agli enti ed alle associazioni con riconosciute finalita' di tutela degli interessi lesi dal reato gli stessi poteri spettanti alla persona offesa non costituita parte civile. Il diverso ruolo assegnato alle rispettive categorie di soggetti spiega perche', mentre la partecipazione al processo penale di quelle indicate nel titolo V del Progetto del 1978 resta comunque condizionata all'avvenuta conclusione della fase delle indagini preliminari (con esclusione, quindi, di ogni possibilita' di intervento prima dell'udienza preliminare), per quel che si riferisce alla persona offesa e agli enti "esponenziali" di interessi si sia ritenuto di consentirne la partecipazione soprattutto nella fase delle indagini preliminari. L'indicata differenziazione, introdotta sulla base del discrimine collegato alla tipologia dell'interesse fatto valere, costituisce un canone concettuale decisivo anche al fine di verificare, sul piano della disciplina processuale, la peculiarita' del ruolo assegnato alla persona offesa nel regime del nuovo Progetto: un ruolo che vale a conferirle diritti e facolta' (estesi agli enti e alle associazioni "esponenziali" di interessi) non attraverso una clausola generale (non e' certamente tale il precetto del comma 1 dell'art. 89) ma a mezzo di specifiche attribuzioni di volta in volta indicate dalla legge (con riferimento alla fase delle indagini preliminari: artt. 100, diritto di nominare un difensore; 341, diritto di proporre istanza di procedimento; 360, diritto di partecipare agli atti "garantiti" del pubblico ministero e di prendere visione degli atti depositati a norma dell'art. 365; 392, diritto di rivolgersi al pubblico ministero perche' questo formuli la richiesta di incidente probatorio; 396 comma 3, 398 commi 1 e 3, diritto di "partecipare" all'incidente probatorio; 398 comma 8, diritto di prendere visione e di estrarre copia degli atti dell'incidente probatorio; 367, diritto all'informazione di garanzia; 403, diritto di partecipare alla camera di consiglio fissata dal giudice che non ritenga, allo stato degli atti, di accogliere la richiesta del pubblico ministero volta ad ottenere la proroga del termine per le indagini preliminari; 406 comma 2, in relazione all'art. 126, diritto di essere esaminata nell'udienza in camera di consiglio fissata dal giudice che non ritenga di accogliere la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero; 405 commi 2 e 3, 406 comma 2, 407, 408, facolta' di richiedere che non si proceda ad archiviazione senza avvisarla e di presentare richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari; 410 comma 1, facolta' di richiedere al procuratore generale di disporre l'avocazione delle indagini preliminari a norma dell'art. 409; con riferimento alla fase processuale vera e propria: artt. 416 comma 1, diritto alla notifica del decreto di fissazione dell'udienza preliminare; 425 comma 4, diritto a partecipare a tale udienza e, qualora non sia stata presente, diritto alla notifica del decreto che dispone il giudizio; 450, diritto alla notifica del decreto che dispone il giudizio immediato; 498, facolta' di chiedere al giudice del dibattimento di rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici e alle parti private che si sono sottoposte ad esame, nonche' l'ammissione di mezzi di prova utili all'accertamento dei fatti; 554, diritto alla notifica dell'avviso dell'udienza per il giudizio abbreviato davanti al pretore; 565, facolta' di richiedere, con atto motivato, al pubblico ministero di proporre impugnazione agli effetti penali). La persona offesa resta, percio', puntualmente distinta dalla parte privata e nei suoi confronti non trovano applicazione le norme che a questa si riferiscono. Peraltro, la coincidenza - certo, non di rado, ricorrente - fra la persona dell'offeso e la persona del danneggiato, mentre nella fase del processo determinera' l'applicazione della disciplina specificamente prevista per le parti private diverse dall'imputato, nella fase delle indagini preliminari costituira' il presupposto, conseguente all'esercizio dei diritti e delle facolta' riconosciuti anche in tale fase alla persona offesa, per la scelta della sede nella quale far valere la pretesa civile, tenuto conto del principio electa una via stabilito dall'art. 74 comma 1. Illustrazione degli articoli. L'articolo 89 comma 1, dedicato alla persona offesa dal reato, si ricollega direttamente all'art. 96 comma 1 del Progetto del 1978: una norma la cui conformita' alla legge-delega era stata decisamente contestata (v. Parere della precedente Commissione consultiva, p. 96) perche' - fondandosi sulla direttiva 46 della legge-delega del 1974, attributiva alle "parti private" della facolta' di presentare memorie e di indicare elementi di prova (cfr. Relazione al Progetto del 1978, p. 111) - poteva ingenerare equivoci sullo stesso inquadramento concettuale della nozione di parte privata e sulla tipologia dei poteri ad essa conferiti: soprattutto nell'ambito di un processo di tipo accusatorio, nel quale l'attribuzione di poteri ad un soggetto che non rivesta la qualita' di parte potrebbe apparire contraddittoria. La direttiva 3 della delega del 1987, riconoscendo espressamente anche alla persona offesa la facolta' "di indicare elementi di prova in ogni stato e grado del procedimento", se, da un lato, ha reso ormai obsoleta ogni perplessita' circa i poteri del legislatore delegato - il quale, anzi, dopo aver anticipato, su tale punto, la legge di delegazione, e' stato da questa vincolato a dettare una previsione analoga a quella dell'art. 96 comma 1 del Progetto del 1978 - sembra aver risolto, dall'altro, ma in senso decisamente negativo, ogni problema circa la qualificazione della persona offesa (ovviamente, purche' non costituita parte civile) come parte privata. Il nuovo Progetto, inserendo l'offeso dal reato in un titolo autonomo rispetto a quello dedicato alle parti private diverse dall'imputato, ha appunto inteso sottolineare il ruolo peculiare ad esso assegnato rispetto al danneggiato: mentre all'uno, quale titolare dell'interesse leso dalla norma di diritto sostanziale violata, sono riconosciuti facolta' e diritti sin dalla fase delle indagini preliminari, all'altro (nei casi in cui non sia anche persona offesa) e' potenzialmente assegnato un ruolo processuale solo in quanto il procedimento sia pervenuto alla fase indicata nell'art. 78, cosi' da consentire la possibilita' della costituzione di parte civile. L'ambito dei poteri che, nel sistema del nuovo Progetto, sono attribuiti alla persona offesa, sia nella fase delle indagini preliminari sia nel corso del processo, ha, peraltro, reso necessario un "aggiornamento" del comma 1 dell'art. 96 del Progetto del 1978, occorrendo, per un verso, precisare nell'art. 89 comma 1 del nuovo Progetto che alla persona offesa sono riconosciuti diritti e facolta' solo in quanto espressamente attribuiti dalla legge (secondo l'elencazione, per grandi linee prima riportata), per un altro verso, conferire ad essa le facolta' di presentare memorie durante le indagini preliminari e in ogni stato e grado del processo e di indicare elementi di prova sia durante le indagini preliminari (fase in cui alla parte offesa sono conferite maggiori possibilita' di intervento) sia in ogni stato e grado del processo di merito. Si e' poi avvertita anche l'improrogabile necessita' di apprestare forme di tutela delle c.d. vittime del reato nel caso in cui la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato stesso. A tal fine e' stato riformulato il comma 3 all'art. 96 del Progetto del 1978, divenuto comma 3 dell'art. 89 (il corrispondente comma del testo precedente e' ora divenuto - senza sostanziali modificazioni - comma 2 dello stesso art. 89), che, attraverso l'introduzione di una clausola generale, consente, sin dalla fase delle indagini preliminari, ai prossimi congiunti della persona offesa deceduta in conseguenza del reato, di esercitare gli stessi diritti e le stesse facolta' attri buiti al loro dante causa. L'art. 96 comma 2 del Progetto del 1978 conferiva "agli enti e alle associazioni cui la legge riconosce fini di tutela degli interessi lesi dal reato" le facolta' attribuite alla persona offesa dal comma 1 dello stesso articolo, nonche' il diritto di proporre al giudice istruttore l'istanza per la fissazione dell'udienza preliminare e il diritto di proporre al pubblico ministero l'istanza per proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento, ai fini dell'accertamento del reato, diritti riconosciuti alla persona offesa dagli artt. 386 e 538 del precedente Progetto. La norma, inserita per "consentire un'incidenza all'iniziativa ed al contributo probatorio dei gruppi mediante una qualificazione normativa che, attraverso una fictio iuris, considera gli stessi quali persone offese" (Relazione al Progetto del 1978, p. 112), venne recisamente contestata dalla precedente Commissione consultiva (v. Parere, p. 97) che ne propose la soppressione per la sua "incongruenza con la delega e con il sistema". Ma, anche in questo caso, il progetto del 1978 sembra aver "anticipato" le scelte del legislatore delegante. Infatti, la direttiva 39 della legge-del poteri spettanti nel processo alla persona offesa non costituita parte civile, ha fornito quella espressa base normativa (assente, invece, nella legge-delega del 1974) in grado, non solo di legittimare, ma di imporre, la previsione di una attivita' partecipativa di tali enti e associazioni. Le prescrizioni della nuova legge-delega hanno, peraltro, determinato l'introduzione di un assetto normativo piu' organico nei confronti di quello risultante dall'originario precetto che li riguardava, occorrendo desciplinare sia il fondamento della legittimazione di tali figure soggettive (troppo genericamente indicato, nella legge, dal Progetto del 1978), sia i tempi e le modalita' della loro partecipazione al processo con riguardo ai quali il testo precedente non dettava alcuna disposizione. Con l'articolo 90, nella cui rubrica gli enti e le associazioni sono definiti - attraverso una formula sintetica, peraltro da non enfatizzare quanto al suo valore qualificativo, "rappresentativi di interessi lesi dal reato" (formula poi ripetuta nel testo degli artt. 91 e 93) - la Commissione si e' anzitutto fatta carico di determinare la fonte della loro legittimazione. A tale riguardo, il riferirsi del legislatore delegante al "riconoscimento" e' parso elemento in grado di escludere che sia sufficiente per la partecipazione di tali figure soggettive al processo penale l'autoattribuzione, ad opera di un atto dell'ordinamento interno di essi, del perseguimento delle finalita' di tutela degli interessi lesi dal reato. L'assenza nella direttiva 39 di ogni richiamo alla fonte del riconoscimento ha, pero', determinato l'alternativa: se dovesse essere lo stesso codice di procedura penale a stabilire, con la fissazione di criteri predeterminati volti ad identificare le condizioni di legittimazione, quali enti o associazioni potessero essere definiti "esponenziali" dei detti interessi; ovvero se il riconoscimento dovesse riconnettersi ad una espressa designazione di volta in volta operata da una norma di legge. La prima soluzione, seguendo una linea gia' tracciata - sia pure ad altri fini - dalle leggi in materia di danno ambientale e di sofisticazioni alimentari, ha indicato come condizioni del riconoscimento (verificabili dal giudice mediante una semplice opera di ricognizione), da un lato, l'assenza di ogni scopo di lucro negli enti e nelle associazioni, dall'altro, la base democratica del loro ordiinamento interno nonche' la continuita' e la rilevanza esterna della loro azione. La seconda soluzione ha, invece, fatto riferimento, per un verso, alla necessita' che il riconoscimento dovesse riconnettersi a fonti normative, primarie o subprimarie, ma comunque specifiche e, per un altro verso, alla necessita' che (soprattutto) nei casi in cui il riconoscimento derivi da un atto amministrativo o regolamentare, fosse compito del codice designare le condizioni di operativita' del riconoscimento stesso. L'una soluzione e' parsa di non agevole praticabilita' per l'obiezione - difficilmente superabile - che il riconoscimento resterebbe solo in apparenza riservato al codice di procedura penale, in realta' assoggettandosi l'accertamento dei presupposti per la legittimazione alla valutazione del giudice penale, abilitato a verificare, sulla base di criteri non sufficientemente rigidi e, quindi, nell'esercizio di un potere sostanzialmente discrezionale, la sussistenza delle condizioni richieste per il riconoscimento: con il rischio di perpetuare le stesse incertezze attualmente riscontrabili in tema di legittimazione alla costituzione di parte civile da parte di centri plurisoggettivi di imputazione. L'altra soluzione e' parsa anch'essa di difficile utilizzazione, non potendo richiedersi, di volta in volta, data la vastita' e la eterogeneita' degli interessi aggredibili da ogni singola fattispecie criminosa e l'impraticabilita', almeno allo stato, dell'adozione di un sistema "tabellare", l'intervento del legislatore per ogni singolo atto di riconoscimento. Si e' ritenuto peraltro, che, in via di principio, fosse preferibile la seconda alternativa: e' stata cosi' adottata una formula ("in forza di legge") capace di ricollegare sempre alla legge l'attribuzione della legittimazione ma, al contempo, in grado di consentire l'utilizzazione di fonti subprimarie, come regolamenti o atti amministrativi, quali strumenti di piu' agevole verifica delle singole condizioni: purche' tali atti siano emanati in esecuzione di una legge e fermo restando il potere del giudice penale di sindacare la legittimita' del riconoscimento operato dalla pubblica amministrazione. Si e' inoltre stabilito che il riconoscimento non possa avvenire se non in forza di una legge "statale": sia per la diretta connessione della legittimazione partecipativa delle figure soggettive in esame con la materia penale sia per dettare criteri uniformi, sul punto, per tutto il territorio nazionale. E', peraltro, evidente che una legge regionale potra' utilmente operare il riconoscimento, ma solo in quanto emessa in esecuzione di una legge dello Stato. Sara', peraltro, ulteriore compito della legge quello di predeterminare le categorie di interessi da "privilegiare" attraverso il riconoscimento degli enti "rappresentativi": interessi comunque da individuare sulla base di scelte vincolate informate al principio di partecipazione in funzione delle esigenze del pluralismo (interessi collettivi, diffusi, etc.). Un solo requisito si e' riservato alla predeterminazione del codice di rito penale: l'assenza, cioe', di ogni scopo di lucro di ordinamento interno; un requisito che il giudice dovra', di volta in volta, verificare senza rimanere vincolato dalle prescrizioni degli atti, e che, fra l'altro, e' stato predisposto al fine di allontanare anche il minimo sospetto di una strumentalizzazione della prestazione del consenso della persona offesa per manovre non trasparenti tanto da parte di chi presta il consenso tanto da parte di chi lo richiede. Si e' ampiamente dibattuto circa l'opportunita' di autorizzare la partecipazione al processo di enti o associazioni che siano stati riconosciuti posteriormente alla commissione del fatto. La soluzione positiva e' stata sostenuta con argomentazioni di sicuro effetto (richiamando, ad esempio, l'utilita' di rendere possibile la legittimazione partecipativa di figure soggettive appositamente costituite per proteggere le vittime di gravissimi fatti di terrorismo o di criminalita' organizzata), ma la soluzione negativa ha finito col prevalere, sia per assicurare l'introduzione nel processo solo di enti che, in relazione alla loro preesistenza, offrono maggiore garanzia di serieta', sia perche', di norma, soprattutto per i fatti piu' gravi, la tutela degli interessi collettivi o diffusi colpiti dal reato trovera' un centro di riferimento gia' costituito. La direttiva 39, prima parte, nell'estendere agli enti ed alle associazioni i poteri spettanti nel processo all'offeso dal reato, ha determinato la necessita' di affrontare il problema della fase in cui tali figure soggettive devono ritenersi legittimate ad intervenire. Dal raffronto della detta parte della direttiva con la direttiva 3 seconda parte, emerge, infatti - almeno sul piano lessicale - la non puntuale contestualita' circa il termine a quo la persona offesa, da un lato, e gli enti "esponenziali", dall'altro, possono esercitare i poteri loro attribuiti. Mentre, con riguardo alla prima, la legge-delega riferisce l'esercizio della facolta' di indicare elementi di prova e di presentare memorie ad "ogni stato del procedimento", con riguardo ai secondi - omettendo ogni menzione dello stato o del grado - riferisce il conferimento dei detti poteri al "processo", espressione che, nel sistema della nuova delega, sembra alludere alla sola fase successiva alla conclusione delle indagini preliminari. Su tale base, ci si era in un primo tempo orientati nel senso di fissare il termine a quo per l'intervento delle figure soggettive in esame - in analogia con quanto previsto dall'art. 78 relativamente al termine per la costituzione di parte civile - con l'udienza preliminare. Cio' anche considerando che l'assoluta equiparazione fra la persona offesa e gli enti "esponenziali" di interessi avrebbe potuto ostacolare il sollecito svolgimento della fase delle indagini preliminari, nella quale i poteri della persona offesa non si esauriscono in quelli indicati nella direttiva 3 (e 51), ma si estendono a ricomprendere le facolta' sia di prendere cognizione degli atti c.d. "garantiti" del pubblico ministero e della polizia giudiziaria sia, soprattutto, di nominare un difensore anche al fine di assistere all'incidente probatorio (con l'eventualita', in caso di perizia, di nominare un proprio consulente tecnico): per le stesse esigenze di celerita' era stata, fra l'altro, esclusa la possibilita' per le parti private diverse dall'imputato di partecipare al procedimento prima dell'udienza preliminare. A questa presa di posizione, apparentemente piu' conforme alla lettera della direttiva 39, si e' obiettato che agli enti e alle associazioni rappresentativi degli interessi lesi dal reato e' stata consentita la partecipazione al procedimento