qua. Nella realta', si tratta di previsioni la cui ratio e' molto diversa. Il sistema e' infatti cosi' concepito: a) astensione facoltativa del magistrato del pubblico ministero in tutte le fasi del processo quando esistono "gravi ragioni di convenienza"; b) valutazione di tali ragioni da parte dello stesso magistrato con previsione della esistenza di dette ragioni; c) delega alla trattazione del processo dell'uno o dell'altro (o di piu' di un) magistrato del pubblico ministero secondo gli schemi organizzativi dell'ufficio; d) insostituibilita' del pubblico ministero delegato per le udienze; e) sostituibilita' in casi tassativamente elencati e pur in assenza di dichiarazione di astensione. L'elencazione dei casi risponde a due finalita': 1) quella di consentire un successivo controllo sul potere esercitato dal dirigente dell'ufficio (le modalita' del controllo dovranno essere disciplinate dalle norme sull'ordinamento giudiziario) e di impedire che si proceda a sostituzioni rispondenti a generici principi organizzativi dell'ufficio (viceversa applicabili in momenti diversi dalle udienze e grazie ai quali puo' anche ovviarsi alla omessa dichiarazione di astensione); 2) quella di rendere trasparente l'operato dell'ufficio del pubblico ministero, nei momenti piu' delicati del processo laddove piu' "intensa" e' la sua autonomia e, anche, di dare concretezza ai casi "di palese esistenza delle gravi ragioni di convenienza" (che, come si e' detto, ove non seguite da dichiarazione di astensione potranno dar luogo a sanzioni non processuali). L'articolo 55 istituisce meccanismi di coordinamento fra i diversi uffici del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. La norma ha ragion d'essere solo in relazione a questa fase, della quale e' dominus il pubblico ministero, poiche' un analogo problema non puo' prospettarsi in quelle successive, nelle quali ogni situazione del tipo in esame viene assorbita nei problemi di competenza del giudice. Il comma 2 esaurisce la regolamentazione dei conflitti tra uffici del pubblico ministero. In tale disciplina non sono compresi ne' i contrasti che possono insorgere all'interno di uno stesso ufficio (poiche' la loro soluzione rientra nei compiti ordinari del capo dell'ufficio) ne' i conflitti "positivi", i quali sono destinati ad insorgere in sede di udienza preliminare come conflitti di competenza tra giudici, trovando qui il momento naturale della loro denuncia, e che comunque sono evitati o composti, come conflitti virtuali che possono insorgere prima, dai meccanismi dell'art. 29 comma 3 e dell'art. 369 richiamati sub art. 52. La norma in esame si occupa quindi soltanto dei conflitti "negativi" tra i diversi uffici del pubblico ministero, la cui disciplina e' anzitutto caratterizzata - come si e' gia' osservato - dal fatto che, trattandosi di vicende che interessano una parte processuale, la loro soluzione e' contenuta e si esaurisce nell'ambito della stessa struttura organizzativa di tale parte. Per questa ragione si e' ritenuto - in conformita' al Progetto del 1978 - che l'organo chiamato a risolvere il conflitto insorto tra uffici del pubblico ministero debba essere il procuratore generale presso la corte di appello, se si tratta di uffici appartenenti allo stesso distretto, ed il procuratore generale presso la corte di cassazione, se si tratta di uffici appartenenti a distretti diversi. Va comunque chiarito che, con tale sistema, non si e' inteso attivare alcun potere gerarchico dal momento che si e' fatto riferimento a soggetti che non sono, rispetto ai magistrati in conflitto, gerarchicamente sovraordinati. La decisione del conflitto non puo' essere considerata, infatti, espressione di un potere gerarchico. In relazione al Progetto del 1978, la Commissione consultiva aveva suggerito una diversa soluzione: quella di portare la questione davanti ai giudici presso i quali i magistrati in conflitto esercitano le funzioni di pubblico ministero affinche' fossero quei giudici a sollevare formale conflitto davanti alla corte di cassazione. Si e' ritenuto pero' che la soluzione proposta avrebbe introdotto una rilevante complicazione del sistema. Il comma 3 dell'art. 55 prevede la utilizzabilita' degli atti, compiuti da un pubblico ministero non legittimato a procedere, in tutti i casi stabiliti dalla legge. Tale previsione e' sembrata opportuna per non sottrarre al procedimento impulsi ed acquisizioni probatorie non altrimenti recuperabili tenendo conto, da un lato, dei limiti che la legge pone alla utilizzabilita' degli atti compiuti dal pubblico ministero e, dall'altro, del fatto che, la natura di "parte" - sia pure pubblica - dello stesso pubblico ministero, impone, nel nuovo processo, il superamento della netta e rigorosa delimitazione dei poteri dei vari uffici i quali, specie nei primi momenti delle indagini, in una situazione in cui la polizia giudiziaria e' tenuta a riferire entro le quarantotto ore, devono avere la possibilita' di muoversi con una certa elasticita'. Del resto il legislatore delegante ha considerato anche tale esigenza quando ha prescritto, nella direttiva 16, la "disciplina dei rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero in sede penale durante le indagini preliminari". Proprio in relazione alla necessita' di attuare piu' compiutamente la direttiva 16 era stata prospettata l'opportunita' di introdurre, in questo titolo, un articolo di chiusura sul "coordinamento" tra uffici del pubblico ministero in indagini particolarmente complesse. Si e' pero' ritenuto che la materia dovesse trovare la sua collocazione nel libro sulle indagini preliminari per la considerazione che, non dovendo il collegamento riflettersi sulla funzione, sulla competenza o sulla struttura, il problema riguardava piu' l'attivita' di indagine in se' che il soggetto chiamato a svolgerla. La disciplina dei rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero che procedono a indagini collegate e' stata quindi collocata nell'art. 369. TITOLO III LA POLIZIA GIUDIZIARIA Premessa. Le norme sulla struttura e l'organizzazione della polizia giudiziaria rielaborano la materia compresa negli artt. 220, 221, 229 del codice vigente, 1 e 3 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932 e sono destinate - nella sistematica proposta per il nuovo codice - a collocarsi nel primo libro, dedicato ai soggetti del procedimento. Nella ripartizione interna degli argomenti e' stata attuata una rigorosa distinzione fra le norme che disciplinano i rapporti inter-soggettivi fra magistratura e polizia giudiziaria - la cui sede propria e' il codice - e le norme di natura piu' strettamente organizzativa, che sono state, invece, comprese nelle disposizioni di coordinamento e di attuazione, cosi' rispettando il criterio sistematico della vigente legislazione. Per tal motivo anche la materia dei doveri funzionali di ufficiali agenti e quella delle sanzioni disciplinari - che il codice attuale colloca nell'art. 229 - e' stata trasferita nelle disposizioni di attuazione. E' peraltro ovvio che tali norme costituiranno completamento della disciplina dettata dal codice e vanno percio' viste come il logico sviluppo dei principi generali che regolano la materia. La formulazione della direttiva 29 della delega del 1987, riproduce sostanzialmente l'art. 109 della Costituzione ed e' identica alla formulazione della direttiva 29 della delega del 1974 sulla base della quale fu a suo tempo redatto il Progetto preliminare del 1978. La disciplina del Progetto del 1978 (basata su incisive modifiche della normativa del 1955 per eliminarne gli inconvenienti e, altresi', sui principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 122 del 1971) e' stata pertanto mantenuta ferma nelle sue grandi linee. Si tratta, infatti, di un sistema che non rivoluziona i rapporti tra magistratura e polizia giudiziaria, ma, limitandosi realisticamente a razionalizzare, potenziare e rendere piu' concreta la disciplina del 1955 appare conforme alla volonta' espressa dal legislatore nel corso di tutti i lavori preparatori, anche relativi ai precedenti progetti di delega, a partire dal 1965 e fino al 1987, tenendo conto che in tutti i progetti in questione la formula della direttiva proposta ricalcava sempre l'art. 109 della Costituzione. Infatti, nel precedente lungo iter parlamentare, protrattosi per tre legislature (la IV, la V e la VI), fu ampiamente discusso il problema e, dall'esame del dibattito svoltosi in merito, emerge chiaramente che il Parlamento, da una parte volle escludere, con la formulazione della direttiva 29 della legge-delega del 1974, l'istituzione di un autonomo corpo di polizia giudiziaria posto alle dirette dipendenze della magistratura ovvero del ministro di grazia e giustizia, e, dall'altra parte, volle superare, attraverso un sistema piu' funzionale e razionale, le contraddizioni e le carenze che l'attuale sistema di rapporti tra polizia giudiziaria e magistratura importa nel concreto operare della polizia giudiziaria. Si ritiene che il Parlamento abbia manifestato la stessa volonta' anche in relazione alla legge-delega del 1987: non soltanto perche' ha approvato la direttiva 29 nella identica formula delle direttive precedentemente proposte, ma soprattutto perche' non ha ritenuto di discutere nuovamente (a lungo e nelle varie sedi) il problema. Nell'unica occasione in cui cio' e' accaduto (discussione, nella seduta della Camera dell'11 luglio 1984, degli emendamenti presentati dagli on.li Russo e Spagnoli) e' stata ribadita la netta opposizione all'istituzione di un corpo separato di polizia giudiziaria alle dirette dipendenze del magistrato e la decisione di soddisfare l'esigenza che il legislatore delegato realizzi un'effettiva dipendenza funzionale ma non gerarchica della polizia giudiziaria dalla magistratura (si veda, in particolare, l'intervento del ministro on. Martinazzoli, il quale ultimo, riferendosi al testo della direttiva poi approvata con il numero 29 affermava, tra l'altro: "... con questa formula si allude alla esigenza che il legislatore delegato preveda specifiche norme non tanto di attuazione, quanto di regolamentazione del principio costituzionale della disponibilita' della polizia giudiziaria da parte dell'autorita' giudiziaria".) Il fatto che il legislatore della VIII e IX legislatura abbia voluto confermare le scelte delle legislature precedenti, puo' evincersi dalla relazione al disegno di legge Martinazzoli n. 691/C (p. 9 e 10). Si deduce, comunque, dalla considerazione che, nel corso dei lavori successivi al Progetto preliminare del 1978, sono state introdotte modifiche (come, ad esempio, l'abolizione della fase istruttoria ed il conseguente ben piu' importante ruolo assunto dalle indagini preliminari) che hanno comportato la necessita' di una migliore definizione e, in certo senso, di un ampliamento dei poteri-doveri e degli obblighi della polizia giudiziaria ("anche ad evitare il rischio di una sua deresponsabilizzazione e per garantire l'efficacia dell'intervento nella primissima fase delle indagini, che e' spesso la piu' delicata e puo' rivelarsi decisiva ai fini di repressione e prevenzione" - v. relazione al disegno di legge Martinazzoli n. 691/C p. 4). Non sembra dubbio percio' che ancor oggi debbano valere le conclusioni a cui si era gia' pervenuti nel 1978. Sgombrato il campo dalle soluzioni che il legislatore delegante ha voluto escludere, il compito di ricavare dai lavori parlamentari indicazioni positive per il legislatore delegato si muove lungo direttive per certi aspetti obbligatorie. Se il problema vero, concretamente risolubile in brevi tempi e nei limiti della riforma del processo penale, non e' di creare un nuovo corpo di polizia giudiziaria, ma di rendere piu' efficienti e funzionali le attuali strutture, assicurando a tutti gli organi giudiziari effettivi poteri di disponibilita' e di controllo sulle forze di polizia che svolgono funzioni giudiziarie, la soluzione non puo' essere ricercata che in un potenziamento degli attuali nuclei di polizia giudiziaria ed in una piu' razionale strutturazione dei rapporti con l'autorita' giudiziaria. Si tratta cioe' di tradurre in norme positive la diffusa e ferma volonta' del Parlamento di superare le attuali disfunzioni organizzative e strutturali dei rapporti tra polizia e magistratura, tenendo conto della volonta' del legislatore delegante di porre gli organi che svolgono continuamente ed in via esclusiva funzioni di polizia giudiziaria alle effettive dipendenze, sia pur soltanto funzionali, dei singoli uffici giudiziari ed in particolare, degli uffici del pubblico ministero, gestori delle indagini preliminari. Le osservazioni fin qui esposte dimostrano come il legislatore delegante abbia inteso porre una direttiva elastica e non vincolante sul tema della polizia giudiziaria e della sua dipendenza funzionale dalla magistratura. Spetta, per conseguenza, al legislatore delegato ricercare una soluzione che dia attuazione al precetto dell'art. 109 Cost., il quale vede qui rafforzata la sua forza cogente, sia perche' la direttiva 29 ne ha recepito integralmente il contenuto, sia per l'esplicito richiamo che ad esso fa la legge-delega: "attuare i principi della Costituzione" (art. 2 alinea). Gia' il legislatore del 1955 affronto' il problema con la volonta' di scartare la soluzione del corpo specializzato e lo risolse in primo luogo costituendo appositi servizi delle forze di polizia ed assoggettandoli ad una piu' stretta dipendenza dal pubblico ministero, a cui attribuiva particolari poteri per quanto riguarda i movimenti di sede e le promozioni (art. 220 c.p.p., artt. 1, 2, 3 d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932). La riforma del 1955 impose inoltre a tutti gli ufficiali ed agenti investiti delle funzioni di polizia giudiziaria, ancorche' non appartenenti ai nuclei, il dovere di obbedire agli ordini impartiti dal magistrato e introdusse in caso di inadempienza particolari sanzioni disciplinari applicate dal procuratore generale del distretto di corte di appello (art. 229 c.p.p.). La Corte costituzionale si e' pronunciata positivamente sulla legittimita' di tali norme con la sentenza del 9 giugno 1971, n. 122, nella quale sono stati affermati i seguenti importanti principi: 1) la disponibilita' diretta da parte dell'autorita' giudiziaria, coi particolari poteri che essa comporta, non puo' riferirsi a tutte le forze di polizia; 2) in via eccezionale l'autorita' giudiziaria puo' servirsi del personale non appartenente ai nuclei specializzati di polizia giudiziaria: tale personale e' tenuto ad eseguirne gli ordini; 3) la formazione dei nuclei predetti e' legittima e trova fondamento nella finalita' di "garantire negli addetti una particolare specializzazione e di sottrarli, per quanto possibile, ai superiori gerarchici delle rispettive armi di appartenenza"; 4) e' auspicabile, in relazione alle note carenze organizzative riscontrate nella realta' di fatto, "che i nuclei specializzati di polizia giudiziaria siano formati in modo tale da garantire in ogni momento, sia per il numero e sia per la qualita' degli addetti, una loro costante ed efficace utilizzazione da parte del magistrato, e che... gli allontanamenti temporanei dei dirigenti siano ridotti al minimo e sia sempre assicurata la supplenza con altro personale idoneo". Le direttive fissate dalla legge-delega sul tema delle indagini preliminari e dei rapporti fra pubblico ministero e polizia giudiziaria (nn. 31-33 e 37) si innestano su queste sollecitazioni della Corte costituzionale nell'imporre una soluzione che renda, anche di fatto, piu' agevole l'utilizzazione degli organi ausiliari di polizia. Tali direttive impongono di sottrarre alla polizia giudiziaria il potere (di fatto) di formazione della prova per orientarla, piuttosto, alla ricerca della prova stessa, sotto la direzione del pubblico ministero che deve intervenire immediatamente. Ora, se l'esigenza dell'utilizzazione di una polizia giudiziaria priva di interferenze gerarchiche resta attenuata in un contesto che assegna la formazione della prova prevalentemente all'organo giurisdizionale (imparziale), la stessa esigenza viene invece ad essere fortemente accentuata in relazione alla funzione di ricerca della prova, che si e' voluta potenziare. Infatti, se il pubblico ministero deve dirigere fin dal primo momento l'indagine, all'uopo delegando alla polizia singole attivita', e se l'indagine deve concludersi, almeno agli effetti di formulare l'imputazione, al piu' presto e comunque entro i termini ristretti fissati dalla legge, diviene assolutamente necessario che i rapporti con il personale della polizia giudiziaria siano caratterizzati dalla massima fiducia, snellezza, continuita' e che sia eliminata ogni interferenza ritardatrice. Nel nuovo processo il pubblico ministero durante le indagini preli Il sistema previsto dal legislatore del 1955 non ha avuto soddisfacente applicazione pratica per il sovrapporsi di diversi indirizzi organizzativi da parte dei corpi di polizia, per la cronica mancanza di mezzi e, talora, per l'insufficiente iniziativa e per carenze tecnico-professionali dell'autorita' giudiziaria. Per tali ragioni il sistema in vigore, se mantenuto inalterato, sarebbe del tutto inidoneo nel nuovo processo e potrebbe pregiudicare il successo dell'intera riforma. Nella realta' di fatto sono state create, presso le questure, i comandi di legione dei carabinieri e della guardia di finanza, delle unita' organizzative variamente denominate (squadre mobili, nuclei operativi, etc.), dalle quali il personale, assegnato in via non esclusiva, puo' essere distolto per altri compiti, seguendo criteri di gestione e di razionalizzazione commisurati soltanto alle necessita' interne dei singoli corpi ed alle numerose finalita' loro attribuite dalle leggi istitutive. Soltanto pochi uomini, riuniti nelle piccole squadre di polizia giudiziaria presso le procure, sono stati destinati dall'arma dei carabinieri ad un servizio piu' continuativo in favore dell'autorita' giudiziaria. Nonostante tale diversita' d'impiego, tutto il personale delle predette unita' e squadre e' stato considerato componente dei servizi di polizia giudiziaria e ricompreso negli elenchi inviati al procuratore generale ed al procuratore della Repubblica, per ottemperare, cosi', al disposto dell'art. 1 d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932. Gli inconvenienti di tale sistema sono a tutti noti e sono stati ampiamente e unanimamente denunciati. L'allontanamento temporaneo dalle funzioni di polizia giudiziaria e' divenuto, come era logico data la promiscuita' d'impiego, un fatto del tutto ordinario, estremamente dannoso per la piena disponibilita' ed il tempestivo svolgimento delle indagini. Il potere di determinare il numero dei funzionari destinati ai servizi di polizia giudiziaria, nonche' il potere di assegnarveli o di rimuoverli lasciato alle gerarchie per gli ufficiali non dirigenti e per gli agenti, ha creato, specie nelle grandi sedi, un'eccessiva mobilita' del personale, la quale si e' aggiunta alla predetta promiscuita' d'impiego nell'impedire una seria specializzazione ed un'adeguata conoscenza del personale da parte del magistrato. Nelle squadre di polizia giudiziaria presso le procure tali inconvenienti si sono presentati in misura molto minore, ma l'esiguita' del personale e dei mezzi a disposizione ne ha impedito una utilizzazione corrispondente al bisogno. Infine la doppia dipendenza organizzativa e funzionale ha creato conflitti di lealta' all'interno e all'esterno, inframmettenze nello svolgimento delle indagini nonche' diffidenze pregiudizievoli per l'efficace svolgimento del servizio. Alla situazione sopra descritta si e' cercato di porre rimedio normativo con le norme riguardanti il coordinamento di forze di polizia contenute nella l. 1 aprile 1981, n. 121 (v. capo I, artt. 6, 8, 9, 12, 16, 18, 19, 21 e 22) ed, in particolare, con l'art. 17 che disciplina "funzioni e servizi di polizia giudiziaria" e testualmente dispone: "Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorita' giudiziaria in conformita' a quanto stabilito dal codice di procedura penale. A tal fine, il dipartimento della pubblica sicurezza provvede, nei contingenti necessari, determinati dal ministero dell'interno, di concerto con il ministero di grazia e giustizia, all'istituzione e all'organizzazione dei servizi di polizia giudiziaria anche in base alle direttive impartite dal ministero dell'interno nell'esercizio delle sue attribuzioni di coordinamento". Tuttavia