TITOLO V SPESE 10.8. Non rilevanti oppure meramente formali sono le modifiche apportate al titolo V. All'art. 694 (685) e' stato aggiunto il riferimento anche al "periodico", oltre che al "giornale", in conformita' alla legislazione in materia di stampa. LIBRO XI RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITA' STRANIERE TITOLO I DISPOSIZIONI GENERALI 11.1. Le modificazioni intervenute nel Progetto definitivo, sulle quali la Commissione parlamentare non ha formulato alcun rilievo nel secondo Parere, non hanno modificato il complessivo impianto originario delle disposizioni concernenti i rapporti giurisdizionali con autorita' straniere. Nell'art. 696 (687) si e' mantenuto il riferimento alle norme di diritto internazionale generale in luogo della formula "usi internazionali'proposta dalla Commissione parlamentare. Invero la formula prescelta, coerente con quella dell'art. 10 comma 1 della Costituzione, coincide con quella impiegata dalla dottrina internazionalistica e comprende anche le consuetudini internazionali (delle quali gli usi - art. 656 del codice vigente - sono una componente insieme alla cosidetta opinio iuris) . TITOLO II ESTRADIZIONE 11.2. Nell'art. 697 (688) il comma 1 e' stato modificato in accoglimento di un'osservazione della Commissione parlamentare, con l'introduzione, contro il rischio di possibili "estradizioni mascherate", del principio che la consegna ad uno Stato straniero di una persona da esso richiesta per sottoporla alla esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva o di un altro provvedimento restrittivo della liberta' personale, puo' avvenire soltanto mediante un procedimento di estradizione. Nell'art. 698 (689) , comma 1 si e' ribadito - in parziale accoglimento dell'osservazione della Commissione parlamentare - il divieto di estradizione per reati politici, gia' sancito dagli artt. 10 u.c. e 26 u.c. della Costituzione. Nel comma 2, non si e' ritenuto di dover escludere l'estradizione nelle ipotesi punite nello stato richiedente con la pena di morte. Il testo adottato, infatti, risulta conforme alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e rispetta il principio cui si ispira il Protocollo n. 6 aggiuntivo alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo; inoltre e' sembrato inopportuno escludere la possibilita' di cooperazione proprio per reati di particolare gravita', con il rischio che il nostro Stato debba farsi carico delle procedure per tali reati (aut dedere aut iudicare). Per contro si e' rafforzato il controllo in merito alla sufficienza delle garanzie offerte dallo Stato richiedente l'estradizione, attribuendone la valutazione anche all'autorita' giudiziaria. Nell'art. 699 (690) il principio di specialita' e' stato riferito anche alle ipotesi di estensione dell'estradizione gia' concessa e di riestradizione. Non si e' invece previsto il divieto di sottoporre l'estradato a giudizio per un fatto anteriore e diverso al fine di mantenere la simmetria con la formulazione del principio di specialita' nell'estradizione attiva (art. 721 gia' 711) , rispetto alla quale si e' voluto fare salva la possibilita' del giudizio in contumacia tuttora previsto nel sistema del Progetto. Negli artt. 701 e 703 (692 e 694) si e' esplicitato che il consenso debba essere espresso dall'estradando alla presenza del suo difensore. Non si e' ritenuto, invece, opportuno prevedere che, per la estradizione del cittadino, si debba sempre far luogo alla garanzia giurisdizionale. Invero, sempre ovviamente nei casi in cui la estradizione del cittadino e' possibile (art. 26 comma 1 Cost.) puo' essere per lo stesso cittadino vantaggioso abbreviare i tempi della procedura di estradizione. Ne' parimenti sembra che la presenza di una pluralita' di domande di estradizione debba escludere la rilevanza del consenso (da valutare in relazione ad ogni singola domanda per la quale sia stato espresso) comunque non idoneo a vincolare la decisione del Ministro. Con l'art. 712 (702-quater), si e' introdotta una disciplina specifica per la regolamentazione del transito a fini di estradizione, accogliendosi una osservazione della Commissione parlamentare. La disciplina adottata si ispira in buona misura ai criteri presenti nelle Convenzioni internazionali multilaterali di estradizione; inoltre, si e' ritenuto di condizionare in linea di principio l'autorizzazione del transito al vaglio positivo dell'autorita' giudiziaria, secondo un sistema non diverso da quello previsto per l'estradizione stessa. Il comma 2 dell'art. 717 (707) e' stato modificato per conferire maggior precisione alla disciplina dell'intervento del difensore dell'estradando. Il comma 4 dell'art. 720 (710) e' stato riformulato per esplicitare che l'esercizio dei poteri del Ministro di grazia e giustizia avviene nei limiti del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. 11.3. Nel testo definitivo del codice sono state apportate alcune modifiche, per motivi formali o di coordinamento con altre disposizioni, agli artt. 701 (692) , 703 (694) , 706 (697) , 709 (702) , 717 (707) , 718 (708) e 719 (709) . Nella rubrica e nel testo dell'art. 714 (704) , la locuzione "misure cautelari" e' stata sostituita con quella "misure coercitive", poiche' solo di queste si tratta nell'articolo in questione. Nella rubrica si e' fatto richiamo anche al sequestro poiche' a questo si riferisce il comma 4. Nell'art. 716 (706) oltre ad una modifica formale nel comma 1, la disciplina del comma 3 e' stata modellata sulla falsariga di quella dell'arresto in flagranza. Si e' infatti previsto espressamente che con la ordinanza di convalida possa essere disposta una misura coercitiva, del resto in coerenza con quanto gia' previsto dal comma 4. In tal modo si e' anche data al giudice la possibilita' di graduare la misura. TITOLO III ROGATORIE INTERNAZIONALI 11.4 Negli artt. 723 (713) , comma 3, e 728 (717- bis), in accoglimento di una osservazione della Commissione parlamentare, sono state introdotte disposizioni relative alla immunita' delle persone citate per rogatoria; tali disposizioni costituiscono una novita' rispetto al sistema del codice del 1930 e si ispirano a principi gia' consacrati in accordi internazionali, tra i quali la Convenzione europea di mutua assistenza. In particolare nei casi di rogatoria all'estero il testimone, il perito o l'imputato citato a comparire innanzi all'autorita' italiana non puo' essere sottoposto ad alcuna restrizione della liberta' personale per fatti anteriori alla notifica. Correlativamente nei casi di rogatoria dall'estero, il ministro di grazia e giustizia non le da' corso quando lo stato richiedente non offra idonee garanzie in ordine all'immunita' della persona citata. Per quanto concerne l'utilizzabilita' degli atti assunti per rogatoria, non si e' ritenuto di dover specificare le condizioni opponibili dallo Stato estero nell'impossibilita' di individuarle esclusivamente. TITOLO IV EFFETTI DELLE SENTENZE PENALI STRANIERE ESECUZIONE ALL'ESTERO DI SENTENZE PENALI ITALIANE 11.5 Nell'art. 733 (722) comma 1, lettera d) , la diversa formulazione adottata tende a chiarire che qualsiasi incidenza delle discriminazioni indicate nel processo, comprese quelle favorevoli al condannato, costituisce motivo di diniego del riconoscimento. Nell'art. 745 (734) comma 2, accogliendosi un'osservazione della Commissione parlamentare, si e' qualificato come facolta' il potere del ministro di richiedere il sequestro nel domandare l'esecuzione di una confisca. PREMESSA Il processo penale a carico di imputati minorenni, alla cui disciplina il r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 aveva dedicato modesto spazio, e' stato oggetto in questi ultimi anni di un'attenzione crescente da parte degli operatori giuridici e degli studiosi dei fenomeni sociali. Cio' e' avvenuto in corrispondenza con l'affermarsi di una nuova considerazione della posizione del minore nei confronti dell'ordinamento, e sotto la spinta del nuovo approccio della legislazione piu' recente alle situazioni giuridiche che coinvolgono i soggetti in eta' evolutiva. Da oggetto di protezione e tutela, il minorenne e' sempre piu' considerato come titolare di diritti soggettivi perfetti. Da un lato e' cresciuta la consapevolezza dell'esigenza di far emergere a livello dell'ordinamento giuridico i suoi bisogni primari; dall'altro e' andato maturando il convincimento che ogni forma di intervento nei suoi confronti mai deve dare luogo a un minus di garanzie rispetto a quelle riconosciute ai maggiorenni, neppure quando l'intervento si presenta come diretto a proteggerlo da abusi o da rischi di devianza. La legge 16 febbraio 1987, n. 81, contenente delega legislativa al Governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, ha recepito queste tendenze e, a differenza della precedente legge-delega del 3 aprile 1974, n. 108, ha dedicato ampio spazio al processo penale a carico di imputati minorenni. Ad esso infatti ha riservato un'apposita ed elaborata norma - l'articolo 3 - ove sono delineati i principi guida che devono reggere tale giudizio e dove, accanto al diritto del minore ad avere un proprio giudice, viene sancito il diritto del minore ad avere un proprio processo. Sul piano ordinamentale e sostanziale, l'esigenza di un organo specializzato e di una risposta diversificata all'infrazione penale commessa dal minorenne e' da tempo patrimonio acquisito del nostro ordinamento. Ma limitata sino ad ora, come si e' detto, era la specificita' delle norme processuali: vuoi per il maggiore spazio dato a suo tempo ai cosiddetti interventi rieducativi (competenza amministrativa del tribunale dei minorenni), vuoi per una certa conseguente residualita' del processo penale, vuoi infine per quella scarsa percezione del minore come soggetto di diritti propria del contesto socio-culturale in cui nacque il sistema della giustizia minorile in Italia. La legge 16 febbraio 1987, n. 81 colma questa lacuna, e, ricollegandosi alle odierne tendenze del diritto minorile, stabilisce il principio che il processo a carico di imputati minorenni deve svolgersi " secondo i principi generali del nuovo processo penale ", ma " con le modificazioni e le integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturita' e dalle esigenze della sua educazione ". Le " modificazioni " e le " integrazioni " della disciplina processuale ordinaria sono dalla delega parzialmente esplicitate con la formulazione, ovviamente sintetica e aperta, di una serie di " criteri ", elencati dalla lett. a) alla lett. o) dell'art. 3. Si tratta di criteri che valorizzano in maniera assai marcata alcune delle principali linee di tendenza dell'odierno diritto minorile, e che in alcuni punti, ad esempio nella lett. a), hanno gia' trovato attuazione nell'ordinamento vigente. Ma l'elencazione non puo' ritenersi esaustiva, come del resto lascia chiaramente intendere l'ultimo inciso della prima parte dell'articolo in esame: sicche' i " criteri " cui si e' fatto cenno costituiscono le principali ma non le sole applicazioni del principio generale stabilito dalla prima parte dell'articolo, e sono comunque bisognevoli di ulteriore esplicitazione. Per formulare le singole norme attuative della delega e' quindi in primo luogo necessario individuare quali principi guida siano sottesi ai criteri predetti, quali altre applicazioni nel processo tali principi debbano avere, quali altri principi infine discendano dalla formulazione della prima parte della norma delegante. Nel far cio' (anche per la sollecitazione indirettamente derivante dall'alinea dell'art. 2 della legge-delega) e' anche opportuno prendere in considerazione due recentissimi documenti internazionali pertinenti al tema: le Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, o " Regole di Pechino ", approvate dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 1985, e l'ancor piu' vicina Raccomandazione 87/20 del Consiglio d'Europa circa " Le reazioni sociali alla delinquenza minorile ", approvata dal Comitato dei Ministri nella seduta del 17 settembre 1987. Queste solenni enunciazioni dei due alti consessi internazionali ribadiscono il diritto del minore a tutte le garanzie processuali e ne sollecitano un rinforzo: ma anche pongono in guardia dai rischi e dai pregiudizi che possono derivare al minore dal contatto con l'apparato della giustizia e dall'ingresso nel circuito penale; e sollecitano misure che riducano tali rischi, che favoriscano la chiusura anticipata del processo nei casi piu' lievi, che consentano una " uscita dal penale " attraverso interventi precoci di sostegno e di messa alla prova, che assicurino la specializzazione degli organi e degli operatori della giustizia minorile a tutti i livelli. Sotteso ai criteri elencati nell'art. 3, e confermato dalle dichiarazioni internazionali teste' richiamate, sta dunque il principio fondamentale secondo cui il minorenne accusato di violazione della legge penale ha pieno diritto ad un processo ove trovino posto tutte le garanzie ordinarie in favore dell'imputato, ma non solo quelle: poiche' dal fatto stesso di essere sottoposto ad un processo penale, soprattutto il minorenne puo' ricevere sofferenza e talora pregiudizio, e comunque riceve non evitabili sollecitazioni e stimolazioni emotive e psicologiche che incidono (negativamente o positivamente) sullo sviluppo della sua personalita', sulla sua percezione della societa' organizzata, sul suo rapporto con le figure adulte: in definitiva, sul piano della sua educazione. Alla premessa del " diritto del minore al processo " consegue percio' l'esigenza di eliminare o ridurre al minimo nel processo minorile ogni stimolazione inutilmente negativa, e viceversa di cogliere e valorizzare le possibili stimolazioni positive insite in un corretto confronto con la societa' civile e con le sue regole: cosi' che le valenze sostanziali del processo possano essere canalizzate ed utilizzate a vantaggio del minore, e non a suo danno. Gran parte dei criteri elencati nell'art. 3 della legge-delega, a ben vedere, tendono a limitare i possibili effetti dannosi del processo: in primo luogo stabilendo (lett. a) che il minore deve sempre essere giudicato dal suo giudice naturale specializzato, anche in deroga ai principi sulla connessione fra i procedimenti; in secondo luogo derogando ad una delle piu' significative innovazioni della delega, e cioe' all'esame diretto dell'imputato da parte del pubblico ministero e dei difensori (lett. m). Ed ancora, la lett. c) e la lett. o) mirano ad evitare il rischio dell'" etichettamento "; le lett. b ) e g) tutelano la personalita' del minore dalle tensioni che puo' sviluppare la presenza dell'accusa privata e dalle reazioni emotive che possono cagionare determinati atti processuali. Analogamente dispongono le lett. h ) ed i), che limitano rigorosamente le misure di coercizione personale (mai obbligatorie) ai casi piu' gravi e per tempi ridotti; ed infine la lett. l), che risponde allo scopo di favorire l'uscita precoce del minore dal processo, attraverso una sua definizione semplificata ed anticipata. D'altro lato, le valenze sostanziali positive che i criteri elencati nell'art. 3 vogliono sottolineare non sono meno numerose. Va ricordata al riguardo la lett. d), il cui scopo e' di far comprendere al minore il senso vero della risposta istituzionale alla sua condotta, con implicito riconoscimento della valenza responsabilizzatrice del processo quando l'imputato minorenne non lo subisca come un incomprensibile rito. La lett. e), con innovazione coraggiosa, riconoscendo non soltanto che la personalita' del minore e' in continua evoluzione, ma che tale evoluzione puo' ricevere accelerazioni in positivo nel corso del giudizio (e in certa misura per il fatto stesso del giudizio), prevede che il giudice possa sospendere il processo per mettere alla prova con adeguate prescrizioni e contestuali sostegni il minore imputato: ed estende anche a tale finalita' l'obbligo del giudice di " valutare compiutamente la personalita' del minore sotto l'aspetto psichico sociale ed ambientale ", obbligo comunque prescritto ai fini della applicazione del diritto sostanziale. Infine, con la seconda ipotesi della lett. l), la delega significativamente da' al giudice penale il potere di rimuovere in via d'urgenza gli eventuali condizionamenti negativi derivanti al minore dal cattivo esercizio della potesta' su di lui esercitata, o comunque da carenze educative cui e' necessario sopperire. Il processo minorile delineato nei principi guida e' dunque un processo nettamente caratterizzato in senso specifico; un processo considerato come un evento delicato ed importante nella vita del minore, che deve percio' essere adattato con grande attenzione alle esigenze della personalita' in eta' evolutiva, per la quale le risposte della societa' adulta non possono non avere risonanze profonde. Nel tradurre in articolato questi principi si e' ritenuto opportuno suddividere la materia in quattro parti distinte: un capo I dedicato alle disposizioni generali; un capo II sui provvedimenti in materia di liberta' personale; un capo III che tratta della fase del giudizio; ed infine un capo IV ove si disciplina il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza. Questi capi saranno ora esaminati partitamente. CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI Il capo I consta di dodici articoli. L'articolo 1 stabilisce i principi generali del processo minorile, il quale " e' disciplinato dalle disposizioni del presente decreto e, per quanto in esse non previsto, dalle norme del codice di procedura penale " (comma 1). La norma non e' di mero rinvio: essa vuole affermare - come detto diffusamente in precedenza - che il processo minorile ha regole e valenze sue proprie, ma e' e rimane un processo con tutte le garanzie ordinarie. Queste peraltro vanno applicate senza danneggiare la personalita' in formazione del ragazzo. Pertanto il comma 2 dell'articolo attribuisce al giudice ed al pubblico ministero il potere-dovere di vigilare affinche' l'applicazione concreta delle norme processuali avvenga " in modo adeguato alla personalita' e alle esigenze educative del minore ", evitando che l'impatto con la giustizia si traduca per lui in sollecitazioni pedagogicamente negative o in non necessarie sofferenze. Viceversa il comma 3, nel quale trova altresi' attuazione la lett. d) della delega, ha lo scopo di recuperare le valenze positive e responsabilizzatrici del processo, rendendo il minore consapevole della vicenda processuale che lo riguarda, e quindi facendogli comprendere appieno il significato della risposta della societa' al suo comportamento. Una serie di norme (artt. 2, 3, 5, 9) e' diretta ad attuare il principio della specializzazione: che non puo' essere di tipo meramente formale od ordinamentale, ne' riguardare solamente l'organo giudiziario, ma deve tradursi in una effettiva e specifica preparazione e professionalita' di tutti i soggetti istituzionali che operano nel processo minorile. L'importanza della specializzazione e' riconosciuta dal punto n. 9 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa, laddove si afferma che occorre " incoraggiare la formulazione di norme affinche' tutti coloro che intervengono nelle diverse fasi del procedimento (polizia, avvocati e procuratori, giudici, operatori sociali) abbiano una formazione specializzata nel campo del diritto minorile e della delinquenza minorile ". Sollecitazione analoga proviene dagli artt. 12 e 22 delle " Regole di Pechino ", le quali inoltre sottolineano nell'art. 10 che il contatto iniziale fra il minore e gli organi della giustizia penale - ivi compresa la polizia giudiziaria - e' un momento assai delicato, capace di " influenzare profondamente l'atteggiamento del minore nei confronti della societa' ". Si e' formulato pertanto l'articolo 9 (anche con riferimento alla direttiva 105 della delega), allo scopo di adattare al processo minorile le disposizioni generali in materia di effettivita' della difesa di ufficio; e si sono previste (articolo 5) sezioni di polizia giudiziaria specializzata, provviste di personale " dotato di specifiche attitudini e preparazione ", da costituire presso ogni procura della Repubblica per i minorenni. Nell'articolo 2 si afferma, in attuazione delle lett. a ) ed n) della