penale in funzione di un'opera di "adesione" o di "controllo" rispetto all'attivita' del pubblico ministero: un'opera che risulterebbe irrimediabilmente compromessa laddove si impedisse l'intervento dei detti enti ed associazioni alla fase delle indagini preliminari. Si e' ancora osservato, a favore di una interpretazione "estensiva" della legge-delega, che l'art. 96 comma 2 del progetto del 1978, norma anticipatrice della direttiva 39, attraverso il richiamo al comma 1 dello stesso articolo, attribuiva agli enti ed alle associazioni con riconosciute finalita' di tutela degli interessi lesi dal reato le facolta' conferite alla persona offesa anche prima dell'udienza preliminare, e che le critiche rivolte al comma 1 con riguardo alla persona offesa si incentravano soprattutto sulla necessita' che questa - rispetto ai cui poteri opera l'estensione - dovesse essere posta in condizione di esercitare le sue facolta' sino a che fosse giustificabile una sua collaborazione informale con l'accusa, vale a dire, sino all'udienza preliminare. Ed e' apparso singolare che di una cosi' decisiva inversione di tendenza rispetto al Progetto del 1978 non vi sia traccia nei lavori preparatori della nuova legge-delega, nonostante il legislatore delegante abbia ampiamente dibattuto il tema della legittimazione di tali figure soggettive. Quanto, poi, al rilievo che la partecipazione degli enti "esponenziali" di interessi alla fase antecedente all'udienza preliminare avrebbe potuto gravare oltre misura le indagini, e' stato non difficile obiettare, da un lato, che tali figure soggettive restano titolari di una pretesa di natura penale e, dall'altro, che il riferimento dell'ambito dei loro poteri ai corrispondenti poteri della persona offesa pare in grado di evitare quell'"affollamento" delle indagini preliminari che aveva fatto escludere, a suo tempo, la costituzione di parte civile per tale fase. Si e' percio', ritenuto che l'ostacolo risultante dalla lettera della direttiva 39 non fosse comunque decisivo: o perche' l'espressione "processo" puo' aver rappresentato una semplice improprieta' lessicale della legge di delegazione o perche' la direttiva in parola si e' limitata ad equiparare la posizione degli enti e delle associazioni alla posizione della persona offesa solo per le fasi diverse dal giudizio (con riguardo al quale la direttiva 39, seconda parte, impone la previsione di "particolari forme d'intervento" e, quindi, l'attribuzione di maggiori poteri) e dalle indagini preliminari (con riguardo alle quali la posizione degli enti e delle associazioni puo' soltanto non eccedere l'ambito dei poteri attribuiti alla persona offesa, senza che cio' debba comportare l'esclusione di ogni loro possibilita' di intervento). Sulla base di tali considerazioni, si e' modellata, anche per la fase delle indagini preliminari, la posizione degli enti e delle associazioni con riconosciute finalita' di tutela degli interessi lesi dal reato sullo schema dei poteri attribuiti in tale fase alla persona offesa. Per il giudizio (la regola non vale, pero', anche per il giudizio abbreviato, appartenente, secondo la legge-delega, al genere dell'udienza preliminare), con riguardo al quale la direttiva 39 impone la previsione di particolari forme di intervento di tali enti o associazioni, in un'apposita disposizione (l'art. 504 comma 6), si e' attribuito agli enti "esponenziali" di interessi la facolta' - non conferita alla persona offesa - di chiedere la lettura o l'indicazione degli atti, secondo quanto previsto dai commi 1 e 4 del detto art. 504. Nella formulazione dell'art. 90, l'art. 96 comma 2 del Progetto del 1978 ha potuto costituire un modello ampiamente percorribile tanto e' che, sul punto - salvo adattamenti di ordine formale - si e' seguita la linea tracciata da tale precetto. Disposizioni speciali sono state dettate per il dibattimento oltre che dal citato art. 504 comma 6, dall'art. 498, mentre nell'art. 565, e' stato poi conferito agli enti e alle associazioni il diritto di richiedere al pubblico ministero di proporre impugnazione a ogni effetto penale. Con riguardo all'udienza preliminare, alla quale le figure soggettive in esame possono partecipare anche con l'assistenza di un difensore (v. art. 100 comma 2), si e' ritenuto che - atteso l'ambito dei poteri ad essi attribuito e la loro funzione "adesiva" rispetto alla posizione della persona offesa - la trasformazione del rito da ordinario in abbreviato non comporti ne' la preclusione dell'intervento nel caso previsto dall'art. 434 comma 2, ne' la loro estromissione dal processo nel caso previsto dall'art. 434 comma 3. E' ovvio, infine, che, appartenendo la procedura di archiviazione alla fase delle indagini preliminari, spettino anche in tale fase alle associazioni e agli enti gli stessi diritti attribuiti alla persona offesa. Tanto risulta espresso dall'ultima parte dell'art. 90, il quale si limita a riconoscere "in ogni stato e grado del processo di merito, i diritti e le facolta' attribuiti alla persona offesa dal reato". Con l'articolo 91, e' stata data attuazione a quella parte della direttiva 39 che subordina l'esercizio delle facolta' e dei diritti spettanti agli enti ed alle associazioni con riconosciute finalita' degli interessi lesi al costante consenso della persona offesa, consenso da prestarsi a non piu' di una di tali figure soggettive. La prescrizione della quarta parte della direttiva 39, stando alla quale il consenso della persona offesa non puo' "essere prestato a piu' di uno degli enti o associazioni di cui sopra", nel suo collegamento con la terza parte della stessa direttiva, ha, peraltro, imposto di individuare il numero di tali figure soggettive che nella fase antecedente al dibattimento possono esercitare la richiesta di consenso. La lettera della quarta parte della detta direttiva parrebbe prescindere dal numero degli enti e delle associazioni nei confronti dei quali la persona offesa puo' prestare il consenso e richiedere esclusivamente che il potere di compiere atti di iniziativa sia conferito, di volta in volta, soltanto ad uno di essi: con la possibilita', quindi, che un altro atto d'iniziativa possa essere assunto da un diverso ente o associazione. Ma un esame sistematico delle indicate due parti della direttiva ha indotto a seguire la piu' razionale linea interpretativa in base alla quale il "costante consenso" della persona offesa implica l'unicita' della figura soggettiva, sia in relazione alla sua introduzione nel processo sia in relazione alla possibilita' di assumere singole iniziative: rispetto, ovviamente, ad una sola persona offesa; e' chiaro che, se le gli offesi sono piu', ferma restando la necessita' del consenso da parte di ciascuno di essi, la potenzialita' di introduzione degli interessi dovra' essere commisurata al numero delle persone offese. La corrispondenza tra l'offeso dal reato e l'ente o l'associazione, oltre che puntualmente in linea con la ratio sottostante alla direttiva 39, e' sembrato l'unico meccanismo in grado, da un lato, di evitare stasi processuali provocate proprio dalla prestazione del consenso e, dall'altro, di scongiurare anche il sospetto che ogni atto di iniziativa possa divenire oggetto di "contrattazione" tra la persona offesa e l'associazione o l'ente: si e' operata, in tal modo, anche un'opportuna delimitazione dell'uso di strumenti convenzionali, la cui previsione era stata ritenuta necessaria dalla legge delega solo perche' l'indiscriminato riconoscimento della legittimazione ad intervenire da parte degli enti rappresentativi sarebbe potuto risultare non gradito al titolare dell'interesse leso dal reato. Allo scopo di evitare la possibilita' di facilmente intuibili meccanismi che possono gravare oltre misura il procedimento penale, si e' ritenuto di interpretare l'aggettivo "costante" come riferito non al compimento di ogni singolo atto ma come consenso persistente fino a prova contraria. Il venir meno del consenso e' stato, percio', subordinato ad un atto di revoca della persona offesa: una revoca che, al fine di sopprimere la possibilita' di ogni "pattizia" sostituzione con altra figura soggettiva, preclude la possibilita' di prestare il consenso a qualsiasi altro ente o associazione (oltre che a quello cui il consenso era stato originariamente prestato). La necessita' di impedire, poi, ogni "concorsualita'" tra le figure soggettive in parola, ha indotto a privilegiare, in caso di consenso prestato a piu' associazioni od enti, anziche' il criterio della "priorita'" - in se' equivoco, atteso il regime formale cui e' condizionata la prestazione del consenso, e, comunque, non sempre rispondente all'interesse della persona offesa - il criterio dell'assoluta inoperativita' del consenso stesso. Il detto regime formale, applicabile, ai sensi del comma 3, anche alla revoca (una revoca "presunta" potrebbe non essere sufficientemente univoca) e' stato imposto, oltre che per assicurare il massimo rigore alla prestazione del consenso, anche per responsabilizzare la persona offesa in ordine alla importanza dell'atto che compie. In base alla clausola generale fissata dall'art. 89 comma 3, e' evidente - senza che occorresse un'apposita previsione, la quale avrebbe potuto, anzi, costituire fonte di equivoci - che qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, i prossimi congiunti di essa saranno legittimati a prestare il consenso, sia congiuntamente sia disgiuntamente. Le concrete modalita' di esercizio dei diritti e delle facolta' attribuite agli enti "esponenziali" di interessi sono state previste dall'articolo 92 nelle forme dell'intervento davanti all'autorita' che procede (pubblico ministero o giudice), richiedendosi, nel caso di intervento avvenuto fuori udienza, che il relativo atto sia notificato alle parti. Nell'articolo 93, e' stato fissato fino al compimento degli adempimenti previsti dall'art. 478 il termine ad quem per l'intervento: secondo uno schema che si adatta puntualmente al sistema preclusivo previsto per la costituzione e l'intervento delle parti private diverse dall'imputato. Nell'articolo 94, infine, sotto la rubrica "provvedimenti del giudice", si e' disciplinata la dichiarazione di inammissibilita' dell'intervento, una dichiarazione che potra' essere pronunciata di ufficio o su opposizione delle parti riproducendo cosi', sul piano formale, un regime modellato sugli istituti della esclusione della parte civile, del responsabile civile e del civilmente obbligato per la pena pecuniaria. TITOLO VII DIFENSORE Premessa. Come gia' nel Progetto preliminare del 1978, la disciplina normativa del difensore risulta, rispetto a quella del codice vigente, semplificata e, insieme, arricchita in ragione delle esigenze del nuovo processo "di parti", della sua dinamica e dei corrispondenti nuovi contenuti della funzione difensiva. Il maggior numero di articoli (e dei commi all'interno di ciascuno di questi), attraverso cui essa si esprime (rispetto a quel Progetto), evidenzia innanzi tutto che si e' avvertita la opportunita' di un ulteriore sviluppo delle scelte di allora, alla luce sia delle osservazioni della precedente Commissione consultiva, sia del dibattito sul "ruolo" del difensore nel processo penale, quale si e' approfondito in questo tempo in diverse sedi, particolarmente nei congressi dell'avvocatura, sia, infine, del contenuto di talune disposizioni (per esempio, in tema di "garanzie di liberta' del difensore") che, pur essendo incluse nei progetti di riforma dell'ordinamento professionale forense tuttora in attesa di esame da parte del Parlamento, ben possono (e forse piu' opportunamente) trovare collocazione gia' nel codice di procedura penale. All'interno di tale sviluppo di scelte, la Commissione non ha potuto non avvertire come talune problematiche (quella, ad esempio, della "autodifesa", che tanto aveva impegnato le discussioni degli anni 70) hanno perduto nel tempo, almeno in parte, la loro carica di "drammaticita'", mentre altre, anche per il ritardo nella attuazione delle necessarie leggi collaterali al codice, l'hanno vista accresciuta (quella, ad esempio, della difesa di ufficio e della necessita' di assicurarne l'effettivita'), onde si e' ritenuto di ripensare e ridefinire, per questi aspetti, la precedente disciplina. In secondo luogo, e' stato necessario rivedere, in parte, talune norme in conseguenza della differente struttura del nuovo processo rispetto a quello delineato dal Progetto del 1978 (basti pensare, ad esempio, alla scomparsa degli "atti istruttori", ai tempi dilatati delle indagini preliminari e alla diversa disciplina della "informazione di garanzia") e dettarne compiutamente talune altre, alla stregua del diverso contenuto delle direttive della nuova legge-delega, in tema di autonomia del procedimento disciplinare e della relativa decisione per abbandono della difesa e in tema di colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare. Illustrazione degli articoli. Le prime due disposizioni del titolo VII riguardano la nomina del difensore (rispettivamente: di fiducia e di ufficio). L'articolo 95, stabilisce che il diritto di nominare difensori (in numero non maggiore di due) spetta all'imputato. Ma, per effetto della estensione dei diritti spettanti all'imputato, quale e' prevista dall'art. 62, tale diritto compete anche alla persona indiziata, a quella nei cui confronti e' disposta una misura cautelare e, infine, alla persona nei riguardi della quale si svolgono indagini preliminari. Ovvio e' che il diritto di nominare difensori, nella fase delle indagini preliminari, sia coordinato con il compimento di atti cc.dd. "garantiti", vale a dire di atti ai quali il difensore ha diritto di assistere o per i quali, addirittura, ha diritto di essere avvisato, siano essi compiuti d'iniziativa dalla polizia giudiziaria ovvero dal pubblico ministero (si rammenta, al riguardo, che la "informazione di garanzia" deve essere inviata dal pubblico ministero "sin dal compimento del primo atto al quale il difensore ha diritto di assistere"). E', tuttavia, da considerare che il compimento di atti "garantiti" - implicanti, appunto, la suddetta "informazione" - e' solo eventuale; che, d'altra parte, la durata della fase delle indagini preliminari puo' giungere, di norma, sino a sei mesi; e che, durante questo tempo non trascurabile, la persona nei cui confronti sono svolte indagini e che ha motivo di ritenersi oggetto delle medesime - quantunque non destinataria di una "informazione di garanzia" - ha essa pure interesse a rendere formale presso l'autorita' procedente una assistenza difensiva, se non altro per l'esercizio della facolta' di presentare memorie o istanze. Anche a questa persona, dunque, e' attribuito il diritto di nominare difensori, secondo una specifica e non irrilevante implicazione della citata norma in tema di estensione dei diritti dell'imputato. Nella parte "dinamica" del codice sono, poi, dettate varie norme per rendere edotto del diritto il titolare del medesimo: si veda, ad esempio, quelle in tema di dichiarazioni indizianti (art. 63), di informazione di garanzia (art. 367), di avvertimento al fermato e all'arrestato (art. 384). Le formalita' della nomina sono le piu' semplici: o la dichiarazione all'autorita' procedente ovvero l'atto sottoscritto e trasmesso con raccomandata (non e' prevista alcuna autenticazione o certificazione di autografia della sottoscrizione, che sarebbero risultate formalita' gravose, spesso incompatibili con l'urgenza dell'atto, e comunque superflue a fronte della possibilita' di agevoli riscontri). In difetto di nomina del difensore di fiducia ovvero quando l'assistenza fiduciaria venga comunque a mancare, l'imputato e', in base al disposto dell'articolo 96, assistito da un difensore di ufficio. E' evidente che questa assistenza spetti anche alla persona indiziata e a quella nei cui confronti sono compiuti atti di indagine "garantiti"; non spetta, invece, nell'ipotesi residua, quando cioe' si tratti di persona nei cui confronti si svolgono indagini preliminari attraverso atti diversi da quelli "garantiti", poiche' questo renderebbe necessario introdurre - contro una precisa direttiva della legge-delega - la informazione di garanzia da inviare per il solo fatto dello svolgimento di tali indagini. Sul tema della difesa di ufficio si e' svolto un approfondito dibattito per ricercare e definire un congegno normativo capace di corrispondere alla direttiva 105 della legge-delega, la quale impegna ad adeguare l'istituto a criteri che garantiscano l'"effettivita'" di tale tipo di difesa. E' stata, da una parte dei commissari, ribadita l'esigenza di escludere che la nomina possa in qualsiasi modo, diretto o indiretto, essere correlata ad una scelta del pubblico ministero, che, rispetto all'imputato, e' l'"altra parte". Ne' - si e' aggiunto - sembra opportuno configurare, almeno in "prima battuta" una nomina da parte del giudice, ancorche' sulla base di elenchi di "turnisti" predisposti dal consiglio forense, essendo noto come il difensore di turno abbia dato scarsi o addirittura scadenti risultati e come, del resto, l'osservanza degli elenchi non costituisca, secondo la giurisprudenza, un requisito di validita' della nomina. E' controproducente nascondersi, alla luce della esperienza, che sovente i difensori di ufficio sono nominati senza alcun rispetto ne' dei criteri di rotazione ne', soprattutto, della necessita' di assicurare all'imputato l'assistenza piu' valida, in rapporto alla natura e alla gravita' dell'imputazione e alla complessita' del procedimento. Non sono rari i casi di nomine fatte per assecondare esigenze eterogenee rispetto a quella della effettivita' della difesa. E si deve rammentare che quasi sempre si ricorre al difensore di ufficio per gli imputati piu' sprovveduti e dotati di minori risorse economiche e che, per contro, nel nuovo processo la difesa richiedera' maggiore impegno e professionalita'. Si era, di conseguenza, proposto - alla stregua di cio' che prevede, quantomeno per la fase istruttoria, la legge francese - di affidare la designazione del difensore di ufficio al presidente dell'ordine forense, secondo criteri (in particolare, in base alla predisposizione di elenchi e di "turni di reperibilita'") da specificare nelle disposizioni di attuazione; e, solo in caso di omessa tempestiva designazione, ad evitare rallentamenti o