(parte 2)
qua.
   Nella  realta',  si  tratta  di  previsioni  la cui ratio e' molto
diversa. Il sistema e' infatti cosi' concepito:
    a)  astensione  facoltativa del magistrato del pubblico ministero
in tutte le fasi del  processo  quando  esistono  "gravi  ragioni  di
convenienza";
    b)  valutazione  di tali ragioni da parte dello stesso magistrato
con previsione della esistenza di dette ragioni;
    c)  delega alla trattazione del processo dell'uno o dell'altro (o
di piu' di un) magistrato del pubblico ministero secondo  gli  schemi
organizzativi dell'ufficio;
    d)  insostituibilita'  del  pubblico  ministero  delegato  per le
udienze;
  e) sostituibilita' in casi tassativamente elencati e pur in assenza
di dichiarazione di astensione. L'elencazione dei casi risponde a due
finalita': 1) quella di consentire un successivo controllo sul potere
esercitato dal dirigente dell'ufficio  (le  modalita'  del  controllo
dovranno    essere    disciplinate   dalle   norme   sull'ordinamento
giudiziario) e di impedire che si proceda a sostituzioni  rispondenti
a generici principi organizzativi dell'ufficio (viceversa applicabili
in momenti diversi  dalle  udienze  e  grazie  ai  quali  puo'  anche
ovviarsi  alla  omessa  dichiarazione  di  astensione);  2) quella di
rendere trasparente l'operato dell'ufficio  del  pubblico  ministero,
nei  momenti  piu' delicati del processo laddove piu' "intensa" e' la
sua autonomia e, anche,  di  dare  concretezza  ai  casi  "di  palese
esistenza delle gravi ragioni di convenienza" (che, come si e' detto,
ove non seguite da dichiarazione di astensione potranno dar  luogo  a
sanzioni non processuali).
   L'articolo 55 istituisce meccanismi di coordinamento fra i diversi
uffici del pubblico ministero nel corso delle  indagini  preliminari.
La  norma  ha  ragion d'essere solo in relazione a questa fase, della
quale e' dominus il pubblico ministero, poiche' un  analogo  problema
non   puo'  prospettarsi  in  quelle  successive,  nelle  quali  ogni
situazione  del  tipo  in  esame  viene  assorbita  nei  problemi  di
competenza del giudice.
   Il  comma 2 esaurisce la regolamentazione dei conflitti tra uffici
del pubblico ministero. In tale disciplina non sono  compresi  ne'  i
contrasti  che  possono  insorgere  all'interno di uno stesso ufficio
(poiche' la loro soluzione rientra  nei  compiti  ordinari  del  capo
dell'ufficio)  ne'  i conflitti "positivi", i quali sono destinati ad
insorgere in sede di udienza preliminare come conflitti di competenza
tra  giudici, trovando qui il momento naturale della loro denuncia, e
che comunque sono evitati o composti,  come  conflitti  virtuali  che
possono  insorgere  prima,  dai  meccanismi  dell'art.  29  comma 3 e
dell'art. 369 richiamati sub art. 52.
   La  norma  in  esame  si  occupa  quindi  soltanto  dei  conflitti
"negativi" tra i  diversi  uffici  del  pubblico  ministero,  la  cui
disciplina  e' anzitutto caratterizzata - come si e' gia' osservato -
dal fatto che, trattandosi  di  vicende  che  interessano  una  parte
processuale,   la   loro   soluzione  e'  contenuta  e  si  esaurisce
nell'ambito della stessa struttura organizzativa di tale parte.
   Per questa ragione si e' ritenuto - in conformita' al Progetto del
1978 - che l'organo chiamato a risolvere  il  conflitto  insorto  tra
uffici  del  pubblico  ministero debba essere il procuratore generale
presso la corte di appello, se si tratta di uffici appartenenti  allo
stesso  distretto,  ed  il  procuratore  generale  presso la corte di
cassazione, se si tratta di uffici appartenenti a distretti  diversi.
Va comunque chiarito che, con tale sistema, non si e' inteso attivare
alcun potere gerarchico dal momento che si  e'  fatto  riferimento  a
soggetti   che   non  sono,  rispetto  ai  magistrati  in  conflitto,
gerarchicamente sovraordinati. La decisione del  conflitto  non  puo'
essere considerata, infatti, espressione di un potere gerarchico.
   In relazione al Progetto del 1978, la Commissione consultiva aveva
suggerito una diversa  soluzione:  quella  di  portare  la  questione
davanti   ai  giudici  presso  i  quali  i  magistrati  in  conflitto
esercitano le funzioni di pubblico ministero affinche'  fossero  quei
giudici   a   sollevare  formale  conflitto  davanti  alla  corte  di
cassazione. Si e' ritenuto pero' che la  soluzione  proposta  avrebbe
introdotto una rilevante complicazione del sistema.
   Il  comma  3  dell'art.  55 prevede la utilizzabilita' degli atti,
compiuti da un pubblico ministero non  legittimato  a  procedere,  in
tutti  i  casi  stabiliti  dalla  legge.  Tale previsione e' sembrata
opportuna per non sottrarre al procedimento impulsi  ed  acquisizioni
probatorie non altrimenti recuperabili tenendo conto, da un lato, dei
limiti che la legge pone alla utilizzabilita' degli atti compiuti dal
pubblico ministero e, dall'altro, del fatto che, la natura di "parte"
- sia pure pubblica - dello stesso pubblico  ministero,  impone,  nel
nuovo  processo,  il superamento della netta e rigorosa delimitazione
dei poteri dei vari uffici i quali, specie nei  primi  momenti  delle
indagini, in una situazione in cui la polizia giudiziaria e' tenuta a
riferire entro le quarantotto ore, devono avere  la  possibilita'  di
muoversi   con  una  certa  elasticita'.  Del  resto  il  legislatore
delegante ha considerato anche tale esigenza  quando  ha  prescritto,
nella  direttiva  16,  la "disciplina dei rapporti tra diversi uffici
del  pubblico  ministero  in  sede   penale   durante   le   indagini
preliminari".
   Proprio in relazione alla necessita' di attuare piu' compiutamente
la direttiva 16 era stata prospettata l'opportunita'  di  introdurre,
in  questo  titolo,  un  articolo di chiusura sul "coordinamento" tra
uffici del pubblico ministero in indagini particolarmente  complesse.
Si   e'  pero'  ritenuto  che  la  materia  dovesse  trovare  la  sua
collocazione  nel   libro   sulle   indagini   preliminari   per   la
considerazione  che,  non  dovendo  il collegamento riflettersi sulla
funzione, sulla competenza o sulla struttura, il problema  riguardava
piu'  l'attivita'  di  indagine  in  se'  che  il soggetto chiamato a
svolgerla. La disciplina dei rapporti tra diversi uffici del pubblico
ministero   che  procedono  a  indagini  collegate  e'  stata  quindi
collocata nell'art. 369.
                              TITOLO III
                        LA POLIZIA GIUDIZIARIA
Premessa.
   Le   norme   sulla  struttura  e  l'organizzazione  della  polizia
giudiziaria rielaborano la materia compresa negli artt. 220, 221, 229
del  codice  vigente, 1 e 3 del d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932 e sono
destinate - nella sistematica  proposta  per  il  nuovo  codice  -  a
collocarsi nel primo libro, dedicato ai soggetti del procedimento.
   Nella  ripartizione  interna  degli argomenti e' stata attuata una
rigorosa  distinzione  fra  le  norme  che  disciplinano  i  rapporti
inter-soggettivi fra magistratura e polizia giudiziaria - la cui sede
propria e' il codice  -  e  le  norme  di  natura  piu'  strettamente
organizzativa, che sono state, invece, comprese nelle disposizioni di
coordinamento  e  di  attuazione,  cosi'  rispettando   il   criterio
sistematico  della  vigente  legislazione.  Per  tal  motivo anche la
materia dei doveri funzionali di  ufficiali  agenti  e  quella  delle
sanzioni disciplinari - che il codice attuale colloca nell'art. 229 -
e' stata trasferita nelle disposizioni di attuazione.
   E' peraltro ovvio che tali norme costituiranno completamento della
disciplina dettata dal codice e vanno percio' viste  come  il  logico
sviluppo dei principi generali che regolano la materia.
   La   formulazione  della  direttiva  29  della  delega  del  1987,
riproduce  sostanzialmente  l'art.  109  della  Costituzione  ed   e'
identica  alla  formulazione della direttiva 29 della delega del 1974
sulla base della quale fu a suo tempo redatto il Progetto preliminare
del 1978.
   La  disciplina del Progetto del 1978 (basata su incisive modifiche
della  normativa  del  1955  per  eliminarne  gli  inconvenienti   e,
altresi',  sui  principi  affermati dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 122 del 1971) e' stata pertanto mantenuta ferma nelle sue
grandi linee. Si tratta, infatti, di un sistema che non rivoluziona i
rapporti tra magistratura  e  polizia  giudiziaria,  ma,  limitandosi
realisticamente  a razionalizzare, potenziare e rendere piu' concreta
la disciplina del 1955 appare conforme  alla  volonta'  espressa  dal
legislatore  nel  corso di tutti i lavori preparatori, anche relativi
ai precedenti progetti di delega, a partire dal 1965 e fino al  1987,
tenendo  conto  che in tutti i progetti in questione la formula della
direttiva proposta ricalcava sempre l'art. 109 della Costituzione.
   Infatti,  nel  precedente lungo iter parlamentare, protrattosi per
tre legislature (la IV, la V e la  VI),  fu  ampiamente  discusso  il
problema  e,  dall'esame  del  dibattito  svoltosi  in merito, emerge
chiaramente che il Parlamento, da una parte volle escludere,  con  la
formulazione   della   direttiva  29  della  legge-delega  del  1974,
l'istituzione di un autonomo corpo di polizia giudiziaria posto  alle
dirette dipendenze della magistratura ovvero del ministro di grazia e
giustizia, e, dall'altra parte, volle superare, attraverso un sistema
piu'  funzionale  e  razionale,  le  contraddizioni  e le carenze che
l'attuale sistema di rapporti tra polizia giudiziaria e  magistratura
importa nel concreto operare della polizia giudiziaria.
   Si  ritiene che il Parlamento abbia manifestato la stessa volonta'
anche in relazione alla legge-delega del 1987: non  soltanto  perche'
ha  approvato  la direttiva 29 nella identica formula delle direttive
precedentemente proposte, ma soprattutto perche' non ha  ritenuto  di
discutere  nuovamente  (a  lungo  e  nelle  varie  sedi) il problema.
Nell'unica occasione in cui  cio'  e'  accaduto  (discussione,  nella
seduta della Camera dell'11 luglio 1984, degli emendamenti presentati
dagli on.li Russo e Spagnoli) e' stata ribadita la netta  opposizione
all'istituzione  di  un  corpo  separato  di polizia giudiziaria alle
dirette dipendenze  del  magistrato  e  la  decisione  di  soddisfare
l'esigenza   che   il   legislatore  delegato  realizzi  un'effettiva
dipendenza funzionale ma non  gerarchica  della  polizia  giudiziaria
dalla   magistratura  (si  veda,  in  particolare,  l'intervento  del
ministro on. Martinazzoli, il  quale  ultimo,  riferendosi  al  testo
della  direttiva  poi  approvata  con  il  numero  29  affermava, tra
l'altro: "... con questa formula  si  allude  alla  esigenza  che  il
legislatore   delegato   preveda   specifiche   norme  non  tanto  di
attuazione, quanto di regolamentazione del  principio  costituzionale
della    disponibilita'    della   polizia   giudiziaria   da   parte
dell'autorita' giudiziaria".)
   Il  fatto  che  il  legislatore  della VIII e IX legislatura abbia
voluto  confermare  le  scelte  delle  legislature  precedenti,  puo'
evincersi  dalla  relazione al disegno di legge Martinazzoli n. 691/C
(p. 9 e 10). Si deduce, comunque, dalla considerazione che, nel corso
dei  lavori  successivi  al Progetto preliminare del 1978, sono state
introdotte modifiche  (come,  ad  esempio,  l'abolizione  della  fase
istruttoria ed il conseguente ben piu' importante ruolo assunto dalle
indagini preliminari) che  hanno  comportato  la  necessita'  di  una
migliore  definizione  e,  in  certo  senso,  di  un  ampliamento dei
poteri-doveri e degli obblighi della polizia giudiziaria  ("anche  ad
evitare  il rischio di una sua deresponsabilizzazione e per garantire
l'efficacia dell'intervento nella primissima fase delle indagini, che
e'  spesso  la  piu'  delicata  e  puo' rivelarsi decisiva ai fini di
repressione e  prevenzione"  -  v.  relazione  al  disegno  di  legge
Martinazzoli n. 691/C p. 4).
   Non  sembra  dubbio  percio'  che  ancor  oggi  debbano  valere le
conclusioni a cui si era gia' pervenuti nel 1978.
   Sgombrato il campo dalle soluzioni che il legislatore delegante ha
voluto escludere, il compito  di  ricavare  dai  lavori  parlamentari
indicazioni  positive  per  il  legislatore  delegato  si muove lungo
direttive per certi aspetti obbligatorie.
   Se il problema vero, concretamente risolubile in brevi tempi e nei
limiti della riforma del processo penale, non e' di creare  un  nuovo
corpo  di  polizia  giudiziaria,  ma  di  rendere  piu'  efficienti e
funzionali le attuali  strutture,  assicurando  a  tutti  gli  organi
giudiziari  effettivi  poteri  di disponibilita' e di controllo sulle
forze di polizia che svolgono funzioni giudiziarie, la soluzione  non
puo' essere ricercata che in un potenziamento degli attuali nuclei di
polizia giudiziaria ed  in  una  piu'  razionale  strutturazione  dei
rapporti con l'autorita' giudiziaria.
   Si  tratta  cioe' di tradurre in norme positive la diffusa e ferma
volonta'  del  Parlamento  di   superare   le   attuali   disfunzioni
organizzative  e strutturali dei rapporti tra polizia e magistratura,
tenendo conto della volonta' del legislatore delegante di  porre  gli
organi  che  svolgono  continuamente  ed in via esclusiva funzioni di
polizia giudiziaria  alle  effettive  dipendenze,  sia  pur  soltanto
funzionali,  dei  singoli  uffici giudiziari ed in particolare, degli
uffici del pubblico ministero, gestori delle indagini preliminari.
   Le  osservazioni  fin  qui  esposte dimostrano come il legislatore
delegante abbia inteso porre una direttiva elastica e non  vincolante
sul  tema della polizia giudiziaria e della sua dipendenza funzionale
dalla magistratura.
   Spetta,  per  conseguenza,  al  legislatore delegato ricercare una
soluzione che dia attuazione al  precetto  dell'art.  109  Cost.,  il
quale  vede  qui  rafforzata  la  sua  forza  cogente, sia perche' la
direttiva 29 ne ha  recepito  integralmente  il  contenuto,  sia  per
l'esplicito  richiamo  che  ad  esso  fa  la legge-delega: "attuare i
principi della Costituzione" (art. 2 alinea).
   Gia' il legislatore del 1955 affronto' il problema con la volonta'
di scartare la soluzione del corpo  specializzato  e  lo  risolse  in
primo  luogo  costituendo  appositi servizi delle forze di polizia ed
assoggettandoli  ad  una  piu'  stretta   dipendenza   dal   pubblico
ministero,  a cui attribuiva particolari poteri per quanto riguarda i
movimenti di sede e le promozioni (art. 220 c.p.p.,  artt.  1,  2,  3
d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932). La riforma del 1955 impose inoltre a
tutti gli ufficiali ed agenti investiti  delle  funzioni  di  polizia
giudiziaria,  ancorche'  non  appartenenti  ai  nuclei,  il dovere di
obbedire agli ordini impartiti dal magistrato e introdusse in caso di
inadempienza   particolari   sanzioni   disciplinari   applicate  dal
procuratore generale del distretto di  corte  di  appello  (art.  229
c.p.p.).
   La  Corte  costituzionale  si  e'  pronunciata positivamente sulla
legittimita' di tali norme con la sentenza del 9 giugno 1971, n. 122,
nella  quale  sono stati affermati i seguenti importanti principi: 1)
la disponibilita' diretta da parte  dell'autorita'  giudiziaria,  coi
particolari  poteri  che essa comporta, non puo' riferirsi a tutte le
forze di polizia; 2) in via eccezionale l'autorita' giudiziaria  puo'
servirsi  del  personale  non appartenente ai nuclei specializzati di
polizia giudiziaria:  tale  personale  e'  tenuto  ad  eseguirne  gli
ordini;  3)  la  formazione  dei nuclei predetti e' legittima e trova
fondamento  nella  finalita'  di   "garantire   negli   addetti   una
particolare specializzazione e di sottrarli, per quanto possibile, ai
superiori gerarchici delle rispettive armi di  appartenenza";  4)  e'
auspicabile, in relazione alle note carenze organizzative riscontrate
nella realta' di  fatto,  "che  i  nuclei  specializzati  di  polizia
giudiziaria  siano formati in modo tale da garantire in ogni momento,
sia per il numero e sia per  la  qualita'  degli  addetti,  una  loro
costante  ed efficace utilizzazione da parte del magistrato, e che...
gli allontanamenti temporanei dei dirigenti siano ridotti al minimo e
sia sempre assicurata la supplenza con altro personale idoneo".
   Le  direttive  fissate  dalla legge-delega sul tema delle indagini
preliminari  e  dei  rapporti  fra  pubblico  ministero   e   polizia
giudiziaria  (nn.  31-33  e 37) si innestano su queste sollecitazioni
della Corte costituzionale  nell'imporre  una  soluzione  che  renda,
anche  di  fatto, piu' agevole l'utilizzazione degli organi ausiliari
di polizia.
   Tali  direttive impongono di sottrarre alla polizia giudiziaria il
potere  (di  fatto)  di  formazione  della  prova   per   orientarla,
piuttosto,  alla  ricerca  della prova stessa, sotto la direzione del
pubblico ministero  che  deve  intervenire  immediatamente.  Ora,  se
l'esigenza  dell'utilizzazione  di  una  polizia giudiziaria priva di
interferenze gerarchiche resta attenuata in un contesto  che  assegna
la  formazione della prova prevalentemente all'organo giurisdizionale
(imparziale), la stessa esigenza viene invece  ad  essere  fortemente
accentuata  in relazione alla funzione di ricerca della prova, che si
e' voluta potenziare. Infatti, se il pubblico ministero deve dirigere
fin  dal  primo  momento  l'indagine, all'uopo delegando alla polizia
singole attivita', e se  l'indagine  deve  concludersi,  almeno  agli
effetti di formulare l'imputazione, al piu' presto e comunque entro i
termini  ristretti  fissati  dalla   legge,   diviene   assolutamente
necessario  che i rapporti con il personale della polizia giudiziaria
siano caratterizzati dalla massima fiducia, snellezza, continuita'  e
che  sia eliminata ogni interferenza ritardatrice. Nel nuovo processo
il pubblico ministero durante le indagini preli
   Il  sistema  previsto  dal  legislatore  del  1955  non  ha  avuto
soddisfacente applicazione pratica  per  il  sovrapporsi  di  diversi
indirizzi organizzativi da parte dei corpi di polizia, per la cronica
mancanza di mezzi e, talora, per  l'insufficiente  iniziativa  e  per
carenze tecnico-professionali dell'autorita' giudiziaria.
   Per  tali  ragioni  il sistema in vigore, se mantenuto inalterato,
sarebbe del tutto inidoneo nel nuovo processo e potrebbe pregiudicare
il successo dell'intera riforma.
   Nella  realta'  di  fatto sono state create, presso le questure, i
comandi di legione dei carabinieri e della guardia di finanza,  delle
unita'  organizzative  variamente  denominate (squadre mobili, nuclei
operativi, etc.), dalle quali il  personale,  assegnato  in  via  non
esclusiva,  puo'  essere distolto per altri compiti, seguendo criteri
di  gestione  e  di  razionalizzazione  commisurati   soltanto   alle
necessita'  interne dei singoli corpi ed alle numerose finalita' loro
attribuite dalle leggi istitutive.  Soltanto  pochi  uomini,  riuniti
nelle  piccole squadre di polizia giudiziaria presso le procure, sono
stati  destinati  dall'arma  dei  carabinieri  ad  un  servizio  piu'
continuativo  in  favore  dell'autorita' giudiziaria. Nonostante tale
diversita' d'impiego, tutto il  personale  delle  predette  unita'  e
squadre  e'  stato  considerato  componente  dei  servizi  di polizia
giudiziaria  e  ricompreso  negli  elenchi  inviati  al   procuratore
generale  ed al procuratore della Repubblica, per ottemperare, cosi',
al disposto dell'art. 1 d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932.
   Gli  inconvenienti  di tale sistema sono a tutti noti e sono stati
ampiamente e unanimamente denunciati.
   L'allontanamento  temporaneo dalle funzioni di polizia giudiziaria
e' divenuto, come era logico data la promiscuita' d'impiego, un fatto
del tutto ordinario, estremamente dannoso per la piena disponibilita'
ed il tempestivo svolgimento delle indagini.
   Il  potere  di  determinare  il numero dei funzionari destinati ai
servizi di polizia giudiziaria, nonche' il potere di  assegnarveli  o
di rimuoverli lasciato alle gerarchie per gli ufficiali non dirigenti
e per gli agenti, ha creato, specie nelle grandi  sedi,  un'eccessiva
mobilita'  del  personale,  la  quale  si  e'  aggiunta alla predetta
promiscuita' d'impiego nell'impedire una  seria  specializzazione  ed
un'adeguata conoscenza del personale da parte del magistrato.
   Nelle  squadre  di  polizia  giudiziaria  presso  le  procure tali
inconvenienti  si  sono  presentati  in  misura  molto   minore,   ma
l'esiguita'  del  personale e dei mezzi a disposizione ne ha impedito
una utilizzazione corrispondente al bisogno.
   Infine  la  doppia dipendenza organizzativa e funzionale ha creato
conflitti di lealta' all'interno e all'esterno, inframmettenze  nello
svolgimento  delle  indagini  nonche'  diffidenze pregiudizievoli per
l'efficace svolgimento del servizio.
   Alla  situazione  sopra  descritta  si e' cercato di porre rimedio
normativo con le norme  riguardanti  il  coordinamento  di  forze  di
polizia contenute nella l. 1 aprile 1981, n. 121 (v. capo I, artt. 6,
8, 9, 12, 16, 18, 19, 21 e 22) ed, in particolare, con l'art. 17  che
disciplina "funzioni e servizi di polizia giudiziaria" e testualmente
dispone:  "Le  funzioni  di  polizia  giudiziaria  sono  svolte  alla
dipendenza   e  sotto  la  direzione  dell'autorita'  giudiziaria  in
conformita' a quanto stabilito dal codice di procedura penale. A  tal
fine,   il   dipartimento  della  pubblica  sicurezza  provvede,  nei
contingenti necessari, determinati  dal  ministero  dell'interno,  di
concerto  con  il  ministero di grazia e giustizia, all'istituzione e
all'organizzazione dei servizi di polizia giudiziaria anche  in  base
alle  direttive  impartite  dal ministero dell'interno nell'esercizio
delle sue attribuzioni di coordinamento". Tuttavia non risulta che  a
tale disposizione sia stata data pratica attuazione.
