Art. 2. 
 
  Tutti i beni di qualunque specie, appartenenti agli anzidetti  enti
morali soppressi, sono devoluti  al  Demanio  dello  Stato  sotto  le
eccezioni e riserve infra espresse: 
 
  Quanto ai beni stabili, il Governo, salvo il disposto dell'art. 18,
inscrivera' a favore del fondo del  culto,  con  effetto  dal  giorno
della presa di possesso, una rendita del 5  per  cento,  uguale  alla
rendita dei medesimi accertata e sottoposta alla tassa di mano-morta,
fatta deduzione del 5 per cento per spese di amministrazione. Per  le
Provincie  Venete  e  la  Mantovana   la   rendita   da   inscriversi
corrispondera' a quella accertata per  gli  effetti  dell'equivalente
d'imposta a termini del Regio Decreto 4 novembre 1866, n. 3346. 
 
  Quanto  ai  canoni,  censi,  livelli,   decime   ed   altre   annue
prestazioni, provenienti dal patrimonio delle corporazioni  religiose
e degli altri enti morali soppressi dalla Legge 7 luglio 1866 e dalla
presente, il Demanio le assegnera' al fondo del culto, ritenendone la
amministrazione  per  conto  del  medesimo;  rimane  per  conseguenza
abrogato l'obbligo della iscrizione della relativa  rendita,  imposto
dall'articolo 11 della Legge 7 luglio 1866. 
 
  I canoni,  censi,  livelli,  decime  ed  altre  annue  prestazioni,
appartenenti agli enti morali non soppressi, seguiteranno a far parte
delle rispettive dotazioni a titolo di assegno. 
 
  Cessato  l'assegnamento  agli  odierni  partecipanti  delle  chiese
ricettizie e delle comunie con cura  d'anime,  la  rendita  inscritta
come sopra, e i loro canoni, censi, livelli  e  decime  assegnati  al
fondo del culto, passeranno  ai  Comuni  in  cui  esistono  le  dette
chiese,  con  l'obbligo  ai  medesimi  di   dotare   le   fabbricerie
parrocchiali e di costituire il supplemento di assegno ai parroci, di
cui e' parola nel numero 4 dell'articolo 28 della Legge del 7  luglio
1866.