Art. 8
                         Azioni in giudizio

  1.  L'articolo  4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e' sostituito
dal seguente:
    "Art.  4  (Azioni in giudizio). - 1. Costituisce discriminazione,
ai sensi della legge 9 dicembre 1977, n. 903, e della presente legge,
qualsiasi   atto,  patto  o  comportamento  che  produca  un  effetto
pregiudizievole discriminando anche in via indiretta le lavoratrici o
i lavoratori in ragione del loro sesso.
    2.   Costituisce   discriminazione   indiretta  ogni  trattamento
pregiudizievole  conseguente  all'adozione di criteri che svantaggino
in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro
sesso   e   riguardino  requisiti  non  essenziali  allo  svolgimento
dell'attivita' lavorativa.
    3.  Nei  concorsi  pubblici  e  nelle forme di selezione attuate,
anche  a  mezzo  di  terzi,  da  datori di lavoro privati e pubbliche
amministrazioni  la  prestazione  richiesta  dev'essere  accompagnata
dalle  parole  "dell'uno  o  dell'altro sesso , fatta eccezione per i
casi  in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale
per la natura del lavoro o della prestazione.
    4.  Chi  intende  agire  in  giudizio  per la dichiarazione delle
discriminazioni  ai  sensi dei commi 1 e 2 e non ritiene di avvalersi
delle  procedure  di conciliazione previste dai contratti collettivi,
puo'  promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo
410  del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'articolo
69-bis  del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, anche tramite
la  consigliera  o  il consigliere di parita' provinciale o regionale
territorialmente competente.
    5.  Le  consigliere  o  i  consiglieri  di  parita' provinciali e
regionali  competenti  per  territorio,  ferme  restando le azioni in
giudizio  di cui ai commi 8 e 10, hanno facolta' di ricorrere innanzi
al  tribunale  in  funzione  di  giudice del lavoro o, per i rapporti
sottoposti   alla  sua  giurisdizione,  al  tribunale  amministrativo
regionale territorialmente competenti, su delega della persona che vi
ha  interesse,  ovvero  di  intervenire  nei  giudizi  promossi dalla
medesima.  6.  Quando  il  ricorrente  fornisce  elementi  di fatto -
desunti   anche   da  dati  di  carattere  statistico  relativi  alle
assunzioni,  ai  regimi  retributivi,  all'assegnazione di mansioni e
qualifiche,  ai  trasferimenti,  alla  progressione in carriera ed ai
licenziamenti  -  idonei a fondare, in termini precisi e concordanti,
la   presunzione   dell'esistenza  di  atti,  patti  o  comportamenti
discriminatori  in  ragione  del  sesso,  spetta al convenuto l'onere
della prova sull'insussistenza della discriminazione.
    7. Qualora le consigliere o i consiglieri di parita' regionali e,
nei  casi  di  rilevanza  nazionale,  il consigliere o la consigliera
nazionale,  rilevino  l'esistenza  di  atti,  patti  o  comportamenti
discriminatori  diretti  o  indiretti  di carattere collettivo, anche
quando  non  siano  individuabili  in  modo  immediato  e  diretto le
lavoratrici  o  i  lavoratori  lesi  dalle  discriminazioni, prima di
promuovere  l'azione  in  giudizio ai sensi dei commi 8 e 10, possono
chiedere  all'autore della discriminazione di predisporre un piano di
rimozione  delle  discriminazioni  accertate  entro  un  termine  non
superiore  a  centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione
posta  in  essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali
aziendali  ovvero,  in loro mancanza, le associazioni locali aderenti
alle  organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano
nazionale.  Se  il  piano  e' considerato idoneo alla rimozione delle
discriminazioni,  la consigliera o il consigliere di parita' promuove
il  tentativo  di  conciliazione  ed  il  relativo  verbale, in copia
autenticata,  acquista  forza  di  titolo  esecutivo  con decreto del
tribunale in funzione di giudice del lavoro.
    8.  Con  riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di
cui al comma 7 le consigliere o i consiglieri di parita', qualora non
ritengano  di  avvalersi  della  procedura di conciliazione di cui al
medesimo  comma  o  in  caso  di esito negativo della stessa, possono
proporre  ricorso  davanti  al  tribunale  in funzione di giudice del
lavoro  o  al  tribunale  amministrativo  regionale  territorialmente
competenti.