   Nel   ricercare   la  soluzione  al  problema  la  Commissione  ha
concordemente ritenuto  che  gran  parte  degli  inconvenienti  sopra
descritti  poteva essere eliminata con alcune incisive modifiche alla
normativa, senza ricorrere ad un sistema di rapporti fra magistratura
e  polizia  giudiziaria  completamente  nuovo.  Percio' la disciplina
elaborata non  si  discosta  grandemente  da  quella  introdotta  dal
legislatore  del 1955 e si colloca sulla linea dei principi affermati
dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 122 del 1971,  ai
quali  si  e'  inteso dare rigorosa attuazione, anche alla luce delle
indicazioni emerse durante i lavori parlamentari. La nuova  normativa
tiene  conto,  inoltre,  degli  adattamenti che il sistema vigente ha
dovuto subire in sede applicativa  e  si  preoccupa  di  eliminare  i
principali  difetti. Essa, infine, appare logicamente coerente, oltre
che con il gia' citato art. 17 l. 1 aprile 1981,  n.  121  e  con  le
altre norme della stessa legge, sopra richiamate:
    con  i  compiti  sempre  piu'  vasti  attribuiti  alla Guardia di
finanza in materia di prevenzione e  repressione  della  criminalita'
economica  ed  organizzata  (v.  artt. da 3 a 7 l. 30 aprile 1976, n.
159,  contenenti  disposizioni  penali  in  materia   di   infrazioni
valutarie,  art. 2- bis comma 3 l. 31 maggio 1965, n. 575, contenente
disposizioni contro la mafia, aggiunto dall'art. 14 l.  13  settembre
1982,  n. 646 e modificato dall'art. 1 l. 23 dicembre 1987, n. 936 e,
infine, artt.  da 25 a 30 l. 13 settembre 1982, n. 646);
    con l'art. 35 l. 1 aprile 1981, n. 121, che, nell'abrogare l'art.
7 della l. 22 dicembre 1975, n. 685 (riguardante la direzione  ed  il
coordinamento   dell'attivita'   di  prevenzione  e  repressione  del
traffico  illecito  di  stupefacenti)  attribuisce  ad  un   apposito
servizio  della direzione centrale della polizia criminale, istituito
presso il Dipartimento della pubblica sicurezza, in cui  confluiscono
personale,  strutture  e  dotazioni  dell'Ufficio antidroga (composta
anche da ufficiali  designati  dai  comandi  generali  dell'Arma  dei
carabinieri  e della Guardia di finanza), i compiti e le attribuzioni
gia' conferiti all'Ufficio antidroga stesso.
   Gli articoli riguardanti la polizia giudiziaria sono stati redatti
tenendo  presente  tutto  quanto  fin  qui  esposto,  ma   prima   di
illustrarli e' necessario segnalare che:
    1)   le   norme   del   nuovo  codice  disciplinanti  i  rapporti
intersoggettivi tra magistratura  e  polizia  giudiziaria,  in  tanto
potranno  far  funzionare il nuovo sistema (imperniato sulle indagini
preliminari, sull'attivita' del pubblico ministero  e  della  polizia
giudiziaria   e   sui  rapporti  tra  pubblico  ministero  e  polizia
giudiziaria) in quanto vengano attuate anche le norme di natura  piu'
strettamente  organizzativa  e  quelle  disciplinanti  la materia dei
doveri funzionali e  delle  sanzioni  disciplinari  di  ufficiali  ed
agenti   di  polizia  giudiziaria,  comprese  nelle  disposizioni  di
attuazione;
    2)  considerando il ruolo fondamentale che la polizia giudiziaria
e' chiamata a  svolgere  nelle  indagini  preliminari,  ed  i  limiti
temporali  e funzionali alle sue attivita' (vedi in particolare artt.
326, 327, 329, 330, 331 e da 347 a 357), solo se tali limiti  saranno
colmati,   da   una   parte,   con   il  potenziamento  quantitativo,
qualitativo, strutturale ed organizzativo, della polizia  giudiziaria
e,  dall'altro  lato, con un rapporto effettivo, immediato e diretto,
tra  pubblico  ministero  e  polizia  giudiziaria,  sara'   possibile
realizzare,  in  concreto,  il  sistema  prefigurato  dal legislatore
delegante.
   A  questo  punto  e'  opportuno passare all'esame della disciplina
adottata.
   E'  stata  stabilita una triplice graduazione nella disponibilita'
della  polizia  giudiziaria  e  nella  conseguente   sua   dipendenza
funzionale dalla magistratura.
    Ad  un primo e piu' ampio livello si e' previsto che i magistrati
possono  servirsi  di  qualsiasi  organo  di  polizia  giudiziaria  e
correlativamente che tutti gli ufficiali ed agenti hanno il dovere di
compiere le attivita' loro affidate (art. 60 comma 3). La  norma  non
tocca  i  rapporti  di  dipendenza  amministrativa degli ufficiali ed
agenti dai corpi di rispettiva appartenenza e non innova, percio', la
disciplina vigente (artt. 220 comma 1 e 229 comma 1 c.p.p.), anche se
ne da' una formulazione tecnicamente  piu'  precisa.  Ad  un  secondo
livello,  e  fermo  restando il principio di piena disponibilita', e'
stata prevista una dipendenza piu' stretta per i servizi  di  polizia
giudiziaria  istituiti  ed  organizzati  a  norma  dell'ultima  parte
dell'art. 17 l. 1 aprile  1981,  n.  121,  sopra  riportato  (servizi
istituiti  presso  le questure, i comandi dell'Arma dei carabinieri e
della Guardia di finanza, e quelli speciali e interforze) adibiti, in
via  esclusiva  e  con  carattere  di  continuita',  al compimento di
indagini conseguenti ad una notizia di reato (artt. 57 comma 2  e  60
comma  2).  La  dipendenza  di  questi  servizi  si  sostanzia  nella
particolare responsabilita' dei dirigenti, per il buon andamento  del
servizio  svolto, verso il procuratore della Repubblica, se si tratta
di  servizi  costituiti  per  attivita'   da   svolgere   in   ambito
territoriale  circondariale,  e  verso  il  procuratore  generale del
distretto ove ha sede il servizio, se si tratta di servizi costituiti
per attivita' da svolgere in ambito territoriale piu' vasto di quello
circondariale.   Correlativamente   si   e'   stabilito   che,    per
l'allontanamento  dalla  sede  e  la  promozione  di detti dirigenti,
occorre rispettivamente il consenso  ed  il  parere  del  procuratore
della Repubblica o del procuratore generale.
   Anche  questa  direttiva non innova la disciplina in vigore; si e'
ritenuto, infatti, che una rigida separazione all'interno  dei  corpi
di  polizia  fra  il  personale impiegato nella polizia giudiziaria e
quello  adibito  ad  altre  funzioni,  con  conseguente  destinazione
esclusiva  alle  une  e  alle  altre, fosse irrealizzabile ed urtasse
contro le opposte e  pur  valide  esigenze  organizzative  dei  corpi
stessi.
   Per  contro  si  e'  pensato  che  le anzidette esigenze potessero
trovare una piu' agevole soddisfazione a  livello  delle  sezioni  di
polizia  giudiziaria  istituite  presso le procure della Repubblica e
gli uffici del pubblico ministero presso il pretore (artt. 57 comma 1
e 59 comma 1 e relative norme delle disposizioni di attuazione).
   Qui   e'   stato  attuato  il  massimo  di  dipendenza  funzionale
attraverso  una  destinazione  esclusiva  all'attivita'  di   polizia
giudiziaria  di  personale qualificato e predeterminato nel numero. A
tal fine la normativa ha inteso riprendere e potenziare  l'esperienza
positiva  delle  piccole  squadre  di  polizia  giudiziaria presso le
procure della Repubblica, prevedendo un organico  prestabilito  delle
singole  sezioni e fornendo il divieto di adibirne gli appartenenti a
funzioni diverse, onde assicurare un personale sufficiente e stabile.
Muovendosi   in   questa   prospettiva,   saranno   introdotti  nelle
disposizioni di attuazione incentivi diretti a sollecitare le domande
di  assegnazione  alle  sezioni  degli  appartenenti  alle  forze  di
polizia, saranno rafforzate le garanzie  per  i  trasferimenti  e  le
promozioni, si stabilira', infine, un vaglio attitudinale per elevare
il livello professionale.
   Il numero complessivo degli appartenenti alle sezioni non dovrebbe
rappresentare un onere insopportabile ove si consideri, da una parte,
che  esso  va  diviso fra corpi di polizia interessati e, dall'altra,
che in riferimento al lavoro svolto dalle sezioni verra' a ridursi il
carico  dell'attivita'  di  polizia  giudiziaria  che  oggi  grava su
ciascuno di essi.
   L'assegnazione  alle  sezioni  di  polizia  giudiziaria non recide
comunque il legame col corpo di origine: il tema sara'  espressamente
trattato  nelle  disposizioni di attuazione come gia' accadeva per il
Progetto del 1978.
Illustrazione degli articoli.
    L'articolo 56, definisce i compiti della polizia giudiziaria.
   La  norma  e'  analoga a quella di cui all'art. 219 c.p.p. ma sono
state introdotte,  nella  sua  formulazione,  le  modificazioni  rese
necessarie  dalla  necessita'  di  adeguare le funzioni della polizia
giudiziaria alla impostazione del nuovo processo e,  in  particolare,
alla fase delle indagini preliminari.
   Inoltre la norma e' stata coordinata con le disposizioni contenute
nel  libro  V  titolo  IV  (Attivita'  a  iniziativa  della   polizia
giudiziaria)  redatte  in  attuazione  delle  direttive 31 e 33 della
legge-delega contenenti disposizioni diverse da quelle  di  cui  alle
direttive  30  e 31 della delega del 1974 e sulla base delle quali fu
redatto il Progetto del 1978.
   Cosi',  da un lato, e' stato evidenziato, rispetto al vigente art.
219 c.p.p., che la polizia giudiziaria non deve  piu'  assicurare  le
prove  dei  reati ma solo "compiere gli atti necessari per assicurare
le fonti di prova"  chiarendo,  altresi'  che  oltre  a  svolgere  le
attivita'  che  la legge le attribuisce in via autonoma, "svolge ogni
indagine e attivita' disposta o delegata dall'autorita'  giudiziaria"
(comma  2); dall'altro lato, e' stato eliminato, rispetto al Progetto
del 1978, il richiamo al  compimento  dei  soli  atti  "urgenti"  per
assicurare le fonti di prova dato che nella direttiva 31 della delega
il requisito dell'urgenza, che figurava invece  nella  corrispondente
direttiva della delega del 1974, e' stato soppresso.
   L'articolo  57  -  ove  letto  in combinazione con l'articolo 60 -
consente di argomentare che le funzioni di polizia  giudiziaria  sono
di fatto attribuite a tre diversi organismi e soggetti individuati in
armonia con le scelte di fondo  operate  dal  Progetto  del  1978  in
relazione   al   maggiore   o   minore   collegamento   funzionale  e
organizzativo  con  l'autorita'  giudiziaria  e   con   il   pubblico
ministero; in particolare: sezioni di polizia giudiziaria; servizi di
polizia giudiziaria istituiti  ed  organizzati  a  norma  dell'ultima
parte  dell'art.  17  l.  1›  aprile  1981,  n. 121 (ad es. i servizi
istituiti presso le questure e i comandi dell'Arma dei carabinieri  e
della  Guardia  di  finanza  e  quelli speciali ed interforze come il
servizio antidroga, ecc.); tutti gli altri organi  cui  la  legge  fa
obbligo  di  compiere  indagini  a  seguito  di  una notizia di reato
(ufficiali e agenti di polizia giudiziaria).
   La  soppressione del giudice istruttore, la eliminazione, da parte
del Senato, della  direttiva  52  ultima  parte  che  riconosceva  al
giudice  dell'udienza  preliminare  la  "facolta'  di avvalersi della
polizia giudiziaria" e, altresi', le critiche mosse a suo tempo dalla
Commissione   consultiva   al   Progetto   del  1978  per  la  scarsa
funzionalita' della eccessiva "disseminazione" delle "sezioni", hanno
indotto a stabilire che le sezioni siano istituite soltanto presso le
procure e  gli  uffici  del  pubblico  ministero  presso  il  pretore
potenziando e razionalizzando strutture gia' esistenti in concreto.
   Il  fatto  che  anche il giudice, il pretore penale e il tribunale
(come, del resto, la procura generale e la corte di  appello)  devono
avere  a  disposizione  la  polizia  giudiziaria per l'esecuzione dei
provvedimenti, l'accertamento dei fatti  processuali  e  le  indagini
dibattimentali, non esclude la soluzione prospettata perche', come si
vedra' esaminando l'articolo  59,  i  magistrati  dei  citati  uffici
potranno  comunque  servirsi  delle  sezioni e dei servizi di polizia
giudiziaria.
   Le  esigenze  di  efficienza,  strettamente  connesse  a quelle di
evitare un eccessivo frazionamento delle sezioni, sono  state  tenute
presenti  nel concentrare le sezioni soltanto presso le procure della
Repubblica e gli uffici del pubblico ministero presso il  pretore  e,
cioe', presso quegli uffici che svolgono le indagini.
   L'obiezione,  a  suo  tempo  mossa dalla Commissione consultiva in
relazione al Progetto del 1978 che la creazione di  autonome  sezioni
di  polizia  giudiziaria  potrebbe  nuocere  al  coordinamento  delle
indagini, specie se complesse e destinate ad estendersi su vaste zone
del territorio nazionale, e' stata superata in base al rilievo che la
funzione delle sezioni e'  principalmente  di  offrire  all'autorita'
giudiziaria  un  ausilio  continuo,  immediato e di assoluta fiducia,
basato su un costante rapporto di collaborazione, mentre alle  grandi
indagini sono destinati organismi di tipo diverso, quali i servizi di
polizia giudiziaria in periferia e le unita' specializzate  istituite
al  centro  con  funzioni miste di prevenzione e di repressione della
criminalita'. L'esigenza di coordinamento dell'attivita' delle  varie
sezioni  e'  d'altra  parte  considerata dall'art. 369 che prevede il
coordinamento dei pubblici ministeri in caso di indagini collegate  e
che,  pertanto,  sia pure indirettamente, presuppone il coordinamento
dell'attivita' delle sezioni e dei servizi interessati alle  indagini
stesse.
   I  servizi  di  polizia giudiziaria cui allude la norma coincidono
con le unita' organizzative gia' oggi costituite presso le  questure,
i comandi dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza o come
unita' interforze aventi compiti particolari e che sono espressamente
menzionate nel gia' ricordato art. 17 l. 121/1981.
   L'articolo  58  prevede  la distinzione tra ufficiali ed agenti di
polizia giudiziaria, che rileva in  tema  di  competenza  a  compiere
determinati  atti, secondo quanto stabilito nel titolo sulle indagini
preliminari, nonche' per  quanto  concerne  l'organizzazione  interna
delle varie unita' di polizia giudiziaria.
   Il  testo  non  si  discosta  molto da quello dell'art. 221 c.p.p.
vigente,  ma  e'  stato  modificato  tenendo  conto   delle   novita'
legislative nel frattempo intervenute e della necessita' di apportare
alcuni aggiornamenti ed alcune semplificazioni.
   In particolare, nel richiamare il personale della polizia di Stato
e gli ordinamenti di polizia e' stata tenuta presente la l. 1› aprile
1981,  n.  121,  sul  "Nuovo  ordinamento  dell'amministrazione della
pubblica sicurezza" la quale, nel prevedere, all'art. 36 punto II, la
suddivisione  del  personale  della  polizia di Stato nel ruolo degli
agenti, ruolo degli assistenti, ruolo dei sovrintendenti, ruolo degli
ispettori, ruolo dei commissari e ruolo dei dirigenti, stabilisce che
a  ciascun  ruolo  corrispondono  le  seguenti  funzioni  di  polizia
giudiziaria:
    agenti = agenti di polizia giudiziaria;
    assistenti  =  agenti  di  polizia  giudiziaria  per le prime due
qualifiche ed ufficiali di polizia giudiziaria per la terza qualifica
che e' la piu' elevata;
    sovrintendenti,  ispettori  e  commissari  = ufficiali di polizia
giudiziaria;
    dirigenti se non svolgono funzioni vicarie = ufficiali di polizia
giudiziaria.
   A  tale direttiva e' stata data attuazione con il d.P.R. 24 aprile
1982, n. 335 sull'ordinamento del personale della  polizia  di  Stato
(vedi artt. 1, 5, 9, 17, 26, 33 e 39).
   Inoltre,  nella  lett. b) del comma 1 e nella lett. b) del comma 2
sono stati inseriti, rispettivamente, gli ufficiali e i sottufficiali
"del  corpo  forestale dello Stato" e "le guardie del corpo forestale
dello Stato", sia  perche',  il  d.  lgs.  12  marzo  1948,  n.  804,
espressamente prevede tali qualifiche (v. artt. 8, 12 e, soprattutto,
13), sia perche' l'art. 16 l. 121/1981  comprende  tra  le  forze  di
polizia  il  corpo  forestale dello Stato (v. anche art. 3, comma 16,
d.l. 21 luglio 1987, n. 297).
   Per  quanto  concerne,  poi,  le  "guardie dei comuni", menzionate
nella lett. b) del comma 2, si osserva che la qualita' di  agenti  di
polizia  giudiziaria  e'  ad  esse  espressamente  attribuita  -  con
riferimento agli "operatori" - dall'art. 5 comma  1  lett.  a)  prima
parte  l.  7  marzo  1986, n. 65 (Legge quadro sull'ordinamento della
polizia municipale).
   Si e' ritenuto di usare il termine "guardie dei comuni" - anziche'
quello di "operatori" - per  mantenere  ferma  la  scelta  fatta  dal
codice  vigente  che,  per  interpretazione  giurisprudenziale  ormai
consolidata, individua gli organi in questione nei  vigili  urbani  e
nei  loro  comandanti  (i quali, pertanto, anche con il nuovo codice,
conservano la qualita'  di  "agenti  di  polizia  giudiziaria"  senza
limitazioni  di competenze per determinate materie salvi, ovviamente,
i limiti territoriali)  e  per  non  determinare,  nell'ambito  della
polizia  locale,  confusioni  con  il  restante "personale che svolge
servizio di polizia municipale" e, precisamente, con i  "responsabili
del  servizio  o  del Corpo" e con gli "addetti al coordinamento e al
controllo" (art. 5 comma 1 l. 7 marzo 1986, n. 65).
  A  questi  ultimi,  infatti,  e'  espressamente riconosciuta, dalla
citata legge, la qualita' di  ufficiali  di  polizia  giudiziaria  ai
sensi  dell'art. 221 comma 3 c.p.p. (art. 5 comma 1 lett. a), seconda
parte, l. 7 marzo 1986, n. 65): sicche', anche nel  nuovo  codice  ad
essi  deve  essere  riconosciuta  tale qualita', nei limiti previsti,
attraverso l'applicazione dell'art. 58 comma 3.
   Con  l'articolo  59 si e' data attuazione ai principi generali che
regolano  i   diversi   livelli   di   collegamento   funzionale   ed
organizzativo  tra i vari organi di polizia giudiziaria e l'autorita'
giudiziaria. Si richiama, in proposito, quanto esposto sub artt. 56 e
57.
   Nel  comma  1  e'  stabilita  la  disponibilita'  delle rispettive
sezioni dalla procura della Repubblica e  dall'ufficio  del  pubblico
ministero  presso  il pretore e, altresi', la disponibilita' di tutte
le sezioni istituite nel distretto da parte  della  procura  generale
specie  tenuto  conto  delle  funzioni  di  tale ufficio in relazione
all'esercizio del potere di  avocazione:  la  disponibilita'  di  cui
sopra  non  e', pero', esclusiva perche', come e' precisato nel comma
2, la corte di appello, il tribunale e la pretura che, per ragioni di
economia  organizzativa  e  funzionale, non hanno proprie sezioni, si
avvalgono, rispettivamente, delle sezioni istituite presso le procure
e  gli uffici del pubblico ministero del distretto, del circondario e
del mandamento.
   Il  comma  3  stabilisce  la piu' generale disponibilita' da parte
dell'autorita' giudiziaria di tutta la polizia giudiziaria, sia delle
sezioni  che  dei  servizi  e  degli  altri  organi.  Spetta cioe' al
magistrato procedente scegliere fra sezioni, servizi ed altri organi,
in  base  alle  concrete  esigenze  del  singolo caso: tempestivita',
riservatezza, specializzazione, piu' ampi collegamenti  territoriali,
etc.  Tenuto  conto del fatto che normalmente il maggior numero delle
notizie di reato continuera' ad  essere  raccolto  ed  inoltrato  dai
servizi  e  dagli  altri organi e che il magistrato non avra' motivo,
salvo casi particolari, di sottrarre le indagini a chi  ha  trasmesso
la  notizia  di  reato e svolto le prime indagini, e' prevedibile che
nel nuovo processo il maggior carico del lavoro continuera' a gravare
sui servizi e sugli altri organi.
   Il potere di disporre della polizia giudiziaria fa capo ai singoli
magistrati cui e' affidato il processo e non all'ufficio  giudiziario
cui  appartengono  i  magistrati  e  al loro dirigente. Cio' e' stato
espressamente sottolineato facendo uso della  formula  "i  magistrati
degli  uffici  indicati  nei  commi  1  e  2".  Solo negli uffici del
pubblico  ministero  sara'  possibile  che   il   procuratore   della
Repubblica  si  sostituisca  al  sostituto procedente nel dare ordini
agli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, e  cio'  per  effetto
dell'organizzazione gerarchica che caratterizza tali uffici.
   Con  l'articolo  60 si passa dalla disciplina della subordinazione
funzionale dei singoli ufficiali ed agenti nei confronti del  singolo
magistrato  ai  rapporti  tra  le  sezioni ed i servizi, intesi quali
unita' organiche, e la magistratura.
   Nelle   sezioni  si  attua,  per  la  loro  particolare  struttura
organizzativa  e  per  gli  strettissimi  rapporti  di  lavoro  e  di
collaborazione   con   la  magistratura,  il  massimo  di  dipendenza
funzionale, che  il  comma  1  riferisce  al  magistrato  che  dirige
l'ufficio presso il quale e' istituita la sezione stessa.
   Per  i  servizi  di  polizia  giudiziaria  e' stata riprodotta, in
sostanza, cosi' come nel Progetto  del  1978,  l'attuale  disciplina,
senza  prevedere  una dipendenza del servizio nel suo complesso dalla
magistratura, ma soltanto una responsabilita' del dirigente verso  il
procuratore   della   Repubblica.   Tale  principio  va  inteso  come
responsabilita' personale del dirigente per la  buona  organizzazione
del  servizio  e  per la sorveglianza sullo svolgimento delle singole
attivita'; il comportamento degli altri appartenenti al servizio puo'
infatti  essere valutato solo in sede di responsabilita' disciplinare
(ed  eventualmente  penale)  per  l'esecuzione  dei  singoli  compiti
affidati,  da ciascun magistrato. Il riferimento al procuratore della
Repubblica in luogo del triplice riferimento al procuratore generale,
al   procuratore  della  Repubblica  e  al  pretore,  previsto  nella
normativa vigente (artt. 220 c.p.p., d.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932),
trova  spiegazione,  da una parte, nella necessita' di concentrare in
un unico organo il controllo dei servizi, ottenendo in tal  modo  una
semplificazione  ed  una  maggiore  efficacia  del  controllo stesso,
dall'altro, nel fatto che nel  nuovo  processo  le  indagini  saranno
svolte presso il procuratore della Repubblica.
