizione contabile; 
    d) l'immissione nel sistema di gestione accentrata. 
    I punti a) e b)  rientrano  nella  fase  dispositiva  contemplata
dalla legge delega (art. 10) e consentono di procedere ex  nunc  alla
dematerializzazione de facto dei prestiti futuri e di quelli ad  oggi
rappresentati da certificati globali, ma gia' in gestione accentrata. 
    L'attuazione dei punti c) e d)  e'  sostanzialmente  demandata  a
decreti del Ministro del tesoro, del bilancio e della  programmazione
economica, che dovranno regolamentare le  procedure  di  reperimento,
entro il 31 dicembre 1998, dei titoli non accentrati al fine di: 
    a) ricomporre la globalita' dei prestiti; 
    b) consentire ai detentori di poter percepire gli  interessi  e/o
il rimborso del capitale; 
    c) determinare le modalita'  di  consegna  dei  titoli  oltre  il
termine del 31 dicembre 1998; 
    d) stabilire le  procedure  tecniche  ed  operative  al  fine  di
accentrare  i  titoli   attualmente   al   di   fuori   del   sistema
centralizzato; 
    e) individuare gli enti pubblici che applicheranno il  regime  di
dematerializzazione ai propri prestiti. 
    Le disposizioni in materia di gestione accentrata dei  titoli  di
Stato presso  la  Banca  d'Italia  restano  in  vigore  per  la  fase
transitoria e si integreranno con le procedure di cui  al  precedente
punto d). 
    Analogamente ai titoli privati vengono  individuate  le  funzioni
che gli intermediari dovranno compiere al fine di: 
    a) ritirare i titoli in circolazione; 
    b)  accendere  nuovi  conti  senza  gravare  la  nuova  clientela
acquisita di costi che non siano gli stessi previsti dalle  norme  in
materia di tenuta di conti di titoli privi di circolazione materiale; 
    c) registrare  i  vincoli  persistenti  sui  titoli  in  appositi
depositi; 
    d) registrare le iscrizioni  ai  fini  dell'accentramento,  fatta
salva la possibilita' da parte  dell'intestatario  del  conto  aperto
presso l'intermediario di detenere titoli di pertinenza  di  soggetti
diversi  dallo   stesso.   In   questo   caso   le   norme   riferite
all'intestatario del conto devono  essere  intese  come  riferite  al
beneficiario finale o proprietario dei titoli. 
    Al fine di agevolare la ridenominazione dei titoli  di  Stato  si
dispone il rimborso dei titoli nominativi e al  portatore  di  taglio
inferiore a cinque milioni di capitale nominale,  e  delle  eventuali
frazioni di capitale inferiori a  cinque  milioni.  Il  Ministro  del
tesoro, del bilancio e della  programmazione  economica  fissera'  le
modalita'  del  rimborso  anticipato  dei  titoli  di  Stato  ovvero,
limitatamente ai titoli sottoposti a vincolo cauzionale,  tramite  le
ordinarie  procedure  di  debito  pubblico.  L'onere  complessivo  e'
stimato di importo molto contenuto. 
    L'attuale sistema di  rendicontazione  sui  pagamenti  di  debito
pubblico e' disciplinato, a  seconda  dei  prestiti  di  riferimento,
dalle norme del Regolamento sulla contabilita' generale dello  Stato.
Allo scopo di rendere omogeneo  tale  sistema  al  nuovo  status  dei
titoli, il Ministro del tesoro, del bilancio e  della  programmazione
economica potra' emanare speciali disposizioni per il  riscontro  dei
pagamenti effettuati. 
    TITOLO VI - ATTIVITA' DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 
    Premessa. La legge delega per l'introduzione dell'euro reca  agli
articoli   12   e   13   disposizioni   concernenti    la    Pubblica
Amministrazione. 
    In  particolare,  l'articolo  12   riguarda   le   dichiarazioni,
attestazioni  e  altri  documenti,  di  cui   sia   obbligatoria   la
presentazione, che  si  potranno  produrre  con  l'indicazione  degli
importi in euro, nonche' la possibilita' di ottenere il  pagamento  o
di effettuare  il  versamento  in  euro,  qualora  l'adempimento  non
avvenga in contanti. 
    L'articolo 13 e' relativo ai documenti contabili delle  Pubbliche
Amministrazioni in  cui  l'indicazione  di  valori  in  euro  risulti
particolarmente significativa. 
    In applicazione  dei  principi  e  criteri  direttivi  di  ordine
generale delle delega indicati nell'articolo 2 della  legge,  nonche'
dei principi e criteri direttivi speciali di cui ai  citati  articoli
12  e  13,  con  il  presente  titolo  vengono  dettate  disposizioni
concernenti  la  Pubblica  Amministrazione,  intese  ad  attuare   il
graduale e consapevole utilizzo dell'euro, e un passaggio equilibrato
alla nuova moneta. 
    L'articolo 47 del decreto  legislativo,  in  applicazione  di  un
preciso  criterio  di  effettiva  delegificazione,  dispone  che   le
pubbliche  amministrazioni  e   i   soggetti   pubblici   interessati
individuano con propri decreti le dichiarazioni,  le  attestazioni  e
gli altri documenti - di cui sia obbligatoria la  presentazione  alla
Pubblica Amministrazione - per i quali sara' possibile  indicare  gli
importi euro; qualora a questo fine si rendesse necessario modificare
la modulistica prevista con atti normativi si prevede la possibilita'
di modificarla in via amministrativa. 
