(parte 12)
                               TITOLO V
                                SPESE
   10.8.  Non  rilevanti  oppure  meramente formali sono le modifiche
apportate al titolo V.
   All'art.  694  (685)  e'  stato  aggiunto  il riferimento anche al
"periodico",  oltre  che   al   "giornale",   in   conformita'   alla
legislazione in materia di stampa.
                               LIBRO XI
                       RAPPORTI GIURISDIZIONALI
                       CON AUTORITA' STRANIERE
                               TITOLO I
                        DISPOSIZIONI GENERALI
   11.1.  Le modificazioni intervenute nel Progetto definitivo, sulle
quali la Commissione parlamentare non ha formulato alcun rilievo  nel
secondo   Parere,   non  hanno  modificato  il  complessivo  impianto
originario delle disposizioni concernenti i rapporti  giurisdizionali
con autorita' straniere.
   Nell'art.  696  (687) si e' mantenuto il riferimento alle norme di
diritto  internazionale  generale  in  luogo   della   formula   "usi
internazionali'proposta dalla Commissione parlamentare.
   Invero  la  formula  prescelta,  coerente  con quella dell'art. 10
comma 1 della  Costituzione,  coincide  con  quella  impiegata  dalla
dottrina   internazionalistica  e  comprende  anche  le  consuetudini
internazionali (delle quali gli usi - art. 656 del codice  vigente  -
sono una componente insieme alla cosidetta opinio iuris) .
                              TITOLO II
                             ESTRADIZIONE
   11.2.  Nell'art.  697  (688)  il  comma  1  e' stato modificato in
accoglimento di un'osservazione della Commissione  parlamentare,  con
l'introduzione,   contro   il   rischio  di  possibili  "estradizioni
mascherate", del principio che la consegna ad uno Stato straniero  di
una  persona  da esso richiesta per sottoporla alla esecuzione di una
sentenza di condanna a pena detentiva o  di  un  altro  provvedimento
restrittivo della liberta' personale, puo' avvenire soltanto mediante
un procedimento di estradizione.
   Nell'art.  698  (689)  ,  comma  1  si  e'  ribadito - in parziale
accoglimento dell'osservazione della Commissione  parlamentare  -  il
divieto  di estradizione per reati politici, gia' sancito dagli artt.
10 u.c. e 26 u.c. della Costituzione.
   Nel  comma 2, non si e' ritenuto di dover escludere l'estradizione
nelle ipotesi punite nello stato richiedente con la pena di morte. Il
testo  adottato,  infatti, risulta conforme alla giurisprudenza della
Corte Costituzionale  e  rispetta  il  principio  cui  si  ispira  il
Protocollo  n.  6  aggiuntivo  alla  Convenzione  Europea dei Diritti
dell'Uomo; inoltre e' sembrato inopportuno escludere la  possibilita'
di  cooperazione  proprio  per  reati di particolare gravita', con il
rischio che il nostro Stato debba farsi carico  delle  procedure  per
tali reati (aut dedere aut iudicare).
   Per   contro   si  e'  rafforzato  il  controllo  in  merito  alla
sufficienza  delle   garanzie   offerte   dallo   Stato   richiedente
l'estradizione,  attribuendone  la  valutazione  anche  all'autorita'
giudiziaria.
   Nell'art.  699 (690) il principio di specialita' e' stato riferito
anche alle ipotesi di estensione dell'estradizione gia' concessa e di
riestradizione.
   Non  si  e' invece previsto il divieto di sottoporre l'estradato a
giudizio per un fatto anteriore e diverso al  fine  di  mantenere  la
simmetria   con   la   formulazione   del  principio  di  specialita'
nell'estradizione attiva (art. 721 gia' 711) , rispetto alla quale si
e'  voluto  fare  salva  la  possibilita'  del giudizio in contumacia
tuttora previsto nel sistema del Progetto.
  Negli artt. 701 e 703 (692 e 694) si e' esplicitato che il consenso
debba  essere  espresso  dall'estradando  alla   presenza   del   suo
difensore.
   Non  si  e'  ritenuto,  invece,  opportuno  prevedere  che, per la
estradizione del cittadino, si debba sempre far luogo  alla  garanzia
giurisdizionale.  Invero,  sempre  ovviamente  nei  casi  in  cui  la
estradizione del cittadino e' possibile (art. 26 comma 1 Cost.)  puo'
essere  per  lo stesso cittadino vantaggioso abbreviare i tempi della
procedura di estradizione. Ne' parimenti sembra che  la  presenza  di
una   pluralita'  di  domande  di  estradizione  debba  escludere  la
rilevanza del consenso (da valutare  in  relazione  ad  ogni  singola
domanda  per  la  quale  sia  stato  espresso)  comunque non idoneo a
vincolare la decisione del Ministro.
  Con  l'art.  712  (702-quater),  si  e'  introdotta  una disciplina
specifica  per  la  regolamentazione   del   transito   a   fini   di
estradizione,   accogliendosi   una  osservazione  della  Commissione
parlamentare. La disciplina adottata si ispira  in  buona  misura  ai
criteri  presenti  nelle  Convenzioni internazionali multilaterali di
estradizione; inoltre, si e' ritenuto di  condizionare  in  linea  di
principio   l'autorizzazione   del   transito   al   vaglio  positivo
dell'autorita' giudiziaria, secondo un sistema non diverso da  quello
previsto per l'estradizione stessa.
   Il  comma  2 dell'art. 717 (707) e' stato modificato per conferire
maggior precisione  alla  disciplina  dell'intervento  del  difensore
dell'estradando.
   Il   comma   4  dell'art.  720  (710)  e'  stato  riformulato  per
esplicitare che l'esercizio dei  poteri  del  Ministro  di  grazia  e
giustizia  avviene  nei limiti del rispetto dei principi fondamentali
dell'ordinamento giuridico italiano.
   11.3.  Nel testo definitivo del codice sono state apportate alcune
modifiche,  per  motivi  formali  o  di   coordinamento   con   altre
disposizioni,  agli  artt.  701  (692)  , 703 (694) , 706 (697) , 709
(702) , 717 (707) , 718 (708) e 719 (709) .
   Nella  rubrica  e  nel  testo  dell'art.  714 (704) , la locuzione
"misure  cautelari"  e'   stata   sostituita   con   quella   "misure
coercitive",  poiche'  solo  di  queste  si  tratta  nell'articolo in
questione. Nella rubrica si e'  fatto  richiamo  anche  al  sequestro
poiche' a questo si riferisce il comma 4.
   Nell'art.  716 (706) oltre ad una modifica formale nel comma 1, la
disciplina del comma 3 e' stata modellata sulla falsariga  di  quella
dell'arresto  in  flagranza. Si e' infatti previsto espressamente che
con la ordinanza  di  convalida  possa  essere  disposta  una  misura
coercitiva,  del resto in coerenza con quanto gia' previsto dal comma
4. In tal modo si  e'  anche  data  al  giudice  la  possibilita'  di
graduare la misura.
                              TITOLO III
                       ROGATORIE INTERNAZIONALI
   11.4  Negli  artt.  723  (713)  ,  comma  3,  e 728 (717- bis), in
accoglimento di una osservazione della Commissione parlamentare, sono
state  introdotte  disposizioni relative alla immunita' delle persone
citate per rogatoria; tali  disposizioni  costituiscono  una  novita'
rispetto al sistema del codice del 1930 e si ispirano a principi gia'
consacrati in accordi internazionali,  tra  i  quali  la  Convenzione
europea di mutua assistenza.
   In  particolare  nei casi di rogatoria all'estero il testimone, il
perito o l'imputato citato a comparire innanzi all'autorita' italiana
non  puo'  essere  sottoposto  ad  alcuna  restrizione della liberta'
personale per fatti anteriori  alla  notifica.  Correlativamente  nei
casi  di rogatoria dall'estero, il ministro di grazia e giustizia non
le da' corso quando lo stato richiedente non offra idonee garanzie in
ordine all'immunita' della persona citata.
   Per  quanto  concerne  l'utilizzabilita'  degli  atti  assunti per
rogatoria, non si e' ritenuto  di  dover  specificare  le  condizioni
opponibili  dallo  Stato  estero  nell'impossibilita' di individuarle
esclusivamente.
                              TITOLO IV
               EFFETTI DELLE SENTENZE PENALI STRANIERE
          ESECUZIONE ALL'ESTERO DI SENTENZE PENALI ITALIANE
   11.5  Nell'art.  733  (722)  comma  1,  lettera  d)  ,  la diversa
formulazione adottata tende a chiarire che qualsiasi incidenza  delle
discriminazioni  indicate nel processo, comprese quelle favorevoli al
condannato, costituisce motivo di diniego del riconoscimento.
   Nell'art.  745  (734) comma 2, accogliendosi un'osservazione della
Commissione parlamentare, si e' qualificato come facolta'  il  potere
del ministro di richiedere il sequestro nel domandare l'esecuzione di
una confisca.
                               PREMESSA
  Il  processo  penale  a  carico  di  imputati  minorenni,  alla cui
disciplina il r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 aveva  dedicato  modesto
spazio,  e'  stato  oggetto  in  questi  ultimi anni di un'attenzione
crescente da parte degli operatori giuridici  e  degli  studiosi  dei
fenomeni sociali. Cio' e' avvenuto in corrispondenza con l'affermarsi
di una nuova considerazione della posizione del minore nei  confronti
dell'ordinamento,  e  sotto  la  spinta  del  nuovo  approccio  della
legislazione piu' recente alle situazioni giuridiche che  coinvolgono
i  soggetti  in eta' evolutiva. Da oggetto di protezione e tutela, il
minorenne  e'  sempre  piu'  considerato  come  titolare  di  diritti
soggettivi  perfetti.  Da  un  lato  e'  cresciuta  la consapevolezza
dell'esigenza di far emergere a livello dell'ordinamento giuridico  i
suoi bisogni primari; dall'altro e' andato maturando il convincimento
che ogni forma di intervento nei suoi confronti mai deve dare luogo a
un  minus  di garanzie rispetto a quelle riconosciute ai maggiorenni,
neppure quando l'intervento si presenta come diretto a proteggerlo da
abusi o da rischi di devianza.
   La legge 16 febbraio 1987, n. 81, contenente delega legislativa al
Governo per l'emanazione del nuovo codice  di  procedura  penale,  ha
recepito   queste   tendenze   e,   a   differenza  della  precedente
legge-delega del 3 aprile 1974, n. 108, ha dedicato ampio  spazio  al
processo  penale  a  carico di imputati minorenni. Ad esso infatti ha
riservato un'apposita ed elaborata norma - l'articolo 3  -  ove  sono
delineati  i  principi guida che devono reggere tale giudizio e dove,
accanto al diritto del minore ad  avere  un  proprio  giudice,  viene
sancito il diritto del minore ad avere un proprio processo.
   Sul  piano  ordinamentale  e  sostanziale, l'esigenza di un organo
specializzato e di una risposta diversificata  all'infrazione  penale
commessa  dal  minorenne  e' da tempo patrimonio acquisito del nostro
ordinamento. Ma limitata sino ad  ora,  come  si  e'  detto,  era  la
specificita'  delle  norme  processuali:  vuoi per il maggiore spazio
dato a suo tempo ai  cosiddetti  interventi  rieducativi  (competenza
amministrativa  del  tribunale  dei  minorenni),  vuoi  per una certa
conseguente residualita' del processo penale, vuoi infine per  quella
scarsa  percezione  del  minore  come soggetto di diritti propria del
contesto socio-culturale in cui nacque  il  sistema  della  giustizia
minorile in Italia.
   La  legge  16  febbraio  1987,  n.  81  colma  questa  lacuna,  e,
ricollegandosi alle odierne tendenze del diritto minorile, stabilisce
il  principio  che  il  processo  a carico di imputati minorenni deve
svolgersi " secondo i principi generali del nuovo processo penale  ",
ma " con le modificazioni e le integrazioni imposte dalle particolari
condizioni psicologiche del  minore,  dalla  sua  maturita'  e  dalle
esigenze della sua educazione ".
   Le  "  modificazioni  "  e  le  "  integrazioni " della disciplina
processuale ordinaria sono dalla delega parzialmente esplicitate  con
la  formulazione,  ovviamente  sintetica  e aperta, di una serie di "
criteri ", elencati dalla lett. a) alla lett. o) dell'art. 3.
   Si  tratta  di  criteri  che  valorizzano in maniera assai marcata
alcune  delle  principali  linee  di  tendenza  dell'odierno  diritto
minorile,  e  che  in  alcuni punti, ad esempio nella lett. a), hanno
gia' trovato attuazione nell'ordinamento vigente.
   Ma  l'elencazione  non  puo'  ritenersi  esaustiva, come del resto
lascia  chiaramente  intendere  l'ultimo  inciso  della  prima  parte
dell'articolo  in  esame: sicche' i " criteri " cui si e' fatto cenno
costituiscono le principali ma non le sole applicazioni del principio
generale  stabilito  dalla prima parte dell'articolo, e sono comunque
bisognevoli di ulteriore esplicitazione.
   Per formulare le singole norme attuative della delega e' quindi in
primo luogo necessario individuare quali principi guida siano sottesi
ai  criteri  predetti,  quali  altre  applicazioni  nel processo tali
principi debbano avere, quali altri principi infine discendano  dalla
formulazione  della  prima  parte della norma delegante. Nel far cio'
(anche per la  sollecitazione  indirettamente  derivante  dall'alinea
dell'art.  2  della  legge-delega)  e'  anche  opportuno  prendere in
considerazione due recentissimi documenti  internazionali  pertinenti
al  tema:  le  Regole  minime  per  l'amministrazione della giustizia
minorile, o " Regole di Pechino ", approvate dall'Assemblea  Generale
delle  Nazioni  Unite  nel  novembre  1985,  e  l'ancor  piu'  vicina
Raccomandazione 87/20 del Consiglio  d'Europa  circa  "  Le  reazioni
sociali  alla  delinquenza  minorile  ",  approvata  dal Comitato dei
Ministri nella seduta del 17 settembre 1987.
   Queste  solenni  enunciazioni dei due alti consessi internazionali
ribadiscono il diritto del minore a tutte le garanzie  processuali  e
ne  sollecitano un rinforzo: ma anche pongono in guardia dai rischi e
dai pregiudizi che  possono  derivare  al  minore  dal  contatto  con
l'apparato  della  giustizia  e  dall'ingresso nel circuito penale; e
sollecitano misure che  riducano  tali  rischi,  che  favoriscano  la
chiusura  anticipata del processo nei casi piu' lievi, che consentano
una " uscita dal penale " attraverso interventi precoci di sostegno e
di  messa alla prova, che assicurino la specializzazione degli organi
e degli operatori della giustizia minorile a tutti i livelli.
   Sotteso  ai  criteri  elencati  nell'art.  3,  e  confermato dalle
dichiarazioni  internazionali  teste'  richiamate,  sta   dunque   il
principio   fondamentale   secondo   cui  il  minorenne  accusato  di
violazione della legge penale ha pieno diritto  ad  un  processo  ove
trovino posto tutte le garanzie ordinarie in favore dell'imputato, ma
non solo quelle: poiche' dal fatto stesso di essere sottoposto ad  un
processo  penale, soprattutto il minorenne puo' ricevere sofferenza e
talora pregiudizio, e comunque riceve non evitabili sollecitazioni  e
stimolazioni  emotive  e  psicologiche  che incidono (negativamente o
positivamente) sullo  sviluppo  della  sua  personalita',  sulla  sua
percezione della societa' organizzata, sul suo rapporto con le figure
adulte: in definitiva, sul piano della sua educazione.
   Alla  premessa  del  "  diritto  del minore al processo " consegue
percio' l'esigenza di eliminare o  ridurre  al  minimo  nel  processo
minorile  ogni  stimolazione  inutilmente  negativa,  e  viceversa di
cogliere e valorizzare le possibili stimolazioni positive  insite  in
un  corretto  confronto  con  la societa' civile e con le sue regole:
cosi'  che  le  valenze  sostanziali  del  processo  possano   essere
canalizzate  ed utilizzate a vantaggio del minore, e non a suo danno.
   Gran  parte dei criteri elencati nell'art. 3 della legge-delega, a
ben vedere, tendono  a  limitare  i  possibili  effetti  dannosi  del
processo:  in  primo  luogo  stabilendo  (lett. a) che il minore deve
sempre essere giudicato dal suo giudice naturale specializzato, anche
in  deroga  ai  principi  sulla  connessione  fra  i procedimenti; in
secondo luogo derogando ad una delle piu'  significative  innovazioni
della  delega,  e  cioe' all'esame diretto dell'imputato da parte del
pubblico ministero e dei difensori (lett. m). Ed ancora, la lett.  c)
e  la  lett. o) mirano ad evitare il rischio dell'" etichettamento ";
le lett. b ) e g) tutelano la personalita' del minore dalle  tensioni
che  puo' sviluppare la presenza dell'accusa privata e dalle reazioni
emotive  che  possono   cagionare   determinati   atti   processuali.
Analogamente   dispongono   le   lett.   h  )  ed  i),  che  limitano
rigorosamente le misure di coercizione personale  (mai  obbligatorie)
ai  casi  piu'  gravi e per tempi ridotti; ed infine la lett. l), che
risponde allo scopo di  favorire  l'uscita  precoce  del  minore  dal
processo,  attraverso una sua definizione semplificata ed anticipata.
   D'altro  lato,  le  valenze  sostanziali  positive  che  i criteri
elencati nell'art. 3 vogliono sottolineare non sono meno numerose. Va
ricordata al riguardo la lett. d), il cui scopo e' di far comprendere
al minore  il  senso  vero  della  risposta  istituzionale  alla  sua
condotta,     con     implicito    riconoscimento    della    valenza
responsabilizzatrice del processo quando l'imputato minorenne non  lo
subisca  come  un  incomprensibile rito. La lett. e), con innovazione
coraggiosa, riconoscendo non soltanto che la personalita' del  minore
e'  in  continua  evoluzione,  ma  che  tale evoluzione puo' ricevere
accelerazioni in positivo nel corso del giudizio (e in  certa  misura
per  il  fatto  stesso  del  giudizio),  prevede che il giudice possa
sospendere  il  processo  per  mettere  alla   prova   con   adeguate
prescrizioni  e  contestuali  sostegni il minore imputato: ed estende
anche  a  tale  finalita'  l'obbligo  del  giudice  di   "   valutare
compiutamente  la  personalita'  del  minore sotto l'aspetto psichico
sociale ed ambientale ", obbligo comunque prescritto  ai  fini  della
applicazione  del diritto sostanziale. Infine, con la seconda ipotesi
della lett. l), la delega significativamente da' al giudice penale il
potere  di  rimuovere  in via d'urgenza gli eventuali condizionamenti
negativi derivanti al minore dal cattivo esercizio della potesta'  su
di  lui esercitata, o comunque da carenze educative cui e' necessario
sopperire.
   Il  processo  minorile  delineato  nei principi guida e' dunque un
processo nettamente caratterizzato in senso  specifico;  un  processo
considerato  come  un  evento  delicato  ed importante nella vita del
minore, che deve percio' essere adattato con grande  attenzione  alle
esigenze  della  personalita'  in  eta'  evolutiva,  per  la quale le
risposte della  societa'  adulta  non  possono  non  avere  risonanze
profonde.
   Nel   tradurre  in  articolato  questi  principi  si  e'  ritenuto
opportuno suddividere la materia in quattro parti distinte: un capo I
dedicato  alle disposizioni generali; un capo II sui provvedimenti in
materia di liberta' personale; un capo III che tratta della fase  del
giudizio;  ed infine un capo IV ove si disciplina il procedimento per
l'applicazione delle misure di sicurezza.  Questi  capi  saranno  ora
esaminati partitamente.
                                CAPO I
                        DISPOSIZIONI GENERALI
   Il  capo  I  consta  di dodici articoli. L'articolo 1 stabilisce i
principi generali del processo minorile, il quale "  e'  disciplinato
dalle  disposizioni  del  presente  decreto e, per quanto in esse non
previsto, dalle norme del codice di procedura penale " (comma 1).
   La  norma non e' di mero rinvio: essa vuole affermare - come detto
diffusamente in precedenza - che il processo  minorile  ha  regole  e
valenze sue proprie, ma e' e rimane un processo con tutte le garanzie
ordinarie.
   Queste  peraltro vanno applicate senza danneggiare la personalita'
in  formazione  del  ragazzo.  Pertanto  il  comma  2   dell'articolo
attribuisce  al  giudice ed al pubblico ministero il potere-dovere di
vigilare affinche' l'applicazione concreta  delle  norme  processuali
avvenga  "  in  modo  adeguato  alla  personalita'  e  alle  esigenze
educative del minore ", evitando che l'impatto con  la  giustizia  si
traduca  per  lui in sollecitazioni pedagogicamente negative o in non
necessarie sofferenze. Viceversa il comma 3, nel quale trova altresi'
attuazione  la  lett.  d)  della delega, ha lo scopo di recuperare le
valenze positive e responsabilizzatrici  del  processo,  rendendo  il
minore  consapevole  della  vicenda  processuale  che  lo riguarda, e
quindi facendogli comprendere appieno il significato  della  risposta
della societa' al suo comportamento.
   Una  serie  di  norme  (artt. 2, 3, 5, 9) e' diretta ad attuare il
principio  della  specializzazione:  che  non  puo'  essere  di  tipo
meramente formale od ordinamentale, ne' riguardare solamente l'organo
giudiziario,  ma  deve  tradursi  in  una   effettiva   e   specifica
preparazione e professionalita' di tutti i soggetti istituzionali che
operano nel processo minorile.
   L'importanza della specializzazione e' riconosciuta dal punto n. 9
della Raccomandazione del Consiglio d'Europa, laddove si afferma  che
occorre  "  incoraggiare  la  formulazione  di  norme affinche' tutti
coloro che intervengono nelle diverse fasi del procedimento (polizia,
avvocati  e  procuratori,  giudici,  operatori  sociali)  abbiano una
formazione specializzata nel  campo  del  diritto  minorile  e  della
delinquenza  minorile  ". Sollecitazione analoga proviene dagli artt.
12 e 22 delle " Regole di Pechino ", le  quali  inoltre  sottolineano
nell'art.  10  che  il  contatto  iniziale fra il minore e gli organi
della giustizia penale - ivi compresa la polizia giudiziaria - e'  un
momento   assai  delicato,  capace  di  "  influenzare  profondamente
l'atteggiamento del minore nei confronti della societa' ".
   Si  e' formulato pertanto l'articolo 9 (anche con riferimento alla
direttiva 105 della delega),  allo  scopo  di  adattare  al  processo
minorile  le  disposizioni  generali in materia di effettivita' della
difesa di ufficio; e si sono previste (articolo 5) sezioni di polizia
giudiziaria   specializzata,  provviste  di  personale  "  dotato  di
specifiche attitudini e preparazione ",  da  costituire  presso  ogni
procura della Repubblica per i minorenni.