   L'inserimento,  nell'art.  57,  di  tutti  i  servizi  di  polizia
giudiziaria istituiti ed organizzati  dal  dipartimento  di  pubblica
sicurezza,  ivi  compresi  quelli  interforze operanti, gia' ora o in
futuro, in ambito territoriale piu' vasto di quello circondariale, ha
reso necessaria la previsione contenuta nel secondo comma.
   Il  comma  3  dell'art.  60, oltre che stabilire la regola che gli
ufficiali  ed  agenti  di  polizia  giudiziaria  hanno  l'obbligo  di
compiere  l'attivita' loro affidata, prevede che il principio secondo
cui gli ufficiali ed agenti di polizia non  possono  essere  distolti
dai  compiti  loro  affidati  se non per disposizione del magistrato,
opera solo nei confronti degli appartenenti alle sezioni. In  effetti
l'estensione  di  tale  principio  anche  ai  componenti  dei servizi
potrebbe interferire con l'organizzazione e la gerarchia dei corpi di
appartenenza,  si'  da prefigurare l'istituzione di un autonomo corpo
di polizia giudiziaria dipendente esclusivamente dalla  magistratura:
soluzione  a  cui  il legislatore delegante ha mostrato di non volere
aderire. D'altro canto,  la  riaffermazione  del  principio  per  gli
appartenenti  alle  sezioni  rafforza il loro distacco funzionale dal
potere esecutivo e realizza l'importante obiettivo  di  garantire  la
magistratura da interferenze nell'espletamento delle indagini.
                              TITOLO IV
                               IMPUTATO
Premessa.
   Nell'affrontare   la   normativa   in   esame  l'attenzione  della
Commissione si e' innanzitutto soffermata sulle problematiche  emerse
nel dibattito parlamentare sulla direttiva 36 della legge-delega.
   Detto  dibattito  fu  incentrato  sulla opportunita' di anticipare
l'inizio del rapporto processuale al momento delle prime  indagini  e
definire  subito  la  posizione  ed i diritti oltre che dell'imputato
anche dell'indiziato (direttiva 35 del testo della Camera) ovvero  di
restringerne l'ambito riconoscendo la necessita' di formalizzare tale
rapporto, prima che si proceda all'imputazione,  soltanto  quando  si
adotti   una   misura  di  coercizione  personale  ovvero  quando  le
acquisizioni probatorie siano suscettibili di  utilizzazione  a  fini
decisori (direttiva 36 del testo Senato).
   Nel  testo  definitivo  della legge-delega (direttiva 36) e' stata
infine  privilegiata   la   seconda   soluzione,   tenendo   presente
l'orientamento  volto  a  contemperare  le  due  opposte  esigenze di
garantire il pieno esercizio dei diritti della  difesa  al  cittadino
indiziato  e,  pur  tuttavia,  di non aggravare, nell'interesse dello
stesso indiziato, i  costi  umani  ed  economici  che  l'acquisizione
formale  di  tale status comporta, in relazione agli effetti perversi
che nella pratica sono conseguiti  all'istituto  della  comunicazione
giudiziaria.
   Tuttavia,  anche  se, in seguito alla modifica della direttiva 36,
nella legge-delega non  compare  piu'  espressamente  il  riferimento
all'"indiziato"  in  contrapposizione  all'"imputato",  e' pur sempre
rimasta la necessita' di disciplinare, differenziandola, la posizione
di  colui  che, pur non essendo imputato, si trovi ad essere oggetto,
quale indiziato di reato, di attivita' di indagine.
   Cio' si ricava:
    1)  dalla  stessa  direttiva  36  la  quale  contiene non solo la
precisa definizione normativa della nozione giuridica di imputato  ma
anche  la  previsione  della  "estensione delle garanzie previste per
l'imputato alla persona  nei  cui  confronti  vengano  compiuti  atti
suscettibili  di  utilizzazione  probatoria nell'udienza preliminare,
nel giudizio o comunque a fini decisori";
    2)  dalla  considerazione  che  l'espressione "imputato" e' usata
nella sua specificita' tecnica come riferita esclusivamente  a  colui
nei  confronti  del  quale  e'  stata  gia'  formulata  dal  pubblico
ministero una richiesta accusatoria,  una  imputazione  e,  comunque,
esercitata  azione  penale  nelle  direttive 17 (rimessione da uno ad
altro "giudice"), 22, 23, 24 (rapporti tra giudizio civile e giudizio
penale),  35  ultima parte (divieto di comunicazione delle iscrizioni
fino all'assunzione della  qualita'  di  imputato),  36  prima  parte
(assunzione  della  qualita' di imputato), 40 (incidente probatorio),
43   (giudizio   direttissimo),   44   (giudizio    immediato),    45
(patteggiamento),  52  (udienza  preliminare  richiesta  dal pubblico
ministero),  53  (sentenza   di   merito   pronunciata   nell'udienza
preliminare),    56   (esercizio   di   azione   penale   per   fatti
precedentemente oggetto di sentenze ed altri provvedimenti), 73, 75 e
77 (dibattimento), 86 (impugnazione);
    3) dal rilievo che, invece, in altri punti della stessa delega si
evita  di  usare  il  termine  "imputato"  (proprio  per  il  rilievo
tecnico-giuridico  che  a  detto  termine  e'  stato  attribuito  dal
legislatore) e si usano espressioni diverse, a seconda delle  fasi  e
dei  momenti,  oltre  che delle posizioni soggettive, particolarmente
significative: e, cosi', ad esempio, nella direttiva  32,  (fermo  di
polizia   giudiziaria)  viene  usata  la  parola  "indiziato";  nella
direttiva 31 (attivita' di polizia  giudiziaria)  si  fa  riferimento
alla  "persona  nei  cui  confronti  vengono svolte le indagini senza
l'assistenza della difesa", a "chi non si trovi in stato di arresto o
di  fermo  con  l'assistenza del difensore" ed a "garanzie difensive,
tra le quali devono essere comprese quelle  relative  agli  atti  non
ripetibili",  per  persone oggetto di indagini da parte della polizia
giudiziaria; nella direttiva 34 viene  menzionata  "la  facolta'  del
pubblico  ministero  di  interrogare  l'arrestato  o  il fermato, con
diritto  del  difensore  di  assistere   all'interrogatorio",   nella
direttiva  35,  da  un  lato  si  stabilisce  l'obbligo  del pubblico
ministero di "iscrivere immediatamente la notizia  del  reato  ed  il
nominativo  di  ogni  persona  alla  quale  il reato e' attribuito in
apposito registro", e, dall'altro lato, si fa "divieto di  comunicare
le  iscrizioni  di  cui  sopra  fino all'assunzione della qualita' di
imputato ai sensi  del  n.   36";  nella  direttiva  48,  si  prevede
l'"obbligo  del pubblico ministero di concludere comunque le indagini
entro diciotto mesi  dall'iscrizione  nel  registro...  chiedendo  al
giudice  l'archiviazione,  ovvero, formulata l'imputazione, l'udienza
preliminare"; e, infine, nella direttiva 50,  si  parla  di  "persone
alle quali e' stato attribuito il reato".
   E'  ben  vero  che  in  alcune  direttive - come ad esempio, nelle
direttive   6   (diritto    dell'imputato    di    farsi    assistere
nell'interrogatorio dal difensore e diritto dell'imputato in stato di
custodia cautelare di conferire con il  difensore),  37  (funzioni  e
poteri  del  pubblico  ministero) e 38 (diritti di difesa, disciplina
degli atti garantiti  ed  obbligo  di  comunicazione  giudiziaria  "a
partire   dal  primo  atto  al  quale  il  difensore  ha  diritto  di
assistere") - il termine "imputato" e' usato in  modo  piu'  ampio  e
comprende   anche   situazioni   riferibili  all'"indiziato"  perche'
anteriori rispetto al momento della "imputazione" in  senso  stretto,
ma   tali   eccezioni   riflettono   appunto  la  preoccupazione  del
legislatore   delegante   di   soddisfare   contemporaneamente,   sia
l'esigenza  di  qualificare subito alcuni diritti dell'indiziato, sia
l'esigenza di non  formalizzare  subito  il  rapporto  tra  autorita'
giudiziaria e cittadino.
   Dopo  il lungo e approfondito dibattito svoltosi sul punto in seno
alla Commissione, si e' in definitiva ritenuto di dover formulare  la
disciplina  degli  artt. 61 e 62 (e 402) secondo le linee di tendenza
indicate dal legislatore delegante nelle citate direttive, ma con uno
sforzo  di  razionalizzazione  dei  problemi  che  hanno  determinato
l'ambivalenza della legge-delega sul tema.
   A  tal  fine  e' apparso in primo luogo necessario chiarire che la
formalizzazione  del  rapporto  processuale  tra  Stato-magistrato  e
cittadino  consegue  all'esercizio  dell'azione  penale  da parte del
pubblico ministero con il compimento di uno  degli  atti  tipici  che
segnano  il passaggio dalla fase delle indagini preliminari alla fase
processuale vera e propria (v.  art.  402)  e  che,  di  conseguenza,
soltanto  con  la  formulazione  dell'imputazione in uno dei predetti
atti tipici, colui nei confronti del quale si sono svolte le indagini
assume la qualita' di imputato (art. 61).
   Nell'effettuare  tale  scelta  si e' infatti ritenuto che, poiche'
tutti gli atti di indagine concorrono alla progressiva individuazione
dell'addebito,  l'attribuzione di un reato eventualmente contenuta in
un atto delle indagini  preliminari,  ed  anche  nella  richiesta  di
applicazione  di  una  misura cautelare, assume carattere di addebito
provvisorio, come tale suscettibile di essere  modificato  sino  alla
formulazione  dell'imputazione  definitiva  in  uno  degli atti con i
quali viene esercitata l'azione penale. A quest'ultima soltanto  deve
pertanto riconoscersi il carattere di imputazione in senso tecnico.
   A  fronte  di tale delimitazione del rapporto processuale in senso
stretto, che  restringe  entro  rigorosi  confini  anche  la  nozione
normativa  di  imputato,  si e' peraltro sancita, in attuazione della
seconda parte della direttiva 36, l'estensione dei  diritti  e  delle
garanzie  previste  per  l'imputato  anche  a colui nei confronti del
quale si svolge l'attivita' di indagine (art. 62).
   La  soluzione  adottata, che e' apparsa la piu' corretta sul piano
concettuale e sistematico, non comporta pertanto  alcuna  diminuzione
delle  garanzie  difensive nella fase preprocessuale, fatta eccezione
per le minori garanzie di stabilita' ed il minor peso, in termini  di
risonanza   sociale,   che   offre,   rispetto   alla   sentenza   di
proscioglimento,  il  decreto  di  archiviazione  con  il  quale   si
concludera' il procedimento nel caso in cui il pubblico ministero non
ritenga di esercitare l'azione penale. Questo, tuttavia,  e'  apparso
un costo inevitabile.
   Seguendo  l'impostazione  appena  descritta,  con  l'art. 61 si e'
riproposta,  alla  stregua  della  disciplina  vigente,  una  nozione
normativa  di "imputato", che costituisca sicuro punto di riferimento
per  tutte   le   norme   del   codice   che   la   presuppongono   e
contemporaneamente  delimiti  entro  i  rigorosi  confini  della  sua
specificita' tecnica il significato  e  quindi  l'uso  dell'accezione
medesima.
   Si  e'  poi  ribadita,  con  la formulazione di un'apposita norma,
l'articolo 62, la fondamentale distinzione tra imputato  e  chi,  pur
essendo  oggetto  di  indagini,  imputato  ancora  non  e',  evitando
tuttavia, a differenza  che  nella  corrispondente  disposizione  del
Progetto   preliminare   del   1978,   la  qualificazione  soggettiva
dell'indiziato.
   Si  e'  infatti  ritenuto che, pur dovendosi sancire il piu' ampio
riconoscimento di garanzie  al  cittadino  che  si  trovi  ad  essere
oggetto  di indagini, non fosse a tal fine necessaria, ne' opportuna,
la formulazione nel codice di una nozione giuridica  di  "indiziato",
in  contrapposizione  a  quella di "imputato", e cio' nell'intento di
evitare, per quanto possibile, l'attribuzione di una  pregiudizievole
"etichetta" formale.
Illustrazione degli articoli.
   L'articolo  61,  coerentemente  con  la  scelta  di restringere in
confini rigorosi la nozione normativa di "imputato", apporta un netto
mutamento  rispetto alla genericita' del dettato cui e' improntata la
corrispondente disposizione del codice vigente.
   Si  e'  infatti  avuto  cura  d'individuare, nel comma 1, gli atti
tipici dai quali scaturisce l'assunzione della  qualita'  d'imputato,
cosi'  da  istituire uno stretto legame tra imputato ed imputazione e
da superare l'equivoca formula dell'attuale primo comma dell'art.  78
c.p.p.,  incentrata sull'attribuzione del reato "in un atto qualsiasi
del procedimento".
   Dal  combinato  disposto  degli  artt.  61  comma  1  e 402 emerge
peraltro chiaro che l'assunzione della qualita' di imputato  coincide
con  la  formulazione  dell'imputazione  definitiva in uno degli atti
tipici con i quali viene iniziata l'azione penale.
   Nel  comma  2  si  e'  riprodotta  nella  sostanza la disposizione
dell'articolo 79 comma 1 del codice vigente.
   Anche  il comma 3, a parte la diversa formulazione derivante dalla
scomparsa dell'istituto della "riapertura dell'istruzione", riproduce
sostanzialmente il comma 2 dell'art. 79 del codice vigente, anche per
quanto attiene alla riassunzione della qualita' di imputato da  parte
del  condannato  quando  si  sia aperto il procedimento di revisione.
Infatti, pur con l'eliminazione della doppia  fase  -  rescindente  e
rescissoria  -  nel  giudizio di revisione, voluta dalla direttiva 99
della  legge-delega,  e  la  conseguente  mancanza   di   un'autonoma
pronuncia di annullamento della prima sentenza, colui che conserva la
qualita' di condannato con riferimento al giudizio impugnato  e'  pur
sempre  nuovamente  giudicabile,  e  quindi imputato, nel giudizio di
revisione.
   L'articolo   62   segue,   sia   nella   rubrica  che  nel  testo,
l'impostazione della direttiva 36 della legge-delega.
   Nella   formulazione   del  comma  1  si  e'  tenuto  conto  della
circostanza che tutti gli atti di indagine compiuti nella fase  delle
indagini  preliminari,  in  quanto  documentati  (v.  art.  371)  nel
fascicolo del pubblico ministero che deve essere depositato ai  sensi
dell'art.  413,  sono  suscettibili  di  valutazione  a fini decisori
nell'udienza preliminare.
   Di  conseguenza,  in  attuazione  della citata direttiva 36, si e'
ritenuto che l'estensione  delle  garanzie  previste  per  l'imputato
dovesse  essere  sancita  nei confronti della "persona a carico della
quale si svolgono indagini preliminari". In tal modo non  vengono  ad
incidere sull'acquisto delle garanzie suddette ne' l'iscrizione della
notizia di reato nel registro previsto  dall'art.  335,  ne'  l'invio
dell'"informazione  di  garanzia",  che  l'art. 367 prescrive solo in
relazione al compimento di un atto  per  il  quale  e'  richiesta  la
presenza del difensore.
   Infatti,  pur  tenendo  conto che l'esercizio dei diritti da parte
dell'indiziato e' in concreto subordinato alla conoscenza che  questi
abbia  del  compimento di atti di indagine nei suoi confronti, non e'
sembrato inutile, nell'ottica di maggior tutela della persona (ottica
nella  quale, come si e' detto, deve essere interpretata la direttiva
36 della legge-delega) prevedere l'acquisto delle  garanzie  previste
per   l'imputato  sin  dal  compimento  del  primo  atto  d'indagine,
indipendentemente da ogni iniziativa del pubblico ministero in ordine
all'informazione di garanzia.
   L'ampia  formula  adottata  e'  stata  peraltro  integrata  con il
riconoscimento delle medesime garanzie alla persona nei cui confronti
e' disposta una misura cautelare e alla persona indiziata di reato, e
cio' a prescindere dal compimento di atti di indagine  nei  confronti
delle stesse.
   Si  e'  preferito  parlare  di  "diritti  e  garanzie"  al fine di
ricomprendere  inequivocamente   tutte   le   situazioni   soggettive
favorevoli all'imputato.
   Nel  comma 2 e' stata introdotta una disposizione estensiva che ha
consentito di superare agevolmente il problema tecnico, di non scarso
rilievo, rappresentato dalla necessita' di fare esplicito riferimento
all'indiziato o alla persona nei cui confronti vengono compiuti  atti
d'indagine ogni volta che, non trattandosi di diritti o garanzie, non
fosse risultata applicabile inequivocamente la disposizione estensiva
di cui al comma 1.
   L'articolo  63,  riproducendo  una  disposizione  analoga a quella
dell'art. 304 comma  3  c.p.p.,  sancisce  l'inutilizzabilita'  delle
dichiarazioni  rese  all'autorita'  giudiziaria  da  una  persona non
imputata  ne'  indiziata  di  reato,  quando  da  tali  dichiarazioni
scaturisca  la  possibilita'  che  vengano  svolte  indagini nei suoi
confronti.
   La norma distingue sotto il profilo della sanzione l'ipotesi della
persona che venga legittimamente sentita come teste e nel corso della
deposizione  renda  le  dichiarazioni  indizianti, dall'ipotesi della
persona che doveva sin dall'inizio essere  sentita  con  le  garanzie
previste  per l'imputato. In quest'ultimo caso infatti si e' ritenuto
piu' corretto prevedere che le  dichiarazioni  rese  in  assenza  del
difensore  non possano essere utilizzate non solo nei confronti della
persona che le ha rese, bensi' neppure nei confronti di altri.
    In  forza  delle  disposizioni  estensive  di cui all'art. 62, la
norma si applica anche all'indiziato senza  necessita'  di  esplicito
riferimento.
   Gli  articoli  64  e  65 contengono le disposizioni concernenti la
verifica dell'identita' dell'imputato, attualmente disciplinata dagli
articoli 81-87 c.p.p.
   In  apertura  dell'articolo 64 e' stata formulata una disposizione
modellata sull'attuale art. 366 c.p.p.,  affinche'  fosse  data  alla
polizia giudiziaria prima (in forza dell'esplicito rinvio all'art. 64
contenuto  nell'art.  349)  e  all'autorita'  giudiziaria  poi,   una
direttiva   di   carattere   generale   per   i  necessari  riscontri
sull'identita' della persona nei cui  confronti  si  svolge  l'azione
penale.
   Nel  comma  2  si  e',  invece, trasfusa, con qualche modifica, la
disciplina  dell'art.  81  c.p.p.,  concernente  la  distinzione  tra
incertezza  nell'individuazione  anagrafica  della persona, che resta
irrilevante ai fini della prosecuzione delle indagini e del processo,
ed incertezza sulla vera e propria identita' fisica della persona. Le
modifiche  apportate  sono  essenzialmente  di  ordine  formale:   in
particolare,   nel  redigere  la  clausola  di  salvaguardia  per  il
proseguimento  delle  attivita'  nei  confronti  della  persona   non
identificata  anagraficamente,  si  e' preferita, all'attuale formula
analitica, una formula idonea a comprendere ogni sorta  di  attivita'
processuale  e  preprocessuale:  indagini  preliminari  comprese, sin
dall'attivita' diretta dalla polizia giudiziaria.
   Il  comma 3 - riprendendo, anche qui con qualche modifica formale,
il disposto  dell'art.  82  c.p.p.  -  consacra  il  principio  della
rettificazione   delle   generalita'  dell'imputato.  A  ribadire  la
differenza gia' emergente  dal  comma  2,  si  e'  comunque  ritenuto
opportuno  precisare  che  non  deve trattarsi di "errore di persona"
(nel senso di "errore sull'identita' fisica" della  persona  stessa),
nel qual caso, resta fermo - come nell'attuale disciplina - il rinvio
alla normativa sulla revisione.
   L'articolo  65  disciplina,  con  un  ambito  di applicazione piu'
ristretto, la situazione attualmente regolata dall'art. 87 c.p.p.
   Si  e' infatti precisato che l'accertamento dell'errore di persona
da' luogo alla pronuncia di una sentenza soltanto  quando  intervenga
nella  fase  processuale  vera  e propria e non anche quando l'errore
venga rilevato nella fase delle indagini preliminari.
   Non  e'  stata  invece  riprodotta,  a differenza che nel Progetto
preliminare del 1978, la normativa di cui agli  artt.  83  e  84  del
codice   vigente,   concernenti  l'incertezza  sull'identita'  fisica
dell'imputato.
   Si  e'  infatti  ritenuto incompatibile con la struttura del nuovo
sistema processuale attribuire al giudice,  che  solo  episodicamente
interviene  nella fase delle indagini preliminari, un autonomo potere
volto all'accertamento dell'identita' fisica  dell'imputato.  Durante
tale  fase,  infatti,  sara'  il  pubblico  ministero  a  provvedere,
nell'ambito  dei  suoi  poteri  funzionali,  agli  accertamenti   che
riterra'  necessari, formulando all'esito degli stessi le conseguenti
ed opportune richieste al giudice.
   D'altro   canto,   qualora   il   dubbio   sull'identita'   fisica
dell'imputato dovesse  insorgere  una  volta  terminate  le  indagini
preliminari,   soccorreranno   al   riguardo  i  poteri  del  giudice
dell'udienza preliminare o del dibattimento.
   L'articolo  66  prevede,  in  parte  riproducendo  le disposizioni
dell'articolo 89 c.p.p., che se in ogni stato e  grado  del  processo
risulti la morte dell'imputato, il giudice debba pronunciare sentenza
con la quale dichiara estinto il reato per morte del reo,  osservando
beninteso la regola di priorita' stabilita nell'art. 128 comma 2, che
riproduce l'art. 152 comma 2 c.p.p.
   Nel comma 2 dell'articolo 66 e' stata riprodotta la deroga (almeno
apparente)  al  principio  del  ne  bis  in  idem,  nell'ipotesi   di
successiva   acquisizione   della   prova   dell'esistenza   in  vita
dell'imputato.
   Non  sono  state  invece riprodotte, a differenza che nel Progetto
preliminare del 1978, le disposizioni dell'art. 89 c.p.p. concernenti
la disciplina dell'incertezza sull'esistenza in vita dell'imputato.
   Anche  in  questo  caso,  infatti,  non  si  e'  ritenuto di dover
prevedere alcuna deroga alle  ordinarie  regole  probatorie,  per  le
medesime   considerazioni   gia'   svolte   a  proposito  del  dubbio
sull'identita' fisica dell'imputato, e con l'ulteriore rilievo che in
questo  caso,  non  essendo presente la persona fisica dell'imputato,
ancor  meno  si  giustifica  una  deroga  alla   normale   dialettica
processuale.