ritardi, di prevedere la nomina da parte del giudice. A cio' e' stato, tuttavia, obiettato che il sistema risulterebbe in pratica inadatto rispetto alle esigenze di celerita' proprie quasi sempre delle indagini preliminari (la stessa necessita' di ricorrere ogni volta al giudice per la nomina potrebbe costituire motivo di ostacolo o di ritardo). Si e' fatta, a questo punto, palese l'opportunita' di individuare un congegno, da un lato, piu' rapido e piu' duttile (in modo da consentire in tutti i casi e senza indugio alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero e al giudice di compiere le rispettive attivita' quand'anche per esse sia prevista l'assistenza difensiva) e, dall'altro, capace di escludere scelte discrezionali, tanto piu' da parte di soggetti collocati in contrapposizione dialettica a colui che necessita di detta assistenza. Tale congegno e' quello che risulta dall'art. 96. Viene meno, innanzi tutto, il concetto tradizionale di "nomina" del difensore di ufficio, intesa, appunto, come scelta discrezionale. L'imputato, privo del difensore di fiducia, e' assistito da un difensore di ufficio, i cui criteri di nomina - all'espresso fine di garantire l'effettivita' della difesa - sono stabiliti dal consiglio dell'ordine forense d'intesa con il presidente del tribunale, sulla base di elenchi di difensori e di turni di reperibilita'. I singoli ordini forensi sono in questo modo impegnati ad esercitare istituzionalmente quella tutela della funzione difensiva, spesse volte rivendicata dall'avvocatura, e, in particolare, non tanto a formare burocraticamente, come oggi, meri elenchi di difensori "turnisti", destinati ad essere ignorati, ma a determinare, mediante le intese con il presidente del rispettivo tribunale e soprattutto con riguardo alla peculiarita' delle diverse situazioni locali, la disciplina della nomina. Quanto piu' questa sara' precisa e specifica, tanto minori saranno le possibilita' di scelte discrezionali, fino al limite anche di una loro esclusione, cosi' che, ove si presenti la necessita' di dare all'imputato l'assistenza di un difensore di ufficio, questa possa essere pressocche' automatica, limitandosi l'autorita' procedente semplicemente alla sua "individuazione". Appunto in questa prospettiva, e' stato stabilito (comma 3) che "il giudice, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, se devono compiere un atto per il quale e' prevista l'assistenza del difensore e l'imputato ne e' privo, danno avviso dell'atto al difensore individuato sulla base dei criteri indicati nel comma 2. Quanto alle conseguenze processuali dell'inosservanza di questi criteri, si e' preferito non dettare una norma specifica e lasciare, invece, che il problema sia risolto in sede giurisprudenziale. Invero, una soluzione unitaria appare difficile a individuarsi ed e', invece, configurabile una gamma di soluzioni in rapporto alla maggiore o minore specificita' della disciplina e alla qualita' delle inosservanze. E' stata, piuttosto, avanzata una opzione - che potra' essere, se del caso, espressa in sede di norme di attuazione - per istituire una forma di controllo sull'osservanza dei criteri (prevedendo, ad esempio, che dei casi in cui sia procurata all'imputato l'assistenza di un difensore di ufficio siano informati entro un congruo termine o periodicamente il presidente del tribunale ed il presidente dell'ordine forense) e altresi' per stabilire che l'inosservanza dei criteri stessi costituisce illecito disciplinare. A rafforzare il principio, secondo cui il difensore di ufficio e' quello predeterminato e individuato nei sensi ora detti, il comma 4 dell'art. 96 stabilisce che l'incarico resta affidato allo stesso soggetto anche se non sia stato reperito o non sia comparso. In questo caso, residua la possibilita' per il giudice o per il pubblico ministero (non, ovviamente, per la polizia giudiziaria, che dovra' rivolgersi al secondo, suo naturale referente) di designare, con evidenti margini di discrezionalita' o di casualita', "altro difensore immediatamente reperibile", il quale, tuttavia, agisce nei limiti di un "sostituto", cioe' fin che non intervenga il primo ad esercitare la funzione difensiva. Sempre in chiave di promozione della effettivita' della difesa di ufficio vanno lette le disposizioni del comma 5 dell'art. 96, che stabiliscono l'obbligo per il difensore di ufficio di prestare il patrocinio ed il principio della immutabilita' del difensore di ufficio (non sostituibile se non per giustificato motivo). Infine, ad assicurare l'effettivita' della difesa, deve essere stabilito che in ogni caso l'attivita' del difensore di ufficio sia retribuita. Cio' sara' oggetto di una norma di attuazione, nella quale potra' essere previsto che gli onorari e le spese della difesa di ufficio siano determinati dal giudice secondo le tariffe professionali; che in caso di assoluzione siano posti a carico dello Stato, se l'imputato si trova nelle condizioni per essere ammesso al patrocinio per i non abbienti; che in caso di condanna siano posti a carico del condannato; che, se l'obbligato non adempie, l'ammontare degli importi stabilito dal giudice costituisce onere deducibile dal reddito professionale. L'ultimo comma dell'art. 96, infine, ribadisce il principio della sussidiarieta' della difesa di ufficio, stabilendo che il difensore di ufficio cessa dalle funzioni, non appena venga nominato un difensore di fiducia. L'articolo 97, detta la disciplina del "patrocinio dei non abbienti", un istituto assunto a connotato specifico del diritto di azione e di difesa dall'art. 24 comma 3 Cost., e che deve essere particolarmente garantito nel nuovo processo penale. La legge-delega lo richiama espressamente (alla direttiva 21, che riproduce la direttiva 18 della legge-delega del 1974), prevedendo che possa esservi ammessa "la persona danneggiata dal reato che dichiari di volersi costituire parte civile". Se cio' vale per chi e' parte eventuale e pur sempre secondaria - sotto il profilo degli interessi - del processo penale, e' evidente che si considera pacifico ed indiscutibile il patrocinio dell'imputato non abbiente, che e' parte necessaria e principale. Certo, la legge-delega fa riferimento ad una apposita, emananda legge, collaterale al codice e non a quella vigente sul gratuito patrocinio (che condiziona l'ammissione alla probabilita' dell'esito favorevole della causa). Nello stesso tempo esige che il codice riprenda tale richiamo, indicando i soggetti che possono essere ammessi al gratuito patrocinio. Nel Progetto del 1978 si era provveduto con una disposizione di attuazione (art. 24). Ora si e' preferito dettare una specifica norma nel corpo del codice stesso: al danneggiato che intende costituirsi parte civile sono stati equiparati, oltre ovviamente l'imputato, anche il responsabile civile (secondo una linea interpretativa gia' suggerita dalla precedente Commissione consultiva) e l'offeso dal reato, cui e' stato assegnato nel nuovo processo un ruolo di controllo dell'operato del pubblico ministero, come risulta dalle direttive 38, 39, 50 e 51 della nuova legge-delega. La Commissione ha rilevato l'opportunita' che, in sede di elaborazione della legge sul patrocinio per i non abbienti, si tenga conto che la possibilita' della ammissione deve essere prevista, per l'imputato e per l'offeso dal reato, gia' in relazione alle indagini preliminari, ancorche' non siano compiuti atti "garantiti" e non sia stata inviata l'informazione di garanzia. Salve due lievi variazioni formali, l'articolo 98, in tema di "estensione al difensore dei diritti dell'imputato", riproduce il testo dell'art. 99 del Progetto del 1978. Al difensore spettano facolta' e diritti identici a quelli attribuiti all'imputato (a meno che la legge li riservi espressamente soltanto a questo: vedasi, ad esempio, in tema di impugnazioni l'art. 564, con particolare riguardo all'impossibilita' di proporre impugnazione da parte del difensore di ufficio del contumace). Peraltro, il difensore non puo' porsi in contrasto con la volonta' dell'imputato, onde, nel conflitto tra loro, prevale la volonta' del secondo, che puo' privare di effetti l'atto del difensore, purche' cio' avvenga con espressa dichiarazione scritta e prima che il giudice abbia emesso un provvedimento sull'atto medesimo. Una controdichiarazione intervenuta in un momento successivo sarebbe priva di effetti (il che, fra l'altro, giova ad evitare che un conflitto apparente tra imputato e difensore si trasformi in un modo di eludere l'imperativita' della norma). L'articolo 99, dedicato alla difesa delle "altre parti private" riprende la disciplina del Progetto del 1978, con ulteriori adeguamenti, anche lessicali, a quella della difesa e rappresentanza delle parti nel processo civile, trattandosi, in definitiva, di parti che agiscono nell'ambito di un rapporto civilistico, ancorche' inserito nel processo penale. Al fine di evitare un eccessivo "affollamento" si e' ritenuto di limitare la difesa ad un solo difensore, che, dovendo essere munito di procura speciale, rappresenta la parte a tutti gli effetti e puo', quindi, compiere e ricevere per essa tutti gli atti del processo che non le siano espressamente riservati. Il conferimento della procura speciale e' stato modellato sullo schema dell'art. 83 c.p.c. Si e' anche stabilito in sintonia con quanto dispone, in tema di notificazioni, l'art. 154 del nuovo Progetto che il difensore e' domiciliatario ex lege della parte. Le facolta' e i diritti riconosciuti all'offeso dal reato rendono evidente che a questo soggetto deve essere assicurata la possibilita' di nominare un difensore. A tanto provvede l'articolo 100, che a seguito dell'attribuzione di tali diritti e facolta' agli enti e alle associazioni con finalita' di tutela degli interessi lesi dal reato (v. art. 90), estende a tali figure soggettive anche il diritto di nominare un difensore. L'articolo 101, concernente "i sostituti dei difensori", ripropone il corrispondente articolo del Progetto del 1978, al quale sono stati, peraltro, apportati alcuni ritocchi al fine di precisare la figura e l'ambito delle facolta' e degli obblighi del sostituto. Cio' anche in considerazione sia del maggiore impegno dell'ufficio difensivo nel nuovo processo sia della conseguente, prevedibile maggiore frequenza con la quale il difensore sara' costretto ad avvalersi di sostituti. Innanzi tutto, come risulta dalla generalita' della norma, la possibilita' di designare un sostituto e' conferita a tutti i difensori di ognuna delle parti; quindi, potra' farsi sostituire anche il difensore fiduciario dell'imputato che abbia gia' anche altro difensore fiduciario e altresi' il difensore di ufficio; potra' farsi sostituire il difensore dell'offeso dal reato (e quello dell'ente "esponenziale") ed altresi' il difensore di una parte privata diversa dall'imputato. E' da considerare, da un lato, che l'istituto della sostituzione non solo non ha dato luogo ad inconvenienti, ma si e' mostrato spesso assai utile (e anche piu' si mostrera' tale) e, d'altro lato, che il rapporto parte-difensore e' di natura essenzialmente privatistica, onde non sembrano doversi prevedere vincoli o interferenze la' dove la parte nulla obbietti al fatto che alla sua difesa provveda temporaneamente un sostituto del difensore nominato. Che se, viceversa, non gradisse la sostituzione, potrebbe provvedere a nominare altro difensore. E se si trattasse di difensore di ufficio, potrebbe chiedere che fosse sostituito con altro. Si e' ritenuto opportuno non fissare limiti alla sostituibilita' con riguardo alla qualita' dell'impedimento (si rammenta che nel Progetto del 1978 la si prevedeva solo in caso di impedimento "legittimo" e che la Commissione consultiva aveva proposto di prevedere, invece, che l'impedimento dovesse essere "giustificato"). A parte le ben note difficolta' di dare un contenuto preciso alla nozione di "impedimento legittimo" ovvero "giustificato", specialmente quando l'impedimento riguardi il difensore, e di individuare le modalita' del relativo accertamento, si e' considerato come piu' opportuno che la qualita' dell'impedimento che giustifica la sostituzione rilevi non tanto sull'efficacia processuale della medesima quanto, piuttosto, sul piano deontologico, trattandosi, a ben vedere, di un problema di disciplina professionale. Quanto agli aspetti temporali, si e' stabilito che la designazione del sostituto possa essere fatta "per" il caso di impedimento (con cio' volendo sottolineare che possa avvenire anche preventivamente) e "per tutta la durata" dell'impedimento stesso. Con questa locuzione si e' inteso, per un verso, rendere esplicito che la sostituzione ha dei limiti temporali e, per altro verso, che, tuttavia, tali limiti non possono essere determinati aprioristicamente ne' debbono necessariamente coincidere con determinate cadenze o momenti processuali, ma devono essere commisurati ai tempi stessi dell'impedimento, siano essi piu' o meno lunghi. E' noto come nel sistema oggi vigente una certa linea giurisprudenziale informata ad estremo rigore adduca la regola - che non sembra corrispondere alle esigenze della realta' concreta - secondo cui la sostituzione non potrebbe valere, ad esempio, per tutta la durata del dibattimento. Tale interpretazione non sara' piu' praticabile alla stregua della nuova norma, in base alla quale la sostituzione dovrebbe essere considerata legittima finche' permanga l'impedimento, indipendentemente dalla sua durata; salva sempre, ovviamente, la possibilita' della parte di revocare la nomina del difensore fiduciario e di rivolgersi ad altri ovvero di chiedere la sostituzione del difensore di ufficio. Il sostituto deve, poi, agire nella pienezza dei diritti e dei doveri del difensore. In tale senso dispone il comma 2: un precetto cosi' generale e onnicomprensivo da rendere superflua l'esplicita previsione anche del diritto di proporre impugnazione. In sede di disposizioni di attuazione saranno opportunamente previste le formalita' per la designazione del sostituto. E' stato dibattuto ampiamente il tema delle garanzie di liberta' del difensore, nella consapevolezza che in un processo di parti la funzione difensiva, al pari di quella di accusa, deve essere fortemente tutelata e che, dunque, era necessario dare contenuti concreti e specifici alla direttiva 4 della legge-delega. Ne e' risultato l'articolo 102, nel quale, sotto la rubrica, appunto, "Garanzie di liberta' del difensore" si e' ritenuto, in primo luogo, di raccogliere varie disposizioni che nel Progetto del 1978 erano distribuite in varie altre norme: in tema di ispezioni, di perquisizioni, di sequestri, di intercettazione di comunicazioni. Cio' rende piu' palese che si tratta di disposizioni tutte coordinate alla tutela della funzione difensiva. Esse sono, poi, state arricchite nei contenuti, avendo presenti anche talune proposte dei Progetti di riforma dell'ordinamento professionale forense. In particolare, sono stati fissati i presupposti che legittimano le ispezioni e le perquisizioni negli studi dei difensori, le quali possono essere eseguite solo: quando il difensore ovvero altro soggetto che svolge stabilmente attivita' nello studio e' imputato, limitatamente ai fini dell'accertamento del reato attribuito; quando occorre rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o ricercare cose o persone specificamente predeterminate. Circa i sequestri, il comma 2 dell'art. 102 riproduce il corrispondente testo del Progetto del 1978, in base al quale e' fatto divieto di procedere ai medesimi presso i difensori e i consulenti tecnici, quando riguardino carte e documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato. A sua volta, il comma 6 dello stesso articolo riproduce dall'art. 247 comma 3 del Progetto del 1978 il divieto di sequestro e di ogni altra forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato e il proprio difensore, in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, a meno che l'autorita' giudiziaria non abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato. In tema di intercettazione di conversazioni e comunicazioni, il comma 5 dell'art. 102 riprende dall'art. 258 comma 3 del Progetto del 1978 il divieto relativo a quelle dei difensori, dei consulenti tecnici e dei loro ausiliari e a quelle dei medesimi con le persone assistite. E' stato, pero', eliminato, in quanto ritenuto fonte di equivoci e di incertezze, il limite concernente l'oggetto delle conversazioni, essendo comunque implicito che il divieto non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste quelle qualifiche e per il solo fatto della qualifica, ma soltanto le conversazioni che attengono alla funzione esercitata. Con riguardo ancora alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri, la Commissione aveva esaminato l'opportunita' di riservare il relativo potere al giudice, alla stregua di cio' che gia' risultava nel Progetto del 1978. Il che avrebbe certamente dato rilievo ad una ulteriore garanzia. Si e', peraltro, considerato che il giudice non ha poteri di indagine e che sarebbe, quindi, assai improprio, nel nuovo sistema (dal quale e' scomparsa la figura del giudice istruttore) riservare al giudice il compimento di attivita', appunto, d'indagine, quali sono quelle in esame. Si e', quindi, preferito (comma 4) consentirle al pubblico ministero con l'autorizzazione del giudice, dando vita, in tal modo, ad una disciplina particolare, analoga a quella generale in tema di intercettazione di comunicazioni (v. art. 267). E' stato, inoltre, previsto (comma 3) un preventivo avviso al consiglio dell'ordine forense per consentire al presidente ovvero ad un suo delegato di assistere alle operazioni; nel qual caso, ha diritto di avere, se la richiede, copia del provvedimento. L'inosservanza di tutte queste disposizioni a garanzia della liberta' del difensore implica, per quanto dispone l'art. 102 ultimo comma, la inutilizzabilita' dei risultati delle attivita' compiute. In un'apposita norma, l'articolo 103, sono stati disciplinati i colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare. Per dare attuazione alla direttiva 6 della nuova legge-delega, si e' considerato, in primo luogo, che - contrariamente a quanto era previsto nella legge-delega del 1974 (direttiva 4) - l'interrogatorio dell'imputato in custodia cautelare non puo' piu' costituire il momento