non risulta che a tale disposizione sia stata data pratica attuazione. Nel ricercare la soluzione al problema la Commissione ha concordemente ritenuto che gran parte degli inconvenienti sopra descritti poteva essere eliminata con alcune incisive modifiche alla normativa, senza ricorrere ad un sistema di rapporti fra magistratura e polizia giudiziaria completamente nuovo. Percio' la disciplina elaborata non si discosta grandemente da quella introdotta dal legislatore del 1955 e si colloca sulla linea dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 122 del 1971, ai quali si e' inteso dare rigorosa attuazione, anche alla luce delle indicazioni emerse durante i lavori parlamentari. La nuova normativa tiene conto, inoltre, degli adattamenti che il sistema vigente ha dovuto subire in sede applicativa e si preoccupa di eliminare i principali difetti. Essa, infine, appare logicamente coerente, oltre che con il gia' citato art. 17 l. 1 aprile 1981, n. 121 e con le altre norme della stessa legge, sopra richiamate: con i compiti sempre piu' vasti attribuiti alla Guardia di finanza in materia di prevenzione e repressione della criminalita' economica ed organizzata (v. artt. da 3 a 7 l. 30 aprile 1976, n. 159, contenenti disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie, art. 2- bis comma 3 l. 31 maggio 1965, n. 575, contenente disposizioni contro la mafia, aggiunto dall'art. 14 l. 13 settembre 1982, n. 646 e modificato dall'art. 1 l. 23 dicembre 1987, n. 936 e, infine, artt. da 25 a 30 l. 13 settembre 1982, n. 646); con l'art. 35 l. 1 aprile 1981, n. 121, che, nell'abrogare l'art. 7 della l. 22 dicembre 1975, n. 685 (riguardante la direzione ed il coordinamento dell'attivita' di prevenzione e repressione del traffico illecito di stupefacenti) attribuisce ad un apposito servizio della direzione centrale della polizia criminale, istituito presso il Dipartimento della pubblica sicurezza, in cui confluiscono personale, strutture e dotazioni dell'Ufficio antidroga (composta anche da ufficiali designati dai comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza), i compiti e le attribuzioni gia' conferiti all'Ufficio antidroga stesso. Gli articoli riguardanti la polizia giudiziaria sono stati redatti tenendo presente tutto quanto fin qui esposto, ma prima di illustrarli e' necessario segnalare che: 1) le norme del nuovo codice disciplinanti i rapporti intersoggettivi tra magistratura e polizia giudiziaria, in tanto potranno far funzionare il nuovo sistema (imperniato sulle indagini preliminari, sull'attivita' del pubblico ministero e della polizia giudiziaria e sui rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria) in quanto vengano attuate anche le norme di natura piu' strettamente organizzativa e quelle disciplinanti la materia dei doveri funzionali e delle sanzioni disciplinari di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, comprese nelle disposizioni di attuazione; 2) considerando il ruolo fondamentale che la polizia giudiziaria e' chiamata a svolgere nelle indagini preliminari, ed i limiti temporali e funzionali alle sue attivita' (vedi in particolare artt. 326, 327, 329, 330, 331 e da 347 a 357), solo se tali limiti saranno colmati, da una parte, con il potenziamento quantitativo, qualitativo, strutturale ed organizzativo, della polizia giudiziaria e, dall'altro lato, con un rapporto effettivo, immediato e diretto, tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, sara' possibile realizzare, in concreto, il sistema prefigurato dal legislatore delegante. A questo punto e' opportuno passare all'esame della disciplina adottata. E' stata stabilita una triplice graduazione nella disponibilita' della polizia giudiziaria e nella conseguente sua dipendenza funzionale dalla magistratura. Ad un primo e piu' ampio livello si e' previsto che i magistrati possono servirsi di qualsiasi organo di polizia giudiziaria e correlativamente che tutti gli ufficiali ed agenti hanno il dovere di compiere le attivita' loro affidate (art. 60 comma 3). La norma non tocca i rapporti di dipendenza amministrativa degli ufficiali ed agenti dai corpi di rispettiva appartenenza e non innova, percio', la disciplina vigente (artt. 220 comma 1 e 229 comma 1 c.p.p.), anche se ne da' una formulazione tecnicamente piu' precisa. Ad un secondo livello, e fermo restando il principio di piena disponibilita', e' stata prevista una dipendenza piu' stretta per i servizi di polizia giudiziaria istituiti ed organizzati a norma dell'ultima parte dell'art. 17 l. 1 aprile 1981, n. 121, sopra riportato (servizi istituiti presso le questure, i comandi dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, e quelli speciali e interforze) adibiti, in via esclusiva e con carattere di continuita', al compimento di indagini conseguenti ad una notizia di reato (artt. 57 comma 2 e 60 comma 2). La dipendenza di questi servizi si sostanzia nella particolare responsabilita' dei dirigenti, per il buon andamento del servizio svolto, verso il procuratore della Repubblica, se si tratta di servizi costituiti per attivita' da svolgere in ambito territoriale circondariale, e verso il procuratore generale del distretto ove ha sede il servizio, se si tratta di servizi costituiti per attivita' da svolgere in ambito territoriale piu' vasto di quello circondariale. Correlativamente si e' stabilito che, per l'allontanamento dalla sede e la promozione di detti dirigenti, occorre rispettivamente il consenso ed il parere del procuratore della Repubblica o del procuratore generale. Anche questa direttiva non innova la disciplina in vigore; si e' ritenuto, infatti, che una rigida separazione all'interno dei corpi di polizia fra il personale impiegato nella polizia giudiziaria e quello adibito ad altre funzioni, con conseguente destinazione esclusiva alle une e alle altre, fosse irrealizzabile ed urtasse contro le opposte e pur valide esigenze organizzative dei corpi stessi. Per contro si e' pensato che le anzidette esigenze potessero trovare una piu' agevole soddisfazione a livello delle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso le procure della Repubblica e gli uffici del pubblico ministero presso il pretore (artt. 57 comma 1 e 59 comma 1 e relative norme delle disposizioni di attuazione). Qui e' stato attuato il massimo di dipendenza funzionale attraverso una destinazione esclusiva all'attivita' di polizia giudiziaria di personale qualificato e predeterminato nel numero. A tal fine la normativa ha inteso riprendere e potenziare l'esperienza positiva delle piccole squadre di polizia giudiziaria presso le procure della Repubblica, prevedendo un organico prestabilito delle singole sezioni e fornendo il divieto di adibirne gli appartenenti a funzioni diverse, onde assicurare un personale sufficiente e stabile. Muovendosi in questa prospettiva, saranno introdotti nelle disposizioni di attuazione incentivi diretti a sollecitare le domande di assegnazione alle sezioni degli appartenenti alle forze di polizia, saranno rafforzate le garanzie per i trasferimenti e le promozioni, si stabilira', infine, un vaglio attitudinale per elevare il livello professionale. Il numero complessivo degli appartenenti alle sezioni non dovrebbe rappresentare un onere insopportabile ove si consideri, da una parte, che esso va diviso fra corpi di polizia interessati e, dall'altra, che in riferimento al lavoro svolto dalle sezioni verra' a ridursi il carico dell'attivita' di polizia giudiziaria che oggi grava su ciascuno di essi. L'assegnazione alle sezioni di polizia giudiziaria non recide comunque il legame col corpo di origine: il tema sara' espressamente trattato nelle disposizioni di attuazione come gia' accadeva per il Progetto del 1978. Illustrazione degli articoli. L'articolo 56, definisce i compiti della polizia giudiziaria. La norma e' analoga a quella di cui all'art. 219 c.p.p. ma sono state introdotte, nella sua formulazione, le modificazioni rese necessarie dalla necessita' di adeguare le funzioni della polizia giudiziaria alla impostazione del nuovo processo e, in particolare, alla fase delle indagini preliminari. Inoltre la norma e' stata coordinata con le disposizioni contenute nel libro V titolo IV (Attivita' a iniziativa della polizia giudiziaria) redatte in attuazione delle direttive 31 e 33 della legge-delega contenenti disposizioni diverse da quelle di cui alle direttive 30 e 31 della delega del 1974 e sulla base delle quali fu redatto il Progetto del 1978. Cosi', da un lato, e' stato evidenziato, rispetto al vigente art. 219 c.p.p., che la polizia giudiziaria non deve piu' assicurare le prove dei reati ma solo "compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova" chiarendo, altresi' che oltre a svolgere le attivita' che la legge le attribuisce in via autonoma, "svolge ogni indagine e attivita' disposta o delegata dall'autorita' giudiziaria" (comma 2); dall'altro lato, e' stato eliminato, rispetto al Progetto del 1978, il richiamo al compimento dei soli atti "urgenti" per assicurare le fonti di prova dato che nella direttiva 31 della delega il requisito dell'urgenza, che figurava invece nella corrispondente direttiva della delega del 1974, e' stato soppresso. L'articolo 57 - ove letto in combinazione con l'articolo 60 - consente di argomentare che le funzioni di polizia giudiziaria sono di fatto attribuite a tre diversi organismi e soggetti individuati in armonia con le scelte di fondo operate dal Progetto del 1978 in relazione al maggiore o minore collegamento funzionale e organizzativo con l'autorita' giudiziaria e con il pubblico ministero; in particolare: sezioni di polizia giudiziaria; servizi di polizia giudiziaria istituiti ed organizzati a norma dell'ultima parte dell'art. 17 l. 1 aprile 1981, n. 121 (ad es. i servizi istituiti presso le questure e i comandi dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e quelli speciali ed interforze come il servizio antidroga, ecc.); tutti gli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato (ufficiali e agenti di polizia giudiziaria). La soppressione del giudice istruttore, la eliminazione, da parte del Senato, della direttiva 52 ultima parte che riconosceva al giudice dell'udienza preliminare la "facolta' di avvalersi della polizia giudiziaria" e, altresi', le critiche mosse a suo tempo dalla Commissione consultiva al Progetto del 1978 per la scarsa funzionalita' della eccessiva "disseminazione" delle "sezioni", hanno indotto a stabilire che le sezioni siano istituite soltanto presso le procure e gli uffici del pubblico ministero presso il pretore potenziando e razionalizzando strutture gia' esistenti in concreto. Il fatto che anche il giudice, il pretore penale e il tribunale (come, del resto, la procura generale e la corte di appello) devono avere a disposizione la polizia giudiziaria per l'esecuzione dei provvedimenti, l'accertamento dei fatti processuali e le indagini dibattimentali, non esclude la soluzione prospettata perche', come si vedra' esaminando l'articolo 59, i magistrati dei citati uffici potranno comunque servirsi delle sezioni e dei servizi di polizia giudiziaria. Le esigenze di efficienza, strettamente connesse a quelle di evitare un eccessivo frazionamento delle sezioni, sono state tenute presenti nel concentrare le sezioni soltanto presso le procure della Repubblica e gli uffici del pubblico ministero presso il pretore e, cioe', presso quegli uffici che svolgono le indagini. L'obiezione, a suo tempo mossa dalla Commissione consultiva in relazione al Progetto del 1978 che la creazione di autonome sezioni di polizia giudiziaria potrebbe nuocere al coordinamento delle indagini, specie se complesse e destinate ad estendersi su vaste zone del territorio nazionale, e' stata superata in base al rilievo che la funzione delle sezioni e' principalmente di offrire all'autorita' giudiziaria un ausilio continuo, immediato e di assoluta fiducia, basato su un costante rapporto di collaborazione, mentre alle grandi indagini sono destinati organismi di tipo diverso, quali i servizi di polizia giudiziaria in periferia e le unita' specializzate istituite al centro con funzioni miste di prevenzione e di repressione della criminalita'. L'esigenza di coordinamento dell'attivita' delle varie sezioni e' d'altra parte considerata dall'art. 369 che prevede il coordinamento dei pubblici ministeri in caso di indagini collegate e che, pertanto, sia pure indirettamente, presuppone il coordinamento dell'attivita' delle sezioni e dei servizi interessati alle indagini stesse. I servizi di polizia giudiziaria cui allude la norma coincidono con le unita' organizzative gia' oggi costituite presso le questure, i comandi dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza o come unita' interforze aventi compiti particolari e che sono espressamente menzionate nel gia' ricordato art. 17 l. 121/1981. L'articolo 58 prevede la distinzione tra ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, che rileva in tema di competenza a compiere determinati atti, secondo quanto stabilito nel titolo sulle indagini preliminari, nonche' per quanto concerne l'organizzazione interna delle varie unita' di polizia giudiziaria. Il testo non si discosta molto da quello dell'art. 221 c.p.p. vigente, ma e' stato modificato tenendo conto delle novita' legislative nel frattempo intervenute e della necessita' di apportare alcuni aggiornamenti ed alcune semplificazioni. In particolare, nel richiamare il personale della polizia di Stato e gli ordinamenti di polizia e' stata tenuta presente la l. 1 aprile 1981, n. 121, sul "Nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza" la quale, nel prevedere, all'art. 36 punto II, la suddivisione del personale della polizia di Stato nel ruolo degli agenti, ruolo degli assistenti, ruolo dei sovrintendenti, ruolo degli ispettori, ruolo dei commissari e ruolo dei dirigenti, stabilisce che a ciascun ruolo corrispondono le seguenti funzioni di polizia giudiziaria: agenti = agenti di polizia giudiziaria; assistenti = agenti di polizia giudiziaria per le prime due qualifiche ed ufficiali di polizia giudiziaria per la terza qualifica che e' la piu' elevata; sovrintendenti, ispettori e commissari = ufficiali di polizia giudiziaria; dirigenti se non svolgono funzioni vicarie = ufficiali di polizia giudiziaria. A tale direttiva e' stata data attuazione con il d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335 sull'ordinamento del personale della polizia di Stato (vedi artt. 1, 5, 9, 17, 26, 33 e 39). Inoltre, nella lett. b) del comma 1 e nella lett. b) del comma 2 sono stati inseriti, rispettivamente, gli ufficiali e i sottufficiali "del corpo forestale dello Stato" e "le guardie del corpo forestale dello Stato", sia perche', il d. lgs. 12 marzo 1948, n. 804, espressamente prevede tali qualifiche (v. artt. 8, 12 e, soprattutto, 13), sia perche' l'art. 16 l. 121/1981 comprende tra le forze di polizia il corpo forestale dello Stato (v. anche art. 3, comma 16, d.l. 21 luglio 1987, n. 297). Per quanto concerne, poi, le "guardie dei comuni", menzionate nella lett. b) del comma 2, si osserva che la qualita' di agenti di polizia giudiziaria e' ad esse espressamente attribuita - con riferimento agli "operatori" - dall'art. 5 comma 1 lett. a) prima parte l. 7 marzo 1986, n. 65 (Legge quadro sull'ordinamento della polizia municipale). Si e' ritenuto di usare il termine "guardie dei comuni" - anziche' quello di "operatori" - per mantenere ferma la scelta fatta dal codice vigente che, per interpretazione giurisprudenziale ormai consolidata, individua gli organi in questione nei vigili urbani e nei loro comandanti (i quali, pertanto, anche con il nuovo codice, conservano la qualita' di "agenti di polizia giudiziaria" senza limitazioni di competenze per determinate materie salvi, ovviamente, i limiti territoriali) e per non determinare, nell'ambito della polizia locale, confusioni con il restante "personale che svolge servizio di polizia municipale" e, precisamente, con i "responsabili del servizio o del Corpo" e con gli "addetti al coordinamento e al controllo" (art. 5 comma 1 l. 7 marzo 1986, n. 65). A questi ultimi, infatti, e' espressamente riconosciuta, dalla citata legge, la qualita' di ufficiali di polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 221 comma 3 c.p.p. (art. 5 comma 1 lett. a), seconda parte, l. 7 marzo 1986, n. 65): sicche', anche nel nuovo codice ad essi deve essere riconosciuta tale qualita', nei limiti previsti, attraverso l'applicazione dell'art. 58 comma 3. Con l'articolo 59 si e' data attuazione ai principi generali che regolano i diversi livelli di collegamento funzionale ed organizzativo tra i vari organi di polizia giudiziaria e l'autorita' giudiziaria. Si richiama, in proposito, quanto esposto sub artt. 56 e 57. Nel comma 1 e' stabilita la disponibilita' delle rispettive sezioni dalla procura della Repubblica e dall'ufficio del pubblico ministero presso il pretore e, altresi', la disponibilita' di tutte le sezioni istituite nel distretto da parte della procura generale specie tenuto conto delle funzioni di tale ufficio in relazione all'esercizio del potere di avocazione: la disponibilita' di cui sopra non e', pero', esclusiva perche', come e' precisato nel comma 2, la corte di appello, il tribunale e la pretura che, per ragioni di economia organizzativa e funzionale, non hanno proprie sezioni, si avvalgono, rispettivamente, delle sezioni istituite presso le procure e gli uffici del pubblico ministero del distretto, del circondario e del mandamento. Il comma 3 stabilisce la piu' generale disponibilita' da parte dell'autorita' giudiziaria di tutta la polizia giudiziaria, sia delle sezioni che dei servizi e degli altri organi. Spetta cioe' al magistrato procedente scegliere fra sezioni, servizi ed altri organi, in base alle concrete esigenze del singolo caso: tempestivita', riservatezza, specializzazione, piu' ampi collegamenti territoriali, etc. Tenuto conto del fatto che normalmente il maggior numero delle notizie di reato continuera' ad essere raccolto ed inoltrato dai servizi e dagli altri organi e che il magistrato non avra' motivo, salvo casi particolari, di sottrarre le indagini a chi ha trasmesso la notizia di reato e svolto le prime indagini, e' prevedibile che nel nuovo processo il maggior carico del lavoro continuera' a gravare sui servizi e sugli altri organi. Il potere di disporre della polizia giudiziaria fa capo ai singoli magistrati cui e' affidato il processo e non all'ufficio giudiziario cui appartengono i magistrati e al loro dirigente. Cio' e' stato espressamente sottolineato facendo uso della formula "i magistrati degli uffici indicati nei commi 1 e 2". Solo negli uffici del pubblico ministero sara' possibile che il procuratore della Repubblica si sostituisca al sostituto procedente nel dare ordini agli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, e cio' per effetto dell'organizzazione gerarchica che caratterizza tali uffici. Con l'articolo 60 si passa dalla disciplina della subordinazione funzionale dei singoli ufficiali ed agenti nei confronti del singolo magistrato ai rapporti tra le sezioni ed i servizi, intesi quali unita' organiche, e la magistratura. Nelle sezioni si attua, per la loro particolare struttura organizzativa e per gli strettissimi rapporti di lavoro e di collaborazione con la magistratura, il massimo di dipendenza funzionale, che il comma 1 riferisce al magistrato che dirige l'ufficio presso il quale e' istituita la sezione stessa. Per i servizi di polizia giudiziaria e' stata riprodotta, in sostanza, cosi' come nel Progetto del 1978, l'attuale disciplina, senza prevedere una dipendenza del servizio nel suo complesso dalla magistratura, ma soltanto una responsabilita' del dirigente verso il procuratore della Repubblica. Tale principio va inteso come responsabilita' personale del dirigente per la buona organizzazione del servizio e per la sorveglianza sullo svolgimento delle singole attivita'; il comportamento degli altri appartenenti al servizio puo' infatti essere valutato solo in sede di responsabilita' disciplinare (ed eventualmente penale) per l'esecuzione dei singoli compiti affidati, da ciascun magistrato. Il riferimento al procuratore della Repubblica in luogo del triplice riferimento al procuratore generale, al procuratore della Repubblica e al pretore, previsto nella normativa vigente (artt. 220 c.p.p., d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932), trova spiegazione, da una parte, nella necessita' di concentrare in un unico organo