   Gli  articoli  67,  68, 69 e 70 delineano il trattamento normativo
delle anomalie mentali che si manifestano in occasione  del  processo
penale.
   A questo proposito si e' ritenuto che la disciplina vigente fosse,
non tanto da semplificare, quanto da  modificare  nella  sostanza:  e
cio'  a causa e in conseguenza dell'evoluzione che, di fronte al piu'
globale problema dell'atteggiamento da  tenere  nei  confronti  delle
anomalie  mentali,  la  sensibilita'  sociale  ha  palesato in questi
ultimi tempi e sempre maggiormente appare destinata a palesare.
   L'aspetto   piu'  stridente  della  disciplina  attuale  e'  stato
ravvisato  nella  sottoposizione  dell'infermo   di   mente   ad   un
trattamento particolare, soltanto per la circostanza che l'infermita'
sopravvenga all'instaurazione di un qualsiasi processo penale, magari
per fatti che non hanno nulla a che vedere con l'infermita' medesima,
neppure sotto il profilo degli indici  di  pericolosita':  non  senza
contraddizione  con  la  ratio che si dice sottostare alla disciplina
stessa, come ratio di tutela dell'autodifesa, e  quindi  di  garanzia
dell'imputato.
   Fondamentale,  per  contro,  e'  apparsa l'esigenza di distinguere
nettamente i due aspetti: da  un  lato,  si  e'  percio'  cercato  di
ricondurre  la disciplina strettamente "processuale" dei rapporti tra
anomalie mentali e processo penale ad una piu'  coerente  visuale  di
tutela  della possibilita' di "cosciente partecipazione dell'imputato
al processo",  dall'altro,  ci  si  e'  preoccupati  di  regolare  in
un'ottica  di mera "supplenza" (nei confronti degli organi competenti
ai sensi delle leggi sull'assistenza psichiatrica) gli interventi del
giudice  penale,  per quel che riguarda i provvedimenti sulla persona
dell'infermo di mente.
   Quanto alle conseguenze di ordine propriamente processuale, che la
legge penale e' costretta a trarre dalle situazioni mentali  anomale,
si  e'  ritenuto opportuno individuare in due momenti (a ciascuno dei
quali e' dedicato un apposito articolo di legge) le  tappe  dell'iter
incidentale   destinato   alle   relative  verifiche,  nel  difficile
tentativo  di  contemperare  due   esigenze:   quella   di   garanzia
dell'individuo  effettivamente  in stato mentale anomalo, e quella di
salvaguardia  della  correttezza  processuale  contro  i  rischi   di
simulazioni.
   Il  punto di partenza e' dato dal riscontro di manifestazioni, nel
comportamento dell'imputato, che diano al giudice  seria  ragione  di
dubitare  della sua attuale idoneita' a partecipare coscientemente al
processo:  e  la  formula  e'  stata  concepita  intenzionalmente  in
funzione  restrittiva,  proprio ad evitare che vi sia un dispendio di
accertamenti di  fronte  ad  ogni  tentativo  simulatorio  facilmente
riconoscibile  come  tale ictu oculi. Sul presupposto di quelle serie
ragioni il giudice ha peraltro il dovere, non la  semplice  facolta',
di  disporre  (articolo 67 comma 1) accertamento peritale sullo stato
di mente dell'imputato, che non va confuso con  la  perizia  disposta
per  accertare  l'imputabilita'  (nonostante l'eventuale unicita' del
perito).
   E'  stata  invece  mantenuta  la  nozione  di  "infermita' mentale
sopravvenuta al fatto" quale discriminante diretta ad  escludere  che
il   successivo   art.  68  (ove  e'  prevista  una  sospensione  del
procedimento) venga ad applicarsi anche a chi era  infermo  di  mente
all'atto della commissione del fatto.
   Infatti,  pur  potendo sembrare non corretto, in una situazione di
impedita autodifesa, ammettere la pronuncia di una  sentenza  di  non
imputabilita',  che  implica  riconoscimento  della  sussistenza  del
reato, si e' in definitiva ritenuto che la  mancata  distinzione  tra
infermita'  "sopravvenuta"  ed  infermita'  "originaria"  finisse per
provocare  una  sensibile   alterazione   della   stessa   disciplina
sostanziale  della  infermita'  mentale. Nell'accogliere la soluzione
piu' tradizionale si  e'  anche  tenuto  conto  delle  considerazioni
svolte  dalla  Corte costituzionale nella sentenza 24 maggio 1979, n.
23,  che  ha  ritenuto  infondata  la  questione  di   illegittimita'
costituzionale  dell'art.  88  c.p.p.  sollevata  in  relazione  agli
articoli 3 e 24 comma 2 Cost., rilevando le  differenze  tra  le  due
ipotesi cennate.
   Il  comma  2  dell'art.  67  precisa  quali  siano gli atti che il
giudice e' legittimato a compiere, dopo aver disposto  l'accertamento
peritale sulla supposta anomalia mentale dell'imputato.
   Una   volta   disposto  l'accertamento  peritale,  la  conseguenza
naturale e', invero, quella di una semiparalisi del processo, poiche'
in   presenza   di   un   consistente   dubbio  sullo  stato  mentale
dell'imputato sarebbe contraddittorio continuare come se nulla fosse.
   D'altronde,  gia'  attualmente,  la  vigente disciplina prevede la
sospensione dei termini di scarcerazione  automatica  in  coincidenza
con ogni periodo "in cui l'imputato e' sottoposto ad osservazione per
perizia psichiatrica" (art. 272 c.p.p.  vigente),  e  tale  norma  e'
stata  riprodotta,  sia  pur  in una versione parzialmente modificata
(art. 304).
   Di  fronte  alla disciplina attuale, piuttosto laconica sul punto,
si trattava pero' di chiarire, in pari tempo, che anche i poteri  del
giudice sono limitati nel periodo destinato a stabilire se l'imputato
e' in  uno  stato  di  sufficiente  autocoscienza.  Si  trattava,  in
sostanza,  di  anticipare  al  periodo  dell'accertamento peritale un
regime corrispondente a quello  che  il  quarto  comma  dell'art.  88
c.p.p.  vigente fissa con riguardo al periodo di "sospensione" vera e
propria del processo.
   D'altro  canto,  a  differenza di quanto stabilito nel detto comma
dell'art.  88  c.p.p.,  non  si  e'  ritenuto  che   dalla   paralisi
processuale potessero rimanere esclusi tout court, tutti e soli, "gli
atti necessari per l'accertamento del reato":  dizione  troppo  lata,
questa, e trasparentemente ispirata, anziche' ad una visuale coerente
con la ratio di tutela  dell'autodifesa,  all'idea  che  la  presenza
dell'imputato  autocosciente  non  sia  necessaria  per  gli  atti di
riscontro "obbiettivo" della sussistenza del  reato.  Si  e'  percio'
ristretta,  in  linea  generale, agli atti urgenti la possibilita' di
effettuazione nel periodo suddetto  e  si  e'  piuttosto  operato  un
allargamento,  in  nome di un'evidente esigenza di favor rei, per gli
atti probatori che possano servire a  far  prosciogliere  l'imputato,
sempre  che  l'assunzione  degli  stessi  sia richiesta dal difensore
dell'imputato. In tal modo si e' voluto evitare  che  possano  essere
richieste  dal  pubblico ministero, al quale peraltro la direttiva 37
della legge-delega riconosce il potere-dovere  di  raccogliere  anche
gli  elementi favorevoli all'imputato, prove, in astratto favorevoli,
il cui esito si riveli invece a lui sfavorevole.
   Nel  formulare  la  disciplina  appena  descritta  si  e'  evitato
peraltro di impiegare il concetto di "sospensione  del  processo"  al
fine  di rendere chiaro che, se in seguito agli accertamenti peritali
l'imputato  risulta  in  grado  di  parteciparvi,  il  processo  puo'
riprendere   alla   data   prefissata   senza   necessita'  di  alcun
provvedimento formale, e cio' in evidente ossequio  dei  principi  di
economia processuale.
   Nel  comma  3  dell'art.  67  e'  contenuta la disciplina relativa
all'accertamento dello stato mentale dell'indiziato nel caso  in  cui
l'infermita' si manifesti durante la fase delle indagini preliminari.
   Si  e'  infatti  ritenuto  che le medesime ragioni di tutela della
possibilita' di autodifesa dell'imputato, che costituiscono la  ratio
della  disciplina  in  questione,  sussistono  anche nella fase delle
indagini preliminari.
   Non  e'  apparso  invece opportuno attribuire al giudice, che solo
episodicamente interviene in tale fase, un autonomo potere in  ordine
all'accertamento dello stato mentale dell'indiziato, accertamento che
pertanto potra' essere espletato soltanto a richiesta di parte.
   D'altro  canto,  nell'improbabile  ipotesi  in cui ne' il pubblico
ministero, ne' il difensore abbiano cura  di  richiederla  prima,  la
perizia  sullo  stato  di  mente dell'imputato potra' essere disposta
d'ufficio,  ai  sensi  del  comma   1,   dal   giudice   dell'udienza
preliminare.
   Si  e' inoltre ritenuto che, nelle more dell'accertamento peritale
disposto durante le indagini preliminari e dopo  la  sospensione  del
procedimento  (ai  sensi  del  successivo  art.  68)  l'attivita'  di
indagine  del  pubblico  ministero  non  debba   essere   del   tutto
paralizzata,  potendo consentirsi il compimento degli atti d'indagine
per i quali non sia richiesta la partecipazione dell'indiziato.
   Non  e'  sembrato, invece, corretto consentire l'assunzione, anche
in tale fase, delle prove che possono  condurre  al  proscioglimento,
perche'  in  tal modo si avrebbe, diversamente dall'ipotesi di cui al
comma 2, un'ingiustificata estensione dei casi in cui  e'  consentita
la  formazione  delle  prove  prima  del  dibattimento. Nulla esclude
peraltro il ricorso all'incidente  probatorio,  ove  ne  ricorrano  i
presupposti.
   Si  e'  anche  ritenuta l'opportunita' di prevedere che nelle more
della perizia restino sospesi  i  termini  per  l'espletamento  delle
indagini  preliminari  previsti  dagli artt. 402 e 403, cio' anche al
fine di scoraggiare eventuali strumentalizzazioni.
   L'articolo   68  disciplina  l'ipotesi  in  cui,  ad  esito  degli
accertamenti previsti  nell'articolo  precedente,  lo  stato  mentale
dell'imputato  risulta  effettivamente tale da impedirne la cosciente
partecipazione al procedimento.
   In  questo caso e' imposta - e non potrebbe essere altrimenti - la
pronuncia di  un  formale  provvedimento  di  sospensione,  cui  osta
tuttavia  -  come  oggi  -  la  presenza di elementi che gia' rendano
possibile una declaratoria di proscioglimento immediato.
   E' superfluo sottolineare che, nella logica del sistema prescelto,
il  rimedio  della  sospensione  deve  essere  davvero  un   extremum
remedium,  cui  ricorrere  soltanto  nelle situazioni che davvero non
tollerino, a tutela dell'autodifesa dell'imputato, altre soluzioni.
   Circa  la genericita' del riferimento ai casi in cui "debba essere
pronunciata sentenza di proscioglimento",  come  condizione  ostativa
alla  sospensione, si e' gia' illustrata la ragione per cui non si e'
ritenuto di attribuire alle infermita' mentali perduranti  dall'epoca
del  fatto  all'epoca  del  processo  la stessa rilevanza processuale
attribuita   alle   infermita'   mentali   sopravvenute   al   fatto.
Coerentemente con tale impostazione, si e' pertanto ammesso anche che
la   possibilita'   di   pronunciare   immediatamente   sentenza   di
proscioglimento  per incapacita' di intendere o di volere precluda il
ricorso al meccanismo della sospensione.
   Circa  i  profili  formali  del provvedimento di sospensione, puo'
osservarsi che, come oggi, tale provvedimento e' previsto nelle forme
dell'ordinanza  (art.  68  comma  1).  Dal  canto suo, il comma 3 del
medesimo art. 68  ha  cura  di  precisare  l'impugnabilita'  di  tale
ordinanza,   sottoponendola   al   regime   della  ricorribilita'  in
cassazione ed individuando i titolari della facolta' di ricorso.
   I  commi  2,  4,  5  e  6 dell'art. 68 disciplinano le conseguenze
dell'ordinanza di sospensione.
   Dal  punto  di  vista  della  possibilita'  del compimento di atti
processuali, tali conseguenze  si  riassumono  in  un  consolidamento
della  situazione  gia'  caratteristica  dello  stadio destinato alla
verifica dello  stato  mentale  dell'imputato  o  dell'indiziato;  in
relazione a cio', si spiega il rinvio che i commi 4 e 5 dell'articolo
68 operano nei confronti dei commi 2 e  3  dell'articolo  precedente.
Poiche',  di  conseguenza,  la  sospensione  non  significa  completa
paralisi  del  processo,  e  poiche',   d'altro   canto,   la   ratio
dell'istituto  esclude  una  fungibilita' piena tra difesa tecnica ed
autodifesa,  al  provvedimento  che  dispone  la   sospensione   deve
accompagnarsi  il provvedimento di nomina di una persona che, durante
la sospensione, funga da vero sostituto dell'imputato: si e'  pensato
ad  un  "curatore  speciale" sul tipo di quello gia' oggi previsto in
relazione alla querela, ma il parallelismo non e' stato  spinto  sino
ad una totale coincidenza. Infatti si e' preferito (comma 2 dell'art.
68) rendere sempre  obbligatoria  la  nomina  del  curatore  speciale
dell'imputato  impossibilitato  a  partecipare al processo per la sua
situazione mentale, senza distinguere tra casi in  cui  l'interessato
sia  gia'  legalmente  rappresentato  ed  altri casi, e limitandosi a
porre,  come  direttiva  per  il  giudice,  la  nomina  preferenziale
dell'eventuale   rappresentante   legale   come   curatore  speciale.
Beninteso, occorrera' che non sussista conflitto d'interessi.
   Circa l'ipotesi di processo con piu' coimputati, lo stesso comma 2
dell'art. 68 rende obbligatoria la separazione,  in  armonia  con  la
linea  prescelta in sede piu' generale, evitando percio' la complessa
regolamentazione dell'ultimo comma dell'art. 88 c.p.p.
   Quanto  ai  poteri della parte civile per l'ipotesi di sospensione
del  processo  penale,  il  comma  6  dell'art.  68  -  in   parziale
difformita'  dall'attuale comma 5 dell'art. 88 c.p.p. - stabilisce un
principio che e' diretta conseguenza delle scelte normative delineate
a proposito dei rapporti tra azione civile e processo penale.
   La  sospensione  del processo per infermita' mentale dell'imputato
e', evidentemente, a tempo indeterminato.  Ma,  ad  evitare  di  dare
ingiustificato  incentivo  alla  piaga degli "eterni giudicabili", il
comma 1 dell'articolo  69  prevede  un  onere  di  verifica  a  medio
termine, ossia ad intervalli regolari di sei mesi, ovvero anche prima
ove  si  configuri  l'esigenza  di  revocare  il   provvedimento   di
sospensione,   cosi'   da   consentire  una  tempestiva  ripresa  del
procedimento.
   Ai  sensi  del  comma  2 del medesimo art. 69, la sospensione deve
invero essere revocata, in via ordinaria,  non  appena  acquisita  la
certezza dell'idoneita' dell'imputato a partecipare coscientemente al
processo.
D'altronde,  la  revoca  deve  essere  disposta ancora prima - per la
logica  di  garanzia  che  informa  l'intero  istituto  -  quando  si
integrino   le  condizioni  per  la  pronuncia  di  una  sentenza  di
proscioglimento.
   Ben  distinto  dal  problema  dell'incidenza che gli stati mentali
dell'imputato possono avere sullo svolgimento processuale,  e',  come
gia'  detto, il problema delle misure che si puo' essere costretti ad
adottare nei confronti dell'infermo di mente. La relativa  disciplina
e' contenuta nell'articolo 70.
   Al  riguardo,  il  principio  fondamentale  e'  questo: il giudice
penale (ed a fortiori, il pubblico ministero) non  sono,  di  regola,
autorizzati  ad  emettere  provvedimenti che incidano sul trattamento
della malattia mentale. D'altro canto, ci si e'  preoccupati  che  la
conseguente paralisi di competenze non si risolvesse in un fattore di
esaltazione di pericoli per l'incolumita' e  la  tranquillita'  delle
persone  (in  primo  luogo,  per  la  stessa  persona dell'infermo di
mente).
   Per  questo  motivo,  l'art.  70  comma  1 fa anzitutto obbligo al
giudice penale di informare, "con il mezzo piu' rapido",  l'autorita'
competente  ad  adottare misure nei confronti degli infermi di mente,
ai sensi delle leggi sul trattamento sanitario per  malattie  mentali
(artt.  1,  2  e 3 l. 13 maggio 1978, n. 180; l. 23 dicembre 1978, n.
833).
   Con  il  comma  2  dell'articolo,  si e' d'altronde evitato che il
giudice procedente sia privato del potere di  adottare  provvedimenti
di  urgenza,  sino  al  ricovero  provvisorio in idonea struttura del
servizio psichiatrico ospedaliero: dove il concetto di "idoneita'" e'
stato  a sua volta inserito per non costringere le scelte del giudice
entro margini troppo stretti.
   D'altro  canto,  lo stesso art. 70 comma 2 fissa un preciso limite
di efficacia ai provvedimenti provvisori che,  in  questo  campo,  e'
autorizzato   ad  adottare  il  giudice  penale:  essi  sono  infatti
destinati a perdere effetto nel momento in cui viene data  esecuzione
a   quanto  stabilito  (in  un  senso  o  nell'altro)  dall'autorita'
destinataria dell'informativa di cui al comma 1.
   Un'autonomia  di  efficacia si e' pero' conferita al provvedimento
che dispone il ricovero in idonea struttura del servizio psichiatrico
ospedaliero  (art.  70  comma  3)  come forma alternativa di custodia
cautelare.  In  questo  caso  infatti,  dati  gli  obiettivi  cui  e'
preordinata  la  custodia cautelare, non si potrebbe attribuire ad un
intervento esterno al processo la funzione di  condizione  risolutiva
del provvedimento cautelare del giudice penale.
   Nel  comma 4 si e' enucleata la disciplina specifica per l'ipotesi
in  cui  l'anomalia  mentale  emerga  nella   fase   delle   indagini
preliminari.  Qui la necessita' di una corretta ripartizione di ruoli
tra pubblico ministero e giudice  impone  un  meccanismo  diverso  da
quello stabilito per l'ipotesi d'infermita' mentale emergente davanti
al giudice. Sara' dunque lo stesso pubblico  ministero  a  curare  in
questo  caso  l'informativa  di  cui  al  comma 1, ma i provvedimenti
provvisori relativi alla persona dell'infermo di mente  non  potranno
essere sottratti alla sfera di competenze esclusive del giudice.
   Il titolo IV e' chiuso da due articoli che dovrebbero svolgere una
funzione non secondaria, nell'ambito di un codice che la legge-delega
vuole  attento  alle  esigenze di rispetto dei diritti fondamentali e
della personalita' di chi viene sottoposto a processo.
   Circa  l'articolo  71, il suo obbiettivo e' quello di raccogliere,
in un'unitaria visuale di  garanzia,  una  serie  di  norme,  di  non
trascurabile  importanza  sul  piano  di  "civilta'  del processo" ed
appunto riconducibili  alla  medesima  esigenza  della  tutela  della
personalita'   dell'imputato.  In  proposito,  la  rubrica  parla  di
"interrogatorio" per economia di linguaggio, ma non deve dimenticarsi
che  per  effetto del rinvio contenuto nell'art. 350, la norma ha una
portata ben piu' ampia, con riferimento ad ogni atto - sia pure delle
"indagini   preliminari"   -   che,   per   quanto  non  tecnicamente
denominabile  "interrogatorio",  comporti  domande  all'indiziato   o
all'imputato.
   Nel  comma  1, con qualche opportuno aggiornamento linguistico, si
riproduce la norma dell'art. 365 comma 2 c.p.p.
   Della  massima  importanza  e'  poi  il  comma 2 dell'art. 71, che
toglie  ogni  incertezza  sull'uso  di  strumenti  coercitivi  o   di
persuasione  occulta,  a  prescindere  dalla  loro "produttivita'" in
termini di risultati processualmente utilizzabili. Il  divieto  trova
del  resto riscontro in materia di disposizioni generali sulla prova,
per estendersi anche  ai  testimoni  ed  a  quanti  sono  chiamati  a
rispondere  a  domande  da  parte  dell'autorita' giudiziaria o della
polizia giudiziaria (art. 188).
   Nel  comma  3  e' sostanzialmente riprodotta la norma dell'attuale
articolo 78 comma 3 c.p.p., che consacra il  cosiddetto  "diritto  al
silenzio", nella sua portata generale e con i suoi limiti.
   Quanto  al comma 4, vi e' contenuto un divieto di testimonianza de
auditu, relativo ad ogni dichiarazione che  l'imputato  abbia  potuto
rendere,  anche  prima  di  assumere  tale  qualita', nel corso delle
indagini preliminari o del processo. Si vuole  infatti  che  di  tale
dichiarazioni   faccia   fede  la  sola  documentazione  scritta,  da
redigersi e da utilizzarsi con le forme ed entro  i  limiti  previsti
per  le varie fasi del procedimento; e si vuole altresi' evitare che,
attraverso il duplice meccanismo delle  "dichiarazioni  spontanee"  e
della "testimonianza de auditu" venga aggirato il diritto al silenzio
dell'inquisito.
   La  disposizione del comma 4 dell'art. 71, come le altre di questo
articolo, si applica - come si e' detto -  anche  alle  dichiarazioni
rese  alla  polizia  giudiziaria.  Tuttavia,  essa  non da' vita a un
divieto soggettivamente qualificato, come divieto di testimonianza de
auditu  dell'ufficiale  di  polizia,  ma  si  configura,  in  termini
oggettivi, con riferimento al contenuto delle dichiarazioni, e quindi
esclude   anche  la  testimonianza  de  auditu  di  soggetti  diversi
dall'ufficiale o dal magistrato.
   Si  e' d'altronde ravvisata la opportunita' di mantenere in questa
sede la disposizione in  esame  nonostante  il  collegamento  con  la
normativa  generale  sulla testimonianza de auditu. Si tratta infatti
di norma avente una sua autonomia e riguardante un  tipo  particolare
di  testimonianza  de  auditu, caratterizzato sul piano oggettivo, la
cui disciplina ha una ratio che non puo' essere integralmente coperta
dalle norme piu' generali in tema di testimonianza indiretta.
   L'articolo  72 riproduce sostanzialmente le disposizioni dell'art.
367 c.p.p. e dell'art. 418 del Progetto preliminare del 1978, con  le
modifiche    rese    necessarie    dalla    diversita'    dei    fini
dell'interrogatorio effettuato dal  giudice  istruttore  nel  sistema
delineato dal Progetto citato.