discriminante fra il tempo in cui sono impediti e il tempo in cui sono consentiti i colloqui con il difensore. L'esame dell'iter legislativo che ha condotto alla modifica del testo precedente e' particolarmente eloquente in proposito. La nuova opzione, del resto, si accorda con la natura di strumento di difesa dell'interrogatorio, sottolineata dall'ultima parte della direttiva 5, oltre che con l'esigenza di riconoscere, in un sistema di piu' accentuata "accusatorieta'", il diritto di consultarsi con il difensore anche in funzione dell'interrogatorio e, quindi, "prima" di esso. Appare cosi' testualmente superato il rilievo - sul quale si fondava la direttiva 4 del 1974 - secondo cui il differimento dei colloqui al tempo successivo al primo interrogatorio trovava ragione nell'esigenza di assicurare la "parita' delle armi" fra le parti (pubblico ministero e difensore), non potendosi ammettere, in quanto espressione di una disparita', un "contatto" del difensore anteriormente a quello realizzabile dal pubblico ministero, appunto, con l'interrogatorio (il rilievo, peraltro, trascurava che non appare configurabile una "parte-difesa" impersonata dal difensore, ma una "parte-imputato", cui deve essere assicurato il diritto di difesa, anche mediante l'assistenza "tecnica" di un difensore). Di conseguenza, il diritto a colloqui immediati, cioe' sin dal momento di inizio dell'esecuzione della misura o subito dopo, deve essere la regola. Al comma 1 si afferma, dunque, il diritto in parola con riguardo all'imputato (indiziato) in custodia cautelare. Al comma 2 e' configurato lo stesso diritto per la persona arrestata o fermata a norma dell'art. 382, diritto che sorge subito dopo l'arresto o il fermo. E' chiaro che, avendo questo diritto il suo fondamento esclusivo nella legge, non sono necessari permessi o autorizzazioni particolari per esercitarlo in concreto. E' sembrato, percio', inutile aggiungere l'inciso "senza specifica autorizzazione", figurante nel comma 1 dell'art. 102 del Progetto del 1978. Per contro, il differimento dell'"esercizio" di tale diritto, per un tempo non superiore a sette giorni - quale pure e' previsto dalla nuova direttiva - deve essere disciplinato come una eccezione. E' parsa, tuttavia, inopportuna una esasperata tipizzazione "in positivo" dei casi di differimento e preferibile, invece, lasciare la valutazione in concreto al giudice, secondo una discrezionalita' "vincolata" ad alcuni limiti (ulteriori, rispetto a quello "temporale" gia' indicato dalla delega e che, peraltro, attiene al quantum del differimento, allorche' si sia gia' considerato di disporlo). Si e' ritenuto (comma 3) che esso debba, innanzi tutto, corrispondere ad esigenze cautelari della sola fase delle indagini preliminari; in secondo luogo, che debba trattarsi di esigenze "specifiche" ed "eccezionali", come tali da indicarsi nel provvedimento. Esiste, poi, un limite "in negativo", che non si e' giudicato conveniente esprimere in una norma, ma che discende dal sistema: la dilazione non puo' essere disposta per impedire di consultare il difensore per l'udienza di convalida del fermo o dell'arresto ovvero per l'interrogatorio. Indubbiamente, tenuto conto che i termini entro cui deve essere svolta tale udienza e quelli entro cui si deve provvedere all'interrogatorio sono inferiori a quello massimo possibile della dilazione, vi saranno certamente casi in cui la dilazione stessa avra' come conseguenza di impedire quelle consultazioni. Ma deve trattarsi di una mera conseguenza di un provvedimento giustificato da altre ragioni. E' chiaro comunque che solo la effettiva specificita' ed eccezionalita' di queste ragioni impedira' una prassi generalizzata di differimenti, la quale finirebbe per rendere il congegno peggiorativo rispetto a quello che sarebbe risultato ancorando il diritto ai colloqui al momento immediatamente successivo al primo interrogatorio. Il provvedimento con cui il giudice, su richiesta del pubblico ministero, dispone il differimento deve essere motivato, appunto perche' sia dato conto delle ragioni di conformita' del caso concreto ai presupposti legali. Assai delicato e' parso il problema del soggetto cui attribuire il potere di differimento in caso di arresto e di fermo. Ragioni di coerenza sistematica avrebbero postulato di attribuirlo, esso pure, al giudice; ma cio' nel concreto lo avrebbe reso impraticabile. Lo si e', dunque, attribuito al pubblico ministero, ovviamente con gli stessi presupposti, ma, in piu', solo fino al momento in cui l'arrestato o il fermato e' posto a disposizione del giudice (comma 4). Il fatto di porre la persona a disposizione del giudice fa comunque cessare gli effetti della dilazione disposta dal pubblico ministero, restando, peraltro, salva la possibilita' per il giudice di disporre altra dilazione, nei limiti temporali residui rispetto al termine massimo di sette giorni. Nelle disposizioni di attuazione sara' stabilito che il difensore per conferire con la persona in custodia cautelare ha libero accesso ai luoghi in cui essa e' custodita; inoltre, che copia del decreto di differimento e' consegnata a chi esercita la custodia ed esibita a chi richiede il colloquio. Con l'articolo 104, si e' disciplinato, alla luce della direttiva 4 della legge-delega (essa pure in parte di contenuto nuovo: v. direttiva 3 della delega del 1974), l'abbandono della difesa, cui e' stato assimilato il rifiuto della difesa di ufficio (inteso come violazione dell'obbligo previsto dall'art. 96 comma 5). Al comma 1 e' fissata la competenza esclusiva del consiglio dell'ordine. Si e' preferito, qui e altrove, fare riferimento al consiglio dell'ordine "forense" - e non dell'ordine "degli avvocati e dei procuratori" - tenuto conto che nei fatti questa distinzione e' ormai estremamente ridotta ed e' destinata ad essere abolita in sede di riforma dell'ordinamento professionale ed in attuazione di un orientamento ormai univoco nell'ambito dei paesi della Comunita' europea. Del resto, dalla direttiva 4 e' stata eliminata la distinzione (presente, invece, nella direttiva 3 della legge-delega precedente). Al comma 2 e' stabilita l'autonomia del procedimento disciplinare rispetto al procedimento penale in cui siano avvenuti l'abbandono o il rifiuto. Al comma 3 e' prevista l'inapplicabilita' delle sanzioni disciplinari nei casi di abbandono o di rifiuto motivati da violazione dei diritti della difesa, purche' il consiglio dell'ordine li consideri, sotto qualsiasi profilo, "giustificati". In linea con il principio di autonomia del procedimento disciplinare, "la causa di non sanzionabilita'" prevista dal comma 3 puo' essere riconosciuta anche se la violazione dei diritti della difesa e' stata esclusa dal giudice. Dal che risulta chiaramente, per un verso, l'insussistenza di ogni rapporto di pregiudizialita' tra procedimento penale e procedimento disciplinare e, per un altro verso (ma conseguentemente), l'insussistenza di ogni efficacia nel procedimento disciplinare della decisione del giudice penale sul fatto che ha dato motivo all'abbandono o al rifiuto della difesa. Tutto cio' in attuazione della direttiva 4 della legge-delega anche per la parte in cui si sottolinea, accanto all'autonomia del procedimento disciplinare, quella della relativa "decisione". Con il comma 4, a naturale corollario delle prescrizioni ora illustrate, si e' imposto all'autorita' giudiziaria un dovere di rapporto al consiglio dell'ordine; un dovere che si e' ritenuto conveniente estendere oltre i casi di abbandono e di rifiuto della difesa, facendo carico all'autorita' giudiziaria di riferire al consiglio dell'ordine ogni altra violazione, da parte del difensore, dei "doveri di lealta' e di probita' nel procedimento", analogamente a quanto e' stabilito dall'art. 88 comma 2 c.p.c. Nel nuovo processo penale "di parti" - in cui la funzione difensiva e' caricata di compiti nuovi e diversi rispetto a quelli tradizionali di un processo "inquisitorio" (si pensi, ad esempio, alla ricerca ed individuazione delle fonti di prova, ai possibili "contatti" con le medesime, alla escussione probatoria diretta, etc.), devono essere assicurate, da un lato, la liberta' e l'autonomia del difensore e, dall'altro, il rigoroso rispetto delle regole di deontologia. Il giudice disciplinare deve, dunque, essere "attivato" ad esercitare il controllo e, quando occorre, in piena autonomia di valutazioni, la repressione degli illeciti. Con il comma 5, infine, e' stata inserita una norma analoga a quell'art. 132 del codice vigente, che riguarda gli effetti processuali dell'abbandono della difesa sia delle parti private diverse dall'imputato sia dei soggetti alle medesime assimilabili (offeso dal reato, enti "esponenziali"). E' stato ribadito che tale abbandono non impedisce in alcun caso la continuazione del procedimento e non interrompe l'udienza (gli effetti processuali dell'abbandono o del rifiuto della difesa dell'imputato, discendono, invece, dalle varie norme in tema di obbligatorieta' dell'assistenza difensiva e, nei congrui casi, da quelle in tema di difesa di ufficio). All'articolo 105 comma 1 e' enunciato il principio secondo cui la difesa di piu' imputati puo' essere assunta da un unico difensore comune, con il limite, tuttavia, che le rispettive posizioni non siano tra loro "incompatibili" (si e' preferito questo termine alla espressione "in conflitto" che era stata adottata nel corrispondente articolo del Progetto del 1978). E' chiaro che in questo caso alcune o tutte le difese possono essere danneggiate, onde la disposizione tende a tutelare ancora l'effettivita' della difesa. D'altra parte, la valutazione dell'"incompatibilita'" - che pure, gia' alla luce di una norma deontologica, deve essere fatta con il massimo scrupolo in primo luogo dal difensore - non puo' essere lasciata esclusivamente a costui, se non altro a causa degli effetti dell'incompatibilita' stessa sulla validita' degli atti processuali. E' parso, quindi, opportuno prevedere una procedura per rilevarla ed eliminarla. Innanzi tutto, quando il giudice ovvero il pubblico ministero rilevano una situazione di incompatibilita', devono indicarla, esporne i motivi e fissare un termine per rimuoverla (comma 3). Cio' consente di richiamare l'attenzione degli imputati o del difensore, che non se ne siano avveduti o l'abbiano trascurata, e di indurli a provvedere, in modo - per cosi' dire - fisiologico, cioe' attraverso la rinuncia a talune difese da parte del difensore ovvero la revoca dello stesso e la libera scelta di altri difensori fiduciari da parte degli imputati. Ove, peraltro, l'incompatibilita' non sia rimossa in questo modo, e' previsto (comma 3) il potere del giudice di dichiararla con ordinanza e di provvedere alle necessarie sostituzioni "a norma dell'articolo 96". Questo potere spetta parimenti al giudice anche nella fase delle indagini preliminari, essendo chiaro che non sarebbe conforme alla "parita' delle armi" tra accusa e difesa e alle rispettive sfere di autonomia ammettere una interferenza del pubblico ministero sulla organizzazione della difesa. Si e', quindi, previsto (comma 4) che, ove l'incompatibilita' sia opinata dal pubblico ministero, questi ne richieda la rimozione al giudice, il quale provvede dopo avere sentito le parti interessate. L'articolo 106, riproduce, nella sostanza, la corrispondente disposizione del Progetto del 1978, concernente la "rinunzia" e la "revoca" del difensore, dettando, peraltro in modo esplicito, anche il "diniego" (o "non accettazione") dell'incarico da parte del difensore nominato. Non sono, invero, infrequenti i casi in cui persone imputate o indiziate nominano un difensore senza essersi prima assicurate la sua disponibilita' ad assumere l'incarico, mentre deve essere chiaramente riaffermata la liberta' dell'avvocato di non accettare l'incarico stesso. In definitiva, la nomina dispiega piena efficacia solo se e' accettata (il che nella maggior parte dei casi, non essendo previste forme particolari, avverra' in modo tacito o... per fatti concludenti, cioe' con il compimento da parte del difensore nominato di qualche atto). Quando non abbia compiuto atti implicanti accettazione tacita, il difensore puo' dichiarare che non accetta la nomina semplicemente comunicando questa sua volonta' contraria all'autorita' procedente e alla persona che tale nomina ha fatta. In ragione della natura personale e fiduciaria dell'incarico, sia l'imputato sia il difensore possono in qualsiasi momento farlo cessare, il primo mediante revoca, il secondo mediante rinuncia (che pure deve essere comunicata all'autorita' procedente e all'imputato), per le quali la legge processuale non puo' richiedere condizioni particolari (l'eventuale arbitrarieta' della rinuncia potendo rilevare, nei congrui casi, sotto il profilo deontologico e dovendosi pure fare salvi, tanto nel caso di rinuncia quanto in quello di revoca, i profili civilistici di eventuali inadempienze). La liberta' di revoca e di rinuncia, tuttavia, non deve ostacolare il corso del processo, onde si e' previsto (commi 2 e 3) che esse abbiano effetto solo quando l'imputato risulti assistito da altro difensore (fiduciario ovvero di ufficio) e sia decorso il termine eventualmente richiesto dal nuovo difensore e a lui accordato. La previsione, appunto, del diritto di chiedere e ottenere un termine a difesa e' contenuta in un apposito nuovo precetto, l'articolo 107, che recepisce una proposta fatta dalla Commissione consultiva sul Progetto del 1978. Al difensore che subentri ad altro difensore il quale abbia cessato dalle funzioni per rinuncia, revoca, abbandono o incompatibilita' e' dato un termine congruo di almeno tre giorni per consentirgli di prendere cognizione degli atti e di informarsi sui fatti oggetto del procedimento. Coordinando questa disposizione con quella dell'art. 106, appare chiaro che questo termine non produce effetto paralizzante sul procedimento nei casi di rinuncia e di revoca; puo', invece, averne nei casi di abbandono della difesa o di sostituzione di difensori per incompatibilita'. Si e' infine, esaminato il problema dell'attuazione dell'ultima parte della direttiva 102 della legge-delega, secondo cui, anche quando - per l'appartenenza dell'imputato o di un'altra parte privata ad una minoranza linguistica riconosciuta - sussista l'obbligo di interrogatorio e di esame, di redazione degli atti loro indirizzati e dei verbali nella loro madrelingua, essi hanno sempre diritto di nominare il difensore a prescindere "dall'appartenenza etnica e linguistica dello stesso". E' sembrato di dovere interpretare questa direttiva nel senso di una riaffermazione della piena liberta' nella scelta del difensore, che non deve essere condizionata ne', tanto meno, vincolata neppure dalla necessita' di impiego di una determinata lingua nel compimento delle attivita' processuali. Si e', peraltro, considerato che tale piena liberta' di scelta risulta dal sistema, oltre che dalle disposizioni sulla nomina del difensore fiduciario e sulla designazione di quello di ufficio, anche in rapporto a quelle in tema di uso della lingua negli atti (v., in particolare, l'art. 108), sicche' una specificazione ulteriore - certamente opportuna - potra' essere espressa da una apposita norma di attuazione. LIBRO II ATTI Il libro II, dedicato agli atti, e' quello la cui impostazione sistematica e' meno innovativa. Se infatti si fa un confronto tra la suddivisione in titoli di tale libro e la ripartizione in capi del titolo IV del libro I dell'attuale codice (artt. 137-218), si constata una analoga successione degli istituti disciplinati, con la esclusione degli ultimi due capi del codice vigente, dedicati alle disposizioni generali sulle impugnazioni (spostate nel libro IX del Progetto) ed agli incidenti di falso (istituto non confermato dal Progetto per le ragioni spiegate in relazione alla disciplina dei documenti come mezzi di prova). Per il resto, il titolo I del presente libro (disposizioni generali) comprende la materia dei capi I e IV dell'attuale codice, mentre la vigente disciplina degli interpreti (artt. 326-331) e' stata qui spostata dalla attuale collocazione in tema di istruzione formale. Pur nella somiglianza di struttura sistematica, il Progetto contiene rilevanti innovazioni rispetto al codice vigente nella concreta disciplina soprattutto della documentazione degli atti (la cui intitolazione e' stata sostituita a quella attuale di " processi verbali " anche per evidenziare la scelta di tecniche di documentazione diverse dal tradizionale verbale), nonche' degli istituti delle notificazioni e delle nullita', essenziali per il concreto funzionamento del processo. L'intitolazione del libro (" atti ", anziche' " atti processuali ") trova la propria giustificazione nella considerazione che diverse disposizioni di esso sono applicabili anche alle indagini preliminari, e quindi si riferiscono ad attivita' che precedono la instaurazione del vero e proprio processo, inteso nella accezione tecnica che si precisera' (nella premessa al libro V). TITOLO I DISPOSIZIONI GENERALI Il titolo I del libro II del codice ha un contenuto corrispondente nelle grandi linee alle norme che il codice vigente detta nel capo I (artt. 137-145) e nel capo IV (artt. 162-165) del titolo dedicato agli atti processuali. L'articolo 108, dopo aver confermato nel comma 1 il principio (contenuto nel vigente art. 137) per cui gli atti del procedimento penale devono essere compiuti in lingua italiana, attua nel comma 2 la direttiva 102 della legge-delega, che conferisce ai cittadini italiani appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta il diritto di essere interrogati ed esaminati nella loro madrelingua, con redazione del relativo verbale anche in tale lingua. Poiche' trattasi di un diritto, questa disciplina e' stata ricollegata, in linea generale (salvo il contrario disposto di leggi speciali), alla richiesta del cittadino alloglotto. Anche gli atti del procedimento che a quest'ultimo vanno inviati successivamente alla sua richiesta devono essere tradotti nella sua lingua. Il presupposto della richiesta informale dell'interessato per l'esercizio del diritto attribuitogli dal comma 2, per quanto non espressamente previsto nella direttiva 102, si ricollega alla inesistenza di registrazioni pubbliche sulla appartenenza ad una minoranza linguistica, tali da rendere