il controllo dei servizi, ottenendo in tal modo una semplificazione ed una maggiore efficacia del controllo stesso, dall'altro, nel fatto che nel nuovo processo le indagini saranno svolte presso il procuratore della Repubblica. L'inserimento, nell'art. 57, di tutti i servizi di polizia giudiziaria istituiti ed organizzati dal dipartimento di pubblica sicurezza, ivi compresi quelli interforze operanti, gia' ora o in futuro, in ambito territoriale piu' vasto di quello circondariale, ha reso necessaria la previsione contenuta nel secondo comma. Il comma 3 dell'art. 60, oltre che stabilire la regola che gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno l'obbligo di compiere l'attivita' loro affidata, prevede che il principio secondo cui gli ufficiali ed agenti di polizia non possono essere distolti dai compiti loro affidati se non per disposizione del magistrato, opera solo nei confronti degli appartenenti alle sezioni. In effetti l'estensione di tale principio anche ai componenti dei servizi potrebbe interferire con l'organizzazione e la gerarchia dei corpi di appartenenza, si' da prefigurare l'istituzione di un autonomo corpo di polizia giudiziaria dipendente esclusivamente dalla magistratura: soluzione a cui il legislatore delegante ha mostrato di non volere aderire. D'altro canto, la riaffermazione del principio per gli appartenenti alle sezioni rafforza il loro distacco funzionale dal potere esecutivo e realizza l'importante obiettivo di garantire la magistratura da interferenze nell'espletamento delle indagini. TITOLO IV IMPUTATO Premessa. Nell'affrontare la normativa in esame l'attenzione della Commissione si e' innanzitutto soffermata sulle problematiche emerse nel dibattito parlamentare sulla direttiva 36 della legge-delega. Detto dibattito fu incentrato sulla opportunita' di anticipare l'inizio del rapporto processuale al momento delle prime indagini e definire subito la posizione ed i diritti oltre che dell'imputato anche dell'indiziato (direttiva 35 del testo della Camera) ovvero di restringerne l'ambito riconoscendo la necessita' di formalizzare tale rapporto, prima che si proceda all'imputazione, soltanto quando si adotti una misura di coercizione personale ovvero quando le acquisizioni probatorie siano suscettibili di utilizzazione a fini decisori (direttiva 36 del testo Senato). Nel testo definitivo della legge-delega (direttiva 36) e' stata infine privilegiata la seconda soluzione, tenendo presente l'orientamento volto a contemperare le due opposte esigenze di garantire il pieno esercizio dei diritti della difesa al cittadino indiziato e, pur tuttavia, di non aggravare, nell'interesse dello stesso indiziato, i costi umani ed economici che l'acquisizione formale di tale status comporta, in relazione agli effetti perversi che nella pratica sono conseguiti all'istituto della comunicazione giudiziaria. Tuttavia, anche se, in seguito alla modifica della direttiva 36, nella legge-delega non compare piu' espressamente il riferimento all'"indiziato" in contrapposizione all'"imputato", e' pur sempre rimasta la necessita' di disciplinare, differenziandola, la posizione di colui che, pur non essendo imputato, si trovi ad essere oggetto, quale indiziato di reato, di attivita' di indagine. Cio' si ricava: 1) dalla stessa direttiva 36 la quale contiene non solo la precisa definizione normativa della nozione giuridica di imputato ma anche la previsione della "estensione delle garanzie previste per l'imputato alla persona nei cui confronti vengano compiuti atti suscettibili di utilizzazione probatoria nell'udienza preliminare, nel giudizio o comunque a fini decisori"; 2) dalla considerazione che l'espressione "imputato" e' usata nella sua specificita' tecnica come riferita esclusivamente a colui nei confronti del quale e' stata gia' formulata dal pubblico ministero una richiesta accusatoria, una imputazione e, comunque, esercitata azione penale nelle direttive 17 (rimessione da uno ad altro "giudice"), 22, 23, 24 (rapporti tra giudizio civile e giudizio penale), 35 ultima parte (divieto di comunicazione delle iscrizioni fino all'assunzione della qualita' di imputato), 36 prima parte (assunzione della qualita' di imputato), 40 (incidente probatorio), 43 (giudizio direttissimo), 44 (giudizio immediato), 45 (patteggiamento), 52 (udienza preliminare richiesta dal pubblico ministero), 53 (sentenza di merito pronunciata nell'udienza preliminare), 56 (esercizio di azione penale per fatti precedentemente oggetto di sentenze ed altri provvedimenti), 73, 75 e 77 (dibattimento), 86 (impugnazione); 3) dal rilievo che, invece, in altri punti della stessa delega si evita di usare il termine "imputato" (proprio per il rilievo tecnico-giuridico che a detto termine e' stato attribuito dal legislatore) e si usano espressioni diverse, a seconda delle fasi e dei momenti, oltre che delle posizioni soggettive, particolarmente significative: e, cosi', ad esempio, nella direttiva 32, (fermo di polizia giudiziaria) viene usata la parola "indiziato"; nella direttiva 31 (attivita' di polizia giudiziaria) si fa riferimento alla "persona nei cui confronti vengono svolte le indagini senza l'assistenza della difesa", a "chi non si trovi in stato di arresto o di fermo con l'assistenza del difensore" ed a "garanzie difensive, tra le quali devono essere comprese quelle relative agli atti non ripetibili", per persone oggetto di indagini da parte della polizia giudiziaria; nella direttiva 34 viene menzionata "la facolta' del pubblico ministero di interrogare l'arrestato o il fermato, con diritto del difensore di assistere all'interrogatorio", nella direttiva 35, da un lato si stabilisce l'obbligo del pubblico ministero di "iscrivere immediatamente la notizia del reato ed il nominativo di ogni persona alla quale il reato e' attribuito in apposito registro", e, dall'altro lato, si fa "divieto di comunicare le iscrizioni di cui sopra fino all'assunzione della qualita' di imputato ai sensi del n. 36"; nella direttiva 48, si prevede l'"obbligo del pubblico ministero di concludere comunque le indagini entro diciotto mesi dall'iscrizione nel registro... chiedendo al giudice l'archiviazione, ovvero, formulata l'imputazione, l'udienza preliminare"; e, infine, nella direttiva 50, si parla di "persone alle quali e' stato attribuito il reato". E' ben vero che in alcune direttive - come ad esempio, nelle direttive 6 (diritto dell'imputato di farsi assistere nell'interrogatorio dal difensore e diritto dell'imputato in stato di custodia cautelare di conferire con il difensore), 37 (funzioni e poteri del pubblico ministero) e 38 (diritti di difesa, disciplina degli atti garantiti ed obbligo di comunicazione giudiziaria "a partire dal primo atto al quale il difensore ha diritto di assistere") - il termine "imputato" e' usato in modo piu' ampio e comprende anche situazioni riferibili all'"indiziato" perche' anteriori rispetto al momento della "imputazione" in senso stretto, ma tali eccezioni riflettono appunto la preoccupazione del legislatore delegante di soddisfare contemporaneamente, sia l'esigenza di qualificare subito alcuni diritti dell'indiziato, sia l'esigenza di non formalizzare subito il rapporto tra autorita' giudiziaria e cittadino. Dopo il lungo e approfondito dibattito svoltosi sul punto in seno alla Commissione, si e' in definitiva ritenuto di dover formulare la disciplina degli artt. 61 e 62 (e 402) secondo le linee di tendenza indicate dal legislatore delegante nelle citate direttive, ma con uno sforzo di razionalizzazione dei problemi che hanno determinato l'ambivalenza della legge-delega sul tema. A tal fine e' apparso in primo luogo necessario chiarire che la formalizzazione del rapporto processuale tra Stato-magistrato e cittadino consegue all'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero con il compimento di uno degli atti tipici che segnano il passaggio dalla fase delle indagini preliminari alla fase processuale vera e propria (v. art. 402) e che, di conseguenza, soltanto con la formulazione dell'imputazione in uno dei predetti atti tipici, colui nei confronti del quale si sono svolte le indagini assume la qualita' di imputato (art. 61). Nell'effettuare tale scelta si e' infatti ritenuto che, poiche' tutti gli atti di indagine concorrono alla progressiva individuazione dell'addebito, l'attribuzione di un reato eventualmente contenuta in un atto delle indagini preliminari, ed anche nella richiesta di applicazione di una misura cautelare, assume carattere di addebito provvisorio, come tale suscettibile di essere modificato sino alla formulazione dell'imputazione definitiva in uno degli atti con i quali viene esercitata l'azione penale. A quest'ultima soltanto deve pertanto riconoscersi il carattere di imputazione in senso tecnico. A fronte di tale delimitazione del rapporto processuale in senso stretto, che restringe entro rigorosi confini anche la nozione normativa di imputato, si e' peraltro sancita, in attuazione della seconda parte della direttiva 36, l'estensione dei diritti e delle garanzie previste per l'imputato anche a colui nei confronti del quale si svolge l'attivita' di indagine (art. 62). La soluzione adottata, che e' apparsa la piu' corretta sul piano concettuale e sistematico, non comporta pertanto alcuna diminuzione delle garanzie difensive nella fase preprocessuale, fatta eccezione per le minori garanzie di stabilita' ed il minor peso, in termini di risonanza sociale, che offre, rispetto alla sentenza di proscioglimento, il decreto di archiviazione con il quale si concludera' il procedimento nel caso in cui il pubblico ministero non ritenga di esercitare l'azione penale. Questo, tuttavia, e' apparso un costo inevitabile. Seguendo l'impostazione appena descritta, con l'art. 61 si e' riproposta, alla stregua della disciplina vigente, una nozione normativa di "imputato", che costituisca sicuro punto di riferimento per tutte le norme del codice che la presuppongono e contemporaneamente delimiti entro i rigorosi confini della sua specificita' tecnica il significato e quindi l'uso dell'accezione medesima. Si e' poi ribadita, con la formulazione di un'apposita norma, l'articolo 62, la fondamentale distinzione tra imputato e chi, pur essendo oggetto di indagini, imputato ancora non e', evitando tuttavia, a differenza che nella corrispondente disposizione del Progetto preliminare del 1978, la qualificazione soggettiva dell'indiziato. Si e' infatti ritenuto che, pur dovendosi sancire il piu' ampio riconoscimento di garanzie al cittadino che si trovi ad essere oggetto di indagini, non fosse a tal fine necessaria, ne' opportuna, la formulazione nel codice di una nozione giuridica di "indiziato", in contrapposizione a quella di "imputato", e cio' nell'intento di evitare, per quanto possibile, l'attribuzione di una pregiudizievole "etichetta" formale. Illustrazione degli articoli. L'articolo 61, coerentemente con la scelta di restringere in confini rigorosi la nozione normativa di "imputato", apporta un netto mutamento rispetto alla genericita' del dettato cui e' improntata la corrispondente disposizione del codice vigente. Si e' infatti avuto cura d'individuare, nel comma 1, gli atti tipici dai quali scaturisce l'assunzione della qualita' d'imputato, cosi' da istituire uno stretto legame tra imputato ed imputazione e da superare l'equivoca formula dell'attuale primo comma dell'art. 78 c.p.p., incentrata sull'attribuzione del reato "in un atto qualsiasi del procedimento". Dal combinato disposto degli artt. 61 comma 1 e 402 emerge peraltro chiaro che l'assunzione della qualita' di imputato coincide con la formulazione dell'imputazione definitiva in uno degli atti tipici con i quali viene iniziata l'azione penale. Nel comma 2 si e' riprodotta nella sostanza la disposizione dell'articolo 79 comma 1 del codice vigente. Anche il comma 3, a parte la diversa formulazione derivante dalla scomparsa dell'istituto della "riapertura dell'istruzione", riproduce sostanzialmente il comma 2 dell'art. 79 del codice vigente, anche per quanto attiene alla riassunzione della qualita' di imputato da parte del condannato quando si sia aperto il procedimento di revisione. Infatti, pur con l'eliminazione della doppia fase - rescindente e rescissoria - nel giudizio di revisione, voluta dalla direttiva 99 della legge-delega, e la conseguente mancanza di un'autonoma pronuncia di annullamento della prima sentenza, colui che conserva la qualita' di condannato con riferimento al giudizio impugnato e' pur sempre nuovamente giudicabile, e quindi imputato, nel giudizio di revisione. L'articolo 62 segue, sia nella rubrica che nel testo, l'impostazione della direttiva 36 della legge-delega. Nella formulazione del comma 1 si e' tenuto conto della circostanza che tutti gli atti di indagine compiuti nella fase delle indagini preliminari, in quanto documentati (v. art. 371) nel fascicolo del pubblico ministero che deve essere depositato ai sensi dell'art. 413, sono suscettibili di valutazione a fini decisori nell'udienza preliminare. Di conseguenza, in attuazione della citata direttiva 36, si e' ritenuto che l'estensione delle garanzie previste per l'imputato dovesse essere sancita nei confronti della "persona a carico della quale si svolgono indagini preliminari". In tal modo non vengono ad incidere sull'acquisto delle garanzie suddette ne' l'iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335, ne' l'invio dell'"informazione di garanzia", che l'art. 367 prescrive solo in relazione al compimento di un atto per il quale e' richiesta la presenza del difensore. Infatti, pur tenendo conto che l'esercizio dei diritti da parte dell'indiziato e' in concreto subordinato alla conoscenza che questi abbia del compimento di atti di indagine nei suoi confronti, non e' sembrato inutile, nell'ottica di maggior tutela della persona (ottica nella quale, come si e' detto, deve essere interpretata la direttiva 36 della legge-delega) prevedere l'acquisto delle garanzie previste per l'imputato sin dal compimento del primo atto d'indagine, indipendentemente da ogni iniziativa del pubblico ministero in ordine all'informazione di garanzia. L'ampia formula adottata e' stata peraltro integrata con il riconoscimento delle medesime garanzie alla persona nei cui confronti e' disposta una misura cautelare e alla persona indiziata di reato, e cio' a prescindere dal compimento di atti di indagine nei confronti delle stesse. Si e' preferito parlare di "diritti e garanzie" al fine di ricomprendere inequivocamente tutte le situazioni soggettive favorevoli all'imputato. Nel comma 2 e' stata introdotta una disposizione estensiva che ha consentito di superare agevolmente il problema tecnico, di non scarso rilievo, rappresentato dalla necessita' di fare esplicito riferimento all'indiziato o alla persona nei cui confronti vengono compiuti atti d'indagine ogni volta che, non trattandosi di diritti o garanzie, non fosse risultata applicabile inequivocamente la disposizione estensiva di cui al comma 1. L'articolo 63, riproducendo una disposizione analoga a quella dell'art. 304 comma 3 c.p.p., sancisce l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese all'autorita' giudiziaria da una persona non imputata ne' indiziata di reato, quando da tali dichiarazioni scaturisca la possibilita' che vengano svolte indagini nei suoi confronti. La norma distingue sotto il profilo della sanzione l'ipotesi della persona che venga legittimamente sentita come teste e nel corso della deposizione renda le dichiarazioni indizianti, dall'ipotesi della persona che doveva sin dall'inizio essere sentita con le garanzie previste per l'imputato. In quest'ultimo caso infatti si e' ritenuto piu' corretto prevedere che le dichiarazioni rese in assenza del difensore non possano essere utilizzate non solo nei confronti della persona che le ha rese, bensi' neppure nei confronti di altri. In forza delle disposizioni estensive di cui all'art. 62, la norma si applica anche all'indiziato senza necessita' di esplicito riferimento. Gli articoli 64 e 65 contengono le disposizioni concernenti la verifica dell'identita' dell'imputato, attualmente disciplinata dagli articoli 81-87 c.p.p. In apertura dell'articolo 64 e' stata formulata una disposizione modellata sull'attuale art. 366 c.p.p., affinche' fosse data alla polizia giudiziaria prima (in forza dell'esplicito rinvio all'art. 64 contenuto nell'art. 349) e all'autorita' giudiziaria poi, una direttiva di carattere generale per i necessari riscontri sull'identita' della persona nei cui confronti si svolge l'azione penale. Nel comma 2 si e', invece, trasfusa, con qualche modifica, la disciplina dell'art. 81 c.p.p., concernente la distinzione tra incertezza nell'individuazione anagrafica della persona, che resta irrilevante ai fini della prosecuzione delle indagini e del processo, ed incertezza sulla vera e propria identita' fisica della persona. Le modifiche apportate sono essenzialmente di ordine formale: in particolare, nel redigere la clausola di salvaguardia per il proseguimento delle attivita' nei confronti della persona non identificata anagraficamente, si e' preferita, all'attuale formula analitica, una formula idonea a comprendere ogni sorta di attivita' processuale e preprocessuale: indagini preliminari comprese, sin dall'attivita' diretta dalla polizia giudiziaria. Il comma 3 - riprendendo, anche qui con qualche modifica formale, il disposto dell'art. 82 c.p.p. - consacra il principio della rettificazione delle generalita' dell'imputato. A ribadire la differenza gia' emergente dal comma 2, si e' comunque ritenuto opportuno precisare che non deve trattarsi di "errore di persona" (nel senso di "errore sull'identita' fisica" della persona stessa), nel qual caso, resta fermo - come nell'attuale disciplina - il rinvio alla normativa sulla revisione. L'articolo 65 disciplina, con un ambito di applicazione piu' ristretto, la situazione attualmente regolata dall'art. 87 c.p.p. Si e' infatti precisato che l'accertamento dell'errore di persona da' luogo alla pronuncia di una sentenza soltanto quando intervenga nella fase processuale vera e propria e non anche quando l'errore venga rilevato nella fase delle indagini preliminari. Non e' stata invece riprodotta, a differenza che nel Progetto preliminare del 1978, la normativa di cui agli artt. 83 e 84 del codice vigente, concernenti l'incertezza sull'identita' fisica dell'imputato. Si e' infatti ritenuto incompatibile con la struttura del nuovo sistema processuale attribuire al giudice, che solo episodicamente interviene nella fase delle indagini preliminari, un autonomo potere volto all'accertamento dell'identita' fisica dell'imputato. Durante tale fase, infatti, sara' il pubblico ministero a provvedere, nell'ambito dei suoi poteri funzionali, agli accertamenti che riterra' necessari, formulando all'esito degli stessi le conseguenti ed opportune richieste al giudice. D'altro canto, qualora il dubbio sull'identita' fisica dell'imputato dovesse insorgere una volta terminate le indagini preliminari, soccorreranno al riguardo i poteri del giudice dell'udienza preliminare o del dibattimento. L'articolo 66 prevede, in parte riproducendo le disposizioni dell'articolo 89 c.p.p., che se in ogni stato e grado del processo risulti la morte dell'imputato, il giudice debba pronunciare sentenza con la quale dichiara estinto il reato per morte del reo, osservando beninteso la regola di priorita' stabilita nell'art. 128 comma 2, che riproduce l'art. 152 comma 2 c.p.p. Nel comma 2 dell'articolo 66 e' stata riprodotta la deroga (almeno apparente) al principio del ne bis in idem, nell'ipotesi di successiva acquisizione della prova dell'esistenza in vita dell'imputato. Non sono state invece riprodotte, a differenza che nel Progetto preliminare del 1978, le disposizioni dell'art. 89 c.p.p. concernenti la disciplina dell'incertezza sull'esistenza in vita dell'imputato. Anche in questo caso, infatti, non si e' ritenuto di dover prevedere alcuna deroga alle ordinarie regole probatorie, per le medesime considerazioni gia' svolte a proposito del dubbio sull'identita' fisica dell'imputato, e con l'ulteriore rilievo che in questo caso, non essendo presente la persona fisica dell'imputato, ancor meno si giustifica una deroga alla normale dialettica processuale. Gli articoli 67, 68, 69 e 70 delineano il trattamento normativo delle anomalie mentali che si manifestano in occasione del processo penale. A questo proposito si e' ritenuto che la disciplina vigente fosse, non tanto da semplificare, quanto da modificare