   La  diversa  formulazione del comma 2 e' correlata alla necessita'
di dare attuazione alla direttiva 5 della legge-delega, in  relazione
alla  quale  e'  stata anche ritenuta opportuna la collocazione della
norma fra quelle concernenti l'"imputato".
   Ostativo  all'inserimento  fra  le  norme relative alle "Prove" e'
apparso  infatti   l'inequivoco   tenore   della   direttiva   citata
("disciplina  delle  modalita'  dell'interrogatorio in funzione della
sua natura di strumento di difesa"),  mentre  d'altro  canto  non  e'
sembrata   corretta   la   collocazione   dell'articolo   fra  quelli
concernenti   l'"Attivita'   del   pubblico    ministero",    essendo
l'interrogatorio previsto anche nell'udienza preliminare (v. articolo
419) e nel giudizio abbreviato (oltre che nella  situazione  regolata
dall'art. 294).
   Circa  la facolta' di non rispondere non si e' ritenuto necessario
il rinvio all'art. 63.
   Quanto   alle   modalita'   di   verbalizzazione   dell'atto,   si
applicheranno   ovviamente    le    disposizioni    concernenti    la
documentazione  degli atti del pubblico ministero e del giudice (art.
371 e art. 133 e seguenti).
                               TITOLO V
                  PARTE CIVILE, RESPONSABILE CIVILE
            E CIVILMENTE OBBLIGATO PER LA PENA PECUNIARIA
Premessa.
   Nonostante  la  sua  "intitolazione",  il  titolo V, dedicato alla
parte civile, al responsabile civile ed al civilmente  obbligato  per
la  pena  pecuniaria,  non  si  limita  a regolamentare la disciplina
processuale riguardante le modalita'  di  ingresso  e  di  esclusione
riguardo al processo penale delle parti private diverse dall'imputato
ma, seguendo la sistematica adottata  dal  Progetto  preliminare  del
1978, ricomprende fra i suoi precetti anche la disciplina dell'azione
civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato  dal
reato.
   Peraltro,  il riferimento della denominazione del titolo (identica
a quella del corrispondente titolo del Progetto del 1978) ai soggetti
piuttosto  che  all'azione  e'  stato ritenuto preferibile al fine di
evitare l'introduzione di una disciplina generale dell'azione  civile
proposta  a  norma  dell'art.  185  c.p.,  cosi' da circoscriverne il
contenuto  precettivo  alla   regolamentazione   dell'azione   civile
esercitata nel processo penale.
   La   nuova  sistematica  differisce,  percio',  profondamente  dal
sistema del codice vigente, che, mentre nel capo II del titolo I  del
libro  primo  da'  assetto  - anche prescindendo dalla sede in cui la
pretesa viene  fatta  valere  -  all'azione  civile  riparatoria,  ed
include  in  tale  regolamentazione  anche  gli effetti del giudicato
penale sull'azione e sul giudizio civile,  nei  capi  II  e  III  del
titolo  III  dello stesso libro primo detta la disciplina processuale
riguardante,  da  un  lato,  la  parte  civile  e,   dall'altro,   il
responsabile  civile e la persona civilmente obbligata per la multa o
per l'ammenda.
   L'"ideologia"  sottostante  alla  nuova  sistematica  muove  dalla
premessa metodologica in base alla quale  l'inserimento  nel  settore
del  codice  dedicato ai soggetti di prescrizioni riferite all'azione
civile senza tener conto della sua potenzialita' a  trovare  ingresso
nel  processo  penale,  per  un  verso,  si  sarebbe  risolto  in una
riproduzione,  certo   tecnicamente   non   rigorosa,   di   precetti
appartenenti  al  diritto  sostanziale e, per un altro verso, avrebbe
condotto ad una disciplina congiunta di  fenomeni  -  quali  l'azione
civile  e  l'efficacia  del  giudicato  penale  nel processo civile o
amministrativo  -  con  riguardo   ai   quali   l'esigenza   di   una
regolamentazione   separata  prevale  rispetto  all'esigenza  di  una
disciplina congiunta.
   Seguendo  tale  sistematica,  mentre  il  titolo  V del libro I ha
esclusivo riferimento all'esercizio dell'azione civile in sede penale
(nello  stesso  titolo  e'  stata,  peraltro,  contemplata  anche  la
normativa riguardante il civilmente obbligato per la pena pecuniaria,
tradizionalmente  accomunata  a  quella  riguardante  le  altre parti
private diverse dall'imputato), l'assetto relativo all'efficacia  del
giudicato  penale  nei  processi  civili  e  amministrativi  e' stato
collocato nel libro X, dedicato all'esecuzione (v. piu' precisamente,
nel  titolo  I  di  tale  libro dedicato al giudicato; artt. da 642 a
645). Il  collegamento  fra  disciplina  dell'azione  civile  per  le
restituzioni  e  il  risarcimento  del  danno  cagionato  dal reato e
prescrizioni relative all'efficacia extrapenale del giudicato  penale
resta  assicurato dalla disposizione - veramente cruciale - dell'art.
74, che,  nel  prevedere  un  sistema  di  preclusioni  all'esercizio
dell'azione  civile  in  sede  penale,  adempie  anche la funzione di
condizionare l'operativita' del regime dell'efficacia  del  giudicato
penale  nei processi civili o amministrativi per le restituzioni e il
risarcimento del danno cagionato dal reato.
   Peraltro,  la sistematica adottata risulta puntualmente conforme a
quella del testo del 1978. L'unica novita'  introdotta  dal  Progetto
sul piano della sistemazione dei precetti riguarda l'eliminazione dal
titolo  V  delle  prescrizioni  concernenti  la  persona  offesa:  un
soggetto   che,   seppure   non   menzionato  nella  "intitolazione",
legittimava i suoi poteri, non espressamente previsti  da  specifiche
disposizioni  di  legge,  in  forza di una clausola generale inserita
nell'art. 96 del precedente Progetto.
   L'autonomia del ruolo della persona offesa rispetto alla posizione
assegnata alle parti private diverse dall'imputato, conseguente  alla
qualita'  ad  essa  riconosciuta di titolare dell'interesse aggredito
dal reato, fa  si'  che  ogni  suo  diritto  o  facolta'  non  derivi
dall'acquisto  della  qualita'  di  parte:  ed  e'  percio' che si e'
ritenuto piu' puntuale l'apprestamento  di  un  apposito  titolo  (il
titolo  VI)  disciplinante  la  posizione  processuale di tale figura
soggettiva, una posizione del tutto distinta, sia quanto ai tempi  di
intervento sia quanto alle pretese da far valere ed ai corrispondenti
poteri di natura processuale, rispetto a quella delle parti  private.
   Nello  stesso  titolo VI e' stata regolamentata anche la posizione
processuale  degli  enti  e  delle   associazioni   ai   quali   sono
riconosciute finalita' di tutela degli interessi lesi dal reato, gia'
contemplati nel Progetto del 1978,  ma  la  cui  espressa  previsione
nella  nuova  legge-delega (direttiva 39) ha richiesto l'introduzione
di una piu' articolata disciplina.
   Il  fatto  che,  sul  piano  sistematico  - a parte le innovazioni
conseguenti alla creazione del titolo VI - la fisionomia dell'attuale
Progetto sia rimasta identica rispetto a quella del Progetto del 1978
non  deve,  pero',   far   indurre   a   ritenere   l'identita'   dei
corrispondenti  contenuti. Le innovazioni conseguenti alla necessita'
di dare  attuazione  ai  precetti  della  nuova  legge-delega  hanno,
infatti,  imposto una profonda revisione del titolo V, la cui lettura
complessiva risulterebbe  del  tutto  falsata  ove  si  omettesse  di
verificare   la  pressocche'  costante  opera  di  adeguamento  delle
prescrizioni del precedente Progetto sia alle norme che  disciplinano
i  poteri  spettanti  nel  corso del processo a ciascuna delle figure
soggettive  menzionate  nel  detto  titolo   sia   alle   norme   che
disciplinano l'efficacia del giudicato penale in altri giudizi; temi,
peraltro, strettamente interdipendenti, considerato che  ai  soggetti
portatori  di  pretese  non penali e' assicurata la partecipazione al
processo penale in funzione degli  effetti  che  dall'esito  di  tale
processo potranno conseguire: non solo quando il giudice penale venga
chiamato a decidere sulla  riparazione  del  danno  (v.  art.  531  e
seguenti), ma soprattutto quando si tratti di determinare l'incidenza
del giudicato penale sulla pretesa non penale fatta valere davanti al
giudice  normalmente competente. Si spiega, percio', come la risposta
ai problemi sopra indicati sia  stata  data  passando  attraverso  la
regolamentazione dei rapporti fra processo penale ed azione civile: i
collegamenti, gia' istituiti nel Progetto del 1978,  fra  l'esercizio
della  pretesa  civile e la misura degli effetti del giudicato penale
sulla azione civile, non potevano, infatti, non coinvolgere anche  il
tema  dei rapporti fra giudicato penale ed azione civile, un tema che
sembrava essere stato trascurato dal precedente  Progetto,  il  quale
aveva   significativamente   evitato   di  introdurre  ogni  espressa
previsione, pur, almeno apparentemente, richiesta  da  una  direttiva
della  legge-delega  del  1974  (la  direttiva  22)  la quale potesse
ricalcare lo schema dell'articolo 25 del codice vigente.
   La  scissione,  sistematicamente  rigorosa, operata dal precedente
progetto  fra  la  tematica  dell'esercizio  dell'azione  civile  nel
processo  penale  e  gli  effetti  del  giudicato penale nel giudizio
civile o amministrativo per le restituzioni ed  il  risarcimento  del
danno derivante dal reato, non ha, peraltro, comportato una parallela
autonomia delle discipline, tra loro invece, collegate da un rapporto
di  interdipendenza,  puntualmente  evidenziato  non solo dal sistema
delle preclusioni (v., soprattutto, l'art. 74) ma anche dalle  regole
riguardanti  gli  effetti del giudicato penale nei giudizi non penali
(v. artt. 642 e 643). Stando almeno al lessico adottato  dalla  nuova
delega, tale rapporto risulta ancor piu' accentuato solo considerando
due fra le proposizioni innovative nella materia: quella che ha -  ma
solo  in  apparenza  -  limitato, quanto all'efficacia soggettiva, il
vincolo del giudicato penale nel  giudizio  civile  o  amministrativo
(direttive 22 e 23); quella che ha sancito un'area di incidenza della
pronuncia penale oltre i limiti del giudizio per le restituzioni e il
risarcimento del danno (direttiva 24).
   Nonostante  che le indicate precrizioni della legge di delegazione
potessero   apparire   indicative   per   il   legislatore   delegato
dell'esigenza  di  regolamentare  l'efficacia del giudicato penale in
altri giudizi secondo una  linea  di  maggiore  "permissivita'",  con
conseguenti  riverberi  sul  regime  della partecipazione al processo
penale dei  soggetti  portatori  di  pretese  civili,  la  disciplina
apprestata  dal  nuovo Progetto non ha abbandonato la linea tracciata
dal Progetto del 1978. Cio' sia  perche'  i  princi'pi  del  processo
accusatorio  -  i  quali,  ancor  piu'  di  quanto non risultasse dal
precedente  testo,  sorreggono  la  struttura  portante  dell'attuale
sistema  -  impongono  di  ravvisare  nell'efficacia  vincolante  del
giudicato  penale  in  altri  giudizi   un   fenomeno   assolutamente
marginale,  da  giustificare  solo  in  vista di una sua ineluttabile
necessita';  sia  perche'   l'apparente   estensione   dell'efficacia
soggettiva  del  giudicato  penale,  per  un  verso,  rappresenta  il
risultato della insopprimibile  esigenza  di  conformarsi  ai  decisa
delle sentenze costituzionali che hanno colpito gli artt. 25, 27 e 28
del  codice  vigente  e,  per  un  altro  verso,  non  impedisce   di
interpretare  -  sulla  base  di  una  loro  piu' attenta lettura - i
precetti a contenuto innovativo della legge-delega del  1987  non  in
termini    di    maggiore    "permissivita'",   ma   come   ulteriori
condizionamenti quanto all'efficacia del giudicato  penale  in  altri
processi.
   L'esigenza  di  mantenere  fermo  l'assetto  delineato nel 1978 e'
parsa addirittura necessitata considerando la nuova disciplina  della
fase  delle indagini preliminari (una fase che mal avrebbe sopportato
l'intervento di figure soggettive diverse da quelle titolari  di  una
pretesa penale) ed il pericolo che un nuovo istituto come l'incidente
probatorio - con il quale si consente  l'assunzione  di  prove  nelle
forme  dibattimentali  - ove si fosse assicurata la partecipazione al
suo  espletamento  di  soggetti  diversi  dal  pubblico  ministero  e
dall'imputato  ne sarebbe potuto risultare depotenziato a causa degli
inevitabili  ritardi  derivanti  dall'introduzione  di  interessi  di
natura  non  penale,  cosi'  da  non essere in grado di assicurare la
celerita' richiesta dal nuovo tipo di processo.
   Di  conseguenza,  oltre  a lasciarsi sostanzialmente inalterato il
sistema delle preclusioni all'esercizio dell'azione  civile  in  sede
penale   -   salvo   l'adozione  di  perfezionamenti  collegati  alla
necessita' di riconnettere ognuna di esse ad un fatto  riferibile  al
danneggiato  -  l'eventualita'  che  la  formazione  della  prova  si
colleghi  a  momenti  processuali  in  cui  non   e'   possibile   la
partecipazione  di  soggetti  titolari  di  pretese  non  penali,  ha
comportato una ulteriore accentuazione del regime della  separazione,
fino  a  rendere  il piu' delle volte fonte di inconvenienti, per chi
abbia subi'to un danno  cagionato  da  reato,  il  costituirsi  parte
civile.  L'attuale  sistema  consente, infatti, al danneggiato di non
subire il giudicato penale solo
 Illustrazione degli articoli.
   I  primi  due  articoli  del  titolo  VI,  dedicati  all'esercizio
dell'azione civile, in sede penale, seguono, sul  piano  sistematico,
pur  nella  non  trascurabile  diversita'  dei  contenuti,  lo schema
tracciato dagli artt. da 22 a 24 del codice vigente.
   L'articolo  73,  nel  dettare  la  disciplina della legittimazione
attiva  e  passiva  all'esercizio  dell'azione  civile  nel  processo
penale,  e' rimasto sostanzialmente identico all'art. 80 del Progetto
del 1978, che, a sua volta, riproduceva - con alcuni  adattamenti  di
ordine formale - l'articolo 22 del codice vigente.
   Al  fine  di  puntualizzare  con precisione maggiore di quanto non
facesse il testo del 1978 che legittimati  all'esercizio  dell'azione
civile in sede penale non sono soltanto le persone fisiche e gli enti
o le associazioni dotati di personalita' giuridica, ma  anche  figure
soggettive  non  personificate  (come  associazioni non riconosciute,
comitati,  etc.),  e'  sembrato,   peraltro,   opportuno   sostituire
l'espressione   "persona  alla  quale  il  reato  ha  recato  danno",
contenuta  nel  precedente  Progetto,  con  l'espressione   "soggetto
danneggiato  dal reato" (una sostituzione a suo tempo auspicata dalla
Commissione consultiva: v. Parere sul Progetto del 1978, p. 87).
   Alcuni  commissari  hanno  prospettato  l'esigenza  di  sopprimere
l'inciso "di cui all'art. 185 del codice penale",  adducendo,  da  un
lato,  la  non  sufficiente  esaustivita'  del  precetto  richiamato,
derivante dalla sola previsione in  esso  contenuta  dell'obbligo  di
restituzione  o  di  risarcimento  e, dall'altro lato, la conseguente
necessita' - al fine di individuare il supporto sostanziale dell'art.
73,  di  fare  ricorso anche agli artt. 2043, 2058 e 2059 c.c. Non si
e', pero', ritenuto opportuno introdurre ulteriori modificazioni alla
disposizione  in  esame  sia  per  evitare che l'omesso richiamo alla
norma di diritto sostanziale potesse "squilibrare" il  sistema  della
legittimazione   quale   configurato   dal  Progetto  del  1978  sia,
soprattutto, perche', facendo riferimento l'art. 185  c.p.  anche  al
responsabile civile ed indirettamente pure al tema della solidarieta'
fra imputato e responsabile civile,  l'eliminazione  di  ogni  rinvio
alla  norma del codice penale avrebbe potuto provocare l'insorgere di
questioni interpretative non facilmente risolubili. Senza contare che
la  possibilita'  di  intervento  nel processo di enti o associazioni
titolari di situazioni diverse dal diritto soggettivo (v. art. 90 s.)
ha  reso  necessario  richiamare  l'art.  185  c.p.,  nel  quale sono
puntualmente  enucleate  le   tipologie   di   posizioni   soggettive
prospettabili  ai  fini  dell'esercizio  dell'azione  civile  in sede
penale.
   Rispetto  all'art. 22 del codice vigente, l'art. 73 (conformemente
all'art. 80 del Progetto del  1978),  nell'intento  di  ricomprendere
anche  le  ipotesi  di  successione  a titolo universale fra enti, ha
ulteriormente  innovato,  sostituendo,  per   indicare   i   soggetti
legittimati,   all'espressione   "eredi"   l'espressione  "successori
universali". La nuova formula e' sembrata  passare  indenne  rispetto
alle  obiezioni  sollevate  dalla  Commissione  consultiva (p. 87 del
Parere  sul  Progetto  del  1978),  valendo  a  ricomprendere  sia  i
successori per causa di morte sia i successori per altra causa.
   Per  quel  che  si  riferisce  all'articolo  74,  disciplinante  i
rapporti fra azione civile e azione penale, nel Progetto del 1978  la
parziale  applicazione del principio electa una via sancito dal comma
1  dell'art.  81  (articolo  corrispondente  a   quello   in   esame)
rappresentava una conseguenza della scelta effettuata dal danneggiato
della sede in cui esercitare la sua pretesa (v. Relazione al Progetto
del 1978, p. 105).
   Tale  principio  sembrava  costituire l'effetto piu' significativo
conseguente alla finalita' assegnata nel Progetto  alla  costituzione
di  parte  civile: fondata "non gia' sulla partecipazione al processo
della persona nei cui confronti l'accertamento e' destinato a  valere
come  verita'  oggettiva,  con  forza  di giudicato, ma sulla base di
considerazioni di ordine meramente pratico, ispirate alla tutela  del
danneggiato" (v. Relazione 103).
   Quanto  alla  possibilita'  di  trasferire in sede penale l'azione
civile proposta  prima  dell'inizio  dell'azione  penale  davanti  al
giudice  naturalmente competente per la pretesa civile (art. 80 comma
2 del precedente Progetto; ora, art. 74 comma  2),  la  scelta  venne
motivata  osservandosi  che,  non  essendo  ancora  iniziata l'azione
penale, il danneggiato non avrebbe la  possibilita'  di  valutare  in
quale sede far valere la detta pretesa.
   Circa la previsione, infine, dell'unica ipotesi di sospensione del
processo civile (art. 80 comma 3 del testo del  1978;  ora,  art.  74
comma  3),  il  caso, cioe', in cui, prima dell'esercizio dell'azione
civile in sede propria, vi sia stata costituzione  di  parte  civile,
ancorche'  revocata,  il  principio  ispiratore  di tale prescrizione
venne individuato nell'efficacia vincolante  assegnata  nel  processo
civile  di  danno, anche in pregiudizio del danneggiato, al giudicato
penale (v. pure l'art. 68 del nuovo Progetto, corrispondente all'art.
75  del  Progetto  del  1978, a norma del quale, in caso di esercizio
dell'azione civile  dopo  la  sospensione  del  processo  penale  per
infermita'  di  mente dell'imputato, torna ad operare la regola della
separazione dei giudizi).
   L'articolo del Progetto del 1978 concernente i rapporti tra azione
civile e azione penale era stato sottoposto  a  serrate  critiche  da
parte  della precedente Commissione consultiva. Le obiezioni di fondo
(condivise  anche  da  altri  Pareri)  coinvolgono  il   regime   che
circoscrive  la  sospensione  del giudizio civile al solo caso in cui
l'azione civile venga proposta dopo la costituzione di  parte  civile
del  danneggiato:  il  precetto  secondo cui la sospensione - a mezzo
della quale e' consentito  all'imputato  di  far  valere  la  propria
assoluzione  nel  giudizio civile, cosi' da ottenere il rigetto della
domanda proposta in quella sede - non e' ammessa ne' nell'ipotesi  in
cui   il   danneggiato   non  si  sia  costituito  parte  civile  ne'
nell'ipotesi in cui non abbia trasferito l'azione dalla  sede  civile
alla  sede penale, subordinando la possibilita' per l'imputato di far
valere l'assoluzione nei confronti del danneggiato stesso alla scelta
di  quest'ultimo  (art. 615 del Progetto del 1978; art. 643 del nuovo
Progetto), si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.;  cio'
in  quanto la possibilita' per l'imputato di far valere l'assoluzione
nei confronti del danneggiato - il quale puo' comunque far valere nei
confronti   dell'imputato  la  decisione  di  condanna  -  resterebbe
condizionata alla libera scelta del titolare della pretesa  di  danno
sul  se esercitare o no l'azione civile nel processo penale. Inoltre,
avendo, ex articolo 614 (ora, 642), la sentenza  penale  di  condanna
efficacia  in  ogni  caso e nei confronti di tutti gli interessati al
giudizio di danno, non sospendendosi il processo civile si correrebbe
il rischio di provocare la formazione di giudicati contraddittori; un
effetto al quale non potrebbe ovviarsi se non con  il  rimedio  della
revocazione  previsto dall'art. 395 c.p.c.: quindi, con gravi ritardi
ed oneri per la giustizia civile e per le parti. L'assoluta autonomia
fra  i  due  giudizi  confliggerebbe,  altresi',  con  la  previsione
dell'art. 337  comma  2  c.p.c.  e  con  il  principio,  costante  in
giurisprudenza, secondo cui il materiale probatorio penale, una volta
acquisito al processo civile, e' liberamente valutato dal giudice, se
non altro come elemento indiziario. Senza contare che, da un punto di
vista politico, il legislatore, consentendo  l'esercizio  dell'azione
civile  nel  processo  penale  e l'influenza del giudicato penale nel
processo civile, ha mostrato di  essere  sensibile  allo  smarrimento
dell'uomo  della strada di fronte ad una giustizia che in sede penale
puo' affermare una  cosa  ed  in  sede  civile  un'altra:  risultato,
questo,  inevitabile alla stregua dell'art. 81 del Progetto del 1978.
   La  precedente  Commissione  consultiva  aveva richiamato, poi, la
direttiva 19 (l'attuale, modificata,  direttiva  22)  osservando  che
sarebbe      stato     assolutamente     arbitrario     interpretarla
restrittivamente, cosi' da rendere efficace il  vincolo  solo  se  il
giudice  civile  venisse  adi'to  dopo  la  decisione  penale. Aveva,
percio', proposto, da un lato, di formulare come comma 1 il  comma  2
dell'art. 81 del Progetto del 1978, norma riguardante la proposizione
della  domanda  riparatoria  in   sede   civile   prima   dell'inizio
dell'azione penale e, dall'altro lato, di modificare il comma 2 dello
stesso articolo nel senso che  vi  si  sarebbe  dovuta  prevedere  la
sospensione  del  processo  civile fino all'esito del giudizio penale
tanto nel caso che la domanda  civile  fosse  presentata  al  giudice
civile  prima dell'inizio del processo penale (ultima parte del comma
2) tanto nel  caso  che  la  domanda  civile  fosse  presentata  dopo
l'inizio   del   processo  penale  e,  percio',  non  potesse  essere
riproposta in quest'ultimo processo.
