Alle intendenze di finanza Agli ispettorati compartimentali delle imposte dirette Agli uffici distrettuali delle imposte dirette Ai centri di servizio di Roma e Milano e p.c. Alla Direzione generale degli affari generali e del personale - Servizio ispettivo PREMESSA La legge 19 marzo 1983, n. 72, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 29 marzo 1983, reca disposizioni concernenti la rivalutazione monetaria dei beni e del capitale delle imprese, l'imposta locale sui redditi delle piccole imprese, nonche' le banche popolari, le societa' per azioni e le cooperative ed il trattamento tributario dei conti interbancari. La ratio delle nuove disposizioni di legge va ricercata, per la parte riguardante la rivalutazione monetaria, nella esigenza di porre rimedio agli effetti negativi originati dal persistente fenomeno della inflazione monetaria che, tra l'altro, compromette una delle funzioni fondamentali cui assolve la moneta, intesa come misura del valore delle cose, rendendo incerta la gestione delle imprese in relazione alla valutazione dei beni aziendali. Tale fenomeno ha, infatti, comportato che il bilancio delle imprese stesse ha finito col perdere significato, in quanto le poste che concorrono a formarlo sono calcolate in base ad un metro monetario non costante ma variabile e quindi esse sono scarsamente rappresentative ai fini della valutazione economica e patrimoniale dell'impresa. A tali inconvenienti intende porre rimedio la legge n. 72 con l'adozione di due misure: una di natura civilistica, volta all'adeguamento dei valori dei cespiti aziendali con conseguente possibilita' di eseguire ammortamenti piu' elevati; l'altra di carattere fiscale, diretta ad escludere dal reddito imponibile le plusvalenze meramente nominali iscritte in bilancio a seguito della rivalutazione monetaria. Con la presente circolare, attesa la notevole importanza che riveste il provvedimento legislativo per la parte attinente alla rivalutazione dei beni d'impresa, vengono dettagliatamente esaminate le disposizioni della legge n. 72, nonche' quelle contenute nel decreto ministeriale di attuazione del 19 aprile 1983, con riferimento, in particolare, all'individuazione dei soggetti destinatari delle disposizioni stesse, ai beni che possono formare oggetto di rivalutazione ed alle condizioni, modalita' e termini per la corretta applicazione della rivalutazione medesima. Nella seconda parte della circolare vengono brevemente illustrate le altre disposizioni della legge n. 72, non riguardanti la rivalutazione monetaria, modificative di alcune norme dei decreti del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, numeri 597, 599, 600 e 601, in ordine alle quali si prende riserva di fornire ulteriori chiarimenti. Per comodita' di consultazione si riportano in allegato alla presente circolare i testi della legge 19 marzo 1983, n. 72 e del decreto ministeriale 19 aprile 1983. PARTE PRIMA RIVALUTAZIONE MONETARIA Capitolo I AMBITO DI APPLICAZIONE 1. - Soggetti Nel delimitare l'ambito soggettivo di applicazione delle norme concernenti la rivalutazione monetaria, la legge 19 marzo 1983, n. 72, negli articoli 1 e 11, riproduce sostanzialmente l'elencazione di cui agli articoli 22, primo comma, e 25, primo e sesto comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576, alla quale risale l'ultima regolamentazione della specifica materia. I soggetti titolari di reddito d'impresa, che possono avvalersi delle particolari disposizioni sulla rivalutazione, vanno pertanto individuati come segue: a) i soggetti di cui all'art. 2, primo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598, e cioe' societa' per azioni, societa' in accomandita per azioni, societa' a responsabilita' limitata, societa' cooperative e societa' di mutua assicurazione, che siano residenti nel territorio dello Stato (art. 1, primo comma, della legge); b) i soggetti di cui all'art. 2, primo comma, lettera b), del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 598 e cioe' gli enti commerciali pubblici e privati residenti nel territorio dello Stato, ivi compresi, anche se non espressamente menzionati, i consorzi, le associazioni non riconosciute e le altre organizzazioni senza personalita' giuridica non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario ed autonomo (art. 1, primo comma, della legge); c) i soggetti di cui all'art. 2, primo comma, lettera e), del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 598 e cioe' gli enti non commerciali pubblici e privati residenti nel territorio dello Stato (art. 11, primo comma, della legge); d) le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che svolgono attivita' produttiva di reddito d'impresa secondo quanto previsto dall'art. 51 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, numero 597 (art. 11, primo comma, della legge); e) le societa' in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate di cui all'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597, residenti nel territorio dello Stato (art. 11, primo comma, della legge); f) le persone fisiche non residenti e le societa' e gli enti di ogni tipo di cui all'art. 2, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica n. 598, che esercitano attivita' commerciali nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni (art. 11, quinto comma, della legge). Anticipando quanto sara' di seguito meglio specificato, si rileva che solo i soggetti indicati alle precedenti lettere a) e b) possono eseguire la rivalutazione monetaria avvalendosi sia del metodo diretto che di quello indiretto; tuttavia, per espressa disposizione di legge l'adozione del metodo indiretto e' consentito per tutte le aziende municipalizzate anche se appartenenti ad altro soggetto passivo. 2.-Beni Ai sensi dell'art. 1, primo comma, della legge n. 72, possono formare oggetto di rivalutazione monetaria, alle condizioni e nei limiti che saranno analizzati partitamente per ciascuna categoria, i seguenti beni: gli immobili, gli impianti, il macchinario ed i mobili (art. 2425, n. 1, codice civile); i diritti di brevetto industriale, i diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, i diritti di concessione ed i marchi di fabbrica (art. 2425, n. 3, codice civile); le azioni e quote di societa' controllate e di societa' collegate ai sensi dell'art. 2359 del codice civile. Occorre subito rilevare che l'elencazione di cui sopra e tassativa e che, conseguentemente, restano tra l'altro esclusi dalla rivalutazione, oltre a quelli espressamente indicati nel secondo comma dell'art. 1 in esame, beni costituenti il magazzino, l'avviamento, i costi pluriennali in genere, i beni monetari (denaro, crediti, obbligazioni, comprese le obbligazioni convertibili, ecc.). a) Immobili. I beni immobili, cioe' i terreni e i fabbricati, sono rivalutabili in quanto compresi nel n. 1 dell'art. 2425 del codice civile espressamente richiamato dal primo comma dell'art. 1 e, per rinvio, dal primo comma dell'art. 11 della legge, mentre sono esclusi dalla rivalutazione i terreni e i fabbricati al cui scambio e' diretta l'attivita' dell'impresa. Pertanto, non possono essere rivalutati i terreni compresi in piani regolatori o in programmi di fabbricazione che sono stati oggetto di lottizzazione o di esecuzione di opere intese a renderli edificabili in quanto si presumono destinati alla vendita, come a suo tempo precisato con risoluzione ministeriale n. 9/1632 del 2 ottobre 1978. Per quanto riguarda i fabbricati, l'art. 1, secondo comma, della legge e l'art. 4 del decreto di attuazione stabiliscono che le societa', gli enti e le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale l'attivita' edilizia non possono rivalutare le unita' immobiliari costruite in proprio, sia direttamente che mediante appalto, ad eccezione di quelle che da data anteriore al 24 marzo 1983 sono adibite ininterrottamente all'esercizio dell'attivita' stessa o di altre attivita' esercitate in via ordinaria, ivi compresa la locazione anche finanziaria. Cio' significa che, se la rivalutazione viene eseguita nel primo esercizio chiuso dopo il 24 marzo 1983, tale condizione deve sussistere ininterrottamente da data anteriore a tale giorno fino alla chiusura dell'esercizio; se invece la rivalutazione viene eseguita con riferimento all'esercizio chiuso anteriormente al 24 marzo 1983, la condizione stessa e' sufficiente che sussista alla data di chiusura dell'esercizio. Si precisa che l'oggetto esclusivo o principale della attivita' dell'impresa e' desumibile dall'atto costitutivo, dallo statuto o dalla legge istitutiva dell'ente e che a tal fine non assumono rilievo le attivita' che possono essere svolte in via sussidiaria o quelle meramente strumentali per il conseguimento delle finalita' primarie, ne' l'attivita' svolta in via prevalente. In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto e, comunque, per le imprese individuali, l'oggetto principale o esclusivo va determinato in base alle risultanze dei registri delle camere di commercio e all'attivita' effettivamente esercitata. b) Impianti, macchinari e mobili. Gli impianti, i macchinari ed i mobili possono essere rivalutati essendo essi compresi tra i beni di cui al n. 1 dell'art. 2425 del codice civile al quale rinvia l'art. 1 della legge. Per detti beni, sempre che non siano destinati alla vendita, la rivalutazione e' ammessa a prescindere dal fatto che siano ammortizzabili o meno e che siano usati direttamente o dati in locazione o ceduti in uso a terzi. c) Diritti di brevetto industriale, diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, diritti di concessione e marchi di fabbrica. Trattasi di beni immateriali indicati nell'art. 2425, primo comma, n. 3, del codice civile, la cui rivalutazione e' ammessa dall'art. i della legge, sempreche' risultino iscritti nell'attivo del bilancio. Fra tali beni non rientra l'avviamento che, pertanto, anche se iscritto in bilancio, non e' rivalutabile. d) Azioni e quote di partecipazione. Le azioni, ivi comprese quelle di risparmio e quelle privilegiate e le quote di partecipazione possono essere rivalutate soltanto se il loro possesso integri una delle ipotesi di controllo della societa' partecipata prevista dal primo comma dell'art. 2359 del codice civile ovvero quando realizzi la figura di societa' collegata ai sensi del secondo comma dello stesso articolo. In merito si precisa che, per effetto delle disposizioni sopra citate, si ha il controllo quando un soggetto (societa', ente o impresa) direttamente o tramite altra societa', della quale abbia a sua volta il controllo, possiede azioni o quote di societa' di ogni tipo in misura tale da costituire la maggioranza richiesta per la deliberazione dell'assemblea ordinaria; ovvero quando la societa' partecipata e' sotto l'influenza dominante del soggetto partecipante in virtu' delle azioni o quote da questo possedute o di particolari vincoli contrattuali con esso; sono invece considerate collegate le societa' delle quali si possiedono azioni o quote in misura superiore al dieci per cento del loro capitale sociale ovvero al cinque per cento se trattasi di societa' quotate in borsa. Non sono suscettibili di rivalutazione, per effetto del secondo comma dell'art. 1, le azioni e le quote ricevute dalla societa' conferente quale corrispettivo degli apporti effettuati ai sensi dell'art. 34 della legge 2 dicembre 1975, n. 576, qualora risultino iscritte in bilancio per un valore superiore al costo dell'azienda o del complesso aziendale conferito riconosciuto ai fini delle imposte sul reddito, giusta quanto stabilito nell'art. 3, secondo comma, del decreto ministeriale 19 aprile 1983. Si rileva che la rivalutazione degli anzidetti titoli e', tuttavia, ammessa per la parte del relativo costo corrispondente ai conferimenti o versamenti fatti alla societa' concentrataria al di fuori dell'operazione agevolata, come previsto nel successivo terzo comma dell'art. 3 del predetto decreto. Sono, inoltre, esclusi dalla rivalutazione i titoli che non esprimono la partecipazione in una societa' di capitali o di persone, quali le quote consortili e associative, le quote di associazione in partecipazione, le quote di partecipazione a fondi comuni di investimento e tutti i cosiddetti titoli atipici. E' da sottolineare che, giusta quanto disposto dall'art. 3, primo comma, del menzionato decreto ministeriale, agli effetti della rivalutabilita' dei beni in parola, il rapporto di controllo o di collegamento deve sussistere ininterrottamente da data anteriore a quella di entrata in vigore della legge (24 