nella sostanza: e cio' a causa e in conseguenza dell'evoluzione che, di fronte al piu' globale problema dell'atteggiamento da tenere nei confronti delle anomalie mentali, la sensibilita' sociale ha palesato in questi ultimi tempi e sempre maggiormente appare destinata a palesare. L'aspetto piu' stridente della disciplina attuale e' stato ravvisato nella sottoposizione dell'infermo di mente ad un trattamento particolare, soltanto per la circostanza che l'infermita' sopravvenga all'instaurazione di un qualsiasi processo penale, magari per fatti che non hanno nulla a che vedere con l'infermita' medesima, neppure sotto il profilo degli indici di pericolosita': non senza contraddizione con la ratio che si dice sottostare alla disciplina stessa, come ratio di tutela dell'autodifesa, e quindi di garanzia dell'imputato. Fondamentale, per contro, e' apparsa l'esigenza di distinguere nettamente i due aspetti: da un lato, si e' percio' cercato di ricondurre la disciplina strettamente "processuale" dei rapporti tra anomalie mentali e processo penale ad una piu' coerente visuale di tutela della possibilita' di "cosciente partecipazione dell'imputato al processo", dall'altro, ci si e' preoccupati di regolare in un'ottica di mera "supplenza" (nei confronti degli organi competenti ai sensi delle leggi sull'assistenza psichiatrica) gli interventi del giudice penale, per quel che riguarda i provvedimenti sulla persona dell'infermo di mente. Quanto alle conseguenze di ordine propriamente processuale, che la legge penale e' costretta a trarre dalle situazioni mentali anomale, si e' ritenuto opportuno individuare in due momenti (a ciascuno dei quali e' dedicato un apposito articolo di legge) le tappe dell'iter incidentale destinato alle relative verifiche, nel difficile tentativo di contemperare due esigenze: quella di garanzia dell'individuo effettivamente in stato mentale anomalo, e quella di salvaguardia della correttezza processuale contro i rischi di simulazioni. Il punto di partenza e' dato dal riscontro di manifestazioni, nel comportamento dell'imputato, che diano al giudice seria ragione di dubitare della sua attuale idoneita' a partecipare coscientemente al processo: e la formula e' stata concepita intenzionalmente in funzione restrittiva, proprio ad evitare che vi sia un dispendio di accertamenti di fronte ad ogni tentativo simulatorio facilmente riconoscibile come tale ictu oculi. Sul presupposto di quelle serie ragioni il giudice ha peraltro il dovere, non la semplice facolta', di disporre (articolo 67 comma 1) accertamento peritale sullo stato di mente dell'imputato, che non va confuso con la perizia disposta per accertare l'imputabilita' (nonostante l'eventuale unicita' del perito). E' stata invece mantenuta la nozione di "infermita' mentale sopravvenuta al fatto" quale discriminante diretta ad escludere che il successivo art. 68 (ove e' prevista una sospensione del procedimento) venga ad applicarsi anche a chi era infermo di mente all'atto della commissione del fatto. Infatti, pur potendo sembrare non corretto, in una situazione di impedita autodifesa, ammettere la pronuncia di una sentenza di non imputabilita', che implica riconoscimento della sussistenza del reato, si e' in definitiva ritenuto che la mancata distinzione tra infermita' "sopravvenuta" ed infermita' "originaria" finisse per provocare una sensibile alterazione della stessa disciplina sostanziale della infermita' mentale. Nell'accogliere la soluzione piu' tradizionale si e' anche tenuto conto delle considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza 24 maggio 1979, n. 23, che ha ritenuto infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 88 c.p.p. sollevata in relazione agli articoli 3 e 24 comma 2 Cost., rilevando le differenze tra le due ipotesi cennate. Il comma 2 dell'art. 67 precisa quali siano gli atti che il giudice e' legittimato a compiere, dopo aver disposto l'accertamento peritale sulla supposta anomalia mentale dell'imputato. Una volta disposto l'accertamento peritale, la conseguenza naturale e', invero, quella di una semiparalisi del processo, poiche' in presenza di un consistente dubbio sullo stato mentale dell'imputato sarebbe contraddittorio continuare come se nulla fosse. D'altronde, gia' attualmente, la vigente disciplina prevede la sospensione dei termini di scarcerazione automatica in coincidenza con ogni periodo "in cui l'imputato e' sottoposto ad osservazione per perizia psichiatrica" (art. 272 c.p.p. vigente), e tale norma e' stata riprodotta, sia pur in una versione parzialmente modificata (art. 304). Di fronte alla disciplina attuale, piuttosto laconica sul punto, si trattava pero' di chiarire, in pari tempo, che anche i poteri del giudice sono limitati nel periodo destinato a stabilire se l'imputato e' in uno stato di sufficiente autocoscienza. Si trattava, in sostanza, di anticipare al periodo dell'accertamento peritale un regime corrispondente a quello che il quarto comma dell'art. 88 c.p.p. vigente fissa con riguardo al periodo di "sospensione" vera e propria del processo. D'altro canto, a differenza di quanto stabilito nel detto comma dell'art. 88 c.p.p., non si e' ritenuto che dalla paralisi processuale potessero rimanere esclusi tout court, tutti e soli, "gli atti necessari per l'accertamento del reato": dizione troppo lata, questa, e trasparentemente ispirata, anziche' ad una visuale coerente con la ratio di tutela dell'autodifesa, all'idea che la presenza dell'imputato autocosciente non sia necessaria per gli atti di riscontro "obbiettivo" della sussistenza del reato. Si e' percio' ristretta, in linea generale, agli atti urgenti la possibilita' di effettuazione nel periodo suddetto e si e' piuttosto operato un allargamento, in nome di un'evidente esigenza di favor rei, per gli atti probatori che possano servire a far prosciogliere l'imputato, sempre che l'assunzione degli stessi sia richiesta dal difensore dell'imputato. In tal modo si e' voluto evitare che possano essere richieste dal pubblico ministero, al quale peraltro la direttiva 37 della legge-delega riconosce il potere-dovere di raccogliere anche gli elementi favorevoli all'imputato, prove, in astratto favorevoli, il cui esito si riveli invece a lui sfavorevole. Nel formulare la disciplina appena descritta si e' evitato peraltro di impiegare il concetto di "sospensione del processo" al fine di rendere chiaro che, se in seguito agli accertamenti peritali l'imputato risulta in grado di parteciparvi, il processo puo' riprendere alla data prefissata senza necessita' di alcun provvedimento formale, e cio' in evidente ossequio dei principi di economia processuale. Nel comma 3 dell'art. 67 e' contenuta la disciplina relativa all'accertamento dello stato mentale dell'indiziato nel caso in cui l'infermita' si manifesti durante la fase delle indagini preliminari. Si e' infatti ritenuto che le medesime ragioni di tutela della possibilita' di autodifesa dell'imputato, che costituiscono la ratio della disciplina in questione, sussistono anche nella fase delle indagini preliminari. Non e' apparso invece opportuno attribuire al giudice, che solo episodicamente interviene in tale fase, un autonomo potere in ordine all'accertamento dello stato mentale dell'indiziato, accertamento che pertanto potra' essere espletato soltanto a richiesta di parte. D'altro canto, nell'improbabile ipotesi in cui ne' il pubblico ministero, ne' il difensore abbiano cura di richiederla prima, la perizia sullo stato di mente dell'imputato potra' essere disposta d'ufficio, ai sensi del comma 1, dal giudice dell'udienza preliminare. Si e' inoltre ritenuto che, nelle more dell'accertamento peritale disposto durante le indagini preliminari e dopo la sospensione del procedimento (ai sensi del successivo art. 68) l'attivita' di indagine del pubblico ministero non debba essere del tutto paralizzata, potendo consentirsi il compimento degli atti d'indagine per i quali non sia richiesta la partecipazione dell'indiziato. Non e' sembrato, invece, corretto consentire l'assunzione, anche in tale fase, delle prove che possono condurre al proscioglimento, perche' in tal modo si avrebbe, diversamente dall'ipotesi di cui al comma 2, un'ingiustificata estensione dei casi in cui e' consentita la formazione delle prove prima del dibattimento. Nulla esclude peraltro il ricorso all'incidente probatorio, ove ne ricorrano i presupposti. Si e' anche ritenuta l'opportunita' di prevedere che nelle more della perizia restino sospesi i termini per l'espletamento delle indagini preliminari previsti dagli artt. 402 e 403, cio' anche al fine di scoraggiare eventuali strumentalizzazioni. L'articolo 68 disciplina l'ipotesi in cui, ad esito degli accertamenti previsti nell'articolo precedente, lo stato mentale dell'imputato risulta effettivamente tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento. In questo caso e' imposta - e non potrebbe essere altrimenti - la pronuncia di un formale provvedimento di sospensione, cui osta tuttavia - come oggi - la presenza di elementi che gia' rendano possibile una declaratoria di proscioglimento immediato. E' superfluo sottolineare che, nella logica del sistema prescelto, il rimedio della sospensione deve essere davvero un extremum remedium, cui ricorrere soltanto nelle situazioni che davvero non tollerino, a tutela dell'autodifesa dell'imputato, altre soluzioni. Circa la genericita' del riferimento ai casi in cui "debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento", come condizione ostativa alla sospensione, si e' gia' illustrata la ragione per cui non si e' ritenuto di attribuire alle infermita' mentali perduranti dall'epoca del fatto all'epoca del processo la stessa rilevanza processuale attribuita alle infermita' mentali sopravvenute al fatto. Coerentemente con tale impostazione, si e' pertanto ammesso anche che la possibilita' di pronunciare immediatamente sentenza di proscioglimento per incapacita' di intendere o di volere precluda il ricorso al meccanismo della sospensione. Circa i profili formali del provvedimento di sospensione, puo' osservarsi che, come oggi, tale provvedimento e' previsto nelle forme dell'ordinanza (art. 68 comma 1). Dal canto suo, il comma 3 del medesimo art. 68 ha cura di precisare l'impugnabilita' di tale ordinanza, sottoponendola al regime della ricorribilita' in cassazione ed individuando i titolari della facolta' di ricorso. I commi 2, 4, 5 e 6 dell'art. 68 disciplinano le conseguenze dell'ordinanza di sospensione. Dal punto di vista della possibilita' del compimento di atti processuali, tali conseguenze si riassumono in un consolidamento della situazione gia' caratteristica dello stadio destinato alla verifica dello stato mentale dell'imputato o dell'indiziato; in relazione a cio', si spiega il rinvio che i commi 4 e 5 dell'articolo 68 operano nei confronti dei commi 2 e 3 dell'articolo precedente. Poiche', di conseguenza, la sospensione non significa completa paralisi del processo, e poiche', d'altro canto, la ratio dell'istituto esclude una fungibilita' piena tra difesa tecnica ed autodifesa, al provvedimento che dispone la sospensione deve accompagnarsi il provvedimento di nomina di una persona che, durante la sospensione, funga da vero sostituto dell'imputato: si e' pensato ad un "curatore speciale" sul tipo di quello gia' oggi previsto in relazione alla querela, ma il parallelismo non e' stato spinto sino ad una totale coincidenza. Infatti si e' preferito (comma 2 dell'art. 68) rendere sempre obbligatoria la nomina del curatore speciale dell'imputato impossibilitato a partecipare al processo per la sua situazione mentale, senza distinguere tra casi in cui l'interessato sia gia' legalmente rappresentato ed altri casi, e limitandosi a porre, come direttiva per il giudice, la nomina preferenziale dell'eventuale rappresentante legale come curatore speciale. Beninteso, occorrera' che non sussista conflitto d'interessi. Circa l'ipotesi di processo con piu' coimputati, lo stesso comma 2 dell'art. 68 rende obbligatoria la separazione, in armonia con la linea prescelta in sede piu' generale, evitando percio' la complessa regolamentazione dell'ultimo comma dell'art. 88 c.p.p. Quanto ai poteri della parte civile per l'ipotesi di sospensione del processo penale, il comma 6 dell'art. 68 - in parziale difformita' dall'attuale comma 5 dell'art. 88 c.p.p. - stabilisce un principio che e' diretta conseguenza delle scelte normative delineate a proposito dei rapporti tra azione civile e processo penale. La sospensione del processo per infermita' mentale dell'imputato e', evidentemente, a tempo indeterminato. Ma, ad evitare di dare ingiustificato incentivo alla piaga degli "eterni giudicabili", il comma 1 dell'articolo 69 prevede un onere di verifica a medio termine, ossia ad intervalli regolari di sei mesi, ovvero anche prima ove si configuri l'esigenza di revocare il provvedimento di sospensione, cosi' da consentire una tempestiva ripresa del procedimento. Ai sensi del comma 2 del medesimo art. 69, la sospensione deve invero essere revocata, in via ordinaria, non appena acquisita la certezza dell'idoneita' dell'imputato a partecipare coscientemente al processo. D'altronde, la revoca deve essere disposta ancora prima - per la logica di garanzia che informa l'intero istituto - quando si integrino le condizioni per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento. Ben distinto dal problema dell'incidenza che gli stati mentali dell'imputato possono avere sullo svolgimento processuale, e', come gia' detto, il problema delle misure che si puo' essere costretti ad adottare nei confronti dell'infermo di mente. La relativa disciplina e' contenuta nell'articolo 70. Al riguardo, il principio fondamentale e' questo: il giudice penale (ed a fortiori, il pubblico ministero) non sono, di regola, autorizzati ad emettere provvedimenti che incidano sul trattamento della malattia mentale. D'altro canto, ci si e' preoccupati che la conseguente paralisi di competenze non si risolvesse in un fattore di esaltazione di pericoli per l'incolumita' e la tranquillita' delle persone (in primo luogo, per la stessa persona dell'infermo di mente). Per questo motivo, l'art. 70 comma 1 fa anzitutto obbligo al giudice penale di informare, "con il mezzo piu' rapido", l'autorita' competente ad adottare misure nei confronti degli infermi di mente, ai sensi delle leggi sul trattamento sanitario per malattie mentali (artt. 1, 2 e 3 l. 13 maggio 1978, n. 180; l. 23 dicembre 1978, n. 833). Con il comma 2 dell'articolo, si e' d'altronde evitato che il giudice procedente sia privato del potere di adottare provvedimenti di urgenza, sino al ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero: dove il concetto di "idoneita'" e' stato a sua volta inserito per non costringere le scelte del giudice entro margini troppo stretti. D'altro canto, lo stesso art. 70 comma 2 fissa un preciso limite di efficacia ai provvedimenti provvisori che, in questo campo, e' autorizzato ad adottare il giudice penale: essi sono infatti destinati a perdere effetto nel momento in cui viene data esecuzione a quanto stabilito (in un senso o nell'altro) dall'autorita' destinataria dell'informativa di cui al comma 1. Un'autonomia di efficacia si e' pero' conferita al provvedimento che dispone il ricovero in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero (art. 70 comma 3) come forma alternativa di custodia cautelare. In questo caso infatti, dati gli obiettivi cui e' preordinata la custodia cautelare, non si potrebbe attribuire ad un intervento esterno al processo la funzione di condizione risolutiva del provvedimento cautelare del giudice penale. Nel comma 4 si e' enucleata la disciplina specifica per l'ipotesi in cui l'anomalia mentale emerga nella fase delle indagini preliminari. Qui la necessita' di una corretta ripartizione di ruoli tra pubblico ministero e giudice impone un meccanismo diverso da quello stabilito per l'ipotesi d'infermita' mentale emergente davanti al giudice. Sara' dunque lo stesso pubblico ministero a curare in questo caso l'informativa di cui al comma 1, ma i provvedimenti provvisori relativi alla persona dell'infermo di mente non potranno essere sottratti alla sfera di competenze esclusive del giudice. Il titolo IV e' chiuso da due articoli che dovrebbero svolgere una funzione non secondaria, nell'ambito di un codice che la legge-delega vuole attento alle esigenze di rispetto dei diritti fondamentali e della personalita' di chi viene sottoposto a processo. Circa l'articolo 71, il suo obbiettivo e' quello di raccogliere, in un'unitaria visuale di garanzia, una serie di norme, di non trascurabile importanza sul piano di "civilta' del processo" ed appunto riconducibili alla medesima esigenza della tutela della personalita' dell'imputato. In proposito, la rubrica parla di "interrogatorio" per economia di linguaggio, ma non deve dimenticarsi che per effetto del rinvio contenuto nell'art. 350, la norma ha una portata ben piu' ampia, con riferimento ad ogni atto - sia pure delle "indagini preliminari" - che, per quanto non tecnicamente denominabile "interrogatorio", comporti domande all'indiziato o all'imputato. Nel comma 1, con qualche opportuno aggiornamento linguistico, si riproduce la norma dell'art. 365 comma 2 c.p.p. Della massima importanza e' poi il comma 2 dell'art. 71, che toglie ogni incertezza sull'uso di strumenti coercitivi o di persuasione occulta, a prescindere dalla loro "produttivita'" in termini di risultati processualmente utilizzabili. Il divieto trova del resto riscontro in materia di disposizioni generali sulla prova, per estendersi anche ai testimoni ed a quanti sono chiamati a rispondere a domande da parte dell'autorita' giudiziaria o della polizia giudiziaria (art. 188). Nel comma 3 e' sostanzialmente riprodotta la norma dell'attuale articolo 78 comma 3 c.p.p., che consacra il cosiddetto "diritto al silenzio", nella sua portata generale e con i suoi limiti. Quanto al comma 4, vi e' contenuto un divieto di testimonianza de auditu, relativo ad ogni dichiarazione che l'imputato abbia potuto rendere, anche prima di assumere tale qualita', nel corso delle indagini preliminari o del processo. Si vuole infatti che di tale dichiarazioni faccia fede la sola documentazione scritta, da redigersi e da utilizzarsi con le forme ed entro i limiti previsti per le varie fasi del procedimento; e si vuole altresi' evitare che, attraverso il duplice meccanismo delle "dichiarazioni spontanee" e della "testimonianza de auditu" venga aggirato il diritto al silenzio dell'inquisito. La disposizione del comma 4 dell'art. 71, come le altre di questo articolo, si applica - come si e' detto - anche alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria. Tuttavia, essa non da' vita a un divieto soggettivamente qualificato, come divieto di testimonianza de auditu dell'ufficiale di polizia, ma si configura, in termini oggettivi, con riferimento al contenuto delle dichiarazioni, e quindi esclude anche la testimonianza de auditu di soggetti diversi dall'ufficiale o dal magistrato. Si e' d'altronde ravvisata la opportunita' di mantenere in questa sede la disposizione in esame nonostante il collegamento con la normativa generale sulla testimonianza de auditu. Si tratta infatti di norma avente una sua autonomia e riguardante un tipo particolare di testimonianza de auditu, caratterizzato sul piano oggettivo, la cui disciplina ha una ratio che non puo' essere integralmente coperta dalle norme piu' generali in tema di testimonianza indiretta. L'articolo 72 riproduce sostanzialmente le disposizioni dell'art. 367 c.p.p. e dell'art. 418 del Progetto preliminare del 1978, con le modifiche rese necessarie dalla diversita' dei fini dell'interrogatorio effettuato dal giudice istruttore nel sistema delineato dal Progetto citato. La diversa formulazione del comma 2 e' correlata alla necessita' di dare attuazione alla direttiva 5 della legge-delega, in relazione alla quale e' stata anche ritenuta opportuna la collocazione della norma fra quelle concernenti l'"imputato". Ostativo all'inserimento fra le norme relative alle "Prove" e' apparso infatti l'inequivoco tenore della direttiva citata ("disciplina delle modalita' dell'interrogatorio in funzione della sua natura di strumento di difesa"), mentre d'altro canto non e' sembrata corretta la collocazione dell'articolo fra quelli concernenti l'"Attivita' del pubblico ministero", essendo l'interrogatorio previsto anche nell'udienza preliminare (v. articolo 419) e nel giudizio abbreviato (oltre