   Nell'articolo  2  si  afferma, in attuazione delle lett. a ) ed n)
della delega, la competenza  generale  dell'organo  specializzato;  e
nell'articolo 3 si individuano gli organi giudiziari, ivi compreso il
pubblico ministero.
   Non  attiene  al diritto processuale disciplinare la materia della
formazione specializzata dei magistrati togati ed onorari.  E'  pero'
di  tutta  evidenza  che  l'esistenza  dell'organo specializzato e la
previsione di un'apposita  disciplina  processuale  per  i  minorenni
postulano   anche   processi  formativi  specifici,  accertamento  di
specifiche attitudini e preparazione del giudice, sia esso togato che
onorario.
   La  specializzazione dei servizi, altro punto di grande importanza
richiamato sia dal Consiglio d'Europa che dalle Regole di Pechino, e'
assicurata attraverso il meccanismo previsto dal comma 2 dell'art. 7,
del quale si dira' tra breve.
   L'articolo  4  e'  stato  formulato  per  assicurare  i  necessari
collegamenti fra l'organo giudiziario minorile che procede  e  quello
del  luogo  di abituale dimora del minore, spesso non coincidenti. In
tal modo, anche fuori delle ipotesi di provvedimento civile preso  in
via  d'urgenza  dal  giudice  dell'udienza  preliminare (cfr. lett. l
della delega e art. 27 comma 3), il tribunale  per  i  minorenni  del
luogo ove il minore abitualmente dimora potra' prendere provvedimenti
civili a  protezione  del  minore  nei  casi  in  cui  la  situazione
familiare dovesse renderlo necessario.
   L'articolo 7, nel suo primo comma, con riferimento al " dovere del
giudice di valutare compiutamente la personalita'  del  minore  sotto
l'aspetto psichico, sociale e ambientale " specifica le finalita', le
condizioni e le modalita'  dei  relativi  accertamenti,  dando  cosi'
attuazione  non  soltanto al primo criterio indicato nella lettera e)
della delega, ma anche all'art. 16 delle " Regole di  Pechino  ",  il
quale  stabilisce  che " in tutti i casi, fatta eccezione per i reati
minori,... i precedenti del minore,  le  sue  condizioni  di  vita...
formano oggetto di un'inchiesta approfondita in maniera da facilitare
il giudizio sul  caso  da  parte  dell'autorita'  competente  ".  Con
riferimento  quindi  ai  delitti  dolosi  il  comma  2  dell'articolo
individua nei servizi minorili dell'amministrazione  della  giustizia
il  naturale  referente del giudice minorile, assicurando peraltro il
loro collegamento con i servizi dell'ente locale. Si e' voluto  cosi'
mettere  in  evidenza  l'importanza  del ruolo istituzionale che tali
servizi rivestono, in forza della loro specializzazione nel  settore.
Oltre  a  questa  considerazione di carattere tecnico, e' sembrato di
estremo rilievo che sia un servizio dello Stato a garantire, sia pure
in  collaborazione con gli altri servizi territoriali, le prestazioni
richieste  dal  giudice  penale  ai  fini  della  valutazione   della
personalita' del minore.
   Il  comma  2  dell'articolo  rende  obbligatori gli interventi dei
citati servizi nei casi di delitto doloso; in tutti gli  altri  casi,
di  minore  gravita',  e'  sembrata  sufficiente  la  segnalazione ai
servizi, lasciando ad essi ampia  discrezionalita'  nel  formulare  o
meno  proposte  al  giudice  per l'adozione di provvedimenti civili a
protezione del minore.
   L'articolo  8  e'  attuativo  della  lett.  b)  della  delega, che
riproduce pressoche'  testualmente.  Con  riferimento  peraltro  alla
situazione  della  vittima  e  all'utilita'  educativa  che il minore
prenda coscienza della lesione arrecata all'altrui diritto, si tenuto
presente  il punto n. 3 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa,
che  sottolinea  l'importanza  delle  procedure   cosiddette   "   di
mediazione  ",  o  di ravvedimento operoso. A tal fine, come si dira'
piu' oltre, si e' prevista nell'art. 24  comma  3  (che  riguarda  la
sospensione del processo con messa alla prova) la possibilita' che il
giudice impartisca al minore prescrizioni aventi ad oggetto attivita'
di  carattere  riparatorio,  e  che  la  persona  offesa possa essere
convocata dal giudice, laddove si ritenga opportuno un  suo  incontro
col  minore  imputato per gli scopi predetti oltre che, com'e' ovvio,
per necessita' probatorie (cfr. art. 26 comma 3; art. 28 comma 2).
   L'articolo  9,  relativo  alla difesa d'ufficio e alla esigenza di
una sua effettivita' specifica nel processo minorile, e'  gia'  stato
menzionato  piu'  sopra. Qui occorre invece dire dell'articolo 10, il
quale attua il punto n. 2, terza ipotesi, della  Raccomandazione  del
Consiglio  d'Europa e l'art. 15 n. 2 delle " Regole di Pechino ", che
sottolineano  l'importanza  di  assicurare  al  minore  non  soltanto
l'assistenza  tecnica  del  difensore, ma anche quella psicologica ed
affettiva delle persone a lui care: salva ovviamente  la  valutazione
del   giudice  in  ordine  alla  idoneita'  della  persona  nel  caso
specifico.
   Questa esigenza, a ben vedere, si pone non solamente per il minore
imputato, ma anche per il minore vittima, specie  con  riferimento  a
determinate  ipotesi  criminose  (es.  violenze  sessuali) fortemente
traumatizzanti. Tuttavia non si e'  ritenuto  di  poter  disciplinare
questi   casi   (peraltro  poco  frequenti  nei  procedimenti  contro
minorenni) in quanto il problema della tutela del minore vittima  nel
processo  e'  un  problema  di  carattere  generale, che deve trovare
disciplina nelle norme ordinarie.
   Gli  articoli  11 e 12, attuativi di criteri di cui alle lett. c )
ed o) della delega, hanno lo scopo di tutelare  la  personalita'  del
minore dai rischi di " etichettamento " conseguenti al processo.
   La  disposizione  del comma 2 dell'art. 11 va correlata al comma 1
dell'art. 28, dove e'  disciplinata  l'esclusione  della  pubblicita'
dell'udienza.
                               CAPO II
            PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI LIBERTA' PERSONALE
   Il   capo  II  consta  di  nove  articoli  (artt.  13-21),  ed  e'
interamente  dedicato  ai  provvedimenti  in  materia   di   liberta'
personale.   L'argomento,   nel   processo   minorile,  acquista  una
complessita' e una delicatezza ancor maggiori di quelle che gia'  gli
sono  proprie,  dovendosi  tener  conto,  insieme  con le esigenze di
cautela processuale, della fragilita' caratteriale propria del minore
e della necessita' di non cagionare dannose interruzioni dei processi
di evoluzione positiva della personalita' eventualmente in atto.
   Rigorosa  poi  deve essere la distinzione - e la sua percezione da
parte del minore  -  fra  misure  cautelari  processuali  e  risposta
sanzionatoria;  mentre nell'uno e nell'altro caso non puo' e non deve
mancare,   quando   necessario,   l'intervento   di   sostegno   piu'
appropriato.
   Il  criterio  guida  che  pone la legge delega (lett. h) e' quello
della assoluta residualita' del ricorso alla  carcerazione  per  fini
processuali,  con  la  conseguente  previsione  di  misure  cautelari
personali diverse dalla custodia in carcere.
   Peraltro,  e  prima  ancora  delle  misure  cautelari processuali,
assume una delicatezza tutta particolare nel campo minorile  la  fase
dell'arresto  in  flagranza ad opera della polizia. Si tratta infatti
di un'ipotesi assai frequente di primo contatto fra il minore  ed  il
sistema  della  giustizia  penale, in considerazione della natura dei
reati piu' frequentemente commessi, e si tratta di  un'ipotesi  dove,
senza  il  preventivo  intervento  del  giudice  minorile, il ragazzo
rischia di subire un'esperienza carceraria che e' breve  ma  non  per
questo meno dannosa.
   Si  e' quindi ritenuto di dover dedicare un'attenzione particolare
a questa materia, disciplinandola non solo in attuazione dei  criteri
di  cui  alla  lett.  h),  ma anche in funzione dei principi generali
contenuti nella prima parte dell'articolo 3 della delega.
   Si e' previsto pertanto (articolo 13) che l'arresto in flagranza -
sempre facoltativo - possa essere eseguito solo per i delitti  per  i
quali  l'art.  378 del codice prevede l'arresto obbligatorio, e si e'
stabilito che nel decidere se avvalersi  o  meno  delle  facolta'  di
procedere  all'arresto la polizia debba tener conto delle circostanze
e della gravita' del fatto nonche'  delle  caratteristiche  personali
del soggetto.
   Relativamente  al  fermo  (articolo  14)  si  e' ritenuto di dover
adottare una disciplina assai piu'  restrittiva  di  quella  prevista
dall'art.  382 del codice, limitando l'ipotesi a delitti piu' gravi e
considerando che il pericolo di fuga si configura in modo assai  piu'
ridotto e semplificato per i soggetti in eta' minore.
   L'articolo   15   disciplina   il   comportamento   della  polizia
giudiziaria. Essa deve dare immediata notizia dell'avvenuto arresto o
fermo  al  pubblico  ministero minorile e tradurre il minore entro le
ventiquattro  ore  dinanzi  a  lui  ovvero  nel  luogo  dallo  stesso
indicato,  evitando ogni forma di pubblicita' e di coercizione fisica
non assolutamente necessaria. La norma consente quindi  all'autorita'
giudiziaria  minorile  di  evitare  al minore arrestato l'ingresso in
carcere, e prevede un  pronto  coinvolgimento  dei  servizi  minorili
dell'amministrazione  della  giustizia  sia  per  fornire  subito  al
magistrato elementi di conoscenza della personalita' del minore,  sia
per  proporre  alternative alla custodia in carcere, sia per attivare
se necessario i servizi dell'ente locale per interventi di  sostegno.
Si prevede altresi' che i genitori o gli affidatari siano prontamente
informati. Il sistema cosi' delineato varra'  ad  evitare  l'ingresso
dei  minorenni,  sia  pure  per  poche ore, nelle carceri per adulti,
laddove l'arresto avvenga in un luogo in cui non esiste  un  istituto
apposito per minorenni.
   Gli  artt.  da  16  a  21  disciplinano  le misure cautelari per i
minorenni.
   E'  parso  a  tal  proposito  che  fosse  opportuno  delineare una
disciplina specifica, la quale, pur  nell'ambito  delle  disposizioni
generali  del codice (espressamente richiamate dall'articolo 16 comma
1)  tenesse  conto  delle  peculiarita'  dell'eta'  minore.  Si  sono
pertanto previste misure cautelari apposite, cosi' come auspicato sin
dalla Relazione al Progetto preliminare del 1978, e  come  prescritto
dalla  direttiva  59  della legge-delega. La custodia cautelare (art.
20; art. 16 comma 5), in ossequio all'ultima ipotesi della  lett.  h)
nonche' all'art. 15 delle " Regole di Pechino " ed ai nn. 6 e 7 della
Raccomandazione del Consiglio d'Europa, e'  considerata  come  ultima
ratio,  e  cioe'  misura  applicabile  solo  per  delitti di maggiore
gravita' (individuati in quelli per i quali la  legge  stabilisce  la
pena  della  reclusione  non  inferiore  nel massimo a dodici anni) e
sempre che  sussistano  gravi  ed  inderogabili  esigenze  probatorie
ovvero  gravi  esigenze  di tutela della collettivita'. Il punto n. 7
della Raccomandazione del Consiglio d'Europa suggerisce che la misura
della  custodia  cautelare  in  carcere  "  sia  ordinata in linea di
massima dopo una preventiva consultazione con un servizio, in  ordine
a  possibili misure alternative ": si e' cercato di dare applicazione
almeno parziale a questa raccomandazione stabilendo sin nell'art.  15
comma    1    il   pronto   coinvolgimento   dei   servizi   minorili
dell'amministrazione  della  giustizia  nel  caso   di   arresto   in
flagranza,  e  si  e'  comunque  disposto,  nell'art. 16 comma 3, che
quando viene disposta una misura cautelare  il  giudice  deve  sempre
disporre  l'affido  del minore ai servizi predetti, " che svolgono le
attivita' di sostegno e controllo disposte dal giudice ".
   Sono  state  in  tutto  previste  quattro diverse misure cautelari
personali: le prescrizioni con affidamento al servizio (articolo 17),
la  permanenza  in  casa  (articolo 18), il collocamento in comunita'
(articolo   19),   e   la   custodia   cautelare    (articolo    20).
Nell'applicazione  delle  misure il giudice, oltre a tenere conto dei
criteri stabiliti  nell'art.  275  del  codice,  deve  considerare  i
processi  evolutivi in atto nella personalita' del minore e scegliere
la misura che non  interrompe  quelli  positivi.  Si  e'  voluto  poi
evitare  il  passaggio  automatico  alla misura piu' grave in caso di
inosservanza di quella gia' disposta, e si e' introdotto a  tal  fine
il contemperamento dell'art. 20 comma 3.
   L'arco  di  misure  in  tal  modo offerte al giudice minorile, pur
consentendo di coprire sostanzialmente tutte le ipotesi previste  dal
codice   ordinario,   si  presenta  con  caratteristiche  di  maggior
flessibilita' e con possibilita' di maggiore personalizzazione.
   Si  e'  voluto  evitare  il rischio che la misura dell'art. 17 (la
quale a ben vedere puo' essere  sia  interdittiva  che  "  coercitiva
diversa  dalla  custodia  cautelare ") potesse protrarsi per un tempo
eccessivo, favorendo nei fatti dilazioni della  decisione,  e  si  e'
percio'  previsto  un apposito termine breve di tre mesi, rinnovabile
per non piu' di una volta.
   Si  e' voluto anche evitare che la misura della permanenza in casa
e del collocamento in comunita', se soggette ai termini dell'art. 308
comma  1 del codice, acquisissero una durata del tutto sproporzionata
alle necessita' del processo minorile: e si e' quindi previsto  (art.
18  comma  4 e art. 19 comma 3) che la loro durata massima sia pari a
quella della custodia cautelare.
   Infine, per il caso della scarcerazione per decorrenza dei termini
(articolo 21), si e' previsto che il giudice affidi  il  minore  agli
appositi  servizi  dell'amministrazione  della  giustizia per le piu'
opportune  attivita'  di  sostegno  e  controllo,  e  possa  altresi'
disporre  le  altre  misure  cautelari  minorili  di  cui ricorrano i
presupposti.
                               CAPO III
    DEFINIZIONE ANTICIPATA DEL PROCESSO E GIUDIZIO IN DIBATTIMENTO
   Il  capo III (artt. 22-29) tratta della definizione anticipata del
processo e del giudizio in dibattimento.
   Pur   essendo   evidente   l'importanza   di  tutti  gli  istituti
processuali previsti dal nuovo codice per favorire una rapida  uscita
dal  circuito  penale,  si  e'  ritenuto  incompatibile  col processo
minorile il procedimento per decreto come pure  l'applicazione  della
pena su richiesta (c.d. patteggiamento).
   Quest'ultimo   istituto   presuppone   infatti  nell'imputato  una
capacita' di valutazione e di decisione che richiede piena  maturita'
e  consapevolezza  di scelta, mentre il primo non consente al giudice
quella adeguata valutazione della personalita' del minore  prescritta
dalla  lett. e) della delega e disciplinata dall'art. 7, di cui si e'
detto in precedenza.
   In   applicazione  di  tali  principi  si  e'  pertanto  formulato
l'articolo 22.
   D'altro lato, l'esclusione del procedimento per decreto - previsto
nel codice ordinario per i reati piu' lievi - e' in parte  compensata
dalla   disposizione   dell'articolo  23.  Questa  norma  costituisce
applicazione del criterio di adeguamento del processo  minorile  alle
esigenze  educative del minore, sancito dalla prima parte dell'art. 3
della legge-delega, con riguardo ai casi in cui il fatto appare privo
di  significato  criminoso  e  di  concreta rilevanza sociale, per la
tenuita' delle  conseguenze  e  l'occasionalita'  del  comportamento,
cosi'  da  non richiedere una risposta sociale particolare: mentre lo
stesso svolgimento del processo risulta, in concreto, non rispondente
alle  esigenze educative del minore. In una siffatta situazione si e'
ritenuto di rendere possibile, una volta promossa l'azione penale, la
pronta conclusione del processo senza contestazione del fatto e prima
dell'udienza preliminare, su richiesta del pubblico ministero.
   Il  meccanismo  processuale prescelto non incide sulla fattispecie
sostanziale del reato (cioe' sui suoi elementi  costitutivi  o  sulle
condizioni  di  punibilita'),  e  quindi  non esclude il promovimento
dell'azione  penale,  ma  si   limita   a   consentire   l'anticipata
conclusione  del processo con una pronuncia fondata sulla valutazione
comparativa degli effetti positivi e negativi dello  svolgimento  del
normale   iter   processuale,   in   considerazione   delle  concrete
caratteristiche del fatto e della personalita' del minore imputato.
   L'articolo  24,  attuativo della lett. e) della delega, sancisce e
disciplina una prassi gia' adottata dalla magistratura  minorile  (in
quanto  appaia  positivamente influente sulla condotta del minore), e
prevede, quale logico sbocco  della  sospensione  in  caso  di  esito
positivo  della  prova,  l'emanazione  di  una  pronuncia  pienamente
liberatoria. Si e' determinato nel massimo di un anno il  periodo  di
sospensione,   essendosi   ritenuto   necessario   che  la  posizione
processuale del minore non resti a lungo pendente. La norma (comma 2)
prevede  il  coinvolgimento dei servizi minorili dell'amministrazione
della  giustizia  per  le  opportune   attivita'   di   osservazione,
trattamento  e  sostegno,  e  rende  altresi'  possibile (comma 3) al
giudice di prescrivere al  minore  attivita'  riparatorie  in  favore
della  vittima,  introducendo  cosi'  il  concetto di " mediazione ",
suggerito dalla  piu'  volte  citata  Raccomandazione  del  Consiglio
d'Europa.
   La  sospensione  con messa alla prova puo' essere disposta sia dal
giudice della udienza preliminare che nel dibattimento: ma al  minore
e' sempre lasciata facolta' di chiedere il giudizio senza sospensioni
(comma 6).
   L'articolo  25,  in  materia  di  sanzioni  sostitutive,  attua le
disposizioni della lett. f) della delega, mentre gli articoli 26 e 27
disciplinano  l'udienza preliminare. All'udienza preliminare - che si
svolge in presenza dell'imputato -  e'  assicurata  la  presenza  dei
servizi minorili, che dovranno fornire al giudice gli elementi di cui
all'art. 7; puo' essere convocata la persona offesa per le  finalita'
conciliative  e  riparatorie di cui all'art. 26 comma 3 e 24 comma 3.
Il giudice deve sentire personalmente  il  minore;  la  presenza  dei
genitori  e dei servizi specializzati gli consente fin da questa fase
una  conoscenza  diretta  del  giovane  imputato  ed   una   compiuta
valutazione  della  sua  personalita',  dei  suoi problemi, delle sue
risorse.
   L'ultimo  comma  dell'art.  26  disciplina i casi in cui il minore
puo' essere allontanato durante il  compimento  di  determinati  atti
processuali (lett. g) della delega).
   L'articolo  27 disciplina i provvedimenti del giudice dell'udienza
preliminare, in conformita' di criteri di cui  alla  lett.  l)  della
delega,  e prevede la possibilita' di provvedimenti civili provvisori
ed urgenti a protezione del minore.
   L'articolo  28 tratta dell'udienza dibattimentale, che di norma si
svolge a  porte  chiuse.  Tuttavia  si  e'  previsto  che  l'imputato
ultrasedicenne  possa  chiedere  la  pubblica udienza: in tal caso la
decisione spetta al tribunale, che deve valutare la fondatezza  delle
ragioni  addotte e la loro corrispondenza a finalita' di tutela della
personalita' dell'imputato.  Il  comma  2  richiama  le  disposizioni
dell'art.  26  per  quanto  attiene  allo svolgimento dell'udienza, e
dispone inoltre, in attuazione  della  lett.  m)  della  delega,  che
l'esame  dell'imputato  sia  effettuato  dal  presidente del collegio
giudicante.
   Infine,  l'articolo  29  disciplina la impugnazione delle sentenze
pronunciate nel dibattimento.
                               CAPO IV
      PROCEDIMENTO PER L'APPLICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA
   Il  capo  IV  e' dedicato al procedimento per l'applicazione delle
misure di sicurezza, che viene disciplinato distintamente  a  seconda
che  il  soggetto  sia  minore (articolo 30) o maggiore (articolo 31)
degli anni quattordici.
   Per  il  primo  caso  si  e'  stabilito  che la misura puo' essere
applicata solo nei confronti di soggetti che abbiano  commesso  reati
per  i  quali la legge stabilisce la pena di reclusione non inferiore
nel massimo a dodici anni, nonche' per i delitti previsti dagli artt.
519  comma  1,  521  c.p.,  dall'art. 72 comma 1 della l. 22 dicembre
1975, n. 685 e dagli artt. 3 e 4 della l. 20 febbraio  1958,  n.  75.
Deve  essere  accertata  l'effettiva  pericolosita'  del  soggetto  e
l'impossibilita' di controllo mediante i provvedimenti  civili  (art.
336  c.c.),  ivi  compresi  l'affidamento  ad un servizio o opportune
prescrizioni.
   La  misura  puo' essere eseguita solo con " permanenza in casa " o
con il " collocamento in comunita' ".
   Organo competente ad irrogarla e' il tribunale per i minorenni che
deve procedere a tutti gli accertamenti attinenti alla  pericolosita'
del  soggetto,  nonche'  all'eventuale applicazione provvisoria della
misura stessa. Quando ricorrano  "  eccezionali  esigenze  di  tutela
della  collettivita'  o  dell'integrita'  psicofisica del minorenne "
puo' essere provvisoriamente applicata dal giudice  per  le  indagini
preliminari,   con   provvedimento  di  collocazione  provvisorio  in
comunita', immediatamente esecutivo e soggetto  a  decadenza  se  nel
termine  di  trenta  giorni  non  ha  inizio  il  giudizio dinanzi al
tribunale.
   Nel  corso  dell'esecuzione  il  magistrato di sorveglianza dovra'
mantenere continui contatti con il minore, i genitori  o  il  tutore,
l'affidatario,  i  servizi  sociali,  anche  al fine di verificare la
persistenza della pericolosita' sociale, in modo da procedere il piu'
celermente  possibile  alla  revoca della misura di sicurezza, con la
contestuale proposta, se del  caso,  di  emissione  di  provvedimenti
civili da parte del tribunale per i minorenni.