marzo 1983), tenendo a tal fine conto anche delle azioni o quote non rivalutabili di cui alla legge n. 576 sopra citata. La predetta disposizione va intesa nel senso che il rapporto di controllo o di collegamento richiesto quale condizione per eseguire la rivalutazione deve ovviamente sussistere alla data di chiusura dell'esercizio con riferimento al quale la rivalutazione viene eseguita; peraltro, per espressa disposizione dell'art. 3 del decreto ministeriale, occorre fare riferimento anche alla data di entrata in vigore della legge n. 72. Cio' significa che, se la rivalutazione viene eseguita nel primo esercizio chiuso dopo il 24 marzo 1983, il rapporto di controllo o di collegamento deve sussistere ininterrottamente da data anteriore a tale giorno fino alla chiusura dell'esercizio; se invece la rivalutazione viene eseguita con riferimento all'esercizio chiuso anteriormente al 24 marzo 1983, il citato rapporto deve sussistere alla data di chiusura dell'esercizio stesso. Non e' rilevante l'esistenza del rapporto di controllo o di collegamento al 31 dicembre 1981. Per quanto attiene alle modalita' da seguire nella rivalutazione, si precisa che le azioni possono essere rivalutate per categorie omogenee determinate con riferimento allo stesso soggetto emittente ed alla identita' di caratteristiche (tenendo conto anche di quelle derivanti da eventuali vincoli sopravvenuti), conformemente alle disposizioni contenute nell'art. 64, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597. Ai fini della individuazione del costo dei titoli rivalutabili e dell'applicazione dei coefficienti va adottato il criterio del LIFO e, pertanto, ove i titoli abbiano subito un decremento rispetto alle consistenze inventariali, saranno considerati venduti prima quelli acquistati per ultimi e, conseguentemente, saranno rivalutati in base al coefficiente dei singoli periodi di formazione, anche se in tali periodi non sussisteva il rapporto di controllo o di collegamento di cui all'art. 2359 del codice civile. Si rileva che, in conformita' a quanto precisato nella circolare n. 350360 del 18 febbraio 1953 ed in quella successiva del 30 dicembre 1975, n. 10, il riporto delle azioni con il prezzo di acquisto pari a quello di vendita si configura come un'operazione di finanziamento, nel senso che non puo' essere considerato come realizzo e successivo riacquisto di detti titoli, i quali, pertanto, sono da ritenersi posseduti senza soluzione di continuita' e, percio', rivalutabili con riferimento alla data dell'acquisto originario. Per quanto concerne le azioni gratuite si ricorda che per gli aumenti gratuiti di capitale sociale deliberati anteriormente al 18 dicembre 1977, data di entrata in vigore della legge 16 dicembre 1977, n. 904, ma dopo il 31 dicembre 1973, si applica il principio contenuto nell'art. 64, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 597, secondo cui "il numero ed il valore delle azioni ricevute gratuitamente si aggiungono al numero e al costo di quelle gia' possedute in proporzione alla quantita' delle singole voci della corrispondente categoria. Nella stessa proporzione l'aumento gratuito del valore nominale delle azioni gia' possedute si aggiunge al costo delle stesse". Ne discende che, mentre il costo dei titoli sara' rivalutato con l'applicazione del coefficiente previsto per l'esercizio in cui essi vennero acquistati, la quota di valore corrispondente all'aumento gratuito va, invece, rivalutata con il coefficiente relativo all'esercizio nel quale la societa' emittente ha deliberato l'aumento gratuito stesso. Con la legge n. 904 e' stata introdotta una nuova disciplina delle azioni gratuite, valevole tanto ai fini civilistici quanto a quelli tributari, per effetto della quale le azioni stesse si intendono acquisite per sole quantita' e non piu' anche per valore, nel senso cioe' che le nuove azioni vengono distribuite proporzionalmente in aggiunta a quelle gia' possedute con conseguente attribuzione di una parte del relativo costo a queste ultime. Pertanto, la rivalutazione delle azioni puo' essere effettuata, sempre che ne ricorrano le condizioni, assumendo come parametro per ciascun periodo di formazione il costo medio unitario risultante dalla divisione del costo originario per il numero complessivo delle azioni da rivalutare, ivi comprese quelle gratuite, ed applicando il coefficiente di rivalutazione relativo al periodo stesso. Per quanto riguarda le azioni gratuite emesse anteriormente al 1° gennaio 1974 data di entrata in vigore della riforma tributaria, il loro trattamento, ai fini della rivalutazione, seguira' l'uno o l'altro dei metodi innanzi descritti a seconda che esse siano state tassate o meno in base alle disposizioni allora vigenti. Da quanto precede consegue che anche le azioni gratuite acquisite dopo il 31 dicembre 1981 possono essere rivalutate se aggiunte per numero e non per valore ai titoli acquistati in precedenza. In ogni altro caso resta fermo il divieto di rivalutazione per le azioni acquisite nel corso di esercizi chiusi dopo il 31 dicembre 1981, anche se tali azioni, qualora i soggetti interessati abbiano adottato il metodo di valutazione a costo medio, risentono della rivalutazione dei titoli acquistati in precedenti esercizi. 3. - Condizioni La possibilita' di effettuare la rivalutazione e' subordinata alle seguenti condizioni: a) che il bene sia stato acquisito entro la data di chiusura dell'esercizio chiuso nell'anno 1981; b) che il bene risulti iscritto nel bilancio chiuso al 31 dicembre 1981 o nell'ultimo bilancio chiuso anteriormente a tale data; c) che il bene risulti iscritto nel bilancio nel quale viene operata la rivalutazione. Per quanto riguarda la condizione sub a), si precisa che il termine ivi indicato deve essere riferito all'ultima delle acquisizioni effettuate, nel caso che il medesimo bene sia stato ceduto e successivamente riacquistato. I beni si intendono acquisiti al patrimonio della impresa al momento in cui si e' verificato l'effetto traslativo della proprieta' o di altro diritto reale, secondo le regole previste dal codice civile e, conseguentemente, il coefficiente di rivalutazione applicabile e' quello relativo all'esercizio nel corso del quale tale effetto si e' prodotto. Relativamente ai beni trasferiti con clausola di riserva della proprieta' tale momento va riferito alla data di consegna dei beni stessi. Per quanto concerne i beni la cui acquisizione al patrimonio dell'impresa avviene per gradi, nell'arco di piu' periodi d'imposta, siano essi costruiti in proprio o mediante appalto, la rivalutazione puo' essere effettuata applicando i coefficienti previsti per ciascun periodo d'imposta all'ammontare dei costi risultanti dalle scritture contabili relative al periodo stesso. In ordine alla condizione sub b) si precisa che restano esclusi dalla rivalutazione quei beni che, pur acquisiti fino all'esercizio chiuso entro il 1981, siano stati iscritti solamente nella successiva situazione patrimoniale iniziale ai sensi dell'art. 15, decimo comma, del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, e successive modificazioni ed integrazioni, recante norme per la definizione agevolata delle pendenze tributarie; restano altresi' esclusi i beni che, sebbene acquisiti prima del 31 dicembre 1981, non risultino iscritti in bilancio a tale data perche' facenti parte del patrimonio personale dell'imprenditore individuale o perche' destinati ad attivita' istituzionale dell'ente non commerciale. Per l'esatta applicazione dei vari coefficienti sia ai beni che si intendono rivalutare, sia ai relativi fondi di ammortamento, si devono tenere presenti le seguenti regole: 1) i beni acquisiti anteriormente al 1° gennaio 1974 ed in relativi fondi di ammortamento possono essere rivalutati sulla base delle risultanze contabili se il soggetto che opera la rivalutazione era tassato in base a bilancio secondo le regole contenute nel testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, ovvero sulla base di idonea documentazione se tale soggetto non era fiscalmente obbligato alla tenuta della contabilita'. In quest'ultimo caso le quote di ammortamento si presumono accantonate nella misura massima deducibile; 2) i beni acquisiti anteriormente al 1° gennaio 1974, per i quali in relazione alla natura del soggetto non esisteva alcun obbligo fiscale di contabilizzazione al momento dell'acquisto, possono essere rivalutati unitamente al relativi fondi di ammortamento se inseritinella situazione patrimoniale al 1° gennaio 1974 di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974, n. 689, per i soggetti tenuti alla sua compilazione; ovvero, se inseriti nella situazione patrimoniale al 1° gennaio 1975, per i soggetti che si siano avvalsi delle disposizioni dell'art. 25 della legge 2 dicembre 1975, n. 576; o, infine, se sono stati inseriti nella situazione patrimoniale iniziale redatta per l'attivazione della contabilita' ordinaria; 3) i beni acquisiti dal 1° gennaio 1974 ed i relativi fondi di ammortamento possono essere rivalutati sulla base delle risultanze delle scritture contabili ordinarie o semplificate che il soggetto interessato deve aver tenuto nei vari periodi d'imposta a norma delle disposizioni vigenti. Va peraltro rilevato che l'art. 2, quarto comma, del decreto ministeriale stabilisce che "In mancanza dei registri o prospetti contabili fiscalmente rilevanti, relativi ad alcuno degli esercizi di riferimento i beni si considerano acquisiti nel primo esercizio in cui risultano contabilizzati". Ne discende che, se la contabilizzazione del bene da rivalutare non e' stata effettuata secondo le regole sopra esposte, il bene stesso potra' essere rivalutato soltanto con il coefficiente relativo all'esercizio nel quale e' stato tardivamente contabilizzato mentre il relativo fondo di ammortamento dovra' essere rivalutato considerando come accantonate, a partire dall'esercizio in cui il bene e' stato acquisito, le quote massime fiscalmente deducibili, salvo che possa essere analiticamente dimostrata la deduzione di un diverso minore importo. Infine, per quanto riguarda la condizione sub c), si osserva che la stessa scaturisce dalla disposizione contenuta nell'art. 5 della legge n. 72 che riproduce quella dell'art. 22, quarto comma, della legge 2 dicembre 1975, n. 576. Pertanto, si conferma quanto precisato con la circolare n. 10 del 30 dicembre 1975, secondo la quale non possono essere rivalutati beni che alla data di chiusura dell'esercizio con riferimento al quale si esegue la rivalutazione siano stati alienati, distrutti o posti fuori uso. Alle condizioni sopra evidenziate sono rivalutabili anche i beni che risultino completamente ammortizzati. 4. - Valori massimi rivalutabili Per il disposto del primo comma dell'art. 4 della legge, "i valori iscritti in bilancio e in inventario a seguito della rivalutazione non possono in nessun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni con riguardo alla loro consistenza, alla loro capacita' produttiva, alla effettiva possibilita' economica di utilizzazione nell'impresa, nonche' ai valori correnti e alle quotazioni in borsa". La disposizione ha carattere civilistico e fiscale e pone un limite invalicabile che deve essere comunque osservato, qualunque sia il metodo di rivalutazione adottato. Nel caso di beni ammortizzabili, i valori iscritti in bilancio ed in inventario per ogni singolo bene devono essere posti in correlazione con l'ammontare del relativo fondo di ammortamento, rivalutato o non rivalutato a seconda che si sia operato con il metodo diretto ovvero con l'indiretto. Pertanto, e' il costo residuo del bene che non puo' in alcun caso superare il suo valore effettivo e non il solo valore iscritto nell'attivo del bilancio; ne consegue che tale costo residuo non puo' essere superiore al valore effettivo del bene gia' prima che venga accantonata al fondo la maggiore quota di ammortamento dell'esercizio commisurata al valore rivalutato. L'art. 10 del decreto ministeriale precisa ulteriormente cosa debba intendersi per "valore effettivamente attribuibile al bene": esso e' dato dal valore realizzabile nel mercato e cioe' dal prezzo conseguibile in sede di alienazione del bene, oppure, se maggiore, dal valore che puo' essere fondatamente attribuito al bene in base alla stima della sua capacita' produttiva ed alla possibilita' di utilizzazione economica nell'impresa. Pertanto, si dovra' tener conto, fra l'altro, sia dello stato di degrado fisico del bene, dato che questo elemento incide negativamente ai fini della valutazione del prezzo di mercato e della determinazione del valore economico-produttivo del bene stesso, sia del suo deprezzamento economico dovuto al fenomeno dell'obsolescenza. In ogni caso, per il disposto del secondo comma dell'art. 4 della legge, gli amministratori ed il collegio sindacale devono indicare e motivare, nelle loro relazioni che accompagnano il bilancio in cui si esegue la rivalutazione, i criteri seguiti nella determinazione dei maggiori valori attribuiti alle varie categorie di beni. Devono inoltre attestare che la rivalutazione eseguita non supera il valore effettivamente attribuibile a ciascun bene rivalutato. L'ultimo comma dell'art. 4 della legge dispone, infine, che se la rivalutazione e' stata eseguita con il metodo diretto previsto dall'art. 2, nell'inventario dell'esercizio o degli esercizi in cui e' stata eseguita devono essere indicati oltre ai nuovi valori anche i prezzi di costo o di acquisto dei singoli beni rivalutati e le eventuali precedenti rivalutazioni monetarie eseguite. 