che nella situazione regolata dall'art. 294). Circa la facolta' di non rispondere non si e' ritenuto necessario il rinvio all'art. 63. Quanto alle modalita' di verbalizzazione dell'atto, si applicheranno ovviamente le disposizioni concernenti la documentazione degli atti del pubblico ministero e del giudice (art. 371 e art. 133 e seguenti). TITOLO V PARTE CIVILE, RESPONSABILE CIVILE E CIVILMENTE OBBLIGATO PER LA PENA PECUNIARIA Premessa. Nonostante la sua "intitolazione", il titolo V, dedicato alla parte civile, al responsabile civile ed al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, non si limita a regolamentare la disciplina processuale riguardante le modalita' di ingresso e di esclusione riguardo al processo penale delle parti private diverse dall'imputato ma, seguendo la sistematica adottata dal Progetto preliminare del 1978, ricomprende fra i suoi precetti anche la disciplina dell'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato. Peraltro, il riferimento della denominazione del titolo (identica a quella del corrispondente titolo del Progetto del 1978) ai soggetti piuttosto che all'azione e' stato ritenuto preferibile al fine di evitare l'introduzione di una disciplina generale dell'azione civile proposta a norma dell'art. 185 c.p., cosi' da circoscriverne il contenuto precettivo alla regolamentazione dell'azione civile esercitata nel processo penale. La nuova sistematica differisce, percio', profondamente dal sistema del codice vigente, che, mentre nel capo II del titolo I del libro primo da' assetto - anche prescindendo dalla sede in cui la pretesa viene fatta valere - all'azione civile riparatoria, ed include in tale regolamentazione anche gli effetti del giudicato penale sull'azione e sul giudizio civile, nei capi II e III del titolo III dello stesso libro primo detta la disciplina processuale riguardante, da un lato, la parte civile e, dall'altro, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la multa o per l'ammenda. L'"ideologia" sottostante alla nuova sistematica muove dalla premessa metodologica in base alla quale l'inserimento nel settore del codice dedicato ai soggetti di prescrizioni riferite all'azione civile senza tener conto della sua potenzialita' a trovare ingresso nel processo penale, per un verso, si sarebbe risolto in una riproduzione, certo tecnicamente non rigorosa, di precetti appartenenti al diritto sostanziale e, per un altro verso, avrebbe condotto ad una disciplina congiunta di fenomeni - quali l'azione civile e l'efficacia del giudicato penale nel processo civile o amministrativo - con riguardo ai quali l'esigenza di una regolamentazione separata prevale rispetto all'esigenza di una disciplina congiunta. Seguendo tale sistematica, mentre il titolo V del libro I ha esclusivo riferimento all'esercizio dell'azione civile in sede penale (nello stesso titolo e' stata, peraltro, contemplata anche la normativa riguardante il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, tradizionalmente accomunata a quella riguardante le altre parti private diverse dall'imputato), l'assetto relativo all'efficacia del giudicato penale nei processi civili e amministrativi e' stato collocato nel libro X, dedicato all'esecuzione (v. piu' precisamente, nel titolo I di tale libro dedicato al giudicato; artt. da 642 a 645). Il collegamento fra disciplina dell'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato e prescrizioni relative all'efficacia extrapenale del giudicato penale resta assicurato dalla disposizione - veramente cruciale - dell'art. 74, che, nel prevedere un sistema di preclusioni all'esercizio dell'azione civile in sede penale, adempie anche la funzione di condizionare l'operativita' del regime dell'efficacia del giudicato penale nei processi civili o amministrativi per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato. Peraltro, la sistematica adottata risulta puntualmente conforme a quella del testo del 1978. L'unica novita' introdotta dal Progetto sul piano della sistemazione dei precetti riguarda l'eliminazione dal titolo V delle prescrizioni concernenti la persona offesa: un soggetto che, seppure non menzionato nella "intitolazione", legittimava i suoi poteri, non espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge, in forza di una clausola generale inserita nell'art. 96 del precedente Progetto. L'autonomia del ruolo della persona offesa rispetto alla posizione assegnata alle parti private diverse dall'imputato, conseguente alla qualita' ad essa riconosciuta di titolare dell'interesse aggredito dal reato, fa si' che ogni suo diritto o facolta' non derivi dall'acquisto della qualita' di parte: ed e' percio' che si e' ritenuto piu' puntuale l'apprestamento di un apposito titolo (il titolo VI) disciplinante la posizione processuale di tale figura soggettiva, una posizione del tutto distinta, sia quanto ai tempi di intervento sia quanto alle pretese da far valere ed ai corrispondenti poteri di natura processuale, rispetto a quella delle parti private. Nello stesso titolo VI e' stata regolamentata anche la posizione processuale degli enti e delle associazioni ai quali sono riconosciute finalita' di tutela degli interessi lesi dal reato, gia' contemplati nel Progetto del 1978, ma la cui espressa previsione nella nuova legge-delega (direttiva 39) ha richiesto l'introduzione di una piu' articolata disciplina. Il fatto che, sul piano sistematico - a parte le innovazioni conseguenti alla creazione del titolo VI - la fisionomia dell'attuale Progetto sia rimasta identica rispetto a quella del Progetto del 1978 non deve, pero', far indurre a ritenere l'identita' dei corrispondenti contenuti. Le innovazioni conseguenti alla necessita' di dare attuazione ai precetti della nuova legge-delega hanno, infatti, imposto una profonda revisione del titolo V, la cui lettura complessiva risulterebbe del tutto falsata ove si omettesse di verificare la pressocche' costante opera di adeguamento delle prescrizioni del precedente Progetto sia alle norme che disciplinano i poteri spettanti nel corso del processo a ciascuna delle figure soggettive menzionate nel detto titolo sia alle norme che disciplinano l'efficacia del giudicato penale in altri giudizi; temi, peraltro, strettamente interdipendenti, considerato che ai soggetti portatori di pretese non penali e' assicurata la partecipazione al processo penale in funzione degli effetti che dall'esito di tale processo potranno conseguire: non solo quando il giudice penale venga chiamato a decidere sulla riparazione del danno (v. art. 531 e seguenti), ma soprattutto quando si tratti di determinare l'incidenza del giudicato penale sulla pretesa non penale fatta valere davanti al giudice normalmente competente. Si spiega, percio', come la risposta ai problemi sopra indicati sia stata data passando attraverso la regolamentazione dei rapporti fra processo penale ed azione civile: i collegamenti, gia' istituiti nel Progetto del 1978, fra l'esercizio della pretesa civile e la misura degli effetti del giudicato penale sulla azione civile, non potevano, infatti, non coinvolgere anche il tema dei rapporti fra giudicato penale ed azione civile, un tema che sembrava essere stato trascurato dal precedente Progetto, il quale aveva significativamente evitato di introdurre ogni espressa previsione, pur, almeno apparentemente, richiesta da una direttiva della legge-delega del 1974 (la direttiva 22) la quale potesse ricalcare lo schema dell'articolo 25 del codice vigente. La scissione, sistematicamente rigorosa, operata dal precedente progetto fra la tematica dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale e gli effetti del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno derivante dal reato, non ha, peraltro, comportato una parallela autonomia delle discipline, tra loro invece, collegate da un rapporto di interdipendenza, puntualmente evidenziato non solo dal sistema delle preclusioni (v., soprattutto, l'art. 74) ma anche dalle regole riguardanti gli effetti del giudicato penale nei giudizi non penali (v. artt. 642 e 643). Stando almeno al lessico adottato dalla nuova delega, tale rapporto risulta ancor piu' accentuato solo considerando due fra le proposizioni innovative nella materia: quella che ha - ma solo in apparenza - limitato, quanto all'efficacia soggettiva, il vincolo del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo (direttive 22 e 23); quella che ha sancito un'area di incidenza della pronuncia penale oltre i limiti del giudizio per le restituzioni e il risarcimento del danno (direttiva 24). Nonostante che le indicate precrizioni della legge di delegazione potessero apparire indicative per il legislatore delegato dell'esigenza di regolamentare l'efficacia del giudicato penale in altri giudizi secondo una linea di maggiore "permissivita'", con conseguenti riverberi sul regime della partecipazione al processo penale dei soggetti portatori di pretese civili, la disciplina apprestata dal nuovo Progetto non ha abbandonato la linea tracciata dal Progetto del 1978. Cio' sia perche' i princi'pi del processo accusatorio - i quali, ancor piu' di quanto non risultasse dal precedente testo, sorreggono la struttura portante dell'attuale sistema - impongono di ravvisare nell'efficacia vincolante del giudicato penale in altri giudizi un fenomeno assolutamente marginale, da giustificare solo in vista di una sua ineluttabile necessita'; sia perche' l'apparente estensione dell'efficacia soggettiva del giudicato penale, per un verso, rappresenta il risultato della insopprimibile esigenza di conformarsi ai decisa delle sentenze costituzionali che hanno colpito gli artt. 25, 27 e 28 del codice vigente e, per un altro verso, non impedisce di interpretare - sulla base di una loro piu' attenta lettura - i precetti a contenuto innovativo della legge-delega del 1987 non in termini di maggiore "permissivita'", ma come ulteriori condizionamenti quanto all'efficacia del giudicato penale in altri processi. L'esigenza di mantenere fermo l'assetto delineato nel 1978 e' parsa addirittura necessitata considerando la nuova disciplina della fase delle indagini preliminari (una fase che mal avrebbe sopportato l'intervento di figure soggettive diverse da quelle titolari di una pretesa penale) ed il pericolo che un nuovo istituto come l'incidente probatorio - con il quale si consente l'assunzione di prove nelle forme dibattimentali - ove si fosse assicurata la partecipazione al suo espletamento di soggetti diversi dal pubblico ministero e dall'imputato ne sarebbe potuto risultare depotenziato a causa degli inevitabili ritardi derivanti dall'introduzione di interessi di natura non penale, cosi' da non essere in grado di assicurare la celerita' richiesta dal nuovo tipo di processo. Di conseguenza, oltre a lasciarsi sostanzialmente inalterato il sistema delle preclusioni all'esercizio dell'azione civile in sede penale - salvo l'adozione di perfezionamenti collegati alla necessita' di riconnettere ognuna di esse ad un fatto riferibile al danneggiato - l'eventualita' che la formazione della prova si colleghi a momenti processuali in cui non e' possibile la partecipazione di soggetti titolari di pretese non penali, ha comportato una ulteriore accentuazione del regime della separazione, fino a rendere il piu' delle volte fonte di inconvenienti, per chi abbia subi'to un danno cagionato da reato, il costituirsi parte civile. L'attuale sistema consente, infatti, al danneggiato di non subire il giudicato penale solo Illustrazione degli articoli. I primi due articoli del titolo VI, dedicati all'esercizio dell'azione civile, in sede penale, seguono, sul piano sistematico, pur nella non trascurabile diversita' dei contenuti, lo schema tracciato dagli artt. da 22 a 24 del codice vigente. L'articolo 73, nel dettare la disciplina della legittimazione attiva e passiva all'esercizio dell'azione civile nel processo penale, e' rimasto sostanzialmente identico all'art. 80 del Progetto del 1978, che, a sua volta, riproduceva - con alcuni adattamenti di ordine formale - l'articolo 22 del codice vigente. Al fine di puntualizzare con precisione maggiore di quanto non facesse il testo del 1978 che legittimati all'esercizio dell'azione civile in sede penale non sono soltanto le persone fisiche e gli enti o le associazioni dotati di personalita' giuridica, ma anche figure soggettive non personificate (come associazioni non riconosciute, comitati, etc.), e' sembrato, peraltro, opportuno sostituire l'espressione "persona alla quale il reato ha recato danno", contenuta nel precedente Progetto, con l'espressione "soggetto danneggiato dal reato" (una sostituzione a suo tempo auspicata dalla Commissione consultiva: v. Parere sul Progetto del 1978, p. 87). Alcuni commissari hanno prospettato l'esigenza di sopprimere l'inciso "di cui all'art. 185 del codice penale", adducendo, da un lato, la non sufficiente esaustivita' del precetto richiamato, derivante dalla sola previsione in esso contenuta dell'obbligo di restituzione o di risarcimento e, dall'altro lato, la conseguente necessita' - al fine di individuare il supporto sostanziale dell'art. 73, di fare ricorso anche agli artt. 2043, 2058 e 2059 c.c. Non si e', pero', ritenuto opportuno introdurre ulteriori modificazioni alla disposizione in esame sia per evitare che l'omesso richiamo alla norma di diritto sostanziale potesse "squilibrare" il sistema della legittimazione quale configurato dal Progetto del 1978 sia, soprattutto, perche', facendo riferimento l'art. 185 c.p. anche al responsabile civile ed indirettamente pure al tema della solidarieta' fra imputato e responsabile civile, l'eliminazione di ogni rinvio alla norma del codice penale avrebbe potuto provocare l'insorgere di questioni interpretative non facilmente risolubili. Senza contare che la possibilita' di intervento nel processo di enti o associazioni titolari di situazioni diverse dal diritto soggettivo (v. art. 90 s.) ha reso necessario richiamare l'art. 185 c.p., nel quale sono puntualmente enucleate le tipologie di posizioni soggettive prospettabili ai fini dell'esercizio dell'azione civile in sede penale. Rispetto all'art. 22 del codice vigente, l'art. 73 (conformemente all'art. 80 del Progetto del 1978), nell'intento di ricomprendere anche le ipotesi di successione a titolo universale fra enti, ha ulteriormente innovato, sostituendo, per indicare i soggetti legittimati, all'espressione "eredi" l'espressione "successori universali". La nuova formula e' sembrata passare indenne rispetto alle obiezioni sollevate dalla Commissione consultiva (p. 87 del Parere sul Progetto del 1978), valendo a ricomprendere sia i successori per causa di morte sia i successori per altra causa. Per quel che si riferisce all'articolo 74, disciplinante i rapporti fra azione civile e azione penale, nel Progetto del 1978 la parziale applicazione del principio electa una via sancito dal comma 1 dell'art. 81 (articolo corrispondente a quello in esame) rappresentava una conseguenza della scelta effettuata dal danneggiato della sede in cui esercitare la sua pretesa (v. Relazione al Progetto del 1978, p. 105). Tale principio sembrava costituire l'effetto piu' significativo conseguente alla finalita' assegnata nel Progetto alla costituzione di parte civile: fondata "non gia' sulla partecipazione al processo della persona nei cui confronti l'accertamento e' destinato a valere come verita' oggettiva, con forza di giudicato, ma sulla base di considerazioni di ordine meramente pratico, ispirate alla tutela del danneggiato" (v. Relazione 103). Quanto alla possibilita' di trasferire in sede penale l'azione civile proposta prima dell'inizio dell'azione penale davanti al giudice naturalmente competente per la pretesa civile (art. 80 comma 2 del precedente Progetto; ora, art. 74 comma 2), la scelta venne motivata osservandosi che, non essendo ancora iniziata l'azione penale, il danneggiato non avrebbe la possibilita' di valutare in quale sede far valere la detta pretesa. Circa la previsione, infine, dell'unica ipotesi di sospensione del processo civile (art. 80 comma 3 del testo del 1978; ora, art. 74 comma 3), il caso, cioe', in cui, prima dell'esercizio dell'azione civile in sede propria, vi sia stata costituzione di parte civile, ancorche' revocata, il principio ispiratore di tale prescrizione venne individuato nell'efficacia vincolante assegnata nel processo civile di danno, anche in pregiudizio del danneggiato, al giudicato penale (v. pure l'art. 68 del nuovo Progetto, corrispondente all'art. 75 del Progetto del 1978, a norma del quale, in caso di esercizio dell'azione civile dopo la sospensione del processo penale per infermita' di mente dell'imputato, torna ad operare la regola della separazione dei giudizi). L'articolo del Progetto del 1978 concernente i rapporti tra azione civile e azione penale era stato sottoposto a serrate critiche da parte della precedente Commissione consultiva. Le obiezioni di fondo (condivise anche da altri Pareri) coinvolgono il regime che circoscrive la sospensione del giudizio civile al solo caso in cui l'azione civile venga proposta dopo la costituzione di parte civile del danneggiato: il precetto secondo cui la sospensione - a mezzo della quale e' consentito all'imputato di far valere la propria assoluzione nel giudizio civile, cosi' da ottenere il rigetto della domanda proposta in quella sede - non e' ammessa ne' nell'ipotesi in cui il danneggiato non si sia costituito parte civile ne' nell'ipotesi in cui non abbia trasferito l'azione dalla sede civile alla sede penale, subordinando la possibilita' per l'imputato di far valere l'assoluzione nei confronti del danneggiato stesso alla scelta di quest'ultimo (art. 615 del Progetto del 1978; art. 643 del nuovo Progetto), si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.; cio' in quanto la possibilita' per l'imputato di far valere l'assoluzione nei confronti del danneggiato - il quale puo' comunque far valere nei confronti dell'imputato la decisione di condanna - resterebbe condizionata alla libera scelta del titolare della pretesa di danno sul se esercitare o no l'azione civile nel processo penale. Inoltre, avendo, ex articolo 614 (ora, 642), la sentenza penale di condanna efficacia in ogni caso e nei confronti di tutti gli interessati al giudizio di danno, non sospendendosi il processo civile si correrebbe il rischio di provocare la formazione di giudicati contraddittori; un effetto al quale non potrebbe ovviarsi se non con il rimedio della revocazione previsto dall'art. 395 c.p.c.: quindi, con gravi ritardi ed oneri per la giustizia civile e per le parti. L'assoluta autonomia fra i due giudizi confliggerebbe, altresi', con la previsione dell'art. 337 comma 2 c.p.c. e con il principio, costante in giurisprudenza, secondo cui il materiale probatorio penale, una volta acquisito al processo civile, e' liberamente valutato dal giudice, se non altro come elemento indiziario. Senza contare che, da un punto di vista politico, il legislatore, consentendo l'esercizio dell'azione civile nel processo penale e l'influenza del giudicato penale nel processo civile, ha mostrato di essere sensibile allo smarrimento dell'uomo della strada di fronte ad una giustizia che in sede penale puo' affermare una cosa ed in sede civile un'altra: risultato, questo, inevitabile alla stregua dell'art. 81 del Progetto del 1978. La precedente Commissione consultiva aveva richiamato, poi, la direttiva 19 (l'attuale, modificata, direttiva 22) osservando che sarebbe stato assolutamente arbitrario interpretarla restrittivamente, cosi' da rendere efficace il vincolo solo se il giudice civile venisse adi'to dopo la decisione penale. Aveva, percio', proposto, da un lato, di formulare come comma 1 il comma 2 dell'art. 81 del Progetto del 1978, norma riguardante la proposizione della domanda riparatoria in sede civile prima dell'inizio dell'azione penale e, dall'altro lato, di modificare il comma 2 dello stesso articolo nel senso che vi si sarebbe dovuta prevedere la sospensione del processo civile fino all'esito del giudizio penale tanto nel caso che la domanda civile fosse presentata al giudice civile prima dell'inizio del processo penale (ultima parte del comma 2) tanto nel caso che la domanda civile fosse presentata dopo l'inizio del processo penale e, percio', non potesse essere riproposta in quest'ultimo processo. La serieta' di tali rilievi ha imposto un attento esame - alla stregua dei criteri direttivi fissati dalla nuova legge-delega - sia del problema delle preclusioni all'esercizio