    Per quanto concerne in particolare l'Amministrazione finanziaria,
le dichiarazioni  dei  redditi,  le  dichiarazioni  annuali  ai  fini
dell'imposta sul valore  aggiunto,  le  dichiarazioni  dei  sostituti
d'imposta e  le  dichiarazioni  ai  fini  dell'IRAP  potranno  essere
presentate in euro a partire dai periodi di imposta aventi decorrenza
dal 1 gennaio 1999, ovvero chiusi nel corso di tale anno. 
    L'articolo 48 prevede, sempre nel periodo  transitorio,  che  con
decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della  programmazione
economica, sentita la Banca d'Italia, sono stabilite le modalita' per
assicurare ai creditori e debitori delle Pubbliche Amministrazioni la
possibilita' di ottenere i pagamenti o di  effettuare  i  versamenti,
anche in euro, escluso  il  caso  in  cui  il  pagamento  avvenga  in
contanti. 
    In base ai cennati criteri di  flessibilita'  e  delegificazione,
sono pertanto adottate in  via  amministrativa  le  iniziative  e  le
misure  necessarie  per  garantire  l'esercizio  della  facolta'   di
effettuare versamenti e pagamenti anche in euro. 
    Inoltre, per consentire  certezza  e  costanza  di  rapporti,  e'
previsto che qualora un soggetto privato  abbia  scelto  di  adottare
l'euro nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, tale  scelta  e'
irreversibile  e  vincolante  per  quanto  concerne  i  pagamenti   e
versamenti inerenti alla medesima obbligazione. 
    L'articolo  49,  concernente   l'attivita'   contrattuale   delle
Pubbliche Amministrazioni, stabilisce che  con  apposito  regolamento
sono emanate norme per adeguare le disciplina in materia di stipula e
di esecuzione  dei  contratti  delle  Pubbliche  Amministrazioni  per
appalti di lavori, forniture e servizi. 
    La graduale introduzione della nuova unita' monetaria comporta la
necessita' di garantire fin dal primo periodo di  applicazione  della
medesima, la migliore leggibilita'  dei  conti  pubblici,  anche  per
rendere possibile la comparazione a livello comunitario. A  tal  fine
l'articolo 50 prevede che con decreto del Ministro  del  tesoro,  del
bilancio  e  della  programmazione  economica  sono   individuati   i
documenti contabili in cui, in appositi allegati,  sono  riportati  i
dati riassuntivi espressi  anche  in  euro.  Per  le  amministrazioni
pubbliche  non  statali  viene  confermato   lo   stesso   principio,
demandando alle medesime la possibilita' di individuare,  nell'ambito
dei rispettivi ordinamenti, i documenti  contabili  per  i  quali  si
rende necessario applicare - nel  periodo  transitorio  1999  2001  -
l'esposizione dei dati riassuntivi anche in euro. 
    TITOLO VII - CONVERSIONE IN EURO DELLE SANZIONI PECUNIARIE 
ESPRESSE IN LIRE 
    Articolo  51  -  L'articolo  regola  l'impatto  che  la   riforma
monetaria  e'  destinata   a   produrre   nel   campo   dell'apparato
sanzionatorio penale e amministrativo, provvedendo a disciplinare gli
effetti della conversione secondo il principio, stabilito dalla legge
di  delega,  di  "conservare  l'omogeneita',  la  congruita'   e   la
proporzionalita'  delle  sanzioni".  La  disposizione  si  basa   sul
criterio di riconoscere valore al semplice risultato algebrico  della
conversione, derivante dall'applicazione del tasso fissato  ai  sensi
del Trattato. Qualora la conversione determini  risultati  con  cifre
decimali, si prevede, dopo il periodo transitorio, un  arrotondamento
per difetto, cioe' alla cifra senza i decimali, al fine di conservare
la congruita' e la proporzionalita' delle sanzioni  e  di  rispettare
nello stesso tempo il principio del "favor rei", la cui  applicazione
si rivela in questi casi doverosa in base ad orientamenti  desumibile
dalla carta costituzionale e dai principi dell'ordinamento. 
    Articolo 52 - Sempre nel rispetto del principio di congruita' cui
deve uniformarsi la sanzione pecuniaria,  si  e'  ritenuto  opportuno
modificare l'articolo 16 della legge n. 689 del 1981 (che  disciplina
il pagamento in misura ridotta  della  sanzione  amministrativa),  al
fine di evitare che ad  illeciti  di  particolare  gravita'  consegua
(anche per effetto dell'applicazione della conversione) una  sanzione
del tutto irrisoria e  simbolica  quale  quella  che  si  ricava  dal
combinato disposto degli articoli 10  e  16  della  medesima  stessa.
Infatti, secondo l'attuale orientamento giurisprudenziale  (Consiglio
di Stato, adunanza generale 17/4/1989, n. 11; Corte di cassazione,  I
Sezione, 3/5/1988, n. 3303; Corte costituzionale, sentenza n. 152 del
1995), nel caso in cui non sia stabilito  il  minimo  della  sanzione
amministrativa, questo deve essere ricavato  dall'articolo  10  della
citata legge, che  fissa,  in  generale,  il  minimo  delle  sanzioni
amministrative pecuniarie in lire 4.000.