5. - Limiti temporali Ai sensi dell'art. 5, primo comma, della legge, i soggetti che si avvalgono del sistema diretto di rivalutazione possono eseguire la rivalutazione stessa nel primo bilancio o rendiconto approvato dopo l'entrata in vigore della legge e nel successivo. Per effetto di tale norma, i soggetti interessati possono procedere alla rivalutazione in un solo esercizio ovvero in due esercizi anche con riferimento agli stessi cespiti, sempreche' siano rispettate tutte le condizioni volute dalla legge in relazione ai coefficienti massimi ed ai valori attuali dei cespiti. Di contro, le societa' e gli enti indicati nell'art. 1 della legge che procedono alla rivalutazione secondo il metodo indiretto sono obbligati ad effettuarla in una sola volta nel primo bilancio o rendiconto approvato dopo l'entrata in vigore della legge o nel successivo. La rivalutazione deve essere annotata nell'inventario dell'esercizio in cui viene operata. Il secondo comma dell'art. 5 consente che ai soli fini della determinazione delle quote di ammortamento deducibili, ivi comprese quelle relative all'ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili, la rivalutazione spieghi efficacia, ove il soggetto interessato si avvalga di tale facolta', a decorrere dall'esercizio cui si riferisce il bilancio o il rendiconto nel quale viene eseguita. Tale disposizione si applica anche ai fini del terzo comma dell'art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597 riguardante l'ammortamento accelerato e quello anticipato. Ne deriva che, salvo quanto sopra illustrato per le quote di ammortamento, gli altri effetti della rivalutazione, come gia' disposto dalla precedente legge 2 dicembre 1975, n. 576, possono verificarsi dall'esercizio successivo a quello nel quale la rivalutazione stessa e' stata operata. Il terzo comma, infine, dell'art. 5, dispone che le societa' che hanno chiuso l'esercizio il 31 dicembre 1982, possono, indipendentemente da quanto previsto nell'art. 2364, secondo comma, del codice civile, approvare il bilancio entro il 30 giugno 1983, con conseguente differimento del termine previsto per la presentazione della dichiarazione dei redditi. In ordine alla portata della richiamata disposizione si precisa, a conferma di quanto gia' affermato dallo scrivente con la circolare del 25 marzo 1983, n. 9, che la proroga del termine ivi contenuta deve ritenersi operante per tutti i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche indicati nell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598, con esercizio ad anno solare ed obbligati dalla legge o dall'atto costitutivo all'approvazione del bilancio o del rendiconto entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio stesso. Come rilevato nella predetta circolare la disposta proroga del termine di approvazione del bilancio risponde alla esigenza di consentire un piu' congruo margine di tempo per l'adozione delle scelte in ordine alla facolta' di avvalersi della rivalutazione monetaria atteso che la relativa legge e' entrata in vigore il 24 marzo 1983. Ad integrazione di quanto affermato nella circolare anzidetta e tenuto conto di quanto disposto dall'art. 12 del decreto ministeriale, si precisa che possono giovarsi della proroga in questione fino al 30 giugno 1983 anche quei soggetti con esercizio ad anno solare tenuti, per legge o statuto, all'approvazione del bilancio o del rendiconto entro un termine ivi stabilito piu' breve o piu' lungo rispetto a quello considerato nell'art. 2364 del codice civile, sempreche' il termine stesso non sia scaduto anteriormente alla data di entrata in vigore della legge. Va altresi' precisato che la proroga non e' subordinata ad alcuna condizione ne' all'effettiva esecuzione della rivalutazione. Non possono, in ogni caso avvalersi della proroga le societa' di ogni tipo che abbiano chiuso l'ultimo esercizio in data diversa da quella del 31 dicembre 1982, ancorche' alla data di entrata in vigore della legge di rivalutazione non risultava ancora scaduto il termine per l'approvazione del bilancio. Capitolo II MODALITA' DI APPLICAZIONE Analogamente a quanto previsto dalla legge 2 dicembre 1975, n. 576, anche la normativa in commento prevede due diversi metodi di rivalutazione distinguendo, per l'adozione dell'uno o dell'altro, le societa' di capitali e gli enti commerciali dagli altri soggetti, per cui si ritiene opportuno esaminare partitamente le disposizioni concernenti, rispettivamente, le due categorie di destinatari del provvedimento. 6. - Societa' di capitali ed enti commerciali I soggetti indicati nell'art. 1 della legge possono scegliere tra due diversi metodi di rivalutazione e cioe' tra il cosiddetto "metodo diretto" disciplinato dall'art. 2 ed il "metodo indiretto" di cui al successivo art. 3: il primo consiste nell'applicazione diretta dei coefficienti stabiliti dalla legge e' graduati per anno di acquisizione al valore dei beni rivalutabili ed alle relative quote di ammortamento; il secondo invece si realizza distribuendo tra i vari beni rivalutabili l'importo globale risultante dalla rivalutazione del patrimonio netto. a) Metodo diretto. Il soggetto che intende avvalersi del metodo diretto deve percio' determinare il nuovo valore attribuibile al bene che intende rivalutare moltiplicando l'originario prezzo di costo odi acquisto, fatto salvo quanto appresso specificato, per il coefficiente relativo all'anno di acquisizione del bene stesso. I coefficienti applicabili sono quelli riepilogati nella seguente tabella: Anno di acquisizione esercizio chiuso nel: Coefficiente di rivalutazione - 1977 e precedenti ............................... 1,7 1978 ............................................ 1,6 1979 ............................................ 1,4 1980 ............................................ 1,2 1981 ............................................ 1,1 L'importo cui' deve essere applicato il coefficiente di rivalutazione e', nella generalita' dei casi, quello iscritto in bilancio. E' tuttavia possibile che, il suddetto importo non corrisponda a quello da assumere a base della rivalutazione. Cio' si verifica quando l'originario prezzo di costo o di acquisto sia stato oggetto di successive variazioni contabili in piu' o in meno e, comunque, come chiaramente emerge dall'art. 7 del decreto ministeriale, quando il valore iscritto diverga dal costo originario fiscalmente riconosciuto. In quest'ultimo caso, ai fini fiscali, la rivalutazione e' effettuabile solo con riferimento ai valori fiscalmente rilevanti. Per quanto concerne le variazioni contabili si osserva che se il valore iscritto in bilancio nell'esercizio in cui si operala rivalutazione e' inferiore al prezzo di costo o di acquisto del bene originariamente contabilizzato, la rivalutazione potra' essere eseguita applicando al costo originario il coefficiente dell'anno di acquisizione e agli ammontari delle svalutazioni eseguite i coefficienti relativi agli esercizi nei quali sono state operate; se, invece, il valore iscritto in bilancio e' superiore all'originario prezzo di costo o di acquisto, si devono operare le seguenti distinzioni: 1) se il valore del bene e' stato oggetto di precedenti rivalutazioni, eseguite in base a specifiche disposizioni di legge di rivalutazione monetaria, esso puo' essere interamente assunto per determinare l'ammontare massimo attualmente rivalutabile con il coefficiente relativo all'anno di acquisizione; 2) se il prezzo di costo o di acquisto del bene originariamente iscritto e'' stato rettificato in aumento per effetto di costi incrementativi ad esso imputati, la rivalutazione sara' eseguita sull'attuale valore, applicando al costo originario del bene il coefficiente relativo all'esercizio di acquisizione e ai singoli incrementi i coefficienti relativi agli esercizi nei quali gli stessi sono stati contabilizzati; ai fini fiscali, per effetto dei commi secondo e quarto dall'art. 7 del decreto ministeriale di attuazione potra' tenersi conto dei costi incrementativi che non siano stati dedotti in sede di determinazione del reddito e che siano stati imputati ad aumento del costo dei beni; 3) se, invece, il valore del bene originariamente iscritto e' stato successivamente aumentato per effetto di ogni altra rivalutazione (ivi comprese quelle eseguite, dalle imprese di assicurazione ai sensi dell'art. 36 della legge 1° giugno 1978, n. 295, e quelle evidenziate in occasione di operazioni di fusione ai sensi dell'art. 83 della stessa legge) riconducibile o meno alle "speciali ragioni" di deroga dell'ordinario regime di valutazione previste dall'ultimo comma dell'art. 2425 del codice civile, esso non potra' essere interamente assunto per il calcolo dell'ammontare massimo rivalutabile ai sensi della legge n. 72, indipendentemente dalla circostanza che sia stato o meno assoggettato a tassazione: il coefficiente di rivalutazione, pertanto, dovra' essere applicato sull'originario prezzo di costo o di acquisto, ovvero sul, diverso maggiore o minore valore determinabile secondo quanto in precedenza detto. Soluzione analoga a quella indicata al n. 3) va adottata anche per gli incrementi di costo forfettariamente eseguiti iscrivendo a bilancio, in contropartita, l'apposita "Riserva tassata" prevista dall'ultimo comma dell'art. 4 del decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660, convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1973, n. 823 ("Norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria"). Detta, ipotesi ricorre altresi' in tutti i casi in cui siano stati contabilizzati incrementi di costo che abbiano generato le conseguenze fiscali previste dal secondo comma dell'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598. I beni materiali di costo unitario non superiore a lire cinquantamila, per i quali ai sensi dell'art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597 e' stata effettuata la deduzione integrale nel periodo d'imposta in cui sono stati acquisiti, non sono rivalutabili in quanto considerati beni di consumo. Si fa presente che, analogamente a quanto previsto con la circolare n. 10 del 30 dicembre 1975, la rivalutazione puo' essere eseguita per categorie di beni omogenei, considerando tali quelli compresi nella stessa voce della tabella dei coefficienti di ammortamento di cui al decreto ministeriale 29 ottobre 1974 con riferimento al gruppo e specie in cui e' classificabile l'attivita' svolta dal soggetto interessato e tenendo conto delle eventuali autorizzazioni semplificative concesse in materia. Nell'ambito della categoria occorre, tuttavia, che sia i beni sia i relativi fondi di ammortamento siano distinti per anno di acquisizione al fine di potere applicare i vari coefficienti di rivalutazione. Tale procedura, salve le sopra indicate autorizzazioni, non puo' essere applicata relativamente ai beni immobili registrati che, ai sensi dell'art. 16, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600, devono essere evidenziati singolarmente nel registro dei beni ammortizzabili. Le imprese di assicurazione che abbiano iscritto nel passivo del bilancio lo speciale fondo, di integrazione previsto dall'art. 36 della legge 10 giugno 1978, n. 295, possono avvalersi delle disposizioni della legge n. 72, oltre che aumentando il valore dei beni rivalutabili nei limiti consentiti dall'art. 4 di quest'ultima, anche stornando in tutto o in parte l'importo accantonato in detto fondo di integrazione all'apposito fondo di rivalutazione monetaria. Il secondo comma dell'art. 2 della legge n. 72 e l'art. 7 del decreto ministeriale