dell'azione civile in sede penale (art. 74 comma 1) sia del problema concernente la sorte del giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno a seconda che l'azione relativa venga esercitata davanti al giudice civile prima dell'inizio dell'azione penale (art. 74 comma 2) ovvero dopo la costituzione di parte civile (articolo 74 comma 3). Quanto al primo problema, non risultando alcuna esplicita indicazione anche nella legge-delega del 1987, si e' ribadita l'insussistenza di ogni ostacolo a che il legislatore delegato possa precludere la costituzione di parte civile qualora l'azione civile sia stata esercitata nella sede naturale dopo l'inizio dell'azione penale: una simile preclusione sembra, anzi, disporsi puntualmente in linea con la direttiva 2, che prevede la massima semplificazione del processo, con eliminazione di ogni atto o attivita' non essenziale. Qualche perplessita' si e', pero', prospettata verificando, nel sistema della nuova legge-delega, i tempi e gli strumenti attraverso i quali il danneggiato da reato viene posto a conoscenza dell'inizio dell'azione penale o, comunque, viene a realizzarsi nei suoi confronti la conoscibilita' dell'inizio di tale azione, e che soli potrebbero abilitarlo alle scelte previste dall'articolo in esame. Considerato il momento di inizio dell'azione penale, quale risulta dalla disciplina del nuovo Progetto, se ne e' dedotto che, ove il danneggiato abbia proposto l'azione civile davanti al giudice civile quando ancora il giudice penale non e' stato investito della imputazione "conclusiva" all'esito della fase delle indagini preliminari, non gli resterebbe preclusa la possibilita' di costituirsi parte civile secondo le cadenze indicate nell'art. 78: con conseguenti problemi circa l'utilizzabilita' degli elementi di prova raccolti prima dell'inizio dell'azione penale. Il rilievo che in tal modo il danneggiato dal reato sarebbe stato comunque costretto, costituendosi parte civile, ad accettare il processo in statu et terminis, in cui si trova, con la possibile lesione del suo diritto di difesa, ha indotto alla prospettazione di un'alternativa che se, da una lato, avrebbe consentito di rispettare il postulato dogmatico (insuperabile nel nuovo processo, essendo ancor piu' accentuata la qualita' di parte nel pubblico ministero) in base al quale il rapporto processuale civile in sede penale e' instaurabile solo nel momento in cui il giudice viene investito dell'azione penale, sarebbe stata in grado, dall'altro, di assicurare al danneggiato la possibilita' di partecipare - nominando un difensore - all'attivita' di formazione della prova durante la fase delle indagini preliminari. Cio' soprattutto avendo riguardo al nuovo istituto dell'incidente probatorio in considerazione del valore che gli atti assunti in quella sede possono acquistare ai fini della decisione (v. l'art. 398 comma 5). E' stata cosi' avanzata l'ipotesi di costruire un assetto normativo in grado di attribuire al danneggiato (quale parte "potenziale"), pure antecedentemente alla costituzione di parte civile - anzi, senza che la costituzione di parte civile rappresenti un epilogo necessario - la facolta' di nominare un difensore anche prima dell'inizio dell'azione penale: cosi' da impedire, per un verso, l'inevitabile ricorso al giudice civile per l'esercizio della pretesa di danno e, per un altro verso, l'inutilizzabilita' del materiale probatorio acquisito nella fase delle indagini preliminari (ci si riferisce, soprattutto, al materiale acquisito nelle forme dell'incidente) nei confronti del danneggiato: con la conseguente inoperativita' dell'art. 643 del Progetto (l'art. 615 del testo del 1978, quale risultante a seguito delle modificazioni apportate alla direttiva 20 della delega del 1974; v. direttive 22 e 23 della legge-delega del 1987). Un varco non del tutto impercorribile per l'utilizzazione di tale strumento e' stato ravvisato nel precetto contenuto nell'ultima parte della direttiva 38, laddove si prevede che il pubblico ministero e' tenuto a comunicare (all'imputato e) in copia alla persona offesa gli estremi dei reati per cui sono in corso le indagini, a partire dal primo atto al quale il difensore ha il diritto di assistere: se e' vero che tale direttiva fa riferimento alla sola persona offesa, non avrebbe costituito una violazione della delega la previsione di un precetto estensivo del diritto alla "comunicazione" al danneggiato dal reato, la cui figura, nei casi piu' frequenti, coincide con la persona offesa. Peraltro, la necessita' di non "soffocare" la fase delle indagini preliminari autorizzando la partecipazione di soggetti non essenziali ai fini della formazione della prova con riguardo alla decisione sulla pretesa penale, e' apparsa argomento insuperabile al fine di escludere sia la costituzione di parte civile sia la presenza del danneggiato in sede di incidente probatorio: anche considerando che il danneggiato-persona offesa e' soggetto non estraneo a tale procedura (v. artt. 391 comma 2, 392, 396 comma 3) essendogli attribuito, nel nuovo sistema, il diritto di partecipare sia personalmente sia a mezzo del difensore (art. 398 comma 3) all'udienza di assunzione della prova (art. 398 comma 1, ultima parte). Qualora, poi, il danneggiato non si identifichi con l'offeso dal reato, il regime stabilito per l'incidente probatorio gli consentira' di non subire gli effetti derivanti da una decisione nella quale sono stati utilizzati elementi acquisiti attraverso tale procedura di assunzione della prova. Cio' alla stregua dell'art. 401, il quale prescrive che la sentenza pronunciata sulla base di una prova assunta con incidente probatorio a cui il danneggiato da reato (ovviamente: rivesta o no anche la qualita' di persona offesa) non e' stato posto in grado di partecipare, non produce gli effetti previsti dall'art. 643, salvo che il danneggiato stesso ne abbia fatta accettazione anche tacita. Il problema della consapevolezza della scelta da parte del danneggiato dal reato della sede ove esercitare la pretesa civile ha, peraltro, determinato la proposta di riformulare il comma 1 dell'art. 74 modificando il corrispondente comma dell'art. 81 del Progetto del 1978: nel senso di inibire l'esercizio dell'azione civile in sede penale soltanto nel caso in cui il danneggiato dal reato abbia proposto davanti al giudice civile, dopo essere stato posto in condizione di conoscere l'inizio del processo penale, l'azione per le restituzioni e per il risarcimento del danno. Quanto al comma 2 dello stesso articolo, si e' proposta un'analoga modifica dell'art. 81 comma 2 del precedente Progetto. La possibilita' di "trasferire" l'azione civile nel processo penale resterebbe, ovviamente, sempre condizionata alla osservanza dei limiti temporali entro cui la costituzione di parte civile e' consentita. Anche per quel che attiene al secondo problema, sono stati attentamente vagliati i rilievi della precedente Commissione consultiva sul comma 3 dell'art. 81 del testo del 1978, tenendosi ovviamente presenti le nuove prescrizioni contenute nelle direttive 22 e 23 della legge-delega del 1987 (significativa e' pure la direttiva 24, non figurante nella legge-delega del 1974) che - almeno in apparenza - hanno esteso sia i casi di vincolo della sentenza penale rispetto alla decisione del giudice civile sia i casi di improponibilita' dell'azione civile in forza della sentenza penale di assoluzione. La considerazione che le nuove direttive sembrerebbero imporre la formulazione di precetti non troppo dissimili dagli artt. 25 e 27 del codice vigente (come risultanti a seguito delle sentenze costituzionali n. 165 del 1975 e n. 99 del 1973), ha indotto anche a prospettare l'opportunita' di riprodurre la formula dell'art. 24 comma 2 del codice vigente, nel senso che il giudizio civile e' sospeso quando viene iniziata l'azione penale. Muovendosi dall'esigenza di privilegiare una disciplina fondata sul principio della separazione dei giudizi, si e' ritenuto di dare soluzione ai problemi proposti sia dai rilievi della precedente Commissione consultiva sia dalle nuove direttive in tema di esercizio dell'azione civile in sede penale sia, infine, dal diverso assetto sul quale, tenuto conto della legge-delega del 1987, e' stata conformata la fase delle indagini preliminari, proseguendo nella linea tracciata dal Progetto del 1978: con il preciso intento di non incoraggiare comunque la costituzione di parte civile e di incentivare le possibilita' di un suo volontario "esodo" dal processo penale. Oltre ad adattamenti di ordine formale analoghi a quelli apprestati con riguardo all'art. 80 del Progetto del 1978 dall'art. 73, un'unica sostanziale innovazione e' stata apportata dall'art. 74 rispetto all'art. 81 del precedente Progetto: si e' resa, cioe', operativa la preclusione di cui al comma 1 (produttiva di effetti anche sul comma 2) non gia' a seguito del semplice inizio dell'azione penale, ma solo a seguito della conoscibilita' di tale momento da parte del danneggiato da reato. La soluzione adottata puo' certo prestarsi al rilievo che l'individuazione di un diverso dies a quo per l'operativita' della preclusione si sarebbe rivelata del tutto coerente soltanto nei riguardi di un assetto imperniato, anche in rapporto agli effetti del giudicato penale di proscioglimento rispetto all'azione civile, sul riconoscimento di una maggiore "permissivita'" per la costituzione di parte civile; si' che, una volta intrapresa la via della separazione fra i giudizi, ancorare l'effetto preclusivo a un dato di non sicura individuazione come quello dell'"essere posto in grado di conoscere l'inizio dell'azione penale" potrebbe divenire fonte di equivoci non bilanciati dal regime dell'efficacia del giudicato penale nel giudizio civile di danno. Al contempo, il collegamento del potere di costituirsi parte civile con la "conoscibilita'" sembrava disporsi in funzione della possibilita' per il danneggiato dal reato di costituirsi parte civile prima dell'udienza preliminare e, in particolare, in funzione della sua partecipazione all'incidente probatorio, una partecipazione, invece, ritenuta impraticabile perche' apparsa in contrasto con l'esigenza di celerita' della fase delle indagini preliminari. Si e' pero' ritenuto opportuno fare riferimento ugualmente al concetto di conoscenza o conoscibilita', dato che, in assenza di tale presupposto, resterebbe difficile "addebitare" al danneggiato dal reato una effettiva "scelta" circa la sede ove esercitare l'azione di danno e si farebbe conseguentemente ricadere su di lui l'ineluttabile operativita' della preclusione. Nel nuovo regime, invece, la preclusione all'esercizio dell'azione civile in sede penale resta bilanciata dalla impossibilita' che la sentenza penale di assoluzione abbia efficacia nei confronti del danneggiato da reato tutte le volte in cui questi proponga Si e' riconosciuta, infine, la validita' dei rilievi della precedente Commissione consultiva quanto alla necessita' di aggiungere, in fine alla previsione contenuta nel comma 2 dell'art. 81 del Progetto del 1978, le parole "che abbia provveduto nel merito" ed in tali termini e' stato ora riformulato il comma 2 dell'art. 74. La precisazione derivante da tale precetto e', peraltro, di carattere puramente formale, dato che, anche alla stregua del codice vigente il quale, pure, omette ogni indicazione circa il tipo di pronuncia preclusiva - la giurisprudenza e la dottrina sono concordi nel ritenere che la preclusione e' prodotta solo in conseguenza di una decisione che abbia provveduto nel merito. Gli artt. da 75 a 81, tutti dedicati alla parte civile, corrispondono, sul piano sistematico, alla regolamentazione dettata dalla sezione II del capo II del titolo III del libro primo del codice vigente. L'articolo 75, riproduce sostanzialmente l'art. 82 del testo del 1978. L'unica novita' si esaurisce, infatti, nella sostituzione - per gli stessi motivi indicati con riferimento all'art. 73 - della parola "persona" con la parola "soggetto" per indicare il legittimato all'esercizio dell'azione civile in sede penale. La proposta di inserire un apposito comma attributivo del potere di costituirsi parte civile al procuratore generale (comma riproducente alla lettera l'art. 77 c.p.c.), e' stata disattesa perche' il sistema delle preclusioni e la fissazione per l'udienza preliminare del dies a quo per la costituzione di parte civile (art. 78) - implicando l'accettazione del processo nello stato in cui si trova (con la possibilita', quindi, che atti con stesso valore probatorio di quelli assunti nel giudizio vengano compiuti senza la partecipazione del danneggiato dal reato) - hanno reso ancor piu' fondati gli argomenti addotti sul punto dalla Relazione al Progetto del 1978: "la costituzione di parte civile richiede, per la sua gravita' correlata all'importanza del processo penale, una specifica manifestazione di volonta' non desumibile da una semplice procura generale" (pag. 106). La Commissione consultiva aveva segnalato, a suo tempo (v. Parere sul Progetto del 1978, p. 88), l'opportunita' di precisare che "il danneggiato puo' esercitare l'azione riparatoria sia personalmente sia a mezzo di procuratore speciale". Il rilievo non e' stato condiviso perche' ora il rinvio all'art. 73 del comma 1 dell'art. 75 rende chiaro come la costituzione di parte civile possa avvenire ad opera del danneggiato sia personalmente sia a mezzo di procuratore speciale. Il comma 2 ribadisce il principio di immanenza della costituzione di parte civile, sancito dall'art. 92 comma 1 del codice vigente (v. Relazione del 1978, p. 106): un principio che consente alla parte civile di partecipare a tutte le fasi e i gradi del processo, senza che occorra rinnovare la costituzione. L'articolo 76, riproduce sostanzialmente nei commi 1 (che fissa le regole generali relative alle condizioni di capacita', richiamando la formulazione dell'art. 75 comma 1 c.p.c.), 2 e 3 (disciplinanti, in conformita' agli artt. 78, 79 e 80 c.p.c., la nomina di un curatore speciale al danneggiato incapace che sia privo di tutore o di curatore ovvero si trovi in conflitto di interessi con il rappresentante) i commi corrispondenti dell'art. 83 del Progetto del 1978 (v., ora, anche l'art. 338 comma 4, il quale attribuisce al curatore speciale per la querela, ai sensi dell'art. 121 c.p. - analogamente a quanto previsto dall'art. 11 del codice vigente - la facolta' di costituirsi parte civile nell'interesse della persona offesa, evidentemente, purche' questa sia anche danneggiata da reato). L'espressione "giudice", adottata (in luogo di "presidente del tribunale", figurante ai corrispondenti commi dell'art. 83 del Progetto del 1978) nei commi 2 e 3, nasce dall'esigenza di coordinare il precetto dell'art. 76 con le diverse fasi del processo: per fare intendere che si tratta del giudice "presso il quale pende il procedimento" e, cioe', in sintonia con altri numerosi precetti nei quali si ripropone la medesima esigenza chiarificatrice, del "giudice competente per la fase in corso". Il comma 4, una novita' rispetto al testo del 1978, con il prevedere una sorta di "legittimazione provvisoria" del pubblico ministero all'esercizio dell'azione civile nell'interesse dell'incapace, ha un ambito di incidenza assolutamente residuale: puo' trovare applicazione, ad esempio, in tema di giudizio direttissimo, un giudizio che, attesa l'estrema immediatezza della procedura, non consentirebbe di adottare i meccanismi previsti dai commi 2 e 3 dell'art. 76. Nonostante il diverso convincimento espresso da alcuni componenti della Commissione, si e' ritenuto che l'eccezionale applicazione di tale disposizione sia in grado di superare i rilievi formulati nella Relazione al Progetto del 1978 (p. 106), il cui testo ritenne preferibile - contrariamente a quanto proposto dalla Commissione consultiva - attenersi alla disciplina dettata dal codice di procedura civile piuttosto che a quella del vigente art. 105, in generale disapplicata, e comunque gravante il pubblico ministero di interessi civilistici che potrebbero confliggere in concreto con le sue valutazioni circa la retta applicazione della legge penale e della legge processuale (ad esempio, se egli ritenesse di richiedere il proscioglimento o l'assoluzione dell'imputato). Non sono stati accolti, infine, i rilievi della precedente Commissione consultiva (v. Parere, p. 89) circa l'opportunita' di specificare al comma 2 che la nomina del curatore speciale vada fatta ai sensi dell'art. 78 c.p.c.: sia per evitare non indispensabili rinvii a norme estranee al Progetto sia perche' il comma considerato, nella sua lata formulazione, appare in grado di comprendere l'indicato precetto. I requisiti prescritti a pena di inammissibilita' per la costituzione di parte civile, sono indicati nell'articolo 77, una norma che ha subi'to consistenti modifiche rispetto all'art. 84 del Progetto del 1978. Si e' previsto, anzitutto, che la dichiarazione di costituzione, se presentata fuori udienza deve essere depositata in cancelleria: cio' potra' verificarsi sia nell'ipotesi in cui la costituzione avvenga per l'udienza preliminare ma antecedentemente ad essa, sia nell'ipotesi in cui la costituzione avvenga per il dibattimento ma antecedentemente ad esso. In tal modo, la disposizione si coordina con il comma 2, a norma del quale la dichiarazione presentata fuori udienza deve essere notificata, a cura della parte civile, alle altre parti: un precetto che ha sostituito il corrispondente comma 2 dell'art. 84 del Progetto del 1978 secondo una disciplina derivante dalla soppressione, nel sistema della legge-delega del 1987, degli atti di istruzione. Per quel che concerne i singoli requisiti per l'ammissibilita' della costituzione di parte civile, una prima modificazione rispetto al Progetto del 1978 riguarda la lett. a) del comma 1 avente il suo pendant nel n. 1 dello stesso comma dall'art. 84 del Progetto del 1978, il quale prevedeva che la dichiarazione di parte civile dovesse contenere le generalita' di chi si costituisce. Poiche' legittimata ad esercitare l'azione civile in sede penale non e' soltanto una persona fisica, ma anche una persona giuridica o una figura soggettiva non personificata, e' parso insufficiente il riferimento solo all'una e non anche all'altra eventualita'. Si e' ritenuto, percio', opportuno seguire la stessa terminologia della legge-delega che, per designare - sia pure ad altri fini - le entita' plurisoggettive o patrimoniali, aventi o non la qualifica di persone giuridiche, adotta (v. direttiva 39) l'espressione - forse non troppo rigorosa sul piano tecnico-giuridico, ma sufficientemente comprensiva - "enti e associazioni". Nella lett. b) dello stesso comma si e' prescritto che la dichiarazione di costituzione di parte civile deve contenere anche le generalita' dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione civile. Con il che si e' inteso sancire l'inammissibilita', nel caso in cui si proceda a carico di piu' persone, di atti di costituzione di parte civile in incertam personam o "generalizzati". E' stato anche stabilito che, ove le generalita' non siano note, e' sufficiente la menzione delle altre indicazioni personali che valgono ad identificare l'imputato: cio' coerentemente con l'art. 64 comma 2 del nuovo Progetto, a norma del quale l'impossibilita' di attribuire all'imputato le sue esatte generalita' non pregiudica, quando sia certa l'identita' fisica della persona, il compimento di alcun atto da parte dell'autorita' procedente. Allo scopo di operare una precisa determinazione della causa petendi sin dal momento di proposizione della domanda, si e' gravata la parte civile dell'onere di indicare, sempre a pena di inammissibilita', le ragioni che giustificano la domanda (lett. d); non e' parso opportuno richiedere anche l'indicazione del procedimento (richiesta, invece, espressamente dal n. 2 dell'art. 84 del Progetto del 1978), sembrando eccessivo che l'omissione di tale indicazione - di carattere esclusivamente formale - debba condurre alla dichiarazione di inammissibilita' della costituzione di parte civile. La lett. c) del comma 1 (il cui precedente e' nella regola stabilita dal n. 3 dell'art. 84 del Progetto del 1978, che comprendeva fra i requisiti prescritti a pena di inammissibilita' la nomina del difensore, operante anche nel caso di ammissione al gratuito patrocinio) include fra i requisiti prescritti a pena di inammissibilita' l'indicazione del nome e cognome del difensore nonche' l'indicazione della procura. Tale precetto si ricollega