   Nei   confronti   dei  minori  ultraquattordicenni  la  misura  di
sicurezza puo' essere applicata dal  tribunale  per  i  minorenni,  a
seguito  di  sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilita'
ai sensi dell'art.  98  c.p.,  sempre  per  i  reati  precedentemente
indicati ed accertata l'effettiva pericolosita' del soggetto.
   Le modalita' di esecuzione sono le stesse di quelle previste per i
minori infraquattordicenni, con la previsione  espressa  che,  se  lo
impongono  specifiche  e  gravi  ragioni  attinenti  alla particolare
difficolta'  di  socializzazione  del  minore,  ovvero  sia   rimasta
accertata  l'inutilita'  della  misura provvisoriamente gia' disposta
anche per avere  il  minore  ripetutamente  violato  le  disposizioni
impartite,  puo'  ordinarsi  che  la  misura  sia eseguita presso uno
stabilimento penitenziario minorile.  Tale  modalita'  di  esecuzione
puo' essere sempre modificata dal magistrato di sorveglianza.
                               PREMESSA
   Il  testo  delle  disposizioni  sul  processo  penale  a carico di
imputati minorenni viene oggi presentato al Consiglio  dei  Ministri,
unitamente  al testo del nuovo codice di procedura penale ed a quello
delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario, nel pieno
rispetto   dei   tempi,   pur   brevissimi,   previsti  dal  comma  4
dell'articolo 8 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81.
   Il  processo  penale  a  carico  di  imputati  minorenni, alla cui
disciplina il r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 aveva  dedicato  modesto
spazio,  e'  stato  oggetto  in  questi  ultimi anni di un'attenzione
crescente da parte degli operatori giuridici  e  degli  studiosi  dei
fenomeni sociali. Cio' e' avvenuto in corrispondenza con l'affermarsi
di una nuova considerazione della posizione del minore nei  confronti
dell'ordinamento,  e  sotto  la  spinta  del  nuovo  approccio  della
legislazione piu' recente alle situazioni giuridiche che  coinvolgono
i  soggetti  in eta' evolutiva. Da oggetto di protezione e tutela, il
minorenne  e'  sempre  piu'  considerato  come  titolare  di  diritti
soggettivi  perfetti.  Da  un  lato  e'  cresciuta  la consapevolezza
dell'esigenza di far emergere a livello dell'ordinamento giuridico  i
suoi bisogni primari; dall'altro e' andato maturando il convincimento
che ogni forma di intervento nei suoi confronti mai deve dare luogo a
un  minus  di garanzie rispetto a quelle riconosciute ai maggiorenni,
neppure quando l'intervento si presenta come diretto a proteggerlo da
abusi o da rischi di devianza.
   La legge 16 febbraio 1987, n. 81, contenente delega legislativa al
governo per l'emanazione del nuovo codice  di  procedura  penale,  ha
recepito  queste  tendenze  e,  a  differenza  della precedente legge
delega del 3 aprile  1974,  n.  108,  ha  dedicato  ampio  spazio  al
processo  penale  a  carico di imputati minorenni. Ad esso infatti ha
riservato un'apposita ed elaborata norma - l'articolo 3  -  ove  sono
delineati  i  principi guida che devono reggere tale giudizio e dove,
accanto al diritto del minore ad  avere  un  proprio  giudice,  viene
sancito il diritto del minore ad avere un proprio processo.
   Sul  piano  ordinamentale  e  sostanziale, l'esigenza di un organo
specializzato e di una risposta diversificata  all'infrazione  penale
commessa  dal  minorenne  e' da tempo patrimonio acquisito del nostro
ordinamento. Ma limitata sino ad  ora,  come  si  e'  detto,  era  la
specificita'  delle  norme  processuali:  vuoi per il maggiore spazio
dato a suo tempo ai  cosiddetti  interventi  rieducativi  (competenza
amministrativa  del  tribunale  per  i minorenni), vuoi per una certa
conseguente residualita' del processo penale, vuoi infine per  quella
scarsa  percezione del minorenne come soggetto di diritti propria del
contesto socio-culturale in cui nacque  il  sistema  della  giustizia
minorile in Italia.
   La  legge  16  febbraio  1987,  n.  81  colma  questa  lacuna,  e,
ricollegandosi alle odierne tendenze del diritto minorile, stabilisce
il  principio  che  il  processo  a carico di imputati minorenni deve
svolgersi "secondo i principi generali del nuovo processo penale", ma
"con  le  modificazioni  e  le integrazioni imposte dalle particolari
condizioni psicologiche del  minore,  dalla  sua  maturita'  e  dalle
esigenze della sua educazione".
   Le   "modificazioni"   e   le   "integrazioni"   della  disciplina
processuale ordinaria sono dalla delega parzialmente esplicitate  con
la  formulazione,  ovviamente  sintetica  e  aperta,  di una serie di
"criteri", elencati dalla lettera a) alla lettera p) dell'art. 3.
   Si  tratta  di  criteri  che  valorizzano in maniera assai marcata
alcune  delle  principali  linee  di  tendenza  dell'odierno  diritto
minorile,  e  che in alcuni punti, ad esempio nella lettera a), hanno
gia' trovato attuazione nell'ordinamento vigente.
   Ma  l'elencazione  non  puo'  ritenersi  esaustiva, come del resto
lascia  chiaramente  intendere  l'ultimo  inciso  della  prima  parte
dell'articolo  in  esame:  sicche'  i "criteri" cui si e' fatto cenno
costituiscono le principali ma non le sole applicazioni del principio
generale  stabilito  dalla prima parte dell'articolo, e sono comunque
bisognevoli di ulteriore specificazione.
   Per  formulare  le  singole  norme  di  attuazione della delega e'
quindi in primo luogo necessario  individuare  quali  principi  guida
siano  sottesi  ai  criteri  predetti,  quali  altre applicazioni nel
processo tali principi debbano avere,  quali  altri  principi  infine
discendano   dalla   formulazione   della  prima  parte  della  norma
delegante. Nel far cio' (anche per la  sollecitazione  indirettamente
derivante   dal   primo   inciso  dell'articolo  2    comma  1  della
legge-delega) e' inoltre opportuno  prendere  in  considerazione  due
recentissimi  documenti  internazionali pertinenti al tema: le Regole
minime per l'amministrazione della giustizia minorile, o  "Regole  di
Pechino",  approvate  dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel
novembre 1985,  e  l'ancor  piu'  vicina  Raccomandazione  87/20  del
Consiglio  d'Europa  circa  "Le  reazioni  sociali  alla  delinquenza
minorile", approvata dal Comitato dei Ministri nella  seduta  del  17
settembre 1987.
   Queste  solenni  enunciazioni dei due alti consessi internazionali
ribadiscono il diritto del minorenne a tutte le garanzie  processuali
e  ne sollecitano un rinforzo: ma anche pongono in guardia dai rischi
e dai pregiudizi che possono derivare al minorenne dal  contatto  con
l'apparato  della  giustizia  e  dall'ingresso nel circuito penale; e
sollecitano misure che  riducano  tali  rischi,  che  favoriscano  la
chiusura  anticipata del processo nei casi piu' lievi, che consentano
una "uscita dal penale" attraverso interventi precoci di  sostegno  e
di  messa alla prova, che assicurino la specializzazione degli organi
e degli operatori della giustizia minorile a tutti i livelli.
   Sotteso  ai  criteri  elencati  nell'art.  3 della legge-delega, e
confermato dalle dichiarazioni internazionali teste' richiamate,  sta
dunque il principio fondamentale secondo cui il minorenne accusato di
violazione della legge penale ha pieno diritto  ad  un  processo  ove
trovino posto tutte le garanzie ordinarie in favore dell'imputato, ma
non solo quelle: poiche' dal fatto stesso di essere sottoposto ad  un
processo  penale, soprattutto il minorenne puo' ricevere sofferenza e
talora pregiudizio, e comunque riceve non evitabili sollecitazioni  e
stimolazioni  emotive  e  psicologiche  che incidono (negativamente o
positivamente) sullo  sviluppo  della  sua  personalita',  sulla  sua
percezione della societa' organizzata, sul suo rapporto con le figure
adulte; in definitiva, sul piano della sua educazione.
   Alla  premessa  del  "diritto  del  minore  al  processo" consegue
percio' l'esigenza di eliminare o  ridurre  al  minimo  nel  processo
minorile  ogni  stimolazione  inutilmente  negativa,  e  viceversa di
cogliere e valorizzare le possibili stimolazioni positive  insite  in
un  corretto  confronto  con  la societa' civile e con le sue regole:
cosi'  che  le  valenze  sostanziali  del  processo  possano   essere
canalizzate  ed utilizzate a vantaggio del minore, e non a suo danno.
  Gran  parte  dei criteri elencati nell'art. 3 della legge-delega, a
ben vedere, tendono  a  limitare  i  possibili  effetti  dannosi  del
processo:  in  primo  luogo stabilendo (lettera a) che il minore deve
essere sempre giudicato dal suo giudice naturale specializzato, anche
in  deroga  ai  principi  sulla  connessione  fra  i procedimenti; in
secondo luogo, derogando ad una delle piu' significative  innovazioni
della  delega,  e  cioe' all'esame diretto dell'imputato da parte del
pubblico ministero e dei difensori, la lettera c)  e  la  lettera  o)
mirano  ad  evitare il rischio dell'"etichettamento"; le lettere b) e
g) tutelano la  personalita'  del  minore  dalle  tensioni  che  puo'
sviluppare  la  presenza dell'accusa privata e dalle reazioni emotive
che possono  cagionare  determinati  atti  processuali.  Analogamente
dispongono  le lettere h) ed i), che limitano rigorosamente le misure
di coercizione personale (mai obbligatorie) ai casi piu' gravi e  per
tempi  ridotti;  ed  infine la lettera l), che risponde allo scopo di
favorire l'uscita precoce del minorenne dal processo, attraverso  una
definizione semplificata ed anticipata di questo.
   D'altro  lato,  le  valenze  sostanziali  positive  che  i criteri
elencati nell'art. 3 vogliono sottolineare non sono meno numerose. Va
ricordata  al  riguardo  la  lettera  d),  il  cui  scopo  e'  di far
comprendere al minorenne il senso vero della  risposta  istituzionale
alla   sua  condotta,  con  implicito  riconoscimento  della  valenza
responsabilizzatrice del processo quando l'imputato minorenne non  lo
subisca  come un incomprensibile rito. La lettera e), con innovazione
coraggiosa,  riconoscendo  non  soltanto  che  la  personalita'   del
minorenne  e'  in  continua  evoluzione,  ma che tale evoluzione puo'
ricevere accelerazioni in positivo nel corso del giudizio (e in certa
misura  per  il  fatto  stesso  del giudizio), prevede che il giudice
possa sospendere il processo per  mettere  alla  prova  con  adeguate
prescrizioni e contestuali sostegni il minorenne imputato: ed estende
anche  a  tali  finalita'  l'obbligo   del   giudice   di   "valutare
compiutamente  la  personalita'  del  minore sotto l'aspetto psichico
sociale e ambientale", obbligo  comunque  prescritto  ai  fini  della
applicazione  del diritto sostanziale. Infine, con la seconda ipotesi
della lettera l), la delega significamente da' al giudice  penale  il
potere  di  rimuovere  in via d'urgenza gli eventuali condizionamenti
negativi derivanti al minorenne dal cattivo esercizio della  potesta'
su  di  lui  esercitata,  o  comunque  da  carenze  educative  cui e'
necessario sopperire.
   Il  processo  minorile  delineato  nei principi guida e' dunque un
processo nettamente caratterizzato in senso  specifico;  un  processo
considerato  come  evento  delicato  ed  importante  nella  vita  del
minorenne, che deve percio' essere  adattato  con  grande  attenzione
alle  esigenze  della personalita' in eta' evolutiva, per la quale le
risposte della  societa'  adulta  non  possono  non  avere  risonanze
profonde.
   In  attuazione  di  tali  principi,  il  Governo  ha approvato nel
gennaio 1988 il Progetto preliminare delle disposizioni del  processo
penale  a carico di imputati minorenni, avvalendosi dei lavori di una
Commissione ministeriale appositamente costituita e presieduta  dalla
dott.ssa Livia Pomodoro.
   Il  Progetto preliminare, accompagnato da una analitica Relazione,
e' stato inviato alla Commissione parlamentare prevista dall'articolo
8  della legge n. 81 del 1987. Sul Progetto e' stato anche chiesto ed
acquisito il  contributo  critico  delle  Universita',  degli  Uffici
giudiziari e dei Consigli forensi.
   Sulla  base del parere espresso dalla Commissione parlamentare nel
maggio 1988 e tenuto conto anche delle  osservazioni  tempestivamente
pervenute al ministero, e' stato redatto il Progetto definitivo delle
disposizioni sul processo penale  a  carico  di  imputati  minorenni,
approvato  dal  Governo  ed  inviato nel luglio 1988 alla Commissione
parlamentare.
   Sul  Progetto  definitivo la Commissione parlamentare, nell'agosto
1988, ha espresso parere  pienamente  favorevole,  formulando  alcune
osservazioni.
   Tenuto  conto  di  tali  osservazioni  e a seguito di un ulteriore
lavoro di coordinamento e di revisione tecnica  si  e'  pervenuti  al
testo  definitivo  delle  disposizioni  sul  processo minorile che di
seguito si illustra.
   Nell'articolato si e' ritenuto opportuno suddividere la materia in
quattro parti distinte: un  Capo  primo  dedicato  alle  disposizioni
generali;  un  Capo  secondo sui provvedimenti in materia di liberta'
personale; un terzo che tratta della fase del giudizio; ed infine  un
quarto  ove  si  disciplina  il procedimento per l'applicazione delle
misure di sicurezza. Questi capi saranno ora esaminati  partitamente.
                                CAPO I
                        DISPOSIZIONI GENERALI
   Il  capo  I  consta di quindici articoli che riguardano i principi
fondamentali della materia e disciplinano inoltre l'aspetto "statico"
del processo.
   L'art. 1 stabilisce i principi generali del processo minorile, per
il quale "si osservano le disposizioni del presente  decreto  e,  per
quanto  in esse non previsto, quelle del codice di procedura penale".
La norma non e' di mero rinvio: essa vuole  affermare  -  come  detto
diffusamente  piu'  sopra  -  che  il  processo  minorile ha regole e
valenze sue proprie, ma e' e rimane un processo con tutte le garanzie
ordinarie.  Queste  peraltro  vanno  applicate  senza  danneggiare la
personalita' in formazione del ragazzo, e  cioe'  "in  modo  adeguato
alla  personalita' e alle esigenze educative del minorenne" (comma 1,
secondo periodo) evitando che l'impatto con la giustizia  si  traduca
per   lui   in  sollecitazioni  pedagogicamente  negative  o  in  non
necessarie sofferenze.
   Viceversa  il  comma  2,  nel  quale  trova altresi' attuazione la
lettera d) della  delega,  ha  lo  scopo  di  recuperare  le  valenze
positive  e  responsabilizzatrici del processo, rendendo il minorenne
consapevole della  vicenda  processuale  che  lo  riguarda  e  quindi
facendogli  comprendere  il significato della risposta della societa'
al suo comportamento.
   Una  serie di norme (artt. 2, 3,5, 6, 11) e' diretta ad attuare il
principio  della  specializzazione,  che  non  puo'  essere  di  tipo
meramente  formale  ne' riguardare solamente l'organo giudiziario, ma
deve  tradursi  in  una  effettiva   e   specifica   preparazione   e
professionalita'  di  tutti  i soggetti istituzionali che operano nel
processo  minorile.   La   necessita'   della   specializzazione   e'
riconosciuta  espressamente  dal punto n. 9 della Raccomandazione del
Consiglio d'Europa, il quale afferma  che  occorre  "incoraggiare  la
formulazione  di  norme affinche' tutti coloro che intervengono nelle
diverse fasi  del  procedimento  (polizia,  avvocati  e  procuratori,
giudici,  operatori sociali) abbiano una formazione specializzata nel
campo  del  diritto   minorile   e   della   delinquenza   minorile".
Sollecitazione  ugualmente chiara e precisa proviene dagli artt. 12 e
22 delle Regole di Pechino, le quali inoltre sottolineano  (art.  10)
che  il  contatto  iniziale  fra  il  minorenne  e  gli  organi della
giustizia penale - ivi  compresa  la  polizia  giudiziaria  -  e'  un
momento   di   particolare   delicatezza,   capace   di   influenzare
profondamente  il  suo  atteggiamento  futuro  nei  confronti   della
societa'.  In  attuazione  delle  lettere a) ed n) della delega ed in
applicazione di tali principi si sono quindi formulati gli artt. 2  e
3, che individuano gli organi e la competenza, nonche' gli artt. 5, 6
ed 11, concernenti la polizia giudiziaria,  i  servizi  e  la  difesa
d'ufficio.  Si  esamineranno  qui  di  seguito  gli  articoli citati,
nonche' l'art. 4, che  prevede  un  opportuno  collegamento  fra  gli
organi specializzati.
   L'art. 2, nell'individuare gli organi giudiziari, menziona tra gli
altri il "giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per
i  minorenni".  E' noto l'appassionato dibattito che si e' sviluppato
circa la composizione di tale  giudice,  sostenendosi  da  una  parte
l'opportunita'   che  esso  sia  monocratico,  e  rilevandosi  invece
dall'altra  la  necessita'  della  sua  composizione  collegiale.  In
effetti,  se  e'  vero che prontezza d'intervento e presenza continua
sono tipici requisiti del  giudice  per  le  indagini  preliminari  e
militano  a  favore  della monocraticita', e' anche vero che esistono
ragioni del massimo rilievo a favore della collegialita':  prima  fra
tutte l'esigenza di mantenere la specialita' dell'organo, determinata
dalla presenza dei componenti privati accanto ai magistrati togati. E
tale esigenza e' ancor piu' viva quando si considerino i vari sbocchi
dell'udienza  preliminare  minorile,  nella  quale  la  funzione   di
garanzia  della legalita' si accompagna a complesse valutazioni sulla
personalita' del minorenne che richiedono l'apporto della  componente
laica del collegio.
   Opportuna  appare  quindi  la scelta effettuata nell'art. 14 delle
Norme  per  l'adeguamento  dell'ordinamento  giudiziario,   dove   si
rimettono  ad  un  collegio composto da un magistrato togato e da due
giudici onorari i provvedimenti da assumere in  udienza  preliminare,
limitando  la  monocraticita' ai soli provvedimenti di competenza del
giudice delle indagini preliminari.
   L'art.  3,  oltre  ad affermare la competenza generale dell'organo
specializzato,  stabilisce  nel  comma  2,   con   riferimento   alla
competenza  della  magistratura  di sorveglianza minorile, che questa
cessa al compimento del venticinquesimo anno di eta' del soggetto. La
disposizione ha lo scopo di prolungare adeguatamente l'intervento del
giudice minorile, evitando dannose soluzioni di  continuita'  in  una
fase  in  cui  la  personalita'  del  giovane  e'  ancora  in  via di
evoluzione.
   L'art.   4   e'   stato   formulato  per  assicurare  i  necessari
collegamenti fra l'organo giudiziario minorile che procede  e  quello
del  luogo  abituale di dimora del minorenne, spesso non coincidenti.
In tal modo, anche fuori delle ipotesi di provvedimento civile  preso
in  via  d'urgenza dal giudice dell'udienza preliminare, il tribunale
per i minorenni del luogo ove abitualmente il minorenne dimora potra'
prendere  provvedimenti  civili  a  sua protezione nei casi in cui la
situazione familiare dovesse renderlo necessario.
   Gli artt. 5, 6 e 11 trattano ancora il tema della specializzazione
con riferimento rispettivamente alla polizia giudiziaria, ai  servizi
ed alla difesa d'ufficio.
   Per  quanto  riguarda  la  polizia  giudiziaria si e' tenuto conto
delle   convergenti   raccomandazioni    provenienti    dalle    sedi
internazionali (Consiglio d'Europa; Regole di Pechino), nonche' delle
sollecitazioni del Consiglio nazionale sui problemi dei minori. Si e'
pertanto  previsto  che  in  ciascuna  procura della Repubblica per i
minorenni  sia  istituita  una  sezione  specializzata   di   polizia
giudiziaria,  alla  quale dovra' essere assegnato personale dotato di
specifiche attitudini e preparazione.
   Relativamente ai servizi, la norma individua il naturale referente
del  giudice  nei   servizi   minorili   dell'amministrazione   della
giustizia.  Questa  ampia  dizione  consente  di fare riferimento non
soltanto agli esistenti uffici di servizio sociale  per  i  minorenni
previsti  dal  r.d.l.  20  luglio  1934, n. 1404 e disciplinati dalla
legge 16 luglio 1962, n.1085, ma a tutto  il  complesso  dei  servizi
ausiliari    minorili    dell'amministrazione,    sia    nella   loro
configurazione attuale sia in una rinnovata configurazione futura che
tenga anche conto del mutato quadro processuale.
   Quanto   alla  denominazione  "servizi  di  assistenza  minorile",
suggerita dalla Commissione parlamentare, l'accezione "di assistenza"
avrebbe  potuto  ingenerare  confusione  fra intervento giudiziario e
interventi di prevenzione ed assistenza, e sarebbe stata inoltre  non
in  sintonia  con l'articolo 23 lettera c) del d.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616, che ha trasferito  all'ente  locale  le  competenze  per  gli
interventi  in  materia  civile  ed  amministrativa.  Si  e' ritenuto
pertanto di preferire la denominazione del Progetto preliminare,  che
e'  apparsa  piu'  chiara  e  piu'  flessibile:  piu'  chiara perche'
consente   fin   d'ora   e   su   tutto   il   territorio   nazionale
l'individuazione del referente tenuto a rispondere alle richieste del
giudice; piu' flessibile perche'  consente  di  organizzare  -  anche
mediante  le  norme  di  attuazione  -  il  servizio stesso ed i suoi
contenuti tecnico-operativi in  funzione  delle  nuove  esigenze  che
l'esperienza  applicativa  del nuovo processo mettera' in luce. Resta
ferma l'esigenza che i servizi  minorili  dell'amministrazione  della
giustizia   agiscano   in   stretto   collegamento   ed  in  continua
collaborazione con i servizi degli enti locali,  come  peraltro  gia'
stabilito  -  con  riferimento  agli  attuali  servizi  sociali per i
minorenni - dall'art. 2 comma 1 della legge 16 luglio 1962, n.  1085.