delega, la competenza generale dell'organo specializzato; e nell'articolo 3 si individuano gli organi giudiziari, ivi compreso il pubblico ministero. Non attiene al diritto processuale disciplinare la materia della formazione specializzata dei magistrati togati ed onorari. E' pero' di tutta evidenza che l'esistenza dell'organo specializzato e la previsione di un'apposita disciplina processuale per i minorenni postulano anche processi formativi specifici, accertamento di specifiche attitudini e preparazione del giudice, sia esso togato che onorario. La specializzazione dei servizi, altro punto di grande importanza richiamato sia dal Consiglio d'Europa che dalle Regole di Pechino, e' assicurata attraverso il meccanismo previsto dal comma 2 dell'art. 7, del quale si dira' tra breve. L'articolo 4 e' stato formulato per assicurare i necessari collegamenti fra l'organo giudiziario minorile che procede e quello del luogo di abituale dimora del minore, spesso non coincidenti. In tal modo, anche fuori delle ipotesi di provvedimento civile preso in via d'urgenza dal giudice dell'udienza preliminare (cfr. lett. l della delega e art. 27 comma 3), il tribunale per i minorenni del luogo ove il minore abitualmente dimora potra' prendere provvedimenti civili a protezione del minore nei casi in cui la situazione familiare dovesse renderlo necessario. L'articolo 7, nel suo primo comma, con riferimento al " dovere del giudice di valutare compiutamente la personalita' del minore sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale " specifica le finalita', le condizioni e le modalita' dei relativi accertamenti, dando cosi' attuazione non soltanto al primo criterio indicato nella lettera e) della delega, ma anche all'art. 16 delle " Regole di Pechino ", il quale stabilisce che " in tutti i casi, fatta eccezione per i reati minori,... i precedenti del minore, le sue condizioni di vita... formano oggetto di un'inchiesta approfondita in maniera da facilitare il giudizio sul caso da parte dell'autorita' competente ". Con riferimento quindi ai delitti dolosi il comma 2 dell'articolo individua nei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia il naturale referente del giudice minorile, assicurando peraltro il loro collegamento con i servizi dell'ente locale. Si e' voluto cosi' mettere in evidenza l'importanza del ruolo istituzionale che tali servizi rivestono, in forza della loro specializzazione nel settore. Oltre a questa considerazione di carattere tecnico, e' sembrato di estremo rilievo che sia un servizio dello Stato a garantire, sia pure in collaborazione con gli altri servizi territoriali, le prestazioni richieste dal giudice penale ai fini della valutazione della personalita' del minore. Il comma 2 dell'articolo rende obbligatori gli interventi dei citati servizi nei casi di delitto doloso; in tutti gli altri casi, di minore gravita', e' sembrata sufficiente la segnalazione ai servizi, lasciando ad essi ampia discrezionalita' nel formulare o meno proposte al giudice per l'adozione di provvedimenti civili a protezione del minore. L'articolo 8 e' attuativo della lett. b) della delega, che riproduce pressoche' testualmente. Con riferimento peraltro alla situazione della vittima e all'utilita' educativa che il minore prenda coscienza della lesione arrecata all'altrui diritto, si tenuto presente il punto n. 3 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa, che sottolinea l'importanza delle procedure cosiddette " di mediazione ", o di ravvedimento operoso. A tal fine, come si dira' piu' oltre, si e' prevista nell'art. 24 comma 3 (che riguarda la sospensione del processo con messa alla prova) la possibilita' che il giudice impartisca al minore prescrizioni aventi ad oggetto attivita' di carattere riparatorio, e che la persona offesa possa essere convocata dal giudice, laddove si ritenga opportuno un suo incontro col minore imputato per gli scopi predetti oltre che, com'e' ovvio, per necessita' probatorie (cfr. art. 26 comma 3; art. 28 comma 2). L'articolo 9, relativo alla difesa d'ufficio e alla esigenza di una sua effettivita' specifica nel processo minorile, e' gia' stato menzionato piu' sopra. Qui occorre invece dire dell'articolo 10, il quale attua il punto n. 2, terza ipotesi, della Raccomandazione del Consiglio d'Europa e l'art. 15 n. 2 delle " Regole di Pechino ", che sottolineano l'importanza di assicurare al minore non soltanto l'assistenza tecnica del difensore, ma anche quella psicologica ed affettiva delle persone a lui care: salva ovviamente la valutazione del giudice in ordine alla idoneita' della persona nel caso specifico. Questa esigenza, a ben vedere, si pone non solamente per il minore imputato, ma anche per il minore vittima, specie con riferimento a determinate ipotesi criminose (es. violenze sessuali) fortemente traumatizzanti. Tuttavia non si e' ritenuto di poter disciplinare questi casi (peraltro poco frequenti nei procedimenti contro minorenni) in quanto il problema della tutela del minore vittima nel processo e' un problema di carattere generale, che deve trovare disciplina nelle norme ordinarie. Gli articoli 11 e 12, attuativi di criteri di cui alle lett. c ) ed o) della delega, hanno lo scopo di tutelare la personalita' del minore dai rischi di " etichettamento " conseguenti al processo. La disposizione del comma 2 dell'art. 11 va correlata al comma 1 dell'art. 28, dove e' disciplinata l'esclusione della pubblicita' dell'udienza. CAPO II PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI LIBERTA' PERSONALE Il capo II consta di nove articoli (artt. 13-21), ed e' interamente dedicato ai provvedimenti in materia di liberta' personale. L'argomento, nel processo minorile, acquista una complessita' e una delicatezza ancor maggiori di quelle che gia' gli sono proprie, dovendosi tener conto, insieme con le esigenze di cautela processuale, della fragilita' caratteriale propria del minore e della necessita' di non cagionare dannose interruzioni dei processi di evoluzione positiva della personalita' eventualmente in atto. Rigorosa poi deve essere la distinzione - e la sua percezione da parte del minore - fra misure cautelari processuali e risposta sanzionatoria; mentre nell'uno e nell'altro caso non puo' e non deve mancare, quando necessario, l'intervento di sostegno piu' appropriato. Il criterio guida che pone la legge delega (lett. h) e' quello della assoluta residualita' del ricorso alla carcerazione per fini processuali, con la conseguente previsione di misure cautelari personali diverse dalla custodia in carcere. Peraltro, e prima ancora delle misure cautelari processuali, assume una delicatezza tutta particolare nel campo minorile la fase dell'arresto in flagranza ad opera della polizia. Si tratta infatti di un'ipotesi assai frequente di primo contatto fra il minore ed il sistema della giustizia penale, in considerazione della natura dei reati piu' frequentemente commessi, e si tratta di un'ipotesi dove, senza il preventivo intervento del giudice minorile, il ragazzo rischia di subire un'esperienza carceraria che e' breve ma non per questo meno dannosa. Si e' quindi ritenuto di dover dedicare un'attenzione particolare a questa materia, disciplinandola non solo in attuazione dei criteri di cui alla lett. h), ma anche in funzione dei principi generali contenuti nella prima parte dell'articolo 3 della delega. Si e' previsto pertanto (articolo 13) che l'arresto in flagranza - sempre facoltativo - possa essere eseguito solo per i delitti per i quali l'art. 378 del codice prevede l'arresto obbligatorio, e si e' stabilito che nel decidere se avvalersi o meno delle facolta' di procedere all'arresto la polizia debba tener conto delle circostanze e della gravita' del fatto nonche' delle caratteristiche personali del soggetto. Relativamente al fermo (articolo 14) si e' ritenuto di dover adottare una disciplina assai piu' restrittiva di quella prevista dall'art. 382 del codice, limitando l'ipotesi a delitti piu' gravi e considerando che il pericolo di fuga si configura in modo assai piu' ridotto e semplificato per i soggetti in eta' minore. L'articolo 15 disciplina il comportamento della polizia giudiziaria. Essa deve dare immediata notizia dell'avvenuto arresto o fermo al pubblico ministero minorile e tradurre il minore entro le ventiquattro ore dinanzi a lui ovvero nel luogo dallo stesso indicato, evitando ogni forma di pubblicita' e di coercizione fisica non assolutamente necessaria. La norma consente quindi all'autorita' giudiziaria minorile di evitare al minore arrestato l'ingresso in carcere, e prevede un pronto coinvolgimento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia sia per fornire subito al magistrato elementi di conoscenza della personalita' del minore, sia per proporre alternative alla custodia in carcere, sia per attivare se necessario i servizi dell'ente locale per interventi di sostegno. Si prevede altresi' che i genitori o gli affidatari siano prontamente informati. Il sistema cosi' delineato varra' ad evitare l'ingresso dei minorenni, sia pure per poche ore, nelle carceri per adulti, laddove l'arresto avvenga in un luogo in cui non esiste un istituto apposito per minorenni. Gli artt. da 16 a 21 disciplinano le misure cautelari per i minorenni. E' parso a tal proposito che fosse opportuno delineare una disciplina specifica, la quale, pur nell'ambito delle disposizioni generali del codice (espressamente richiamate dall'articolo 16 comma 1) tenesse conto delle peculiarita' dell'eta' minore. Si sono pertanto previste misure cautelari apposite, cosi' come auspicato sin dalla Relazione al Progetto preliminare del 1978, e come prescritto dalla direttiva 59 della legge-delega. La custodia cautelare (art. 20; art. 16 comma 5), in ossequio all'ultima ipotesi della lett. h) nonche' all'art. 15 delle " Regole di Pechino " ed ai nn. 6 e 7 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa, e' considerata come ultima ratio, e cioe' misura applicabile solo per delitti di maggiore gravita' (individuati in quelli per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni) e sempre che sussistano gravi ed inderogabili esigenze probatorie ovvero gravi esigenze di tutela della collettivita'. Il punto n. 7 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa suggerisce che la misura della custodia cautelare in carcere " sia ordinata in linea di massima dopo una preventiva consultazione con un servizio, in ordine a possibili misure alternative ": si e' cercato di dare applicazione almeno parziale a questa raccomandazione stabilendo sin nell'art. 15 comma 1 il pronto coinvolgimento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia nel caso di arresto in flagranza, e si e' comunque disposto, nell'art. 16 comma 3, che quando viene disposta una misura cautelare il giudice deve sempre disporre l'affido del minore ai servizi predetti, " che svolgono le attivita' di sostegno e controllo disposte dal giudice ". Sono state in tutto previste quattro diverse misure cautelari personali: le prescrizioni con affidamento al servizio (articolo 17), la permanenza in casa (articolo 18), il collocamento in comunita' (articolo 19), e la custodia cautelare (articolo 20). Nell'applicazione delle misure il giudice, oltre a tenere conto dei criteri stabiliti nell'art. 275 del codice, deve considerare i processi evolutivi in atto nella personalita' del minore e scegliere la misura che non interrompe quelli positivi. Si e' voluto poi evitare il passaggio automatico alla misura piu' grave in caso di inosservanza di quella gia' disposta, e si e' introdotto a tal fine il contemperamento dell'art. 20 comma 3. L'arco di misure in tal modo offerte al giudice minorile, pur consentendo di coprire sostanzialmente tutte le ipotesi previste dal codice ordinario, si presenta con caratteristiche di maggior flessibilita' e con possibilita' di maggiore personalizzazione. Si e' voluto evitare il rischio che la misura dell'art. 17 (la quale a ben vedere puo' essere sia interdittiva che " coercitiva diversa dalla custodia cautelare ") potesse protrarsi per un tempo eccessivo, favorendo nei fatti dilazioni della decisione, e si e' percio' previsto un apposito termine breve di tre mesi, rinnovabile per non piu' di una volta. Si e' voluto anche evitare che la misura della permanenza in casa e del collocamento in comunita', se soggette ai termini dell'art. 308 comma 1 del codice, acquisissero una durata del tutto sproporzionata alle necessita' del processo minorile: e si e' quindi previsto (art. 18 comma 4 e art. 19 comma 3) che la loro durata massima sia pari a quella della custodia cautelare. Infine, per il caso della scarcerazione per decorrenza dei termini (articolo 21), si e' previsto che il giudice affidi il minore agli appositi servizi dell'amministrazione della giustizia per le piu' opportune attivita' di sostegno e controllo, e possa altresi' disporre le altre misure cautelari minorili di cui ricorrano i presupposti. CAPO III DEFINIZIONE ANTICIPATA DEL PROCESSO E GIUDIZIO IN DIBATTIMENTO Il capo III (artt. 22-29) tratta della definizione anticipata del processo e del giudizio in dibattimento. Pur essendo evidente l'importanza di tutti gli istituti processuali previsti dal nuovo codice per favorire una rapida uscita dal circuito penale, si e' ritenuto incompatibile col processo minorile il procedimento per decreto come pure l'applicazione della pena su richiesta (c.d. patteggiamento). Quest'ultimo istituto presuppone infatti nell'imputato una capacita' di valutazione e di decisione che richiede piena maturita' e consapevolezza di scelta, mentre il primo non consente al giudice quella adeguata valutazione della personalita' del minore prescritta dalla lett. e) della delega e disciplinata dall'art. 7, di cui si e' detto in precedenza. In applicazione di tali principi si e' pertanto formulato l'articolo 22. D'altro lato, l'esclusione del procedimento per decreto - previsto nel codice ordinario per i reati piu' lievi - e' in parte compensata dalla disposizione dell'articolo 23. Questa norma costituisce applicazione del criterio di adeguamento del processo minorile alle esigenze educative del minore, sancito dalla prima parte dell'art. 3 della legge-delega, con riguardo ai casi in cui il fatto appare privo di significato criminoso e di concreta rilevanza sociale, per la tenuita' delle conseguenze e l'occasionalita' del comportamento, cosi' da non richiedere una risposta sociale particolare: mentre lo stesso svolgimento del processo risulta, in concreto, non rispondente alle esigenze educative del minore. In una siffatta situazione si e' ritenuto di rendere possibile, una volta promossa l'azione penale, la pronta conclusione del processo senza contestazione del fatto e prima dell'udienza preliminare, su richiesta del pubblico ministero. Il meccanismo processuale prescelto non incide sulla fattispecie sostanziale del reato (cioe' sui suoi elementi costitutivi o sulle condizioni di punibilita'), e quindi non esclude il promovimento dell'azione penale, ma si limita a consentire l'anticipata conclusione del processo con una pronuncia fondata sulla valutazione comparativa degli effetti positivi e negativi dello svolgimento del normale iter processuale, in considerazione delle concrete caratteristiche del fatto e della personalita' del minore imputato. L'articolo 24, attuativo della lett. e) della delega, sancisce e disciplina una prassi gia' adottata dalla magistratura minorile (in quanto appaia positivamente influente sulla condotta del minore), e prevede, quale logico sbocco della sospensione in caso di esito positivo della prova, l'emanazione di una pronuncia pienamente liberatoria. Si e' determinato nel massimo di un anno il periodo di sospensione, essendosi ritenuto necessario che la posizione processuale del minore non resti a lungo pendente. La norma (comma 2) prevede il coinvolgimento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per le opportune attivita' di osservazione, trattamento e sostegno, e rende altresi' possibile (comma 3) al giudice di prescrivere al minore attivita' riparatorie in favore della vittima, introducendo cosi' il concetto di " mediazione ", suggerito dalla piu' volte citata Raccomandazione del Consiglio d'Europa. La sospensione con messa alla prova puo' essere disposta sia dal giudice della udienza preliminare che nel dibattimento: ma al minore e' sempre lasciata facolta' di chiedere il giudizio senza sospensioni (comma 6). L'articolo 25, in materia di sanzioni sostitutive, attua le disposizioni della lett. f) della delega, mentre gli articoli 26 e 27 disciplinano l'udienza preliminare. All'udienza preliminare - che si svolge in presenza dell'imputato - e' assicurata la presenza dei servizi minorili, che dovranno fornire al giudice gli elementi di cui all'art. 7; puo' essere convocata la persona offesa per le finalita' conciliative e riparatorie di cui all'art. 26 comma 3 e 24 comma 3. Il giudice deve sentire personalmente il minore; la presenza dei genitori e dei servizi specializzati gli consente fin da questa fase una conoscenza diretta del giovane imputato ed una compiuta valutazione della sua personalita', dei suoi problemi, delle sue risorse. L'ultimo comma dell'art. 26 disciplina i casi in cui il minore puo' essere allontanato durante il compimento di determinati atti processuali (lett. g) della delega). L'articolo 27 disciplina i provvedimenti del giudice dell'udienza preliminare, in conformita' di criteri di cui alla lett. l) della delega, e prevede la possibilita' di provvedimenti civili provvisori ed urgenti a protezione del minore. L'articolo 28 tratta dell'udienza dibattimentale, che di norma si svolge a porte chiuse. Tuttavia si e' previsto che l'imputato ultrasedicenne possa chiedere la pubblica udienza: in tal caso la decisione spetta al tribunale, che deve valutare la fondatezza delle ragioni addotte e la loro corrispondenza a finalita' di tutela della personalita' dell'imputato. Il comma 2 richiama le disposizioni dell'art. 26 per quanto attiene allo svolgimento dell'udienza, e dispone inoltre, in attuazione della lett. m) della delega, che l'esame dell'imputato sia effettuato dal presidente del collegio giudicante. Infine, l'articolo 29 disciplina la impugnazione delle sentenze pronunciate nel dibattimento. CAPO IV PROCEDIMENTO PER L'APPLICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA Il capo IV e' dedicato al procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza, che viene disciplinato distintamente a seconda che il soggetto sia minore (articolo 30) o maggiore (articolo 31) degli anni quattordici. Per il primo caso si e' stabilito che la misura puo' essere applicata solo nei confronti di soggetti che abbiano commesso reati per i quali la legge stabilisce la pena di reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni, nonche' per i delitti previsti dagli artt. 519 comma 1, 521 c.p., dall'art. 72 comma 1 della l. 22 dicembre 1975, n. 685 e dagli artt. 3 e 4 della l. 20 febbraio 1958, n. 75. Deve essere accertata l'effettiva pericolosita' del soggetto e l'impossibilita' di controllo mediante i provvedimenti civili (art. 336 c.c.), ivi compresi l'affidamento ad un servizio o opportune prescrizioni. La misura puo' essere eseguita solo con " permanenza in casa " o con il " collocamento in comunita' ". Organo competente ad irrogarla e' il tribunale per i minorenni che deve procedere a tutti gli accertamenti attinenti alla pericolosita' del soggetto, nonche' all'eventuale applicazione provvisoria della misura stessa. Quando ricorrano " eccezionali esigenze di tutela della collettivita' o dell'integrita' psicofisica del minorenne " puo' essere provvisoriamente applicata dal giudice per le indagini preliminari, con provvedimento di collocazione provvisorio in comunita', immediatamente esecutivo e soggetto a decadenza se nel termine di trenta giorni non ha inizio il giudizio dinanzi al tribunale. Nel corso dell'esecuzione il magistrato di sorveglianza dovra' mantenere continui contatti con il minore, i genitori o il tutore, l'affidatario, i servizi sociali, anche al fine di verificare la persistenza della pericolosita' sociale, in modo da procedere il piu' celermente possibile alla revoca della misura di sicurezza, con la contestuale proposta, se del caso, di emissione