direttamente all'art. 99 del nuovo testo in base al quale la parte civile (al pari del responsabile civile e del civilmente obbligato per la pena pecuniaria) sta in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata. Si e', al riguardo, segui'ta la linea tracciata dal Progetto del 1978, al quale era apparso incongruo attribuire alla parte civile - in un processo di parti la rappresentanza processuale della parte civile e' stata conferita al difensore, non apparendo ipotizzabile nei rapporti fra la parte civile e il suo difensore quella divergenza di atteggiamenti e di posizioni che puo' sussistere, invece, fra l'imputato e il suo difensore: l'introduzione di tale regime dovrebbe comportare una notevole semplificazione nella regolamentazione dell'istituto e della pratica processuale: per esemplificare, tutte le notifiche alla parte civile dovranno effettuarsi presso il suo difensore, rendendo cosi' superflua l'elezione di domicilio della parte stessa (cfr. Relazione al Progetto del 1978, p. 107). L'intento di sviluppare ulteriormente l'indirizzo - gia' univocamente emerso dal Progetto del 1978 - tendente a qualificare il difensore come rappresentante pleno iure delle parti private diverse dall'imputato - ha indotto a richiedere quale ulteriore requisito di ammissibilita', la sottoscrizione del difensore, anziche' della parte civile. Sul piano pratico, cio' consentira' di evitare che il difensore debba, nei casi piu' frequenti, procedere - con riguardo alla medesima attivita' difensiva - ad una doppia certificazione dell'autografia della sottoscrizione del suo assistito: di quella, di norma, apposta ai fini della procura speciale, ai sensi dell'art. 99 comma 2; di quella contenuta nella dichiarazione a mezzo della quale lo stesso soggetto si costituisce parte civile. Con il che restano, altresi', superati i rilievi formulati dalla precedente Commissione consultiva sul precetto contenuto nel n. 5 del comma 1 dell'art. 84 del testo del 1978 circa il carattere di semplice "vera di firma" e non di "autentica formale" dell'intervento certificativo del difensore (v. Parere, p. 90): rilievi, peraltro, fondati su un mero lapsus del precedente Progetto, considerato che la Relazione aveva avuto cura di precisare (p. 107) come la "dichiarazione debba contenere la sottoscrizione della parte, la cui "autografia" potra' essere certificata dallo stesso difensore". Una precisazione particolarmente significativa considerato che - come si e' or ora accennato - un'analoga formula e' adottata nell'art. 99 del nuovo Progetto, in base al quale, nei casi in cui la procura speciale sia apposta in calce o a margine della costituzione di parte civile (del decreto di citazione o della dichiarazione di costituzione o di intervento del responsabile civile ovvero della dichiarazione di costituzione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria), l'autografia della sottoscrizione e' certificata dal difensore. Quanto al comma 2 dello stesso art. 77 - fermo restando quanto gia' rilevato (comma 1 prima parte) circa l'obbligo di notificazione della dichiarazione di costituzione di parte civile presentata fuori dell'udienza alle altri parti, poste cosi' in grado di proporre opposizione e di predisporre ogni altra eccezione e difesa - non e' parso necessario prescrivere la notifica delle richieste della parte civile, considerando che per alcune di esse (ad esempio, per le richieste di ammissione di prove) tale formalita' si sarebbe rivelata eccessiva, mentre per altre (ad esempio, per la richiesta di sequestro) "si e' provveduto a stabilire nelle apposite sedi, con adeguata disciplina, che la richiesta sia portata a conoscenza dei controinteressati" (Relazione al Progetto del 1978, p. 107). L'articolo 78, detta la disciplina riguardante il termine per la costituzione di parte civile, secondo un modello solo formalmente (e, pure, non in tutto) riproduttivo del Progetto precedente. Al riguardo, e' significativo rammentare come la precedente Relazione (p. 107) motivasse l'esclusione della possibilita' di costituirsi parte civile nel corso delle indagini preliminari, desumibile dall'art. 85 del Progetto del 1978, sul presupposto che in questa fase non esiste ancora un vero rapporto processuale: c'e' una situazione in cui il pubblico ministero indaga per stabilire "se sussistono le condizioni per il promuovimento dell'azione penale ovvero se dovra' richiedere l'archiviazione"; e, pur essendo il difensore dell'imputato ammesso ad assistere a determinati atti del pubblico ministero (direttiva 34 legge-delega del 1974; v., ora, direttiva 38 legge-delega del 1987 e artt. 360, 362, 363, 364, 365, 367, 372, per l'attivita' del pubblico ministero, nonche' artt. 350 commi 2 e 4, 352 comma 3, 356, 368, per l'attivita' della polizia giudiziaria; cfr., altresi', gli artt. da 390 a 401, per l'incidente probatorio), e' altrettanto vero che tale assistenza non assume il carattere e la funzione di partecipazione alla formazione in contraddittorio delle prove ed alla dialettica processuale, esplicando la semplice funzione di "testimonianza ad attivita' di parte", rivolta ad assicurare il corretto espletamento dell'atto. Si aggiungeva come non apparisse necessaria la presenza del danneggiato, la quale avrebbe complicato lo svolgimento di tali attivita' e come, del resto, la legge-delega del 1974 (direttiva 34) non facesse alcun cenno circa la presenza della parte civile prima della comparizione delle parti davanti al giudice istruttore. Il testo dell'art. 85 del precedente Progetto non incontro', tuttavia, unanimi consensi, in quanto, secondo alcuni commentatori, la presenza del difensore del danneggiato nella fase delle indagini preliminari - cioe' proprio nel momento in cui si pongono in essere i primi accertamenti in grado di sboccare in atti irripetibili - potrebbe contribuire notevolmente all'acquisizione di quegli elementi di prova da utilizzare in un tempo successivo. Si e' ritenuto che una delle problematiche decisive sottostanti alla formulazione dell'art. 78 si riconnette alla necessita' di collegare la disciplina riguardante il dies a quo per la costituzione di parte civile alla corrispondente regolamentazione di due istituti introdotti dalla legge di delegazione del 1987: in particolare, il giudizio abbreviato e l'incidente probatorio. Per quel che si riferisce al giudizio abbreviato, l'ultima parte della direttiva 53 della legge-delega ha vincolato il legislatore delegato ad ammettere comunque la costituzione di parte civile. Peraltro, in attuazione della detta direttiva, si e' stabilito (v. sub art. 436) che la costituzione di parte civile intervenuta dopo la conoscenza dell'ordinanza con la quale viene disposto il giudizio abbreviato e del consenso del pubblico ministero equivale ad accettazione della abbreviazione del rito: con i riflessi conseguenti quanto all'efficacia della sentenza di assoluzione nei confronti della parte civile (v. sub art. 643). Per quel che attiene all'incidente probatorio, la Commissione ha lungamente dibattuto circa l'opportunita' di autorizzare la costituzione di parte civile (o anche la semplice partecipazione del danneggiato, a mezzo del difensore previamente nominato) per il compimento di tale atto. La soluzione positiva era stata prospettata sia al fine di agevolare - tenuto conto della possibilita' dei piu' lunghi tempi per lo svolgimento delle indagini preliminari indicati nella legge-delega del 1987 - la transazione sul danno, sia al fine di favorire l'anticipazione della condanna ad una provvisionale, sia, soprattutto - considerando gli effetti del giudicato penale sull'azione civile - allo scopo di consentire l'utilizzazione del materiale probatorio raccolto in sede di incidente anche nei confronti del danneggiato dal reato. Rispetto a tali non trascurabili esigenze, la cui soddisfazione avrebbe forse agevolato una piu' tempestiva realizzazione della pretesa di danno, ha finito, pero', per prevalere l'esigenza di non gravare oltre misura la fase delle indagini preliminari: un evento non difficile a verificarsi se si fosse autorizzata la partecipazione all'incidente probatorio di soggetti diversi dal pubblico ministero, dall'imputato e dalla persona offesa. Gli inconvenienti lamentati al fine di indurre a consentire la costituzione di parte civile per il compimento di tale atto sono stati ritenuti non decisivi, considerando, da un lato, che la condanna al pagamento di una provvisionale puo' essere richiesta direttamente al giudice civile e, dall'altro, che il regime dell'efficacia del giudicato opera nei soli casi in cui la parte civile sia stata posta in grado di partecipare al giudizio penale (v. art. 643). Senza contare che, mentre, per un verso, il danneggiato, laddove (e si tratta di un'ipotesi certamente non eccezionale) sia anche persona offesa dal reato, oltre ad essere titolare di poteri di iniziativa circa l'espletamento dell'incidente probatorio (v. art. 392 comma 1), potra' partecipare a mezzo del suo difensore (art. 398 comma 1) e, in alcuni casi, anche personalmente (art. 398 comma 3) alla relativa udienza, per un altro verso, la sentenza pronunciata sulla base di prove assunte con incidente probatorio a cui la parte civile non sia stata posta in grado di partecipare (o perche' non pure persona offesa o perche' non ancora identificata come tale ovvero perche' non citata solo per errore) non produce gli effetti previsti dall'art. 643, salvo che vi sia stata accettazione, anche tacita, del materiale probatorio acquisito attraverso l'incidente. Nella sostanza, quindi, - seguendosi la linea segnata dal Progetto del 1978 - si e' privilegiata una disciplina che, favorendo il regime della separazione fra azione penale e azione civile, sia in grado di non incoraggiare la partecipazione del danneggiato dal reato al processo penale. Il fatto che il nuovo art. 78 non abbia subi'to modificazioni di particolare rilievo rispetto al testo del 1978, non indica, peraltro, una esatta corrispondenza nel contenuto precettivo delle due norme. In particolare, l'espressione "udienza preliminare", adottata nel comma 1, non si riferisce alla sola udienza preliminare "di rito" prevista dall'art. 413 s. ma anche all'"udienza preliminare" per il giudizio abbreviato prevista dall'art. 434 s. Inoltre, la fissazione del termine a quo della costituzione "per l'udienza preliminare" e non "nell'udienza preliminare" (come disponeva il Progetto del 1978), vale a far si' che il danneggiato non debba necessariamente attendere l'inizio di tale udienza per costituirsi parte Analogamente a quanto previsto nel Progetto del 1978, il termine entro il quale e' ammissibile la costituzione di parte civile e' stato fissato in corrispondenza con la conclusione degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti in dibattimento (art. 478), essendo proponibili subito dopo le questioni preliminari (v. Relazione, pag. 108). Nel comma 2 dell'art. 78 e' stato precisato che il termine in parola e' stabilito a pena di "decadenza", fermo restando che la pronuncia con la quale viene accertata la tardivita' della costituzione di parte civile ne dovra' dichiarare l'inammissibilita': si e' cosi' deciso di sostituire l'espressione "inammissibilita'" figurante nel comma 2 dell'art. 85 del testo del 1978, sembrando tecnicamente piu' rigoroso collegare al decorso del termine la perdita del diritto di esercitare l'azione civile in sede penale. Il comma 3, con lo stabilire che se la costituzione di parte civile avviene dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 462 comma 1, la parte civile non puo' avvalersi della facolta' di presentare le liste di testimoni, periti e consulenti tecnici, ha lo scopo di evitare che resti parzialmente vanificata, a discrezione di un soggetto processuale accessorio, la regola che impone la previa deduzione e comunicazione delle prove, ai fini della tempestiva instaurazione del contraddittorio in ordine alla ammissione delle prove stesse (v. Relazione al Progetto del 1978, p. 108). Negli articoli 79 e 80 e' stata dettata la disciplina della esclusione della parte civile, rispettivamente, a richiesta di parte o di ufficio. In entrambi i casi si e' ritenuto di adottare l'espressione "esclusione" (sostitutiva, per quella su richiesta di parte, della "opposizione" prevista dal codice vigente) per sottolineare che il provvedimento di inammissibilita' della costituzione di parte civile presuppone che questa deve considerarsi, sin dal momento della costituzione - senza la necessita' di alcun provvedimento ammissivo - parte processuale (v. Relazione al Progetto del 1978, p. 108). Per quel che concerne l'articolo 79, le modificazioni apportate al corrispondente testo del 1978 (l'art. 86) sono state dettate dalla necessita', per un verso, di adeguarlo ai princi'pi della nuova legge-delega che prevedono la soppressione della fase istruttoria, e, per un altro verso, di ovviare ad alcune imperfezioni formali della norma precedente. Fermo restando che la titolarita' della legittimazione alla richiesta di esclusione spetta al pubblico ministero, all'imputato e al responsabile civile (comma 1), i termini entro i quali si e' consentito di proporre la richiesta di esclusione sono stati conformati in relazione alle diverse fasi in cui puo' articolarsi il nuovo processo. A tal fine, nel comma 2 e' stato fissato come termine ad quem della richiesta di esclusione della parte civile avvenuta per l'udienza preliminare, il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell'udienza preliminare o nel dibattimento, cosi' consentendosi di ovviare agli effetti negativi derivanti, nel sistema del Progetto del 1978, dall'anticipazione dell'effetto preclusivo per la stessa udienza preliminare: un'anticipazione del tutto ingiustificata considerato che il regime delle preclusioni in tanto ha una sua ragion d'essere, in quanto la perdita del diritto per il decorso del tempo si colleghi alla tutela di altre posizioni soggettive, oltreche' all'esigenza di un sollecito ed ordinato svolgimento del processo. E' stato, percio', fissato come termine entro il quale la richiesta di esclusione e' proponibile, il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti (anche) nel dibattimento. Immutato e' invece rimasto il comma 5 dell'art. 86 del Progetto del 1978 (comma 3 dell'art. 79 del nuovo Progetto), nel prevedere che se la costituzione di parte civile e' avvenuta nel corso degli atti preliminari al dibattimento o introduttivi dello stesso, la richiesta e' proposta oralmente a norma dell'articolo 485 comma 1, norma disciplinante il termine di proposizione delle questioni preliminari. La precisazione, contenuta nel comma 4, che i termini indicati dai due commi precedenti sono stabiliti a pena di decadenza, si e' resa necessaria potendo la perdita del diritto di proporre opposizione derivare soltanto da una espressa previsione legislativa (v. art. 173 comma 1). Il comma 5 stabilisce che sulla richiesta di esclusione il giudice decide con ordinanza: un provvedimento da intendersi, in base al principio di tassativita' dei mezzi di impugnazione (art. 561), come inoppugnabile. Non e' stata prevista la possibilita' di proporre gravame avverso l'ordinanza del giudice anche quando la richiesta di esclusione venga accolta, sia al fine di evitare l'instaurazione di fasi incidentali produttive di stasi del processo, del tutto ingiustificate anche tenuto conto del disposto dell'art. 87 (v. Parere della precedente Commissione consultiva, p. 91, 92), sia perche', alla stregua del comma 6 dello stesso art. 79 (conformato sostanzialmente sullo schema dell'art. 87 comma 2 del Progetto del 1978), l'ordinanza con la quale la parte civile viene esclusa nell'udienza preliminare non impedisce una nuova costituzione purche' questa avvenga nei termini previsti dalla legge (v. artt. 78 comma 1 e 478). La rubrica dell'articolo 80 ha lo scopo di sottolineare il diverso atteggiarsi dell'esclusione prevista da tale precetto rispetto a quella contemplata nell'articolo che lo precede: mentre in questo e' disciplinata l'esclusione su richiesta di parte, in quello sono disciplinati i poteri di ufficio del giudice il quale accerti l'insussistenza dei presupposti per la costituzione (difetto di legittimazione, mancanza di elementi della dichiarazione prescritti a pena di inammissibilita', inosservanza del termine stabilito dall'art. 78, etc.; v. Relazione al Progetto del 1978, p.109). L'articolo si compone, ora, soltanto di due commi, in quanto il comma 2 del corrispondente testo del 1978 e' stato inserito, con gli opportuni adattamenti, nell'art. 79 del nuovo Progetto: la disciplina prevista (significativa e' la soppressione dal comma 1 della parola "anche" figurante nel Progetto precedente, a precisare che l'art. 80 detta la regolamentazione della sola esclusione officio iudicis) vale cosi' a chiarire che l'esercizio da parte del giudice del potere di escludere la parte civile non resta precluso dalla reiezione della richiesta pronunciata nell'udienza preliminare; purche', ovviamente, l'ordinanza sia emessa prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Non e' parso opportuno consentire l'esclusione della parte civile nel corso del dibattimento, dato che il relativo provvedimento, sommariamente motivato ed inoppugnabile - tendendo ad impedire che lo svolgimento del giudizio sia turbato dalla presenza di un soggetto palesemente non legittimato a parteciparvi - e' giustificato solo se emesso tempestivamente. Percio', quando la legittimazione della parte civile sia dubbia, e solo in esito al dibattimento emergano elementi sufficienti per la decisione sul punto, il giudice dovra' differirla fino al momento della pronuncia della sentenza, soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione (v. Relazione al Progetto del 1978, p. 109). Non dovrebbero sorgere perplessita' circa l'applicazione degli artt. 79 e 80 anche al giudizio abbreviato, considerando che l'espressione "udienza preliminare" rappresenta - nel sistema della nuova delega - un genus nel quale e' ricompresa anche tale forma di giudizio. Particolarmente complessa si e' rivelata la disciplina della revoca della costituzione di parte civile, soprattutto nei suoi necessari collegamenti con i princi'pi relativi all'esercizio in sede penale della pretesa di danno. L'articolo 81, norma a cui e' assegnato il compito di dettare la specifica regolamentazione dell'istituto, introduce, anzitutto, una deroga al principio electa una via, deroga giustificata dalla opportunita' di favorire l'azione riparatoria nella sede civile (piu' idonea sotto molteplici profili) e di liberare il processo penale da questioni ad esso estranee (concernenti il danno civilistico, le eventuali responsabilita' di altri soggetti, etc.; v. Relazione al Progetto del 1978, p. 109). Il nuovo Progetto, pur mantenendo la distinzione fra revoca espressa e revoca tacita, ha escluso dall'ambito dei casi in cui quest'ultima ricorre sia l'ipotesi di mancata comparizione della parte civile al dibattimento sia l'ipotesi della omessa presentazione delle conclusioni all'udienza preliminare. Il fatto che la mancata comparizione della parte civile non comporti piu' gli effetti rispettivamente previsti dai commi 1 e 2 dall'art. 103 del codice vigente (v. le critiche formulate, al riguardo, dalla precedente Commissione consultiva: p. 93 del suo Parere) si giustifica agevolmente in forza del potere rappresentativo conferito pleno iure al difensore, "col ministero" del quale la parte civile sta in giudizio (v. art. 99). Si e' deciso di escludere dai casi di revoca tacita, l'omessa presentazione delle conclusioni all'udienza preliminare, perche' avendo tali conclusioni un carattere puramente processuale, sarebbe risultato assolutamente esorbitante far conseguire dalla loro mancata formulazione l'operativita' degli effetti previsti dall'art. 81. Senza contare che, nell'ipotesi di trasformazione del rito ordinario in rito abbreviato, se dalla omessa presentazione delle conclusioni della parte civile - nei cui confronti si applica il precetto dell'art. 436 comma 2 - dovesse derivare la revoca della costituzione, potrebbero insorgere dubbi interpretativi circa l'efficacia vincolante per la parte civile del giudicato penale di assoluzione, secondo quanto stabilito dall'art. 643 comma 2. Nel suo complesso, il regime della revoca - espressa o tacita che sia - va valutato tenendo conto che la nuova disciplina autorizza, in ogni caso, il danneggiato, il quale si convinca che il processo penale non e' la sede