   La  serieta'  di  tali  rilievi ha imposto un attento esame - alla
stregua dei criteri direttivi fissati dalla nuova legge-delega -  sia
del  problema  delle  preclusioni all'esercizio dell'azione civile in
sede penale (art. 74 comma 1) sia del problema concernente  la  sorte
del  giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno
a seconda che l'azione relativa venga esercitata davanti  al  giudice
civile  prima dell'inizio dell'azione penale (art. 74 comma 2) ovvero
dopo la costituzione di parte civile (articolo 74 comma 3).
   Quanto   al   primo  problema,  non  risultando  alcuna  esplicita
indicazione  anche  nella  legge-delega  del  1987,  si  e'  ribadita
l'insussistenza  di ogni ostacolo a che il legislatore delegato possa
precludere la costituzione di parte civile  qualora  l'azione  civile
sia  stata  esercitata  nella sede naturale dopo l'inizio dell'azione
penale: una simile
preclusione  sembra,  anzi,  disporsi  puntualmente  in  linea con la
direttiva 2, che prevede la massima semplificazione del processo, con
eliminazione di ogni atto o attivita' non essenziale.
   Qualche  perplessita'  si  e', pero', prospettata verificando, nel
sistema della nuova legge-delega, i tempi e gli strumenti  attraverso
i  quali il danneggiato da reato viene posto a conoscenza dell'inizio
dell'azione  penale  o,  comunque,  viene  a  realizzarsi  nei   suoi
confronti  la  conoscibilita'  dell'inizio di tale azione, e che soli
potrebbero abilitarlo alle scelte previste dall'articolo in esame.
   Considerato il momento di inizio dell'azione penale, quale risulta
dalla disciplina del nuovo Progetto, se ne e'  dedotto  che,  ove  il
danneggiato  abbia proposto l'azione civile davanti al giudice civile
quando  ancora  il  giudice  penale  non  e'  stato  investito  della
imputazione   "conclusiva"   all'esito   della  fase  delle  indagini
preliminari,  non  gli  resterebbe  preclusa   la   possibilita'   di
costituirsi  parte  civile  secondo le cadenze indicate nell'art. 78:
con conseguenti problemi circa l'utilizzabilita'  degli  elementi  di
prova  raccolti  prima dell'inizio dell'azione penale. Il rilievo che
in  tal  modo  il  danneggiato  dal  reato  sarebbe  stato   comunque
costretto,  costituendosi  parte  civile, ad accettare il processo in
statu et terminis, in cui si trova, con la possibile lesione del  suo
diritto  di  difesa, ha indotto alla prospettazione di un'alternativa
che se, da una lato, avrebbe consentito di  rispettare  il  postulato
dogmatico  (insuperabile  nel  nuovo  processo,  essendo  ancor  piu'
accentuata la qualita' di parte nel pubblico ministero)  in  base  al
quale  il  rapporto processuale civile in sede penale e' instaurabile
solo nel momento  in  cui  il  giudice  viene  investito  dell'azione
penale,   sarebbe  stata  in  grado,  dall'altro,  di  assicurare  al
danneggiato la possibilita' di partecipare - nominando un difensore -
all'attivita'  di  formazione  della  prova  durante  la  fase  delle
indagini preliminari.  Cio'  soprattutto  avendo  riguardo  al  nuovo
istituto  dell'incidente  probatorio in considerazione del valore che
gli atti assunti in quella sede  possono  acquistare  ai  fini  della
decisione  (v. l'art. 398 comma 5). E' stata cosi' avanzata l'ipotesi
di  costruire  un  assetto  normativo  in  grado  di  attribuire   al
danneggiato  (quale  parte  "potenziale"), pure antecedentemente alla
costituzione di parte civile - anzi, senza  che  la  costituzione  di
parte  civile  rappresenti  un  epilogo  necessario  - la facolta' di
nominare un difensore anche  prima  dell'inizio  dell'azione  penale:
cosi'  da  impedire,  per  un verso, l'inevitabile ricorso al giudice
civile per l'esercizio della pretesa di danno e, per un altro  verso,
l'inutilizzabilita'  del  materiale  probatorio  acquisito nella fase
delle  indagini  preliminari  (ci  si  riferisce,   soprattutto,   al
materiale  acquisito  nelle  forme  dell'incidente) nei confronti del
danneggiato: con la  conseguente  inoperativita'  dell'art.  643  del
Progetto  (l'art.  615 del testo del 1978, quale risultante a seguito
delle modificazioni apportate alla  direttiva  20  della  delega  del
1974; v. direttive 22 e 23 della legge-delega del 1987).
   Un  varco non del tutto impercorribile per l'utilizzazione di tale
strumento e' stato ravvisato nel precetto contenuto nell'ultima parte
della  direttiva  38, laddove si prevede che il pubblico ministero e'
tenuto a comunicare (all'imputato e) in copia alla persona offesa gli
estremi  dei  reati  per cui sono in corso le indagini, a partire dal
primo atto al quale il difensore ha il diritto di  assistere:  se  e'
vero  che tale direttiva fa riferimento alla sola persona offesa, non
avrebbe costituito una violazione della delega la  previsione  di  un
precetto  estensivo  del  diritto alla "comunicazione" al danneggiato
dal reato, la cui figura, nei casi piu' frequenti,  coincide  con  la
persona  offesa.  Peraltro,  la necessita' di non "soffocare" la fase
delle indagini preliminari autorizzando la partecipazione di soggetti
non essenziali ai fini della formazione della prova con riguardo alla
decisione sulla pretesa penale, e' apparsa argomento insuperabile  al
fine di escludere sia la costituzione di parte civile sia la presenza
del danneggiato in sede di incidente probatorio:  anche  considerando
che  il  danneggiato-persona  offesa  e' soggetto non estraneo a tale
procedura (v. artt.  391  comma  2,  392,  396  comma  3)  essendogli
attribuito,   nel  nuovo  sistema,  il  diritto  di  partecipare  sia
personalmente  sia  a  mezzo  del  difensore  (art.  398   comma   3)
all'udienza  di  assunzione  della  prova  (art.  398 comma 1, ultima
parte). Qualora, poi, il danneggiato non si identifichi con  l'offeso
dal  reato,  il  regime  stabilito  per  l'incidente  probatorio  gli
consentira' di non subire gli  effetti  derivanti  da  una  decisione
nella  quale sono stati utilizzati elementi acquisiti attraverso tale
procedura di assunzione della prova. Cio' alla stregua dell'art. 401,
il  quale  prescrive  che  la  sentenza pronunciata sulla base di una
prova assunta con incidente probatorio a cui il danneggiato da  reato
(ovviamente: rivesta o no anche la qualita' di persona offesa) non e'
stato posto in grado di partecipare, non produce gli effetti previsti
dall'art.  643,  salvo  che  il  danneggiato  stesso  ne  abbia fatta
accettazione anche tacita.
   Il  problema  della  consapevolezza  della  scelta  da  parte  del
danneggiato dal reato della sede ove esercitare la pretesa civile ha,
peraltro, determinato la proposta di riformulare il comma 1 dell'art.
74 modificando il corrispondente comma dell'art. 81 del Progetto  del
1978:  nel  senso  di  inibire l'esercizio dell'azione civile in sede
penale soltanto nel caso  in  cui  il  danneggiato  dal  reato  abbia
proposto  davanti  al  giudice  civile,  dopo  essere  stato posto in
condizione di conoscere l'inizio del processo penale, l'azione per le
restituzioni e per il risarcimento del danno.
   Quanto al comma 2 dello stesso articolo, si e' proposta un'analoga
modifica  dell'art.  81  comma  2   del   precedente   Progetto.   La
possibilita'  di  "trasferire"  l'azione  civile  nel processo penale
resterebbe,  ovviamente,  sempre  condizionata  alla  osservanza  dei
limiti  temporali  entro  cui  la  costituzione  di  parte  civile e'
consentita.
   Anche  per  quel  che  attiene  al  secondo  problema,  sono stati
attentamente  vagliati  i  rilievi   della   precedente   Commissione
consultiva  sul  comma  3  dell'art. 81 del testo del 1978, tenendosi
ovviamente presenti le nuove prescrizioni contenute  nelle  direttive
22  e  23  della  legge-delega  del  1987  (significativa  e' pure la
direttiva 24, non figurante nella legge-delega del 1974) che - almeno
in  apparenza  -  hanno  esteso  sia i casi di vincolo della sentenza
penale rispetto alla decisione del  giudice  civile  sia  i  casi  di
improponibilita' dell'azione civile in forza della sentenza penale di
assoluzione.
   La  considerazione che le nuove direttive sembrerebbero imporre la
formulazione di precetti non troppo dissimili dagli artt. 25 e 27 del
codice   vigente   (come   risultanti   a   seguito   delle  sentenze
costituzionali n. 165 del 1975 e n. 99 del 1973), ha indotto anche  a
prospettare  l'opportunita'  di  riprodurre  la  formula dell'art. 24
comma 2 del codice vigente, nel  senso  che  il  giudizio  civile  e'
sospeso quando viene iniziata l'azione penale.
   Muovendosi  dall'esigenza  di  privilegiare una disciplina fondata
sul principio della separazione dei giudizi, si e' ritenuto  di  dare
soluzione  ai  problemi  proposti  sia  dai  rilievi della precedente
Commissione consultiva sia dalle nuove direttive in tema di esercizio
dell'azione  civile  in  sede penale sia, infine, dal diverso assetto
sul quale,  tenuto  conto  della  legge-delega  del  1987,  e'  stata
conformata  la  fase  delle  indagini  preliminari, proseguendo nella
linea tracciata dal Progetto del 1978: con il preciso intento di  non
incoraggiare   comunque   la   costituzione  di  parte  civile  e  di
incentivare le possibilita' di un suo volontario "esodo" dal processo
penale.
   Oltre   ad   adattamenti  di  ordine  formale  analoghi  a  quelli
apprestati con riguardo all'art. 80 del Progetto del  1978  dall'art.
73,  un'unica sostanziale innovazione e' stata apportata dall'art. 74
rispetto all'art. 81 del precedente  Progetto:  si  e'  resa,  cioe',
operativa  la  preclusione  di  cui al comma 1 (produttiva di effetti
anche sul comma 2) non gia' a seguito del semplice inizio dell'azione
penale,  ma  solo  a  seguito della conoscibilita' di tale momento da
parte del danneggiato da reato.  La  soluzione  adottata  puo'  certo
prestarsi  al  rilievo  che l'individuazione di un diverso dies a quo
per l'operativita' della preclusione si sarebbe  rivelata  del  tutto
coerente  soltanto  nei  riguardi  di un assetto imperniato, anche in
rapporto  agli  effetti  del  giudicato  penale  di   proscioglimento
rispetto  all'azione  civile,  sul  riconoscimento  di  una  maggiore
"permissivita'" per la costituzione di parte  civile;  si'  che,  una
volta  intrapresa  la  via  della separazione fra i giudizi, ancorare
l'effetto preclusivo a un dato  di  non  sicura  individuazione  come
quello  dell'"essere posto in grado di conoscere l'inizio dell'azione
penale" potrebbe divenire fonte di equivoci non bilanciati dal regime
dell'efficacia  del giudicato penale nel giudizio civile di danno. Al
contempo, il collegamento del potere di costituirsi parte civile  con
la  "conoscibilita'" sembrava disporsi in funzione della possibilita'
per il danneggiato  dal  reato  di  costituirsi  parte  civile  prima
dell'udienza  preliminare  e,  in  particolare, in funzione della sua
partecipazione all'incidente probatorio, una partecipazione,  invece,
ritenuta impraticabile perche' apparsa in contrasto con l'esigenza di
celerita' della fase delle indagini preliminari.
   Si  e'  pero'  ritenuto  opportuno  fare riferimento ugualmente al
concetto di conoscenza o conoscibilita', dato che, in assenza di tale
presupposto,  resterebbe  difficile  "addebitare"  al danneggiato dal
reato una effettiva "scelta" circa la sede ove esercitare l'azione di
danno e si farebbe conseguentemente ricadere su di lui l'ineluttabile
operativita'  della  preclusione.  Nel  nuovo  regime,   invece,   la
preclusione  all'esercizio  dell'azione  civile  in sede penale resta
bilanciata dalla impossibilita' che la sentenza penale di assoluzione
abbia efficacia nei confronti del danneggiato da reato tutte le volte
in cui questi proponga
   Si  e'  riconosciuta,  infine,  la  validita'  dei  rilievi  della
precedente  Commissione  consultiva   quanto   alla   necessita'   di
aggiungere,  in  fine alla previsione contenuta nel comma 2 dell'art.
81 del Progetto del 1978, le parole "che abbia provveduto nel merito"
ed  in tali termini e' stato ora riformulato il comma 2 dell'art. 74.
La precisazione derivante da tale precetto e', peraltro, di carattere
puramente formale, dato che, anche alla stregua del codice vigente il
quale, pure, omette ogni  indicazione  circa  il  tipo  di  pronuncia
preclusiva  -  la  giurisprudenza  e  la  dottrina  sono concordi nel
ritenere che la preclusione e' prodotta solo in  conseguenza  di  una
decisione che abbia provveduto nel merito.
   Gli   artt.  da  75  a  81,  tutti  dedicati  alla  parte  civile,
corrispondono, sul piano sistematico, alla  regolamentazione  dettata
dalla  sezione  II  del  capo  II  del titolo III del libro primo del
codice vigente.
   L'articolo  75,  riproduce sostanzialmente l'art. 82 del testo del
1978. L'unica novita' si esaurisce, infatti, nella sostituzione - per
gli stessi motivi indicati con riferimento all'art. 73 - della parola
"persona" con  la  parola  "soggetto"  per  indicare  il  legittimato
all'esercizio dell'azione civile in sede penale.
   La  proposta  di inserire un apposito comma attributivo del potere
di  costituirsi  parte  civile   al   procuratore   generale   (comma
riproducente  alla  lettera  l'art.  77  c.p.c.),  e' stata disattesa
perche' il sistema delle preclusioni e la  fissazione  per  l'udienza
preliminare  del dies a quo per la costituzione di parte civile (art.
78) - implicando l'accettazione del processo nello stato  in  cui  si
trova  (con  la  possibilita',  quindi,  che  atti  con stesso valore
probatorio di quelli assunti nel giudizio vengano compiuti  senza  la
partecipazione  del  danneggiato  dal  reato) - hanno reso ancor piu'
fondati gli argomenti addotti sul punto dalla Relazione  al  Progetto
del  1978:  "la  costituzione  di  parte  civile richiede, per la sua
gravita' correlata all'importanza del processo penale, una  specifica
manifestazione  di  volonta'  non  desumibile da una semplice procura
generale" (pag. 106).
   La  Commissione consultiva aveva segnalato, a suo tempo (v. Parere
sul Progetto del 1978, p. 88), l'opportunita' di  precisare  che  "il
danneggiato  puo'  esercitare  l'azione riparatoria sia personalmente
sia a mezzo  di  procuratore  speciale".  Il  rilievo  non  e'  stato
condiviso  perche' ora il rinvio all'art. 73 del comma 1 dell'art. 75
rende chiaro come la costituzione di parte civile possa  avvenire  ad
opera  del  danneggiato  sia personalmente sia a mezzo di procuratore
speciale.
   Il  comma 2 ribadisce il principio di immanenza della costituzione
di parte civile, sancito dall'art. 92 comma 1 del codice vigente  (v.
Relazione  del  1978,  p.  106): un principio che consente alla parte
civile di partecipare a tutte le fasi e i gradi del  processo,  senza
che occorra rinnovare la costituzione.
   L'articolo 76, riproduce sostanzialmente nei commi 1 (che fissa le
regole generali relative alle condizioni di capacita', richiamando la
formulazione  dell'art.  75 comma 1 c.p.c.), 2 e 3 (disciplinanti, in
conformita' agli artt. 78, 79 e 80 c.p.c., la nomina di  un  curatore
speciale  al  danneggiato  incapace  che  sia  privo  di  tutore o di
curatore  ovvero  si  trovi  in  conflitto  di   interessi   con   il
rappresentante)  i commi corrispondenti dell'art. 83 del Progetto del
1978 (v., ora, anche l'art. 338 comma  4,  il  quale  attribuisce  al
curatore  speciale  per  la  querela,  ai  sensi dell'art. 121 c.p. -
analogamente a quanto previsto dall'art. 11 del codice vigente  -  la
facolta'  di  costituirsi  parte  civile nell'interesse della persona
offesa,  evidentemente,  purche'  questa  sia  anche  danneggiata  da
reato).
   L'espressione  "giudice",  adottata  (in  luogo di "presidente del
tribunale",  figurante  ai  corrispondenti  commi  dell'art.  83  del
Progetto del 1978) nei commi 2 e 3, nasce dall'esigenza di coordinare
il precetto dell'art. 76 con le diverse fasi del processo:  per  fare
intendere  che  si  tratta  del  giudice  "presso  il  quale pende il
procedimento" e, cioe', in sintonia con altri numerosi  precetti  nei
quali si ripropone la medesima esigenza chiarificatrice, del "giudice
competente per la fase in corso".
   Il  comma  4,  una  novita'  rispetto  al  testo  del 1978, con il
prevedere una sorta  di  "legittimazione  provvisoria"  del  pubblico
ministero    all'esercizio    dell'azione    civile    nell'interesse
dell'incapace, ha un ambito  di  incidenza  assolutamente  residuale:
puo'   trovare   applicazione,   ad  esempio,  in  tema  di  giudizio
direttissimo, un giudizio che, attesa  l'estrema  immediatezza  della
procedura,  non  consentirebbe  di adottare i meccanismi previsti dai
commi 2  e  3  dell'art.  76.  Nonostante  il  diverso  convincimento
espresso  da  alcuni componenti della Commissione, si e' ritenuto che
l'eccezionale applicazione di  tale  disposizione  sia  in  grado  di
superare i rilievi formulati nella Relazione al Progetto del 1978 (p.
106), il cui testo ritenne  preferibile  -  contrariamente  a  quanto
proposto  dalla  Commissione  consultiva  - attenersi alla disciplina
dettata dal codice di procedura civile piuttosto  che  a  quella  del
vigente  art.  105,  in generale disapplicata, e comunque gravante il
pubblico  ministero   di   interessi   civilistici   che   potrebbero
confliggere  in  concreto  con  le  sue  valutazioni  circa  la retta
applicazione  della  legge  penale  e  della  legge  processuale  (ad
esempio,  se  egli  ritenesse  di  richiedere  il  proscioglimento  o
l'assoluzione dell'imputato).
   Non  sono  stati  accolti,  infine,  i  rilievi  della  precedente
Commissione consultiva (v. Parere, p.  89)  circa  l'opportunita'  di
specificare al comma 2 che la nomina del curatore speciale vada fatta
ai sensi dell'art. 78 c.p.c.:  sia  per  evitare  non  indispensabili
rinvii a norme estranee al Progetto sia perche' il comma considerato,
nella  sua  lata  formulazione,  appare  in  grado   di   comprendere
l'indicato precetto.
   I   requisiti   prescritti  a  pena  di  inammissibilita'  per  la
costituzione di parte civile, sono  indicati  nell'articolo  77,  una
norma  che  ha subi'to consistenti modifiche rispetto all'art. 84 del
Progetto del 1978. Si e' previsto, anzitutto, che la dichiarazione di
costituzione,  se  presentata fuori udienza deve essere depositata in
cancelleria: cio' potra'  verificarsi  sia  nell'ipotesi  in  cui  la
costituzione avvenga per l'udienza preliminare ma antecedentemente ad
essa,  sia  nell'ipotesi  in  cui  la  costituzione  avvenga  per  il
dibattimento   ma   antecedentemente   ad   esso.  In  tal  modo,  la
disposizione si coordina con  il  comma  2,  a  norma  del  quale  la
dichiarazione presentata fuori udienza deve essere notificata, a cura
della parte civile, alle altre parti: un precetto che  ha  sostituito
il  corrispondente comma 2 dell'art. 84 del Progetto del 1978 secondo
una  disciplina  derivante  dalla  soppressione,  nel  sistema  della
legge-delega del 1987, degli atti di istruzione.
   Per  quel  che  concerne  i singoli requisiti per l'ammissibilita'
della costituzione di parte civile, una prima modificazione  rispetto
al  Progetto  del 1978 riguarda la lett. a) del comma 1 avente il suo
pendant nel n. 1 dello stesso comma dall'art.  84  del  Progetto  del
1978, il quale prevedeva che la dichiarazione di parte civile dovesse
contenere le generalita' di chi si costituisce.  Poiche'  legittimata
ad  esercitare  l'azione  civile  in  sede penale non e' soltanto una
persona  fisica,  ma  anche  una  persona  giuridica  o  una   figura
soggettiva  non  personificata, e' parso insufficiente il riferimento
solo all'una e non anche  all'altra  eventualita'.  Si  e'  ritenuto,
percio',  opportuno seguire la stessa terminologia della legge-delega
che,  per  designare  -  sia  pure  ad  altri  fini  -   le   entita'
plurisoggettive  o patrimoniali, aventi o non la qualifica di persone
giuridiche, adotta (v. direttiva 39) l'espressione - forse non troppo
rigorosa sul piano tecnico-giuridico, ma sufficientemente comprensiva
- "enti e associazioni".
   Nella  lett.  b)  dello  stesso  comma  si  e'  prescritto  che la
dichiarazione di costituzione di parte civile deve contenere anche le
generalita' dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione
civile. Con il che si e' inteso sancire l'inammissibilita', nel  caso
in  cui  si proceda a carico di piu' persone, di atti di costituzione
di parte civile in incertam  personam  o  "generalizzati".  E'  stato
anche   stabilito   che,  ove  le  generalita'  non  siano  note,  e'
sufficiente la menzione delle altre indicazioni personali che valgono
ad  identificare l'imputato: cio' coerentemente con l'art. 64 comma 2
del nuovo Progetto, a norma del quale l'impossibilita' di  attribuire
all'imputato  le  sue  esatte  generalita' non pregiudica, quando sia
certa l'identita' fisica della persona, il compimento di  alcun  atto
da parte dell'autorita' procedente.
   Allo  scopo  di  operare  una  precisa  determinazione della causa
petendi sin dal momento di proposizione della domanda, si e'  gravata
la   parte   civile   dell'onere   di  indicare,  sempre  a  pena  di
inammissibilita', le ragioni che giustificano la domanda  (lett.  d);
non   e'   parso   opportuno   richiedere   anche  l'indicazione  del
procedimento (richiesta, invece, espressamente dal n. 2 dell'art.  84
del  Progetto  del 1978), sembrando eccessivo che l'omissione di tale
indicazione - di carattere esclusivamente formale  -  debba  condurre
alla  dichiarazione  di  inammissibilita' della costituzione di parte
civile.