conoscibile questa situazione all'autorita' procedente. Come si diceva, e' fatta espressamente salva una diversa disciplina stabilita (per determinate minoranze o anche in linea generale) da leggi speciali e da convenzioni internazionali. Come e' affermato gia' nella legge-delega, le disposizioni sul bilinguismo degli atti compiuti dal (e nei confronti del) cittadino appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta hanno carattere territoriale, nel senso che esse sono applicate soltanto dalla autorita' giudiziaria (di primo grado o di appello) avente competenza su un territorio ove e' insediata (sia pure in parte) la minoranza tutelata. L'ultima parte della direttiva 102, concernendo il diritto di difesa, sara' disciplinata in sede di norme di attuazione. I quattro articoli successivi del Progetto sono sostanzialmente conformi ad articoli del codice vigente. In particolare gli articoli 109 e 110 corrispondono agli artt. 139 e 140, e gli articoli 111 e 112 corrispondono agli artt. 162 e 163. Profondamente innovativo (rispetto al vigente art. 164) e' invece l'articolo 113 del Progetto, che da' attuazione, unitamente al successivo art. 329, alla direttiva 71 della delega. Mentre l'art. 113 disciplina il divieto di pubblicazione, l'art. 329 prevede il segreto delle indagini preliminari, pur contenendo qualche norma in tema di pubblicazione che si e' collocata sotto quest'ultimo articolo perche' strettamente conseguente ai poteri del pubblico ministero in tema di segreto. Il principio fondamentale della materia e' posto nel comma 1 dell'art. 113: gli atti coperti dal segreto (quelli dei quali l'imputato non abbia conoscenza ne' il diritto di conoscerli) non possono essere pubblicati ne' in se stessi, ne' nel loro contenuto. Una volta cessato il segreto (con la conoscenza o la possibilita' giuridica di conoscenza dell'imputato, salvo il potere del pubblico ministero di eliminare anticipatamente il segreto ovvero di prolungarlo, nelle due diverse ipotesi disciplinate dall'art. 329), permane il divieto di pubblicazione in conformita' alla previsione della legge-delega (" divieto di pubblicazione degli atti depositati a norma del n. 58 "). Secondo il nuovo sistema processuale, infatti, gli atti delle indagini preliminari che sono inseriti nel fascicolo del pubblico ministero devono essere conosciuti dal giudice del dibattimento solo attraverso le contestazioni dibattimentali, sicche', se se ne consentisse la pubblicazione prima di questo momento, si determinerebbero di fatto una distorsione della regola processuale ed una anticipata e non corretta formazione del convincimento del giudice A stretto rigore, la delega, nella direttiva sopra trascritta, si riferisce agli atti del fascicolo del pubblico ministero, e non anche a quelli del fascicolo per il dibattimento (previsti nella direttiva 57). V'e' pero' da osservare che soltanto alla fine delle indagini preliminari si ha la formazione del fascicolo del pubblico ministero, nel quale va a confluire il maggior numero degli atti compiuti in tale fase. Non e' facile ne' opportuno, pertanto, operare distinzioni rispetto al divieto di pubblicazione nell'ambito degli atti delle indagini preliminari. Si ritiene, pero', che non si possa pretendere un sostanziale silenzio stampa sino a quando non venga celebrato il dibattimento. Una regola che cio' imponesse produrrebbe inevitabilmente una situazione analoga a quella attuale, caratterizzata dalla generale disapplicazione delle regole scritte. Al fine di evitare il cennato inconveniente si e' limitato il divieto di pubblicazione degli atti non piu' coperti dal segreto all'atto, e non anche al suo contenuto. Ed invero il giudce del dibattimento, se puo' essere influenzato dalla pubblicazione degli atti veri e propri, e' in grado di non fondare il proprio convincimento su notizie di stampa piu' o meno generiche e prive di riscontri documentali riguardanti il contenuto di atti. Sulla base delle scelte di fondo ora illustrate, il comma 2 pone il limite finale del divieto di pubblicazione (nel senso ridotto che si e' detto) degli atti non piu' coperti dal segreto. Il divieto sussiste sino a quando non sono terminate le indagini preliminari ovvero, quando si tiene l'udienza preliminare, sino al termine di tale udienza. Qualora poi alle indagini ovvero all'udienza faccia seguito la celebrazione del dibattimento, il divieto permane fino a quando il singolo atto non sia utilizzato per le contestazioni, venendo a cessare in ogni caso con la pronuncia della sentenza di appello. In termini concreti, gli atti delle indagini e dell'udienza preliminari restano soggetti al divieto di pubblicazione fino a che non siano emessi i provvedimenti che escludono la instaurazione del processo (decreto di archiviazione) o lo concludono anticipatamente (sentenza di non luogo a procedere, sentenza che applica una pena su richiesta, sentenza di merito nell'udienza preliminare) o fino a che non sia divenuto esecutivo il decreto di condanna, ovvero, in caso di emissione di provvedimenti che determinano il passaggio al dibattimento (giudizio direttissimo, giudizio immediato o rinvio a giudizio), fino a che gli atti medesimi non siano utilizzati. In tal modo il divieto di pubblicazione e' circoscritto al massimo possibile e viene fatto cadere man mano che, in relazione allo svolgersi del processo, non ha piu' ragione d'essere. Va sottolineato che, per gli atti che le parti non dovranno utilizzare neppure in dibattimento, il divieto di pubblicazione cade, come si e' detto, con la pronuncia della sentenza di appello, in modo da consentire, comunque, all'opinione pubblica un controllo sociale anche sul comportamento delle parti (a particolarmente del pubblico ministero) che non abbiano utilizzato atti che avrebbero, invece, potuto utilizzare. Si pensi, per esempio, al caso in cui il pubblico ministero d'udienza, per carenze professionali, abbia omesso di utilizzare per le contestazioni atti rilevanti. Questo controllo sociale non deve, pero', risolversi in una violazione delle regole che disciplinano i controlli endoprocessuali. Fino a quando, attraverso la rinnovazione del dibattimento in appello, e' possibile la utilizzazione di atti nel processo, e' opportuno che su questi atti permanga il divieto di pubblicazione, al fine di evitare la elusione delle garanzie previste dal codice per il compimento delle attivita' dibattimentali. Data la pubblicita' del giudizio, e' ovvio che gli atti del dibattimento siano, invece, immediatamente pubblicabili, salvo che il dibattimento stesso si sia svolto a porte chiuse perche' la pubblicita' poteva nuocere al buon costume o all'interesse dello Stato ovvero ancora alla riservatezza dei testimoni o delle parti in ordine a fatti non direttamente rilevanti per l'imputazione (casi previsti dall'art. 466, commi 1 e 2 richiamati nel comma 3 dell'art. 113). La tutela di tali esigenze impone, altresi', di prevedere, nelle stesse ipotesi, la possibilita' che il giudice del dibattimento, sentite le parti, disponga il divieto di pubblicazione degli atti anteriori al dibattimento anche successivamente alla loro utilizzazione per le contestazioni e anche dopo la sentenza di appello. In tutti i casi indicati di dibattimento a porte chiuse - nei quali quindi il divieto di pubblicazione continua a permanere - si e' stabilita la cessazione del divieto non solo alla scadenza tradizionale dei termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato (settanta anni dopo la data della conclusione del procedimento ai sensi dell'art. 21 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409), in conformita' della previsione contenuta nel vigente art. 164 n. 3, ma anche in una nuova ipotesi. Si e' ritenuto, infatti, che in moltissimi casi, in una societa' in profonda e continua trasformazione come la nostra, il termine di settanta anni puo' essere eccessivo o inutile, se non dannoso, e che, a distanza di dieci anni dalla sentenza irrevocabile, sia opportuno dare al ministro di grazia e giustizia la possibilita' di valutare se le esigenze poste a base del divieto perdurino ancora o siano, nel frattempo, venute meno. Il comma 4 da' attuazione alla direttiva 71 relativa al divieto di pubblicazione delle generalita' e dell'immagine dei minorenni. Tenuto conto che la delega lascia al legislatore delegato il potere di dettare la "disciplina" del divieto, si e' ritenuto opportuno prevedere che il divieto cessa con la maggiore eta' della persona tutelata. Possono, poi, presentarsi ipotesi nelle quali la pubblicazione degli atti potrebbe corrispondere all'interesse del minorenne; si e' percio' prevista la possibilita' di un consenso alla pubblicazione idoneo a fare venire meno il generale divieto. L'articolo 114 da' attuazione all'ultima parte della direttiva 71, con la quale si obbliga il legislatore delegato alla "previsione di sanzione per la violazione del divieto di pubblicazione". Si e' ritenuto che questa direttiva non autorizzi una modifica dell'art. 684 c.p. D'altro canto la previsione di una sanzione processuale e' apparsa impraticabile potendo essa comportare conseguenze pregiudizievoli per parti e soggetti estranei alla violazione e, viceversa, conseguenze favorevoli per lo stesso responsabile dell'illecito. Altrettanto impraticabile e' apparsa la ipotesi di una sanzione amministrativa pecuniaria comportante la necessita' di prevedere un procedimento amministrativo parallelo a quello penale, condotto con la procedura prevista dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, ovvero, ancora peggio, con un apposito procedimento da disciplinare in questa sede. Le considerazioni che precedono hanno determinato la scelta della sanzione disciplinare a carico di tutti i soggetti per i quali essa e' configurabile. Si tratta dei soggetti indicati nel comma 1. Il loro ambito, se non e' tale da ricomprendere tutti i possibili autori della violazione, e' sufficientemente esteso, poiche' esso comprende magistrati e personale giudiziario ausiliario, personale della polizia giudiziaria, avvocati, procuratori e professionisti in genere, periti e consulenti tecnici, giornalisti e pubblicisti, ecc. Per i soggetti diversi rimane l'applicabilita' dell'art. 684 c.p. che l'art. 114 comma 1 fa espressamente salvo unitamente agli altri reati previsti dal codice penale (articoli 326, 323, ecc.). Va, infine, osservato che l'art. 114 sanziona la violazione del divieto di rivelazione in tutte le ipotesi in cui questo divieto e' previsto, e quindi non solo in quelle di cui all'art. 113, ma anche nelle due situazioni contemplate dall'art. 329. Mentre l'articolo 115 del Progetto corrisponde all'art. 165 del vigente codice, gli articoli 116 e 117 danno attuazione alle disposizioni della direttiva 30 della legge-delega. Tali disposizioni hanno inteso mantenere i due istituti introdotti, negli attuali articoli 165- bis e 165- ter, dal decreto 21 marzo 1978 convertito nella legge 18 maggio 1978, n. 191. Il primo di questi istituti concerne la trasmissione di informazioni e di copie di atti tra autorita' giudiziarie (articolo 116). La limitazione ai "casi determinati" contenuta nella direttiva 30 si e' estrinsecata nella previsione che questa trasmissione avviene a favore del pubblico ministero nei soli casi in cui gli atti richiesti sono necessari per il compimento delle indagini preliminari (il che presuppone l'avvenuto inizio delle indagini, onde la trasmissione non puo' avere, tra l'altro, la finalita' di prevenzione che e' considerata nell'articolo successivo). L'articolo 117 riguarda la trasmissione di atti ed informazioni scritte al ministro dell'interno quando essi sono ritenuti indispensabili ai fini di prevenzione di determinati delitti (quelli per i quali e' obbligatorio l'arresto in flagranza). L'articolo 118 del Progetto corrisponde all'art. 143 del vigente codice, mentre trova piu' appropriata collocazione nell'articolo 119 il contenuto dell'attuale art. 159, che, essendo relativo ai c.d. testimoni ad atti processuali, attiene alla disciplina generale degli atti processuali. L'articolo 120 ripete, nel comma 1, il disposto del vigente art. 145 mentre, nel comma 2, da' attuazione all'ultima parte della direttiva 3, relativa all'obbligo del giudice di provvedere senza ritardo e comunque entro un termine prestabilito (fissato in quindici giorni, quando una specifica diversa disposizione non prevede un termine diverso). La citata direttiva si riferisce anche alla persona offesa, i cui diritti sono stati globalmente disciplinati nell'art. 89. L'articolo 121 (procura speciale per determinati atti) corrisponde all'attuale art. 136 che e' collocato nella sezione relativa ai difensori, mentre il procuratore speciale puo' essere anche un soggetto diverso dal difensore. Differente collocazione ha ricevuto anche la disciplina delle dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate, rispetto a quella che oggi ha l'art. 80. L'articolo 122 si riferisce infatti agli atti provenienti da qualsiasi parte (anche diversa dall'imputato) che sia detenuta o internata. Il comma 2 di detto articolo, poi, disciplina, con disposizione innovativa, la ricezione delle dichiarazioni rese da chi sia sottoposto all'arresto o alla detenzione domiciliare ovvero custodito in un luogo di cura. L'ultimo articolo del titolo I (articolo 123) corrisponde all'attuale art. 154 (obbligo di osservanza delle norme processuali). Il comma 2 sostituisce con una disposizione di principio l'analitica ed incompleta disciplina contenuta nel secondo e terzo comma dell'art. 154. Giova infine avvertire che il Progetto non contiene le norme generali sul giuramento (art. 142) in quanto tale formalita' e' stata soppressa, mentre le norme sulla eliminazione degli iscritti anonimi (art. 141), sull'oralita' degli esami ed interrogatori (art. 138), sull'accompagnamento coattivo di persone diverse dall'imputato (art. 144) e sull'acquisizione di atti di procedimenti diversi (art. 144- bis) sono state collocate altrove. TITOLO II ATTI E PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE Il titolo II riproduce per la maggior parte le disposizioni che il codice vigente detta negli artt. 146-154 sotto la rubrica "degli atti e dei provvedimenti del giudice". L'articolo 124, oltre a riportare il contenuto dell'attuale art. 148, recepisce anche il disposto del primo comma del vigente art. 153, relativo ai provvedimenti deliberati dal giudice in camera di consiglio. E' utile avvertire che il contenuto del secondo comma dell'art. 153 sara' collocato tra le disposizioni di attuazione. Nell'articolo si e' mantenuta la previsione, gia' presente nell'art. 148, secondo cui la motivazione dei provvedimenti del giudice e' prescritta " a pena di nullita'". Ovviamente questa regola generale va coordinata con i principi desumibili dal sistema delle impugnazioni, i quali possono comportare che il giudice dell'impugnazione sostituisca con la propria motivazione quella assente del provvedimento impugnato. L'articolo 125 riporta che il contenuto dell'attuale art. 147, con la sola sostituzione del termine "segretario" a quello di "cancelliere". La normativa sul personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e' possibilmente mutata rispetto al periodo in cui fu emanato il codice vigente. Questo personale comprende attualmente una pluralita' di categorie di funzionari e impiegati, sulle cui mansioni e' opportuno che il codice non intervenga, ma lasci libero il campo alla disciplina speciale, soggetta a mutamenti non prevedibili. Per raggiungere questo risultato il Progetto precisera' in una disposizione di attuazione che il termine "segretario" designa qualsiasi impiegato abilitato dal proprio ordinamento ad esercitare la funzione di assistenza del giudice nel compimento degli atti processuali. Sara' in tal modo chiaro il termine usato dall'art. 125 e da altri articoli del Progetto ha un significato diverso da quello che esso assume nell'ordinamento del personale delle cancellerie giudiziarie, ove esso indica una particolare qualifica (non diversamente dal termine di cancelliere). L'articolo 126 costituisce una importante innovazione del Progetto. Esso regola il procedimento in camera di consiglio, al quale diverse norme relative a singoli istituti del codice operano un rinvio. Il procedimento e' modellato su quello oggi previsto per gli incidenti di esecuzione. L'articolo 127 semplifica l'attuale disposto dell'art. 151, mentre l'articolo 128 ricalca il vigente art. 152, pur se ne limita l'operativita' al vero e proprio processo, e non anche all'intero procedimento. Nella fase delle indagini preliminari, infatti, le situazioni previste nell'art. 128 determinano l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato (art. 405) ovvero per gli altri casi previsti (art. 408). Una prima applicazione della normativa sul procedimento in camera di consiglio (art. 126) si e' prevista per la correzione di errori materiali; il che ha permesso di dettare nell'articolo 129 una disciplina piu' stringata e, nello stesso tempo, piu' completa di quella contenuta nell'attuale art. 149 (gia' integrata e corretta, peraltro, dalle sentenze della Corte costituzionale n. 83/69 e 122/72). Mentre l'articolo 130 del Progetto ripete il contenuto del vigente art. 146, sensibilmente innovato - sia nei contenuti, sia nella collocazione - e' il successivo articolo 131, che concerne l'accompagnamento coattivo dell'imputato. Se e' indubbio che questo provvedimento importa una restrizione della liberta' personale, esso non puo' peraltro inquadrarsi nell'ambito delle misure di coercizione personale considerate nelle direttive 59 e seguenti della legge-delega. Da tali misure l'accompagnamento coattivo si distacca per la sua finalita' di diretto contributo "positivo" all'attivita' di indagine e di accertamento. E' utile, al riguardo, tenere presente che una analoga forma di accompagnamento e' prevista nell'art. 132 del Progetto - cosi' come nell'attuale codice (art. 144) - anche a carico di soggetti nei cui confronti non esiste alcun indizio di colpevolezza, quali i testimoni ed i periti renitenti. Di questa peculiarita' dell'accompagnamento coattivo dell'imputato e' espressione non solo la collocazione che l'istituto ha nel Progetto (diversa da quella del vigente art. 261), ma altresi' la previsione della sua ammissibilita' anche per i reati non gravi, tali