dispongono che, nel caso in cui si rivaluta un bene ammortizzabile, deve provvedersi alla contemporanea rivalutazione delle quote di ammortamento in precedenza dedotte, tenendo conto delle variazioni conseguenti a rettifiche fiscali definitive. Ne consegue che, nel caso di quote dedotte in misura inferiore al limite fissato dal quarto comma, seconda parte, dell'art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597, la rivalutazione concerne soltanto l'ammontare effettivamente dedotto. In linea generale quando non sia ricostruibile l'ammontare effettivamente dedotto, si presume che l'ammortamento sia stato stanziato nella misura stabilita dalla tabella. Per quanto concerne i beni immateriali di cui al n. 3 dell'art. 2425 del codice civile e' da tener presente che essi sono in genere direttamente ammortizzati nell'attivo del bilancio: il valore, infatti, viene ridotto in ogni esercizio di quote determinate in funzione della loro durata o della perdita o della diminuzione della loro utilita'. Tali beni, pertanto, devono essere rivalutati applicando al costo originario il coefficiente relativo all'esercizio di acquisizione e diminuendo l'importo cosi' ottenuto delle predette quote di ammortamento a loro volta rivalutate per i relativi coefficienti. Nel caso in cui i predetti beni immateriali non figurino piu' in bilancio in quanto gia' completamente ammortizzati, la reimpostazione contabile e la rivalutazione con il metodo gia' consentito con la circolare 30 dicembre 1975, n. 10, e' subordinata al fatto che i beni stessi siano tuttora tutelati ai sensi delle vigenti disposizioni in materia. La rivalutazione del fondo di ammortamento deve essere eseguita applicando alle singole quote accantonate il coefficiente di rivalutazione corrispondente al relativo anno; nel caso in cui sia stata gia' eseguita a norma di legge una precedente rivalutazione monetaria devono essere rivalutate anche le maggiori quote di ammortamento risultanti da tale operazione. Si precisa che, per ogni esercizio pregresso, devono essere rivalutati gli accantonamenti eseguiti per la parte corrispondente all'importo massimo risultante dall'applicazione dei coefficienti di cui alla tabella allegata al decreto ministeriale 29 ottobre 1974, e successive modifiche: ne consegue che, per calcolare le variazioni in aumento da imputare al fondo di ammortamento, puo' non tenersi conto delle maggiori quote accantonate. Si rileva che, agli effetti del secondo comma dell'articolo 2 della legge ed in conformita' a quanto disposto dall'art. 5, terzo comma, del decreto ministeriale 19 aprile 1983, non si considerano superiori ai coefficienti tabellari i maggiori ammortamenti effettuati in dipendenza della piu' intensa utilizzazione dei beni e della durata ultrannuale dell'esercizio. Conformemente a quanto stabilito dall'ultimo comma dell'art. 7 del decreto ministeriale di attuazione, le quote di ammortamento contabilizzate nei periodi d'imposta definiti automaticamente ai sensi dell'art. 19 del decreto-legge 10 luglio 1982;. n. 429, e successive modificazioni ed integrazioni, devono essere rivalutate per l'intero ammontare stanziato indipendentemente dai coefficienti tabellari di cui sopra. Per effetto della disposizione contenuta nell'art. 7, quinto comma, del decreto ministeriale, deve essere rivalutato anche l'ammontare delle plusvalenze accantonate e rinvestite, trasferite al fondo di ammortamento ai sensi del quinto comma dell'art. 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597, fino a concorrenza del limite corrispondente all'importo delle plusvalenze stesse, ridotto del 45 per cento, a titolo di ammortamento anticipato. Va' precisato che, ai fini fiscali, la determinazione delle quote di ammortamento del bene, acquistato con le plusvalenze reinvestite va eseguita applicando i coefficienti tabellari sull'ammontare risultante dalla diffe renza tra il costo rivalutato del bene, stesso al lordo della plusvalenza reinvestita e l'importo della plusvalenza accantonata al fondo e rivalutata nei modi sopraindicati. L'importo corrispondente alla rivalutazione del fondo di ammortamento deve essere aggiunto al valore del fondo precedentemente iscritto in bilancio e, ai soli fini fiscali, al valore del fondo accantonato risultante dal registro dei beni ammortizzabili di cui all'art.16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600. Per quanto concerne i beni di proprieta' di soggetti che esercitano attivita' in forza di concessione amministrativa, che al termine della concessione stessa dovrapno' essere gratuitamente devoluti all'ente concedente, le quote di ammortamento finanziario vanno rivalutate per l'intero ammontare effettivamente dedotto fino all'esercizio chiuso entro il 1981 sempre che le imprese concessionarie non abbiano effettuato l'ammortamento tecnico, nel qual caso dovranno essere rivalutate soltanto le quote relative a quest'ultimo. Gli ultimi tre commi dell'art. 2 del provvedimento in rassegna riguardano la rivalutazione dei beni, mobili ed immobili, acquistati in dipendenza di contratti di locazione finanziaria ("leasing") effettuabile con un metodo alternativo rispetto a quello previsto nel primo comma. Come e' noto, tale tipo di contratto consente all'impresa utilizzatrice, alla scadenza pattuita, di riscattare i beni acquisendoli definitivamente ad un prezzo notevolmente piu' basso rispetto al costo originario. In tali casi e' possibile determinare il valore da iscrivere all'attivo dei bilancio prendendo a base non il prezzo effettivamente pagato, bensi' il costo originariamente sostenuto dall'impresa concedente, quale risulta iscritto nel suo bilancio dell'esercizio in cui il bene e' stato consegnato al locatario ed applicando il coefficiente di rivalutazione relativo a tale esercizio; dall'importo cosi' ottenuto deve essere sottratto un ammontare pari alla differenza tra il costo originario ed il prezzo di riscatto pagato dal soggetto che opera la rivalutazione, moltiplicato per il coefficiente medio del periodo durante il quale ha avuto effetto la locazione. Il risultato cosi' ottenuto rappresenta il valore rivalutato del bene, a fronte del quale saranno iscritte le quote di ammortamento, rivalutate relative ai periodi d'imposta decorsi dal momento in cui e' avvenuto il riscatto. Il calcolo sopra descritto puo' essere adottato solo se il costo originario sostenuto dall'impresa concedente risulta evidenziato nel contratto di "leasing", ovvero se tale costo viene attestato con apposita dichiarazione scritta dell'impresa stessa e sempreche' la durata della locazione convenuta non sia inferiore ai due o ai cinque anni, rispettivamente per i beni mobili ed immobili, intendendosi per tale il periodo intercorrente tra la data di consegna del bene e quella prevista per il riscatto. La data di consegna va provata con idonea documentazione. Occorre inoltre che l'utilizzatore abbia esercitato il diritto di riscatto anteriormente alla data del 24 marzo 1983 di entrata in vigore della legge; diversamente la rivalutazione potra' essere eseguita dal concedente secondo la regola generale di cui all'art. 2 della legge. A tale proposito si precisa che il riferimento temporale di cui sopra costituisce una deroga al principio generale secondo cui il bene rivalutabile deve risultare iscritto nel bilancio relativo all'esercizio chiuso al 31 dicembre 1981, fermo restando che il bene stesso deve figurare nel bilancio in cui viene eseguita la rivalutazione. b) Metodo indiretto. La rivalutazione eseguita secondo il metodo indiretto si attua determinando, in primo luogo, l'ammontare massimo rivalutabile in funzione di tutti i beni posseduti e, successivamente, imputando l'importo cosi' ottenuto al valore del bene o dei singoli beni, che si intendono rivalutare. La prima delle suddette operazioni va effettuata eseguendo la somma algebrica dei seguenti importi: 80% del capitale proprio della societa' o ente risultante dal bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno 1977; 60°% dell' incremento o del decremento risultante dal bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno 1978; 45% dell'incremento o del decremento risultante dal bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno 1979; 30% dell'incremento o del decremento risultante dal bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno 1980; 15% dell'incremento o del decremento risultante dal bilancio dell'esercizio chiuso nell'anno 1981. Per le societa' e gli enti il cui primo esercizio si e' chiuso nel 1978, nel 1979, nel 1980 o nel 1981 si assume come primo addendo, rispettivamente, l'importo del 60%, del 45%, del 30% o del 15% del capitale proprio risultante dal bilancio di tale esercizio. Se in un esercizio il capitale proprio risulta interamente perduto, il decremento e' rivalutato soltanto per la parte corrispondente all'ammontare del capitale proprio esistente alla chiusura dell'esercizio precedente; non sono rivalutabili i successivi decrementi ne' i successivi incrementi fino a concorrenza del ripianamento della perdita. Non si rivaluta la perdita emergente nell'esercizio chiuso nel 1977 ne' quella dell'esercizio chiuso in anni successivi qualora esso costituisca il primo esercizio di societa' di nuova costituzione. Per un maggior chiarimento si procede alle seguenti esemplificazioni tenendo conto che gli esercizi successivi al 1981 non sono presi in considerazione in quanto i relativi incrementi o decrementi sono irrilevanti. ESEMPIO 1 Coefficiente Capitale Esercizio di rivalutazione proprio Rivalutazione - - - - 1977 80% 100 100 x 80% = 80 1978 60% 150 50 X 60% = 30 1979 45% 150 - 1980 30% 150 - 1981 15% 120 - 30 X 15% = -4,5 ----- Ammontare complessivo della rivalutazione eseguibile .. 105,5 ESEMPIO 2 Coefficiente Capitale Esercizio di rivalutazione proprio Rivalutazione - - - - 1977 80% 100 100 x 80% = 80 1978 60% 80 - 20 X 60% =-12 1979 45% 150 70 x 45% = 31,5 1980 30% 150 - 1981 15% 120 - 30 X 15% =- 4,5 ----- Ammontare complessivo della rivalutazione eseguibile .. 95 Lo stesso terzo comma dell'art. 3 contiene la nozione del capitale proprio che e' dato dall'ammontare complessivo risultante dal bilancio o dal rendiconto, del capitale versato o fondo di dotazione o fondo patrimoniale, comunque formato, e dalle riserve, diminuito delle perdite e aumentato degli utili dell'esercizio non distribuiti. Sono esplicitamente escluse le riserve di cui all'art. 34 della legge n. 576 per le quali si fa rinvio a quanto sara' detto piu' avanti e quelle di cui agli articoli 36 e 83 della legge 10 giugno 1978, n. 295. Il chiaro riferimento della disposizione legislativa all'ammontare del capitale e delle riserve risultanti dal bilancio o rendiconto rende evidente che i valori da assumere per il computo del capitale proprio della societa' sono esclusivamente quelli rilevanti ai fini civilistici. Pertanto assume importanza fondamentale l'esistenza di un bilancio o rendiconto e la qualificazione che a dette poste contabili viene conferita in tali documenti, rimanendo esclusa ogni indagine di merito circa l'effettiva natura delle poste stesse. Per le principali voci che compongono il capitale proprio si forniscono le seguenti precisazioni: 1) capitale versato o fondo di dotazione o fondo patrimoniale: si deve assumere l'ammontare del capitale sociale che risulta non solo sottoscritto, ma anche versato; si tiene conto anche dei versamenti a fronte di aumento di capitale eseguiti dai soci prima della chiusura dell'esercizio, su conforme delibera adottata entro la predetta data, indipendentemente dalla data di omologazione; 2) si comprendono tra le riserve la riserva legale, la riserva statutaria e qualunque riserva, indipendentemente dal relativo regime fiscale. Rientrano infatti fra le riserve anche quelle costituite con utili esenti o in sospensione d'imposta (quali, ad esempio, quelle costituite ai sensi degli articoli 54 e 55 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597), mentre rimangono escluse le varie forme di riserve occulte e quelle riserve che, pur essendo state identificate e tassate in sede di determinazione del reddito d'impresa, sono rimaste contabilizzate in altre voci del bilancio che non hanno il carattere formale di riserva. Pertanto, per quanto concerne in particolare le riserve tassate e quelle iscritte ai sensi dell'art. 4 del decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660, convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, in sede di condono, esse sono comprese nel capitale proprio in quanto iscritte come tali in bilancio; 3) saldi attivi di rivalutazione monetaria iscritti in bilancio in base a specifiche disposizioni di leggi precedentemente emanate; 4) utili e perdite di precedenti esercizi riportati a nuovo e utile non distribuito o perdita dell'esercizio nel quale si opera la rivalutazione, indipendentemente dalla data della relativa delibera; 5) fondo sovrapprezzo azioni; 6) fondo acquisto azioni proprie, a nulla influendo che sia o meno avvenuto l'acquisto delle stesse. Per quanto riguarda in particolare i fondi costituiti ai sensi del quinto comma dell'art. 