di provvedimenti civili da parte del tribunale per i minorenni. Nei confronti dei minori ultraquattordicenni la misura di sicurezza puo' essere applicata dal tribunale per i minorenni, a seguito di sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilita' ai sensi dell'art. 98 c.p., sempre per i reati precedentemente indicati ed accertata l'effettiva pericolosita' del soggetto. Le modalita' di esecuzione sono le stesse di quelle previste per i minori infraquattordicenni, con la previsione espressa che, se lo impongono specifiche e gravi ragioni attinenti alla particolare difficolta' di socializzazione del minore, ovvero sia rimasta accertata l'inutilita' della misura provvisoriamente gia' disposta anche per avere il minore ripetutamente violato le disposizioni impartite, puo' ordinarsi che la misura sia eseguita presso uno stabilimento penitenziario minorile. Tale modalita' di esecuzione puo' essere sempre modificata dal magistrato di sorveglianza. PREMESSA Il testo delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni viene oggi presentato al Consiglio dei Ministri, unitamente al testo del nuovo codice di procedura penale ed a quello delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario, nel pieno rispetto dei tempi, pur brevissimi, previsti dal comma 4 dell'articolo 8 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81. Il processo penale a carico di imputati minorenni, alla cui disciplina il r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 aveva dedicato modesto spazio, e' stato oggetto in questi ultimi anni di un'attenzione crescente da parte degli operatori giuridici e degli studiosi dei fenomeni sociali. Cio' e' avvenuto in corrispondenza con l'affermarsi di una nuova considerazione della posizione del minore nei confronti dell'ordinamento, e sotto la spinta del nuovo approccio della legislazione piu' recente alle situazioni giuridiche che coinvolgono i soggetti in eta' evolutiva. Da oggetto di protezione e tutela, il minorenne e' sempre piu' considerato come titolare di diritti soggettivi perfetti. Da un lato e' cresciuta la consapevolezza dell'esigenza di far emergere a livello dell'ordinamento giuridico i suoi bisogni primari; dall'altro e' andato maturando il convincimento che ogni forma di intervento nei suoi confronti mai deve dare luogo a un minus di garanzie rispetto a quelle riconosciute ai maggiorenni, neppure quando l'intervento si presenta come diretto a proteggerlo da abusi o da rischi di devianza. La legge 16 febbraio 1987, n. 81, contenente delega legislativa al governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, ha recepito queste tendenze e, a differenza della precedente legge delega del 3 aprile 1974, n. 108, ha dedicato ampio spazio al processo penale a carico di imputati minorenni. Ad esso infatti ha riservato un'apposita ed elaborata norma - l'articolo 3 - ove sono delineati i principi guida che devono reggere tale giudizio e dove, accanto al diritto del minore ad avere un proprio giudice, viene sancito il diritto del minore ad avere un proprio processo. Sul piano ordinamentale e sostanziale, l'esigenza di un organo specializzato e di una risposta diversificata all'infrazione penale commessa dal minorenne e' da tempo patrimonio acquisito del nostro ordinamento. Ma limitata sino ad ora, come si e' detto, era la specificita' delle norme processuali: vuoi per il maggiore spazio dato a suo tempo ai cosiddetti interventi rieducativi (competenza amministrativa del tribunale per i minorenni), vuoi per una certa conseguente residualita' del processo penale, vuoi infine per quella scarsa percezione del minorenne come soggetto di diritti propria del contesto socio-culturale in cui nacque il sistema della giustizia minorile in Italia. La legge 16 febbraio 1987, n. 81 colma questa lacuna, e, ricollegandosi alle odierne tendenze del diritto minorile, stabilisce il principio che il processo a carico di imputati minorenni deve svolgersi "secondo i principi generali del nuovo processo penale", ma "con le modificazioni e le integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturita' e dalle esigenze della sua educazione". Le "modificazioni" e le "integrazioni" della disciplina processuale ordinaria sono dalla delega parzialmente esplicitate con la formulazione, ovviamente sintetica e aperta, di una serie di "criteri", elencati dalla lettera a) alla lettera p) dell'art. 3. Si tratta di criteri che valorizzano in maniera assai marcata alcune delle principali linee di tendenza dell'odierno diritto minorile, e che in alcuni punti, ad esempio nella lettera a), hanno gia' trovato attuazione nell'ordinamento vigente. Ma l'elencazione non puo' ritenersi esaustiva, come del resto lascia chiaramente intendere l'ultimo inciso della prima parte dell'articolo in esame: sicche' i "criteri" cui si e' fatto cenno costituiscono le principali ma non le sole applicazioni del principio generale stabilito dalla prima parte dell'articolo, e sono comunque bisognevoli di ulteriore specificazione. Per formulare le singole norme di attuazione della delega e' quindi in primo luogo necessario individuare quali principi guida siano sottesi ai criteri predetti, quali altre applicazioni nel processo tali principi debbano avere, quali altri principi infine discendano dalla formulazione della prima parte della norma delegante. Nel far cio' (anche per la sollecitazione indirettamente derivante dal primo inciso dell'articolo 2 comma 1 della legge-delega) e' inoltre opportuno prendere in considerazione due recentissimi documenti internazionali pertinenti al tema: le Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, o "Regole di Pechino", approvate dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 1985, e l'ancor piu' vicina Raccomandazione 87/20 del Consiglio d'Europa circa "Le reazioni sociali alla delinquenza minorile", approvata dal Comitato dei Ministri nella seduta del 17 settembre 1987. Queste solenni enunciazioni dei due alti consessi internazionali ribadiscono il diritto del minorenne a tutte le garanzie processuali e ne sollecitano un rinforzo: ma anche pongono in guardia dai rischi e dai pregiudizi che possono derivare al minorenne dal contatto con l'apparato della giustizia e dall'ingresso nel circuito penale; e sollecitano misure che riducano tali rischi, che favoriscano la chiusura anticipata del processo nei casi piu' lievi, che consentano una "uscita dal penale" attraverso interventi precoci di sostegno e di messa alla prova, che assicurino la specializzazione degli organi e degli operatori della giustizia minorile a tutti i livelli. Sotteso ai criteri elencati nell'art. 3 della legge-delega, e confermato dalle dichiarazioni internazionali teste' richiamate, sta dunque il principio fondamentale secondo cui il minorenne accusato di violazione della legge penale ha pieno diritto ad un processo ove trovino posto tutte le garanzie ordinarie in favore dell'imputato, ma non solo quelle: poiche' dal fatto stesso di essere sottoposto ad un processo penale, soprattutto il minorenne puo' ricevere sofferenza e talora pregiudizio, e comunque riceve non evitabili sollecitazioni e stimolazioni emotive e psicologiche che incidono (negativamente o positivamente) sullo sviluppo della sua personalita', sulla sua percezione della societa' organizzata, sul suo rapporto con le figure adulte; in definitiva, sul piano della sua educazione. Alla premessa del "diritto del minore al processo" consegue percio' l'esigenza di eliminare o ridurre al minimo nel processo minorile ogni stimolazione inutilmente negativa, e viceversa di cogliere e valorizzare le possibili stimolazioni positive insite in un corretto confronto con la societa' civile e con le sue regole: cosi' che le valenze sostanziali del processo possano essere canalizzate ed utilizzate a vantaggio del minore, e non a suo danno. Gran parte dei criteri elencati nell'art. 3 della legge-delega, a ben vedere, tendono a limitare i possibili effetti dannosi del processo: in primo luogo stabilendo (lettera a) che il minore deve essere sempre giudicato dal suo giudice naturale specializzato, anche in deroga ai principi sulla connessione fra i procedimenti; in secondo luogo, derogando ad una delle piu' significative innovazioni della delega, e cioe' all'esame diretto dell'imputato da parte del pubblico ministero e dei difensori, la lettera c) e la lettera o) mirano ad evitare il rischio dell'"etichettamento"; le lettere b) e g) tutelano la personalita' del minore dalle tensioni che puo' sviluppare la presenza dell'accusa privata e dalle reazioni emotive che possono cagionare determinati atti processuali. Analogamente dispongono le lettere h) ed i), che limitano rigorosamente le misure di coercizione personale (mai obbligatorie) ai casi piu' gravi e per tempi ridotti; ed infine la lettera l), che risponde allo scopo di favorire l'uscita precoce del minorenne dal processo, attraverso una definizione semplificata ed anticipata di questo. D'altro lato, le valenze sostanziali positive che i criteri elencati nell'art. 3 vogliono sottolineare non sono meno numerose. Va ricordata al riguardo la lettera d), il cui scopo e' di far comprendere al minorenne il senso vero della risposta istituzionale alla sua condotta, con implicito riconoscimento della valenza responsabilizzatrice del processo quando l'imputato minorenne non lo subisca come un incomprensibile rito. La lettera e), con innovazione coraggiosa, riconoscendo non soltanto che la personalita' del minorenne e' in continua evoluzione, ma che tale evoluzione puo' ricevere accelerazioni in positivo nel corso del giudizio (e in certa misura per il fatto stesso del giudizio), prevede che il giudice possa sospendere il processo per mettere alla prova con adeguate prescrizioni e contestuali sostegni il minorenne imputato: ed estende anche a tali finalita' l'obbligo del giudice di "valutare compiutamente la personalita' del minore sotto l'aspetto psichico sociale e ambientale", obbligo comunque prescritto ai fini della applicazione del diritto sostanziale. Infine, con la seconda ipotesi della lettera l), la delega significamente da' al giudice penale il potere di rimuovere in via d'urgenza gli eventuali condizionamenti negativi derivanti al minorenne dal cattivo esercizio della potesta' su di lui esercitata, o comunque da carenze educative cui e' necessario sopperire. Il processo minorile delineato nei principi guida e' dunque un processo nettamente caratterizzato in senso specifico; un processo considerato come evento delicato ed importante nella vita del minorenne, che deve percio' essere adattato con grande attenzione alle esigenze della personalita' in eta' evolutiva, per la quale le risposte della societa' adulta non possono non avere risonanze profonde. In attuazione di tali principi, il Governo ha approvato nel gennaio 1988 il Progetto preliminare delle disposizioni del processo penale a carico di imputati minorenni, avvalendosi dei lavori di una Commissione ministeriale appositamente costituita e presieduta dalla dott.ssa Livia Pomodoro. Il Progetto preliminare, accompagnato da una analitica Relazione, e' stato inviato alla Commissione parlamentare prevista dall'articolo 8 della legge n. 81 del 1987. Sul Progetto e' stato anche chiesto ed acquisito il contributo critico delle Universita', degli Uffici giudiziari e dei Consigli forensi. Sulla base del parere espresso dalla Commissione parlamentare nel maggio 1988 e tenuto conto anche delle osservazioni tempestivamente pervenute al ministero, e' stato redatto il Progetto definitivo delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, approvato dal Governo ed inviato nel luglio 1988 alla Commissione parlamentare. Sul Progetto definitivo la Commissione parlamentare, nell'agosto 1988, ha espresso parere pienamente favorevole, formulando alcune osservazioni. Tenuto conto di tali osservazioni e a seguito di un ulteriore lavoro di coordinamento e di revisione tecnica si e' pervenuti al testo definitivo delle disposizioni sul processo minorile che di seguito si illustra. Nell'articolato si e' ritenuto opportuno suddividere la materia in quattro parti distinte: un Capo primo dedicato alle disposizioni generali; un Capo secondo sui provvedimenti in materia di liberta' personale; un terzo che tratta della fase del giudizio; ed infine un quarto ove si disciplina il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza. Questi capi saranno ora esaminati partitamente. CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI Il capo I consta di quindici articoli che riguardano i principi fondamentali della materia e disciplinano inoltre l'aspetto "statico" del processo. L'art. 1 stabilisce i principi generali del processo minorile, per il quale "si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto in esse non previsto, quelle del codice di procedura penale". La norma non e' di mero rinvio: essa vuole affermare - come detto diffusamente piu' sopra - che il processo minorile ha regole e valenze sue proprie, ma e' e rimane un processo con tutte le garanzie ordinarie. Queste peraltro vanno applicate senza danneggiare la personalita' in formazione del ragazzo, e cioe' "in modo adeguato alla personalita' e alle esigenze educative del minorenne" (comma 1, secondo periodo) evitando che l'impatto con la giustizia si traduca per lui in sollecitazioni pedagogicamente negative o in non necessarie sofferenze. Viceversa il comma 2, nel quale trova altresi' attuazione la lettera d) della delega, ha lo scopo di recuperare le valenze positive e responsabilizzatrici del processo, rendendo il minorenne consapevole della vicenda processuale che lo riguarda e quindi facendogli comprendere il significato della risposta della societa' al suo comportamento. Una serie di norme (artt. 2, 3,5, 6, 11) e' diretta ad attuare il principio della specializzazione, che non puo' essere di tipo meramente formale ne' riguardare solamente l'organo giudiziario, ma deve tradursi in una effettiva e specifica preparazione e professionalita' di tutti i soggetti istituzionali che operano nel processo minorile. La necessita' della specializzazione e' riconosciuta espressamente dal punto n. 9 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa, il quale afferma che occorre "incoraggiare la formulazione di norme affinche' tutti coloro che intervengono nelle diverse fasi del procedimento (polizia, avvocati e procuratori, giudici, operatori sociali) abbiano una formazione specializzata nel campo del diritto minorile e della delinquenza minorile". Sollecitazione ugualmente chiara e precisa proviene dagli artt. 12 e 22 delle Regole di Pechino, le quali inoltre sottolineano (art. 10) che il contatto iniziale fra il minorenne e gli organi della giustizia penale - ivi compresa la polizia giudiziaria - e' un momento di particolare delicatezza, capace di influenzare profondamente il suo atteggiamento futuro nei confronti della societa'. In attuazione delle lettere a) ed n) della delega ed in applicazione di tali principi si sono quindi formulati gli artt. 2 e 3, che individuano gli organi e la competenza, nonche' gli artt. 5, 6 ed 11, concernenti la polizia giudiziaria, i servizi e la difesa d'ufficio. Si esamineranno qui di seguito gli articoli citati, nonche' l'art. 4, che prevede un opportuno collegamento fra gli organi specializzati. L'art. 2, nell'individuare gli organi giudiziari, menziona tra gli altri il "giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per i minorenni". E' noto l'appassionato dibattito che si e' sviluppato circa la composizione di tale giudice, sostenendosi da una parte l'opportunita' che esso sia monocratico, e rilevandosi invece dall'altra la necessita' della sua composizione collegiale. In effetti, se e' vero che prontezza d'intervento e presenza continua sono tipici requisiti del giudice per le indagini preliminari e militano a favore della monocraticita', e' anche vero che esistono ragioni del massimo rilievo a favore della collegialita': prima fra tutte l'esigenza di mantenere la specialita' dell'organo, determinata dalla presenza dei componenti privati accanto ai magistrati togati. E tale esigenza e' ancor piu' viva quando si considerino i vari sbocchi dell'udienza preliminare minorile, nella quale la funzione di garanzia della legalita' si accompagna a complesse valutazioni sulla personalita' del minorenne che richiedono l'apporto della componente laica del collegio. Opportuna appare quindi la scelta effettuata nell'art. 14 delle Norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario, dove si rimettono ad un collegio composto da un magistrato togato e da due giudici onorari i provvedimenti da assumere in udienza preliminare, limitando la monocraticita' ai soli provvedimenti di competenza del giudice delle indagini preliminari. L'art. 3, oltre ad affermare la competenza generale dell'organo specializzato, stabilisce nel comma 2, con riferimento alla competenza della magistratura di sorveglianza minorile, che questa cessa al compimento del venticinquesimo anno di eta' del soggetto. La disposizione ha lo scopo di prolungare adeguatamente l'intervento del giudice minorile, evitando dannose soluzioni di continuita' in una fase in cui la personalita' del giovane e' ancora in via di evoluzione. L'art. 4 e' stato formulato per assicurare i necessari collegamenti fra l'organo giudiziario minorile che procede e quello del luogo abituale di dimora del minorenne, spesso non coincidenti. In tal modo, anche fuori delle ipotesi di provvedimento civile preso in via d'urgenza dal giudice dell'udienza preliminare, il tribunale per i minorenni del luogo ove abitualmente il minorenne dimora potra' prendere provvedimenti civili a sua protezione nei casi in cui la situazione familiare dovesse renderlo necessario. Gli artt. 5, 6 e 11 trattano ancora il tema della specializzazione con riferimento rispettivamente alla polizia giudiziaria, ai servizi ed alla difesa d'ufficio. Per quanto riguarda la polizia giudiziaria si e' tenuto conto delle convergenti raccomandazioni provenienti dalle sedi internazionali (Consiglio d'Europa; Regole di Pechino), nonche' delle sollecitazioni del Consiglio nazionale sui problemi dei minori. Si e' pertanto previsto che in ciascuna procura della Repubblica per i minorenni sia istituita una sezione specializzata di polizia giudiziaria, alla quale dovra' essere assegnato personale dotato di specifiche attitudini e preparazione. Relativamente ai servizi, la norma individua il naturale referente del giudice nei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Questa ampia dizione consente di fare riferimento non soltanto agli esistenti uffici di servizio sociale per i minorenni previsti dal r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 e disciplinati dalla legge 16 luglio 1962, n.1085, ma a tutto il complesso dei servizi ausiliari minorili dell'amministrazione, sia nella loro configurazione attuale sia in una rinnovata configurazione futura che tenga anche conto del mutato quadro processuale. Quanto alla denominazione "servizi di assistenza minorile", suggerita dalla Commissione parlamentare, l'accezione "di assistenza" avrebbe potuto ingenerare confusione fra intervento giudiziario e interventi di prevenzione ed assistenza, e sarebbe stata inoltre non in sintonia con l'articolo 23 lettera c) del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che ha trasferito all'ente locale le competenze per gli interventi in materia civile ed amministrativa. Si e' ritenuto pertanto di preferire la denominazione del Progetto preliminare, che e' apparsa piu' chiara e piu' flessibile: piu' chiara perche' consente fin d'ora e su tutto il territorio nazionale l'individuazione del referente tenuto a rispondere alle richieste del giudice; piu' flessibile perche' consente di organizzare - anche mediante le norme di attuazione - il servizio stesso ed i suoi contenuti tecnico-operativi in funzione delle nuove esigenze che l'esperienza applicativa del nuovo processo mettera' in luce. Resta ferma l'esigenza che i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia agiscano in stretto collegamento ed in continua collaborazione con i servizi degli enti locali, come peraltro gia' stabilito - con riferimento agli attuali servizi sociali per i minorenni - dall'art. 2 comma 