piu' idonea per la risoluzione della controversia civile, a rivolgersi al giudice naturalmente competente, riproponendo l'azione civile. Se vi si Quanto alle spese processuali e ai danni provocati all'imputato e al responsabile civile (comma 3), si e' mantenuto integro il precetto dell'art. 88 comma 3 del precedente Progetto con l'attribuzione al giudice civile della competenza esclusiva a conoscerne: cio' sia perche' la revoca consegue in genere al risarcimento del danno sia perche' essa non preclude, comunque, la domanda in sede civile. Le novita' introdotte con riferimento alle modalita' di esercizio del potere di revoca sono state dettate, da un lato, per evidenziare nella revoca il carattere di contrarius actus rispetto alla costituzione e, dall'altro, per rendere la disciplina della revoca stessa ancora piu' prossima, considerate le affinita' rilevabili fra i due istituti, alla rinuncia agli atti del giudizio civile, anch'essa da compiersi ad opera della parte, personalmente o a mezzo di procuratore speciale. Il comma 4 (non figurante espressamente nel corrispondente articolo del Progetto del 1978: art. 88), con lo stabilire che la revoca non preclude il successivo esercizio dell'azione in sede civile, e' diretto a favorire - non facendo operare in alcun caso (e cioe', ne' nell'ipotesi di revoca espressa ne' nell'ipotesi di revoca tacita) la preclusione all'esercizio dell'azione civile in sede propria - l'"esodo" della parte civile dal processo penale, cosi' conformandosi alla tendenza segui'ta, in via generale, dal nuovo Progetto. Negli artt. da 82 a 86 e' stato dato assetto alla disciplina processuale riguardante il responsabile civile, mantenendosi sostanzialmente integro lo schema del Progetto del 1978. L'articolo 82, concernente la citazione del responsabile civile, non innova il regime vigente sia quanto alla vocatio in iudicium sia quanto alla necessita' di un controllo preventivo da parte del giudice sull'ammissibilita' di essa (comma 1 prima parte). La richiesta di citazione, oltre che dalla parte civile, puo' essere proposta, nel caso previsto dall'art. 76 comma 4 - cosi' come dispone l'art. 107 comma 3 del codice vigente - dal pubblico ministero. Per quel che attiene alla legittimazione passiva dell'imputato, si e' ritenuto di reintrodurre la stessa formula dell'art. 107 comma 1 ultima parte del codice vigente, che contempla la citazione dell'imputato per il fatto dei coimputati per il caso (non "nel caso" come - probabilmente soltanto per un mero errore materiale - prescriveva l'art. 89 comma 1 del Progetto del 1978) in cui venga prosciolto: in tal modo consentendosi all'imputato l'acquisizione di una posizione processuale che, sebbene condizionata al suo proscioglimento, e' operante sin dal momento in cui e' possibile la citazione del responsabile civile. Quanto ai dies a quo e ad quem della chiamata in causa, il Progetto del 1978 prevedeva che la citazione del responsabile civile dovesse avvenire "nel corso degli atti di istruzione ovvero per il giudizio". Nel sistema della nuova delega, la soppressione della fase istruttoria ha imposto una completa revisione di detta norma, essendo risultata insufficiente a disciplinare i tempi della citazione, la parte "residua" del comma 1 dell'art. 89 del Progetto precedente. E' stata percio' adottata la formula "al piu' tardi per il dibattimento" (comma 2), una formula che, fissando il termine ad quem per il dibattimento e non piu' per il giudizio, da un lato, non impedisce la citazione per l'udienza preliminare e, dall'altro, pare puntualmente coordinarsi con la regola che, non autorizzando la citazione del responsabile civile in caso di introduzione del giudizio abbreviato, impone al giudice, nell'ipotesi di trasformazione del rito (non prima ma) nel corso dell'udienza preliminare (art. 434 comma 3), di disporne l'esclusione (v. art. 86). Circa i requisiti di ammissibilita' della citazione del responsabile civile, l'art. 82 comma 3 ricalca il testo dell'art. 89 comma 2 del Progetto del 1978. Peraltro, anche con riguardo al responsabile civile si e' reso necessario tener conto del fatto che non sempre si tratta di una persona fisica o di una persona giuridica, potendo egli - al pari della parte civile - identificarsi con un'entita' (anche plurisoggettiva) non personificata: l'eventualita' dell'esercizio dell'azione civile non direttamente nei confronti delle singole persone ma nei confronti dell'ente chiamato a rispondere per il fatto di esse, ha reso indispensabile una riformulazione dell'art. 89 comma 3 n. 1 del Progetto del 1978; riformulazione avvenuta ad opera dell'art. 82 comma 3 lett. a) del nuovo Progetto. A sua volta, la lett. b) dello stesso comma ha modificato il n. 2 del testo precedente cosi' da rendere il contenuto del decreto di citazione analogo a quello della dichiarazione di costituzione di parte civile. L'espressione "a cura della parte civile", adottata nel comma 4, e' stata suggerita dal parere di una delle autorita' cui il Progetto del 1978 era stato inviato; nel caso previsto dall'art. 76 comma 4 sara' il pubblico ministero a curare la notificazione della citazione. La precisazione ha reso, peraltro, necessario un adattamento del Progetto precedente, cosi', ovviamente, da ricomprendere fra i destinatari della notificazione il responsabile civile, secondo una disposizione implicita nell'art. 89 comma 4 del Progetto del 1978. Nel comma 5 si e' aggiunto - accogliendo i rilievi della precedente Commissione consultiva a proposito dell'art. 89 comma 5 del Progetto del 1978 (v. Parere, p. 96) - che la citazione del responsabile civile perde efficacia (non solo se vi e' stata revoca ma anche) se vi e' stata esclusione della parte civile: e' sembrato, infatti, utile sancire espressamente che il permanere nel processo del responsabile civile, convenuto in base alla pretesa della parte civile, non trova alcuna giustificazione in ogni ipotesi in cui l'attore non e' piu' presente nel processo penale. Non e' parso opportuno, peraltro, fissare un'analoga prescrizione con riguardo all'azione civile esercitata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 76 comma 4, attesa l'assoluta provvisorieta' di tale tipo di azione che non potrebbe, nella pratica, nemmeno consentire l'instaurazione della procedura incidentale di esclusione. Diversamente da quanto stabilito dal codice vigente, il nuovo Progetto, seguendo la linea tracciata dal Progetto del 1978, impone, quale condizione per la sua partecipazione al processo, che il responsabile civile si costituisca. La regola, che avvicina sempre di piu' il responsabile civile alla figura del convenuto nel processo civile, si collega al principio stabilito dall'art. 99, in base al quale (anche) il responsabile civile sta in giudizio con il ministero di un difensore. L'articolo 83, prescrivendo - in simmetria con quanto stabilito per la costituzione di parte civile - che il soggetto citato come responsabile civile puo' costituirsi nel processo penale anche a mezzo di procuratore speciale (comma 1) e' destinato, appunto, a soddisfare tale esigenza. Il responsabile civile puo' costituirsi o prima dell'udienza, nel qual caso la dichiarazione di costituzione dovra' essere depositata in cancelleria, ovvero nell'udienza, nel qual caso la di chiarazione di costituzione sara' presentata allo stesso segretario di udienza. Le evidenti analogie fra la costituzione del responsabile civile e la costituzione del convenuto nel processo civile, mentre, per un verso, hanno indotto a prescrivere che l'atto debba contenere determinati requisiti, per un altro verso, hanno fatto ritenere eccessiva - considerato che il responsabile civile viene coinvolto nel processo penale a seguito della iniziativa di altri soggetti - la sanzione della inammissibilita' della costituzione come conseguenza della mancanza o della inadeguatezza di tali requisiti. Sotto il primo aspetto, e' stato deciso di limitare i requisiti per la costituzione del responsabile civile quelli necessari al fine di assicurare la certezza circa la provenienza dell'atto e l'assistenza difensiva. Occorrera', percio', indicare le generalita' del responsabile civile, se si tratta di una persona fisica, e del legale rappresentante, se chi si costituisce e' una persona giuridica o un ente, nonche' le generalita' del difensore e la procura. In analogia con quanto prescritto per la parte civile (art. 77 comma 1 lett. e), si e' stabilito che anche la costituzione del responsabile civile deve essere sottoscritta dal difensore. Per quel che attiene alla sanzione conseguente alla mancanza o alla incompletezza dei detti requisiti, si e' ritenuto eccessiva la sanzione della inammissibilita', assoggettata ad un regime di rilevabilita' estremamente gravoso e, quindi, quasi punitivo per il responsabile civile: essa e' stata percio' sostituita con il regime della nullita', da ritenersi piu' favorevole per la parte costituita, stante la sua posizione assolutamente accessoria nel processo penale. Il comma 3 stabilisce, infine, che al responsabile civile si applicano le disposizioni dettate per la parte civile concernenti l'immanenza della costituzione. Nell'articolo 84 e' stata dettata la disciplina dell'intervento volontario del responsabile civile: un istituto che consente a tale soggetto di tutelare il suo interesse ad interloquire nel processo penale al fine di evitare una pronuncia che, per quanto giuridicamente inefficace nei suoi confronti (cfr. art. 642), potrebbe tuttavia pregiudicarlo, influenzando il giudice civile successivamente adi'to dal danneggiato (v. Relazione al Progetto del 1978, p. 110). L'intervento, inoltre, esplica la funzione di evitare possibili collusioni, ai danni del responsabile civile, fra parte civile e imputato (v. Parere della precedente Commissione consultiva, p. 95). L'istituto e' stato costruito come un intervento ad adiuvandum della posizione dell'imputato: l'esperibilita' dell'intervento resta, peraltro, subordinata alla condizione che il responsabile civile non sia stato citato. Nel comma 1, in simmetria con quanto prescritto dall'art. 79 comma 2 riguardo alla richiesta di esclusione della parte civile, si e' stabilito come termine ad quem per l'intervento, quello corrispondente agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nella udienza preliminare o nel dibattimento. E' ovvio che, come la citazione, anche l'intervento sara' precluso nel caso di trasformazione del giudizio ordinario in giudizio abbreviato. Per il resto, la norma non differisce sostanzialmente dal corrispondente articolo del Progetto del 1978, salvo gli adeguamenti resisi necessari in conseguenza sia della soppressione degli atti di istruzione sia della nuova fisionomia dell'udienza preliminare. Peraltro, considerato che la partecipazione al processo penale consegue esclusivamente all'iniziativa del responsabile civile, l'inammissibilita' e' parsa sanzione adeguata in caso di mancanza o di inadeguatezza, nell'atto di intervento, dei requisiti prescritti dalla legge, nonche' nel caso di intervento oltre il termine da questa stabilito. Infine, il comma 5, in sintonia con l'art. 82, dettato per la costituzione, prescrive che l'intervento del responsabile civile perde efficacia anche nel caso di esclusione della parte civile. Con gli artt. 85 e 86 e' stato dato assetto al regime processuale della esclusione del responsabile civile. Nell'articolo 85 e' disciplinata la richiesta di esclusione, attribuendosi la relativa legittimazione all'imputato, alla parte civile, al pubblico ministero e al responsabile civile che non sia intervenuto volontariamente. Al fine di evitare citazioni non sufficientemente meditate, si e' ritenuto, a modifica del Progetto del 1978, di precludere la richiesta di esclusione alle parti che abbiano richiesto la citazione del responsabile civile. Per quanto concerne la legittimazione alla richiesta di esclusione attribuita al responsabile civile che non sia intervenuto volontariamente (comma 2), considerato che la citazione comporta l'ingresso di tale soggetto nel processo senza la cognizione degli elementi probatori acquisiti a carico dell'imputato, e' stato deciso di adottare un precetto tale da consentire al responsabile civile di richiedere la sua esclusione non soltanto per i motivi (sottesi alla disposizione del comma 1) attinenti alla legittimazione ma pure qualora i detti elementi probatori possano arrecare pregiudizio alla sua difesa in relazione a quanto previsto dagli artt. 642 e 645. Con riguardo all'art. 642, anzi, la norma in esame potra' incentivare il responsabile civile a costituirsi, dato che solo l'acquisto della qualita' di parte gli consentira' di proporre l'istanza per l'esclusione, mentre l'efficacia di giudicato prevista dalla disposizione in parola presuppone non la costituzione ma la semplice citazione del responsabile civile. Come termine entro il quale la richiesta di esclusione e' proponibile, e' stato fissato il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell'udienza preliminare o nel dibattimento (art. 85 comma 3): cio' anche al fine di adeguare la disciplina dei tempi di proposizione della richiesta di esclusione del responsabile civile ai tempi di proposizione della richiesta di esclusione della parte civile previsti nel Progetto. L'articolo 86, che disciplina i poteri del giudice in ordine alla esclusione del responsabile civile, ha subi'to considerevoli "aggiornamenti" rispetto all'art. 93 del Progetto del 1978, avente ad oggetto la disciplina "residuale" in tema di esclusione del responsabile civile. L'articolo (a differenza del precedente che ne conteneva 3) si compone ora di soli due commi. Il comma 1 non differisce dal corrispondente comma del Progetto del 1978 se non per il fatto di imporre al giudice di ordinare, anche di ufficio, l'esclusione non solo del responsabile civile citato ma anche del responsabile civile intervenuto, qualora facciano difetto i requisiti stabiliti dalla legge per l'intervento. Del tutto nuovo e' il comma 2, inserito in luogo dei commi 2 e 3 del testo precedente, divenuti obsoleti in conseguenza della soppressione della fase istruttoria. Per converso, il nuovo istituto del giudizio abbreviato ha imposto l'introduzione di una norma che fa carico al giudice del dovere (nel cui adempimento il magistrato non dispone di alcun margine di discrezionalita') di ordinare l'esclusione del responsabile civile anche nel caso di trasformazione del rito ordinario. Tale precetto - che trova riscontro nei limiti imposti alla presenza della parte civile al rito abbreviato dall'art. 436 comma 2 - e' stato formulato nell'intento di non gravare tale tipo di giudizio, che dovrebbe essere caratterizzato dalla massima celerita', della presenza, non indispensabile, di soggetti la cui posizio ne puo' restare incisa solo sul piano privatistico dalla decisione penale. Inoltre, l'ultima direttiva 53 della legge-delega del 1987 pare qualificare come assolutamente eccezionali gli effetti civili derivanti dalla decisione pronunciata a seguito dell'abbreviazione del rito. L'articolo 87, rimasto immutato rispetto al corrispondente articolo del Progetto del 1978 (l'art. 94), reca una disciplina pressocche' identica a quella prevista dai commi 1 e 2 dell'art. 100 del codice vigente. E' chiaro che, non essendo la costituzione di parte civile subordinata ad alcuna valutazione ad opera del giudice, quando si fa riferimento all'"ammissione" di tale soggetto si ha riguardo esclusivamente ai requisiti di ammissibilita' prescritti dalla legge. L'articolo 88, detta la disciplina della citazione di un nuovo soggetto processuale: il "civilmente obbligato per la pena pecunaria". La creazione di tale "neologismo" (risalente, peraltro, all'art. 95 del Progetto del 1978) si e' resa ora necessaria non tanto perche' (v. Relazione al progetto del 1978, p. 111) alcune leggi speciali contemplano la figura del civilmente obbligato pure con riferimento alla multa, quanto per adeguare il nuovo precetto agli artt. 196 e 197 c.p., quali sostituiti ad opera dell'art. 116 l. 24 novembre 1981, n. 689. La prescrizione dell'art. 196 comma 2 c.p., a norma del quale, se la persona preposta risulti insolvibile, il condannato resta assoggettato al regime della conversione previsto dall'art. 136, ha reso necessario conferire anche all'imputato la legittimazione a richiedere la citazione del civilmente obbligato per la pena pecunaria: tale richiesta varra' ad impedire gli effetti derivanti in conseguenza di una - certo, non del tutto inipotizzabile - inerzia del pubblico ministero, cosi' da tutelare an che il diritto alla liberta' personale dell'imputato. Circa il termine a quo della citazione, a modifica del Progetto del 1978, si e' ritenuto di consentire la "chiamata" del civilmente obbligato anche per l'udienza preliminare. L'innovazione si e' resa necessaria soprattutto al fine di evitare che l'impossibilita' di citazione per tale fase possa costituire un insuperabile deterrente per l'imputato - esposto comunque di persona - alla richiesta di abbreviazione del rito a norma dell'art. 435, cosi' da imporre il ricorso al dibattimento anche nel caso di procedimenti penali di agevole definizione. Lo stretto legame esistente, pure in relazione alla possibilita' di applicazione dell'art. 136 c.p., fra la posizione dell'imputato e la posizione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria - la cui qualita' resta comunque intrinsecamente connessa al momento di applicazione della sanzione penale - ha indotto a prescrivere espressamente che tale soggetto non possa essere escluso in conseguenza dell'accoglimento della richiesta di giudizio abbreviato. L'espressione "giudizio", anziche' dibattimento, e' stata adottata non tanto per comprendervi la citazione per il giudizio abbreviato (che rientra nel piu' ampio genus dell'udienza preliminare), quanto per includervi la citazione per il giudizio per decreto, con riguardo al quale il ruolo del civilmente obbligato assume una rilevanza del tutto peculiare (v. art. 453 s.). Non e' stato consentito, invece, l'intervento volontario del civilmente obbligato, dal momento che costui, non potendo in alcun modo venire chiamato, successivamente, a rispondere dell'obbligazione civile, non avra' alcun interesse a partecipare al processo penale, se non quando sia stato citato su istanza del pubblico ministero (cfr. Relazione al Progetto del 1978, p. 111) o dell'imputato. TITOLO VI PERSONA OFFESA DAL REATO Premessa. Nella topografia del nuovo Progetto, l'introduzione di un titolo appositamente dedicato alla persona offesa, risponde all'esigenza di assegnare a tale soggetto una specifica collocazione, allo scopo di attribuirgli uno spazio, anche sistematicamente, autonomo rispetto alle parti private diverse dall'imputato, alle quali era dedicato il titolo del Progetto del 1978 ove anche la persona offesa veniva collocata. Nel nuovo titolo e' stata ricompresa pure la disciplina riguardante gli enti e le associazioni di cui alla direttiva 39, sia perche' la loro posizione processuale e' conformata (salvo la specifica disposizione dettata, per il giudizio, dall'art. 504 comma 6) a quella attribuita alla persona offesa, sia perche' tali figure soggettive traggono, almeno in parte, la loro legittimazione da un atto dell'offeso dal reato. L'attuale sistemazione ha, da un lato, lo scopo di meglio enucleare sul piano concettuale la natura dell'interesse delle figure soggettive comprese nel titolo VI e, dall'altro, quello di operare un puntuale adattamento della nuova disciplina alle direttive della legge-delega del 1987. Sotto il primo profilo, l'interesse di cui sono portatori la persona offesa e gli enti e le associazioni indicati nella direttiva 39, collegato com'e' alla tutela penale, comporta una loro sfera di azione processuale che se non puo', in alcun modo, restare subordinata alla rilevanza di pretese di natura extrapenale, tende a realizzare, mediante forme di "adesione" all'attivita' del pubblico ministero ovvero di "controllo" su di essa, una sorta di contributo all'esercizio o al proseguimento dell'azione penale. Sotto il secondo profilo, due direttive della legge-delega del 1987 sono state determinanti ai fini della introduzione alla nuova disciplina: la direttiva 3, che (a differenza di quanto non facessero le direttive 2 e 46 della legge-delega del 1974) menziona espressamente la persona offesa quale titolare della facolta' di indicare elementi di prova e di presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento; la direttiva 39, che attribuisce