   La  lett.  c)  del  comma  1  (il  cui  precedente e' nella regola
stabilita  dal  n.  3  dell'art.  84  del  Progetto  del  1978,   che
comprendeva  fra i requisiti prescritti a pena di inammissibilita' la
nomina del difensore,  operante  anche  nel  caso  di  ammissione  al
gratuito  patrocinio)  include  fra  i requisiti prescritti a pena di
inammissibilita' l'indicazione  del  nome  e  cognome  del  difensore
nonche'  l'indicazione  della  procura.  Tale  precetto  si ricollega
direttamente all'art. 99 del nuovo testo in base al  quale  la  parte
civile  (al  pari  del responsabile civile e del civilmente obbligato
per la pena pecuniaria) sta  in  giudizio  con  il  ministero  di  un
difensore  munito  di  procura speciale conferita con atto pubblico o
scrittura privata autenticata. Si e', al riguardo, segui'ta la  linea
tracciata  dal  Progetto  del  1978,  al  quale era apparso incongruo
attribuire  alla  parte  civile  -  in  un  processo  di   parti   la
rappresentanza  processuale  della parte civile e' stata conferita al
difensore, non apparendo  ipotizzabile  nei  rapporti  fra  la  parte
civile  e  il  suo  difensore quella divergenza di atteggiamenti e di
posizioni che puo'  sussistere,  invece,  fra  l'imputato  e  il  suo
difensore:  l'introduzione  di  tale  regime  dovrebbe comportare una
notevole semplificazione nella regolamentazione dell'istituto e della
pratica processuale: per esemplificare, tutte le notifiche alla parte
civile dovranno effettuarsi presso il suo difensore,  rendendo  cosi'
superflua  l'elezione di domicilio della parte stessa (cfr. Relazione
al Progetto del 1978, p. 107).
   L'intento   di   sviluppare   ulteriormente   l'indirizzo  -  gia'
univocamente emerso dal Progetto del 1978 - tendente a qualificare il
difensore  come rappresentante pleno iure delle parti private diverse
dall'imputato - ha indotto a richiedere quale ulteriore requisito  di
ammissibilita', la sottoscrizione del difensore, anziche' della parte
civile. Sul  piano  pratico,  cio'  consentira'  di  evitare  che  il
difensore  debba,  nei  casi piu' frequenti, procedere - con riguardo
alla medesima attivita' difensiva  -  ad  una  doppia  certificazione
dell'autografia della sottoscrizione del suo assistito: di quella, di
norma, apposta ai fini della procura speciale, ai sensi dell'art.  99
comma  2; di quella contenuta nella dichiarazione a mezzo della quale
lo stesso soggetto si costituisce parte civile. Con il  che  restano,
altresi',  superati  i rilievi formulati dalla precedente Commissione
consultiva sul precetto contenuto nel n. 5 del comma 1  dell'art.  84
del  testo  del 1978 circa il carattere di semplice "vera di firma" e
non  di  "autentica  formale"   dell'intervento   certificativo   del
difensore  (v.  Parere, p. 90): rilievi, peraltro, fondati su un mero
lapsus del precedente Progetto, considerato che  la  Relazione  aveva
avuto  cura  di  precisare  (p.  107)  come  la  "dichiarazione debba
contenere la sottoscrizione della parte, la cui  "autografia"  potra'
essere   certificata   dallo   stesso  difensore".  Una  precisazione
particolarmente significativa considerato che - come  si  e'  or  ora
accennato  -  un'analoga  formula  e' adottata nell'art. 99 del nuovo
Progetto, in base al quale, nei casi in cui la procura  speciale  sia
apposta  in calce o a margine della costituzione di parte civile (del
decreto di citazione o  della  dichiarazione  di  costituzione  o  di
intervento  del  responsabile  civile  ovvero  della dichiarazione di
costituzione  del  civilmente  obbligato  per  la  pena  pecuniaria),
l'autografia della sottoscrizione e' certificata dal difensore.
   Quanto  al  comma  2  dello stesso art. 77 - fermo restando quanto
gia' rilevato (comma 1 prima parte) circa l'obbligo di  notificazione
della  dichiarazione di costituzione di parte civile presentata fuori
dell'udienza alle altri parti,  poste  cosi'  in  grado  di  proporre
opposizione  e  di predisporre ogni altra eccezione e difesa - non e'
parso necessario prescrivere la notifica delle richieste della  parte
civile,  considerando  che  per  alcune  di  esse (ad esempio, per le
richieste di ammissione di prove) tale formalita' si sarebbe rivelata
eccessiva,  mentre  per  altre  (ad  esempio,  per  la  richiesta  di
sequestro) "si e' provveduto a stabilire  nelle  apposite  sedi,  con
adeguata  disciplina,  che  la richiesta sia portata a conoscenza dei
controinteressati" (Relazione al Progetto del 1978, p. 107).
   L'articolo  78,  detta la disciplina riguardante il termine per la
costituzione di parte civile, secondo un modello solo formalmente (e,
pure,   non  in  tutto)  riproduttivo  del  Progetto  precedente.  Al
riguardo, e' significativo rammentare come  la  precedente  Relazione
(p.  107)  motivasse  l'esclusione  della possibilita' di costituirsi
parte  civile  nel  corso  delle  indagini  preliminari,   desumibile
dall'art.  85  del  Progetto  del 1978, sul presupposto che in questa
fase non  esiste  ancora  un  vero  rapporto  processuale:  c'e'  una
situazione  in  cui  il  pubblico  ministero indaga per stabilire "se
sussistono le condizioni  per  il  promuovimento  dell'azione  penale
ovvero  se  dovra'  richiedere  l'archiviazione";  e,  pur essendo il
difensore dell'imputato ammesso ad assistere a determinati  atti  del
pubblico  ministero  (direttiva  34  legge-delega  del 1974; v., ora,
direttiva 38 legge-delega del 1987 e artt. 360, 362, 363,  364,  365,
367,  372,  per l'attivita' del pubblico ministero, nonche' artt. 350
commi 2 e 4, 352 comma 3, 356, 368,  per  l'attivita'  della  polizia
giudiziaria;  cfr., altresi', gli artt. da 390 a 401, per l'incidente
probatorio), e' altrettanto vero che tale assistenza  non  assume  il
carattere   e  la  funzione  di  partecipazione  alla  formazione  in
contraddittorio  delle  prove   ed   alla   dialettica   processuale,
esplicando  la  semplice  funzione  di "testimonianza ad attivita' di
parte", rivolta ad assicurare il corretto espletamento dell'atto.  Si
aggiungeva come non apparisse necessaria la presenza del danneggiato,
la quale avrebbe complicato lo svolgimento di tali attivita' e  come,
del  resto, la legge-delega del 1974 (direttiva 34) non facesse alcun
cenno circa la presenza della parte civile prima  della  comparizione
delle  parti davanti al giudice istruttore. Il testo dell'art. 85 del
precedente Progetto non incontro',  tuttavia,  unanimi  consensi,  in
quanto,  secondo  alcuni  commentatori, la presenza del difensore del
danneggiato nella fase delle indagini preliminari - cioe' proprio nel
momento  in cui si pongono in essere i primi accertamenti in grado di
sboccare in atti irripetibili  -  potrebbe  contribuire  notevolmente
all'acquisizione  di  quegli  elementi  di  prova da utilizzare in un
tempo successivo.
   Si  e'  ritenuto  che una delle problematiche decisive sottostanti
alla formulazione dell'art.  78  si  riconnette  alla  necessita'  di
collegare la disciplina riguardante il dies a quo per la costituzione
di parte civile alla corrispondente regolamentazione di due  istituti
introdotti  dalla  legge  di delegazione del 1987: in particolare, il
giudizio abbreviato e l'incidente probatorio.
   Per  quel  che si riferisce al giudizio abbreviato, l'ultima parte
della direttiva 53 della legge-delega  ha  vincolato  il  legislatore
delegato  ad  ammettere  comunque  la  costituzione  di parte civile.
Peraltro, in attuazione della detta direttiva, si  e'  stabilito  (v.
sub art. 436) che la costituzione di parte civile intervenuta dopo la
conoscenza dell'ordinanza con la quale  viene  disposto  il  giudizio
abbreviato   e  del  consenso  del  pubblico  ministero  equivale  ad
accettazione della abbreviazione del rito: con i riflessi conseguenti
quanto  all'efficacia  della  sentenza  di  assoluzione nei confronti
della parte civile (v. sub art. 643).
   Per  quel  che attiene all'incidente probatorio, la Commissione ha
lungamente  dibattuto  circa   l'opportunita'   di   autorizzare   la
costituzione  di parte civile (o anche la semplice partecipazione del
danneggiato, a mezzo  del  difensore  previamente  nominato)  per  il
compimento  di tale atto. La soluzione positiva era stata prospettata
sia al fine di agevolare - tenuto conto della possibilita'  dei  piu'
lunghi  tempi  per lo svolgimento delle indagini preliminari indicati
nella legge-delega del 1987 - la transazione sul danno, sia  al  fine
di favorire l'anticipazione della condanna ad una provvisionale, sia,
soprattutto  -  considerando  gli  effetti   del   giudicato   penale
sull'azione  civile  -  allo  scopo di consentire l'utilizzazione del
materiale  probatorio  raccolto  in  sede  di  incidente  anche   nei
confronti del danneggiato dal reato. Rispetto a tali non trascurabili
esigenze, la cui  soddisfazione  avrebbe  forse  agevolato  una  piu'
tempestiva  realizzazione  della  pretesa di danno, ha finito, pero',
per prevalere l'esigenza di non gravare oltre misura  la  fase  delle
indagini  preliminari:  un  evento  non difficile a verificarsi se si
fosse  autorizzata  la  partecipazione  all'incidente  probatorio  di
soggetti  diversi  dal  pubblico  ministero,  dall'imputato  e  dalla
persona offesa. Gli inconvenienti lamentati  al  fine  di  indurre  a
consentire  la costituzione di parte civile per il compimento di tale
atto sono stati ritenuti non decisivi, considerando, da un lato,  che
la  condanna  al pagamento di una provvisionale puo' essere richiesta
direttamente  al  giudice  civile  e,  dall'altro,  che   il   regime
dell'efficacia  del  giudicato  opera  nei  soli casi in cui la parte
civile sia stata posta in grado di partecipare al giudizio penale (v.
art.  643).  Senza contare che, mentre, per un verso, il danneggiato,
laddove (e si tratta di un'ipotesi certamente  non  eccezionale)  sia
anche persona offesa dal reato, oltre ad essere titolare di poteri di
iniziativa circa l'espletamento dell'incidente  probatorio  (v.  art.
392  comma 1), potra' partecipare a mezzo del suo difensore (art. 398
comma 1) e, in alcuni casi, anche personalmente (art.  398  comma  3)
alla  relativa  udienza,  per un altro verso, la sentenza pronunciata
sulla base di prove assunte con incidente probatorio a cui  la  parte
civile  non  sia  stata  posta in grado di partecipare (o perche' non
pure persona offesa o  perche'  non  ancora  identificata  come  tale
ovvero  perche'  non  citata solo per errore) non produce gli effetti
previsti dall'art. 643, salvo che vi sia  stata  accettazione,  anche
tacita, del materiale probatorio acquisito attraverso l'incidente.
   Nella sostanza, quindi, - seguendosi la linea segnata dal Progetto
del 1978 - si e' privilegiata una disciplina che, favorendo il regime
della  separazione fra azione penale e azione civile, sia in grado di
non incoraggiare la  partecipazione  del  danneggiato  dal  reato  al
processo penale.
   Il  fatto  che il nuovo art. 78 non abbia subi'to modificazioni di
particolare rilievo rispetto al testo del 1978, non indica, peraltro,
una  esatta  corrispondenza nel contenuto precettivo delle due norme.
In particolare, l'espressione  "udienza  preliminare",  adottata  nel
comma  1,  non  si  riferisce alla sola udienza preliminare "di rito"
prevista dall'art. 413 s. ma anche all'"udienza preliminare"  per  il
giudizio  abbreviato prevista dall'art. 434 s. Inoltre, la fissazione
del termine a quo della costituzione "per  l'udienza  preliminare"  e
non "nell'udienza preliminare" (come disponeva il Progetto del 1978),
vale a far si' che il danneggiato non debba necessariamente attendere
l'inizio di tale udienza per costituirsi parte
   Analogamente  a  quanto previsto nel Progetto del 1978, il termine
entro il quale e' ammissibile la  costituzione  di  parte  civile  e'
stato fissato in corrispondenza con la conclusione degli accertamenti
relativi alla costituzione delle parti in  dibattimento  (art.  478),
essendo   proponibili   subito  dopo  le  questioni  preliminari  (v.
Relazione, pag. 108).
   Nel  comma  2  dell'art.  78  e' stato precisato che il termine in
parola e' stabilito a pena di  "decadenza",  fermo  restando  che  la
pronuncia   con   la   quale  viene  accertata  la  tardivita'  della
costituzione di parte civile ne dovra' dichiarare l'inammissibilita':
si  e'  cosi'  deciso  di sostituire l'espressione "inammissibilita'"
figurante nel comma 2 dell'art. 85  del  testo  del  1978,  sembrando
tecnicamente  piu'  rigoroso  collegare  al  decorso  del  termine la
perdita del diritto di esercitare l'azione civile in sede penale.
   Il  comma  3,  con  lo  stabilire  che se la costituzione di parte
civile avviene dopo la scadenza del termine  previsto  dall'art.  462
comma  1,  la  parte  civile  non  puo'  avvalersi  della facolta' di
presentare le liste di testimoni, periti e consulenti tecnici, ha  lo
scopo  di evitare che resti parzialmente vanificata, a discrezione di
un soggetto processuale accessorio, la regola che  impone  la  previa
deduzione  e  comunicazione  delle  prove,  ai  fini della tempestiva
instaurazione del contraddittorio in  ordine  alla  ammissione  delle
prove stesse (v. Relazione al Progetto del 1978, p. 108).
   Negli  articoli  79  e  80  e'  stata  dettata la disciplina della
esclusione della parte civile, rispettivamente, a richiesta di  parte
o  di  ufficio.  In  entrambi  i  casi  si  e'  ritenuto  di adottare
l'espressione "esclusione" (sostitutiva, per quella su  richiesta  di
parte,   della   "opposizione"   prevista  dal  codice  vigente)  per
sottolineare  che  il   provvedimento   di   inammissibilita'   della
costituzione di parte civile presuppone che questa deve considerarsi,
sin dal momento della costituzione - senza  la  necessita'  di  alcun
provvedimento ammissivo - parte processuale (v. Relazione al Progetto
del 1978, p. 108).
   Per quel che concerne l'articolo 79, le modificazioni apportate al
corrispondente testo del 1978 (l'art. 86) sono  state  dettate  dalla
necessita',  per  un  verso,  di  adeguarlo  ai princi'pi della nuova
legge-delega che prevedono la soppressione della fase istruttoria, e,
per  un  altro verso, di ovviare ad alcune imperfezioni formali della
norma  precedente.  Fermo   restando   che   la   titolarita'   della
legittimazione  alla  richiesta  di  esclusione  spetta  al  pubblico
ministero, all'imputato e al responsabile civile (comma 1), i termini
entro i quali si e' consentito di proporre la richiesta di esclusione
sono stati conformati in relazione alle  diverse  fasi  in  cui  puo'
articolarsi  il  nuovo  processo.  A  tal  fine, nel comma 2 e' stato
fissato come termine ad quem  della  richiesta  di  esclusione  della
parte  civile  avvenuta  per  l'udienza preliminare, il momento degli
accertamenti relativi  alla  costituzione  delle  parti  nell'udienza
preliminare  o  nel dibattimento, cosi' consentendosi di ovviare agli
effetti negativi  derivanti,  nel  sistema  del  Progetto  del  1978,
dall'anticipazione  dell'effetto  preclusivo  per  la  stessa udienza
preliminare: un'anticipazione del  tutto  ingiustificata  considerato
che  il regime delle preclusioni in tanto ha una sua ragion d'essere,
in quanto la perdita del diritto per il decorso del tempo si colleghi
alla  tutela di altre posizioni soggettive, oltreche' all'esigenza di
un sollecito ed ordinato svolgimento del processo. E' stato, percio',
fissato  come  termine  entro  il quale la richiesta di esclusione e'
proponibile, il momento degli accertamenti relativi alla costituzione
delle  parti  (anche) nel dibattimento. Immutato e' invece rimasto il
comma 5 dell'art. 86 del Progetto del 1978 (comma 3 dell'art. 79  del
nuovo Progetto), nel prevedere che se la costituzione di parte civile
e' avvenuta nel  corso  degli  atti  preliminari  al  dibattimento  o
introduttivi dello stesso, la richiesta e' proposta oralmente a norma
dell'articolo  485  comma  1,  norma  disciplinante  il  termine   di
proposizione delle questioni preliminari.
   La precisazione, contenuta nel comma 4, che i termini indicati dai
due commi precedenti sono stabiliti a pena di decadenza, si  e'  resa
necessaria  potendo  la  perdita  del diritto di proporre opposizione
derivare soltanto da una espressa previsione legislativa (v. art. 173
comma 1).
   Il comma 5 stabilisce che sulla richiesta di esclusione il giudice
decide con ordinanza: un provvedimento  da  intendersi,  in  base  al
principio  di tassativita' dei mezzi di impugnazione (art. 561), come
inoppugnabile. Non e' stata  prevista  la  possibilita'  di  proporre
gravame  avverso l'ordinanza del giudice anche quando la richiesta di
esclusione venga accolta, sia al fine di evitare  l'instaurazione  di
fasi   incidentali  produttive  di  stasi  del  processo,  del  tutto
ingiustificate anche tenuto  conto  del  disposto  dell'art.  87  (v.
Parere  della  precedente  Commissione  consultiva,  p.  91, 92), sia
perche', alla stregua del comma 6 dello stesso  art.  79  (conformato
sostanzialmente  sullo  schema  dell'art. 87 comma 2 del Progetto del
1978), l'ordinanza  con  la  quale  la  parte  civile  viene  esclusa
nell'udienza preliminare non impedisce una nuova costituzione purche'
questa avvenga nei termini previsti dalla legge (v. artt. 78 comma  1
e 478).
  La  rubrica dell'articolo 80 ha lo scopo di sottolineare il diverso
atteggiarsi dell'esclusione prevista  da  tale  precetto  rispetto  a
quella  contemplata nell'articolo che lo precede: mentre in questo e'
disciplinata l'esclusione su  richiesta  di  parte,  in  quello  sono
disciplinati  i  poteri  di  ufficio  del  giudice  il  quale accerti
l'insussistenza dei  presupposti  per  la  costituzione  (difetto  di
legittimazione, mancanza di elementi della dichiarazione prescritti a
pena  di  inammissibilita',  inosservanza   del   termine   stabilito
dall'art.  78,  etc.;  v.  Relazione  al  Progetto  del 1978, p.109).
L'articolo si compone, ora, soltanto di due commi, in quanto il comma
2  del  corrispondente  testo  del  1978  e'  stato inserito, con gli
opportuni adattamenti, nell'art. 79 del nuovo Progetto: la disciplina
prevista  (significativa  e' la soppressione dal comma 1 della parola
"anche" figurante nel Progetto precedente, a precisare che l'art.  80
detta la regolamentazione della sola esclusione officio iudicis) vale
cosi' a chiarire che l'esercizio da parte del giudice del  potere  di
escludere  la  parte  civile non resta precluso dalla reiezione della
richiesta pronunciata nell'udienza preliminare; purche',  ovviamente,
l'ordinanza  sia  emessa  prima  della  dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado.
   Non  e' parso opportuno consentire l'esclusione della parte civile
nel corso del  dibattimento,  dato  che  il  relativo  provvedimento,
sommariamente motivato ed inoppugnabile - tendendo ad impedire che lo
svolgimento del giudizio sia turbato dalla presenza  di  un  soggetto
palesemente  non legittimato a parteciparvi - e' giustificato solo se
emesso tempestivamente. Percio', quando la legittimazione della parte
civile  sia dubbia, e solo in esito al dibattimento emergano elementi
sufficienti per la decisione sul punto, il giudice dovra'  differirla
fino  al  momento  della  pronuncia  della  sentenza,  soggetta  agli
ordinari mezzi di impugnazione (v. Relazione al Progetto del 1978, p.
109).
   Non dovrebbero sorgere perplessita' circa l'applicazione degli
artt.  79  e  80  anche  al  giudizio  abbreviato,  considerando  che
l'espressione "udienza preliminare" rappresenta - nel  sistema  della
nuova  delega  - un genus nel quale e' ricompresa anche tale forma di
giudizio.
   Particolarmente  complessa  si  e'  rivelata  la  disciplina della
revoca della costituzione  di  parte  civile,  soprattutto  nei  suoi
necessari collegamenti con i princi'pi relativi all'esercizio in sede
penale della  pretesa  di  danno.  L'articolo  81,  norma  a  cui  e'
assegnato   il  compito  di  dettare  la  specifica  regolamentazione
dell'istituto, introduce, anzitutto, una deroga al  principio  electa
una  via, deroga giustificata dalla opportunita' di favorire l'azione
riparatoria nella sede civile (piu' idonea sotto molteplici  profili)
e  di  liberare  il  processo  penale  da  questioni ad esso estranee
(concernenti il danno civilistico, le  eventuali  responsabilita'  di
altri soggetti, etc.; v. Relazione al Progetto del 1978, p. 109).
   Il  nuovo  Progetto,  pur  mantenendo  la  distinzione  fra revoca
espressa e revoca tacita, ha escluso  dall'ambito  dei  casi  in  cui
quest'ultima  ricorre  sia  l'ipotesi  di  mancata comparizione della
parte civile al dibattimento sia l'ipotesi della omessa presentazione
delle conclusioni all'udienza preliminare.
   Il  fatto  che  la  mancata  comparizione  della  parte civile non
comporti piu' gli effetti rispettivamente previsti dai commi  1  e  2
dall'art.  103  del  codice  vigente  (v.  le  critiche formulate, al
riguardo, dalla precedente Commissione  consultiva:  p.  93  del  suo
Parere) si giustifica agevolmente in forza del potere rappresentativo
conferito pleno iure al difensore, "col ministero" del quale la parte
civile sta in giudizio (v. art. 99).
   Si  e'  deciso  di  escludere  dai casi di revoca tacita, l'omessa
presentazione  delle  conclusioni  all'udienza  preliminare,  perche'
avendo  tali  conclusioni un carattere puramente processuale, sarebbe
risultato assolutamente esorbitante far conseguire dalla loro mancata
formulazione  l'operativita'  degli  effetti  previsti  dall'art. 81.
Senza contare che, nell'ipotesi di trasformazione del rito  ordinario
in  rito  abbreviato, se dalla omessa presentazione delle conclusioni
della parte civile  -  nei  cui  confronti  si  applica  il  precetto
dell'art.   436   comma   2   -  dovesse  derivare  la  revoca  della
costituzione,  potrebbero  insorgere   dubbi   interpretativi   circa
l'efficacia  vincolante  per  la parte civile del giudicato penale di
assoluzione, secondo quanto stabilito dall'art. 643 comma 2.