1 della legge 16 luglio 1962, n. 1085. E d'altra parte l'esigenza di tale collegamento e' rafforzata dalla disposizione della seconda parte del comma 1 dell'art. 6, il quale stabilisce che il giudice minorile "si avvale altresi' dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali". Infine, per quanto riguarda la difesa di ufficio, facendo proprie anche qui le sollecitazioni internazionali gia' prima citate, si e' ritenuto di sottolineare il ruolo particolare del difensore nel processo minorile, doverosamente lasciando alle norme di attuazione il compito di specificare le caratteristiche di preparazione professionale necessarie. Le disposizioni sugli organi specializzati e sulle loro competenze non toccano il problema della formazione del giudice minorile, poiche' non attiene alla materia processuale disciplinare tale aspetto. E' pero' di tutta evidenza che l'istituzione dell'organo specializzato e la previsione di un'apposita disciplina processuale sono condizioni necessarie ma non sufficienti a garantire la specializzazione dell'intervento, e che esse anzi postulano una precisa regolamentazione di processi formativi appositi, comprensivi dell'accertamento di specifiche attitudini ad operare in questo particolare settore. L'art. 7 regola le notificazioni dell'informazione di garanzia e del decreto di fissazione di udienza, che debbono essere notificati a pena di nullita' anche a colui o coloro che esercitano la potesta' genitoriale sul minorenne, per il loro indispensabile coinvolgimento nel processo. L'attuale formulazione consente di riaffermare la necessaria diversificazione delle nullita' scaturenti dalle due differenti omissioni. Gli artt. 8 e 9 riguardano entrambi degli importanti accertamenti che vanno eseguiti sul minorenne: l'uno relativo all'eta', l'altro alle condizioni personali. Piu' in particolare l'art. 8 prevede l'ipotesi dell'incertezza sull'eta' minore dell'imputato, e stabilisce una presunzione di minorita' quando neppure la perizia appositamente disposta abbia fatto chiarezza sul punto. La norma e' improntata al principio del favor minoris, e varra' a risolvere situazioni di dubbio non infrequenti nella pratica. Di grande importanza e' la disposizione dell'art. 9, relativa agli accertamenti sulla personalita'. Essa impone al pubblico ministero ed al giudice di "acquisire elementi" circa "le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali ed ambientali" del minorenne, allo scopo di accertarne l'imputabilita' ed il grado di responsabilita', valutare la rilevanza sociale del fatto, disporre le adeguate misure penali, adottare gli eventuali provvedimenti civili. La norma, attuativa dell'art. 3 lettera e) primo inciso della legge-delega, si ricollega idealmente all'articolo 11 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, rinnovandone tuttavia in maniera considerevole il contenuto attraverso la specificazione delle finalita' cui gli accertamenti sono diretti. In base al combinato disposto dell'articolo 6 e dell'articolo 9 comma 2, l'autorita' giudiziaria minorile potra' scegliere se svolgere gli accertamenti tramite i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, tramite i servizi dell'ente locale ovvero acquisendo direttamente informazioni da persone vicine al ragazzo (genitori, insegnanti, ecc.) . In tal modo si lascia al pubblico ministero e al giudice piena liberta' di valutare caso per caso la via piu' adatta per lo svolgimento delle indagini previste dalla norma, nella salvaguardia delle specifiche esigenze connesse allo sviluppo educativo del singolo minorenne. L'art. 10 e' attuativo della lettera b) della delega, e stabilisce l'inammissibilita' dell'azione civile nel procedimento penale davanti al tribunale per i minorenni. Con riferimento peraltro alla situazione della vittima ed all'utilita' educativa che il minorenne prenda coscienza della lesione arrecata all'altrui diritto, si e' tenuto presente il punto n. 3 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa, che sottolinea l'importanza delle procedure cosiddette "di mediazione", o di ravvedimento operoso. A tal fine, come si dira' piu' oltre, si e' prevista nell'art. 28 comma 2 (relativo alla sospensione del processo con messa alla prova) la possibilita' che il giudice impartisca prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato ed a promuovere la conciliazione delle parti. L'art. 12 e' attuativo del punto n. 2, terza ipotesi, della Raccomandazione del Consiglio d'Europa e dell'articolo 15 comma 2 delle Regole di Pechino, che sottolineano entrambi l'importanza di assicurare al minore non soltanto l'assistenza tecnica del difensore, ma anche quella psicologica ed affettiva delle persone a lui care: salva ovviamente la valutazione del giudice in ordine all'idoneita' della persona nel caso specifico. Questa esigenza, a ben vedere, si pone non solamente per il minorenne imputato, ma anche per il minorenne vittima, specie con riferimento a determinate ipotesi criminose (ad esempio, violenze personali) particolarmente traumatizzanti. Non si e' ritenuto tuttavia di poter disciplinare tali casi in questa sede, in quanto il problema della tutela del minore vittima nel processo ha carattere generale, e deve trovare disciplina nelle norme processuali ordinarie. Chiudono il capo I gli artt. 13, 14 e 15, che, in attuazione delle lettere c) ed o) della delega, hanno lo scopo di tutelare il minorenne dai rischi di etichettamento conseguenti al processo ed all'eventuale condanna. Pertanto, l'art. 11 vieta la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione del minorenne. Il comma 2 dell'articolo in esame coordina la norma con la disposizione dell'art. 33 comma 2, in base alla quale - come si dira' piu' oltre - il minore ultrasedicenne puo' chiedere che l'udienza sia pubblica. Gli artt. 14 e 15 riguardano la speciale disciplina del casellario per i minorenni, previsto dalla lettera o) della delega, secondo lo spirito del punto n. 10 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa. CAPO II PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI LIBERTA' PERSONALE Il capo II consta di nove articoli, interamente dedicati ai provvedimenti in materia di liberta' personale. L'argomento, nel processo minorile, acquista una complessita' e una delicatezza ancor maggiori di quelle che gia' gli sono proprie, dovendosi tener conto, insieme con le esigenze di cautela processuale, della fragilita' caratteriale propria del minorenne e della necessita' di non causare dannose interruzioni dei processi di evoluzione della personalita' eventualmente in atto. Rigorosa poi deve essere la distinzione - e la sua percezione da parte del minore - fra misure cautelari processuali e risposte sanzionatorie, mentre nell'uno e nell'altro caso non deve mancare, quando necessario, l'intervento di sostegno piu' appropriato. Il criterio guida che pone la delega (lettera h) e' quello della assoluta residualita' del ricorso alla carcerazione per fini processuali, con la conseguente previsione di misure personali cautelari diverse dalla custodia in carcere. Peraltro, e prima ancora delle misure cautelari processuali, assume una delicatezza tutta particolare nel campo minorile la fase dell'arresto in flagranza ad opera della polizia. Si tratta infatti di un'ipotesi assai frequente di primo contatto fra il ragazzo ed il sistema della giustizia penale, in considerazione del tipo di reati piu' frequentemente commessi dai minorenni; e si tratta di un'ipotesi dove, senza il tempestivo intervento del magistrato minorile, il ragazzo rischia di subire un'esperienza carceraria che e' breve ma non per questo meno dannosa. Si e' quindi ritenuto di dover dedicare un'attenzione particolare a questa materia, a cio' sollecitati non solamente dalla prima parte dell'articolo 3 della delega, ma anche dalle precise raccomandazioni provenienti dalle sedi internazionali piu' volte citate. Pertanto, in attuazione della lettera h) primo inciso, l'art. 16 comma 1 dispone che "gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere all'arresto del minorenne colto in flagranza di uno dei delitti per i quali a norma dell'art. 23 puo' essere disposta la misura della custodia cautelare": e cio' per i delitti per i quali e' prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni. E' stato cosi' recepito il suggerimento della Commissione parlamentare di consentire l'arresto in flagranza (ed il fermo: cfr. art. 17) soltanto per i reati per i quali e' prevista la misura della custodia cautelare. Limitato in tal modo ai soli casi strettamente necessari l'arresto in flagranza dei minorenni, il comma 2 dell'articolo in esame prevede una forma attenuata di intervento per ipotesi meno gravi ma tuttavia di un certo allarme sociale: e cioe' per reati per i quali e' prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Trattasi della facolta' di accompagnare coattivamente il minorenne nella sua abitazione, riconsegnandolo alla sfera di controllo dei genitori, in attesa che l'autorita' giudiziaria minorile, informata senza ritardo, possa se del caso disporre una delle misure cautelari non detentive previste dagli articoli che saranno di seguito commentati. Ove l'abitazione familiare manchi o non sia indicata, il minore potra' essere accompagnato in comunita', fermo restando l'obbligo di informarne senza ritardo l'autorita' giudiziaria minorile. Per quanto concerne il fermo, disciplinato nell'art. 17, esso viene consentito come si e' detto nei soli casi in cui e' ammessa la custodia cautelare: e questo limite trova la sua ragion d'essere nella constatazione che il pericolo di fuga si configura in modo assai piu' ridotto e semplificato per i soggetti in eta' minore. L'art. 18 disciplina i doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo. La norma ha lo scopo di far intervenire immediatamente il magistrato minorile, evitando la permanenza del ragazzo in camera di sicurezza o in ambienti carcerari inidonei alla sua eta'. La polizia giudiziaria deve infatti dare "immediata notizia col mezzo piu' rapido" dell'avvenuto arresto o fermo al pubblico ministero minorile, e condurre il minorenne davanti a lui, ovvero nel luogo dallo stesso indicato (comunita'; abitazione familiare) . La norma consente quindi all'autorita' giudiziaria di evitare al minorenne arrestato l'ingresso in carcere, e prevede un pronto coinvolgimento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia sia per fornire subito al magistrato elementi di conoscenza della situazione del minore, sia per proporre alternative alla custodia in carcere, sia per attivare se necessario i servizi dell'ente locale per interventi di sostegno. Gli artt. da 19 a 24 disciplinano le misure cautelari per i minorenni. E' parso a tal proposito che fosse opportuno delineare una disciplina specifica, la quale, pur nell'ambito delle disposizioni generali del codice (espressamente richiamate dall'art. 19 comma 2), tenesse conto delle peculiarita' dell'eta' minore e dell'esigenza prioritaria di non interrompere i processi educativi in atto. Si sono pertanto previste misure cautelari apposite, cosi' come auspicato sin dalla Relazione al Progetto preliminare del 1978. La custodia cautelare, in attuazione della lettera h) della delega ed in osservanza dell'articolo 15 delle Regole di Pechino e dei numeri 6 e 7 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa, e' considerata come ultima ratio. Essa infatti e' applicabile solo per delitti di maggiore gravita', individuati in quelli per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni, e sempre che sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero gravi esigenze di tutela della collettivita'. Il punto n. 7 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa suggerisce inoltre che la misura della custodia cautelare "sia ordinata in linea di massima dopo una preventiva consultazione con un servizio in ordine a possibili misure alternative". Si e' quindi cercato di recepire lo spirito di tale raccomandazione stabilendo come gia' detto (art. 18 comma 1) il pronto coinvolgimento dei servizi nei casi di arresto in flagranza, e si e' comunque disposto (art. 19 comma 3) che quando viene applicata una misura cautelare il giudice affidi il minore ai servizi per le necessarie attivita' di sostegno e controllo. Le misure cautelari diverse dalla custodia in carcere sono tre: le prescrizioni, la permanenza in casa, il collocamento in comunita' (artt. 20, 21, 22). Esse possono essere applicate "solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni" (art. 19 comma 4) In accoglimento dei suggerimenti della Commissione parlamentare, si e' previsto che in caso di ripetute e gravi violazioni della misura imposta il giudice possa disporre la misura successiva: cosicche' la violazione delle prescrizioni puo' comportare la misura della permanenza in casa, e l'inosservanza degli obblighi connessi a tale ultima misura puo' comportare l'applicazione del collocamento in comunita'. Nel caso invece di gravi e ripetute violazioni degli obblighi connessi al collocamento in comunita', ovvero di allontanamento ingiustificato da quest'ultima, si e' previsto (art. 22 comma 4) che il giudice possa disporre la misura della custodia cautelare per un tempo non superiore ad un mese, cosi' come suggerito a suo tempo dalla Commissione parlamentare. Per quanto concerne i termini, si e' voluto evitare il rischio che la misura delle prescrizioni potesse protrarsi per un tempo eccessivo, favorendo nei fatti dannose dilazioni della decisione, e si e' percio' previsto un apposito termine breve rinnovabile per non piu' di una volta. Si e' voluto anche evitare che le misure della permanenza in casa e del collocamento in comunita' acquistassero una durata del tutto sproporzionata alle esigenze del processo minorile, e si e' percio' previsto che la loro durata massima sia pari a quella della custodia cautelare. L'arco di misure cautelari in tal modo offerte al giudice minorile, pur consentendo di coprire sostanzialmente tutte le ipotesi previste dal codice ordinario, si presenta con caratteristiche di maggiore flessibilita' e con possibilita' di applicazione piu' consona alle diverse esigenze delle singole personalita' minorili. CAPO III DEFINIZIONE ANTICIPATA DEL PROCEDIMENTO E GIUDIZIO IN DIBATTIMENTO Sono raccolte in questo capo, che comprende undici articoli, le norme relative all'aspetto "dinamico" del processo. L'art. 25, relativo ai procedimenti speciali, stabilisce anzitutto che non sono applicabili al processo minorile le norme sul patteggiamento e quelle relative al procedimento per decreto. Infatti, pur essendo evidente l'importanza di tutti gli istituti processuali diretti a favorire una rapida uscita dal circuito penale, l'applicazione della pena su richiesta (c.d. patteggiamento) presuppone nell'imputato una capacita' di valutazione e di decisione che richiedono piena maturita' e consapevolezza di scelte, mentre il procedimento per decreto non consente al giudice quella adeguata valutazione della personalita' del minorenne prescritta dalla lettera e) della delega e disciplinata dall'art. 9. Proprio per tale ragione il comma 2 consente il procedimento direttissimo soltanto se sono possibili gli accertamenti sulla personalita' previsti dall'art. 9 e sempre che sia possibile assicurare al minore la particolare assistenza di cui all'art. 12. Con l'art. 26 si prevede, secondo quanto suggerito dalla Commissione parlamentare, che in ogni stato e grado del procedimento - e quindi anche durante le indagini preliminari - il giudice debba pronunciare, anche di ufficio, sentenza di non luogo a procedere quando accerta che il minorenne non e' imputabile ai sensi dell'art. 97 del codice penale. Di particolare rilievo e' la disposizione contenuta nell'art. 27, concernente la declaratoria di improcedibilita' per irrilevanza del fatto. Questa norma costituisce applicazione del criterio di adeguamento del processo alle esigenze educative del minore, sancito dalla prima parte dell'art. 3 della legge-delega. Si ha riguardo qui alle ipotesi in cui il fatto appare privo di significato criminoso e di concreta rilevanza sociale per la tenuita' delle conseguenze e per l'occasionalita' del comportamento, cosi' da non richiedere una risposta particolare: mentre lo stesso svolgimento del processo risulta, in concreto, non rispondente alle esigenze educative del minore. In una siffatta situazione si e' ritenuto di rendere possibile la pronta conclusione del processo. Peraltro, tenuto conto delle perplessita' da alcune parti manifestate circa la compatibilita' dell'archiviazione con il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale sancito dall'art. 112 della Costituzione, si e' accolto il suggerimento della Commissione parlamentare, prevedendo che il pubblico ministero richieda al giudice l'emissione di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Il meccanismo processuale prescelto non incide sulla fattispecie sostanziale del reato (e cioe' sui suoi elementi costitutivi o sulle condizioni di punibilita'), ma si limita a consentire l'anticipata conclusione del processo con una pronuncia fondata sulla valutazione comparativa degli effetti positivi e negativi dello svolgimento del normale iter processuale, in considerazione delle concrete caratteristiche del fatto e della personalita' del minorenne imputato. L'art. 28, attuativo della lettera e) della delega, sancisce e disciplina una prassi gia' adottata dalla magistratura minorile (in quanto appaia positivamente influente sulla condotta del minorenne) , ed il successivo art. 29 prevede, quale logico sbocco della sospensione in caso di esito positivo della prova, l'emanazione di una pronuncia pienamente liberatoria. Le due norme si richiamano all'istituto della cosiddetta probation processuale, da tempo noto e vantaggiosamente applicato in molti ordinamenti. Esse prevedono il coinvolgimento dei servizi per le opportune attivita' di osservazione, trattamento e sostegno, e rendono altresi' possibile la prescrizione di attivita' "dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa". Viene in tal modo recepita e resa possibile la cosiddetta mediazione, istituto previsto dalla piu' volte citata Raccomandazione del Consiglio d'Europa, avente lo scopo di ricomporre il conflitto fra minorenne offensore e vittima, e di responsabilizzare i giovani autori di reato. Va richiamata l'attenzione sul comma 4 dell'art. 28, in base al quale "la sospensione non puo' essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato". Va inoltre notato (art. 29) che l'esito positivo della prova agisce quale causa estintiva del reato: in tal caso il giudice pronuncia sentenza con la quale dichiara estinto il reato per esito positivo della prova, adottando la formula dell'art. 425 c.p.p. ovvero quella dell'art. 531, a seconda che si tratti del giudice dell'udienza preliminare o del giudice del dibattimento. L'art. 30, in materia di sanzioni sostitutive, attua le disposizioni della lettera f) della delega. Nel comma 1 si stabilisce che nel decidere sull'applicazione della sanzione sostitutiva il giudice tenga conto degli elementi concernenti la personalita' e le condizioni personali e familiari del minorenne. Gli artt. 31 e 32 disciplinano l'udienza preliminare. Lo svolgimento di quest'ultima (v. art. 31) si caratterizza per alcune particolarita' tipiche del processo minorile: la possibilita' di allontanare il minorenne durante certe fasi dell'udienza che potrebbero arrecargli turbamento o pregiudizio (lettera g) della delega) , i particolari doveri dei genitori ed i particolari poteri del giudice nei loro confronti nonche' nei confronti del minorenne imputato. Quest'ultimo e' sempre sentito dal giudice, che puo' disporne l'accompagnamento coattivo in caso di mancata comparizione (art. 31, commi 1 e 5) . Dell'udienza devono essere informati inoltre la persona offesa ed "i servizi minorili che hanno svolto attivita' per il minorenne". Nell'art. 32 sono disciplinati i provvedimenti del giudice dell'udienza preliminare, in conformita' dei criteri di cui alla lettera l) della delega. Si e' attribuita al giudice (comma 2) la facolta' di ridurre la pena pecuniaria sino alla meta' rispetto al minimo edittale: cio' in considerazione dell'opportunita' di non prevedere per il minorenne