    9.  Il  giudice,  nella  sentenza  che accerta le discriminazioni
sulla  base  del  ricorso  presentato  ai  sensi  del comma 8, ordina
all'autore  della  discriminazione  di definire un piano di rimozione
delle  discriminazioni  accertate,  sentite,  nel  caso  si tratti di
datore  di  lavoro,  le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in
loro  mancanza,  gli  organismi  locali  aderenti alle organizzazioni
sindacali   di   categoria  maggiormente  rappresentative  sul  piano
nazionale,  nonche'  la  consigliera  o  il  consigliere  di  parita'
regionale competente per territorio o il consigliere o la consigliera
nazionale.   Nella   sentenza  il  giudice  fissa  i  criteri,  anche
temporali,  da osservarsi ai fini della definizione ed attuazione del
piano.
    10.  Ferma  restando l'azione di cui al comma 8, la consigliera o
il  consigliere  regionale  e  nazionale  di parita' possono proporre
ricorso  in via d'urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice
del  lavoro  o al tribunale amministrativo regionale territorialmente
competenti. Il giudice adito, nei due giorni successivi, convocate le
parti  e  assunte  sommarie  informazioni, ove ritenga sussistente la
violazione  di  cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente
esecutivo  ordina  all'autore della discriminazione la cessazione del
comportamento  pregiudizievole  e  adotta  ogni  altro  provvedimento
idoneo  a  rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi
compreso   l'ordine   di  definizione  ed  attuazione  da  parte  del
responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Si applicano in
tal  caso  le  disposizioni del comma 9. Contro il decreto e' ammessa
entro  quindici  giorni  dalla  comunicazione  alle parti opposizione
avanti   alla   medesima   autorita'   giudiziaria   territorialmente
competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
    11.  L'inottemperanza alla sentenza di cui al comma 9, al decreto
di  cui al comma 10 o alla sentenza pronunciata nel relativo giudizio
di opposizione e' punita ai sensi dell'articolo 650 del codice penale
e  comporta  altresi' la revoca dei benefici di cui al comma 12 ed il
pagamento  di  una somma di lire centomila per ogni giorno di ritardo
da versarsi al Fondo di cui all'articolo 9.
    12.   Ogni   accertamento   di   atti,   patti   o  comportamenti
discriminatori  ai sensi dei commi 1 e 2, posti in essere da soggetti
ai  quali siano stati accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi
dello  Stato,  ovvero  che  abbiano  stipulato  contratti  di appalto
attinenti  all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture,
viene  comunicato  immediatamente  dalla  direzione  provinciale  del
lavoro    territorialmente   competente   ai   Ministri   nelle   cui
amministrazioni  sia  stata  disposta  la concessione del beneficio o
dell'appalto.   Questi  adottano  le  opportune  determinazioni,  ivi
compresa,  se  necessario,  la  revoca del beneficio e, nei casi piu'
gravi  o  nel  caso  di  recidiva,  possono decidere l'esclusione del
responsabile  per  un  periodo  di tempo fino a due anni da qualsiasi
ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero
da  qualsiasi  appalto.  Tale disposizione si applica anche quando si
tratti  di  agevolazioni  finanziarie  o creditizie ovvero di appalti
concessi  da  enti  pubblici,  ai  quali la direzione provinciale del
lavoro   comunica   direttamente  la  discriminazione  accertata  per
l'adozione  delle  sanzioni  previste.  Le  disposizioni del presente
comma  non  si  applicano nel caso sia raggiunta una conciliazione ai
sensi dei commi 4 e 7.
    13.   Ferma   restando   l'azione   ordinaria,   le  disposizioni
dell'articolo 15 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, si applicano in
tutti i casi di azione individuale in giudizio promossa dalla persona
che vi abbia interesse o su sua delega da un'organizzazione sindacale
o  dalla  consigliera  o  dal  consigliere provinciale o regionale di
parita'.
    14.  Qualora  venga  presentato  un  ricorso in via di urgenza ai
sensi del comma 10 o ai sensi dell'articolo 15 della legge 9 dicembre
1977,  n.  903,  come modificato dal comma 13, non trova applicazione
l'articolo 410 del codice di procedura civile.".
 
          Note all'art. 8:
              - La   legge   9 dicembre  1977,  n.  903  (Parita'  di
          trattamento  tra  uomini  e  donne in materia di lavoro) e'
          pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale 17 dicembre 1977, n.
          343.
              - L'art.  410  del  codice  di  procedura civile, cosi'
          recita:
              "Art.  410 (Tentativo obbligatorio di riconciliazione).