   E  d'altra  parte  l'esigenza  di  tale collegamento e' rafforzata
dalla disposizione della seconda parte del comma 1  dell'art.  6,  il
quale  stabilisce  che  il  giudice  minorile "si avvale altresi' dei
servizi di assistenza istituiti dagli enti locali".
   Infine,  per quanto riguarda la difesa di ufficio, facendo proprie
anche qui le sollecitazioni internazionali gia' prima citate,  si  e'
ritenuto  di  sottolineare  il  ruolo  particolare  del difensore nel
processo minorile, doverosamente lasciando alle norme  di  attuazione
il   compito   di  specificare  le  caratteristiche  di  preparazione
professionale necessarie.
   Le disposizioni sugli organi specializzati e sulle loro competenze
non toccano  il  problema  della  formazione  del  giudice  minorile,
poiche'  non  attiene  alla  materia  processuale  disciplinare  tale
aspetto. E' pero' di tutta  evidenza  che  l'istituzione  dell'organo
specializzato  e  la previsione di un'apposita disciplina processuale
sono  condizioni  necessarie  ma  non  sufficienti  a  garantire   la
specializzazione  dell'intervento,  e  che  esse  anzi  postulano una
precisa regolamentazione di processi formativi appositi,  comprensivi
dell'accertamento  di  specifiche  attitudini  ad  operare  in questo
particolare settore.
   L'art.  7  regola le notificazioni dell'informazione di garanzia e
del decreto di fissazione di udienza, che debbono essere notificati a
pena  di  nullita'  anche a colui o coloro che esercitano la potesta'
genitoriale sul minorenne, per il loro indispensabile  coinvolgimento
nel  processo.   L'attuale  formulazione  consente  di riaffermare la
necessaria  diversificazione  delle  nullita'  scaturenti  dalle  due
differenti omissioni.
   Gli  artt. 8 e 9 riguardano entrambi degli importanti accertamenti
che vanno eseguiti sul minorenne: l'uno  relativo  all'eta',  l'altro
alle  condizioni  personali.  Piu'  in  particolare  l'art. 8 prevede
l'ipotesi   dell'incertezza   sull'eta'   minore   dell'imputato,   e
stabilisce  una  presunzione  di  minorita' quando neppure la perizia
appositamente disposta abbia fatto chiarezza sul punto. La  norma  e'
improntata  al  principio  del  favor  minoris,  e varra' a risolvere
situazioni  di  dubbio  non  infrequenti  nella  pratica.  Di  grande
importanza e' la disposizione dell'art. 9, relativa agli accertamenti
sulla personalita'. Essa impone al pubblico ministero ed  al  giudice
di  "acquisire elementi" circa "le condizioni e le risorse personali,
familiari, sociali  ed  ambientali"  del  minorenne,  allo  scopo  di
accertarne  l'imputabilita'  ed il grado di responsabilita', valutare
la rilevanza sociale del fatto, disporre le adeguate  misure  penali,
adottare  gli  eventuali  provvedimenti  civili.  La norma, attuativa
dell'art. 3 lettera e) primo inciso della legge-delega, si  ricollega
idealmente  all'articolo  11  del  r.d.l.  20  luglio  1934, n. 1404,
rinnovandone  tuttavia  in   maniera   considerevole   il   contenuto
attraverso  la  specificazione  delle  finalita' cui gli accertamenti
sono diretti.  In  base  al  combinato  disposto  dell'articolo  6  e
dell'articolo  9  comma  2,  l'autorita'  giudiziaria minorile potra'
scegliere se svolgere gli accertamenti  tramite  i  servizi  minorili
dell'amministrazione  della  giustizia,  tramite  i servizi dell'ente
locale ovvero acquisendo direttamente informazioni da persone  vicine
al  ragazzo  (genitori,  insegnanti, ecc.) . In tal modo si lascia al
pubblico ministero e al giudice piena liberta' di valutare  caso  per
caso  la  via  piu' adatta per lo svolgimento delle indagini previste
dalla norma, nella salvaguardia delle  specifiche  esigenze  connesse
allo sviluppo educativo del singolo minorenne.
   L'art. 10 e' attuativo della lettera b) della delega, e stabilisce
l'inammissibilita' dell'azione civile nel procedimento penale davanti
al   tribunale   per  i  minorenni.  Con  riferimento  peraltro  alla
situazione della vittima ed all'utilita' educativa che  il  minorenne
prenda  coscienza  della  lesione  arrecata all'altrui diritto, si e'
tenuto presente il punto n. 3  della  Raccomandazione  del  Consiglio
d'Europa,  che sottolinea l'importanza delle procedure cosiddette "di
mediazione", o di ravvedimento operoso.
A  tal  fine,  come  si dira' piu' oltre, si e' prevista nell'art. 28
comma 2 (relativo alla sospensione del processo con messa alla prova)
la  possibilita'  che  il  giudice  impartisca prescrizioni dirette a
riparare le conseguenze del reato ed a  promuovere  la  conciliazione
delle parti.
   L'art.  12  e'  attuativo  del  punto  n.  2, terza ipotesi, della
Raccomandazione del Consiglio d'Europa e  dell'articolo  15  comma  2
delle  Regole  di  Pechino, che sottolineano entrambi l'importanza di
assicurare al minore non soltanto l'assistenza tecnica del difensore,
ma  anche  quella  psicologica ed affettiva delle persone a lui care:
salva ovviamente la valutazione del giudice in  ordine  all'idoneita'
della  persona  nel caso specifico. Questa esigenza, a ben vedere, si
pone non solamente  per  il  minorenne  imputato,  ma  anche  per  il
minorenne  vittima,  specie  con  riferimento  a  determinate ipotesi
criminose   (ad   esempio,   violenze   personali)    particolarmente
traumatizzanti.  Non  si  e'  ritenuto tuttavia di poter disciplinare
tali casi in questa sede, in quanto  il  problema  della  tutela  del
minore  vittima  nel  processo  ha carattere generale, e deve trovare
disciplina nelle norme processuali ordinarie.
   Chiudono il capo I gli artt. 13, 14 e 15, che, in attuazione delle
lettere c) ed  o)  della  delega,  hanno  lo  scopo  di  tutelare  il
minorenne  dai  rischi  di  etichettamento conseguenti al processo ed
all'eventuale condanna.
   Pertanto,  l'art. 11 vieta la pubblicazione e la divulgazione, con
qualsiasi  mezzo,  di  notizie  o  immagini   idonee   a   consentire
l'identificazione  del  minorenne.  Il comma 2 dell'articolo in esame
coordina la norma con la disposizione dell'art. 33 comma 2,  in  base
alla quale - come si dira' piu' oltre - il minore ultrasedicenne puo'
chiedere che l'udienza sia pubblica.
   Gli artt. 14 e 15 riguardano la speciale disciplina del casellario
per i minorenni, previsto dalla lettera o) della delega,  secondo  lo
spirito del punto n. 10 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa.
                               CAPO II
            PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI LIBERTA' PERSONALE
   Il  capo  II  consta  di  nove  articoli,  interamente dedicati ai
provvedimenti in materia  di  liberta'  personale.  L'argomento,  nel
processo  minorile, acquista una complessita' e una delicatezza ancor
maggiori di quelle che gia' gli sono proprie, dovendosi tener  conto,
insieme  con  le  esigenze  di  cautela processuale, della fragilita'
caratteriale propria del minorenne e della necessita' di non  causare
dannose  interruzioni  dei  processi di evoluzione della personalita'
eventualmente in atto.
   Rigorosa  poi  deve essere la distinzione - e la sua percezione da
parte del minore  -  fra  misure  cautelari  processuali  e  risposte
sanzionatorie,  mentre  nell'uno  e nell'altro caso non deve mancare,
quando necessario, l'intervento di sostegno piu' appropriato.
   Il  criterio  guida che pone la delega (lettera h) e' quello della
assoluta  residualita'  del  ricorso  alla  carcerazione   per   fini
processuali,  con  la  conseguente  previsione  di  misure  personali
cautelari diverse dalla custodia in carcere.
   Peraltro,  e  prima  ancora  delle  misure  cautelari processuali,
assume una delicatezza tutta particolare nel campo minorile  la  fase
dell'arresto  in  flagranza ad opera della polizia. Si tratta infatti
di un'ipotesi assai frequente di primo contatto fra il ragazzo ed  il
sistema  della  giustizia penale, in considerazione del tipo di reati
piu' frequentemente commessi dai minorenni; e si tratta di un'ipotesi
dove,  senza  il  tempestivo  intervento  del magistrato minorile, il
ragazzo rischia di subire un'esperienza carceraria che  e'  breve  ma
non per questo meno dannosa.
   Si  e' quindi ritenuto di dover dedicare un'attenzione particolare
a questa materia, a cio' sollecitati non solamente dalla prima  parte
dell'articolo  3 della delega, ma anche dalle precise raccomandazioni
provenienti dalle sedi internazionali piu' volte citate.
   Pertanto,  in  attuazione della lettera h) primo inciso, l'art. 16
comma  1  dispone  che  "gli  ufficiali  e  gli  agenti  di   polizia
giudiziaria  possono  procedere  all'arresto  del  minorenne colto in
flagranza di uno dei delitti per i quali a norma  dell'art.  23  puo'
essere  disposta  la  misura  della custodia cautelare": e cio' per i
delitti per  i  quali  e'  prevista  la  pena  della  reclusione  non
inferiore  nel  massimo  a  dodici  anni.  E' stato cosi' recepito il
suggerimento della Commissione parlamentare di  consentire  l'arresto
in  flagranza  (ed il fermo: cfr. art. 17) soltanto per i reati per i
quali e' prevista la misura della custodia cautelare.
   Limitato in tal modo ai soli casi strettamente necessari l'arresto
in flagranza dei minorenni, il comma 2 dell'articolo in esame prevede
una  forma attenuata di intervento per ipotesi meno gravi ma tuttavia
di un certo allarme sociale:  e  cioe'  per  reati  per  i  quali  e'
prevista  la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque
anni.  Trattasi  della  facolta'  di  accompagnare  coattivamente  il
minorenne   nella  sua  abitazione,  riconsegnandolo  alla  sfera  di
controllo  dei  genitori,  in  attesa  che  l'autorita'   giudiziaria
minorile,  informata  senza  ritardo,  possa se del caso disporre una
delle misure cautelari non  detentive  previste  dagli  articoli  che
saranno di seguito commentati.
   Ove  l'abitazione  familiare  manchi o non sia indicata, il minore
potra' essere accompagnato in comunita', fermo restando l'obbligo  di
informarne senza ritardo l'autorita' giudiziaria minorile.
   Per  quanto  concerne  il  fermo,  disciplinato nell'art. 17, esso
viene consentito come si e' detto nei soli casi in cui e' ammessa  la
custodia  cautelare:  e  questo  limite  trova la sua ragion d'essere
nella constatazione che il pericolo di  fuga  si  configura  in  modo
assai piu' ridotto e semplificato per i soggetti in eta' minore.
   L'art. 18 disciplina i doveri della polizia giudiziaria in caso di
arresto o  di  fermo.  La  norma  ha  lo  scopo  di  far  intervenire
immediatamente  il  magistrato  minorile,  evitando la permanenza del
ragazzo in camera di sicurezza o in ambienti carcerari inidonei  alla
sua eta'. La polizia giudiziaria deve infatti dare "immediata notizia
col mezzo piu' rapido" dell'avvenuto  arresto  o  fermo  al  pubblico
ministero minorile, e condurre il minorenne davanti a lui, ovvero nel
luogo dallo stesso indicato (comunita'; abitazione  familiare)  .  La
norma   consente  quindi  all'autorita'  giudiziaria  di  evitare  al
minorenne arrestato  l'ingresso  in  carcere,  e  prevede  un  pronto
coinvolgimento   dei   servizi  minorili  dell'amministrazione  della
giustizia sia per fornire subito al magistrato elementi di conoscenza
della  situazione  del  minore,  sia  per  proporre  alternative alla
custodia in  carcere,  sia  per  attivare  se  necessario  i  servizi
dell'ente locale per interventi di sostegno.
   Gli  artt.  da  19  a  24  disciplinano  le misure cautelari per i
minorenni. E' parso a tal proposito che fosse opportuno delineare una
disciplina  specifica,  la  quale, pur nell'ambito delle disposizioni
generali del codice (espressamente richiamate dall'art. 19 comma  2),
tenesse  conto  delle  peculiarita'  dell'eta' minore e dell'esigenza
prioritaria di non interrompere i processi educativi in atto. Si sono
pertanto previste misure cautelari apposite, cosi' come auspicato sin
dalla  Relazione  al  Progetto  preliminare  del  1978.  La  custodia
cautelare,  in  attuazione  della  lettera  h)  della  delega  ed  in
osservanza dell'articolo 15 delle Regole di Pechino e dei numeri 6  e
7  della  Raccomandazione del Consiglio d'Europa, e' considerata come
ultima ratio.  Essa  infatti  e'  applicabile  solo  per  delitti  di
maggiore  gravita',  individuati  in  quelli  per  i  quali  la legge
stabilisce la pena della  reclusione  non  inferiore  nel  massimo  a
dodici  anni,  e  sempre che sussistano gravi e inderogabili esigenze
istruttorie ovvero gravi esigenze di tutela della collettivita'.
   Il  punto  n.  7  della  Raccomandazione  del  Consiglio  d'Europa
suggerisce inoltre  che  la  misura  della  custodia  cautelare  "sia
ordinata in linea di massima dopo una preventiva consultazione con un
servizio in ordine a possibili  misure  alternative".  Si  e'  quindi
cercato  di  recepire  lo  spirito di tale raccomandazione stabilendo
come gia' detto (art.  18  comma  1)  il  pronto  coinvolgimento  dei
servizi  nei  casi di arresto in flagranza, e si e' comunque disposto
(art. 19 comma 3) che quando viene applicata una misura cautelare  il
giudice  affidi  il  minore ai servizi per le necessarie attivita' di
sostegno e controllo.
   Le misure cautelari diverse dalla custodia in carcere sono tre: le
prescrizioni, la permanenza in casa,  il  collocamento  in  comunita'
(artt.  20,  21,  22).  Esse possono essere applicate "solo quando si
procede per delitti per i quali la legge  stabilisce  la  pena  della
reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni" (art. 19 comma 4)
  In accoglimento dei suggerimenti della Commissione parlamentare, si
e'  previsto  che in caso di ripetute e gravi violazioni della misura
imposta il giudice possa disporre la misura successiva: cosicche'  la
violazione   delle  prescrizioni  puo'  comportare  la  misura  della
permanenza in casa, e l'inosservanza degli obblighi connessi  a  tale
ultima  misura  puo'  comportare  l'applicazione  del collocamento in
comunita'.
   Nel  caso  invece  di  gravi  e ripetute violazioni degli obblighi
connessi al  collocamento  in  comunita',  ovvero  di  allontanamento
ingiustificato  da quest'ultima, si e' previsto (art. 22 comma 4) che
il giudice possa disporre la misura della custodia cautelare  per  un
tempo  non  superiore  ad  un  mese, cosi' come suggerito a suo tempo
dalla Commissione parlamentare.
   Per quanto concerne i termini, si e' voluto evitare il rischio che
la  misura  delle  prescrizioni  potesse  protrarsi  per   un   tempo
eccessivo,  favorendo  nei fatti dannose dilazioni della decisione, e
si e' percio' previsto un apposito termine breve rinnovabile per  non
piu'  di  una  volta.  Si e' voluto anche evitare che le misure della
permanenza in casa e del collocamento in comunita' acquistassero  una
durata  del tutto sproporzionata alle esigenze del processo minorile,
e si e' percio' previsto che la loro durata massima sia pari a quella
della custodia cautelare.
   L'arco  di  misure  cautelari  in  tal  modo  offerte  al  giudice
minorile, pur consentendo di coprire sostanzialmente tutte le ipotesi
previste  dal  codice  ordinario,  si presenta con caratteristiche di
maggiore  flessibilita'  e  con  possibilita'  di  applicazione  piu'
consona alle diverse esigenze delle singole personalita' minorili.
                               CAPO III
               DEFINIZIONE ANTICIPATA DEL PROCEDIMENTO
                      E GIUDIZIO IN DIBATTIMENTO
   Sono  raccolte  in  questo capo, che comprende undici articoli, le
norme relative all'aspetto "dinamico" del processo.
   L'art. 25, relativo ai procedimenti speciali, stabilisce anzitutto
che  non  sono  applicabili  al  processo  minorile  le   norme   sul
patteggiamento   e  quelle  relative  al  procedimento  per  decreto.
Infatti, pur essendo evidente  l'importanza  di  tutti  gli  istituti
processuali diretti a favorire una rapida uscita dal circuito penale,
l'applicazione  della  pena  su   richiesta   (c.d.   patteggiamento)
presuppone  nell'imputato una capacita' di valutazione e di decisione
che richiedono piena maturita' e consapevolezza di scelte, mentre  il
procedimento  per  decreto  non  consente  al giudice quella adeguata
valutazione della personalita' del minorenne prescritta dalla lettera
e) della delega e disciplinata dall'art. 9.
  Proprio  per  tale  ragione  il  comma  2  consente il procedimento
direttissimo  soltanto  se  sono  possibili  gli  accertamenti  sulla
personalita'   previsti  dall'art.  9  e  sempre  che  sia  possibile
assicurare al minore la particolare assistenza di cui all'art. 12.
  Con   l'art.   26   si  prevede,  secondo  quanto  suggerito  dalla
Commissione parlamentare, che in ogni stato e grado del  procedimento
-  e  quindi anche durante le indagini preliminari - il giudice debba
pronunciare, anche di ufficio, sentenza  di  non  luogo  a  procedere
quando  accerta che il minorenne non e' imputabile ai sensi dell'art.
97 del codice penale.
   Di  particolare rilievo e' la disposizione contenuta nell'art. 27,
concernente la declaratoria di improcedibilita' per  irrilevanza  del
fatto.   Questa   norma  costituisce  applicazione  del  criterio  di
adeguamento del processo alle esigenze educative del minore,  sancito
dalla  prima parte dell'art. 3 della legge-delega. Si ha riguardo qui
alle ipotesi in cui il fatto appare privo di significato criminoso  e
di concreta rilevanza sociale per la tenuita' delle conseguenze e per
l'occasionalita' del  comportamento,  cosi'  da  non  richiedere  una
risposta  particolare:  mentre  lo  stesso  svolgimento  del processo
risulta, in concreto, non rispondente  alle  esigenze  educative  del
minore.
   In  una siffatta situazione si e' ritenuto di rendere possibile la
pronta conclusione del processo.
   Peraltro,   tenuto   conto  delle  perplessita'  da  alcune  parti
manifestate  circa  la  compatibilita'  dell'archiviazione   con   il
principio  dell'obbligatorieta'  dell'azione penale sancito dall'art.
112  della  Costituzione,  si  e'  accolto  il   suggerimento   della
Commissione   parlamentare,  prevedendo  che  il  pubblico  ministero
richieda al giudice l'emissione  di  una  sentenza  di  non  luogo  a
procedere per irrilevanza del fatto.
   Il  meccanismo  processuale prescelto non incide sulla fattispecie
sostanziale del reato (e cioe' sui suoi elementi costitutivi o  sulle
condizioni  di  punibilita'),  ma si limita a consentire l'anticipata
conclusione del processo con una pronuncia fondata sulla  valutazione
comparativa  degli  effetti positivi e negativi dello svolgimento del
normale  iter   processuale,   in   considerazione   delle   concrete
caratteristiche   del   fatto  e  della  personalita'  del  minorenne
imputato.
   L'art.  28,  attuativo  della  lettera e) della delega, sancisce e
disciplina una prassi gia' adottata dalla magistratura  minorile  (in
quanto appaia positivamente influente sulla condotta del minorenne) ,
ed  il  successivo  art.  29  prevede,  quale  logico  sbocco   della
sospensione  in  caso  di esito positivo della prova, l'emanazione di
una pronuncia pienamente liberatoria.  Le  due  norme  si  richiamano
all'istituto  della cosiddetta probation processuale, da tempo noto e
vantaggiosamente applicato in molti ordinamenti.  Esse  prevedono  il
coinvolgimento   dei   servizi   per   le   opportune   attivita'  di
osservazione, trattamento e sostegno, e rendono altresi' possibile la
prescrizione  di  attivita'  "dirette  a  riparare le conseguenze del
reato e a promuovere la conciliazione del minorenne  con  la  persona
offesa".  Viene  in  tal modo recepita e resa possibile la cosiddetta
mediazione, istituto previsto dalla piu' volte citata Raccomandazione
del  Consiglio  d'Europa,  avente lo scopo di ricomporre il conflitto
fra minorenne offensore e vittima, e di responsabilizzare  i  giovani
autori di reato.
   Va  richiamata  l'attenzione  sul comma 4 dell'art. 28, in base al
quale "la sospensione non puo' essere disposta se  l'imputato  chiede
il  giudizio  abbreviato  o il giudizio immediato". Va inoltre notato
(art. 29)  che  l'esito  positivo  della  prova  agisce  quale  causa
estintiva del reato: in tal caso il giudice pronuncia sentenza con la
quale dichiara estinto il  reato  per  esito  positivo  della  prova,
adottando  la  formula  dell'art.  425 c.p.p. ovvero quella dell'art.
531, a seconda che si tratti del giudice dell'udienza  preliminare  o
del giudice del dibattimento.
   L'art.   30,   in   materia  di  sanzioni  sostitutive,  attua  le
disposizioni della lettera f) della delega. Nel comma 1 si stabilisce
che  nel  decidere  sull'applicazione  della  sanzione sostitutiva il
giudice tenga conto degli elementi concernenti la personalita'  e  le
condizioni personali e familiari del minorenne.
  Gli   artt.   31   e  32  disciplinano  l'udienza  preliminare.  Lo
svolgimento di quest'ultima (v. art. 31) si caratterizza  per  alcune
particolarita'  tipiche  del  processo  minorile:  la possibilita' di
allontanare  il  minorenne  durante  certe  fasi   dell'udienza   che
potrebbero  arrecargli  turbamento  o  pregiudizio  (lettera g) della
delega) , i particolari doveri dei genitori ed i  particolari  poteri
del  giudice  nei  loro confronti nonche' nei confronti del minorenne
imputato.
   Quest'ultimo  e'  sempre  sentito  dal  giudice, che puo' disporne
l'accompagnamento coattivo in caso di mancata comparizione (art.  31,
commi  1  e  5)  .  Dell'udienza  devono  essere informati inoltre la
persona offesa ed "i servizi minorili che hanno svolto attivita'  per
il minorenne".