un trattamento deteriore rispetto al maggiorenne, nel caso in cui si proceda per reati per i quali - se si procedesse nei confronti di un maggiorenne - sarebbe applicabile il procedimento per decreto e, di conseguenza, la riduzione di pena prevista dall'art. 459 del codice di procedura penale. L'ultimo comma prevede la possibilita' che con separato decreto siano adottati provvedimenti civili temporanei nell'interesse del minorenne, che sono immediatamente esecutivi ma cessano di avere effetto entro trenta giorni dalla loro emissione. E' sembrato infatti opportuno che entro tale termine i provvedimenti in questione vengano sostituiti con quelli adottati secondo le norme del codice civile. Il comma 3 disciplina l'opposizione al tribunale per i minorenni. Fra i soggetti legittimati a proporla e' ovviamente compreso l'esercente la potesta' dei genitori, in forza della disposizione generale di cui all'art. 34, di cui si dira' fra breve. L'art. 33 tratta dell'udienza dibattimentale, che di norma si svolge a porte chiuse. Tuttavia si e' previsto che l'imputato ultrasedicenne possa chiedere la pubblica udienza ed in tal caso la decisione spetta al tribunale, che deve valutare la fondatezza delle ragioni addotte e la loro corrispondenza a finalita' di tutela della personalita' dell'imputato. La presenza di coimputati infrasedicenni o comunque non consenzienti rende peraltro obbligatorio il procedimento a porte chiuse. Il comma 3 dell'articolo in esame, in attuazione della lettera m) della delega, stabilisce che l'esame dell'imputato sia condotto dal presidente, mentre il comma 4 richiama le disposizioni sullo svolgimento dell'udienza preliminare contenute nell'art. 31 e nell'art. 32 comma 4, dei quali si e' detto poco sopra. Si e' infatti ritenuto di estendere anche al giudice del dibattimento il potere di emettere in via d'urgenza i provvedimenti civili temporanei necessari per la protezione del minorenne. Non e' stato invece menzionato espressamente l'obbligo del giudice di illustrare all'imputato il contenuto e le ragioni anche etico-sociali della sentenza (lettera d) della delega) , trattandosi di un obbligo gia' previsto nell'art. 1 comma 2, che anzi lo considera un principio generale del processo minorile: per cui il richiamo e' apparso superfluo. L'art. 34, come gia' accennato piu' sopra, attribuisce in via generale all'esercente la potesta' dei genitori la legittimazione ad impugnare spettante all'imputato minorenne. Il comma 2 disciplina i casi di impugnazioni proposte sia dall'imputato che dall'esercente la potesta', stabilendo che in caso di contraddizione si debba tener conto ad ogni effetto soltanto della prima. Chiude il capo III l'art. 35, che estende al giudizio di appello, in quanto applicabili, le disposizioni concernenti il procedimento davanti al tribunale per i minorenni. CAPO IV PROCEDIMENTO PER L'APPLICAZIONE DELLE MISURE DI SICUREZZA Nei cinque articoli che compongono il capo IV viene disciplinato il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza. Dette misure, da piu' parti criticate e comunque scarsamente applicate nella pratica, non vengono menzionate nella elencazione dell'art. 3 della delega. La materia tuttavia e' esplicitamente richiamata dalla direttiva 96 della stessa legge, che stabilisce fra l'altro il principio della necessita' di un giudizio di effettiva pericolosita', e prescrive inoltre la previsione di piu' incisive garanzie processuali anche nel procedimento con cui si applicano tali misure. Non poteva quindi essere tralasciata una revisione delle norme che ne disciplinano l'applicazione ai minorenni, tenuto conto altresi' della direttiva 104 della legge-delega, e, piu' ancora, dei principi fissati dalla prima parte dell'art. 3, sui quali si e' detto diffusamente nella premessa. Per queste considerazioni si sono redatte le disposizioni che di seguito si descrivono. L'art. 36 stabilisce che nei confronti dei minorenni la misura della liberta' vigilata e' eseguita nelle forme previste dagli artt. 20 e 21, e cioe' mediante le prescrizioni o la permanenza in casa. La misura di sicurezza del riformatorio giudiziario e' invece eseguita (comma 2) nelle forme dell'art. 22 (collocamento in comunita') , e soltanto in relazione ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni. Organo competente per l'applicazione delle misure e' il tribunale per i minorenni, che a norma dell'art. 38 deve procedere a tutti gli accertamenti attinenti alla pericolosita' del soggetto, nonche' all'eventuale applicazione provvisoria della misura stessa. L'applicazione provvisoria puo' aversi "se ricorrono le condizioni previste dall'art. 224 del codice penale e quando, per le specifiche modalita' e circostanze del fatto e per la personalita' dell'imputato, sussiste il concreto pericolo che questi commetta delitti con l'uso delle armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalita' organizzata" (art. 37). Nell'ipotesi di applicazione provvisoria non disposta dal tribunale, la misura cessa di avere effetto se entro trenta giorni non viene iniziato il procedimento di cui all'art. 38. L'esecuzione delle misure e' disciplinata dall'art. 40, il quale attribuisce la competenza al magistrato di sorveglianza per i minorenni del luogo in cui la misura deve essere eseguita. Il comma 2 di detto articolo dispone che il magistrato di sorveglianza vigili costantemente sulla esecuzione, anche mediante frequenti contatti con il minorenne, i genitori, l'affidatario ed i servizi. Infine, l'art. 41 disciplina l'impugnazione dei provvedimenti emessi dal magistrato di sorveglianza a norma dell'art. 40, disponendo che contro di essi possa essere proposto appello davanti al tribunale per i minorenni. A conclusione dei non agevoli lavori, il Ministro proponente ritiene doveroso che venga dato atto alla Commissione presieduta dalla dott.ssa Pomodoro del suo apporto di intenso lavoro, che ha permesso di rispettare i tempi previsti dalla legge e di presentare un risultato di altissimo pregio. PREMESSA 1. La delega al Governo, contenuta nell'art. 5 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico di imputati minorenni, e' stata interpretata in modo restrittivo dalla apposita Commissione istituita con d.m. 16 aprile 1987. La necessita' di modifiche all'ordinamento giudiziario in vista della riforma del processo penale e' stata ripetutamente sostenuta in sede di lavori parlamentari, ma al di la' di generiche affermazioni non sono state sviluppate indicazioni specifiche sulla direzione da seguire nella riforma. Cio' vale per la legge-delega del 1974 che non prevedeva una specifica delega per la riforma dell'ordinamento giudiziario, ma mantiene la sua fondatezza anche in riferimento alla legge-delega del 1987. All'art. 5 della legge n. 81/87, viene prevista la delega per le modifiche all'ordinamento giudiziario, ma non sono espressi principi e criteri direttivi. E' ben vero che, dai criteri enunciati negli artt. 2 e 3 per il codice di procedura penale, si ricavano anche indicazioni concernenti l'ordinamento giudiziario. Ed anzi, alcuni criteri si riferiscono direttamente all'ordinamento giudiziario, piuttosto che al codice di procedura (es. direttive 68 e 103). Indicazioni per la riforma dell'ordinamento giudiziario discendono anche dalle soluzioni adottate in sede di redazione del codice di procedura penale, nell'ambito della delega. Ma nulla si ricava dalla legge-delega sull'impianto generale di un nuovo ordinamento giudiziario coerente con la riforma processuale. L'iter attraverso il quale e' stata concessa delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario, d'altra parte, rivela le forti resistenze che sono emerse in Parlamento. Significativa e' la sorte degli emendamenti aggiuntivi presentati dall'on. Violante e poi dal Governo nella seduta della Camera dei deputati del 10 luglio 1984. Dopo numerosi interventi di parlamentari contrari alla delega, sia il Ministro che l'on. Violante ritirarono gli emendamenti che avevano presentato, rinunciando ad inserire la delega per l'ordinamento giudiziario nella legge di delega per il nuovo codice di procedura penale. Dopo questi precedenti la proposta governativa di emendamento aggiuntivo formulata al Senato nella seduta del 21 novembre 1986, nel testo ora contenuto nell'art. 5 cit., venne approvata praticamente senza discussione. Senza discussione sul punto specifico la delega venne approvata anche dalla Camera dei Deputati nella seduta del 4 febbraio 1987. E' possibile interpretare l'indirizzo del Parlamento, all'apparenza contraddittorio, nel senso che da un lato si avvertiva l'opportunita' di evitare deleghe " in bianco " in materia tanto delicata e dall'altro, pur in assenza di precisi indirizzi di riforma, era evidente la necessita' di interventi di riforma dell'ordinamento giudiziario. Ed appunto sulla nozione di " necessita' " si incentrano la richiesta governativa di delega e la norma poi approvata. Non v'e' dunque stata una delega per un nuovo ordinamento giudiziario, ma soltanto una delega a modificare quello vigente nella misura (strettamente) necessaria ad adeguarlo al nuovo rito penale. Una ragione di piu' per intendere restrittivamente la delega deriva dal fatto che l'art. 5 cit. si riferisce indiscutibilmente solo al processo penale, mentre l'ordinamento giudiziario disciplina normalmente in modo unitario l'organizzazione ed il funzionamento degli organi deputati ad amministrare la giustizia sia penale, che civile. E gli studi e le proposte per la riforma del processo civile hanno riflessi sull'ordinamento giudiziario che non necessariamente vanno in direzione omologa a quelli che derivano dalla legge-delega per il nuovo processo penale. Si pensi solo, ad esempio, alle questioni che riguardano la collegialita' o monocraticita' dei diversi giudici. Tutto quanto precede ha indotto a limitare l'ambito ed il contenuto delle proposte qui illustrate a quanto si e' ritenuto strettamente necessario per adeguare il vigente ordinamento giudiziario al nuovo processo penale. Tale indirizzo ha tuttavia ripetutamente rivelato i limiti della norma di legge. Cio' e' in particolare avvenuto quando sono emerse intersezioni tra il processo penale e quello civile. La proposta qui presentata, dunque, deliberatamente prescinde dall'esigenza di organica riforma dell'ordinamento giudiziario, prevista dalla VII Disposizione transitoria della Costituzione e in piu' sedi ritenuta indispensabile. 2. Pur nel quadro della interpretazione restrittiva delle necessita' di riforma dell'ordinamento giudiziario la Commissione per l'ordinamento giudiziario ha segnalato l'urgenza della riforma della organizzazione e della struttura degli uffici giudiziari, certamente incapaci attualmente di ricevere e utilmente gestire il nuovo processo penale. Si tratta di istituire uffici giudiziari funzionali e con organico di magistrati sufficiente al funzionamento del nuovo processo penale. Cio' necessariamente richiede la organica riforma delle circoscrizioni giudiziarie, con modifica delle tabelle di cui all'art. 5 ord. giud. La creazione di uffici giudiziari di adeguate dimensioni - e comunque l'abolizione delle preture con unico magistrato - appare necessaria al fine di garantire in particolare l'operativita' dei riti accelerati previsti dal nuovo codice. Si pensi alla direttiva 43, che prevede il potere del pubblico ministero di presentare direttamente in giudizio l'imputato arrestato entro il termine di 48 ore dall'arresto, per la convalida ed il contestuale giudizio. E' chiaro che - dovendosi tenere conto dei tempi necessari al pubblico ministero ed alla polizia giudiziaria - in ogni ufficio giudiziario ogni giorno dovra' essere disponibile almeno un giudice (pretore o tribunale). Ma cio' non e' possibile nei piccoli uffici. La Commissione ha inoltre rilevato che l'ampia e differenziata competenza del pretore penale, spesso in materie fortemente specialistiche, rende indispensabile per il buon andamento dei giudizi che il giudice chiamato a decidere sia sufficientemente specializzato. E cio' non puo' avvenire se non in uffici con numerosi magistrati. Alla Commissione e' parso che la soluzione adottata dalla Commissione redigente il codice - atti e procedure antecedenti o alternativi al giudizio presso le preture territorialmente competenti e giudizi concentrati nella pretura sita nel capoluogo di circondario - mostri che le preoccupazioni sopra sintetizzate sono in qualche misura condivise. Tuttavia si tratta di soluzione che puo' creare diversi problemi pratici per l'ufficio del pubblico ministero, attribuisce competenza penale a tanti piccolissimi uffici limitandola pero' a solo alcuni momenti del processo e carica eccessivamente la pretura sita nella sede di circondario, rimettendo ad essa tutti i dibattimenti. Se e' vero che, pur nell'attuale stato di cose nel campo delle circoscrizioni, e' necessario disegnare un sistema processuale penale che dia attuazione alla delega, e' vero pero' anche che bisogna garantire un funzionamento adeguato del nuovo processo e por mano alle riforme collaterali che ne condizionano il successo. Per tale riforma sono ormai disponibili studi approfonditi che consentono la rapida definizione dei criteri generali di riferimento. La riforma delle circoscrizioni e' tra l'altro da realizzare prioritariamente per una realistica quantificazione e distribuzione dell'organico della magistratura necessario al funzionamento del nuovo codice di procedura penale. La Commissione ha segnalato quanto ora espresso, senza direttamente provvedere ad un progetto di riforma - che necessariamente investirebbe anche i tribunali - ritenendo che dall'art. 5 legge 81/87 non si ricavi che e' stata concessa delega al Governo anche in ordine alla riforma delle circoscrizioni. Tale opinione si fonda sul rilievo, da un lato, che non vengono forniti criteri direttivi e dall'altro che qualunque riforma non potrebbe non riguardare anche la competenza civile degli uffici giudiziari. ILLUSTRAZIONE DEGLI ARTICOLI 1. Svolte le necessarie precedenti osservazioni preliminari sugli indirizzi seguiti nella elaborazione del progetto, si illustrano ora le proposte di modifica legislativa. Per quanto riguarda il complesso normativo di cui al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, si propone, nell'articolo 1, che l'elenco dei giudici venga integrato con menzione del tribunale per i minorenni. L'integrazione, oltre che ad un aggiornamento della disposizione rispetto alla attuale situazione normativa, corrisponde alla necessita' di affermare la individualita' degli uffici del tribunale per i minorenni e della relativa procura della Repubblica, rispetto agli altri uffici giudiziari. Allo stesso scopo corrisponde la proposta di modifica dell'art. 97, per prevedere che la supplenza dei giudici del tribunale per i minorenni venga disposta dal presidente di quel tribunale. Ad un mero adeguamento alla attuale situazione normativa risponde la proposta di inserire nell'elenco dei giudici anche il tribunale e gli uffici di sorveglianza. Alla stessa esigenza di riconoscere la autonoma costituzione degli uffici minorili - oltre che all'adeguamento ad una realta' normativa gia' vigente - corrisponde la proposta di inserire nell'art. 2 comma 1 ord. giud. la menzione del tribunale per i minorenni (articolo 2). La direttiva 103 della legge-delega - nella parte in cui stabilisce la " distinzione delle funzioni di pubblico ministero e di giudice " e la " modifica dell'ordinamento giudiziario al fine di garantire tale distinta attribuzione di funzioni " - e' stata intesa nel senso che e' necessario istituire uffici separati del pretore e del pubblico ministero presso di esso. La logica della norma e l'ordine di idee in cui si inserisce esclude la possibilita' di prevedere una semplice incompatibilita' processuale tra l'esercizio delle funzioni giudicanti e di quelle requirenti nel processo pretorile, sulla traccia di cio' che gia' avviene, con provvedimento meramente organizzativo interno, in talune grandi preture. Una simile soluzione, impraticabile di fatto nelle piccole preture e, comunque, in tutte le preture con unico magistrato, comporterebbe la necessita' di scambio di funzioni tra magistrati di mandamenti vicini, i quali reciprocamente fungerebbero da giudici e da pubblici ministeri. Cio' darebbe luogo a gravi inconvenienti pratici oltre a perpetuare la confusione tra le figure del giudice e del pubblico ministero, che e' bene distinguere anche nelle persone fisiche che le rappresentano. Tali inconvenienti sarebbero eliminati o ridotti, quando si procedesse alla revisione delle circoscrizioni, con abolizione delle preture con unico magistrato, cosi' da consentire soluzioni organizzative interne ai singoli uffici. Ma rimarrebbe evidente la inadeguatezza della soluzione rispetto alla intenzione del legislatore delegante, che chiaramente ha voluto prevedere la " distinta attribuzione " delle funzioni giudicanti e requi renti, dalle semplici incompatibilita' processuali previste in altre direttive dell'art. 2. Si e' pertanto proposta la istituzione di uffici del procuratore della repubblica presso le preture. E' stata scartata - come foriera di eccessivo accentramento di poteri e di elefantiasi dei relativi uffici - la soluzione di attribuire al procuratore della Repubblica presso i tribunali anche la competenza requirente avanti le preture. Per converso e' stata ritenuta impraticabile l'ipotesi di istituzione di un ufficio del pubblico ministero per ciascuna delle preture. E cio' non solo con riferimento alla attuale disseminazione di piccoli e piccolissimi uffici di pretura, ma anche in vista della auspicata revisione delle circoscrizioni e degli organici. In realta' - e' stato ritenuto - la variegata competenza pretorile e le responsabilita' che il nuovo rito penale attribuisce al pubblico ministero, impongono la istituzione di uffici sufficientemente grandi, che consentano elasticita' di funzionamento e specializzazione dei magistrati per i diversi settori di competenza. Soluzione equilibrata e' parsa quella di prevedere la istituzione di uffici del pubblico ministero ciascuno competente per tutte le preture del circondario. Nella visione prescelta tali preture dovrebbero essere molto meno numerose di quanto non sia attualmente, senza tuttavia che la riforma delle circoscrizioni comporti necessariamente la abolizione di ogni pretura che non sia quella posta nella sede del tribunale. La proposta si traduce nell'inserzione al comma 1 dell'art. 2 ord. giud. della menzione anche delle preture di ciascun circondario. La necessita' di abrogazione del comma 2 dell'art. 2 ord. giud. non richiede illustrazione. 