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597, essi possono concorrere alla formazione del capitale proprio solo se risultano separatamente in bilancio con menzione della loro origine. Inoltre, nei confronti delle societa' che hanno effettuato conferimenti aziendali ai sensi dell'art. 34 della legge 2 dicembre 1975, n. 576, prorogato dall'art. 10 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, concorrono a formare il capitale proprio, nella misura in cui non sono piu' in regime di sospensione di imposta, le riserve iscritte in bilancio, a fronte delle azioni o quote ricevute, compresa la parte delle riserve stesse imputata a capitale. Di contro, a titolo esemplificativo, si precisa che non concorrono alla formazione del capitale le seguenti voci: 1) capitale sociale sottoscritto ma non versato; 2) versamenti eseguiti dai soci quando non costituiscono versamenti in conto capitale ai sensi dell'art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597; 3) riserve costituite da utili aventi la specifica funzione di sopperire a oneri dell'esercizio, quali quelle, ad esempio, per imposte e tasse, per oscillazione cambi, per rischi su crediti, ecc.; 4) riserve costituite a fronte degli apporti effettuati ai sensi dell'art. 34 della legge 2 dicembre 1975, n. 576, prorogato dall'art. 10 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, compresa la parte imputata a capitale, nella misura in cui sono tuttora in regime di sospensione d'imposta; sono inoltre escluse dal computo del capitale proprio le perdite derivanti da perdite della societa' concentrataria, fino a concorrenza dell'ammontare delle predette riserve ancora in regime di sospensione d'imposta e per la parte riferibile alle azioni o quote ancora detenute. Rientra in questa fattispecie la svalutazione dei titoli ricevuti a fronte dei conferimenti agevolati, dovuta a diminuzione del patrimonio netto della societa' concentrataria dipendente da perdite di gestione. L'importo delle perdite corrispondenti a tale svalutazione, sia che la svalutazione stessa sa stata portata a diretta diminuzione dei titoli posseduti sia che sia stata evidenziata in un apposito fondo del passivo od abbia ridotto la riserva in sospensionedi imposta, non concorre a formare il capitale proprio della societa' conferente (e, quindi, agisce come componente positivo dello stesso) nella misura in cui trova copertura nell'ammontare della riserva risultante ancora in regime di sospensione di imposta alla data di chiusura dell'esercizio con riferimento al quale la rivalutazione viene eseguita e limitatamente alla parte della perdita riferibile alle azioni o quote ancora possedute alla stessa data; 5) fondi di integrazione di cui all'art. 36 della legge 10 giugno 1978, n. 295; 6) fondo indennita' licenziamento; fondo ammortamenti tecnici; fondo ammortamento finanziario; tutti gli altri fondi costituiti a copertura di specifici oneri e passivita'. Non rientrano in quest'ultima categoria i fondi costituiti a fronte di oneri generici (ad esempio fondo rischi diversi, fondo oscillazione valori, fondo oneri futuri, fondo spese impreviste, ecc.) ovvero quelli destinati all'autofinanziamento di futuri investimenti patrimoniali (fondo rinnovo impianti, fondo rinnovo magazzino, ecc.); 7) riserve non evidenziate in bilancio, anche se gia' identificate e acquisite a tassazione, se sono rimaste contabilizzate in altre voci del bilancio e non hanno assunto il carattere formale di riserva. A norma dell'ultimo cornma dell'art. 3 della legge, per le societa' cooperative e loro consorzi il capitale proprio comprende anche le somme versate dai soci persone fisiche, o trattenute ai soci stessi a titolo di prestito, a condizione che i versamenti e le trattenute siano effettuate esclusivamente per il conseguimento dell'oggetto sociale e non superino, per ciascun socio, la somma di lire dieci milioni (elevato a diciassette milioni per le cooperative di conservazione, lavorazione, trasformazione ed alienazione di prodotti agricoli e per le cooperative di produzione e lavoro) e che siano state rispettate le condizioni di cui all'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, cui fa esplicito rinvio la norma sopra menzionata. Una volta determinato l'ammontare massimo delle rivalutazioni eseguibili, si deve procedere alla rettifica in aumento del valore dei singoli beni risultanti in bilancio. Nell'eseguire questa operazione deve essere osservato il limite invalicabile del valore effettivo di ciascun bene, previsto dall'art. 4 della legge. Nell'ambito di tutti i beni oggettivamente rivalutabili, la rettifica dei valori iscritti in bilancio puo' interessare tutti o solo alcuni di essi, senza che debbano sussistere particolari rapporti tra l'ammontare delle singole variazioni in aumento eseguite. Ove il soggetto interessato intenda operare la rivalutazione su categorie omogenee, la rivalutazione si intende ripartita sui beni appartenenti alla categoria in misura proporzionale. Nelle ipotesi di rivalutazione di beni ammortizzabili non si procede alla contemporanea rettifica in aumento del relativo fondo di ammortamento: in ogni caso, la differenza tra il valore del bene rivalutato e l'ammontare del fondo rappresenta il costo residuo del bene stesso e non puo' superare il suo valore effettivo, secondo quanto precisato nel paragrafo 4. Con riferimento alla rivalutazione di azioni, sempre che trattasi di titoli emessi da societa' controllate o collegate, ai sensi del quinto comma dell'art. 8 del decreto ministeriale di attuazione, il maggior valore che si intende attribuire deve essere ripartito per ciascuna categoria in proporzione alle quantita' di azioni acquisite in ogni esercizio fino a quello chiuso nell'anno 1981. Nell'ambito di tale riparto occorre, tuttavia, rispettare i limiti di rivalutabilita' economica stabiliti dall'art. 4 della legge e, pertanto, qualora il nuovo valore attribuibile in base al suddetto calcolo proporzionale risulti superiore a quello effettivo di una determinata quantita' di azioni, l'eccedenza dovra' essere ulteriormente ripartita, sempre in misura proporzionale, tra le altre quantita' residue dei medesimi titoli. 7. - Imprenditori individuali societa' di persone ed enti non commerciali I soggetti indicati nel primo comma dell'art. 11 della legge (imprenditori individuali, societa' di persone ed enti non commerciali) non possono scegliere tra i due metodi alternativi di rivalutazione previsti dagli artt. 2 e 3 ma, analogamente a quanto disposto dalla legge n. 576 del 1975, possono eseguire la rivalutazione stessa soltanto con il metodo diretto di cui all'art. 2, indipendentemente dal fatto che siano obbligati alla tenuta della contabilita' ordinaria o siano ammessi al regime della contabilita' semplificata. Quest'ultima distinzione, tuttavia, assume rilevanza ai fini della individuazione dei beni rivalutabili cosi' come chiarito nel precedente paragrafo n. 3. In proposito si precisa che i beni rivalutabili dai soggetti obbligati alla tenuta della contabilita' ordinaria devono in ogni caso risultare iscritti oltre che nel bilancio o rendiconto con riferimento al quale viene eseguita la rivalutazione, anche nel bilancio o rendiconto relativo al periodo d'imposta chiuso il 31 dicembre 1981, secondo quanto previsto dall'art. 2, primo comma, del decreto ministeriale. Gli enti non commerciali possono eseguire la rivalutazione nel primo bilancio o rendiconto approvato dopo l'entrata in vigore della legge e nel successivo; gli imprenditori individuali e le societa' di persone nel primo bilancio contenuto nell'inventario la cui vidimazione avviene dopo l'entrata in vigore della legge stessa e nel successivo. Si fa presente che ai sensi dell'art. 12, secondo comma, del decreto ministeriale, la vidimazione dell'inventario delle imprese individuali e delle societa' puo' essere effettuata, anche ai fini civilistici, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi. I soggetti che, nel periodo d'imposta nel quale eseguono la rivalutazione, non si siano avvalsi della facolta' di cui all'ultimo comma dell'art. 72-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 597, nel senso che abbiano optato per la determinazione forfettaria del reddito d'impresa, potranno rivalutare i beni che risultano regolarmente registrati o annotati nel registro degli acquisti di cui all'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; coloro, invece, che, avendo avuto un volume di affari inferiore a lire 6.000.000, non abbiano tenuto tale registro, potranno eseguire la rivalutazione sulla base dei costi rilevati dalle fatture o bollette doganali di cui al n. 4 dell'art. 31 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 633. Nel caso di rivalutazione di beni ammortizzabili, si presumono imputate ai periodi d'imposta il cui reddito e' stato determinato forfettariamente quote di ammortamento corrispondenti a quelle massime consentite dall'applicazione dei coefficienti di cui al decreto ministeriale 29 ottobre 1974. Con riferimento agli enti non commerciali si precisa che possono essere rivalutati i beni destinati all'attivita' commerciale e quelli utilizzati in modo promiscuo (attivita' commerciale e attivita' istituzionale), sempre che tale destinazione emerga chiaramente dal bilancio o da altre scritture contabili fiscalmente rilevanti. Per i soggetti che usufruiscono del regime di contabilita' semplificata, la rivalutazione va effettuata in un apposito prospetto sottoscritto dall'imprenditore, che va vidimato entro il termine di presentazione della dichiarazione (art. 12 del decreto ministeriale). Detto prospetto va allegato in originale, alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in cui la rivalutazione viene effettuata; copia di esso deve essere allegata al registro degli acquisti previsto dall'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 e conservata con le stesse modalita'. Nella dichiarazione dei redditi dovra' essere fatta esplicita menzione dell'allegazione del prospetto. La forma di redazione del prospetto e' libera purche' risulti, per ciascun bene da rivalutare, il prezzo di costo o di acquisto, l'anno di acquisizione, le eventuali quote di ammortamento annualmente calcolate, nonche' il nuovo valore ottenuto per effetto della rivalutazione. Per la tenuta del prospetto valgono le disposizioni contenute nell'art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e, pertanto, la bollatura e la vidimazione possono essere eseguite anche dagli uffici del registro. Si avverte, inoltre, che il prospetto medesimo costituisce soltanto prova di come e' stata eseguita la rivalutazione, mentre rimane impregiudicato il potere dell'ufficio di esaminare ed accertare gli effetti della rivalutazione stessa in qualsiasi periodo d'imposta in cui si verificheranno. 8. - Soggetti non residenti Tutti i soggetti non residenti nel territorio dello Stato che, peraltro, vi esercitano attivita' commerciali mediante stabili organizzazioni, possono eseguire la rivalutazione dei beni indicati nell'art. 1 della legge, relativi alla stessa stabile organizzazione, secondo le regole applicabili agli imprenditori individuali, alle societa' di persone e agli enti non commerciali, previste dall'articolo 11 precedentemente illustrate. Si precisa che, ai fini delle modalita' di esecuzione della rivalutazione monetaria non assume alcun rilievo la circostanza che il soggetto operante da non residente sia divenuto residente dopo la data di chiusura dell'esercizio con riferimento al quale intende eseguire la rivalutazione e, comunque, dalla data di entrata in vigore della legge (24 marzo 1983). 