   Nell'art.   32  sono  disciplinati  i  provvedimenti  del  giudice
dell'udienza preliminare, in conformita'  dei  criteri  di  cui  alla
lettera  l)  della  delega.  Si e' attribuita al giudice (comma 2) la
facolta' di ridurre la pena pecuniaria sino alla  meta'  rispetto  al
minimo  edittale:  cio'  in  considerazione  dell'opportunita' di non
prevedere per il  minorenne  un  trattamento  deteriore  rispetto  al
maggiorenne, nel caso in cui si proceda per reati per i quali - se si
procedesse nei confronti di un maggiorenne - sarebbe  applicabile  il
procedimento  per  decreto  e,  di  conseguenza, la riduzione di pena
prevista dall'art. 459 del codice di procedura penale.
   L'ultimo  comma  prevede  la possibilita' che con separato decreto
siano adottati provvedimenti  civili  temporanei  nell'interesse  del
minorenne,  che  sono  immediatamente  esecutivi  ma cessano di avere
effetto entro trenta giorni dalla loro emissione. E' sembrato infatti
opportuno che entro tale termine i provvedimenti in questione vengano
sostituiti con quelli adottati secondo le norme del codice civile.
   Il  comma 3 disciplina l'opposizione al tribunale per i minorenni.
Fra  i  soggetti  legittimati  a  proporla  e'  ovviamente   compreso
l'esercente  la  potesta'  dei  genitori, in forza della disposizione
generale di cui all'art. 34, di cui si dira' fra breve.
   L'art.  33  tratta  dell'udienza  dibattimentale,  che di norma si
svolge a  porte  chiuse.  Tuttavia  si  e'  previsto  che  l'imputato
ultrasedicenne  possa  chiedere la pubblica udienza ed in tal caso la
decisione spetta al tribunale, che deve valutare la fondatezza  delle
ragioni  addotte e la loro corrispondenza a finalita' di tutela della
personalita' dell'imputato. La presenza di coimputati  infrasedicenni
o   comunque   non   consenzienti   rende  peraltro  obbligatorio  il
procedimento a porte chiuse.
   Il  comma 3 dell'articolo in esame, in attuazione della lettera m)
della delega, stabilisce che l'esame dell'imputato sia  condotto  dal
presidente,   mentre  il  comma  4  richiama  le  disposizioni  sullo
svolgimento  dell'udienza  preliminare  contenute  nell'art.   31   e
nell'art. 32 comma 4, dei quali si e' detto poco sopra. Si e' infatti
ritenuto di estendere anche al giudice del dibattimento il potere  di
emettere in via d'urgenza i provvedimenti civili temporanei necessari
per la protezione del  minorenne.  Non  e'  stato  invece  menzionato
espressamente  l'obbligo  del  giudice  di illustrare all'imputato il
contenuto e le ragioni anche etico-sociali della sentenza (lettera d)
della  delega)  , trattandosi di un obbligo gia' previsto nell'art. 1
comma 2, che anzi lo considera un  principio  generale  del  processo
minorile: per cui il richiamo e' apparso superfluo.
   L'art.  34,  come  gia'  accennato  piu' sopra, attribuisce in via
generale all'esercente la potesta' dei genitori la legittimazione  ad
impugnare spettante all'imputato minorenne.
   Il  comma  2  disciplina  i  casi  di  impugnazioni  proposte  sia
dall'imputato che dall'esercente la potesta', stabilendo che in  caso
di contraddizione si debba tener conto ad ogni effetto soltanto della
prima.
   Chiude  il capo III l'art. 35, che estende al giudizio di appello,
in quanto applicabili, le disposizioni  concernenti  il  procedimento
davanti al tribunale per i minorenni.
                               CAPO IV
                   PROCEDIMENTO PER L'APPLICAZIONE
                      DELLE MISURE DI SICUREZZA
   Nei  cinque  articoli che compongono il capo IV viene disciplinato
il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza.
   Dette  misure,  da  piu'  parti  criticate  e comunque scarsamente
applicate nella pratica, non  vengono  menzionate  nella  elencazione
dell'art.  3  della  delega.  La  materia  tuttavia e' esplicitamente
richiamata dalla direttiva 96 della stessa legge, che stabilisce  fra
l'altro  il  principio  della  necessita' di un giudizio di effettiva
pericolosita', e prescrive inoltre la  previsione  di  piu'  incisive
garanzie processuali anche nel procedimento con cui si applicano tali
misure. Non poteva quindi  essere  tralasciata  una  revisione  delle
norme  che  ne disciplinano l'applicazione ai minorenni, tenuto conto
altresi' della direttiva 104 della legge-delega, e, piu' ancora,  dei
principi fissati dalla prima parte dell'art. 3, sui quali si e' detto
diffusamente  nella  premessa.  Per  queste  considerazioni  si  sono
redatte le disposizioni che di seguito si descrivono.
   L'art.  36  stabilisce  che  nei confronti dei minorenni la misura
della liberta' vigilata e' eseguita nelle forme previste dagli  artt.
20 e 21, e cioe' mediante le prescrizioni o la permanenza in casa. La
misura di sicurezza del riformatorio giudiziario e'  invece  eseguita
(comma  2)  nelle  forme dell'art. 22 (collocamento in comunita') , e
soltanto in relazione ai delitti per i quali la legge  stabilisce  la
pena della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni.
   Organo  competente per l'applicazione delle misure e' il tribunale
per i minorenni, che a norma dell'art. 38 deve procedere a tutti  gli
accertamenti  attinenti  alla  pericolosita'  del  soggetto,  nonche'
all'eventuale   applicazione   provvisoria   della   misura   stessa.
L'applicazione  provvisoria  puo'  aversi "se ricorrono le condizioni
previste dall'art. 224 del codice penale e quando, per le  specifiche
modalita'   e   circostanze   del   fatto   e   per  la  personalita'
dell'imputato, sussiste il  concreto  pericolo  che  questi  commetta
delitti con l'uso delle armi o di altri mezzi di violenza personale o
diretti contro la  sicurezza  collettiva  o  l'ordine  costituzionale
ovvero   gravi   delitti  di  criminalita'  organizzata"  (art.  37).
Nell'ipotesi di applicazione provvisoria non disposta dal  tribunale,
la  misura  cessa  di  avere effetto se entro trenta giorni non viene
iniziato il procedimento di cui all'art. 38.
   L'esecuzione  delle  misure e' disciplinata dall'art. 40, il quale
attribuisce  la  competenza  al  magistrato  di  sorveglianza  per  i
minorenni del luogo in cui la misura deve essere eseguita. Il comma 2
di detto articolo dispone che il magistrato  di  sorveglianza  vigili
costantemente sulla esecuzione, anche mediante frequenti contatti con
il minorenne, i genitori, l'affidatario ed i servizi. Infine,  l'art.
41  disciplina l'impugnazione dei provvedimenti emessi dal magistrato
di sorveglianza a norma dell'art. 40, disponendo che contro  di  essi
possa essere proposto appello davanti al tribunale per i minorenni.
   A  conclusione  dei  non  agevoli  lavori,  il Ministro proponente
ritiene doveroso che venga  dato  atto  alla  Commissione  presieduta
dalla  dott.ssa  Pomodoro  del  suo apporto di intenso lavoro, che ha
permesso di rispettare i tempi previsti dalla legge e  di  presentare
un risultato di altissimo pregio.
                               PREMESSA
   1.  La  delega  al  Governo,  contenuta nell'art. 5 della legge 16
febbraio 1987, n. 81, per l'adeguamento dell'ordinamento  giudiziario
al  nuovo processo penale ed a quello a carico di imputati minorenni,
e' stata interpretata in modo restrittivo dalla apposita  Commissione
istituita  con  d.m.  16  aprile  1987.  La  necessita'  di modifiche
all'ordinamento giudiziario  in  vista  della  riforma  del  processo
penale   e'   stata   ripetutamente   sostenuta  in  sede  di  lavori
parlamentari, ma al di la' di generiche affermazioni non  sono  state
sviluppate  indicazioni  specifiche  sulla direzione da seguire nella
riforma. Cio' vale per la legge-delega del 1974 che non prevedeva una
specifica  delega  per  la  riforma  dell'ordinamento giudiziario, ma
mantiene la sua fondatezza anche in riferimento alla legge-delega del
1987.
   All'art.  5  della legge n. 81/87, viene prevista la delega per le
modifiche all'ordinamento giudiziario, ma non sono espressi  principi
e  criteri  direttivi.  E'  ben vero che, dai criteri enunciati negli
artt. 2 e 3 per il codice di  procedura  penale,  si  ricavano  anche
indicazioni  concernenti  l'ordinamento  giudiziario. Ed anzi, alcuni
criteri  si  riferiscono  direttamente  all'ordinamento  giudiziario,
piuttosto  che  al  codice  di  procedura  (es.  direttive 68 e 103).
Indicazioni per la riforma  dell'ordinamento  giudiziario  discendono
anche  dalle  soluzioni  adottate  in sede di redazione del codice di
procedura penale, nell'ambito della delega. Ma nulla si ricava  dalla
legge-delega   sull'impianto   generale   di   un  nuovo  ordinamento
giudiziario coerente con la riforma processuale.
   L'iter attraverso il quale e' stata concessa delega al Governo per
la riforma dell'ordinamento giudiziario,  d'altra  parte,  rivela  le
forti  resistenze  che sono emerse in Parlamento. Significativa e' la
sorte degli emendamenti aggiuntivi presentati dall'on. Violante e poi
dal  Governo  nella  seduta  della  Camera dei deputati del 10 luglio
1984. Dopo numerosi interventi di parlamentari contrari alla  delega,
sia  il  Ministro  che  l'on. Violante ritirarono gli emendamenti che
avevano  presentato,  rinunciando   ad   inserire   la   delega   per
l'ordinamento  giudiziario  nella legge di delega per il nuovo codice
di procedura penale. Dopo questi precedenti la  proposta  governativa
di  emendamento  aggiuntivo  formulata  al Senato nella seduta del 21
novembre 1986, nel  testo  ora  contenuto  nell'art.  5  cit.,  venne
approvata praticamente senza discussione. Senza discussione sul punto
specifico la delega venne approvata anche dalla Camera  dei  Deputati
nella seduta del 4 febbraio 1987.
   E'    possibile    interpretare    l'indirizzo   del   Parlamento,
all'apparenza contraddittorio, nel senso che da un lato si  avvertiva
l'opportunita'  di  evitare  deleghe  "  in bianco " in materia tanto
delicata e  dall'altro,  pur  in  assenza  di  precisi  indirizzi  di
riforma,   era  evidente  la  necessita'  di  interventi  di  riforma
dell'ordinamento  giudiziario.  Ed  appunto  sulla   nozione   di   "
necessita'  "  si  incentrano la richiesta governativa di delega e la
norma poi approvata.
   Non  v'e'  dunque  stata  una  delega  per  un  nuovo  ordinamento
giudiziario, ma soltanto una delega a modificare quello vigente nella
misura (strettamente) necessaria ad adeguarlo al nuovo rito penale.
   Una  ragione  di  piu'  per  intendere  restrittivamente la delega
deriva dal fatto che l'art. 5  cit.  si  riferisce  indiscutibilmente
solo  al processo penale, mentre l'ordinamento giudiziario disciplina
normalmente in modo unitario  l'organizzazione  ed  il  funzionamento
degli  organi  deputati  ad amministrare la giustizia sia penale, che
civile. E gli studi e le proposte per la riforma del processo  civile
hanno  riflessi  sull'ordinamento giudiziario che non necessariamente
vanno in direzione omologa a quelli che derivano  dalla  legge-delega
per  il  nuovo  processo  penale.  Si  pensi  solo,  ad esempio, alle
questioni  che  riguardano  la  collegialita'  o  monocraticita'  dei
diversi giudici.
   Tutto  quanto  precede  ha  indotto  a  limitare  l'ambito  ed  il
contenuto delle proposte qui  illustrate  a  quanto  si  e'  ritenuto
strettamente   necessario   per   adeguare   il  vigente  ordinamento
giudiziario al nuovo processo  penale.  Tale  indirizzo  ha  tuttavia
ripetutamente  rivelato  i  limiti  della  norma di legge. Cio' e' in
particolare avvenuto quando sono emerse intersezioni tra il  processo
penale e quello civile.
   La  proposta  qui  presentata,  dunque,  deliberatamente prescinde
dall'esigenza  di  organica  riforma  dell'ordinamento   giudiziario,
prevista  dalla  VII Disposizione transitoria della Costituzione e in
piu' sedi ritenuta indispensabile.
   2.   Pur   nel  quadro  della  interpretazione  restrittiva  delle
necessita' di riforma dell'ordinamento giudiziario la Commissione per
l'ordinamento  giudiziario ha segnalato l'urgenza della riforma della
organizzazione e della struttura degli uffici giudiziari,  certamente
incapaci  attualmente  di  ricevere  e  utilmente  gestire  il  nuovo
processo penale. Si tratta di istituire uffici giudiziari  funzionali
e  con  organico di magistrati sufficiente al funzionamento del nuovo
processo penale. Cio' necessariamente richiede  la  organica  riforma
delle  circoscrizioni  giudiziarie, con modifica delle tabelle di cui
all'art. 5 ord. giud. La creazione di uffici giudiziari  di  adeguate
dimensioni   -  e  comunque  l'abolizione  delle  preture  con  unico
magistrato - appare necessaria al fine di  garantire  in  particolare
l'operativita'  dei  riti  accelerati  previsti  dal nuovo codice. Si
pensi alla direttiva 43, che prevede il potere del pubblico ministero
di  presentare direttamente in giudizio l'imputato arrestato entro il
termine di 48 ore dall'arresto, per la convalida  ed  il  contestuale
giudizio.  E' chiaro che - dovendosi tenere conto dei tempi necessari
al pubblico ministero ed alla polizia giudiziaria - in  ogni  ufficio
giudiziario  ogni  giorno dovra' essere disponibile almeno un giudice
(pretore o tribunale). Ma cio' non e' possibile nei piccoli uffici.
   La  Commissione  ha  inoltre  rilevato che l'ampia e differenziata
competenza  del  pretore  penale,  spesso   in   materie   fortemente
specialistiche,  rende  indispensabile  per  il  buon  andamento  dei
giudizi che il  giudice  chiamato  a  decidere  sia  sufficientemente
specializzato. E cio' non puo' avvenire se non in uffici con numerosi
magistrati.
   Alla   Commissione  e'  parso  che  la  soluzione  adottata  dalla
Commissione redigente il codice -  atti  e  procedure  antecedenti  o
alternativi al giudizio presso le preture territorialmente competenti
e giudizi concentrati nella pretura sita nel capoluogo di circondario
-  mostri  che  le  preoccupazioni sopra sintetizzate sono in qualche
misura condivise. Tuttavia si tratta di  soluzione  che  puo'  creare
diversi  problemi  pratici  per  l'ufficio  del  pubblico  ministero,
attribuisce competenza penale a tanti piccolissimi uffici limitandola
pero'  a  solo alcuni momenti del processo e carica eccessivamente la
pretura sita nella sede di circondario, rimettendo ad  essa  tutti  i
dibattimenti.  Se  e'  vero  che,  pur nell'attuale stato di cose nel
campo  delle  circoscrizioni,  e'  necessario  disegnare  un  sistema
processuale  penale  che  dia  attuazione  alla delega, e' vero pero'
anche che bisogna  garantire  un  funzionamento  adeguato  del  nuovo
processo  e  por mano alle riforme collaterali che ne condizionano il
successo. Per tale riforma sono ormai disponibili studi  approfonditi
che   consentono  la  rapida  definizione  dei  criteri  generali  di
riferimento.
   La  riforma  delle  circoscrizioni  e'  tra  l'altro da realizzare
prioritariamente per una realistica quantificazione  e  distribuzione
dell'organico  della  magistratura  necessario  al  funzionamento del
nuovo codice di procedura penale.
   La   Commissione   ha   segnalato   quanto   ora  espresso,  senza
direttamente  provvedere  ad   un   progetto   di   riforma   -   che
necessariamente  investirebbe  anche  i  tribunali  -  ritenendo  che
dall'art. 5 legge 81/87 non si ricavi che e' stata concessa delega al
Governo  anche  in  ordine  alla  riforma  delle circoscrizioni. Tale
opinione si fonda sul rilievo, da un lato, che  non  vengono  forniti
criteri direttivi e dall'altro che qualunque riforma non potrebbe non
riguardare anche la competenza civile degli uffici giudiziari.
                     ILLUSTRAZIONE DEGLI ARTICOLI
   1.  Svolte le necessarie precedenti osservazioni preliminari sugli
indirizzi seguiti nella elaborazione del progetto, si illustrano  ora
le proposte di modifica legislativa. Per quanto riguarda il complesso
normativo di cui  al  r.d.  30  gennaio  1941,  n.  12,  si  propone,
nell'articolo  1,  che  l'elenco  dei  giudici  venga  integrato  con
menzione del tribunale per i minorenni. L'integrazione, oltre che  ad
un  aggiornamento della disposizione rispetto alla attuale situazione
normativa, corrisponde alla necessita' di affermare la individualita'
degli  uffici  del tribunale per i minorenni e della relativa procura
della Repubblica, rispetto agli altri uffici giudiziari. Allo  stesso
scopo corrisponde la proposta di modifica dell'art. 97, per prevedere
che la supplenza dei giudici del  tribunale  per  i  minorenni  venga
disposta dal presidente di quel tribunale.
   Ad  un mero adeguamento alla attuale situazione normativa risponde
la proposta di inserire nell'elenco dei giudici anche il tribunale  e
gli uffici di sorveglianza.
   Alla stessa esigenza di riconoscere la autonoma costituzione degli
uffici minorili - oltre che all'adeguamento ad una realta'  normativa
gia'  vigente - corrisponde la proposta di inserire nell'art. 2 comma
1 ord. giud. la menzione del tribunale per i minorenni (articolo  2).
   La   direttiva  103  della  legge-delega  -  nella  parte  in  cui
stabilisce la " distinzione delle funzioni di pubblico ministero e di
giudice  "  e  la  " modifica dell'ordinamento giudiziario al fine di
garantire tale distinta attribuzione di funzioni " - e' stata  intesa
nel  senso  che e' necessario istituire uffici separati del pretore e
del pubblico ministero presso  di  esso.  La  logica  della  norma  e
l'ordine  di  idee  in  cui  si  inserisce esclude la possibilita' di
prevedere una semplice incompatibilita' processuale  tra  l'esercizio
delle  funzioni  giudicanti  e  di  quelle  requirenti  nel  processo
pretorile, sulla traccia di cio' che gia' avviene, con  provvedimento
meramente organizzativo interno, in talune grandi preture. Una simile
soluzione, impraticabile di fatto nelle piccole preture e,  comunque,
in tutte le preture con unico magistrato, comporterebbe la necessita'
di scambio di funzioni tra magistrati di mandamenti vicini,  i  quali
reciprocamente  fungerebbero da giudici e da pubblici ministeri. Cio'
darebbe luogo a gravi inconvenienti pratici  oltre  a  perpetuare  la
confusione tra le figure del giudice e del pubblico ministero, che e'
bene distinguere anche nelle persone fisiche  che  le  rappresentano.
Tali   inconvenienti   sarebbero   eliminati  o  ridotti,  quando  si
procedesse alla revisione delle circoscrizioni, con abolizione  delle
preture   con   unico   magistrato,  cosi'  da  consentire  soluzioni
organizzative interne ai singoli uffici. Ma  rimarrebbe  evidente  la
inadeguatezza   della   soluzione   rispetto   alla   intenzione  del
legislatore delegante, che  chiaramente  ha  voluto  prevedere  la  "
distinta  attribuzione  "  delle  funzioni  giudicanti e requi renti,
dalle  semplici  incompatibilita'  processuali  previste   in   altre
direttive dell'art. 2.
   Si  e'  pertanto proposta la istituzione di uffici del procuratore
della repubblica presso le preture. E' stata scartata - come  foriera
di  eccessivo  accentramento  di poteri e di elefantiasi dei relativi
uffici - la soluzione di attribuire al procuratore  della  Repubblica
presso  i tribunali anche la competenza requirente avanti le preture.
Per converso e' stata ritenuta impraticabile l'ipotesi di istituzione
di  un  ufficio  del pubblico ministero per ciascuna delle preture. E
cio' non solo con riferimento alla attuale disseminazione di  piccoli
e  piccolissimi  uffici di pretura, ma anche in vista della auspicata
revisione delle circoscrizioni e degli  organici.  In  realta'  -  e'
stato   ritenuto   -   la   variegata   competenza   pretorile  e  le
responsabilita' che il nuovo  rito  penale  attribuisce  al  pubblico
ministero,   impongono  la  istituzione  di  uffici  sufficientemente
grandi,   che   consentano    elasticita'    di    funzionamento    e
specializzazione  dei magistrati per i diversi settori di competenza.
Soluzione equilibrata e' parsa quella di prevedere la istituzione  di
uffici  del  pubblico  ministero  ciascuno  competente  per  tutte le
preture del circondario.
   Nella  visione prescelta tali preture dovrebbero essere molto meno
numerose di quanto non sia attualmente, senza tuttavia che la riforma
delle  circoscrizioni  comporti necessariamente la abolizione di ogni
pretura che non sia quella posta nella sede del tribunale.
   La proposta si traduce nell'inserzione al comma 1 dell'art. 2 ord.
giud. della menzione anche delle preture di ciascun circondario.   La
necessita'  di  abrogazione  del  comma  2 dell'art. 2 ord. giud. non
richiede illustrazione.
    2.  La proposta (articoli 3 e 4) di inserimento nel testo vigente
di ordinamento giudiziario degli artt.  7-  bis  e  7-  ter  risponde
all'esigenza  -  ripetutamente  emersa  nel  corso  dei  lavori della
Commissione per la  redazione  del  nuovo  codice  -  di  dare  piena
attuazione  al  principio  costituzionale  della  precostituzione del
giudice.  La   Commissione   per   l'ordinamento   giudiziario,   pur
condividendo  l'orientamento  della Commissione redigente il codice e
recependolo nella formulazione  di  apposite  ipotesi  normative,  ha
esposto,  nel  corso  dei lavori, le ragioni che impediscono che alla
inosservanza delle disposizioni sulla destinazione dei  giudici  agli
uffici  giudiziari, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione
dei processi alle sezioni, collegi e giudici, sia legata la  sanzione
processuale  della nullita' degli atti. La soluzione cui e' da ultimo
pervenuta  la  Commissione  redigente  accoglie  i   rilievi   mossi,
espressamente  prevedendo  al  comma  2  dell'art.  178,  che  "  non
costituisce causa di nullita' l'inosservanza delle disposizioni sulla
destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla
formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi  a  sezioni,
collegi e giudici ".