2. La proposta (articoli 3 e 4) di inserimento nel testo vigente di ordinamento giudiziario degli artt. 7- bis e 7- ter risponde all'esigenza - ripetutamente emersa nel corso dei lavori della Commissione per la redazione del nuovo codice - di dare piena attuazione al principio costituzionale della precostituzione del giudice. La Commissione per l'ordinamento giudiziario, pur condividendo l'orientamento della Commissione redigente il codice e recependolo nella formulazione di apposite ipotesi normative, ha esposto, nel corso dei lavori, le ragioni che impediscono che alla inosservanza delle disposizioni sulla destinazione dei giudici agli uffici giudiziari, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi alle sezioni, collegi e giudici, sia legata la sanzione processuale della nullita' degli atti. La soluzione cui e' da ultimo pervenuta la Commissione redigente accoglie i rilievi mossi, espressamente prevedendo al comma 2 dell'art. 178, che " non costituisce causa di nullita' l'inosservanza delle disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici ". La ragione della opposizione della Commissione per l'ordinamento giudiziario ad una prima ipotesi che, invece, prevedeva il rilievo processuale delle dette inosservanze, consiste essenzialmente nel fatto che il giudizio relativo alla integrazione di una nullita' processuale rimanda a norme definite nei confini e prive di rilevanti momenti di discrezionalita'. Nella materia qui considerata, cio' implicherebbe la disciplina della destinazione dei giudici agli uffici, della formazione delle sezioni e dei collegi e della assegnazione dei processi penali in termini di stretta automaticita'. Una automaticita' che e' certo esclusa in tema di assegnazione dei giudici agli uffici giudiziari, di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura, ma che non e' ipotizzabile - se non a prezzo di rilevanti sacrifici sul piano della funzionalita' e del buon andamento degli uffici (art. 97 Cost.) - nemmeno nella formazione delle c.d. tabelle degli uffici e nella determinazione dei criteri di formazione dei collegi e di assegnazione degli affari. Questo quadro di esigenze non esclude che una rilevanza processuale possa essere prevista per il caso in cui risulti che nella assegnazione dei giudici e degli affari si siano adottate soluzioni determinate dallo scopo di eludere o violare il precetto costituzionale sulla precostituzione del giudice. Ma in ogni altro caso si e' ritenuto che l'esigenza sopra richiamata di precostituzione del giudice possa essere soddisfatta attraverso la predeterminazione di criteri obiettivi, la cui definizione va rinviata al Consiglio Superiore della Magistratura. Il Consiglio provvedera' in sede di formazione delle tabelle ovvero - per l'assegnazione degli affari alle sezioni, collegi e giudici - con una procedura analoga, ma priva di esito nel decreto presidenziale. L'ipotesi di violazione di quanto disposto nelle tabelle o dei criteri di assegnazione degli affari rimane senza rilievo processuale, ma implica la messa in opera delle procedure amministrative proprie del Consiglio Superiore della Magistratura, oltre che, eventualmente, della iniziativa disciplinare. Il testo del proposto art. 7- bis riprende quello del d.l. 25 settembre 1987, n. 394, convertito in legge 25 novembre 1987, n. 394, adattandolo a quanto sopra esposto. Nello stesso testo si fa riferimento al " conferimento delle specifiche attribuzioni individuate dalla legge ". Tale formula rinvia alle diverse figure processuali individuate dai codici e dalle altre leggi e che debbono essere previste nelle tabelle, con attribuzione delle relative funzioni ai singoli giudici. Il ricorso ad una formula onnicomprensiva e di rinvio e' reso necessario dalla opportunita' di evitare una lunga elencazione di funzioni, cristallizzandola in una norma di ordinamento giudiziario. La norma, cosi' costruita, e' idonea a adattarsi ad eventuali futuri interventi legislativi (e anche ad una riforma del rito civile) e riguarda evidentemente sia il processo penale ordinario che quello a carico di imputati minorenni. Alla menzionata previsione corrisponde la abrogazione nel testo dell'ordinamento giudiziario di ogni menzione del giudice istruttore penale e della sezione istruttoria della corte d'appello (artt. 44, 54, 57, 58, 97, 98) e la proposta riforma del testo dell'art. 54 (artt. 9, 15, 17, 24 e 25 del Progetto). Della previsione di una apposita sezione dei giudici per le indagini preliminari nelle preture, nei tribunali e nei tribunali per i minorenni si dira' in seguito. L'art. 7- bis prevede, infine, la necessita' di provvedimenti di urgenza dei dirigenti degli uffici giudiziari diretti a consentire, in presenza di improvvise difficolta' ed a prescindere dall'istituto della supplenza, la formazione dei collegi giudicanti o lo svolgimento di funzioni monocratiche, come quelle del giudice per le indagini preliminari. In tale ipotesi si prevede che il provvedimento di variazione tabellare, di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura, non impedisca l'immediata esecutivita' del provvedimento. In caso contrario le necessita' immediate che si presentano negli uffici troverebbero difficile risoluzione. Quanto all'art. 7- ter si aggiunge a quanto gia' esposto l'ipotesi di revoca - nell'ambito dei criteri prestabiliti dal Consiglio Superiore della Magistratura - della assegnazione del processo alla sezione, collegio o giudice. In tale caso il provvedimento motivato va comunicato al presidente della sezione o al magistrato interessato. Si sottolinea che l'art. 7- ter si riferisce esclusivamente all'assegnazione dei processi penali, dati i limiti della delega. La ratio della previsione riguarda tuttavia allo stesso modo anche gli affari civili, cosicche' si deve segnalare la disarmonia del sistema. A rigore lo stesso discorso va fatto per quanto stabilito al comma 2 dello stesso articolo. Tale comma prevede che il Consiglio Superiore della Magistratura, con la procedura per la approvazione delle tabelle, stabilisca i criteri per la sostituzione del giudice astenuto o ricusato o altrimenti impedito. Tale disposizione risponde a quanto stabilito nel testo del Progetto di nuovo codice (art. 44) e, per completezza di disciplina, considera anche le possibili ipotesi di impedimento del giudice, diverse dalla astensione e ricusazione. 3. In ordine agli artt. 31 e 34 ord. giud. (articoli 5 e 6) si propone un aggiornamento del testo ora vigente, che tiene conto non solo di quanto affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 80/70 e n. 143/73, ma anche della trasformazione degli uffici di pretura in uffici esclusivamente giudicanti. La nuova natura degli uffici di pretura suggerisce anche la abolizione della figura del pretore direttore della casa mandamentale (legge 28 novembre 1941, n. 1405). Il rinvio alle tabelle che stabiliscono il numero dei magistrati e le preture cui sono assegnati come dirigenti magistrati di appello, non esclude la necessita' di modifica della vigente previsione, in relazione alla individuazione di nuove circoscrizioni. All'art. 43 ord. giud., nel definire le funzioni del tribunale, occorre eliminare la menzione della giurisdizione in materia penale in grado di appello (articolo 8). Agli artt. 46, 54 e 66 i riferimenti alla formazione annuale delle sezioni nei tribunali, corti di appello e corte di cassazione vanno mutati in richiami al biennio in coerenza con quanto innovato dal citato d.l. 25 novembre 1987, n. 479 (articoli 10 , 15 e 18). Per le funzioni della corte di appello si propone (articolo 14) di modificare l'art. 53 ord. giud. menzionando la competenza in grado di appello rispetto alle sentenze penali del pretore e di eliminare, come gia' detto, la menzione della sezione istruttoria all'art. 54, sostituendola con una formula di rinvio ai collegi cui il codice di procedura penale demanda funzioni diverse da quelle del giudizio di appello avverso sentenze pronunciate nel dibattimento di primo grado. Analoga modifica, con riferimento al processo minorile, si propone per l'art. 58 (articolo 17). 4. La abolizione dell'ufficio istruzione, menzionato all'art. 44 ord. giud. ed in altre disposizioni di legge da esaminare in sede di coordinamento e di norme transitorie, non puo' effettuarsi senza considerare che numerose funzioni processuali, rimesse a magistrati giudicanti, saranno previste dal nuovo codice nella fase antecedente al dibattimento. Si pensi all'incidente probatorio, ai vari provvedimenti relativi allo stato di liberta' dell'imputato, alle proroghe richieste dal pubblico ministero, alla udienza preliminare e ai diversi istituti diretti a concludere il procedimento senza passare al dibattimento. Negli uffici giudiziari i magistrati incaricati delle relative funzioni saranno numerosi ed il loro lavoro richiedera' coordinamento ed organizzazione. E' necessario prevedere l'istituzione di un apposito ufficio e determinare chi vi sara' preposto. La Commissione per l'ordinamento giudiziario ha considerato l'eventualita' di mantenere la struttura degli attuali uffici di istruzione, mutandone la denominazione ed estendendoli alle preture ed ai tribunali per i minorenni. Dopo approfondito esame si e' ritenuto inopportuno il mantenimento dell'ufficio istruzione, particolarmente con riferimento a tutte quelle sedi in cui sono previsti posti di organico - e non tabellari - per i dirigenti (consigliere istruttore e consigliere istruttore aggiunto). La soluzione preferita prevede la istituzione di una sezione dei giudici delle indagini preliminari, la cui direzione e' attribuita ad un presidente di sezione nei tribunali e nelle preture costituiti in sezioni (o al magistrato piu' anziano tra quelli incaricati delle funzioni di cui si tratta, negli altri casi). Il sistema riporta alla formazione biennale delle tabelle degli uffici, che appare dotato della necessaria elasticita' ed impedisce il cristallizzarsi di posizioni direttive. La proposta, inoltre, non inopportunamente segna il senso della riforma processuale che ha abolito la figura del giudice istruttore e, in sede transitoria, impedira' il permanere di consuetudini professionali acquisite nel vigente sistema processuale. Un presidente di sezione, negli uffici costituiti in sezioni, sara' incaricato, con la approvazione delle tabelle, di dirigere l'ufficio anzidetto. Il presumibile carico di lavoro comporta che si tratti di incarico incompatibile con la presidenza di una ordinaria sezione. La incompatibilita' d'altra parte deriva anche dalla serie di incompatibilita' processuali stabilite dal nuovo codice. Per gli stessi motivi la incompatibilita' va ritenuta anche per i giudici appartenenti all'ufficio di cui si tratta. La destinazione esclusiva di un presidente di sezione alla direzione dell'ufficio dei giudici delle indagini preliminari, tuttavia, non sembra impedire - quando non sussistano incompatibilita' con riferimento agli specifici procedimenti da trattare - il ricorso a provvedimenti di supplenza ai sensi dell'art. 97 comma 1 ord. giud. con destinazione del magistrato alla presidenza di una ordinaria sezione. Analogamente dicasi, nei tribunali, dei giudici incaricati in tabella delle funzioni di giudice delle indagini preliminari. Tutto quanto ora esposto illustra le ragioni delle proposte di integrazione degli artt. 35 e 46 e di inserimento dell'art. 50- bis (articoli 7 , 10 e 11). 5. In materia di funzioni requirenti si propone (articolo 20) la abrogazione dell'art. 71, in considerazione della necessita' di non differenziare la procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni dagli altri uffici requirenti ed eliminare la attuale relazione anomala che e' instaurata con la procura generale presso la corte di appello. Manca ora ogni ragione di differenziare la costituzione di tale procura della Repubblica rispetto agli altri uffici del pubblico ministero di primo grado. Le differenze che la legge-delega prevede sul piano del processo penale rispetto a quello a carico di imputati maggiorenni, non consentono di fondare alcuna diversita' di disciplina tra la procura della Repubblica presso il tribunale ordinario e quella presso il tribunale per i minorenni. Abrogato l'art. 71 e modificato l'art. 72 nel senso che si dira', la disciplina fondamentale di ordinamento giudiziario per tutti gli uffici requirenti va sistemata nell'art. 70 (articolo 19), che si apre con l'elenco degli uffici del pubblico ministero (correlato, come attualmente, all'art. 2). In sede di ordinamento giudiziario sembra ci si debba limitare ad elencare gli uffici del pubblico ministero, mentre le relative competenze vanno definite nel codice di procedura penale. Tuttavia la Commissione per l'ordinamento giudiziario, con riferimento alla specificazione delle funzioni dei diversi uffici del pubblico ministero contenuta all'art. 52 del Progetto di codice di procedura, ha ritenuto di poter osservare che la esclusione del potere di indagini preliminari del procuratore generale presso la corte di appello puo' dar luogo ad effetti negativi sul piano dell'esercizio dell'azione penale ogni volta che - come spesso accade in particolari materie - manchi una formale notizia di reato ed il competente procuratore della Repubblica non si attivi di ufficio sulla base di notizie di reato non formalizzate. E' avviso di tale Commissione che nella fase delle indagini preliminari occorra garantire, quanto piu' possibile, la iniziativa del pubblico ministero e prevedere soluzioni atte ad evitare possibili inerzie. Al comma 2 il testo proposto per la disciplina delle funzioni requirenti presso le sezioni staccate di corte di appello mantiene il riferimento all'avvocato generale, non essendovi ragioni di mutamento in rapporto al nuovo codice di procedura. Occorre tuttavia segnalare che un disegno di legge in corso di elaborazione prepone all'ufficio di cui si tratta un sostituto procuratore generale. Al comma 3 dell'art. 70 si definiscono le funzioni dei titolari degli uffici del pubblico ministero, che dirigono l'ufficio, ne organizzano la attivita' ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi. E' previsto che il titolare possa designare altri magistrati per la trattazione dei singoli affari, eliminando la formula attuale che prevede l'esercizio delle funzioni da parte del dirigente " per mezzo dei dipendenti magistrati ". Tale formula, gia' ora inadeguata a descrivere il rapporto tra i magistrati addetti all'ufficio ed il titolare di esso, non potrebbe comunque essere mantenuta in un sistema che prevede la piena autonomia del magistrato designato alla udienza penale, che e' il momento centrale del nuovo processo (direttiva 68 della legge-delega). Si e' considerata espressamente l'eventualita' di designazione di piu' magistrati per la trattazione dello stesso affare. A cio' si e' stati indotti sia dalla necessita' di considerare le ragioni della prassi gia' instauratasi, specie in materia di criminalita' organizzata, sia dalla ragione che, nel nuovo processo, le indagini preliminari sono caratterizzate da tempi brevi e da termini rigorosi. Nel nuovo processo, cioe', l'utilita' di piu' magistrati del pubblico ministero, contemporaneamente impegnati nello stesso procedimento, e' parsa anche piu' evidente di quanto non si presenti attualmente. Si e' ritenuto di superare la preoccupazione di chi paventa la situazione che puo' venirsi a creare tra magistrati designati a trattare lo stesso procedimento e discordi sui metodi di indagine o su provvedimenti da assumere. L'ipotesi di prevedere espressamente che il titolare dell'ufficio possa designare solo magistrati che consentano di lavorare insieme agli altri designati e' stata accantonata per non dare spazio ad eventuali rifiuti privi di fondamento e nella fiducia nella spontanea capacita' dei magistrati di superare possibili difficolta' e nell'opera di organizzazione del lavoro che deve svolgere il titolare dell'ufficio. E' stato previsto, in coerenza con la gia' citata direttiva 68 della legge-delega, che il magistrato designato svolga alla udienza le sue funzioni in piena autonomia. Non essendo stati toccati dalla legge-delega, restano immutati, rispetto a quanto attualmente avviene negli uffici di procura, i rapporti tra il dirigente ed i sostituti nelle fasi diverse da quella della udienza. Alla udienza, anche in presenza del principio di piena autonomia, possono tuttavia darsi casi in cui la sostituzione del magistrato e' necessaria. Essi sono elencati nel testo del Progetto del nuovo codice di procedura penale. Per il caso di sostituzione del magistrato alla udienza senza il suo consenso, si prevede che copia del provvedimento motivato venga trasmessa al Consiglio Superiore della Magistratura. I casi eccezionali in cui cio' puo' avvenire, infatti, sono tali da poter richiedere che il Consiglio, nell'ambito della sua differenziata competenza, ne venga a conoscenza. Analogamente, al comma 5 dell'art. 70 si prevede che copia del provvedimento motivato di avocazione da parte del procuratore generale venga inviata al Consiglio Superiore della Magistratura. La avocazione e' ora ammessa nel solo caso di inerzia del pubblico ministero: la sussistenza e le ragioni di tale inerzia possono richiedere un intervento del Consiglio, a scopo anche solo conoscitivo e comunque senza effetto sul processo. Al comma 5 dell'art. 70 si e' inserita una previsione ripresa dai lavori della Commissione Mirabelli per un nuovo ordinamento giudiziario. Si tratta della possibilita' per ogni magistrato addetto ad una procura della Repubblica di formalizzare una notizia di reato informale di cui sia venuto a conoscenza, con conseguente potere del titolare dell'ufficio di designare un magistrato per la trattazione o di trattare personalmente l'affare o di richiederne la archiviazione. La opportunita' di tale previsione - punto di arrivo possibile del dibattito sulla c.d. personalizzazione delle funzioni requirenti - deriva dalla necessita' di stabilire un momento certo in cui la notizia di reato raggiunge l'ufficio del pubblico ministero e cosi' consentire l'operativita' dei termini previsti dal nuovo codice e l'esplicazione delle competenze proprie del titolare dell'ufficio di procura. Il testo proposto prevede una facolta' del magistrato addetto alla procura e non un obbligo, facendo espresso riferimento ai casi in cui non esista obbligo di rapporto. In tal modo si crede di avere previsto un istituto idoneo a dare esito formale e controllato ad iniziative individuali di sostituti procuratori, senza trasformare costoro in ufficiali di polizia giudiziaria sempre in servizio. Nulla si e' previsto nell'art. 70 in ordine ai criteri di designazione del magistrato per la trattazione degli affari negli uffici del pubblico ministero. Cio' e' avvenuto in considerazione del fatto che mancano indicazioni in tal senso nella legge-delega e il Progetto di nuovo codice ha limitato la considerazione della esigenza di precostituzione ai soli giudici, come si desume anche dall'ultimo comma dell'art. 178 sulle nullita', che e' riferito ai soli giudici. Nulla si propone di innovare in tema di poteri di sorveglianza del procuratore generale presso la corte di appello sui magistrati addetti all'ufficio di cui e' titolare e su tutti quelli addetti alle procure della Repubblica del distretto. Tra tali procure della Repubblica dovranno intendersi comprese, dopo la riforma, anche le procure presso le preture del circondario. A tutte le procure della Repubblica del distretto, inoltre, si riferisce la previsione dell'art. 113 ord. giud. in tema di applicazioni di magistrati da parte del procuratore generale. Un rilevante problema pone l'art. 72, che nel secondo e terzo comma prevede attualmente che le funzioni del pubblico ministero in udienza davanti al pretore sono sempre svolte da soggetti diversi dai magistrati professionali. La Commissione per l'ordinamento giudiziario ha proposto la completa abrogazione di questo articolo, ritenendo che nei dibattimenti pretorili le funzioni di pubblico ministero debbano essere sempre svolte da magistrati professionali. Pur ritenendo che il tipo di dibattimento celebrato davanti al pretore - fondato anch'esso sulla cross examination (art. 560 del Progetto) - richiedera' pubblici ministeri diversi dagli attuali, si e' ritenuto di prevedere (articolo 21 ) la possibilita' che il procuratore della Repubblica deleghi specificamente soggetti diversi dai magistrati professionali. Si tratta di una soluzione elastica che, non impedendo la partecipazione del magistrato professionale, potra' essere utilizzata dai procuratori della Repubblica presso le preture secondo le possibilita' ed opportunita' del caso concreto, anche alla luce della esperienza offerta dalla innovazione. Se questa esperienza sara' negativa, alla delega non si fara' ampio ricorso e si metteranno in moto i meccanismi per un conseguente ampliamento degli organici delle istituende procure. E' chiaro, infatti, che la soluzione proposta della Commissione per l'ordinamento giudiziario richiederebbe un sensibile aumento del numero dei magistrati destinati alle preture. Il nuovo testo dell'art. 72 non contrasta con la legge-delega per il nuovo processo penale. La direttiva 103 impone soltanto la distinta attribuzione di funzioni tra pubblico ministero e giudice e questo obiettivo e' realizzato dalla istituzione delle procure della Repubblica presso le preture circondariali. Nulla la delega dice in ordine alla individuazione degli organi ai quali sono attribuite le funzioni di pubblico ministero nel giudizio pretorile. Per quanto attiene, specificamente, alla direttiva 68, che impone la " piena autonomia " delle funzioni esercitate dal pubblico ministero in udienza, va osservato che, se si accetta, come sembra preferibile, la riferibilita' di questa direttiva anche al dibattimento pretorile, ne deriva la irrevocabilita' della delega, una volta che sia stata conferita. Questa soluzione si giustifica se si tiene presente che, secondo la disciplina del Progetto del codice (art. 549), il consenso al giudizio abbreviato ed al patteggiamento e' dato dal pubblico ministero anticipatamente rispetto all'udienza dibattimentale, onde il pubblico ministero in tale momento non ha poteri decisionali in ordine alla definizione abbreviata del procedimento. Concludendo sul tema del pubblico ministero si segnala che la previsione di un ufficio requirente presso le preture del circondario e le diverse dimensioni ed importanza che potranno assumere tali uffici determinano la necessita' di stabilire, con le future norme di coordinamento, quali di essi comportino, per il loro titolare, la attribuzione di un ufficio direttivo. Si potra' stabilire, con modifica dell'art. 5 legge 25 luglio 1976, n. 570, che alla qualifica di incarico direttivo attribuita dalla vigente normativa all'incarico di titolare di una pretura, corrisponda natura di incarico direttivo per il corrispondente procuratore della Repubblica. Ma anche tale criterio potra' meglio essere esaminato quando verra' riformata la mappa delle circoscrizioni e ridisegnata la importanza degli uffici. Va abrogato, come non piu' rispondente al sistema vigente, l'art. 84 ord. giud. sulla vigilanza del pubblico ministero sugli istituti di prevenzione e pena (articolo 23). 