cioe' da non rientrare tra quelli per i quali la direttiva 59 rende possibile l'adozione di misure di coercizione personale. Per converso, se non si vuole che la misura esca dalla sua ratio giustificativa, e' necessario puntualizzarne in modo estremamente rigoroso (e, anche qui, con specificazioni del tutto diverse rispetto a quelle concepibili per le misure disciplinate nel libro IV) le modalita' applicative. L'art. 131 precisa, innanzitutto, la situazione che legittima l'accompagnamento coattivo: la presenza dell'imputato deve essere necessaria per il compimento di determinati atti che il giudice puo' compiere (nell'incidente probatorio, nell'udienza preliminare o nel dibattimento): ricognizioni personali, confronti, perizia. Il provvedimento, disposto con decreto motivato, e' inoltre subordinato al fatto che l'imputato sia stato invitato a comparire e non sia comparso senza un legittimo impedimento. Ma essenziali sono ancor piu' le garanzie inerenti alla durata della misura, al fine di evitare che essa si trasformi in una criptocustodia. Si e' al riguardo stabilito che l'accompagnamento non puo' durare oltre il compimento dell'atto per il quale esso e' disposto e per gli atti allo stesso conseguenziali, sempre che anche per questi ultimi sussista il requisito della necessita' di presenza dell'imputato. Una norma di chiusura garantisce che i'imputato non puo' in ogni caso essere trattenuto per piu' di ventiquattro ore. Successivo alla disposizione sull'accompagnamento dell'imputato e' l'articolo 132 relativo all'accompagnamento coattivo di altre persone. La nuova collocazione della disposizione, oltre a sottolineare maggiormente la specifica strumentalita' dell'accompagnamento coattivo anche in questa sua dimensione, consente un rinvio, di immediata percezione, alle norme di garanzia della persona accompagnata, stabilite dall'articolo precedente. Devesi, infine, avvertire che gli artt. 131 e 132, essendo inseriti nel titolo dedicato ai provvedimenti del giudice, non riguardano il pubblico ministero, il cui potere di accompagnamento dell'indiziato e delle altre persone e' previsto, con qualche particolarita', nella disciplina sulle indagini preliminari. TITOLO III DOCUMENTAZIONE DEGLI ATTI In tema di documentazione degli atti la direttiva 8 della legge-delega stabilisce: "adozione di strumenti opportuni per la documentazione degli atti processuali; previsione della partecipazione di ausiliari tecnici nel processo per la redazione degli atti processuali con adeguati strumenti, in ogni sua fase; possibilita' che il giudice disponga l'adozione di una diversa documentazione degli atti processuali in relazione alla semplicita' o alla limitata rilevanza degli stessi ovvero alla contingente indisponibilita' degli strumenti o degli ausiliari tecnici". Direttive complementari sono le direttive 1 "massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attivita' non essenziale" e 2 "adozione del metodo orale" Poiche' la direttiva 8 si riferisce ad "ogni fase" del processo, si e' dettata nel libro II una disciplina generale della documentazione, la quale va integrata con le disposizioni particolari relative all'udienza preliminare e al dibattimento. La documentazione degli atti del pubblico ministero trova, invece, una autonoma disciplina nell'ambito della normativa sulle indagini preliminari. La scelta chiaramente espressa dalla legge-delega e' quella di privilegiare per quanto e' possibile l'impiego di tecniche di documentazione diverse dalla redazione tradizionale del verbale in caratteri comuni. Si e' ritenuto di esprimere questa scelta sin dal primo articolo con cui si apre il titolo, ove sono enunciate le modalita' normali di documentazione (articolo 133): il verbale viene redatto con la stenotipia, e quindi esso e' in grado di riportare integralmente gli atti assunti nel processo; qualora non ci si avvalga della stenotipia, al verbale tradizionale (redatto cioe' in forma riassuntiva) si affianca la riproduzione fonografica, che e' un mezzo di documentazione integrativa del verbale. In ogni caso, alla normale documentazione potra' affiancarsi la riproduzione audiovisiva, nei casi in cui essa sara' ritenuta dal giudice assolutamente indispensabile. Gli articoli successivi disciplinano le singole modalita' enunciate dall'art. 133, dopo che l'articolo 134 ha dato la nozione di verbale. Questo articolo condensa la normativa oggi distribuita tra gli articoli 155 e 158. L'art. 155, infatti, e' stato ritenuto inutilmente definitorio, e si e' preferito fare emergere la nozione del verbale attraverso la sua funzione piuttosto che attraverso la sua descrizione, e quindi facendo perno sulla sua efficacia probatoria. E' parso, poi, opportuno dilatare l'enunciazione dell'attuale art. 155 (che lo limita alle "operazioni compiute" ed alle "dichiarazioni ricevute"), poiche' il verbale puo' far fede anche di quanto viene compiuto da soggetti diversi dal pubblico ufficiale, ed altresi' della realta' che viene constatata e descritta in termini statici (uno spunto in tal senso e' gia' racchiuso nell'art. 2700 c.c.). Per questo si e' parlato di documentazione di "quanto il pubblico ufficiale ha fatto o ha constatato o e' avvenuto in sua presenza". Correlativamente, si e' eliminata la disposizione, contenuta nell'attuale art. 158, secondo la quale il verbale "non pregiudica la libera valutazione da parte del giudice dei fatti attestati o delle dichiarazioni ricevute nel verbale medesimo". Tale precisazione e' apparsa superflua, dal momento che il verbale deve bensi' documentare gli atti, ma non e' esso stesso fonte di prova, di modo che e' implicita la libera valutazione di quanto e' in esso racchiuso. L'articolo 135, nel comma 1, recepisce la parte dell'attuale art. 156 dedicata al giudice, con la sostituzione del termine "cancelliere" con quello di "segretario", di cui sono state gia' indicate le ragioni in relazione all'art. 125 del Progetto. Il comma 2 pone la regola della redazione del verbale con il mezzo della stenotipia. Questa previsione deve ritenersi comprensiva del possibile uso della stenografia, dato che la stenotipia puo' considerarsi una stenografia a macchina. Nelle disposizioni di attuazione si dovra' percio' precisare che per stenotipia si intende qualunque mezzo tecnico che impiega caratteri diversi da quelli comuni. Alla stenotipia verranno, altresi', parificati gli altri mezzi tecnici che assicurano la riproduzione integrale delle dichiarazioni orali. Il comma 3 dell'art. 135 consente al giudice di affiancare al segretario che non possiede le necessarie competenze tecniche per l'uso della stenotipia personale ausiliario anche estraneo all'amministrazione della giustizia. L'articolo 136 riproduce nel comma 1 l'attuale dizione del primo comma dell'art. 157, con minime variazioni di forma. Il comma 2 unifica il capoverso del vigente art. 157 e le parti salienti dell'art. 302, essendo apparsa inopportuna la frantumazione della disciplina in varie sedi. Il terzo e quarto comma dell'attuale art. 157 sono, invece, trasfusi nell'articolo 137. Ambedue gli articoli (136 e 137) si riferiscono al verbale redatto con il mezzo della stenotipia, di cui l'articolo successivo (articolo 138) disciplina la trascrizione in caratteri comuni. Quando questa attivita' non puo' essere effettuata da chi ha redatto il verbale, la scelta della persona a cui affidarla (anche estranea all'amministrazione della giustizia) e' rimessa al giudice. La trascrizione deve avvenire, di regola, in un tempo ristretto, mentre per il dibattimento e' previsto un tempo meno breve (art. 477 comma 2), trattandosi normalmente di verbale di maggiore ampiezza. Poiche' il verbale e' costituito dalla documentazione realizzata con la stenotipia, mentre la successiva trascrizione e' il frutto di una operazione di conversione effettuata a posteriori, una eventuale divergenza tra i due atti non pone alcun problema, in quanto e' al primo che, ovviamente, deve essere accordata la prevalenza. Particolare attenzione e' stata dedicata alla disciplina della riproduzione fonografica, sulla base della previsione che essa, sotto forma di registrazione, sara' prevedibilmente la modalita' piu' frequente di documentazione. Questa considerazione non priva di giustificazione la disciplina del titolo imperniata, come si e' visto, sul verbale stenotipico. La verbalizzazione e' una narrazione che non puo' essere confusa con la riproduzione fonografica dell'atto, la quale puo' integrare, ma non sostituire del tutto, la prima. L'impiego del mezzo tecnico di registrazione, da effettuarsi ogni qualvolta non si redigera' il verbale stenotipico (fatti salvi i casi particolari previsti nell'art. 140), si accompagna pertanto alla redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva (articolo 139). Sul contenuto di questo verbale il comma 2 non pone previsioni specifiche, limitandosi ad imporre la sola indicazione del momento di inizio e di quello di cessazione delle operazioni di riproduzione fonografica o audiovisiva. L'elasticita' della previsione normativa si comprende se si tiene presente la soluzione data al problema del rapporto tra contenuto del verbale e risultato della registrazione. Al riguardo si e' confermato il rapporto che gia' oggi e' possibile desumere dall'ultimo comma del vigente art. 496- bis (divenuto sostanzialmente il comma 3 dell'art. 139). Se il prodotto della registrazione si e' formato in modo compiuto ed intelligibile, e' parso illogico accordare prevalenza al verbale riassuntivo, il quale e' suscettibile di errori od omissioni estranei alla documentazione fonografica. Se, invece, quest'ultima non ha avuto effetto o non e' chiaramente intelligibile, diventa inevitabile attribuire al verbale convenzionale piena efficacia probatoria. Tale disciplina vale anche quando la registrazione fonografica sia solo parzialmente imperfetta: l'inintelligibilita' di una parte non puo' evidentemente togliere valore alla parte perfettamente riuscita, e percio' si e' stabilito che il verbale convenzionale fa prova nella parte in cui la registrazione non abbia avuto effetto o non sia chiaramente intelligibile. Il contenuto in concreto del verbale in forma riassuntiva (redatto dal segretario) dipendera', percio' a seconda dei casi, dalla maggiore o minore affidabilita' delle operazioni di registrazione (di competenza di personale tecnico posto sotto la direzione del segretario), nel senso che la prevedibile buona riuscita di queste operazioni rendera' possibile la massima riduzione del contenuto del verbale sino alle sole indicazioni di inizio e fine delle operazioni medesime. In tal modo la prassi potra' conciliare i vantaggi in termini di velocita' e fedelta' offerti dalla registrazione con i costi che, in termini di verbalizzazione tradizionale, occorre sopportare per evitare il pericolo dell'assenza di qualsiasi documentazione derivante da una registrazione non riuscita. I successivi commi dell'art. 139 disciplinano la trascrizione delle registrazioni. Essa, effettuata di regola da personale tecnico giudiziario, puo' anche essere affidata dal giudice a personale estraneo all'amministrazione della giustizia. Il comma 5 da' la possibilita' al giudice di non disporre la trascrizione della registrazione quando vi sia il consenso delle parti (per esempio: nel caso in cui la sentenza non venga impugnata). Nelle disposizioni di attuazione verranno disciplinate le attivita' di custodia e le eventuali successive utilizzazioni delle registrazioni fonografiche, nei casi in cui non sia stata effettuata la trascrizione, ovvero si dubiti della conformita' di questa al testo registrato. L'articolo 140 da' attuazione all'ultima parte della direttiva 8, prevedendo le tre ipotesi nelle quali non si fa ricorso ne' alla stenotipia ne' alla registrazione. In tali ipotesi si redige soltanto il verbale tradizionale, sulla cui stesura si e' affidato al giudice un generale potere di vigilanza. Infatti, poiche' la verbalizzazione riassuntiva introduce degli elementi di interpretazione rispetto alla realta' oggettiva, e' utile inserire in essa un controllo, che avra' normalmente efficacia dialettica, poiche' al potere del giudice si accompagnera' un collaterale intervento delle parti, in modo da garantire la migliore fedelta' possibile della documentazione. L'articolo 141 non diverge dall'attuale art. 160 se non nella previsione del possibile impiego del mezzo meccanico anche a proposito delle dichiarazioni orali delle parti, che non si inquadrano in un atto processuale, ma che sono comunque "attinenti al processo". Infine l'articolo 142 prevede circoscritte ipotesi di nullita', coordinate con la disciplina delle nullita' dettate nella sede generale corrispondente. TITOLO IV TRADUZIONE DEGLI ATTI Il titolo IV riproduce senza sostanziali variazioni gli articoli che il codice vigente dedica agli interpreti (artt. 326-331). A differenza del codice attuale, che colloca le norme sugli interpreti tra quelle sull'istruzione formale relative alla prova, il Progetto prevede la relativa disciplina fra le disposizioni sugli atti processuali, considerando che l'interpretazione non e' un mezzo di prova e che l'opera dell'interprete non si rende necessaria solo in occasione del compimento di atti di acquisizione probatoria. L'articolo 143 comma 1, conferendo allo straniero che non conosce la lingua italiana il diritto di fruire gratuitamente di un interprete per comprendere l'accusa formulata contro di lui e seguire il compimento degli atti processuali a cui partecipa, si uniforma, in attuazione della legge-delega, agli impegni internazionali sottoscritti dall'Italia a questo riguardo (art. 6 n. 3 lett. a ) ed e) della Convenzione europea sui diritti dell'uomo; art. 14 n. 3 lett. a ) ed f) del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici). Le disposizioni citate considerano chi non comprende ovvero non parla la lingua utilizzata nel processo: queste due situazioni sono unificate nella espressione "non conosce" impiegata dall'art. 143 commi 1 e 2. L'articolo 144, relativo alla incapacita' ed incompatibilita' dell'interprete, corrisponde al primo comma dell'attuale art. 328. L'articolo 145 modella la disciplina della ricusazione e dell'astensione dell'interprete sugli analoghi istituti previsti per il perito dall'art. 223 del Progetto. L'articolo 146 corrisponde all'attuale art. 329, con le modifiche conseguenti alla soppressione della formalita' del giuramento. Anche l'articolo 147, relativo al termine per la traduzione scritta ed alla sostituzione dell'interprete, si conforma alla disciplina stabilita per il perito dall'art. 231 del Progetto. Poiche', secondo il comma 2 dell'art. 147, la condanna dell'interprete sostituito al pagamento di una sanzione pecuniaria amministrativa e' attribuita sempre alla competenza del giudice, occorrera', nelle disposizioni di attuazione, disciplinare le modalita' di intervento del giudice (che e' tenuto previamente a sentire le discolpe dell'interprete) nell'ipotesi in cui la sostituzione sia stata disposta dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari a seguito della nomina effettuata dalla stessa autorita'. TITOLO V NOTIFICAZIONI Premessa. Malgrado l'istituto delle notificazioni costituisca uno dei temi piu' complessi e delicati del processo, in quanto deputato a fungere da equilibrato momento di catalisi tra l'esigenza di assicurare la conoscenza effettiva dell'atto e quella di stabilire il regime della conoscenza legale come generatrice degli effetti processuali, nei primi disegni di legge-delega ben scarsa attenzione gli e' stata riservata, salvo taluni fugaci accenni nei lavori preparatori, attenti solo ad evidenziare la precedenza che doveva essere riservata alle notificazioni di atti in materia penale. Un mutamento di prospettiva ha quindi rappresentato la legge-delega 3 aprile 1974, n. 108 che, alle direttive 8 e 70, fisso' alcuni princi'pi direttivi, da un lato sancendo la "semplificazione del sistema delle notifiche con possibilita' di adottare anche nuovi mezzi di comunicazione", dall'altro la "previsione di particolari garanzie del rito della irreperibilita', con la precisazione rigorosa della procedura per la ricerca dell'imputato" nonche' la "ammissibilita', in sede di incidente di esecuzione, di una valutazione sul merito della procedura seguita, con eventuale restituzione in termini dell'imputato ai fini dell'impugnazione". Di tale nuova prospettiva si rese quindi interprete il Progetto preliminare del 1978, introducendo nuovi strumenti operativi e modificando radicalmente la logica del sistema all'epoca vigente che, imponendo continue e defatiganti ricerche dell'imputato, determinava preoccupanti stasi processuali. Venne pertanto integralmente recepita la disciplina prevista dalla l. 8 agosto 1977, n. 534 e sussunta l'opinione secondo la quale nel nuovo processo l'indiziato e l'imputato dovevano essere "chiamati a collaborare lealmente per una sollecita costituzione e prosecuzione del rapporto processuale" attraverso l'indicazione, sin dal primo contatto con la polizia giudiziaria o con il pubblico ministero, del luogo in cui intendevano ricevere le notificazioni degli atti, con l'onere di comunicare le relative variazioni. L'attuale delega, alle direttive 9 e 80, ha pedissequamente riprodotto le gia' citate direttive 8 e 70 della delega del 1974, introducendo nella direttiva 81 il principio che "l'imputato debba dichiarare o eleggere il proprio domicilio e tempestivamente comunicare all'autorita' che procede le relative variazioni". Principio, come si e' detto, gia' normativamente ricevuto dalla l. 8 agosto 1977, n. 534 e recepito dal Progetto preliminare del 1978. Malgrado un cosi' marcato consolidarsi del legislatore delegante attorno alle indicate linee portanti che devono sostenere l'impalcatura delle notificazioni del nuovo codice di rito e nonostante, quindi, l'apparente assenza di elementi di novita', si e' ritenuto, per piu' ragioni, di introdurre una serie di modifiche all'attuale disciplina, allo scopo precipuo di adeguare l'istituto de quo alle esigenze di celerita', garanzia e pariteticita' che il nuovo modello processuale postula. Accanto a cio', e' parso indispensabile, da un lato, recepire gli spunti innovativi offerti da varie sentenze della Corte costituzionale e, dall'altro, assicurare una esauriente attuazione dei princi'pi posti a base di