9. - Effetti fiscali della rivalutazione e regime del saldo attivo Premesso che il maggiore importo derivante dalla effettuata rivalutazione si aggiunge all'intero costo del bene, ivi compreso l'ammontare di esso escluso dalla rivalutazione, si precisa che, in aderenza a quanto stabilito nel primo comma dell'art. 7 del decreto ministeriale del 19 aprile 1983, i maggiori valori attribuiti ai singoli beni in dipendenza della rivalutazione si considerano riconosciuti ai fini delle imposte sul reddito, come e' peraltro desumibile dal secondo comma dell'art. 5 della legge, con riferimento alla deducibilita' degli ammortamenti, e dal primo comma del successivo art. 8, in relazione alla non imponibilita' dei saldi attivi. Ne discende che i predetti nuovi valori, con le variazioni di cui alle disposizioni contenute nei commi secondo e seguenti dell'art. 7 del decreto ministeriale, costituiscono la nuova base per la determinazione degli ammortamenti fiscalmente deducibili, i quali, quindi, saranno commisurati ai valori rivalutati dei beni. Essi incideranno sul regime delle plusvalenze e delle minusvalenze nel senso che risulteranno, rispettivamente, diminuite ed aumentate. Torna opportuno rilevare che gli accennati effetti spiegheranno efficacia a partire dall'esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione e' stata eseguita, salva la facolta' prevista dall'art. 5 della legge e dell'art. 11 del decreto ministeriale, in virtu' della quale gli effetti della rivalutazione, ai soli fini dell'ammortamento, possono essere anticipati all'esercizio con riferimento al quale la rivalutazione stessa viene effettuata. Si osserva, inoltre, che i nuovi valori, a partire dall'esercizio successivo a quella della rivalutazione, saranno presi in considerazione anche ai fini della determinazione del limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni ammortizzabili risultanti all'inizio del periodo di imposta dal registro dei beni ammortizzabili e riconosciuto ai fini delle imposte sul reddito, entro cui sono fiscalmente deducibili i costi di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597. Si reputa opportuno, infine, far presente, a conferma dell'orientamento assunto con riferimento alla precedente legge di rivalutazione del 1975, che la rivalutazione degli impianti effettuata in dipendenza della legge n. 72, non comporta la decadenza dalle agevolazioni tributarie previste dalla legge 22 luglio 1966, n. 614, richiamata nell'art. 30, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 601, per le imprese industriali operanti nei settori depressi del Centra Nord, qualora risultino superati i limiti massimi degli investimenti in impianti fissi ivi stabiliti e come elevati dalla successiva legge 23 febbraio 1982, n. 47. E cio' nel riflesso che i nuovi valori attribuiti ai detti impianti ed iscritti in bilancio discendono da un mero adeguamento monetario e non da una maggiore potenzialita' economica e produttiva degli impianti stessi. Il saldo attivo di rivalutazione e' rappresentato dallo importo che deve essere iscritto nel passivo del bilancio in contropartita dei maggiori valori attribuiti ai diversi beni iscritti nell'attivo del bilancio stesso, solo parzialmente compensati dagli eventuali maggiori valori attribuiti ai relativi fondi di ammortamento. La sua determinazione rileva, pertanto, esclusivamente per i soggetti obbligati alla tenuta della contabilita' ordinaria: ne consegue che, con riferimento al metodo indiretto, il quale puo' essere adottato solo dai soggetti indicati nell'art. 1 della legge in esame per i quali opera sempre tale obbligo, il saldo di rivalutazione monetaria deve essere in ogni caso determinato ed e' costituito dall'incremento del capitale proprio derivante dalla rivalutazione secondo quanto illustrato in precedenza. Nell'ipotesi di adozione del metodo diretto, il saldo attivo di rivalutazione e' pari all'importo risultante dalla differenza intercorrente tra il nuovo valore dei beni rivalutati ed il relativo valore precedentemente iscritto in bilancio, ridotto dal maggior valore attribuito al fondo di ammortamento rivalutato rispetto al precedente valore del fondo stesso. A norma del primo comma dell'art. 6 della legge, il saldo attivo di rivalutazione, ove non venga imputato a capitale, deve essere accantonato in una speciale riserva, designata con riferimento alla legge n. 72. In pratica l'operazione contabile e' la seguente: --------------------- a ------------------- diversi diversi rivalutazione eseguita ai sensi dell'art. 2 della legge 19 marzo 1983, n. 72 .................... 1200 immobili ....................................... 1000 mobili ......................................... 200 ---- a fondo ammortamento immobili............... 150 a fondo ammortamento mobili ................ 30 a........................................... a riserva di rivalutazione ex legge 19 marzo 1983, n. 72 ............................... 1020 oppure: --------------------- a ------------------- diversi riserva di rivaluta- zione (ex legge 19-3-1983, n. 72) rivalutazione eseguita ai sensi dell'art. 3 della legge 19 marzo 1983, n. 72 .................... 1200 immobili ....................................... 1000 mobili ......................................... 200 Nell'ambito dei soggetti obbligati alla tenuta della contabilita' ordinaria, la disciplina del saldo attivo di rivalutazione e' diversa a seconda che trattasi dei soggetti indicati nell'art. 1 della legge, ovvero dei soggetti indicati nel successivo art. 11. Per quanto riguarda i primi, gli articoli 6 e 8 della legge precisano, rispettivamente, il regime civilistico ed il regime fiscale della "Riserva di rivalutazione" iscritta in bilancio. La riserva, ove non venga imputata al capitale puo' essere ridotta soltanto con l'osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell'art. 2445 del codice civile: pertanto, la delibera della riduzione puo' essere eseguita solamente dopo tre mesi dall'iscrizione nel registro delle imprese e purche' entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all'iscrizione abbia fatto opposizione; malgrado tale opposizione il tribunale puo' consentire la riduzione previa presentazione, da parte della societa', di idonee garanzie. L'ipotesi di utilizzo delle riserve a copertura di perdite di esercizi precedenti viene disciplinata in maniera del tutto analoga a quella prevista dall'art. 23 della legge n. 576: l'unica differenza si rileva nella precisazione contenuta nell'attuale testo secondo cui se la societa' non si limita alla copertura contabile della perdita ma intende procedere alla riduzione sostanziale e definitiva della riserva di rivalutazione, la delibera che svincola i futuri utili dall'obbligo di reintegro della riserva stessa deve essere adottata dall'assemblea straordinaria. Tale formalita' e' richiesta, d'ora in poi, anche per i saldi iscritti in bilancio ai sensi della legge n. 576. Ai sensi dell'art. 8, primo comma, della legge, il saldo attivo di rivalutazione non concorre alla formazione del reddito imponibile della societa' o dell'ente. Se il saldo viene attribuito ai soci o ai partecipanti mediante riduzione della specifica riserva cui e' stato imputato, ovvero, mediante riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o patrimoniale, le somme attribuite ai soci o ai partecipanti concorrono a formare il reddito imponibile della societa' o dell'ente ed il reddito imponibile dei soci o partecipanti: questi ultimi, possono far valere il credito d'imposta di cui all'art. 1 della legge 16 dicembre 1977, n. 904. L'indicata disciplina riguarda l'intero ammontare del saldo iscritto nel bilancio civile, a nulla rilevando, per quanto riguarda il metodo diretto, che esso derivi dalla rivalutazione di valori diversi da quelli fiscalmente riconosciuti. Non si tratta, infatti, di sottoporre a tassazione redditi in sospensione di imposta ma di una specifica misura atta a disincentivare la diminuzione di patrimonio sociale mediante la distribuzione ai soci. Dalla stessa "ratio" discende che il saldo di rivalutazione non incide sul regime delle perdite che, anche se coperte con detto saldo, possono essere ugualmente portate in diminuzione del reddito complessivo Imponibile ai sensi degli articoli 17 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 598. L'ultimo comma dell'art. 8 della legge precisa, infine, che nel caso in cui il saldo di rivalutazione sia stato imputato a capitale e che questo venga successivamente ridotto con rimborso ai soci o ai partecipanti, si presume che la riduzione ha anzitutto per oggetto, fino al corrispondente ammontare, la parte del capitale formata con il saldo di rivalutazione, con conseguente tassazione dello stesso. Identica regola del resto era gia stabilita e continua ad applicarsi nei confronti degli eventuali saldi di rivalutazione iscritti in bilancio a norma di precedenti leggi. Da quanto precede discende che i saldi attivi di rivalutazione monetaria non possono essere direttamente imputati nel conto economico e nel conto patrimoniale a copertura delle perdite, ma devono essere prima accantonate nella speciale riserva di cui all'art. 6 della legge. Ne discende, altresi', che la riserva puo' essere ridotta, secondo le modalita' prescritte dal citato art. 2445 del codice civile, soltanto dopo che i saldi in parola sono stati fatti affluire alla riserva del bilancio nel quale viene eseguita la rivalutazione. Il saldo attivo di rivalutazione monetaria dovra' essere evidenziato nel prospetto delle variazioni di bilancio della dichiarazione dei redditi modi 760, utilizzando la casella in bianco del rigo 82, colonna 2. Per quanto concerne gli imprenditori individuali, le societa' di persone e gli enti non commerciali, obbligati alla tenuta della contabilita' ordinaria, non sussistono regole particolari, ne' civilistiche ne' fiscali, per la contabilizzazione del saldo attivo di rivalutazione: lo stesso potra' quindi essere iscritto nel passivo del bilancio con una qualsiasi denominazione o imputazione e la sua utilizzazione e' libera e non genera, in alcun caso, componenti positivi del reddito d'impresa. Si precisa infine che gli imprenditori ammessi a regimi di contabilita' semplificata procederanno solamente alla determinazione extracontabile del saldo attivo di rivalutazione. 10. - Sanzioni L'art. 7 della legge commina a carico degli amministratori, del sindaci e dei revisori l'ammenda da lire un milione a lire 10 milioni, salvo che il fatto non si configuri come un reato piu' grave, nell'ipotesi di violazione delle disposizioni contenute: nell'art. 4, concernente le modalita' e i limiti in cui vanno iscritti in bilancio o in inventario i' valori risultanti dalla rivalutazione; nell'art. 6, riguardante l'imputazione al capitale o a riserva dei saldi attivi di rivalutazione; nell'art. 11, quarto comma, che pone a carico dei soggetti che si avvalgono della facolta' di eseguire la rivalutazione, esclusi quelli esonerati dalla tenuta della contabilita' ordinaria, l'obbligo di redigere l'inventario e la compilazione del registro dei cespiti ammortizzabili. In caso di condanna il giudice puo' altresi' applicare la pena accessoria prevista dall'art. 2641 del codice civile, consistente nella incapacita' dei soggetti suindicati a ricoprire presso qualsiasi impresa, per la durata non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, gli uffici direttivi di amministratore, sindaco, liquidatore e direttore generale. Capitolo terzo MODIFICAZIONI SOGGETTIVE Analogamente a quanto gia' fatto con la circolare n. 10 del 30 dicembre 1975, si ritiene opportuno soffermarsi sulle modalita' di applicazione della legge di rivalutazione monetaria con riferimento ai soggetti che siano stati interessati da particolari atti o procedure (fusioni, concentrazioni, trasformazioni e liquidazioni), precisando come tali fattispecie si coordinino, sia civilmente che fiscalmente, con le speciali norme dettate dalla predetta legge. 