          -  Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai
          rapporti  previsti dall'art. 409 e non ritiene di avvalersi
          delle  procedure  di conciliazione previste dai contratti e
          accordi   collettivi   deve   promuovere,   anche   tramite
          l'associazione  sindacale  alla quale aderisce o conferisca
          mandato,   il   tentativo   di   conciliazione   presso  la
          commissione  di conciliazione individuata secondo i criteri
          di cui all'art. 413.
              La  comunicazione  della  richiesta di espletamento del
          tentativo  di  conciliazione  interrompe  la prescrizione e
          sospende,  per  la  durata del tentativo di conciliazione e
          per  i  venti  giorni  successivi  alla sua conclusione, il
          decorso di ogni termine di decadenza.
              La   commissione,   ricevuta   la  richiesta  tenta  la
          conciliazione  della controversia, convocando le parti, per
          una   riunione  da  tenersi  non  oltre  dieci  giorni  dal
          ricevimento della richiesta.
              Con    provvedimento    del    direttore   dell'ufficio
          provinciale  del  lavoro  e  della  massima  occupazione e'
          istituita  in  ogni  provincia presso l'ufficio provinciale
          del  lavoro  e  della  massima occupazione, una commissione
          provinciale   di   conciliazione   composta  dal  direttore
          dell'ufficio  stesso,  o da un suo delegato, in qualita' di
          presidente,   da  quattro  rappresentanti  effettivi  e  da
          quattro  supplenti  dei  datori  di  lavoro  e  da  quattro
          rappresentanti   effettivi   e  da  quattro  supplenti  dei
          lavoratori,   designati   dalle  rispettive  organizzazioni
          sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.
              Commissioni  di conciliazione possono essere istituite,
          con  le  stesse modalita' e con la medesima composizione di
          cui  al  precedente  comma,  anche presso le sezioni zonali
          degli   uffici  provinciali  del  lavoro  e  della  massima
          occupazione.
              Le  commissioni,  quando  se  ne ravvisi la necessita',
          affidano   il   tentativo   di   conciliazione   a  proprie
          sottocommissioni,  presiedute  dal  direttore  dell'ufficio
          provinciale  del lavoro e della massima occupazione o da un
          suo  delegato  che rispecchino la composizione prevista dal
          precedente terzo comma.
              In  ogni  caso  per  la  validita'  della  riunione  e'
          necessaria  la  presenza  del  presidente  e  di  almeno un
          rappresentante   dei   datori   di  lavoro  e  di  uno  dei
          lavoratori.
              Ove la riunione della commissione non sia possibile per
          la  mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al
          precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale del
          lavoro certifica l'impossibilita' di procedere al tentativo
          di conciliazione".
              - L'art.  69-bis  del  decreto  legislativo n. 29/1993,
          cosi' recita:
              "Art.  69-bis  (Collegio  di conciliazione). - 1. Ferma
          restando  la  facolta'  del  lavoratore  di avvalersi delle
          procedure   di   conciliazione   previste   dai   contratti
          collettivi,  il  tentativo obbligatorio di conciliazione di
          cui all'art. 69 si svolge, con le procedure di cui ai commi
          seguenti, dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito
          presso  l'ufficio  provinciale  del  lavoro e della massima
          occupazione nella cui circoscrizione si trova l'ufficio cui
          il  lavoratore  e'  addetto,  ovvero era addetto al momento
          della  cessazione  del  rapporto.  Le medesime procedure si
          applicano,  in  quanto  compatibili,  se  il  tentativo  di
          conciliazione  e'  promosso dalla pubblica amministrazione.
          Il  collegio  di  conciliazione  e'  composto dal direttore
          dell'ufficio  o  da un suo delegato, che lo presiede, da un
          rappresentante   del  lavoratore  e  da  un  rappresentante
          dell'amministrazione.
              2.   La   richiesta  del  tentativo  di  conciliazione,
          sottoscritta  dal  lavoratore,  e'  consegnata  all'ufficio
          presso  il  quale e' istituito il collegio di conciliazione
          competente  o  spedita  mediante raccomandata con avviso di
          ricevimento. Copia della richiesta deve essere consegnata o
          spedita  a cura dello stesso lavoratore all'amministrazione
          di appartenenza.
              3. La richiesta deve precisare:
                a) l'amministrazione  di  appartenenza e la sede alla
          quale il lavoratore e' addetto;
                b) il   luogo   dove   gli  devono  essere  fatte  le
          comunicazioni inerenti alla procedura;
                c) l'esposizione  sommaria  dei fatti e delle ragioni
          poste a fondamento della pretesa;
                d) la  nomina del proprio rappresentante nel collegio
          di  conciliazione  o  la  delega  per la nomina medesima ad
          un'organizzazione sindacale.