6. La nuova disciplina prevista nel Progetto del codice di procedura in tema di polizia giudiziaria comporta la modifica dell'articolo 83 ord. giud., non piu' coerente con il nuovo sistema. Si e' mantenuto (articolo 22), tuttavia, un potere di sorveglianza del procuratore generale presso la corte di appello sulla polizia giudiziaria del distretto. Tale sorveglianza va unita ad un sistema disciplinare sugli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria analogo a quello previsto in sede di norme di attuazione nel Progetto preliminare del 1978. In mancanza di una simile previsione, il sistema si presenterebbe squilibrato, nel senso del depotenziamento della diretta disponibilita' della polizia giudiziaria da parte della magistratura (art. 109 Cost.). La previsione, invece, di norme come quelle richiamate, darebbe contenuto e scopo alla previsione di un potere di sorveglianza del procuratore generale. 7. L'art. 190 ord. giud., relativo al passaggio dalle funzioni requirenti alle giudicanti e viceversa, e' stato sostituito con un testo (articolo 27) che conferma l'attuale sistema normativo di unificazione della magistratura nel concorso di ammissione, nel tirocinio e nel ruolo di anzianita', con distinzione relativamente alle funzioni giudicanti e requirenti. Il rigore con il quale nel nuovo sistema processuale le funzioni requirenti sono distinte e separate da quelle giudicanti ed i caratteri di processo accusatorio richiamati nella prima parte dell'art. 2 della legge-delega, inducono a suggerire l'introduzione di un vaglio di attitudine alla nuova funzione nel caso di domanda del magistrato di passare dalle funzioni giudicanti alle requirenti o viceversa. La sede di legislazione delegata e l'assenza di specifiche direttive in proposito inducono a non proporre modifiche di disciplina piu' incisive. Esse, tra l'altro, non potrebbero che riguardare gli stessi criteri da seguire nelle assegnazioni di funzioni e nei tramutamenti di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura per tutti i magistrati. Si esulerebbe cosi' certamente dall'ambito della delega. E' parso che la modifica proposta - che riprende una indicazione gia' presente nel testo originario dell'art. 190 ord. giud. - sia necessaria per adeguare l'ordinamento giudiziario alla impostazione del nuovo codice di procedura penale. V'e' chi ritiene che si debba andare oltre nella distinzione delle due funzioni, ma certo in questa sede non e' possibile disciplinare ex novo la materia. E' possibile ed opportuno, invece, confermare l'unita' della magistratura e, al tempo stesso, sottolineare che le funzioni giudicante e requirente richiedono attitudini diverse e vanno tenute distinte. 8. Le caratteristiche del nuovo processo - in particolare con riferimento al giudizio direttissimo ed al giudizio immediato con il relativo decreto del giudice da emettere entro cinque giorni dalla richiesta del pubblico ministero - appaiono incompatibili con l'attuale sistema di lavoro per sessioni della corte di assise. Gia' ora, almeno nelle grandi sedi giudiziarie, i periodi intercorrenti tra una sessione e l'altra danno luogo a rilevanti attese e disfunzioni per il passaggio degli atti ad altri organi giudiziari, competenti quando la corte di assise non sia in sessione. Si propone che gli artt. 25 e 26 della legge 10 aprile 1951, n. 287 sulle corti di assise vengano modificati nel senso di prevedere che la nuova sessione inizi immediatamente dopo la conclusione della sessione precedente (articoli 29-32). A tale scopo occorre che la estrazione dei giudici popolari avvenga non quindici giorni prima dell'inizio della sessione, ma quindici giorni prima della conclusione della sessione in corso e che il giuramento dei giudici popolari e la formazione del collegio avvenga immediatamente alla stessa udienza di convocazione dei giudici popolari estratti. La soluzione puo' apparire gravosa per tutte quelle corti di assise il cui lavoro in realta' richiede solo saltuarie sessioni. E comunque determina sicure difficolta' nel periodo feriale in cui la reperibilita' dei giudici popolari e' difficilmente ottenibile. Ma il sistema vigente impedirebbe la applicabilita' del giudizio direttissimo e di quello immediato in ogni caso in cui la corte di assise non sia in sessione. In una prospettiva piu' ampia sono certo ipotizzabili riforme piu' incisive dell'istituto della corte di assise. Ma l'esigenza di mantenersi ora nei limiti della stretta necessita' di riforme funzionali alla applicazione del nuovo codice di procedura penale, consiglia di contenere in quanto proposto le modifiche da apportare alla disciplina della corte di assise. L'articolato proposto, in materia di disciplina della corte di assise, risponde alla modifica sopra indicata e, in larga parte, riformula disposizioni vigenti alla luce della necessita' di immettere in servizio i giudici popolari fin dall'inizio della sessione e non soltanto in occasione del primo dibattimento da svolgere. 9. Concludendo la presente relazione si segnala che l'art. 8 della legge-delega prevede il raccordo con la Commissione parlamentare solo per il testo delle nuove disposizioni sul processo penale, mentre non contiene espresso riferimento alle norme sull'ordinamento giudiziario di cui all'art. 5. Sembra che il mancato richiamo alle norme di ordinamento giudiziario sia da ricollegare al difettoso coordinamento della delega per l'ordinamento giudiziario - inserita nel testo alla fine dei lavori parlamentari - con il resto della legge. Ove la legge dovesse essere interpretata letteralmente la delega per l'ordinamento giudiziario sarebbe tra l'altro priva di termine, con gravi conseguenze anche sul punto della legittimita'. E' tuttavia possibile una interpretazione che riconduca anche le norme di ordinamento giudiziario emanate in forza della delega alla procedura di cui agli artt. 8 s. della legge. Tale procedura e' infatti prevista anche per le norme di attuazione e coordinamento e per quelle transitorie, comprese quelle relative all'ordinamento giudiziario (art. 9 in rapporto all'art. 6, che richiama anche l'art. 5). Cosicche' puo' sostenersi che, a maggior ragione, la richiamata procedura ed i relativi termini riguardano le norme di ordinamento giudiziario. RELAZIONE Il testo delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario viene oggi presentato al Consiglio dei Ministri, unitamente al testo del nuovo codice di procedura penale ed a quello del processo minorile, nel pieno rispetto dei tempi, pur brevissimi, previsti dal comma 4 dell'articolo 8 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81. La necessita' di modifiche all'ordinamento giudiziario in vista della riforma del processo penale venne ripetutamente sostenuta in sede di lavori parlamentari, anche se non furono sviluppate specifiche indicazioni normative. La legge-delega del 1974 non prevedeve, infatti, alcuna direttiva per la riforma dell'ordinamento giudiziario. ma anche la legge-delega n. 81 del 1987 e' stata assai parca nel fornire direttive esplicite, essendosi limitata, nell'art. 5, a concedere delega relativamente alle "norme necessarie per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico di imputati minorenni". E peraltro, principi e criteri direttivi sono sicuramente desumibili dagli artt. 2 e 3 della legge n. 81/1987, concernenti il codice di procedura penale, sia in via immediata, perche' alcune direttive hanno per oggeto l'ordinamento giudiziario (es. dir. 68 e 103), si in via di conseguenza necessaria delle soluzioni adottate nel testo delegato di codice. La limitatezza delle indicazioni e' stata, percio', percio', interpretata nel senso che il Parlamento non ha inteso dare delega per la organica riforma dell'ordinamento giudiziario, prevista dalla VII disposizione transitoria della Costituzione, ma soltanto delegare le modifiche di quello vigente nella misura strettamente necessario ad adeguarlo al nuovo rito penale. Nel rispetto di tali limiti, il Governo ha approvato nel gennaio 1988 il Prgetto preliminare delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario, avvalendosi dei lavori di una Commisione ministeriale, appositamente costituita e presieduta dal dott. Vladimiro Zagrebelsky. Il Progetto preliminare, accompagnato da una analitica Relazione, e' stato inviato alla Commissione parlamentare, prevista dall'art. 8 della legge n. 81 del 1987, essendosi ritenuta applicabile la procedura in esso disciplinata, per effetto di sicura interpretazione sistematica degli artt. da 6 a 9 della legge predetta. E' stato, altresi', chiesto il parere del Cosiglio superiore della magistratura nonche' il parere della Corte di cassazione, dei Consigli giudiziari, dei Consigli degli ordini degli avvocati e procuratori e delle Facolta' giuridiche delle universita'. Il Progetto preliminare e' stato restituito nel maggio 1988 dalla Commissione parlamentare senza osservazioni ( salvo quelle indirette ricavabili dal Parere sul Progetto preliminare del codice di procedura penale e delle norme relative al processo a carico di imputati minorenni). E' conseguentemente da ritenere che la Commissione parlamentare abbia positivamente valutato la conformita' dell'articolato alle direttive ricavabili dalla legge-delega. Il Progetto definitivo approvato dal Governo nel luglio 1988 presenta, rispetto al testo preliminare, un certo numero di variazioni che completano e perfezionano l'intervento normativo, pur senza modificarne le linee di fondo e le norme di maggior portata gia' valutate positivamente. Si tratta, talvolta, di modifiche puramente formali o di collocazione sistematica. Altre volte si tratta di modifiche o di integrazioni che derivano dalla considerazione dei pareri pervenuti dalle istituzioni richieste. Sono da segnalare anche integrazioni del primo testo, che discendono dalla necessita' di disciplinare compiutamente una attivita' amministrativa - coinvolgente il Consiglio superiore della magistratura ed il Ministero di grazia e giustizia - da mettere in opera secondo cadenze temporali che precedono l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Si e' considerato che il termine di vacatio legis non superiore ad un anno, previsto dall'articolo 4 (e 3 lettera p) della legge-delega, rendesse indispensabile che talune norme concernenti l'ordinamento giudiziario entrassero in vigore immediatamente in modo che non potessero avere tempestivo corso gli adempimenti necessari alla istituzione dei nuovi uffici giudiziari, alla soppressione degli uffici di istruzione penale dei tribunali e delle sezioni istruttorie delle corti di appello ed alla modifica della composizione e di organico di tutti gli uffici giudiziari interessati dalla modifica del processo penale. Le linee salienti del Progetto si possono cosi' sintetizzare: 1) abolizione delle funzioni del giudice istruttore, e, quindi, degli uffici di istruzione presso i tribunali e delle sezioni istruttorie presso le corti di appello; 2) istituzione dei giudici incaricati dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari nei tribunali, nei tribunali per i minorenni e nelle preture, nonche' delle sezioni che li coordinano nei tribunali e nelle preture divise in sezioni; 3) piu' incisiva distinzioni delle funzioni giudicanti e delle funzioni requirenti, prevedendo un giudizio di attitudine per il passaggio dei magistrati dall'una all'altra funzione e vietando le supplenze e le applicazioni negli uffici del pubblico ministero da parte di magistrati degli uffici giudicanti; 4) rilievo della pretura capoluogo di circondario, alla cui direzione e' assegnato un magistrato di corte di appello, quale effetto delle attribuzioni delle funzioni di giudice delle indagini preliminari anche per i procedimenti di competenza delle preture mandamentali e quale anticipazione delle riforma in itinere che prevede la trasformazione di queste ultime preture in sezioni distaccate della pretura circondariale; 5) istituzione delle procedure della Repubblica presso le preture aventi sede nel capoluogo di circondario, con competenza per tutti i reati commessi nel circondario medesimo, attribuiti per materia al pretore, e utilizzazione dei vice procuratori onorari per i dibattimenti avanti al pretore; 6) totale copertura dell'anno giudiziario con quattro sessioni trimestrali di corte d'assise, al fine di assicurare la continua presenza dell'organo giudiziario, necessaria per il giudizio direttissimo e per la piu' rapida fissazione del dibattimento da parte del giudice dell'udienza preliminare. Il testo definitivo corrisponde nelle linee esenziali a quello inviato alla Commissione parlamentare, per il secondo parere previsto dall'art. 8, comma 3 della legge-delega, parere che, di massima favorevole, ha formulato taluni rilievi integralmente recepiti. Del contenute delle singole disposizioni si e' dato ampio conto nella Relazione al Progetto preliminare. Percio' qui di seguito si trattera', articolo per articolo, delle sole modifiche o integrazioni apportate a quel testo in sede di definitiva redazione dell'articolato, nonche' di talune osservazioni critiche al testo provvisorio, pervenute tardivamente. ILLUSTRAZIONE DEGLI ARTICOLI Art. 1. - Il testo definitivo riporta, con migliore successione sistematica, lo stesso elenco di giudici contenuto nel Progetto preliminare. Una omissione materiale e' stata riparata con l'aggiunta dell'aggettivo "suprema" riferito alla corte di cassazione. Il riferimento all'ufficio di sorveglianza e' stato sostituito con quello al giudice di sorveglianza, poiche' il testo riguarda gli organi giudicanti e non gli uffici giudiziari. Si e' modificata la dizione del tribunale tout court in "tribunale ordinario", in coerenza con la nuova denominazione adottata in linea generale (art. 10). Art. 2. - Il testo, a fini di chiarezza, differisce dal preliminare per la menzione della corte suprema di cassazione separatamente dalle corti di appello e per il piu' preciso riferimento alle preture aventi sede nel capoluogo di circondario. Art. 3. - L'articolo contiene il rinvio agli artt. 35 comma 3, 46 comma 4 e 50 -bis dell'ordinamento giudiziario, cosi' correggendo il testo del Progetto preliminare che, per errore materiale, conteneva il rinvio all'abrogato articolo 44. Il nuovo testo, inoltre, prevede espressamente che per la formazione delle tabelle della corte suprema di cassazione, il Consiglio superiore della magistratura provvede sulle proposte del primo presidente, senza che, come per le corti di appello, sia sentito il consiglio giudiziario. Il consiglio giudiziario, infatti, non e' previsto per la corte di cassazione. Al comma 2 il riferimento al Ministero di grazia e giustizia e' stato corretto con quello al Ministro, cui personalmente competono le facolta' previste nell'art. 11 della legge 195 del 1958. Art. 4. - Il riferimento ai "processi" penali e' stato precisato in "affari" penali, conformemente alla rubrica, per ricomprendere ogni affare penale, anche diverso dal processo. E' stato inoltre espressamente previsto, nel comma 1, che il Consiglio superiore della magistratura, nel determinare i criteri di assegnazione degli affari, richiami il criterio di cui al n. 40 ultima parte dell'art. 2 della legge-delega. In sede di norme di attuazione occorrera' provvedere al raccordo tra la presente disposizione e quelle del codice di procedura penale che prevedono la indicazione del giudice del dibattimento nel provvedimento del giudice dell'udienza preliminare o del pubblico ministero. Circa il rilievo del Consiglio superiore della magistratura a proposito della limitazione della disciplina contenuta nel presente articolo alla sola assegnazione degli affari penali ai giudici, l'esclusione degli uffici requirenti dalla disciplina di cui si tratta e' parsa necessitata in questa sede, potendosi in attuazione della delega, solo adeguare l'ordinamento giudiziario a quanto dispone il nuovo codice di procedura penale. E, come si e' illustrato nella Relazione al Progetto preliminare (p. 386), dal nuovo codice e dai lavori che lo hanno preparato si ricava la considerazione, per il profilo che qui interessa, dei soli uffici dei giudici. Art. 5. - Al comma 2 il rinvio alla tabella D annessa al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1966, n. 1185, contenuto nel testo del Progetto preliminare, e' stato sostituito con la menzione delle preture aventi sede nel capoluogo di circondario, conformemente a quanto stabilisce il testo dell'art. 31, sul presupposto che - anche prima delle necessarie riforme riguardanti le circoscrizioni giudiziarie - con il nuovo sistema processuale le preture aventi sede nel capoluogo di circondario assumeranno tutte una importanza maggiore a seguito della concentrazione di competenza stabilita dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari. Art. 6. - Il comma 1 dell'art. 34 dell'ordinamento giudiziario, rispetto al testo del Progetto preliminare, e' stato modificato anche in vista della necessaria riforma delle circoscrizioni delle preture - con espressa menzione anche delle sezioni distaccate della pretura. E' stato poi menzionato l'art. 39 dell'Ordinamento giudiziario, allo scopo di rendere chiaro il senso del riferimento al magistrato che presiede - come quell'articolo prevede - una sezione di giudici monocratici. Nel testo definitivo dell'art. 34, inoltre, la non omogeneita' delle espressioni "magistrati" e "vice pretori onorari", evidenziata dalla Commissione parlamentare, e' stata superata mediante le seguenti modifiche: nella rubrica la dizione e' stata sostituita con quella di "magistrati ordinari e onorari" e, di conseguenza, nei commi 1 e 3 il termine "magistrati" e' stato modificato con "pretori". Art. 7. - E' stata aggiunta, nel comma 1, la sostituzione del termine "annualmente" con il termine "biennalmente", in considerazione di quanto stabilito all'art. 3. Eguale modifica e' stata prevista per l'art. 39 comma 3 dell'ordinamento giudiziario. E' stato semplificato il testo originario del comma 2 dell'art. 35 ord. giud., facendo riferimento alla disciplina dell'art. 39 ord. giud. e non piu' prevedendo che la sezione dei giudici per le indagini preliminari debba necessariamente essere diretta da un presidente di sezione della pretura. Art. 8. - La modifica dell'art. 39 comma 3 ord. giud. e' stata ritenuta necessaria per adeguare la disposizione alla formazione biennale (e non piu' annuale) delle tabelle delle preture divise in sezioni. Art. 9. - E' stato spostato, per ragioni di migliore sistematica, il contenuto dell'art. 12 del testo del Progetto preliminare. Art. 10. - Il comma 1 deriva dallo spostamento, effettuato per ragioni sistematiche, del contenuto dell'art. 13 del testo definitivo. Il comma 2 apporta la conseguente modificazione terminologica in tutte le disposizioni dell'ordinamento giudiziario non modificate con il presente testo normativo. Uguale adeguamento per tutte