   Nel  suo complesso, il regime della revoca - espressa o tacita che
sia - va valutato tenendo conto che la nuova disciplina autorizza, in
ogni  caso,  il  danneggiato,  il  quale  si convinca che il processo
penale  non  e'  la  sede  piu'  idonea  per  la  risoluzione   della
controversia civile, a rivolgersi al giudice naturalmente competente,
riproponendo l'azione civile. Se vi si
   Quanto  alle spese processuali e ai danni provocati all'imputato e
al responsabile civile (comma 3), si e' mantenuto integro il precetto
dell'art.  88  comma  3 del precedente Progetto con l'attribuzione al
giudice civile della competenza  esclusiva  a  conoscerne:  cio'  sia
perche'  la  revoca  consegue in genere al risarcimento del danno sia
perche' essa non preclude, comunque, la domanda in sede civile.
   Le  novita' introdotte con riferimento alle modalita' di esercizio
del potere di revoca sono state dettate, da un lato, per  evidenziare
nella   revoca   il  carattere  di  contrarius  actus  rispetto  alla
costituzione e, dall'altro, per rendere la  disciplina  della  revoca
stessa  ancora piu' prossima, considerate le affinita' rilevabili fra
i  due  istituti,  alla  rinuncia  agli  atti  del  giudizio  civile,
anch'essa  da compiersi ad opera della parte, personalmente o a mezzo
di procuratore speciale.
   Il   comma  4  (non  figurante  espressamente  nel  corrispondente
articolo del Progetto del 1978: art. 88), con  lo  stabilire  che  la
revoca  non  preclude  il  successivo  esercizio  dell'azione in sede
civile, e' diretto a favorire - non facendo operare in alcun caso  (e
cioe', ne' nell'ipotesi di revoca espressa ne' nell'ipotesi di revoca
tacita) la  preclusione  all'esercizio  dell'azione  civile  in  sede
propria  -  l'"esodo"  della  parte civile dal processo penale, cosi'
conformandosi alla tendenza segui'ta,  in  via  generale,  dal  nuovo
Progetto.
   Negli  artt.  da  82  a  86  e' stato dato assetto alla disciplina
processuale  riguardante   il   responsabile   civile,   mantenendosi
sostanzialmente integro lo schema del Progetto del 1978.
   L'articolo  82,  concernente la citazione del responsabile civile,
non innova il regime vigente sia quanto alla vocatio in iudicium  sia
quanto  alla  necessita'  di  un  controllo  preventivo  da parte del
giudice  sull'ammissibilita'  di  essa  (comma  1  prima  parte).  La
richiesta  di  citazione,  oltre  che dalla parte civile, puo' essere
proposta, nel caso previsto dall'art. 76 comma 4 - cosi' come dispone
l'art. 107 comma 3 del codice vigente - dal pubblico ministero.
   Per quel che attiene alla legittimazione passiva dell'imputato, si
e' ritenuto di reintrodurre la stessa formula dell'art. 107  comma  1
ultima   parte   del  codice  vigente,  che  contempla  la  citazione
dell'imputato per il fatto dei coimputati per il caso (non "nel caso"
come  -  probabilmente  soltanto  per  un  mero  errore  materiale  -
prescriveva l'art. 89 comma 1 del Progetto del  1978)  in  cui  venga
prosciolto:  in tal modo consentendosi all'imputato l'acquisizione di
una  posizione  processuale  che,   sebbene   condizionata   al   suo
proscioglimento,  e'  operante sin dal momento in cui e' possibile la
citazione del responsabile civile.
   Quanto  ai  dies  a  quo  e  ad  quem  della chiamata in causa, il
Progetto del 1978 prevedeva che la citazione del responsabile  civile
dovesse  avvenire  "nel  corso degli atti di istruzione ovvero per il
giudizio". Nel sistema della nuova delega, la soppressione della fase
istruttoria ha imposto una completa revisione di detta norma, essendo
risultata insufficiente a disciplinare i tempi  della  citazione,  la
parte  "residua" del comma 1 dell'art. 89 del Progetto precedente. E'
stata percio' adottata la formula "al piu' tardi per il dibattimento"
(comma  2),  una  formula  che,  fissando  il  termine ad quem per il
dibattimento e non piu' per il giudizio, da un lato, non impedisce la
citazione  per l'udienza preliminare e, dall'altro, pare puntualmente
coordinarsi con la regola che,  non  autorizzando  la  citazione  del
responsabile  civile in caso di introduzione del giudizio abbreviato,
impone al giudice, nell'ipotesi di trasformazione del rito (non prima
ma)  nel  corso  dell'udienza  preliminare  (art.  434  comma  3), di
disporne l'esclusione (v. art. 86).
   Circa   i   requisiti   di   ammissibilita'  della  citazione  del
responsabile civile, l'art. 82 comma 3 ricalca il testo dell'art.  89
comma  2  del  Progetto  del  1978.  Peraltro,  anche con riguardo al
responsabile civile si e' reso necessario tener conto del  fatto  che
non  sempre  si  tratta  di  una  persona  fisica  o  di  una persona
giuridica, potendo egli - al pari della parte civile -  identificarsi
con    un'entita'    (anche   plurisoggettiva)   non   personificata:
l'eventualita' dell'esercizio dell'azione civile non direttamente nei
confronti delle singole persone ma nei confronti dell'ente chiamato a
rispondere  per  il  fatto  di  esse,  ha  reso  indispensabile   una
riformulazione  dell'art.  89  comma  3  n.  1 del Progetto del 1978;
riformulazione avvenuta ad opera dell'art. 82 comma 3  lett.  a)  del
nuovo  Progetto.  A  sua  volta,  la  lett.  b) dello stesso comma ha
modificato il n. 2 del testo precedente cosi' da rendere il contenuto
del  decreto  di  citazione  analogo  a quello della dichiarazione di
costituzione di parte civile.
   L'espressione  "a  cura della parte civile", adottata nel comma 4,
e' stata suggerita dal parere di una delle autorita' cui il  Progetto
del  1978  era  stato inviato; nel caso previsto dall'art. 76 comma 4
sara'  il  pubblico  ministero  a  curare  la   notificazione   della
citazione.   La   precisazione   ha  reso,  peraltro,  necessario  un
adattamento  del   Progetto   precedente,   cosi',   ovviamente,   da
ricomprendere  fra  i destinatari della notificazione il responsabile
civile, secondo una disposizione implicita nell'art. 89 comma  4  del
Progetto del 1978.
    Nel  comma  5  si  e'  aggiunto  -  accogliendo  i  rilievi della
precedente Commissione consultiva a proposito dell'art.  89  comma  5
del  Progetto  del  1978  (v.  Parere,  p. 96) - che la citazione del
responsabile civile perde efficacia (non solo se vi e'  stata  revoca
ma  anche) se vi e' stata esclusione della parte civile: e' sembrato,
infatti, utile sancire espressamente che il  permanere  nel  processo
del  responsabile  civile, convenuto in base alla pretesa della parte
civile, non trova alcuna  giustificazione  in  ogni  ipotesi  in  cui
l'attore  non  e'  piu'  presente  nel  processo penale. Non e' parso
opportuno, peraltro, fissare  un'analoga  prescrizione  con  riguardo
all'azione   civile   esercitata  dal  pubblico  ministero  ai  sensi
dell'art. 76 comma 4, attesa l'assoluta provvisorieta' di  tale  tipo
di  azione  che  non  potrebbe,  nella  pratica,  nemmeno  consentire
l'instaurazione della procedura incidentale di esclusione.
   Diversamente  da  quanto  stabilito  dal  codice vigente, il nuovo
Progetto, seguendo la linea tracciata dal Progetto del 1978,  impone,
quale  condizione  per  la  sua  partecipazione  al  processo, che il
responsabile civile si costituisca. La regola, che avvicina sempre di
piu'  il  responsabile  civile alla figura del convenuto nel processo
civile, si collega al principio stabilito dall'art. 99,  in  base  al
quale (anche) il responsabile civile sta in giudizio con il ministero
di un difensore.
   L'articolo  83,  prescrivendo  - in simmetria con quanto stabilito
per la costituzione di parte civile - che  il  soggetto  citato  come
responsabile  civile  puo'  costituirsi  nel  processo penale anche a
mezzo di procuratore speciale (comma  1)  e'  destinato,  appunto,  a
soddisfare  tale  esigenza. Il responsabile civile puo' costituirsi o
prima dell'udienza, nel qual caso la  dichiarazione  di  costituzione
dovra'  essere  depositata  in  cancelleria, ovvero nell'udienza, nel
qual caso la di chiarazione di  costituzione  sara'  presentata  allo
stesso   segretario   di   udienza.   Le  evidenti  analogie  fra  la
costituzione del responsabile civile e la costituzione del  convenuto
nel   processo   civile,  mentre,  per  un  verso,  hanno  indotto  a
prescrivere che l'atto debba contenere determinati requisiti, per  un
altro  verso,  hanno  fatto  ritenere  eccessiva - considerato che il
responsabile civile viene coinvolto nel  processo  penale  a  seguito
della   iniziativa   di   altri   soggetti   -   la   sanzione  della
inammissibilita' della costituzione come conseguenza della mancanza o
della inadeguatezza di tali requisiti.
   Sotto  il  primo  aspetto, e' stato deciso di limitare i requisiti
per la costituzione del responsabile civile quelli necessari al  fine
di   assicurare   la   certezza  circa  la  provenienza  dell'atto  e
l'assistenza difensiva. Occorrera', percio', indicare le  generalita'
del  responsabile  civile,  se si tratta di una persona fisica, e del
legale rappresentante, se chi si costituisce e' una persona giuridica
o  un  ente,  nonche'  le  generalita' del difensore e la procura. In
analogia con quanto prescritto per la parte civile (art. 77  comma  1
lett.  e), si e' stabilito che anche la costituzione del responsabile
civile deve essere sottoscritta dal difensore.
   Per  quel  che  attiene  alla sanzione conseguente alla mancanza o
alla incompletezza dei detti requisiti, si e' ritenuto  eccessiva  la
sanzione   della  inammissibilita',  assoggettata  ad  un  regime  di
rilevabilita' estremamente gravoso e, quindi, quasi punitivo  per  il
responsabile  civile:  essa e' stata percio' sostituita con il regime
della nullita', da ritenersi piu' favorevole per la parte costituita,
stante la sua posizione assolutamente accessoria nel processo penale.
   Il  comma  3  stabilisce,  infine,  che  al responsabile civile si
applicano le disposizioni dettate per  la  parte  civile  concernenti
l'immanenza della costituzione.
   Nell'articolo  84  e'  stata dettata la disciplina dell'intervento
volontario del responsabile civile: un istituto che consente  a  tale
soggetto  di  tutelare  il suo interesse ad interloquire nel processo
penale  al  fine  di  evitare   una   pronuncia   che,   per   quanto
giuridicamente   inefficace  nei  suoi  confronti  (cfr.  art.  642),
potrebbe  tuttavia  pregiudicarlo,  influenzando  il  giudice  civile
successivamente  adi'to dal danneggiato (v. Relazione al Progetto del
1978, p. 110). L'intervento, inoltre, esplica la funzione di  evitare
possibili  collusioni,  ai  danni  del responsabile civile, fra parte
civile e imputato (v. Parere della precedente Commissione consultiva,
p. 95).
   L'istituto  e'  stato  costruito  come un intervento ad adiuvandum
della posizione dell'imputato: l'esperibilita' dell'intervento resta,
peraltro,  subordinata alla condizione che il responsabile civile non
sia stato citato.
  Nel  comma 1, in simmetria con quanto prescritto dall'art. 79 comma
2 riguardo alla richiesta di esclusione della  parte  civile,  si  e'
stabilito   come   termine   ad   quem   per   l'intervento,   quello
corrispondente agli accertamenti  relativi  alla  costituzione  delle
parti  nella  udienza  preliminare  o nel dibattimento. E' ovvio che,
come la citazione, anche l'intervento  sara'  precluso  nel  caso  di
trasformazione del giudizio ordinario in giudizio abbreviato.
   Per   il  resto,  la  norma  non  differisce  sostanzialmente  dal
corrispondente articolo del Progetto del 1978, salvo gli  adeguamenti
resisi  necessari in conseguenza sia della soppressione degli atti di
istruzione  sia  della  nuova  fisionomia  dell'udienza  preliminare.
Peraltro,  considerato  che  la  partecipazione  al  processo  penale
consegue  esclusivamente  all'iniziativa  del  responsabile   civile,
l'inammissibilita'  e'  parsa sanzione adeguata in caso di mancanza o
di inadeguatezza, nell'atto di intervento, dei  requisiti  prescritti
dalla  legge,  nonche'  nel  caso  di  intervento oltre il termine da
questa stabilito.
   Infine,  il  comma  5,  in  sintonia con l'art. 82, dettato per la
costituzione, prescrive  che  l'intervento  del  responsabile  civile
perde efficacia anche nel caso di esclusione della parte civile.
   Con  gli artt. 85 e 86 e' stato dato assetto al regime processuale
della esclusione del responsabile civile.
   Nell'articolo  85  e'  disciplinata  la  richiesta  di esclusione,
attribuendosi la relativa  legittimazione  all'imputato,  alla  parte
civile,  al  pubblico  ministero e al responsabile civile che non sia
intervenuto  volontariamente.  Al  fine  di  evitare  citazioni   non
sufficientemente  meditate,  si  e' ritenuto, a modifica del Progetto
del 1978, di precludere la richiesta di  esclusione  alle  parti  che
abbiano richiesto la citazione del responsabile civile.
   Per quanto concerne la legittimazione alla richiesta di esclusione
attribuita  al  responsabile   civile   che   non   sia   intervenuto
volontariamente  (comma  2),  considerato  che  la citazione comporta
l'ingresso di tale soggetto nel processo senza  la  cognizione  degli
elementi  probatori acquisiti a carico dell'imputato, e' stato deciso
di adottare un precetto tale da consentire al responsabile civile  di
richiedere  la sua esclusione non soltanto per i motivi (sottesi alla
disposizione del comma  1)  attinenti  alla  legittimazione  ma  pure
qualora  i detti elementi probatori possano arrecare pregiudizio alla
sua difesa in relazione a quanto previsto dagli artt. 642 e 645.  Con
riguardo  all'art. 642, anzi, la norma in esame potra' incentivare il
responsabile civile a costituirsi, dato  che  solo  l'acquisto  della
qualita'   di   parte  gli  consentira'  di  proporre  l'istanza  per
l'esclusione,  mentre  l'efficacia  di   giudicato   prevista   dalla
disposizione  in parola presuppone non la costituzione ma la semplice
citazione del responsabile civile.
   Come  termine  entro  il  quale  la  richiesta  di  esclusione  e'
proponibile, e' stato fissato il momento degli accertamenti  relativi
alla   costituzione   delle  parti  nell'udienza  preliminare  o  nel
dibattimento (art. 85 comma 3): cio' anche al  fine  di  adeguare  la
disciplina  dei  tempi  di proposizione della richiesta di esclusione
del responsabile civile ai tempi di proposizione della  richiesta  di
esclusione della parte civile previsti nel Progetto.
   L'articolo  86, che disciplina i poteri del giudice in ordine alla
esclusione  del  responsabile  civile,   ha   subi'to   considerevoli
"aggiornamenti" rispetto all'art. 93 del Progetto del 1978, avente ad
oggetto  la  disciplina  "residuale"  in  tema  di   esclusione   del
responsabile civile.
   L'articolo  (a  differenza  del  precedente che ne conteneva 3) si
compone ora di  soli  due  commi.  Il  comma  1  non  differisce  dal
corrispondente  comma  del  Progetto  del 1978 se non per il fatto di
imporre al giudice di ordinare, anche di  ufficio,  l'esclusione  non
solo  del responsabile civile citato ma anche del responsabile civile
intervenuto, qualora facciano difetto  i  requisiti  stabiliti  dalla
legge per l'intervento.
   Del  tutto  nuovo e' il comma 2, inserito in luogo dei commi 2 e 3
del  testo  precedente,  divenuti  obsoleti  in   conseguenza   della
soppressione  della fase istruttoria. Per converso, il nuovo istituto
del giudizio abbreviato ha imposto l'introduzione di una norma che fa
carico  al  giudice del dovere (nel cui adempimento il magistrato non
dispone  di  alcun   margine   di   discrezionalita')   di   ordinare
l'esclusione del responsabile civile anche nel caso di trasformazione
del rito ordinario. Tale precetto - che trova  riscontro  nei  limiti
imposti alla presenza della parte civile al rito abbreviato dall'art.
436 comma 2 - e' stato formulato nell'intento  di  non  gravare  tale
tipo  di  giudizio,  che dovrebbe essere caratterizzato dalla massima
celerita', della presenza, non indispensabile,  di  soggetti  la  cui
posizio  ne  puo'  restare  incisa  solo sul piano privatistico dalla
decisione penale. Inoltre, l'ultima direttiva 53  della  legge-delega
del  1987 pare qualificare come assolutamente eccezionali gli effetti
civili   derivanti   dalla   decisione    pronunciata    a    seguito
dell'abbreviazione del rito.
   L'articolo   87,   rimasto  immutato  rispetto  al  corrispondente
articolo del Progetto del  1978  (l'art.  94),  reca  una  disciplina
pressocche'  identica a quella prevista dai commi 1 e 2 dell'art. 100
del codice vigente. E' chiaro che, non  essendo  la  costituzione  di
parte  civile subordinata ad alcuna valutazione ad opera del giudice,
quando si fa riferimento all'"ammissione"  di  tale  soggetto  si  ha
riguardo  esclusivamente  ai  requisiti  di ammissibilita' prescritti
dalla legge.
   L'articolo  88,  detta  la  disciplina della citazione di un nuovo
soggetto  processuale:  il  "civilmente   obbligato   per   la   pena
pecunaria".  La  creazione di tale "neologismo" (risalente, peraltro,
all'art. 95 del Progetto del 1978) si  e'  resa  ora  necessaria  non
tanto  perche'  (v.  Relazione  al  progetto del 1978, p. 111) alcune
leggi speciali contemplano la figura del  civilmente  obbligato  pure
con  riferimento  alla  multa,  quanto per adeguare il nuovo precetto
agli artt. 196 e 197 c.p., quali sostituiti ad opera dell'art. 116 l.
24 novembre 1981, n. 689. La prescrizione dell'art. 196 comma 2 c.p.,
a norma del quale, se la persona  preposta  risulti  insolvibile,  il
condannato  resta  assoggettato  al regime della conversione previsto
dall'art. 136, ha reso necessario  conferire  anche  all'imputato  la
legittimazione a richiedere la citazione del civilmente obbligato per
la pena pecunaria: tale richiesta  varra'  ad  impedire  gli  effetti
derivanti in conseguenza di una - certo, non del tutto inipotizzabile
- inerzia del pubblico ministero, cosi' da tutelare an che il diritto
alla liberta' personale dell'imputato.
   Circa  il  termine  a quo della citazione, a modifica del Progetto
del 1978, si e' ritenuto di consentire la "chiamata"  del  civilmente
obbligato  anche  per l'udienza preliminare. L'innovazione si e' resa
necessaria soprattutto al fine di  evitare  che  l'impossibilita'  di
citazione  per  tale fase possa costituire un insuperabile deterrente
per l'imputato - esposto comunque di  persona  -  alla  richiesta  di
abbreviazione  del  rito  a  norma dell'art. 435, cosi' da imporre il
ricorso al dibattimento anche nel  caso  di  procedimenti  penali  di
agevole  definizione.  Lo stretto legame esistente, pure in relazione
alla  possibilita'  di  applicazione  dell'art.  136  c.p.,  fra   la
posizione  dell'imputato  e la posizione del civilmente obbligato per
la pena pecuniaria - la cui qualita' resta  comunque  intrinsecamente
connessa  al  momento  di  applicazione  della  sanzione  penale - ha
indotto a prescrivere  espressamente  che  tale  soggetto  non  possa
essere  escluso  in  conseguenza dell'accoglimento della richiesta di
giudizio abbreviato.
   L'espressione "giudizio", anziche' dibattimento, e' stata adottata
non tanto per comprendervi la citazione per  il  giudizio  abbreviato
(che  rientra  nel piu' ampio genus dell'udienza preliminare), quanto
per includervi la citazione per il giudizio per decreto, con riguardo
al  quale  il ruolo del civilmente obbligato assume una rilevanza del
tutto peculiare (v. art. 453 s.).
    Non  e'  stato  consentito,  invece,  l'intervento volontario del
civilmente obbligato, dal momento che costui, non  potendo  in  alcun
modo venire chiamato, successivamente, a rispondere dell'obbligazione
civile, non avra' alcun interesse a partecipare al  processo  penale,
se  non  quando  sia  stato  citato su istanza del pubblico ministero
(cfr. Relazione al Progetto del 1978, p. 111) o dell'imputato.
                              TITOLO VI
                       PERSONA OFFESA DAL REATO
 Premessa.
   Nella  topografia  del nuovo Progetto, l'introduzione di un titolo
appositamente dedicato alla persona offesa, risponde all'esigenza  di
assegnare  a  tale soggetto una specifica collocazione, allo scopo di
attribuirgli uno spazio, anche  sistematicamente,  autonomo  rispetto
alle  parti private diverse dall'imputato, alle quali era dedicato il
titolo del Progetto del 1978  ove  anche  la  persona  offesa  veniva
collocata.
   Nel   nuovo   titolo   e'  stata  ricompresa  pure  la  disciplina
riguardante gli enti e le associazioni di cui alla direttiva 39,  sia
perche'  la  loro  posizione  processuale  e'  conformata  (salvo  la
specifica disposizione dettata, per il giudizio, dall'art. 504  comma
6)  a  quella attribuita alla persona offesa, sia perche' tali figure
soggettive traggono, almeno in parte, la loro  legittimazione  da  un
atto dell'offeso dal reato.
   L'attuale  sistemazione  ha,  da  un  lato,  lo  scopo  di  meglio
enucleare sul piano concettuale la natura dell'interesse delle figure
soggettive comprese nel titolo VI e, dall'altro, quello di operare un
puntuale adattamento della  nuova  disciplina  alle  direttive  della
legge-delega  del  1987.  Sotto  il primo profilo, l'interesse di cui
sono portatori la  persona  offesa  e  gli  enti  e  le  associazioni
indicati  nella  direttiva  39,  collegato com'e' alla tutela penale,
comporta una loro sfera di azione processuale che  se  non  puo',  in
alcun  modo,  restare subordinata alla rilevanza di pretese di natura
extrapenale,  tende  a  realizzare,  mediante  forme  di   "adesione"
all'attivita'  del  pubblico  ministero  ovvero  di "controllo" su di
essa, una  sorta  di  contributo  all'esercizio  o  al  proseguimento
dell'azione  penale.  Sotto  il  secondo profilo, due direttive della
legge-delega  del  1987  sono  state  determinanti  ai   fini   della
introduzione alla nuova disciplina: la direttiva 3, che (a differenza
di quanto non facessero le direttive 2 e 46  della  legge-delega  del
1974)  menziona  espressamente la persona offesa quale titolare della
facolta' di indicare elementi di prova e  di  presentare  memorie  in
ogni stato e grado del procedimento; la direttiva 39, che attribuisce