   La  ragione  della opposizione della Commissione per l'ordinamento
giudiziario ad una prima ipotesi che, invece,  prevedeva  il  rilievo
processuale  delle  dette  inosservanze,  consiste essenzialmente nel
fatto che il giudizio relativo  alla  integrazione  di  una  nullita'
processuale rimanda a norme definite nei confini e prive di rilevanti
momenti di discrezionalita'.  Nella  materia  qui  considerata,  cio'
implicherebbe  la  disciplina  della  destinazione  dei  giudici agli
uffici,  della  formazione  delle  sezioni  e  dei  collegi  e  della
assegnazione dei processi penali in termini di stretta automaticita'.
Una automaticita' che e' certo esclusa in tema  di  assegnazione  dei
giudici agli uffici giudiziari, di competenza del Consiglio Superiore
della Magistratura, ma che non e' ipotizzabile - se non a  prezzo  di
rilevanti   sacrifici  sul  piano  della  funzionalita'  e  del  buon
andamento degli uffici (art. 97 Cost.)  -  nemmeno  nella  formazione
delle c.d. tabelle degli uffici e nella determinazione dei criteri di
formazione dei collegi e di assegnazione degli affari.
   Questo   quadro   di   esigenze  non  esclude  che  una  rilevanza
processuale possa essere prevista per il  caso  in  cui  risulti  che
nella  assegnazione  dei  giudici  e  degli  affari si siano adottate
soluzioni determinate dallo scopo di eludere o  violare  il  precetto
costituzionale  sulla  precostituzione  del giudice. Ma in ogni altro
caso  si   e'   ritenuto   che   l'esigenza   sopra   richiamata   di
precostituzione  del  giudice  possa essere soddisfatta attraverso la
predeterminazione  di  criteri  obiettivi,  la  cui  definizione   va
rinviata  al  Consiglio  Superiore  della  Magistratura. Il Consiglio
provvedera'  in  sede  di  formazione  delle  tabelle  ovvero  -  per
l'assegnazione degli affari alle sezioni, collegi e giudici - con una
procedura analoga, ma  priva  di  esito  nel  decreto  presidenziale.
L'ipotesi  di  violazione  di  quanto  disposto  nelle  tabelle o dei
criteri  di  assegnazione   degli   affari   rimane   senza   rilievo
processuale,   ma   implica   la   messa  in  opera  delle  procedure
amministrative proprie del Consiglio  Superiore  della  Magistratura,
oltre che, eventualmente, della iniziativa disciplinare.
   Il  testo  del  proposto  art.  7- bis riprende quello del d.l. 25
settembre 1987, n. 394, convertito in legge 25 novembre 1987, n. 394,
adattandolo  a  quanto  sopra  esposto.  Nello  stesso  testo  si  fa
riferimento  al  "   conferimento   delle   specifiche   attribuzioni
individuate  dalla  legge  ". Tale formula rinvia alle diverse figure
processuali individuate dai codici e dalle altre leggi e che  debbono
essere  previste  nelle  tabelle,  con  attribuzione  delle  relative
funzioni  ai   singoli   giudici.   Il   ricorso   ad   una   formula
onnicomprensiva  e di rinvio e' reso necessario dalla opportunita' di
evitare una lunga elencazione di funzioni, cristallizzandola  in  una
norma  di  ordinamento  giudiziario.  La  norma,  cosi' costruita, e'
idonea a adattarsi ad  eventuali  futuri  interventi  legislativi  (e
anche ad una riforma del rito civile) e riguarda evidentemente sia il
processo penale ordinario che quello a carico di imputati  minorenni.
Alla  menzionata  previsione  corrisponde  la  abrogazione  nel testo
dell'ordinamento giudiziario di ogni menzione del giudice  istruttore
penale  e  della sezione istruttoria della corte d'appello (artt. 44,
54, 57, 58, 97, 98) e la proposta  riforma  del  testo  dell'art.  54
(artt. 9, 15, 17, 24 e 25 del Progetto).
   Della  previsione  di  una  apposita  sezione  dei  giudici per le
indagini preliminari nelle preture, nei tribunali e nei tribunali per
i minorenni si dira' in seguito.
   L'art.  7-  bis prevede, infine, la necessita' di provvedimenti di
urgenza dei dirigenti degli uffici giudiziari diretti  a  consentire,
in  presenza di improvvise difficolta' ed a prescindere dall'istituto
della  supplenza,  la  formazione  dei  collegi   giudicanti   o   lo
svolgimento  di funzioni monocratiche, come quelle del giudice per le
indagini preliminari. In tale ipotesi si prevede che il provvedimento
di  variazione tabellare, di competenza del Consiglio Superiore della
Magistratura,   non   impedisca    l'immediata    esecutivita'    del
provvedimento.  In  caso  contrario  le  necessita'  immediate che si
presentano negli uffici troverebbero difficile risoluzione.
  Quanto  all'art. 7- ter si aggiunge a quanto gia' esposto l'ipotesi
di revoca  -  nell'ambito  dei  criteri  prestabiliti  dal  Consiglio
Superiore  della  Magistratura - della assegnazione del processo alla
sezione, collegio o giudice. In tale caso il  provvedimento  motivato
va   comunicato   al   presidente   della  sezione  o  al  magistrato
interessato.
   Si  sottolinea  che  l'art.  7-  ter  si  riferisce esclusivamente
all'assegnazione dei processi penali, dati i limiti della delega.  La
ratio  della  previsione riguarda tuttavia allo stesso modo anche gli
affari civili, cosicche' si deve segnalare la disarmonia del sistema.
A  rigore lo stesso discorso va fatto per quanto stabilito al comma 2
dello stesso articolo. Tale comma prevede che il Consiglio  Superiore
della  Magistratura,  con  la  procedura  per  la  approvazione delle
tabelle,  stabilisca  i  criteri  per  la  sostituzione  del  giudice
astenuto o ricusato o altrimenti impedito. Tale disposizione risponde
a quanto stabilito nel testo del Progetto di nuovo codice  (art.  44)
e,  per  completezza  di  disciplina,  considera  anche  le possibili
ipotesi di  impedimento  del  giudice,  diverse  dalla  astensione  e
ricusazione.
   3.  In  ordine  agli  artt. 31 e 34 ord. giud. (articoli 5 e 6) si
propone un aggiornamento del testo ora vigente, che tiene  conto  non
solo  di  quanto affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze
n. 80/70 e n. 143/73, ma anche della trasformazione degli  uffici  di
pretura  in  uffici  esclusivamente giudicanti. La nuova natura degli
uffici di pretura suggerisce anche la  abolizione  della  figura  del
pretore direttore della casa mandamentale (legge 28 novembre 1941, n.
1405).
   Il rinvio alle tabelle che stabiliscono il numero dei magistrati e
le preture cui sono assegnati come dirigenti magistrati  di  appello,
non  esclude  la  necessita' di modifica della vigente previsione, in
relazione alla individuazione di nuove circoscrizioni.
   All'art.  43  ord.  giud., nel definire le funzioni del tribunale,
occorre eliminare la menzione della giurisdizione in  materia  penale
in grado di appello (articolo 8).
   Agli artt. 46, 54 e 66 i riferimenti alla formazione annuale delle
sezioni nei tribunali, corti di appello e corte di  cassazione  vanno
mutati  in  richiami  al  biennio in coerenza con quanto innovato dal
citato d.l. 25 novembre 1987, n. 479 (articoli 10 , 15 e 18).
   Per le funzioni della corte di appello si propone (articolo 14) di
modificare l'art. 53 ord. giud. menzionando la competenza in grado di
appello  rispetto  alle  sentenze  penali del pretore e di eliminare,
come gia' detto, la menzione della sezione istruttoria  all'art.  54,
sostituendola  con  una formula di rinvio ai collegi cui il codice di
procedura penale demanda funzioni diverse da quelle del  giudizio  di
appello avverso sentenze pronunciate nel dibattimento di primo grado.
Analoga modifica, con riferimento al processo  minorile,  si  propone
per l'art. 58 (articolo 17).
   4.  La  abolizione dell'ufficio istruzione, menzionato all'art. 44
ord. giud. ed in altre disposizioni di legge da esaminare in sede  di
coordinamento  e  di  norme  transitorie,  non puo' effettuarsi senza
considerare che numerose funzioni processuali, rimesse  a  magistrati
giudicanti,  saranno previste dal nuovo codice nella fase antecedente
al  dibattimento.  Si  pensi  all'incidente   probatorio,   ai   vari
provvedimenti  relativi  allo  stato  di liberta' dell'imputato, alle
proroghe richieste dal pubblico ministero, alla udienza preliminare e
ai  diversi  istituti  diretti  a  concludere  il  procedimento senza
passare  al  dibattimento.  Negli  uffici  giudiziari  i   magistrati
incaricati delle relative funzioni saranno numerosi ed il loro lavoro
richiedera' coordinamento ed organizzazione. E' necessario  prevedere
l'istituzione  di  un  apposito  ufficio  e  determinare chi vi sara'
preposto.
   La   Commissione  per  l'ordinamento  giudiziario  ha  considerato
l'eventualita' di mantenere la  struttura  degli  attuali  uffici  di
istruzione,  mutandone  la denominazione ed estendendoli alle preture
ed ai tribunali per  i  minorenni.  Dopo  approfondito  esame  si  e'
ritenuto   inopportuno   il   mantenimento  dell'ufficio  istruzione,
particolarmente con riferimento a  tutte  quelle  sedi  in  cui  sono
previsti  posti  di  organico  -  e  non  tabellari - per i dirigenti
(consigliere  istruttore  e  consigliere  istruttore  aggiunto).   La
soluzione preferita prevede la istituzione di una sezione dei giudici
delle indagini preliminari, la cui  direzione  e'  attribuita  ad  un
presidente  di  sezione  nei  tribunali e nelle preture costituiti in
sezioni (o al magistrato piu' anziano  tra  quelli  incaricati  delle
funzioni di cui si tratta, negli altri casi). Il sistema riporta alla
formazione biennale delle tabelle degli  uffici,  che  appare  dotato
della  necessaria  elasticita'  ed  impedisce  il  cristallizzarsi di
posizioni direttive. La proposta, inoltre, non inopportunamente segna
il  senso  della  riforma  processuale  che  ha abolito la figura del
giudice istruttore e, in sede transitoria, impedira' il permanere  di
consuetudini professionali acquisite nel vigente sistema processuale.
   Un  presidente  di  sezione,  negli  uffici costituiti in sezioni,
sara' incaricato, con la  approvazione  delle  tabelle,  di  dirigere
l'ufficio  anzidetto. Il presumibile carico di lavoro comporta che si
tratti di incarico incompatibile con la presidenza di  una  ordinaria
sezione.  La  incompatibilita' d'altra parte deriva anche dalla serie
di incompatibilita' processuali stabilite dal nuovo codice.  Per  gli
stessi  motivi  la  incompatibilita'  va ritenuta anche per i giudici
appartenenti all'ufficio di cui si tratta.
   La  destinazione  esclusiva  di  un  presidente  di  sezione  alla
direzione  dell'ufficio  dei  giudici  delle  indagini   preliminari,
tuttavia,    non    sembra   impedire   -   quando   non   sussistano
incompatibilita'  con  riferimento  agli  specifici  procedimenti  da
trattare - il ricorso a provvedimenti di supplenza ai sensi dell'art.
97 comma 1 ord. giud. con destinazione del magistrato alla presidenza
di  una  ordinaria  sezione.  Analogamente dicasi, nei tribunali, dei
giudici  incaricati  in  tabella  delle  funzioni  di  giudice  delle
indagini preliminari.
   Tutto  quanto  ora  esposto  illustra le ragioni delle proposte di
integrazione degli artt. 35 e 46 e di inserimento dell'art.  50-  bis
(articoli 7 , 10 e 11).
   5.  In  materia di funzioni requirenti si propone (articolo 20) la
abrogazione dell'art. 71, in considerazione della necessita'  di  non
differenziare  la  procura della Repubblica presso il tribunale per i
minorenni dagli altri  uffici  requirenti  ed  eliminare  la  attuale
relazione anomala che e' instaurata con la procura generale presso la
corte  di  appello.  Manca  ora  ogni  ragione  di  differenziare  la
costituzione  di  tale  procura  della Repubblica rispetto agli altri
uffici del pubblico ministero di primo grado. Le  differenze  che  la
legge-delega  prevede sul piano del processo penale rispetto a quello
a carico di imputati maggiorenni, non consentono  di  fondare  alcuna
diversita'  di  disciplina  tra la procura della Repubblica presso il
tribunale ordinario e quella presso il tribunale per i minorenni.
   Abrogato  l'art. 71 e modificato l'art. 72 nel senso che si dira',
la disciplina fondamentale di ordinamento giudiziario per  tutti  gli
uffici  requirenti  va  sistemata  nell'art. 70 (articolo 19), che si
apre con l'elenco degli uffici  del  pubblico  ministero  (correlato,
come attualmente, all'art. 2).
   In  sede di ordinamento giudiziario sembra ci si debba limitare ad
elencare gli  uffici  del  pubblico  ministero,  mentre  le  relative
competenze vanno definite nel codice di procedura penale. Tuttavia la
Commissione  per  l'ordinamento  giudiziario,  con  riferimento  alla
specificazione   delle  funzioni  dei  diversi  uffici  del  pubblico
ministero contenuta all'art. 52 del Progetto di codice di  procedura,
ha  ritenuto  di  poter  osservare  che  la  esclusione del potere di
indagini preliminari del procuratore  generale  presso  la  corte  di
appello  puo'  dar luogo ad effetti negativi sul piano dell'esercizio
dell'azione penale ogni volta che - come spesso accade in particolari
materie  -  manchi  una  formale  notizia  di  reato ed il competente
procuratore della Repubblica non si attivi di ufficio sulla  base  di
notizie  di reato non formalizzate. E' avviso di tale Commissione che
nella fase delle indagini preliminari occorra garantire, quanto  piu'
possibile, la iniziativa del pubblico ministero e prevedere soluzioni
atte ad evitare possibili inerzie.
   Al  comma  2  il  testo  proposto per la disciplina delle funzioni
requirenti presso le sezioni staccate di corte di appello mantiene il
riferimento all'avvocato generale, non essendovi ragioni di mutamento
in rapporto al nuovo codice di procedura. Occorre tuttavia  segnalare
che  un disegno di legge in corso di elaborazione prepone all'ufficio
di cui si tratta un sostituto procuratore generale.
   Al  comma  3  dell'art. 70 si definiscono le funzioni dei titolari
degli uffici del  pubblico  ministero,  che  dirigono  l'ufficio,  ne
organizzano  la  attivita'  ed  esercitano  personalmente le funzioni
attribuite al pubblico ministero dal codice  di  procedura  penale  e
dalle  altre leggi. E' previsto che il titolare possa designare altri
magistrati per la  trattazione  dei  singoli  affari,  eliminando  la
formula  attuale  che prevede l'esercizio delle funzioni da parte del
dirigente " per mezzo dei dipendenti magistrati ". Tale formula, gia'
ora  inadeguata  a  descrivere  il  rapporto tra i magistrati addetti
all'ufficio ed il titolare di  esso,  non  potrebbe  comunque  essere
mantenuta in un sistema che prevede la piena autonomia del magistrato
designato alla udienza penale, che e' il momento centrale  del  nuovo
processo (direttiva 68 della legge-delega).
   Si  e' considerata espressamente l'eventualita' di designazione di
piu' magistrati per la trattazione dello stesso affare. A cio' si  e'
stati  indotti  sia  dalla necessita' di considerare le ragioni della
prassi  gia'  instauratasi,  specie  in   materia   di   criminalita'
organizzata,  sia  dalla ragione che, nel nuovo processo, le indagini
preliminari sono caratterizzate da tempi brevi e da termini rigorosi.
Nel nuovo processo, cioe', l'utilita' di piu' magistrati del pubblico
ministero, contemporaneamente impegnati nello stesso procedimento, e'
parsa  anche  piu' evidente di quanto non si presenti attualmente. Si
e'  ritenuto  di  superare  la  preoccupazione  di  chi  paventa   la
situazione  che  puo'  venirsi  a  creare  tra magistrati designati a
trattare lo stesso procedimento e discordi sui metodi di  indagine  o
su  provvedimenti  da  assumere. L'ipotesi di prevedere espressamente
che il titolare dell'ufficio  possa  designare  solo  magistrati  che
consentano   di  lavorare  insieme  agli  altri  designati  e'  stata
accantonata per  non  dare  spazio  ad  eventuali  rifiuti  privi  di
fondamento  e  nella fiducia nella spontanea capacita' dei magistrati
di superare possibili difficolta' e nell'opera di organizzazione  del
lavoro che deve svolgere il titolare dell'ufficio.
   E'  stato  previsto,  in  coerenza con la gia' citata direttiva 68
della legge-delega, che il magistrato designato svolga  alla  udienza
le  sue  funzioni in piena autonomia. Non essendo stati toccati dalla
legge-delega, restano immutati, rispetto a quanto attualmente avviene
negli  uffici  di procura, i rapporti tra il dirigente ed i sostituti
nelle fasi diverse da quella della udienza.
   Alla  udienza, anche in presenza del principio di piena autonomia,
possono tuttavia darsi casi in cui la sostituzione del magistrato  e'
necessaria.  Essi  sono  elencati  nel  testo  del Progetto del nuovo
codice  di  procedura  penale.  Per  il  caso  di  sostituzione   del
magistrato  alla  udienza senza il suo consenso, si prevede che copia
del provvedimento motivato venga  trasmessa  al  Consiglio  Superiore
della  Magistratura.  I  casi  eccezionali in cui cio' puo' avvenire,
infatti, sono tali da poter richiedere che il Consiglio,  nell'ambito
della   sua   differenziata   competenza,   ne  venga  a  conoscenza.
Analogamente, al comma 5  dell'art.  70  si  prevede  che  copia  del
provvedimento   motivato  di  avocazione  da  parte  del  procuratore
generale venga inviata al Consiglio Superiore della Magistratura.  La
avocazione  e'  ora  ammessa  nel  solo  caso di inerzia del pubblico
ministero: la sussistenza  e  le  ragioni  di  tale  inerzia  possono
richiedere   un   intervento   del  Consiglio,  a  scopo  anche  solo
conoscitivo e comunque senza effetto sul processo.
   Al  comma 5 dell'art. 70 si e' inserita una previsione ripresa dai
lavori  della  Commissione  Mirabelli  per   un   nuovo   ordinamento
giudiziario. Si tratta della possibilita' per ogni magistrato addetto
ad una procura della Repubblica di formalizzare una notizia di  reato
informale  di cui sia venuto a conoscenza, con conseguente potere del
titolare dell'ufficio di designare un magistrato per la trattazione o
di trattare personalmente l'affare o di richiederne la archiviazione.
La opportunita' di tale previsione - punto di  arrivo  possibile  del
dibattito  sulla  c.d.  personalizzazione delle funzioni requirenti -
deriva dalla necessita' di stabilire  un  momento  certo  in  cui  la
notizia  di  reato raggiunge l'ufficio del pubblico ministero e cosi'
consentire l'operativita' dei termini previsti  dal  nuovo  codice  e
l'esplicazione  delle competenze proprie del titolare dell'ufficio di
procura. Il  testo  proposto  prevede  una  facolta'  del  magistrato
addetto  alla  procura e non un obbligo, facendo espresso riferimento
ai casi in cui non esista obbligo di rapporto. In tal modo  si  crede
di  avere  previsto  un  istituto  idoneo  a  dare  esito  formale  e
controllato ad iniziative individuali di sostituti procuratori, senza
trasformare  costoro  in  ufficiali  di polizia giudiziaria sempre in
servizio.
   Nulla  si  e'  previsto  nell'art.  70  in  ordine  ai  criteri di
designazione del magistrato per la  trattazione  degli  affari  negli
uffici del pubblico ministero. Cio' e' avvenuto in considerazione del
fatto che mancano indicazioni in tal senso nella  legge-delega  e  il
Progetto di nuovo codice ha limitato la considerazione della esigenza
di precostituzione ai soli giudici, come si desume anche  dall'ultimo
comma  dell'art. 178 sulle nullita', che e' riferito ai soli giudici.
   Nulla si propone di innovare in tema di poteri di sorveglianza del
procuratore generale  presso  la  corte  di  appello  sui  magistrati
addetti all'ufficio di cui e' titolare e su tutti quelli addetti alle
procure della  Repubblica  del  distretto.  Tra  tali  procure  della
Repubblica  dovranno  intendersi  comprese, dopo la riforma, anche le
procure presso le preture del circondario. A tutte le  procure  della
Repubblica   del  distretto,  inoltre,  si  riferisce  la  previsione
dell'art. 113 ord. giud. in tema di  applicazioni  di  magistrati  da
parte del procuratore generale.
   Un  rilevante  problema  pone  l'art.  72, che nel secondo e terzo
comma prevede attualmente che le funzioni del pubblico  ministero  in
udienza davanti al pretore sono sempre svolte da soggetti diversi dai
magistrati   professionali.   La   Commissione   per    l'ordinamento
giudiziario  ha  proposto la completa abrogazione di questo articolo,
ritenendo che nei dibattimenti  pretorili  le  funzioni  di  pubblico
ministero debbano essere sempre svolte da magistrati professionali.
   Pur  ritenendo  che  il  tipo di dibattimento celebrato davanti al
pretore - fondato anch'esso sulla cross  examination  (art.  560  del
Progetto)  - richiedera' pubblici ministeri diversi dagli attuali, si
e' ritenuto di prevedere  (articolo  21  )  la  possibilita'  che  il
procuratore  della Repubblica deleghi specificamente soggetti diversi
dai magistrati professionali. Si tratta  di  una  soluzione  elastica
che,  non  impedendo  la partecipazione del magistrato professionale,
potra' essere utilizzata dai procuratori della Repubblica  presso  le
preture  secondo  le  possibilita' ed opportunita' del caso concreto,
anche alla luce della esperienza offerta dalla innovazione. Se questa
esperienza  sara'  negativa, alla delega non si fara' ampio ricorso e
si metteranno in moto i meccanismi  per  un  conseguente  ampliamento
degli  organici delle istituende procure.  E' chiaro, infatti, che la
soluzione proposta della Commissione  per  l'ordinamento  giudiziario
richiederebbe   un   sensibile  aumento  del  numero  dei  magistrati
destinati alle preture.
   Il  nuovo testo dell'art. 72 non contrasta con la legge-delega per
il nuovo  processo  penale.  La  direttiva  103  impone  soltanto  la
distinta  attribuzione di funzioni tra pubblico ministero e giudice e
questo obiettivo e' realizzato dalla istituzione delle procure  della
Repubblica  presso  le preture circondariali. Nulla la delega dice in
ordine alla individuazione degli organi ai quali sono  attribuite  le
funzioni di pubblico ministero nel giudizio pretorile.