le altre disposizioni di ordinamento giudiziario potra' essere apportato con le disposizioni di coordinamento, mentre per il codice di procedura potra' dirsi che la espressione "tribunale" indica il tribunale ordinario. Artt. 11 e 12. - Il testo dei due articoli e' rimasto invariato. Art. 13. - E' stata aggiunta, al comma 3 dell'art. 46 ord. giud., la menzione della formazione delle tabelle ai sensi dell'art. 7-bis, al fine di collegare la previsione normativa con il nuovo sistema di formazione tabellare introdotto con l'art. 3. E' stata inoltre limitata, nel comma aggiunto, la previsione della attribuzione ad un presidente di sezione del tribunale della direzione della sezione dei giudici per le indagini preliminari, ai soli tribunali ove ora e' istituito un ufficio delle istruzioni penali, diretto da un consigliere istruttore. Il testo del Progetto preliminare, infatti, avrebbe determinato difficolta' di applicazione nei piccoli tribunali divisi in sezioni, ove risultava non necessaria ed eccessiva la assegnazione di un presidente di sezione alla sezione dei giudici per le indagini preliminari e ove l'organizzazione del lavoro di piu' giudici per le indagini preliminari puo' essere rimessa al piu' anziano di essi. Art. 14. - Il comma 1, rispetto al testo del Progetto, e' stato modificato eliminando la previsione di una sezione dei giudici per le indagini preliminari, diretta da un presidente di sezione nei tribunali per i minorenni divisi in sezioni. Tale ripartizione in sezioni, infatti, attualmente riguarda un solo tribunale per i minorenni. E' parso d'altra parte utilizzabile il normale criterio (gia' ora attuato quando a piu' giudici istruttori non sia preposto un consigliere istruttore) per cui l'organizzazione del lavoro di piu' giudici e' rimessa al piu' anziano di essi. E' stato poi aggiunto un comma 2, con il quale, conformemente a quanto rilevato e suggerito dalla Commissione parlamentare nel Parere sul Progetto preliminare delle norme sul processo a carico di imputati minorenni, si rimettono ad un collegio composto da un magistrato e da due giudici onorari i provvedimenti da assumere in udienza preliminare. Si e' ritenuto che le ragioni che spingono verso la collegialita' del giudice dell'udienza preliminare non riguardino, invece, i provvedimenti del giudice per le indagini preliminari e che dalla legge-delega non si ricavi la necessita' di identica strutturazione (monocratica o collegiale) del giudice per le indagini preliminari in ogni esplicazione della sua competenza. Il rilievo della Commissione parlamentare, conforme ai suggerimenti provenienti da una parte degli addetti allo specifico campo di giurisdizione, e' parso da accogliere, nonostante che difforme sia stato il parere del Consiglio superiore della magistratura, che ha ritenuto di ricavare dalla legge-delega la necessaria monocraticita' del giudice per le indagini preliminari e la impossibilita' di differenziarne la composizione con riferimento ai diversi provvedimenti. Art. 15. - Al punto b) e' stato fatto specifico riferimento alle funzioni attribuite alla corte di appello dal codice di procedura penale, diverse dai giudizi di appello avverso sentenze pronunciate in primo grado. Art. 16. - Rispetto al testo del Progetto si e' provveduto ad una semplificazione, resa possibile dal rinvio alla formazione delle tabelle disciplinata dall'art. 7 bis ord. giud. Art. 17. - Il testo di questo articolo non ha subito alcuna modifica. Art. 18. - Nell'articolo la parola "collegio" e' stata espunta perche' si e' condiviso il rilievo della Commissione parlametare circa la incongruita' della espressione con riferimento a quella "sezioni" adoperata all'inizio del comma. Si e' proceduto alla riformulazione del secondo periodo tenedo conto dell'indicato suggerimento e delle necessita' di una lettura piu' scorrevole del testo. Art. 19. - Il tenore letterale dell'art. 66 comma 3 ord. giud., e' stato modificato esplicitando il richiamo all'art. 7 bis ord. giud. per la formazione delle tabelle. Art. 20. - Nel comma 1, ultima parte, e' stato fatto ricorso alla piu' precisa indicazione delle preture di ciascun circondario. Nel comma 3, ultima parte, e' stata espressamente considerata la possibilita' di designazione di piu' magistrati del pubblico ministero per il dibattimento. Art. 21. - L'art. 71 ord. giud., nel primo testo sottoposto alla Commissione parlamentare, era abrogato. Ferma restando tale abrogazione si e' inserito nell'art. 71 una nuova disposizione conseguente alla opportunita' di prevedere la possibilita' di nomina di vice procuratori onorari presso le procure della Repubblica aventi sede nel capoluogo di circondario, al fine di evitare la delega per il dibattimento a vice pretori onorari, che era prevista nel testo del Progetto preliminare. E' stato rilevato, infatti, che tale disposizione viola la direttiva 103 della legge-delega la' dove prevede la distinzione delle funzioni di pubblico ministero e di giudice nel processo pretorile. Si e' cosi' prevista una figura professionale analoga a quella del vice pretore onorario (donde il richiamo all'art. 32 comma 1 ord. giud. ed alle disposizioni sulla nomina dei vice pretori onorari), ma destinata ad esercitare soltanto le funzioni di pubblico ministero nei dibattimenti pretorili. La limitazione a tali funzioni, previa delega del procuratore della Repubblica ai sensi dell'art. 72 ord. giud., deriva sia dalla ragione sottostante l'istituzione dei vice procuratori onorari, sia dal fatto che l'unica funzione ad essi attribuita dall'ordinamento e' appunto quella che discende dalla delega per il dibattimento. Nel prevedere la nuova figura, si e' ritenuto che la norma di cui all'art. 106 comma 2 Cost. non implichi divieto per l'istituzione di pubblici ministeri onorari, ma solo delimiti le possibilita' di nomina di giudici onorari. Art. 22. - La formulazione originaria - in ordine alla quale e' sopravvenuto il parere favorevole del Consiglio superiore della magistratura, pur con osservazioni di cui si e' tenuto conto - ha subito alcune modificazioni. Nel comma 1 si e' sostituita la dizione "vice pretori onorari" con quella di "vice procuratori onorari" per le ragioni espresse illustrando le modifiche all'art. 71 ord. giud. Nel comma 2 la originaria previsione della irrevocabilita' della delega conferita dal procuratore della Repubblica ( che si ricollega alla direttiva n. 68 della legge-delega) e' stata sostituita, per ragioni di coerenza, con il rinvio alla disciplina generale della sostituzione del magistrato professionale, che svolge funzioni di pubblico ministero in udienza. Artt. 23, 24 e 25. - E' stato confermato il testo del Progetto preliminare, salvo minime correzioni formali. Art. 26. - Il testo ritorna a quello attualmente vigente dell'art. 98 ord. giud., aggiornandolo con il richiamo ai giudici per le indagini preliminari, anziche' ai giudici istruttori. Art. 27. - Si tratta di una disposizione nuova. Essa elimina l'attuale previsione della supplenza di magistrati del pubblico ministero da parte di magistrati degli uffici giudicanti. Art. 28. - La previsione - introdotta nel testo definitivo - che la applicazione di magistrati del pubblico ministero ad uffici rispetto ai quali sorga necessita' possa avvenire anche quando l'organico di tali uffici sia integralmente coperto, risponde ad esigenze improvvise e temporanee che, nel sistema vigente, rischiano di rimanere insoddisfatte. La temporaneita' della applicazione ad altro ufficio e la informativa al Consiglio superiore della magistratura, conformemente alla giurisprudenza costituzionale, apparivano adeguatamente garantire il magistrato applicato da provvedimenti che confliggessero con la ratio della inamovibilita' costituzionalmente prevista. La Commissione parlamentare, tuttavia, ha svolto consistenti rilievi sull'articolo sotto il profilo che la formulazione risultante dal Progetto preliminare avrebbe richiesto, per meglio assicurare un corretto e adeguato uso nell'applicazione temporanea, la predisposizione di particolari cautele con riferimento alle reali esigenze degli uffici. E' stato cosi' previsto, nel testo definitivo, che il provvedimento sia disposto con decreto motivato e sentito il parere del consiglio giudiziario; e' stato pure precisato che le imprescindibili esigenze, presupposto del provvedimento, devono essere riferite all'ufficio di applicazione e queste devono essere prevalenti rispetto all'ufficio di provenienza. Art. 29. - Corrisponde al testo originario. Su tale testo il Consiglio superiore della magistratura ha osservato che la sottolineatura della distinzione delle funzioni giudicanti e requirenti mette in ombra altre distinzioni che egualmente si legittimerebbero (penale-civile; merito-legittimita'), suggerendo di attenuare la previsone normativa in ordine al passaggio dall'una all'altra funzione e rilevando la difficolta' di rilevare la sussistenza di specifiche attitudini per una delle funzioni, quando il magistrato non le abbia mai esercitate. Non si e' ritenuto di mutare il testo normativo per la considerazione che i limiti della legge-delega certamente impediscono una riforma che dia rilievo a distinzioni funzionali diverse da quelle giudicanti e requirenti. Sul merito poi della scelta operata in favore della unita' della magistratura - con esplicitazione nell'art. 190 delle unicita' del concorso di ammissione e del tirocinio, gia' previsti dal sistema vigente - si rinvia alla Relazione sul Progetto preliminare (p. 387). Nel testo definitivo, su suggerimento della Commissione parlamentare, per il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti alle requirenti e viceversa, e' stata pretermessa la qualificazione di "specifiche" rispetto alle necessarie attitudini richieste. Art. 30. - Si tratta di una nuova disposizione, che modifica l'art. 13 comma 2 e comma 4 del r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, allo scopo di adeguare il sistema della vigilanza sui magistrati del pubblico ministero alla istituzione dei nuovi uffici del procuratore della Repubblica presso le preture aventi sede nel capoluogo di circondario. Art. 31. - Il nuovo testo si differenzia da quello dell'originario art. 28 perche' al numero 1 considera anche i presidenti dei tribunali per i minorenni e i procuratori della Repubblica presso i tribunali stessi (nulla innovando rispetto alla normativa vigente, con riferimento anche all'art. 71 ord. giud., il cui testo viene sostituito dall'art. 20 del presente provvedimento). Al n. 2 si prevede che siano assegnati magistrati di appello, con funzioni di pretori dirigenti, alle preture aventi sede nel capoluogo di circondarie e, con funzioni di procuratore della Repubblica, alle procure della Repubblica presso le stesse preture. Si mantiene cosi' l'attuale equiparazione di funzioni tra dirigenti degli uffici giudicanti e degli uffici requirenti. Si veda anche l'art. 5 del presente provvedimento. Art. 32. - Si tratta di nuova previsione, conseguente a quella di cui all'articolo che precede. Art. 33. - L'articolo contiene una nuova previsione, resa necessaria dalla cessazione del vigente sistema di formazione dei ruoli della corte di assise, cui i giudizi - secondo la previsione del nuovo codice di procedura penale - verranno direttamente assegnati dal giudice per le indagini preliminari. Sul punto v. anche sub art. 4 del presente provvedimento. Si prevede che la corte di assise sia sia sempre in sessione e possa quindi sempre ricevere i provvedimenti che le vengono trasmessi. Si prevede anche che i dibattimenti iniziati nel corso di una sessione siano conclusi dallo stesso collegio, anche quando nel frattempo la sessione e' terminata ed altri giudici popolari sono stati chiamati ad esercitare le loro funzioni. Al comma 2 e' stata mantenuta, adattandola al nuovo sistema di sessione permanente, la possibilita' che il presidente della corte di appello disponga per motivi organizzativi che la corte di assise o la corte di assise di appello tenga udienza in luogo diverso da quello di normale convocazione. Art. 34. - Rispetto alla formulazione originaria, si eliminata la previsione dell'avviso della data di estrazione e della data di comparizione dei giudici popolari estratti ai difensori delle parti delle cause da trattare nella sessione, dal momento che non vi sara' piu' un ruolo di cause della sessione. Art. 35. - Si e' corretto l'errore materiale del rinvio previsto alla fine del comma 3. Art. 36. - Corrisponde al testo originario. Art. 37. - E' stata accolta una modifica migliorativa di carattere formale suggerita dalla Commissione parlamentare. Art. 38. - Con tale articolo si dispone che vengano apportate le variazioni alle piante organiche sia per quanto riguarda i presidenti di sezione nei tribunali ove viene istituita la sezione dei giudici per le indagini preliminari, sia per quanto e' reso necessario dalla abrogazione dell'art. 1 della legge 22 dicembre 1973 n. 884. Viene inoltre stabilito che il Consiglio superiore della magistratura provveda, almeno tre mesi prima della data di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, alle variazioni tabellari conseguenti al nuovo assetto degli uffici giudicanti, presso i quali da un lato cessano le funzioni di giudice istruttore e dall'altro sono previsti i giudici per le indagini preliminari. Nello stesso termine il Consiglio superiore della magistratura dovra' approvare i criteri per l'assegnazione degli affari penali previsti dal nuovo art. 7- bis ord. giud., in modo che essi possano essere applicati sin dal primo giorno di funzionamento del nuovo codice. Art. 39. - La disposizione, a seguito della abolizione degli uffici di istruzione penale, abroga l'art. 1 della legge 22 dicembre 1973 n. 884, che prevede che la dirigenza di alcuni uffici di istruzione sia attribuita a magistrati di cassazione. Di conseguenza, nella tabella del ruolo organico della magistratura allegata alla citata legge, vanno diminuiti i posti di consiglieri della corte di cassazione e corrispondentemente aumentati i posti della categoria (globalmente considerata nel ruolo organico) di magistrati di corte di appello, magistrati di tribunale ed aggiunti giudiziari. Alla detta necessita' corrisponde la tabella allegata al presente decreto. Nel comma 3, si disciplina la destinazione dei magistrati degli uffici di istruzione penale che ricoprono posti di organico (consiglieri istruttori e consiglieri istruttori aggiunti). Si richiama il sistema previsto dal vigente art. 2 comma 3 e 5 del r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, ammettendo tuttavia che tali magistrati possano essere assegnati anche in soprannumero, con riassorbimento al momento della vacanza di posti corrispondenti. La possibilita' di assegnazione anche in soprannumero tende a rendere possibile la assegnazione del magistrato nella stessa sede ove ha esercitato le funzioni che vengono a cessare. Tale possibilita' non riguarda peraltro i posti direttivi. La disposizione, inoltre, esclude che per tali magistrati siano richiesti termini minimi di permanenza nel nuovo ufficio, quale condizione di legittimazione alla partecipazione a concorsi per altri posti. Cio' al fine di ascludere l'ingiustificato pregiudizio che i detti magistrati subirebbero rispetto all'ottenimento, a seguito di normale concorso, di posti cui aspirano e per i quali abbiano gia' maturato il termine minimo di legittimazione previsto dalle disposizioni vigenti. Art. 40. - La disposizione istituisce gli uffici del procuratore della Repubblica presso le preture aventi sede nel capoluogo di ciascun circondario e scandisce i tempi degli adempimenti necessari, in modo che i nuovi uffici possano iniziare a funzionare in tempo utile alla applicazione del nuovo codice di procedura penale. La Commissione parlamentare, in sede di parere sul testo del nuovo codice di procedura penale, ha preso in esame la disposizione del codice (art. 550) che, elencando gli organi giudiziari che intervengono nel processo pretorile, menziona la procura della Repubblica presso le preture aventi sede nel capoluogo di ciascun circondario. Sul punto la Commissione parlamentare ha da ultimo espresso valutazione favorevole. Art. 41. - Con la disposizione si prevede che in via temporanea non vengano istituiti gli uffici di procura della Repubblica presso le preture aventi sede nel capoluogo di circondario di una serie di piccoli tribunali non provinciali elencati nella tabella allegata. In tali sedi, aventi piante organiche di piccole dimensioni, le funzioni di pubblico ministero, anche presso le preture, possono essere esercitate dal procuratore della Repubblica presso il tribunale (salva la revisione degli organici di tali uffici). La norma ha carattere temporaneo legato alla necessaria riforma delle circoscrizioni dei tribunali. La temporaneita' della norma e il suo fondamento in esigenze pratiche presenti nei primi tempi di avvio del nuovo sistema processuale, e' sottolineata dal termine triennale previsto per l'ipotesi in cui non si provveda alla revisione delle circoscrizioni dei tribunali. In tale ipotesi anche presso le preture di cui alla allegata tabella dovranno essere istituiti gli uffici della procura della Repubblica. Art. 42. - L'articolo contiene disposizioni dirette a rendere possibile il passaggio dal sistema vigente (che prevede la convocazione della corte di assise e della corte di assise di appello dopo la formazione dei ruoli - art. 7 della legge speciale nel testo antecedente alla modifica ad esso apportata dall'art. 33 del presente decreto) al sistema di sessioni continuate di durata trimestrale (nuovo testo del citato art. 7). Il comma 1 espressamente considera l'ipotesi in cui quindici giorni prima della data di entrata in vigore del nuovo codice, la corte di assise o di assise di appello sia in sessione. Nel caso invece in cui la corte a quella data non sia in sessione non sorge un particolare problema di disciplina, trovando applicazione gli artt. 7 comma 1 e 25 legge 10 aprile 1951 n. 287 (come rispettivamente modificati dagli artt. 33 e 29 del presente decreto), nel senso che, quindici giorni prima della data di entrata in vigore del nuovo codice dovra' darsi corso agli adempimenti necessari alla costituzione della corte per il restante periodo dell'anno. La sessione cosi' istituita durera', come stabilisce il comma 2 del presente articolo, fino al 31 dicembre dell'anno di entrata in vigore del nuovo codice. La data stabilita per l'entrata in vigore esclude che siano ipotizzabili, in quell'anno, piu' sessioni trimestrali. Una disciplina particolare era invece necessaria per il caso in cui la corte di assise fosse in sessione quindici giorni prima della data di entrata in vigore del nuovo codice. In tal caso si stabilisce che il presidente proceda all'estrazione dei giudici popolari ai sensi dell'art. 25 della legge sulle corti di assise e compia i successivi adempimenti, in modo tale che alla data di entrata in vigore del nuovo codice la corte sia regolarmente costituita in sessione e, quindi, in grado di ricevere i processi da trattare nel dibattimento. Vi sara' percio', fino all'esaurimento della sessione in corso a quel momento (comma 2), una duplice composizione della corte di assise: la prima esaurira' il ruolo delle cause pendenti, la seconda rimarra' disponibile per i processi da trattare secondo il nuovo rito. Per effetto del comma 3 il nuovo sistema sara' pienamente operante a decorrere dall'inizio dell'anno successivo a quello dell'entrata in vigore del nuovo codice. L'art. 2 del decreto che recepisce il presente testo differisce, in linea generale, l'applicazione delle disposizioni in esso previste alla data di entrata in vigore del nuovo codice. Dovranno invece ricevere applicazione anticipata rispetto a tale data le disposizioni che prevedono adempimenti da compiersi anteriormente ad essa, e che quindi stabiliscono un termine diverso di applicazione, di volta in volta precisato: si tratta degli artt. 38, 40 e 42. A conclusione dei non agevoli lavori, il Ministro proponente ritiene doveroso che venga dato atto alla Commissione presieduta dal dott. Zagrebelsky del suo apporto di intenso lavoro, che ha permesso di rispettare i tempi previsti dalla legge e di presentare un risultato di altissimo pregio.