11. - Fusioni L'ultimo comma dell'art. 2504 del cod. civ. prevede che "la societa' incorporante o quella che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle societa' estinte". Il principio sopra enunciato e' ripreso, ai fini fiscali, dall'art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598, il quale sancisce che la fusione, sia propria che per incorporazione, non costituisce ipotesi di realizzo di plusvalenze o minusvalenze. Da quanto sopra discende che, come gia' si ebbe ad affermare con la circolare n. 10 del 30 dicembre 1975, in relazione alla legge n. 576, la societa' incorporante o derivante dalla fusione puo' eseguire la rivalutazione dei beni, con il metodo diretto, con le stesse modalita', alle stesse condizioni e nella stessa misura in cui, ove la fusione o la incorporazione non fossero avvenute, avrebbero potuto procedervi le societa' stesse o incorporate. Per la societa' incorporante o risultante dalla fusione che, avendone i requisiti alla chiusura dell'esercizio in cui si effettua la rivalutazione, intenda adottare il metodo indiretto, l'art. 8 del decreto ministeriale, in attuazione del suindicato principio, dispone che per la determinazione dell'ammontare massimo complessivamente rivalutabile si tiene conto per gli esercizi anteriori alla fusione del capitale proprio di tutti i soggetti fusi o incorporati e dei rispettivi esercizi di formazione. Cio' vale, naturalmente, solo con riferimento alle preesistenti societa' che, per la loro veste giuridica, rientrino tra i soggetti previsti dal primo comma dell'art. 1; pertanto, non potra' in nessun modo prendersi in considerazione il capitale proprio di societa' fuse o incorporate che avessero la forma di societa' di persone. Nel caso in cui le societa' che abbiano gia' provveduto alla rivalutazione ai sensi della presente legge siano incorporate in altra societa' che intenda procedere alla rivalutazione dopo la incorporazione, si osservano le seguenti regole: a) se la societa' ha adottato il metodo diretto e la societa' incorporante intende utilizzare lo stesso metodo, essa potra' rivalutare oltre i beni propri, anche quelli provenienti dalla societa' incorporata ma nella misura in cui quest'ultima non abbia gia' usufruito della rivalutazione; b) se la societa' incorporata ha adottato il metodo indiretto e la societa' incorporante intende adottare il metodo diretto, quest'ultima puo' rivalutare soltanto i beni propri, non quelli provenienti dalla societa' incorporata; c) se la societa' incorporata ha applicato il metodo diretto e la societa' incorporante intende adottare il metodo indiretto vale la soluzione sub b) e il computo del capitale proprio va effettuato senza tener conto degli incrementi e dei decrementi relativi al capitale proprio della societa' incorporata ne' degli incrementi ne dei decrementi derivanti alla societa' incorporante per effetto dell'incorporazione; d) nel caso che entrambe adottino il metodo indiretto vale quanto detto sub c), Nel caso di fusione propria, la societa' risultante dalla fusione potra' adottare il metodo indiretto solo relativamente alle societa' fuse che non abbiano effettuato la rivalutazione; negli altri casi valgono i medesimi criteri esposti per i casi di incorporazione. Per quanto riguarda la natura e le condizioni di rivalutabilita' dei beni si applica, anche in caso di fusione, il principio generale di riferimento alla data di chiusura dell'esercizio in relazione al quale si opera la rivalutazione, nonche' le diverse disposizioni speciali illustrate nei precedenti paragrafi. Per connessione di argomento, e' opportuno accennare alla disciplina di rivalutazione delle azioni o quote ricevute in concambio a seguito di fusioni. Al riguardo si richiamano le istruzioni gia' fornite con nota n. 9/1195 del 26 luglio 1976, con la quale e' stato chiarito che l'operazione di concambio delle azioni attua una pura e semplice sostituzione dei titoli intestati alle societa' estinte con i titoli della societa' incorporante o risultante dalla fusione. Per quanto riguarda la verifica della condizione relativa all'esistenza del rapporto di controllo o di collegamento di cui all'art. 2359 del codice civile, si precisa che tale condizione va verificata nei confronti dell'emittente (societa' incorporante o risultante dalla fusione) alla data di chiusura dell'esercizio con riferimento al quale la rivalutazione viene effettuata (ovvero con riferimento al 23 marzo 1983, come chiarito a pag. 11) a nulla rivelando la situazione preesistente alla data della fusione nei confronti delle societa' estinte. 12. - Concentrazioni L'operazione di concentrazione si ha quando un imprenditore commerciale cede ad una societa' preesistente o appositamente costituita un insieme di beni, tra loro coordinati in modo da costituire un'azienda o un complesso aziendale, ricevendo per corrispettivo azioni o quote rappresentative, in tutto o in parte, del capitale sociale della societa' concentrataria. Quest'ultima, pertanto, potra' eseguire la rivalutazione di detti beni solo se l'operazione ha avuto effetto non oltre l'ultimo esercizio chiuso entro il 31 dicembre 1981. Se viene adottato il metodo diretto, dovra' essere applicato il coefficiente di rivalutazione relativo all'esercizio in cui e' stata effettuata la concentrazione, a nulla rilevando, a differenza di quanto avviene nei casi di fusione, la data alla quale risale l'originario acquisto del bene da parte del soggetto conferente. In proposito si precisa che i coefficienti di rivalutazione vanno applicati sul costo di acquisto del bene senza tener conto del fondo di ammortamento iscritto presso la societa' concentrante che sia stato erroneamente riportato nelle scritture della societa' concentrataria (vedasi quanto in proposito chiarito con circolare n. 9, protocollo n. 9/252, del 21 marzo 1980). Se, invece, viene adottato il metodo indiretto, dovra' prendersi in considerazione unicamente il patrimonio netto della societa' concentrataria, non assumendo, ovviamente, alcuna rilevanza il patrimonio netto del soggetto conferente. 13. - Trasformazione Partendo dalla premessa che la trasformazione determina un semplice mutamento della veste giuridica della societa', non si pone alcun problema nell'applicazione delle norme sulla rivalutazione, qualora tale operazione venga posta in essere nell'ambito dello stesso tipo di societa' (tra societa' di persone o tra societa' di capitali). A diversa conclusione si perviene, invece, se una societa' di capitale si trasforma in societa' di persone o viceversa e se cio' accade prima che sia stata effettuata la rivalutazione dei beni. Nel primo caso, infatti, non si potra' procedere alla rivalutazione con il metodo indiretto, essendo venuta meno la qualificazione soggettiva richiesta dalla legge per tale procedimento di rivalutazione. Nel secondo caso, invece, la rivalutazione con il metodo indiretto e' ammessa, assumendo come termine di riferimento il capitale proprio degli esercizi chiusi dopo la trasformazione ed applicando al primo di questi esercizi i criteri di calcolo dettati dall'art. 8, secondo comma, del decreto ministeriale per le societa' di nuova costituzione. 14. - Liquidazioni I soggetti per i quali abbia avuto inizio la procedura della liquidazione, possono eseguire la rivalutazione dei beni ricompresi tra quelli indicati nell'art. 1 della legge in commento, per i quali sussistano le condizioni di cui al paragrafo 3. L'operazione non presenta particolari problemi in quanto tornano applicabili, anche in questa ipotesi, tutte le regole illustrate nei paragrafi precedenti. Per altro, si ritiene opportuno precisare che, per quanto attiene ai soggetti indicati nel primo comma dell'art. 1, nei cui confronti sussiste l'obbligo dell'iscrizione in bilancio del saldo attivo di rivalutazione monetaria con imputazione al capitale sociale o alla speciale riserva prevista dall'art. 6 della legge, nel momento in cui si perviene al riparto finale del capitale ai soci, si verifichera' il presupposto della tassazione ai sensi del secondo comma del successivo art. 8: piu' precisamente, se risultera' attribuito ai soci l'intero saldo attivo di rivalutazione o una residua parte, il relativo importo concorrera' alla formazione del reddito imponibile sia della societa' che dei soci stessi. PARTE SECONDA DISPOSIZIONI MODIFICATIVE DELLE NORME CONTENUTE NEI DECRETI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 29 SETTEMBRE 1973, N. 597, N. 599, N. 600 E N. 601, NONCHE' DI ALTRE NORME DI LEGGE. 15. - Integrazione dell'art. 62 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 (art. 12 della legge). L'art. 12 della legge n. 72 aggiunge quattro commi nell'art. 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597, che, come noto, detta le regole per la valutazione delle rimanenze finali dei beni alla cui produzione o al cui scambio e' diretta l'attivita' dell'impresa. Il primo dei suddetti commi aggiunti prevede che la valutazione delle rimanenze puo' essere effettuata, oltre che con i criteri di cui al secondo comma o al terzo comma dell'art. 62, adottando una delle seguenti modalita': a) determinando il valore secondo il cosidetto "metodo del dettaglio"; b) attribuendo un valore pari al maggiore tra gli ultimi due costi di acquisto; c) attribuendo il costo unitario medio d'acquisto sostenuto nel periodo d'imposta. Il metodo di cui al punto a) e' consentito solo ai soggetti che esercitano l'attivita' di commercio al minuto e risponde alle esigenze delle imprese che operano nel settore della grande distribuzione, la cui gestione e' contraddistinta dall'acquisto e dalla vendita di un gran numero di beni aventi caratteristiche merceologiche diverse. La rivelazione della movimentazione di tali beni e' oltremodo difficile, sia per la struttura "divisa" dell'azienda appartenente a tale settore sia per il continuo variare delle quantita'. Il "metodo del dettaglio" ("Retail Inventory Method") di cui alla lettera a), per quanto concerne la determinazione del valore delle rimanenze si discosta dal criterio LIFO, mentre, in termini di quantita', prescinde dalla inventariazione fisica delle giacenze. Esso si basa sulla contrapposizione tra i valori al costo (annotati in apposito registro tenuto presso la sede centrale) ed i valori alla vendita (i cui movimenti di carico e scarico sono annotati in appositi registri tenuti dalle filiali) aggiornati periodicamente, sempre e soltanto in termini di valore. In particolare, le modalita' di applicazione del metodo anzidetto possono articolarsi come segue: il carico di magazzino va rilevato sia al prezzo di costo che al prezzo di vendita e vanno, inoltre, rilevate sia le rivalutazioni che le svalutazioni delle merci in giacenza, conseguenti ad aumenti o diminuzioni dei prezzi di vendita intervenuti nel periodo; la differenza tra il valore di vendita della merce trattata ed il relativo costo costituisce il ricarico che viene espresso in percentuale del valore ai prezzi di vendita; il complemento a 100 di tale percentuale rappresenta il costo di acquisto delle merci; il valore delle rimanenze viene determinato sottraendo dal totale delle merci disponibili, espresse ai prezzi di vendita, l'ammontare dei ricavi; l'importo che ne risulta, espresso ai prezzi di vendita, va riportato al prezzo di costo moltiplicandolo per il suddetto complemento a 100 della percentuale di ricarico; ai fini delle registrazioni di magazzino i movimenti di carico e scarico delle merci vanno registrati per gruppi sufficientemente omogenei (reparti, sezioni o simili, costituiti da beni affini sotto il profilo commerciale) e per ciascun gruppo l'azienda deve riportare il valore di vendita al valore di costo, riducendo il primo in base alla percentuale corrispondente al margine lordo e di cui si e' detto sopra. Il metodo di valutazione di cui alla lettera b) puo' essere adottato da tutti i soggetti titolari di reddito di impresa, indipendentemente dal tipo di attivita' commerciale esercitata. La sua applicazione comporta l'abbandono dei diversi criteri eventualmente seguiti nei precedenti periodi d'imposta e la determinazione del valore delle rimanenze di ciascuna categoria omogenea dei beni esistenti alla fine dell'esercizio moltiplicando il numero delle unita' in essa comprese per il maggiore fra gli ultimi due costi di acquisto sostenuti nel periodo d'imposta. Se nel corso del periodo d'imposta non sono stati eseguiti acquisti di beni di una determinata categoria omogenea, ovvero se e' stato eseguito un solo acquisto, il metodo in esame non puo' essere applicato. Il metodo di valutazione di cui alla lettera c) e' anch'esso applicabile indipendentemente dal tipo di attivita' svolta e prevede l'attribuzione, a tutte le unita' di ogni categoria omogenea di beni in rimanenza, del costo unitario medio sostenuto nel periodo d'imposta: tale valore sara' determinato dividendo il costo complessivo degli acquisti eseguiti nell'esercizio per il numero delle unita' acquistate, senza tener conto del numero e del valore delle eventuali rimanenze iniziali, ne del diverso rapporto quantitativo tra i singoli acquisti. Anche questo metodo non puo' trovare applicazione nel caso in cui, nel corso del periodo d'imposta, e' stato eseguito per una determinata categoria omogenea un solo acquisto. Il contribuente che si avvale di uno dei metodi precedentemente illustrati dovra' adottarlo per almeno sei periodi d'imposta consecutivi, fatta salva la facolta' di eseguire la valutazione al valore normale dell'ultimo trimestre, nel caso in cui ricorra l'ipotesi prevista dal quarto comma del citato art. 