   Per  quanto attiene, specificamente, alla direttiva 68, che impone
la "  piena  autonomia  "  delle  funzioni  esercitate  dal  pubblico
ministero  in  udienza,  va osservato che, se si accetta, come sembra
preferibile,  la  riferibilita'  di   questa   direttiva   anche   al
dibattimento  pretorile,  ne  deriva la irrevocabilita' della delega,
una volta che sia stata conferita. Questa soluzione si giustifica  se
si  tiene presente che, secondo la disciplina del Progetto del codice
(art. 549), il consenso al giudizio abbreviato ed  al  patteggiamento
e'  dato  dal pubblico ministero anticipatamente rispetto all'udienza
dibattimentale, onde il pubblico ministero in  tale  momento  non  ha
poteri   decisionali   in  ordine  alla  definizione  abbreviata  del
procedimento.
   Concludendo  sul  tema  del  pubblico  ministero si segnala che la
previsione di un ufficio requirente presso le preture del circondario
e  le  diverse  dimensioni  ed  importanza che potranno assumere tali
uffici determinano la necessita' di stabilire, con le future norme di
coordinamento,  quali  di  essi  comportino, per il loro titolare, la
attribuzione di  un  ufficio  direttivo.  Si  potra'  stabilire,  con
modifica dell'art. 5 legge 25 luglio 1976, n. 570, che alla qualifica
di incarico direttivo attribuita dalla vigente normativa all'incarico
di  titolare di una pretura, corrisponda natura di incarico direttivo
per il corrispondente procuratore della  Repubblica.  Ma  anche  tale
criterio  potra'  meglio  essere esaminato quando verra' riformata la
mappa delle circoscrizioni e ridisegnata la importanza degli  uffici.
   Va  abrogato, come non piu' rispondente al sistema vigente, l'art.
84 ord. giud. sulla vigilanza del pubblico ministero  sugli  istituti
di prevenzione e pena (articolo 23).
   6.  La  nuova  disciplina  prevista  nel  Progetto  del  codice di
procedura  in  tema  di  polizia  giudiziaria  comporta  la  modifica
dell'articolo  83 ord. giud., non piu' coerente con il nuovo sistema.
Si e' mantenuto (articolo 22), tuttavia, un  potere  di  sorveglianza
del  procuratore  generale  presso  la corte di appello sulla polizia
giudiziaria del distretto. Tale sorveglianza va unita ad  un  sistema
disciplinare sugli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria analogo
a quello previsto  in  sede  di  norme  di  attuazione  nel  Progetto
preliminare  del  1978.  In  mancanza  di  una  simile previsione, il
sistema si presenterebbe squilibrato, nel senso  del  depotenziamento
della diretta disponibilita' della polizia giudiziaria da parte della
magistratura (art. 109 Cost.). La previsione, invece, di  norme  come
quelle  richiamate,  darebbe  contenuto e scopo alla previsione di un
potere di sorveglianza del procuratore generale.
  7.  L'art.  190  ord.  giud.,  relativo al passaggio dalle funzioni
requirenti alle giudicanti e viceversa, e' stato  sostituito  con  un
testo  (articolo  27)  che  conferma  l'attuale  sistema normativo di
unificazione della  magistratura  nel  concorso  di  ammissione,  nel
tirocinio  e  nel  ruolo di anzianita', con distinzione relativamente
alle funzioni giudicanti e requirenti. Il rigore  con  il  quale  nel
nuovo  sistema  processuale  le  funzioni  requirenti sono distinte e
separate da quelle giudicanti ed i caratteri di processo  accusatorio
richiamati nella prima parte dell'art. 2 della legge-delega, inducono
a suggerire l'introduzione di un  vaglio  di  attitudine  alla  nuova
funzione nel caso di domanda del magistrato di passare dalle funzioni
giudicanti alle requirenti  o  viceversa.  La  sede  di  legislazione
delegata  e l'assenza di specifiche direttive in proposito inducono a
non  proporre  modifiche  di  disciplina  piu'  incisive.  Esse,  tra
l'altro,  non potrebbero che riguardare gli stessi criteri da seguire
nelle assegnazioni di funzioni e nei tramutamenti di  competenza  del
Consiglio  Superiore  della  Magistratura  per tutti i magistrati. Si
esulerebbe cosi' certamente dall'ambito della delega.
   E'  parso  che la modifica proposta - che riprende una indicazione
gia' presente nel testo originario dell'art. 190  ord.  giud.  -  sia
necessaria  per  adeguare l'ordinamento giudiziario alla impostazione
del nuovo codice di procedura penale. V'e' chi ritiene che  si  debba
andare oltre nella distinzione delle due funzioni, ma certo in questa
sede non e' possibile disciplinare ex novo la materia.  E'  possibile
ed  opportuno,  invece,  confermare l'unita' della magistratura e, al
tempo stesso, sottolineare che le funzioni  giudicante  e  requirente
richiedono attitudini diverse e vanno tenute distinte.
   8.  Le  caratteristiche  del  nuovo  processo - in particolare con
riferimento al giudizio direttissimo ed al giudizio immediato con  il
relativo  decreto  del  giudice da emettere entro cinque giorni dalla
richiesta  del  pubblico  ministero  -  appaiono  incompatibili   con
l'attuale  sistema di lavoro per sessioni della corte di assise. Gia'
ora, almeno nelle grandi sedi giudiziarie,  i  periodi  intercorrenti
tra  una  sessione  e  l'altra  danno  luogo  a  rilevanti  attese  e
disfunzioni per il passaggio degli atti ad altri  organi  giudiziari,
competenti quando la corte di assise non sia in sessione.
   Si  propone  che  gli artt. 25 e 26 della legge 10 aprile 1951, n.
287 sulle corti di assise vengano modificati nel senso  di  prevedere
che  la nuova sessione inizi immediatamente dopo la conclusione della
sessione precedente (articoli 29-32). A tale  scopo  occorre  che  la
estrazione  dei  giudici  popolari  avvenga non quindici giorni prima
dell'inizio  della  sessione,  ma   quindici   giorni   prima   della
conclusione  della  sessione in corso e che il giuramento dei giudici
popolari e la formazione del  collegio  avvenga  immediatamente  alla
stessa udienza di convocazione dei giudici popolari estratti.
   La  soluzione  puo'  apparire  gravosa  per  tutte quelle corti di
assise il cui lavoro in realta' richiede solo saltuarie  sessioni.  E
comunque  determina  sicure difficolta' nel periodo feriale in cui la
reperibilita' dei giudici popolari e' difficilmente ottenibile. Ma il
sistema   vigente   impedirebbe   la   applicabilita'   del  giudizio
direttissimo e di quello immediato in ogni caso in cui  la  corte  di
assise  non sia in sessione. In una prospettiva piu' ampia sono certo
ipotizzabili riforme  piu'  incisive  dell'istituto  della  corte  di
assise.  Ma  l'esigenza  di  mantenersi  ora nei limiti della stretta
necessita' di riforme funzionali alla applicazione del  nuovo  codice
di  procedura  penale,  consiglia  di contenere in quanto proposto le
modifiche da apportare alla disciplina della corte di assise.
   L'articolato  proposto,  in  materia  di disciplina della corte di
assise, risponde alla modifica sopra  indicata  e,  in  larga  parte,
riformula   disposizioni   vigenti  alla  luce  della  necessita'  di
immettere in  servizio  i  giudici  popolari  fin  dall'inizio  della
sessione  e  non  soltanto  in  occasione  del  primo dibattimento da
svolgere.
   9. Concludendo la presente relazione si segnala che l'art. 8 della
legge-delega prevede il raccordo con la Commissione parlamentare solo
per il testo delle nuove disposizioni sul processo penale, mentre non
contiene espresso riferimento alle norme sull'ordinamento giudiziario
di  cui  all'art.  5.  Sembra  che  il mancato richiamo alle norme di
ordinamento giudiziario sia da ricollegare al difettoso coordinamento
della  delega per l'ordinamento giudiziario - inserita nel testo alla
fine dei lavori parlamentari - con il resto della legge. Ove la legge
dovesse essere interpretata letteralmente la delega per l'ordinamento
giudiziario  sarebbe  tra  l'altro  priva  di  termine,   con   gravi
conseguenze anche sul punto della legittimita'.
   E'  tuttavia  possibile una interpretazione che riconduca anche le
norme di ordinamento giudiziario emanate in forza della  delega  alla
procedura  di  cui  agli  artt.  8  s. della legge. Tale procedura e'
infatti prevista anche per le norme di attuazione e  coordinamento  e
per  quelle  transitorie,  comprese  quelle  relative all'ordinamento
giudiziario (art. 9 in rapporto all'art. 6, che richiama anche l'art.
5).  Cosicche'  puo' sostenersi che, a maggior ragione, la richiamata
procedura ed i relativi termini riguardano le  norme  di  ordinamento
giudiziario.
                              RELAZIONE
  Il testo delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario
viene oggi presentato al Consiglio dei Ministri, unitamente al  testo
del  nuovo  codice  di  procedura  penale  ed  a  quello del processo
minorile, nel pieno rispetto dei tempi, pur brevissimi, previsti  dal
comma  4 dell'articolo 8 della legge di delegazione 16 febbraio 1987,
n. 81.
  La  necessita'  di  modifiche  all'ordinamento giudiziario in vista
della riforma del processo penale venne  ripetutamente  sostenuta  in
sede   di   lavori  parlamentari,  anche  se  non  furono  sviluppate
specifiche  indicazioni  normative.  La  legge-delega  del  1974  non
prevedeve,  infatti, alcuna direttiva per la riforma dell'ordinamento
giudiziario. ma anche la legge-delega n. 81 del 1987 e'  stata  assai
parca  nel fornire direttive esplicite, essendosi limitata, nell'art.
5, a  concedere  delega  relativamente  alle  "norme  necessarie  per
l'adeguamento  dell'ordinamento  giudiziario al nuovo processo penale
ed a quello a carico di imputati minorenni". E peraltro,  principi  e
criteri direttivi sono sicuramente desumibili dagli artt. 2 e 3 della
legge n. 81/1987, concernenti il codice di procedura penale,  sia  in
via   immediata,   perche'   alcune   direttive   hanno   per  oggeto
l'ordinamento  giudiziario  (es.  dir.  68  e  103),  si  in  via  di
conseguenza necessaria delle soluzioni adottate nel testo delegato di
codice.
  La  limitatezza  delle  indicazioni  e'  stata,  percio',  percio',
interpretata nel senso che il Parlamento non ha  inteso  dare  delega
per  la organica riforma dell'ordinamento giudiziario, prevista dalla
VII disposizione transitoria della Costituzione, ma soltanto delegare
le  modifiche  di quello vigente nella misura strettamente necessario
ad adeguarlo al nuovo rito penale.
  Nel  rispetto  di  tali limiti, il Governo ha approvato nel gennaio
1988  il  Prgetto   preliminare   delle   norme   per   l'adeguamento
dell'ordinamento   giudiziario,   avvalendosi   dei   lavori  di  una
Commisione ministeriale, appositamente costituita  e  presieduta  dal
dott. Vladimiro Zagrebelsky.
  Il  Progetto  preliminare, accompagnato da una analitica Relazione,
e' stato inviato alla Commissione parlamentare, prevista dall'art.  8
della  legge  n.  81  del  1987,  essendosi  ritenuta  applicabile la
procedura in esso disciplinata, per effetto di sicura interpretazione
sistematica degli artt. da 6 a 9 della legge predetta.
  E'  stato, altresi', chiesto il parere del Cosiglio superiore della
magistratura  nonche'  il  parere  della  Corte  di  cassazione,  dei
Consigli  giudiziari,  dei  Consigli  degli  ordini  degli avvocati e
procuratori e delle Facolta' giuridiche delle universita'.
  Il  Progetto  preliminare e' stato restituito nel maggio 1988 dalla
Commissione parlamentare senza osservazioni ( salvo quelle  indirette
ricavabili   dal  Parere  sul  Progetto  preliminare  del  codice  di
procedura penale e delle norme  relative  al  processo  a  carico  di
imputati   minorenni).   E'   conseguentemente  da  ritenere  che  la
Commissione parlamentare abbia positivamente valutato la  conformita'
dell'articolato alle direttive ricavabili dalla legge-delega.
  Il  Progetto  definitivo  approvato  dal  Governo  nel  luglio 1988
presenta,  rispetto  al  testo  preliminare,  un  certo   numero   di
variazioni  che completano e perfezionano l'intervento normativo, pur
senza modificarne le linee di fondo e le  norme  di  maggior  portata
gia'  valutate  positivamente.  Si  tratta,  talvolta,  di  modifiche
puramente formali o  di  collocazione  sistematica.  Altre  volte  si
tratta   di   modifiche   o   di   integrazioni  che  derivano  dalla
considerazione dei pareri pervenuti dalle istituzioni richieste.
  Sono   da   segnalare  anche  integrazioni  del  primo  testo,  che
discendono  dalla  necessita'  di  disciplinare   compiutamente   una
attivita'  amministrativa - coinvolgente il Consiglio superiore della
magistratura ed il Ministero di grazia e giustizia -  da  mettere  in
opera secondo cadenze temporali che precedono l'entrata in vigore del
nuovo codice di procedura penale. Si e' considerato che il termine di
vacatio legis non superiore ad un anno, previsto dall'articolo 4 (e 3
lettera p) della legge-delega,  rendesse  indispensabile  che  talune
norme  concernenti  l'ordinamento  giudiziario  entrassero  in vigore
immediatamente in modo che non potessero avere tempestivo  corso  gli
adempimenti  necessari  alla istituzione dei nuovi uffici giudiziari,
alla soppressione degli uffici di istruzione penale dei  tribunali  e
delle  sezioni  istruttorie  delle  corti di appello ed alla modifica
della composizione e di  organico  di  tutti  gli  uffici  giudiziari
interessati dalla modifica del processo penale.
   Le linee salienti del Progetto si possono cosi' sintetizzare:
   1)  abolizione  delle  funzioni del giudice istruttore, e, quindi,
degli uffici  di  istruzione  presso  i  tribunali  e  delle  sezioni
istruttorie presso le corti di appello;
   2)  istituzione  dei giudici incaricati dei provvedimenti previsti
dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari
nei tribunali, nei tribunali per i minorenni e nelle preture, nonche'
delle sezioni che li coordinano nei tribunali e nelle preture  divise
in sezioni;
   3)  piu'  incisiva  distinzioni  delle funzioni giudicanti e delle
funzioni requirenti, prevedendo un  giudizio  di  attitudine  per  il
passaggio  dei  magistrati  dall'una all'altra funzione e vietando le
supplenze e le applicazioni negli uffici del  pubblico  ministero  da
parte di magistrati degli uffici giudicanti;
   4)  rilievo  della  pretura  capoluogo  di  circondario,  alla cui
direzione e' assegnato un  magistrato  di  corte  di  appello,  quale
effetto  delle  attribuzioni delle funzioni di giudice delle indagini
preliminari anche per i  procedimenti  di  competenza  delle  preture
mandamentali  e  quale  anticipazione  delle  riforma  in itinere che
prevede  la  trasformazione  di  queste  ultime  preture  in  sezioni
distaccate della pretura circondariale;
   5)  istituzione delle procedure della Repubblica presso le preture
aventi sede nel capoluogo di circondario, con competenza per tutti  i
reati  commessi  nel  circondario medesimo, attribuiti per materia al
pretore,  e  utilizzazione  dei  vice  procuratori  onorari   per   i
dibattimenti avanti al pretore;
   6)  totale  copertura  dell'anno  giudiziario con quattro sessioni
trimestrali di corte d'assise, al  fine  di  assicurare  la  continua
presenza   dell'organo   giudiziario,   necessaria  per  il  giudizio
direttissimo e per la piu'  rapida  fissazione  del  dibattimento  da
parte del giudice dell'udienza preliminare.
  Il  testo  definitivo  corrisponde  nelle  linee esenziali a quello
inviato alla Commissione parlamentare, per il secondo parere previsto
dall'art.  8,  comma  3  della  legge-delega,  parere che, di massima
favorevole, ha formulato taluni rilievi integralmente recepiti.
  Del  contenute  delle  singole  disposizioni si e' dato ampio conto
nella Relazione al Progetto preliminare. Percio' qui  di  seguito  si
trattera', articolo per articolo, delle sole modifiche o integrazioni
apportate  a   quel   testo   in   sede   di   definitiva   redazione
dell'articolato,  nonche'  di  talune  osservazioni critiche al testo
provvisorio, pervenute tardivamente.
                     ILLUSTRAZIONE DEGLI ARTICOLI
   Art.  1.  -  Il testo definitivo riporta, con migliore successione
sistematica, lo stesso  elenco  di  giudici  contenuto  nel  Progetto
preliminare. Una omissione materiale e' stata riparata con l'aggiunta
dell'aggettivo  "suprema"  riferito  alla  corte  di  cassazione.  Il
riferimento  all'ufficio  di  sorveglianza  e'  stato  sostituito con
quello al giudice di sorveglianza,  poiche'  il  testo  riguarda  gli
organi giudicanti e non gli uffici giudiziari.
   Si e' modificata la dizione del tribunale tout court in "tribunale
ordinario", in coerenza con la nuova denominazione adottata in  linea
generale (art. 10).
   Art.   2.  -  Il  testo,  a  fini  di  chiarezza,  differisce  dal
preliminare  per  la  menzione  della  corte  suprema  di  cassazione
separatamente   dalle   corti  di  appello  e  per  il  piu'  preciso
riferimento alle preture aventi sede nel capoluogo di circondario.
   Art.  3. - L'articolo contiene il rinvio agli artt. 35 comma 3, 46
comma 4 e 50 -bis dell'ordinamento giudiziario, cosi' correggendo  il
testo  del  Progetto preliminare che, per errore materiale, conteneva
il rinvio all'abrogato articolo 44.
   Il   nuovo  testo,  inoltre,  prevede  espressamente  che  per  la
formazione delle  tabelle  della  corte  suprema  di  cassazione,  il
Consiglio  superiore  della  magistratura provvede sulle proposte del
primo presidente, senza che,  come  per  le  corti  di  appello,  sia
sentito  il consiglio giudiziario. Il consiglio giudiziario, infatti,
non e' previsto per la corte di cassazione.
   Al  comma  2  il riferimento al Ministero di grazia e giustizia e'
stato corretto con quello al Ministro, cui personalmente competono le
facolta' previste nell'art. 11 della legge 195 del 1958.
   Art.  4.  - Il riferimento ai "processi" penali e' stato precisato
in "affari" penali, conformemente  alla  rubrica,  per  ricomprendere
ogni affare penale, anche diverso dal processo.
   E'  stato  inoltre  espressamente  previsto,  nel  comma 1, che il
Consiglio superiore della magistratura, nel determinare i criteri  di
assegnazione  degli  affari,  richiami  il  criterio  di cui al n. 40
ultima parte dell'art. 2 della legge-delega.
   In  sede  di norme di attuazione occorrera' provvedere al raccordo
tra la presente disposizione e quelle del codice di procedura  penale
che  prevedono  la  indicazione  del  giudice  del  dibattimento  nel
provvedimento del giudice dell'udienza  preliminare  o  del  pubblico
ministero.
   Circa  il  rilievo  del  Consiglio  superiore della magistratura a
proposito della limitazione della disciplina contenuta  nel  presente
articolo  alla  sola  assegnazione  degli  affari  penali ai giudici,
l'esclusione degli uffici  requirenti  dalla  disciplina  di  cui  si
tratta  e'  parsa necessitata in questa sede, potendosi in attuazione
della  delega,  solo  adeguare  l'ordinamento  giudiziario  a  quanto
dispone il nuovo codice di procedura penale. E, come si e' illustrato
nella Relazione al Progetto preliminare (p. 386), dal nuovo codice  e
dai lavori che lo hanno preparato si ricava la considerazione, per il
profilo che qui interessa, dei soli uffici dei giudici.
   Art.  5.  - Al comma 2 il rinvio alla tabella D annessa al decreto
del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1966, n. 1185,  contenuto
nel  testo  del  Progetto  preliminare,  e'  stato  sostituito con la
menzione delle preture aventi  sede  nel  capoluogo  di  circondario,
conformemente   a  quanto  stabilisce  il  testo  dell'art.  31,  sul
presupposto che - anche prima delle necessarie riforme riguardanti le
circoscrizioni  giudiziarie  -  con  il  nuovo sistema processuale le
preture aventi sede nel capoluogo di  circondario  assumeranno  tutte
una  importanza maggiore a seguito della concentrazione di competenza
stabilita dal codice di procedura penale per la fase  delle  indagini
preliminari.
   Art.  6.  -  Il comma 1 dell'art. 34 dell'ordinamento giudiziario,
rispetto al testo del Progetto preliminare, e' stato modificato anche
in  vista della necessaria riforma delle circoscrizioni delle preture
- con espressa menzione anche delle sezioni distaccate della pretura.
E'  stato poi menzionato l'art. 39 dell'Ordinamento giudiziario, allo
scopo di rendere chiaro il senso del riferimento  al  magistrato  che
presiede  -  come  quell'articolo  prevede  -  una sezione di giudici
monocratici.
   Nel  testo  definitivo  dell'art.  34, inoltre, la non omogeneita'
delle espressioni "magistrati" e "vice pretori onorari",  evidenziata
dalla   Commissione  parlamentare,  e'  stata  superata  mediante  le
seguenti modifiche: nella rubrica la dizione e' stata sostituita  con
quella  di  "magistrati  ordinari  e  onorari" e, di conseguenza, nei
commi  1  e  3  il  termine  "magistrati"  e'  stato  modificato  con
"pretori".
  Art.  7.  -  E'  stata  aggiunta,  nel comma 1, la sostituzione del
termine   "annualmente"   con   il   termine    "biennalmente",    in
considerazione  di  quanto  stabilito  all'art. 3. Eguale modifica e'
stata prevista per l'art. 39 comma 3 dell'ordinamento giudiziario.
   E' stato semplificato il testo originario del comma 2 dell'art. 35
ord. giud., facendo riferimento alla  disciplina  dell'art.  39  ord.
giud.  e  non  piu'  prevedendo  che  la  sezione  dei giudici per le
indagini preliminari  debba  necessariamente  essere  diretta  da  un
presidente di sezione della pretura.
   Art.  8.  -  La  modifica dell'art. 39 comma 3 ord. giud. e' stata
ritenuta necessaria per  adeguare  la  disposizione  alla  formazione
biennale  (e  non piu' annuale) delle tabelle delle preture divise in
sezioni.
   Art.  9. - E' stato spostato, per ragioni di migliore sistematica,
il contenuto dell'art. 12 del testo del Progetto preliminare.
   Art.  10.  -  Il  comma 1 deriva dallo spostamento, effettuato per
ragioni  sistematiche,  del  contenuto   dell'art.   13   del   testo
definitivo.