              4.  Entro  trenta  giorni  dal  ricevimento della copia
          della  richiesta, l'amministrazione, qualora non accolga la
          pretesa   del   lavoratore,   deposita   presso   l'ufficio
          osservazioni  scritte.  Nello stesso atto nomina il proprio
          rappresentante  in seno al collegio di conciliazione. Entro
          i  dieci giorni successivi al deposito, il presidente fissa
          la   comparizione   delle   parti   per   il  tentativo  di
          conciliazione.  Dinanzi  al  collegio  di  conciliazione il
          lavoratore  puo'  farsi  rappresentare o assistere anche da
          un'organizzazione  cui  aderisce  o conferisce mandato. Per
          l'amministrazione  deve  comparire  un  soggetto munito del
          potere di conciliare.
              5.  Se  la conciliazione riesce, anche limitatamente ad
          una  parte  della  pretesa  avanzata  dal lavoratore, viene
          redatto  separato processo verbale sottoscritto dalle parti
          e  dai componenti del collegio di conciliazione. Il verbale
          costituisce  titolo  esecutivo.  Alla  conciliazione non si
          applicano  le  disposizioni  dell'art.  2113,  commi primo,
          secondo e terzo, del codice civile.
              6.  Se  non  si  raggiunge  l'accordo  tra le parti, il
          Collegio  di  conciliazione deve formulare una proposta per
          la  bonaria  definizione della controversia. Se la proposta
          non  e'  accettata,  i  termini  di essa sono riassunti nel
          verbale  con  indicazione  delle valutazioni espresse dalle
          parti.
              7.  Nel  successivo  giudizio  sono acquisiti, anche di
          ufficio,    i   verbali   concernenti   il   tentativo   di
          conciliazione   non   riuscito.   Il   giudice   valuta  il
          comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai
          fini del regolamento delle spese.
              8.   La  conciliazione  della  lite  da  parte  di  chi
          rappresenta  la  pubblica amministrazione, in adesione alla
          proposta  formulata  dal collegio di cui al comma 1, ovvero
          in  sede  giudiziale  ai  sensi dell'art. 420, commi primo,
          secondo  e  terzo, del codice di procedura civile, non puo'
          dar luogo a responsabilita' amministrativa".
              - L'art. 650 del codice penale e' il seguente:
              "Art.     650     (Inosservanza    dei    provvedimenti
          dell'Autorita').  -  Chiunque  non osserva un provvedimento
          legalmente  dato  dall'Autorita' per ragione di giustizia o
          di  sicurezza  pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene, e'
          punito,  se  il  fatto non costituisce un piu' grave reato,
          con  l'arresto  fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire
          quattrocentomila".
              - L'art. 15 della legge n. 903/1977, cosi' recita:
              "Art. 15. Qualora vengano posti in essere comportamenti
          diretti  a violare le disposizioni di cui agli articoli 1 e
          5 della presente legge, su ricorso del lavoratore o per sua
          delega delle organizzazioni sindacali, il pretore del luogo
          ove e' avvenuto il comportamento denunziato, in funzione di
          giudice del lavoro, nei due giorni successivi, convocate le
          parti   e   assunte   sommarie   informazioni,  se  ritenga
          sussistente   la  violazione  di  cui  al  ricorso,  ordina
          all'autore   del   comportamento  denunciato,  con  decreto
          motivato  ed  immediatamente  esecutivo,  la cessazione del
          comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
              L'efficacia  esecutiva  del  decreto  non  puo'  essere
          revocata fino alla sentenza con cui il pretore definisce il
          giudizio instaurato a norma del comma seguente.
              Contro  il  decreto  e'  ammessa  entro quindici giorni
          dalla  comunicazione  alle  parti  opposizione  davanti  al
          pretore  che  decide con sentenza immediatamente esecutiva.
          Si  osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti
          del codice di procedura civile.
              L'inottemperanza  al  decreto  di  cui al primo comma o
          alla  sentenza  pronunciata  nel giudizio di opposizione e'
          punita ai sensi dell'art. 650 del codice penale.
              Ove  le  violazioni  di  cui  al primo comma riguardino
          dipendenti  pubblici  si  applicano  le  norme  previste in
          materia  di  sospensione  dell'atto  dell'art.  21,  ultimo
          comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034".