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 597. Dopo il sesto periodo d'imposta il metodo di valutazione potra' essere modificato, previa comunicazione scritta al competente ufficio delle imposte, ai sensi del primo comma dell'art. 75 del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 597. In virtu' del terzo comma aggiunto nell'art. 62 anzidetto, le disposizioni concernenti i nuovi metodi di valutazione delle rimanenze si applicano a decorrere dal 1° gennaio 1974 a condizione che il metodo, una volta adottato, sia stato costantemente seguito. Entro tali limiti la norma ha effetto retroattivo e comporta sanatoria per i soggetti che avessero precedentemente adottato uno dei nuovi criteri di valutazione. Si precisa che dette disposizioni, fatto salvo quanto sopra rilevato, spiegano efficacia dal periodo d'imposta in corso alla data (24 marzo) di entrata in vigore della legge n. 72. Si rammenta tuttavia che il contribuente che intende adottare uno dei nuovi metodi di valutazione delle rimanenze deve darne comunicazione scritta all'ufficio delle imposte nel termine stabilito per la presentazione della dichiarazione e la comunicazione stessa ha effetto dal periodo d'imposta successivo salva opposizione motivata dall'ufficio, giusta quanto disposto dall'art. 75, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 597. Si rammenta altresi' che tale comunicazione va presentata autonomamente senza cioe' allegarla alla dichiarazione, in conformita' alle disposizioni impartite con la circolare del 15 dicembre 1982, n. 50, protocollo n. 9/809/S. L'ultimo dei nuovi commi aggiunti nell'art. 62, stabilisce infine che, se per effetto della rivalutazione eseguita secondo uno dei metodi sopra indicati, le rimanenze risultano rivalutate rispetto al precedente periodo d'imposta, il maggiore valore ad esse attribuito, a parita' di quantita', concorre per un quinto alla formazione del reddito d'impresa nel periodo d'imposta e, peri restanti quattro quinti, in quote costanti, alla formazione del reddito d'impresa dei quattro periodi d'imposta successivi. 16. - Norme concernenti le societa' cooperative (articoli 14, 17, ultimo comma, e 18 della legge). Il primo comma dell'art. 14 della legge n. 72 stabilisce che, per l'esercizio in corso alla data (24 marzo 1983) della sua entrata in vigore e per i due successivi, gli utili prodotti dalle societa' cooperative di cui al titolo terzo del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) e dell'imposta locale sui redditi (ILOR) se imputati ad aumento gratuito delle quote di partecipazione sottoscritte da ciascun socio. L'imputazione degli utili non puo' essere eseguita in ciascun esercizio per un ammontare superiore al dieci per cento del valore nominale delle quote. L'imputazione eseguita nel secondo e nel terzo dei tre esercizi previsti dalla legge potra' tener conto degli aumenti gratuiti eseguiti rispettivamente nel primo e nel secondo esercizio, in quanto detti aumenti hanno comportato l'elevazione del valore nominale delle singole quote. Il secondo comma dello stesso art. 14 stabilisce peraltro che gli utili di cui sopra costituiscono reddito a tutti gli effetti, sia per la societa' sia per i soci, nel periodo d'imposta in cui viene effettuato il rimborso di capitale ai soci, fino a concorrenza dell'ammontare imputato ad aumento della quota di partecipazione. Per connessione di argomenti si rileva che ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 17 la remunerazione del capitale sociale delle cooperative e dei consorzi non puo' in nessun caso essere superiore alla remunerazione dei prestiti sociali fiscalmente agevolati. La norma costituisce una modifica di quanto disposto dal primo comma, lettera a), dell'art. 26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, che pone quale condizione necessaria per la sussistenza dei requisiti mutualistici cui sono subordinate le agevolazioni fiscali, il divieto di distribuzione di dividendi in misura superiore all'interesse legale sul capitale versato. La remunerazione massima del capitale ora ammessa e', invece, pari a quella prevista dall'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e cioe' l'equivalente del tasso di interesse previsto per i buoni postali fruttiferi, aumentato di 2,5 punti per effetto della disposizione di cui all'art. 6-bis del decreto-legge 31 ottobre 1980, n. 693, nel testo modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 1980, n. 891. L'art. 18 della legge in esame, ad integrazione del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, introduce l'art. 27-quinquies, con il quale si stabilisce che le societa' cooperative ed i loro consorzi possono costituire ed essere soci di societa' per azioni o a responsabilita' limitata. Le disposizioni contenute negli articoli 17 e 18 della legge hanno effetto dal giorno successivo a quella della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (24 marzo 1983). 17. - Elevazione di alcuni limiti di valore contenuti in varie disposizioni di legge (articoli 15, 16 e 17 della legge). In considerazione delle intervenute variazioni del metro monetario, gli articoli 15, 16 e 17 della legge prevedono l'aumento di alcuni limiti di valore stabiliti da varie disposizioni di legge in quanto non piu' adeguati a soddisfare le esigenze per le quali sono stati originariamente fissati. I limiti modificati sono i seguenti: a) il valore nominale delle azioni di una banca popolare possedute da ciascun socio non puo' superare i 15 milioni di lire o i 7,5 milioni di lire a seconda che la banca abbia un capitale non inferiore o inferiore a 500 milioni di lire (art. 2 della legge 11 dicembre 1952, n. 3093, e successive modificazioni, ora ulteriormente modificato dall'art. 15 della legge n. 72); b) i limiti oltre i quali, per la costituzione degli aumenti di capitale sociale si rende necessaria la preventiva autorizzazione del Ministro per il tesoro, ai sensi della legge 3 maggio 1955, n. 428, e successive modificazioni, sono elevati a lire 5 miliardi (art.16 della legge n. 72); c) i limiti di 2 milioni e 4 milioni di lire previsti dal primo comma dell'art. 24 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, sono elevati rispettivamente a lire 20 milioni e 30 milioni; il limite di lire ventimila, previsto dal secondo comma dello stesso art. 24, e' elevato a lire centomila. La disposizione si applica anche ai consorzi o alle cooperative aventi ad oggetto esclusivo o principale la prestazione alle imprese consociate o socie di garanzie mutualistiche e di servizi concernenti il controllo qualitativo dei prodotti, compresa l'applicazione dei marchi di qualita' (art. 17 della legge n. 72). Le disposizioni contenute negli articoli 15, 16 e 17 della legge entrano in vigore nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (24 marzo 1983). 18. - Modalita' di applicazione della ritenuta d'acconto sugli interessi attivi dei conti correnti interbancari per servizi resi (art. 19 della legge). Con riguardo agli interessi dei conti correnti reciproci per servizi resi (c.d. "conti correnti interbancari"), l'art. 19 della legge n. 72 ha risolto il problema, sorto in merito alle modalita' di applicazione della ritenuta d'acconto prevista dal secondo comma dell'art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e cioe' se la ritenuta su detti interessi debba applicarsi sul saldo degli interessi attivi e passivi risultante da tali conti, ovvero se debba applicarsi sull'intero ammontare degli interessi attivi (cosi' detto conteggio "a conto aperto"). La disposizione del primo comma dell'art. 19 reca, per quanto concerne i conti correnti interbancari per servizi resi, l'interpretazione autentica del richiamato secondo comma dell'art. 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600, chiarendo che, fino a tutto il 31 dicembre 1982, la ritenuta deve essere commisurata sulla differenza, o saldo, degli interessi risultanti alla chiusura dei conti correnti in argomento. Il secondo comma dello stesso art. 19 ha, invece, carattere innovativo e dispone che, con effetto dal 1° gennaio 1983, la ritenuta d'acconto va commisurata sulla differenza, o saldo, degli interessi risultanti alle chiusure trimestrali dei conti stessi. 19. - Ulteriori deduzioni ai fini dell'imposta locale sui redditi per determinate categorie di imprese (art. 13 della legge). Il primo comma dell'art. 13 della legge n. 72 prevede che, a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data (24 marzo 1983) di entrata in vigore della legge stessa, cioe' del periodo d'imposta 1983, ferma restando la deduzione prevista dall'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 599, e' concessa, ai fini dell'applicazione dell'imposta locale sui redditi, una ulteriore deduzione dal reddito d'impresa in favore dei seguenti soggetti: a) le imprese artigiane iscritte nell'albo previsto dall'art. 9 della legge 25 luglio 1956, n. 860, comprese le imprese di trasporto e attivita' connesse se iscritte nell'albo di cui all'art. 9 medesimo; b) imprese che esercitano attivita' di commercio al minuto, di intermediazione o di rappresentanza di commercio, di prestazioni alberghiere o di somministrazione di alimenti e bevande nei pubblici esercizi e nelle mense aziendali; c) imprese che esercitano la pesca marittima o in acque interne. Ai sensi del secondo comma dell'art. 13, detta ulteriore deduzione, che va ragguagliata ad anno, e' pari al trenta per cento del reddito calcolato al netto della deduzione del cinquanta per cento prevista dall'art. 7 del citato decreto del Presidente della Repubblica numero 599. Lo stesso secondo comma dell'art. 13 stabilisce che, in ogni caso, l'ulteriore deduzione, sempre ragguagliata ad anno, spetta in misura non inferiore a lire 2 milioni ne' superiore a lire 4 milioni. La disposizione medesima prevede per le imprese artigiane di cui alla lettera a), che impieghino nella azienda, per la maggior parte del periodo d'imposta, almeno un apprendista, l'elevazione della misura minima e massima dell'ulteriore deduzione, rispettivamente, a 3 e 6 milioni; se poi le imprese in questione impiegano due o piu' apprendisti, le misure stesse sono elevate a 4 e ad 8 milioni. L'ufficio delle imposte potra' verificare la esistenza di tali presupposti direttamente dai libri paga e matricola e dal pagamento dei contributi previdenziali. Per espressa previsione dello stesso secondo comma dell'art. 13, per la concessione della ulteriore deduzione, anche per le misure maggiorate a favore delle imprese artigiane, si applicano le disposizioni di cui al secondo e quinto comma dell'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 599; pertanto l'ulteriore deduzione si applica a condizione che l'imprenditore presti la propria opera nell'impresa e che tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente. Il richiamo al quinto comma dell'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 599 comporta che nei confronti dei titolari di piu' redditi per i quali spetta l'anzidetta ulteriore deduzione, l'ammontare della medesima, entro i precisati limiti minimo e massimo, va determinato sul cumulo dei redditi stessi con imputazione proporzionale a ciascuno di essi. Poiche' l'art. 13 fa riferimento alle "imprese", senza distinguere tra imprese individuali e societarie, deve ritenersi applicabile anche il quarto comma dell'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 599, nel senso che alle maggiori deduzioni hanno diritto anche le societa' di persone. Pertanto, l'ulteriore deduzione di cui trattasi, beninteso nei limiti minimo e massimo precisati, spetta anche alle imprese di cui alle lettere a), b) e c) costituite sotto forma di societa' di persone e va calcolata con riferimento alla quota di reddito spettante a ciascuno dei soci che presti la propria opera nella impresa purche' tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente. Alle societa' di persone che esercitano le attivita' di cui alla richiamata legge n. 860 del 1956, la disposizione di cui al quarto comma del citato art. 7, si applica a condizione che la societa' di persone sia iscritta nell'albo previsto nell'art. 9 della stessa legge n. 860. Le intendenze di finanza e gli ispettorati compartimentali delle imposte dirette accuseranno ricevuta della presente circolare alla Direzione generale delle imposte dirette di questo Ministero; gli uffici distrettuali e i centri di servizio delle imposte dirette alle rispettive intendenze di finanza. Il Ministro: FORTE