   Il  comma  2 apporta la conseguente modificazione terminologica in
tutte le disposizioni dell'ordinamento giudiziario non modificate con
il  presente  testo  normativo. Uguale adeguamento per tutte le altre
disposizioni di ordinamento giudiziario potra' essere  apportato  con
le  disposizioni  di coordinamento, mentre per il codice di procedura
potra' dirsi che  la  espressione  "tribunale"  indica  il  tribunale
ordinario.
   Artt. 11 e 12. - Il testo dei due articoli e' rimasto invariato.
   Art.  13. - E' stata aggiunta, al comma 3 dell'art. 46 ord. giud.,
la menzione della formazione delle tabelle ai sensi dell'art.  7-bis,
al  fine di collegare la previsione normativa con il nuovo sistema di
formazione tabellare introdotto con l'art. 3.
   E' stata inoltre limitata, nel comma aggiunto, la previsione della
attribuzione  ad  un  presidente  di  sezione  del  tribunale   della
direzione  della  sezione dei giudici per le indagini preliminari, ai
soli tribunali ove ora  e'  istituito  un  ufficio  delle  istruzioni
penali,  diretto  da un consigliere istruttore. Il testo del Progetto
preliminare, infatti, avrebbe determinato difficolta' di applicazione
nei piccoli tribunali divisi in sezioni, ove risultava non necessaria
ed eccessiva la assegnazione di un presidente di sezione alla sezione
dei  giudici  per  le indagini preliminari e ove l'organizzazione del
lavoro di piu'  giudici  per  le  indagini  preliminari  puo'  essere
rimessa al piu' anziano di essi.
   Art.  14.  -  Il comma 1, rispetto al testo del Progetto, e' stato
modificato eliminando la previsione di una sezione dei giudici per le
indagini  preliminari,  diretta  da  un  presidente  di  sezione  nei
tribunali per i minorenni divisi in  sezioni.  Tale  ripartizione  in
sezioni,  infatti,  attualmente  riguarda  un  solo  tribunale  per i
minorenni. E' parso d'altra parte utilizzabile  il  normale  criterio
(gia'  ora  attuato quando a piu' giudici istruttori non sia preposto
un consigliere istruttore) per cui  l'organizzazione  del  lavoro  di
piu' giudici e' rimessa al piu' anziano di essi.
   E'  stato  poi  aggiunto un comma 2, con il quale, conformemente a
quanto rilevato e suggerito dalla Commissione parlamentare nel Parere
sul  Progetto  preliminare  delle  norme  sul  processo  a  carico di
imputati minorenni, si  rimettono  ad  un  collegio  composto  da  un
magistrato  e  da  due giudici onorari i provvedimenti da assumere in
udienza preliminare. Si e' ritenuto che le ragioni che spingono verso
la collegialita' del giudice dell'udienza preliminare non riguardino,
invece, i provvedimenti del giudice per le indagini preliminari e che
dalla   legge-delega   non   si  ricavi  la  necessita'  di  identica
strutturazione (monocratica o collegiale) del giudice per le indagini
preliminari  in  ogni  esplicazione  della sua competenza. Il rilievo
della Commissione parlamentare, conforme ai suggerimenti  provenienti
da  una parte degli addetti allo specifico campo di giurisdizione, e'
parso da accogliere, nonostante che difforme sia stato il parere  del
Consiglio  superiore  della magistratura, che ha ritenuto di ricavare
dalla legge-delega la necessaria monocraticita' del  giudice  per  le
indagini   preliminari  e  la  impossibilita'  di  differenziarne  la
composizione con riferimento ai diversi provvedimenti.
   Art.  15.  - Al punto b) e' stato fatto specifico riferimento alle
funzioni attribuite alla corte di appello  dal  codice  di  procedura
penale,  diverse  dai giudizi di appello avverso sentenze pronunciate
in primo grado.
   Art.  16. - Rispetto al testo del Progetto si e' provveduto ad una
semplificazione, resa possibile  dal  rinvio  alla  formazione  delle
tabelle disciplinata dall'art. 7 bis ord. giud.
   Art.  17.  -  Il  testo  di  questo  articolo non ha subito alcuna
modifica.
   Art.  18.  -  Nell'articolo  la parola "collegio" e' stata espunta
perche' si e' condiviso  il  rilievo  della  Commissione  parlametare
circa  la  incongruita'  della  espressione  con riferimento a quella
"sezioni" adoperata  all'inizio  del  comma.  Si  e'  proceduto  alla
riformulazione   del   secondo  periodo  tenedo  conto  dell'indicato
suggerimento e delle necessita' di una lettura  piu'  scorrevole  del
testo.
   Art. 19. - Il tenore letterale dell'art. 66 comma 3 ord. giud., e'
stato modificato esplicitando il richiamo all'art. 7 bis  ord.  giud.
per la formazione delle tabelle.
   Art.  20. - Nel comma 1, ultima parte, e' stato fatto ricorso alla
piu' precisa indicazione delle preture di ciascun circondario.
   Nel  comma  3, ultima parte, e' stata espressamente considerata la
possibilita'  di  designazione  di  piu'  magistrati   del   pubblico
ministero per il dibattimento.
   Art.  21.  - L'art. 71 ord. giud., nel primo testo sottoposto alla
Commissione  parlamentare,  era   abrogato.   Ferma   restando   tale
abrogazione  si  e'  inserito  nell'art.  71  una  nuova disposizione
conseguente alla opportunita' di prevedere la possibilita' di  nomina
di vice procuratori onorari presso le procure della Repubblica aventi
sede nel capoluogo di circondario, al fine di evitare la  delega  per
il  dibattimento  a  vice pretori onorari, che era prevista nel testo
del Progetto  preliminare.  E'  stato  rilevato,  infatti,  che  tale
disposizione  viola  la  direttiva  103  della  legge-delega la' dove
prevede la distinzione delle funzioni  di  pubblico  ministero  e  di
giudice nel processo pretorile.
   Si e' cosi' prevista una figura professionale analoga a quella del
vice pretore onorario (donde il richiamo all'art.  32  comma  1  ord.
giud. ed alle disposizioni sulla nomina dei vice pretori onorari), ma
destinata ad esercitare soltanto le funzioni  di  pubblico  ministero
nei  dibattimenti  pretorili.  La limitazione a tali funzioni, previa
delega del procuratore della Repubblica ai sensi  dell'art.  72  ord.
giud.,  deriva  sia  dalla ragione sottostante l'istituzione dei vice
procuratori onorari, sia dal  fatto  che  l'unica  funzione  ad  essi
attribuita  dall'ordinamento  e'  appunto  quella  che discende dalla
delega per il dibattimento.
   Nel  prevedere la nuova figura, si e' ritenuto che la norma di cui
all'art. 106 comma 2 Cost. non implichi divieto per l'istituzione  di
pubblici  ministeri  onorari,  ma  solo  delimiti  le possibilita' di
nomina di giudici onorari.
   Art.  22.  -  La formulazione originaria - in ordine alla quale e'
sopravvenuto il  parere  favorevole  del  Consiglio  superiore  della
magistratura,  pur  con  osservazioni  di cui si e' tenuto conto - ha
subito alcune modificazioni.
   Nel comma 1 si e' sostituita la dizione "vice pretori onorari" con
quella  di  "vice  procuratori  onorari"  per  le  ragioni   espresse
illustrando le modifiche all'art. 71 ord. giud.
   Nel  comma  2 la originaria previsione della irrevocabilita' della
delega conferita dal procuratore della Repubblica ( che si  ricollega
alla  direttiva  n.  68  della legge-delega) e' stata sostituita, per
ragioni di coerenza, con il rinvio  alla  disciplina  generale  della
sostituzione  del  magistrato  professionale,  che svolge funzioni di
pubblico ministero in udienza.
   Artt.  23,  24  e  25. - E' stato confermato il testo del Progetto
preliminare, salvo minime correzioni formali.
   Art. 26. - Il testo ritorna a quello attualmente vigente dell'art.
98 ord. giud., aggiornandolo  con  il  richiamo  ai  giudici  per  le
indagini preliminari, anziche' ai giudici istruttori.
   Art.  27.  -  Si  tratta  di  una disposizione nuova. Essa elimina
l'attuale previsione  della  supplenza  di  magistrati  del  pubblico
ministero da parte di magistrati degli uffici giudicanti.
   Art.  28.  - La previsione - introdotta nel testo definitivo - che
la applicazione  di  magistrati  del  pubblico  ministero  ad  uffici
rispetto  ai  quali  sorga  necessita'  possa  avvenire  anche quando
l'organico di tali uffici  sia  integralmente  coperto,  risponde  ad
esigenze  improvvise e temporanee che, nel sistema vigente, rischiano
di rimanere insoddisfatte. La  temporaneita'  della  applicazione  ad
altro   ufficio   e  la  informativa  al  Consiglio  superiore  della
magistratura,  conformemente  alla   giurisprudenza   costituzionale,
apparivano   adeguatamente   garantire  il  magistrato  applicato  da
provvedimenti che confliggessero con la  ratio  della  inamovibilita'
costituzionalmente prevista.
   La  Commissione  parlamentare,  tuttavia,  ha  svolto  consistenti
rilievi sull'articolo sotto il profilo che la formulazione risultante
dal  Progetto preliminare avrebbe richiesto, per meglio assicurare un
corretto   e   adeguato   uso   nell'applicazione   temporanea,    la
predisposizione  di  particolari  cautele  con riferimento alle reali
esigenze degli uffici.
   E'   stato   cosi'   previsto,   nel   testo  definitivo,  che  il
provvedimento sia disposto con decreto motivato e sentito  il  parere
del   consiglio   giudiziario;   e'   stato  pure  precisato  che  le
imprescindibili  esigenze,  presupposto  del  provvedimento,   devono
essere  riferite  all'ufficio  di applicazione e queste devono essere
prevalenti rispetto all'ufficio di provenienza.
   Art. 29. - Corrisponde al testo originario.
   Su  tale  testo  il  Consiglio  superiore  della  magistratura  ha
osservato che la  sottolineatura  della  distinzione  delle  funzioni
giudicanti   e  requirenti  mette  in  ombra  altre  distinzioni  che
egualmente si legittimerebbero (penale-civile;  merito-legittimita'),
suggerendo di attenuare la previsone normativa in ordine al passaggio
dall'una all'altra funzione e rilevando la difficolta' di rilevare la
sussistenza  di  specifiche attitudini per una delle funzioni, quando
il magistrato non le abbia mai esercitate.  Non  si  e'  ritenuto  di
mutare  il  testo  normativo per la considerazione che i limiti della
legge-delega certamente impediscono una riforma  che  dia  rilievo  a
distinzioni funzionali diverse da quelle giudicanti e requirenti. Sul
merito  poi  della  scelta  operata  in  favore  della  unita'  della
magistratura  -  con  esplicitazione nell'art. 190 delle unicita' del
concorso di ammissione e del tirocinio,  gia'  previsti  dal  sistema
vigente - si rinvia alla Relazione sul Progetto preliminare (p. 387).
   Nel   testo   definitivo,   su   suggerimento   della  Commissione
parlamentare,  per  il  passaggio  dei  magistrati   dalle   funzioni
giudicanti  alle  requirenti  e  viceversa,  e'  stata pretermessa la
qualificazione di "specifiche" rispetto  alle  necessarie  attitudini
richieste.
   Art.  30.  -  Si  tratta  di  una nuova disposizione, che modifica
l'art. 13 comma 2 e comma 4 del r.d.l. 31 maggio 1946  n.  511,  allo
scopo  di  adeguare  il  sistema  della  vigilanza sui magistrati del
pubblico ministero alla istituzione dei nuovi uffici del  procuratore
della  Repubblica  presso  le  preture  aventi  sede nel capoluogo di
circondario.
   Art. 31. - Il nuovo testo si differenzia da quello dell'originario
art. 28  perche'  al  numero  1  considera  anche  i  presidenti  dei
tribunali  per  i minorenni e i procuratori della Repubblica presso i
tribunali stessi (nulla innovando rispetto  alla  normativa  vigente,
con  riferimento  anche  all'art.  71  ord. giud., il cui testo viene
sostituito dall'art. 20 del presente provvedimento).
   Al  n. 2 si prevede che siano assegnati magistrati di appello, con
funzioni di pretori dirigenti, alle preture aventi sede nel capoluogo
di  circondarie e, con funzioni di procuratore della Repubblica, alle
procure della Repubblica presso le stesse preture. Si mantiene  cosi'
l'attuale  equiparazione  di  funzioni  tra  dirigenti  degli  uffici
giudicanti e degli uffici requirenti.
   Si veda anche l'art. 5 del presente provvedimento.
   Art.  32. - Si tratta di nuova previsione, conseguente a quella di
cui all'articolo che precede.
   Art.   33.  -  L'articolo  contiene  una  nuova  previsione,  resa
necessaria dalla cessazione del vigente  sistema  di  formazione  dei
ruoli  della  corte  di assise, cui i giudizi - secondo la previsione
del  nuovo  codice  di  procedura  penale  -  verranno   direttamente
assegnati dal giudice per le indagini preliminari. Sul punto v. anche
sub art. 4 del presente provvedimento.
   Si  prevede  che  la  corte di assise sia sia sempre in sessione e
possa  quindi  sempre  ricevere  i  provvedimenti  che   le   vengono
trasmessi.  Si prevede anche che i dibattimenti iniziati nel corso di
una sessione siano conclusi dallo stesso collegio, anche  quando  nel
frattempo  la  sessione  e'  terminata ed altri giudici popolari sono
stati chiamati ad esercitare le loro funzioni.
   Al  comma  2  e'  stata mantenuta, adattandola al nuovo sistema di
sessione permanente, la possibilita' che il presidente della corte di
appello disponga per motivi organizzativi che la corte di assise o la
corte di assise di appello tenga udienza in luogo diverso  da  quello
di normale convocazione.
   Art.  34. - Rispetto alla formulazione originaria, si eliminata la
previsione dell'avviso della data  di  estrazione  e  della  data  di
comparizione  dei  giudici popolari estratti ai difensori delle parti
delle cause da trattare nella sessione, dal momento che non vi  sara'
piu' un ruolo di cause della sessione.
  Art.  35.  -  Si e' corretto l'errore materiale del rinvio previsto
alla fine del comma 3.
   Art. 36. - Corrisponde al testo originario.
   Art. 37. - E' stata accolta una modifica migliorativa di carattere
formale suggerita dalla Commissione parlamentare.
   Art.  38.  - Con tale articolo si dispone che vengano apportate le
variazioni alle piante organiche sia per quanto riguarda i presidenti
di  sezione  nei tribunali ove viene istituita la sezione dei giudici
per le indagini preliminari, sia per quanto e' reso necessario  dalla
abrogazione dell'art. 1 della legge 22 dicembre 1973 n. 884.
   Viene   inoltre   stabilito   che  il  Consiglio  superiore  della
magistratura provveda, almeno tre mesi prima della data di entrata in
vigore   del  nuovo  codice  di  procedura  penale,  alle  variazioni
tabellari conseguenti  al  nuovo  assetto  degli  uffici  giudicanti,
presso i quali da un lato cessano le funzioni di giudice istruttore e
dall'altro sono previsti i giudici per le indagini preliminari.
   Nello  stesso  termine  il  Consiglio superiore della magistratura
dovra' approvare i criteri per  l'assegnazione  degli  affari  penali
previsti  dal  nuovo art. 7- bis ord. giud., in modo che essi possano
essere applicati sin dal primo  giorno  di  funzionamento  del  nuovo
codice.
   Art.  39.  -  La  disposizione,  a  seguito della abolizione degli
uffici di istruzione penale, abroga l'art. 1 della legge 22  dicembre
1973  n.  884,  che  prevede  che  la  dirigenza  di alcuni uffici di
istruzione sia attribuita a magistrati di cassazione. Di conseguenza,
nella  tabella  del  ruolo  organico della magistratura allegata alla
citata legge, vanno diminuiti i posti di consiglieri della  corte  di
cassazione  e  corrispondentemente  aumentati i posti della categoria
(globalmente considerata nel ruolo organico) di magistrati  di  corte
di  appello,  magistrati  di  tribunale  ed aggiunti giudiziari. Alla
detta necessita' corrisponde la tabella allegata al presente decreto.
   Nel  comma  3,  si disciplina la destinazione dei magistrati degli
uffici  di  istruzione  penale  che  ricoprono  posti   di   organico
(consiglieri   istruttori  e  consiglieri  istruttori  aggiunti).  Si
richiama il sistema previsto dal vigente art.  2  comma  3  e  5  del
r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, ammettendo tuttavia che tali magistrati
possano essere assegnati anche in soprannumero, con riassorbimento al
momento  della  vacanza  di  posti corrispondenti. La possibilita' di
assegnazione anche in  soprannumero  tende  a  rendere  possibile  la
assegnazione  del  magistrato  nella stessa sede ove ha esercitato le
funzioni che  vengono  a  cessare.  Tale  possibilita'  non  riguarda
peraltro i posti direttivi. La disposizione, inoltre, esclude che per
tali magistrati siano richiesti  termini  minimi  di  permanenza  nel
nuovo ufficio, quale condizione di legittimazione alla partecipazione
a  concorsi  per   altri   posti.   Cio'   al   fine   di   ascludere
l'ingiustificato  pregiudizio  che  i  detti  magistrati  subirebbero
rispetto all'ottenimento, a seguito di normale concorso, di posti cui
aspirano  e  per  i  quali abbiano gia' maturato il termine minimo di
legittimazione previsto dalle disposizioni vigenti.
   Art.  40.  - La disposizione istituisce gli uffici del procuratore
della Repubblica presso le  preture  aventi  sede  nel  capoluogo  di
ciascun  circondario e scandisce i tempi degli adempimenti necessari,
in modo che i nuovi uffici possano iniziare  a  funzionare  in  tempo
utile alla applicazione del nuovo codice di procedura penale.
   La Commissione parlamentare, in sede di parere sul testo del nuovo
codice di procedura penale, ha preso in  esame  la  disposizione  del
codice   (art.   550)   che,  elencando  gli  organi  giudiziari  che
intervengono  nel  processo  pretorile,  menziona  la  procura  della
Repubblica  presso  le  preture  aventi sede nel capoluogo di ciascun
circondario. Sul punto  la  Commissione  parlamentare  ha  da  ultimo
espresso valutazione favorevole.
  Art. 41. - Con la disposizione si prevede che in via temporanea non
vengano istituiti gli uffici di procura della  Repubblica  presso  le
preture  aventi  sede  nel  capoluogo  di circondario di una serie di
piccoli tribunali non provinciali elencati nella tabella allegata. In
tali sedi, aventi piante organiche di piccole dimensioni, le funzioni
di pubblico  ministero,  anche  presso  le  preture,  possono  essere
esercitate  dal  procuratore  della  Repubblica  presso  il tribunale
(salva la revisione degli organici di tali uffici).
   La  norma  ha  carattere temporaneo legato alla necessaria riforma
delle circoscrizioni dei tribunali. La temporaneita' della norma e il
suo fondamento in esigenze pratiche presenti nei primi tempi di avvio
del nuovo sistema processuale, e' sottolineata dal termine  triennale
previsto  per  l'ipotesi  in cui non si provveda alla revisione delle
circoscrizioni dei tribunali. In tale ipotesi anche presso le preture
di  cui  alla  allegata  tabella dovranno essere istituiti gli uffici
della procura della Repubblica.
   Art.  42.  -  L'articolo  contiene  disposizioni dirette a rendere
possibile  il  passaggio  dal  sistema  vigente   (che   prevede   la
convocazione della corte di assise e della corte di assise di appello
dopo la formazione dei ruoli - art. 7 della legge speciale nel  testo
antecedente alla modifica ad esso apportata dall'art. 33 del presente
decreto) al sistema di  sessioni  continuate  di  durata  trimestrale
(nuovo testo del citato art. 7).
   Il  comma  1  espressamente  considera  l'ipotesi  in cui quindici
giorni prima della data di entrata in vigore  del  nuovo  codice,  la
corte  di  assise  o  di  assise di appello sia in sessione. Nel caso
invece in cui la corte a quella data non sia in sessione non sorge un
particolare problema di disciplina, trovando applicazione gli artt. 7
comma 1 e 25 legge  10  aprile  1951  n.  287  (come  rispettivamente
modificati  dagli artt. 33 e 29 del presente decreto), nel senso che,
quindici giorni prima della data  di  entrata  in  vigore  del  nuovo
codice   dovra'   darsi   corso   agli   adempimenti  necessari  alla
costituzione della  corte  per  il  restante  periodo  dell'anno.  La
sessione  cosi'  istituita  durera',  come  stabilisce il comma 2 del
presente articolo, fino al 31 dicembre dell'anno di entrata in vigore
del  nuovo  codice. La data stabilita per l'entrata in vigore esclude
che siano ipotizzabili, in quell'anno, piu' sessioni trimestrali.
   Una  disciplina  particolare  era invece necessaria per il caso in
cui la corte di assise fosse in sessione quindici giorni prima  della
data di entrata in vigore del nuovo codice. In tal caso si stabilisce
che il presidente proceda  all'estrazione  dei  giudici  popolari  ai
sensi  dell'art.  25  della  legge  sulle  corti di assise e compia i
successivi adempimenti, in modo tale che  alla  data  di  entrata  in
vigore  del  nuovo  codice  la  corte  sia regolarmente costituita in
sessione e, quindi, in grado di ricevere i processi da  trattare  nel
dibattimento.  Vi  sara' percio', fino all'esaurimento della sessione
in corso a quel momento (comma 2),  una  duplice  composizione  della
corte di assise: la prima esaurira' il ruolo delle cause pendenti, la
seconda rimarra' disponibile per i processi da  trattare  secondo  il
nuovo rito.
   Per effetto del comma 3 il nuovo sistema sara' pienamente operante
a decorrere dall'inizio dell'anno successivo a quello dell'entrata in
vigore del nuovo codice.
   L'art.  2  del decreto che recepisce il presente testo differisce,
in linea generale, l'applicazione delle disposizioni in esso previste
alla data di entrata in vigore del nuovo codice.
   Dovranno  invece  ricevere applicazione anticipata rispetto a tale
data  le  disposizioni  che  prevedono   adempimenti   da   compiersi
anteriormente  ad  essa, e che quindi stabiliscono un termine diverso
di applicazione, di volta in volta precisato: si tratta  degli  artt.
38, 40 e 42.
  A  conclusione  dei  non  agevoli  lavori,  il  Ministro proponente
ritiene doveroso che venga dato atto alla Commissione presieduta  dal
dott.  Zagrebelsky del suo apporto di intenso lavoro, che ha permesso
di rispettare i  tempi  previsti  dalla  legge  e  di  presentare  un
risultato di altissimo pregio.