pronunce e determinazioni, assunte, anche di recente, in sede internazionale. In tale quadro d'assieme, un prioritario rilievo assumono le modifiche apportate al regime della dichiarazione o elezione di domicilio. Pur mantenendosi, infatti, il principio della necessaria "collaborazione" dell'imputato o indiziato nell'indicare il luogo in cui ricevere gli atti, al fine di evitare lunghe e non sempre efficaci ricerche, frequente causa di ritardi cosi' come di sostanziale elusione delle garanzie difensive nei casi di irreperibilita' solo formale, si e' ritenuto di articolare un meccanismo che differenzia i tempi di tale onere, stabilendo dei correttivi al vigente regime, secondo il quale l'originaria dichiarazione - effettuabile in una fase preprocessuale - mantiene la sua validita', con le gravi conseguenze che ne scaturiscono, per tutta la durata del procedimento. Infatti, e' sembrato coerente rispetto al nuovo schema processuale, evitare che la dichiarazione o elezione di domicilio effettuata presso la polizia giudiziaria o davanti al pubblico ministero mantenga automaticamente valore anche per la fase giurisdizionale e quindi piu' corretto prevedere che l'invito a dichiarare o eleggere il domicilio per le notificazioni debba essere ripetuto dal giudice, il quale ultimo formulera' l'avvertimento circa le conseguenze che dall'ottemperanza o meno dell'invito vengono a derivare. Procedimento, quello descritto, che sotto un ulteriore profilo elimina il rischio - non infrequente nella pratica - che l'imputato sia pregiudicato nell'effettiva conoscenza degli atti per non aver seguito, anche a distanza di tempo, gli sviluppi di una indagine, a causa dell'originaria dichiarazione o elezione di domicilio effettuata in una fase in cui la natura dei fatti addebitati e la relativa qualificazione giuridica potevano essere ammantate di ambigua genericita'. In stretta correlazione con le finalita' di cui si e' detto ed in ossequio all'univoco tenore della direttiva 80 della delega, e' stata prevista una disciplina particolarmente rigorosa in tema di ricerche dell'imputato, prodromiche al rito della irreperibilita'. L'imputato, infatti, andra' ricercato necessariamente in una serie di luoghi in cui e' piu' verosimile possano essere acquisite notizie circa la sua attuale residenza o dimora, fermo restando, comunque, il potere-dovere di ricercarlo anche altrove, in rapporto alle emergenze del caso concreto. Laddove, poi, le ricerche risultassero infruttuose nonostante la particolare estensione delle medesime, in sostituzione della tradizionale procedura del deposito in cancelleria o segreteria e del conseguente avviso, e' stato previsto che la notificazione venga eseguita mediante consegna al difensore. Il rito del deposito, infatti, e' stato concordemente ritenuto un procedimento a garanzia solo formale, che determina, per di piu', un ingiustificato dispendio di attivita', giacche' il cancelliere rimette l'atto all'organo della notificazione e quest'ultimo lo restituisce al primo con una fictio iuris di discutibile ragionevolezza, che certo mal si concilia con le direttive di semplificazione delle forme processuali in generale (direttiva 1) e del sistema delle notificazioni in particolare (direttiva 9). In un codice destinato a scandire in tempi celeri l'espletamento delle varie attivita' processuali, alcune delle quali previste ad horas, non poteva certo mancare l'impiego, introdotto da una ormai non recente novellistica, di mezzi rapidi di notificazione, quali il telefono ed il telegrafo. Nella medesima prospettiva e' stata avvertita l'esigenza di continuare ad utilizzare la polizia giudiziaria per la attivita' di cui si tratta, prevedendone, anzi, l'impiego necessario per le notificazioni di atti del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari. Le stesse esigenze tende poi a soddisfare l'introduzione di una norma che consente l'uso di mezzi tecnici particolari e "innominati" per le notifiche a persone diverse dall'imputato. In una realta', quale e' quella contemporanea, che vede un sempre piu' generalizzato impiego di forme nuove di telecomunicazioni, e' sembrato necessario non porre limiti aprioristici alla possibilita' di utilizzare tali nuovi mezzi, sia per coerenza con la delega, sia per fornire al processo strumenti che ne consentano uno svolgimento al passo coi tempi. Illustrazione degli articoli E' parso opportuno disciplinare in articoli separati le notificazioni richieste dal pubblico ministero e dalle parti private (artt. 151 e 152) per esigenze di ordine sistematico e di prevedere, all'articolo 148, gli organi e le forme delle notificazioni eseguite per disposizione del giudice. Come si e' gia' evidenziato nei cenni introduttivi, e' stata mantenuta la possibilita' di avvalersi della polizia giudiziaria quale organo delle notificazioni a prescindere dai limiti previsti nel vigente art. 166 c.p.p., rimettendo peraltro al giudice di valutarne "la necessita'". La prassi ha infatti da tempo dimostrato il proficuo contributo offerto dalla polizia giudiziaria nel campo delle notificazioni, in considerazione della articolata conoscenza e controllo del territorio. Per altro verso, poi, la possibilita' di avvalersi della polizia giudiziaria risponde anche ad esigenze di speditezza, essendo l'organo deputato allo svolgimento delle "ricerche" prodromiche alla irreperibilita'. In ossequio alla direttiva concernente la semplificazione delle forme, e' stata prevista, al comma 4, la consegna diretta di copia dell'atto all'interessato da parte della cancelleria come equipollente della notificazione. Finalita', quelle indicate, alle quali ugualmente risponde il comma 5, che recepisce l'ormai tradizionale istituto degli avvisi de praesenti. Con l'articolo 149, si e' ritenuto opportuno limitare la possibilita' delle notificazioni a mezzo del telefono o del telegrafo ai luoghi indicati nei commi 1 e 2 dell'art. 157 prescindendo dal fatto che gli stessi risultino o meno dagli elenchi ufficiali, per evitare problemi di ordine formale ove l'utenza sia stata cambiata o non sia stata inserita negli elenchi. Correlativamente, al comma 2, si e' introdotta la previsione concernente l'obbligo di annotare sull'originale dell'avviso i rapporti tra chi riceve la comunicazione ed il destinatario della stessa. Il comma 4 prevede che la notificazione abbia effetto dal momento in cui e' evvenuta, ma e' parso necessario - quale verifica della serieta' della comunicazione telefonica - mantenere l'obbligo di immediata conferma telegrafica. Ovvie esigenze di ordine garantistico hanno indotto ad escludere l'imputato dal novero dei soggetti che possono essere avvisati o convocati con tali mezzi, analogamente a quanto attualmente previsto dall'art. 167- bis c.p.p.; inoltre, il ricorso al telefono e' stato limitato, stanti le particolarita' che connotano l'impiego di tale mezzo di comunicazione specie per quanto riguarda l'esatta individuazione del destinatario, ai soli casi urgenti. La formulazione dell'articolo 150 ricalca nelle linee essenziali il testo dell'art. 151 c.p.c. Come si e' gia' avuto modo di osservare, l'introduzione di una norma "aperta" sembra opportuna in rapporto alla evoluzione tecnologica, che consente di ritenere verosimile una larga diffusione di mezzi di telecomunicazione diversi da quelli attualmente previsti nel campo delle notifiche. La norma e' stata elaborata tenendo conto dei seguenti princi'pi: 1) le forme "innominate" di notificazione devono riguardare persone diverse dall'imputato; 2) il decreto del giudice deve essere pedissequo all'atto da notificare; 3) le modalita' secondo le quali la notifica deve essere eseguita sono funzionalmente volte a prevedere l'impiego di mezzi tecnici atti a garantire la conoscenza dell'atto da parte del destinatario. Considerata la posizione del pubblico ministero nello schema del nuovo processo e tenuto conto degli stretti rapporti funzionali che lo legano alla polizia giudiziaria, e' sembrato opportuno demandare in via esclusiva a quest'ultima le notificazioni richieste dal pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari (articolo 151). E' stata inserita nel comma 4 la possibilita' per il pubblico ministero di emettere il decreto di irreperibilita', con efficacia peraltro limitata alle notificazioni degli atti dello stesso organo ed alla fase delle indagini preliminari. I commi 2 e 3 disciplinano forme di notificazioni analoghe a quelle previste dall'art. 148 commi 4 e 5. Per le notificazioni richieste dalle parti private (articolo 152), al fine di consentire un risparmio di attivita' per gli organi delle notificazioni e snellire la procedura, e' stata prevista, come equipollente, la comunicazione dell'atto a cura del difensore mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Nelle disposizioni di attuazione verra' disciplinato l'obbligo del difensore di documentare la spedizione mediante deposito della copia dell'atto inviato con la relativa attestazione di conformita', nonche' della ricevuta di ritorno. L'articolo 153 reca l'importante novita' di consentire alle parti e ai difensori di provvedere direttamente alla notifica degli atti al pubblico ministero, mediante consegna al segretario. Nelle disposizioni di attuazione andra' poi disciplinata la certificazione del segretario circa la data della avvenuta consegna e la persona che l'ha eseguita. In termini non dissimili si articola il regime della comunicazione al pubblico ministero degli atti del giudice, previsto dal comma 2. La disciplina delle notificazioni alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria e' stata ricompresa in una apposita norma (articolo 154), in quanto le notificazioni stesse devono essere eseguite, di regola, secondo le forme stabilite per la prima notificazione all'imputato e secondo le modalita' stabilite dalle norme di procedura civile qualora si tratti di persone giuridiche, enti o pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda la persona offesa, sono state anche disciplinate le ipotesi della irreperibilita' o della sua residenza o dimora all'estero, allo scopo di consentire il concreto esercizio dei relativi diritti. Considerato che la parte civile, il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria devono all'atto della costituzione nominare un difensore, e' sembrato opportuno stabilire che le notificazioni avvengano presso quest'ultimo. E' stata invece prevista la notificazione mediante deposito in cancelleria nel caso in cui il responsabile civile o il civilmente obbligato, citati ma non costituiti, abbiano omesso di dichiarare o eleggere il domicilio ovvero se la dichiarazione o l'elezione sia risultata insufficiente o inidonea. L'articolo 155 prevede la possibilita' che la notificazione alle persone offese avvenga per pubblici annunzi, quando l'impiego delle forme ordinarie appaia difficile per il numero rilevante dei soggetti interessati, ovvero per l'impossibilita' di identificarli compiutamente (in questo secondo caso la notificazione per pubblici annunzi avverra' soltanto per quelli non identificati). Per quanto concerne le modalita' della notifica, sono stati seguiti gli stessi criteri del processo civile, con una eccezione: e' sembrato eccessivo richiedere, in sede penale, l'autorizzazione del capo dell'ufficio, considerato che in tale sede la notifica non viene sollecitata da una parte privata, ma disposta direttamente dalla autorita' procedente. Si e' percio' ritenuto sufficiente il provvedimento motivato della autorita' medesima, tenuto anche conto del fatto che tale forma di notifica non riguarda un soggetto principale del processo penale, ma soggetti secondari che solo eventualmente potranno diventare parti processuali, in quanto danneggiati dal reato, attraverso la costituzione di parte civile. Altra modifica rispetto alla disciplina prevista dal codice di procedura civile riguarda la soppressione dell'inciso relativo alla pubblicazione dell'estratto sul foglio degli annunzi legali, formalita' che e' sembrata superflua, considerato che l'estratto viene inserito nella Gazzetta ufficiale. Nell'articolo 156, e' stato mantenuto, al comma 1, il principio generale che le notificazioni all'imputato detenuto sono eseguite mediante consegna a mani proprie presso il luogo di detenzione. Nel comma 2 sono state disciplinate le ipotesi del rifiuto di ricevere l'atto e quella della temporanea assenza dall'istituto penitenziario (permesso, regime di semiliberta', autorizzazione al lavoro esterno): in tali ipotesi e' sembrato opportuno prevedere la consegna dell'atto al direttore dell'istituto o a chi ne fa le veci, stabilendo l'obbligo di darne immediata conferma all'interessato. Nelle disposizioni di attuazione andranno poi disciplinate le modalita' per documentare l'attivita' svolta dal direttore per informare l'interessato della avvenuta notificazione. Tenuto conto delle particolarita' insite nello stato di detenzione o di arresto in luoghi diversi dagli istituti penitenzia (detenzione e arresto domiciliare in luogo di cura e simili) e' stato operato un rinvio alla disciplina prevista dall'art. 157, ferma restando la prevalenza che assume la notificazione mediante consegna a mani proprie e l'impossibilita', stabilita dal comma 5, di ricorrere al rito degli irreperibili. Semplici esigenze di chiarezza, rese necessarie da taluni rilievi formulati a margine della consimile disposizione del Progetto del 1978, hanno consigliato la enunciazione che compare al comma 4, la quale, in sostanza, ricalca il comma 2 dell'art. 168 c.p.p. L'ultimo comma, come gia' richiamato e conformemente alla sentenza della Corte costituzionale 23 febbraio 1970, n. 25, stabilisce che in nessun caso le notificazioni all'imputato detenuto - risulti o meno tale stato degli atti possono essere eseguite con il rito degli irreperibili. La disciplina della prima notificazione all'imputato non detenuto (articolo 157) riproduce, pressocche' integralmente, quella prevista dall'art. 169 c.p.p., cosi' come modificato dalla l. 20 novembre 1982, n. 890. Due le novita' di maggior rilievo. Anzitutto, e' stato previsto, al comma 6, che qualora non sia possibile procedere alla consegna dell'atto per assenza del destinatario e mancanza ovvero inidoneita' o rifiuto di altri soggetti legittimati a ricevere l'atto, l'organo della notificazione deve procedere nuovamente alla ricerca dell'imputato tornando nei luoghi indicati nei commi 1 e 2. Previsione, quella di cui si tratta, resa indispensabile per piu' considerazioni: da un lato, infatti, e' fin troppo verosimile l'assenza dal luogo di abitazione nel corso della giornata, per attendere alle ordinarie occupazioni; dall'altro, la presenza di conviventi e' un dato meramente eventuale; sotto un terzo profilo, poi, la figura del portiere tende ad essere residuale rispetto ad altre forme di collaborazione, e percio' stesso sempre piu' difficilmente riscontrabile nella pratica. A tale fine e per maggiore garanzia, in una apposita disposizione di attuazione verra' disciplinato l'obbligo per l'ufficiale giudiziario di effettuare il secondo accesso in orari diversi, che tengano conto delle occupazioni del destinatario e della natura del luogo (es. ufficio, negozio ecc.). Altra novita' rispetto all'attuale disciplina e' rappresentata dal fatto che, ove la consegna sia effettuata alla persona convivente o al portiere, la stessa deve essere eseguita, per intuibili esigenze di riservatezza, in plico chiuso. In tal caso, la relazione di notificazione viene redatta all'esterno del plico stesso. L'articolo 158, collocato per ragioni sistematiche dopo la prima notificazione all'imputato non detenuto, limita la particolare forma di notificazione concernente l'imputato in servizio militare al primo atto da notificare e sempre che il relativo stato risulti dagli atti. Quando la consegna personale non e' possibile, l'atto e' notificato presso l'ufficio del comandante: quest'ultimo - analogamente a quanto avviene in tema di notificazione all'imputato detenuto temporaneamente assente dall'istituto penitenziario - e' tenuto, poi, ad informare immediatamente l'interessato con il mezzo piu' celere. Nelle disposizioni di attuazione andranno anche in questo caso disciplinate le modalita' per documentare l'attivita' svolta dal comandante per informare l'interessato della avvenuta notificazione. L'articolo 159 regola le notificazioni all'imputato in caso di irreperibilita'. Come gia' evidenziato nella parte introduttiva, la disciplina delle nuove ricerche dell'imputato e' stata notevolmente ampliata rispetto a quella vigente. Le modifiche di maggior rilievo consistono anzitutto nell'aver reso obbligatorie, ai fini di maggior garanzia, le ricerche dell'imputato presso il luogo di nascita, di ultima residenza anagrafica, di ultima dimora e quello in cui abitualmente esercita l'attivita' lavorativa, luoghi in cui e' piu' verosimile possano essere acquisite utili notizie, nonche' presso l'amministrazione carceraria centrale; previsione, quest'ultima, che sancisce normativamente una procedura che, anche a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, e' da tempo divenuta prassi costante. In secondo luogo, e' stato introdotto al comma 1 l'avverbio "particolarmente", allo scopo di non rendere esaustiva, e quindi limitativa, l'indicazione dei luoghi ove ricercare l'imputato, il tutto, come e' ovvio, in funzione di una maggiore efficacia del delicato e grave procedimento. Come gia' rilevato, in luogo del deposito in cancelleria e' stato previsto che la notificazione all'irreperibile venga eseguita mediante consegna al difensore, in tal modo evitando la doppia formalita' del deposito e dell'avviso. La formulazione dell'articolo 160 tiene conto, ovviamente, della soppressione della fase istruttoria e delle diverse ipotesi di chiusura delle indagini preliminari, mentre, al comma 2, sono stati recepiti i princi'pi contenuti nelle sentenze della Corte costituzionale n. 54 del 22 marzo 1971 e n. 197 del 28 luglio 1976. L'articolo 161 mutua la sua struttura dalla ormai collaudata disciplina prevista dall'art. 171 c.p.p. Tuttavia, e come si e' gia' avuto modo di rilevare, si e' ritenuto che, date le conseguenze previste per l'imputato solo al giudice dovesse essere attribuito il potere di dare "l'avvertimento" circa gli oneri che incombono sullo stesso imputato in ordine alla dichiarazione, elezione ovvero determinazione del domicilio per le notificazioni. Resta fermo, ovviamente, il potere-dovere della polizia giudiziaria e del pubblico ministero di invitare la persona nei confronti della quale vengono svolte le indagini a dichiarare o eleggere il domicilio per le notificazioni, allo scopo di consentire alla medesima di fornire le opportune indicazioni sin dal primo contatto con gli organi della indagine. Nel terzo periodo del comma 4 e' stato previsto il ricorso alle forme ordinarie quando risulta che l'imputato non e' stato nelle condizioni di comunicare il mutamento del luogo dichiarato. Formula che, da un lato, tempera le gravi conseguenze previste dalla norma in presenza di fatti incolpevoli, dall'altro sollecita la necessaria collaborazione, eliminando possibili abusi. Come in altre disposizioni, infine, alla forma di notificazione mediante deposito e' stata sostituita quella piu' snella della consegna al difensore. L'articolo 162 detta disposizioni circa le forme con le quali deve essere data comunicazione del domicilio dichiarato o eletto e delle eventuali variazioni: sono state in gran parte riprodotte le omologhe previsioni contenute nell'art. 171 c.p.p. vigente. Come in altre disposizioni, e' stato attribuito al difensore il potere di attestare l'autenticita' della sottoscrizione dell'imputato. In apposita disposizione di attuazione sara' disciplinato l'obbligo di indicare il domiciliatario all'atto della elezione di domicilio. L'articolo 163 contiene una norma di rinvio, giacche' richiama le disposizioni previste dall'art. 157 anche per le notificazioni eseguite a norma degli artt. 161 e 162. L'articolo 164 prevede che la determinazione del domicilio a norma degli artt. 161 e 162 e' valida per ogni stato e grado del processo, salva, ovviamente, l'ipotesi dell'imputato detenuto. L'articolo 165 prevede che le notificazioni all'imputato latitante o evaso vengano eseguite mediante consegna al difensore di fiducia o, in mancanza, a quello di ufficio, dal quale l'imputato e' rappresentato ad ogni effetto. L'articolo 166 detta disposizioni in tema di notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente e si e' previsto che la notificazione oltre che al tutore o curatore speciale debba essere eseguita anche nei confronti dell'interdetto e dell'incapace, non potendosi aprioristicamente escludere che gli stessi siano in grado di rendersi conto della natura e del contenuto dell'atto da notificare. L'articolo 167 si limita a richiamare, per le notificazioni ai soggetti diversi da quelli fin qui indicati, le disposizioni previste dai commi 1, 2, 3, 4 e 7 dell'art. 157, salvi i casi di urgenza previsti dall'art. 149. L'articolo 168 disciplina in maniera analitica il contenuto della relazione di notificazione, al fine di consentire un effettivo controllo sulla regolarita' della stessa. La norma, anche se piu' dettagliata, non si discosta molto dal vigente art. 176 c.p.p. Con l'articolo 169, che recepisce i princi'pi contenuti nelle sentenze della Corte costituzionale n. 31/65, n. 70/67 e n. 177/74, e' stato riprodotto il regime attualmente previsto dall'art. 177- bis c.p.p. Novita' di rilievo e' tuttavia rappresentata dal fatto che, laddove l'imputato non provveda a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato nel congruo termine di trenta giorni dalla ricezione dell'invito, in luogo della emissione del decreto di irreperibilita' previsto dalla vigente disciplina, si e' stabilito che le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. Sulla scorta di condivisibili affermazioni giurisprudenziali, e' apparso infatti irragionevole prevedere il richiamo al decreto di irreperibilita' (che ha efficacia limitata alla fase in cui e' stato emesso) per disciplinare una situazione di fatto, come quella dell'imputato di cui sia nota la residenza o la dimora all'estero, che con la irreperibilita' in senso stretto non ha nulla a che vedere. Correlativamente, si e' stabilito che la disciplina prevista dal comma 1 si applica anche nei confronti dell'imputato che, gia' dichiarato irreperibile, risulti essersi trasferito all'estero. Recependo taluni princi'pi formulati da organismi internazionali, e' stato previsto, al comma 3, che l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato deve essere redatto nella lingua dell'imputato straniero, se dagli atti non risulta che egli conosca la lingua italiana. Si e' ritenuto, poi, di dover conferire valore precettivo alle considerazioni svolte nella motivazione della citata sentenza della Corte costituzionale n. 177 del 19 giugno 1974, in ordine alle ricerche da svolgere anche all'estero, nei limiti consentiti dal diritto internazionale. Conseguentemente e' stata prevista al comma 4 l' cui al comma 1, disponendosi in tal caso l'obbligo di esperire ricerche anche fuori del territorio dello Stato, nei limiti consentiti dalle convenzioni internazionali, prima di emettere il decreto di irreperibilita'. Si e' stabilito, infine (comma 5), di prevedere che l'invito di cui al comma 1 debba essere rivolto anche nel caso in cui venga disposta la custodia cautelare, laddove risulti che l'imputato e' detenuto all'estero; cio' al fine di consentire all'imputato stesso di esercitare il diritto di difesa in relazione al procedimento del quale puo' essere totalmente all'oscuro, malgrado dagli atti risulti la sua detenzione all'estero. L'articolo 170 riproduce il vigente art. 178 c.p.p. E' sembrato opportuno mantenere senza limiti la possibilita' di utilizzare il servizio postale quale mezzo di notificazione, non essendo emerse controindicazioni di un qualche pregio. Le ipotesi di nullita' della notificazione (articolo 171) sono in gran parte identiche a quelle previste dall'art. 179 c.p.p. Novita' di rilievo sono l'ipotesi di nullita' per l'omesso avvertimento di cui all'art. 161 commi 2 e 3, quando la notificazione e' stata eseguita mediante consegna al difensore, e quella prevista dalla lettera h), concernente l'inosservanza delle prescrizioni del giudice in tema di notificazioni "a forma libera" (art. 150). TITOLO VI TERMINI Le innovazioni apportate alla disciplina dei termini processuali riguardano quasi esclusivamente l'istituto della restituzione in termini, che la legge-delega ha espressamente menzionato in relazione al potere di impugnazione dell'imputato giudicato in contumacia che non abbia avuto conoscenza del provvedimento da impugnare (direttiva 82) ed in relazione all'opposizione al decreto penale (direttiva 46 ultima parte). Non concerne, invece, la materia qui trattata la direttiva 80 della legge-delega, secondo la quale deve collegarsi al giudicato la restituzione in termini in caso di accertata inosservanza di norme imposte per l'emissione del decreto di irreperibilita'. La specificita' della materia, che in sostanza configura un'ipotesi di contestazione del giudicato, ha consigliato l'inserimento della relativa regolamentazione tra gli incidenti di esecuzione. In ordine alle singole disposizioni del titolo, l'articolo 172 richiama, con alcuni miglioramenti formali, le disposizioni contenute negli artt. 180 e 181 del codice vigente. L'unificazione discende dalla considerazione che anche la determinazione del momento della scadenza del termine stabilito per presentare dichiarazioni, depositare documenti o compiere atti in un ufficio giudiziario, costituisce una di quelle regole generali che la norma, secondo la rubrica, intende enunciare. L'articolo 173 corrisponde all'art. 182 del codice vigente. Nel comma 1, pero', si e' inserita una disposizione di carattere generale sull'individuazione dei termini stabiliti a pena di decadenza, la quale e' analoga a quella prevista dal codice di procedura civile (art. 152 comma 2). L'articolo 174 ricalca la norma dell'art. 183 del codice vigente. Tuttavia, mentre per il prolungamento del termine di comparizione dell'imputato residente in Italia si e' provveduto ad adeguarne l'entita' alle mutate condizioni delle vie e dei mezzi di comunicazione fissando al contempo il limite massimo di tre giorni, per cio' che si riferisce all'imputato residente all'estero si e' inteso stabilire dei parametri di commisurazione, individuati nella distanza e nei mezzi di comunicazione utilizzabili, al fine di sottrarre alla discrezionalita' del giudice la determinazione dell'entita' del prolungamento del termine. L'articolo 175 apporta diverse innovazioni ampliative dell'istituto della restituzione nel termine. Il comma 1 amplia la sfera dei soggetti legittimati ad ottenere la restituzione nel termine: non piu' soltanto le parti private, secondo quanto dispone il primo comma del vigente art. 183- bis, ma anche i difensori ed il pubblico ministero. Quanto a quest'ultimo, per la precisione, la disposizione in esame, col farne espressa menzione, analogamente alla formula contenuta nell'art. 126 del codice del 1913, svolge un ruolo di semplice chiarificazione, giacche' anche attualmente nessuno dubita che il pubblico ministero possa essere restituito nel termine scaduto. Non cosi', invece, quanto ai termini stabiliti a pena di decadenza per il compimento di attivita' processuali di esclusiva pertinenza del difensore. E' noto infatti che, nonostante reiterati tentativi di interpretare il riferimento alle sole parti di cui al vigente art. 183- bis, nel senso di includervi anche il difensore, la giurisprudenza e' consolidata sulla soluzione negativa. Cio' ha indotto ad accogliere la tesi piu' estensiva sulla base della elementare considerazione che anche le attivita' processuali riservate al difensore sono sempre funzionali all'esercizio di diritti spettanti alla parte sulla quale soltanto, in definitiva, verrebbe a ricadere l'ingiustificato pregiudizio per l'impossibilita' di ammettere il suo difensore alla restituzione in termini. La soluzione prescelta consentira' di rispondere agevolmente ad altri quesiti. A parte l'ovvia legittimazione del difensore a proporre richiesta di restituzione per un termine inosservato dalla parte, anche oggi riconosciuta dalla giurisprudenza, e' logico che ad identica conclusione si dovra' giungere quando nel termine stabilito a pena di decadenza il compimento dell'atto spetti, alternativamente o separatamente, alla parte ed al difensore. Nel primo caso, che si verifica quando la legge fa generico riferimento alla parte, resta ferma la rilevanza del solo impedimento riguardante quest'ultima, che dovra' dimostrare anche l'intervenuta impossibilita' di conferire l'incarico al difensore; se, invece, l'incarico vi e' stato, il difensore potra' utilmente addurre il suo impedimento, ma dovra' anche provare l'impossibilita' di informare la parte. Nel secondo caso, che si verifica quando la legge assegna distinti termini alla parte ed al difensore, sia unico o meno il momento della relativa decorrenza, sara' rilevante il solo impedimento di chi richiede la restituzione nel termine. Per quanto riguarda i presupposti della restituzione, l'art. 175 conferma, in linea generale, quelli oggi previsti del caso fortuito e della forza maggiore, ma, nel comma 2, ad essi aggiunge - nei casi di maggior rilievo considerati, come si e' visto, dalla legge-delega la mancata conoscenza effettiva del provvedimento da impugnare da parte dell'imputato contumace o del condannato con decreto penale, sempre che questa mancata conoscenza non sia da attribuirsi a colpa del soggetto che chiede la restituzione. Altro ampliamento dell'istituto deriva dal comma 3, ove l'attuale divieto di restituzione nel termine per piu' di una volta nel corso del procedimento e' stato mitigato rendendolo operativo nell'ambito di ciascuno dei gradi del processo. Lo sbarramento opera, ovviamente, in modo autonomo per la parte e per il suo difensore, trattandosi di soggetti legittimati differenti. Dal comma 3 in poi l'art. 175 regola il procedimento per la decisione sulla richiesta di restituzione nel termine. Al riguardo le norme attualmente vigenti sono state modificate al fine di renderle applicabili anche alla nuova ipotesi di restituzione prevista nel comma 2, la quale si fonda su un diverso presupposto. A questa particolare ipotesi si riferisce anche il comma 8 che rende irrilevante rispetto alla prescrizione del reato il tempo di durata del procedimento occorso per la restituzione, qualora questo si sia concluso in senso favorevole per il richiedente. L'articolo 176 stabilisce il principio che, in ossequio anche ad esigenze di economia processuale, la restituzione nel termine non puo' mai determinare regressione del processo: alla rinnovazione degli atti provvedera' sempre il giudice che ha disposto la restituzione, ovviamente in quanto possibile. Inoltre, poiche' la incolpevole inosservanza del termine stabilito a pena di decadenza determina una interruzione del contatto del legittimato col processo, gli atti suscettibili di rinnovazione non possono essere tutti, ma solo quelli ai quali la parte aveva diritto di assistere. Il comma 2 contiene una naturale deroga alla predetta regola della non regressione per il caso di restituzione nel termine disposta dalla corte di cassazione. Nonostante essa in questo caso possa decidere anche nel merito, la rinnovazione degli atti non potra' che competere a quel giudice di merito dinanzi al quale si svolsero senza la consentita presenza del legittimato. TITOLO VII NULLITA' Premessa. Nella legge-delega 3 aprile 1974, n. 108 il sistema delle nullita' era regolato dalla direttiva 6 che si limitava a disporre: "non incidenza dei vizi meramente formali degli atti sulla validita' del processo; insanabilita' delle nullita' assolute". Dai lavori preparatori si ricava che tale disposizione intendeva espressamente: a) sancire il principio della irrilevanza dei vizi meramente formali, in linea con quanto disposto dalla direttiva 1 della medesima legge, che prescriveva la "massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attivita' non essenziale"; b) enucleare la categoria delle nullita' assolute, dichiarandole espressamente insanabili; c) rimettere al legislatore delegato la determinazione delle varie ipotesi di nullita', specificandone la natura. Problema lasciato aperto dal legislatore delegante del 1974, e vivamente dibattuto in seno alla Commissione redigente, fu quello relativo all'opportunita' di introdurre, in forza del contenuto precettivo della prima parte della citata direttiva 6, un sistema di nullita' imperniato sul criterio della lesivita' sostanziale dell'atto nullo, cioe' un sistema in cui, pur in presenza di una difformita' dell'atto rispetto alla fattispecie legale, non si producesse alcuna nullita', qualora l'atto avesse raggiunto lo scopo, nonostante il vizio di forma. La soluzione recepita nel Progetto preliminare del 1978 fu quella di escludere l'adozione generalizzata del criterio contenutistico, realizzando, per converso, il principio della "non incidenza dei vizi meramente formali degli atti sulla validita' del processo" mediante la previsione di un ampio regime di decadenze e sanatorie e la drastica limitazione dei casi di nullita' assolute. L'altra questione di fondo lasciata impregiudicata dalla legge-delega del 1974 - se, cioe', sostituire la categoria delle nullita' di ordine generale con un diverso schema normativo imperniato soltanto su nullita' speciali, di volta in volta qualificate assolute o relative - venne risolta nel Progetto del 1978 negativamente, dopo un primo tentativo in senso opposto. Si prese atto, al riguardo, del fatto che una comminatoria in via specifica delle singole ipotesi di nullita' avrebbe appesantito eccessivamente la struttura del nuovo codice e, soprattutto, sarebbe stata inevitabilmente incompleta e, percio', rischiosa. Va osservato infine che il Progetto del 1978, i cui lavori preparatori si conclusero quando non era ancora entrata in vigore la l. 8 agosto 1977, n. 534 (che ha recato le note modifiche all'art. 185 c.p.p.), ha conservato la tradizionale distinzione delle nullita' in assolute e relative senza considerare l'adozione di una terza categoria analoga a quella poi introdotta dall'art. 6 della legge ora citata. Piu' articolata e' la direttiva in materia di sanzioni processuali contenuta nella direttiva 7 della nuova legge-delega che - nella sua formulazione definitiva, frutto di una travagliata gestazione parlamentare - prescrive al legislatore delegato la "previsione espressa sia delle cause di invalidita' degli atti che delle conseguenti sanzioni processuali, fino alla nullita' insanabile per i vizi di capacita' e costituzione del giudice, per le violazioni del diritto all'intervento, alla assistenza e alla rappresentanza delle parti e per altri casi predeterminati". Dato atto che, con il testo ora riportato, la delega ha inteso affermare il principio di tassativita' sia dei vizi invalidanti l'atto processuale che del tipo di conseguenze che ne debbono scaturire, sono stati esaminati due problemi interpretativi di carattere generale. Ci si e' chiesto innanzitutto se la previsione di sanzioni processuali "fino alla nullita' insanabile" riguardi soltanto "i vizi di capacita' e costituzione del giudice" o si riferisca anche alle "violazioni del diritto all'intervento, all'assistenza e alla rappresentanza delle parti e per altri casi predeterminati". Il dubbio era sorto a seguito della intervenuta soppressione, nel corso dei lavori parlamentari (Senato, Assemblea, Seduta del 20 novembre 1986), della virgola dopo le parole "nullita' insanabile". E' stato pero' facile osservare come dai lavori preparatori emerga chiaramente che non si e' voluto operare alcuna distinzione nel trattamento delle violazioni sopra indicate alle quali vanno quindi collegate le stesse conseguenze. Il secondo problema riguarda il significato e la portata da attribuire alla previsione di sanzioni processuali "fino alla nullita' insanabile" per i casi ivi previsti. Posto che la direttiva puo' essere interpretata nel senso dell'obbligo di prevedere sempre la nullita' insanabile per tutti i vizi ivi indicati ovvero di prevedere anche detta nullita' per i vizi medesimi, si e' ritenuta piu' corretta e aderente ai princi'pi ispiratori del nuovo processo tale seconda soluzione. E' chiaro infatti che sarebbe oltremodo gravosa per un sollecito ed efficace svolgimento del processo l'insanabilita' di ogni vizio concernente l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza di tutte le parti. A tal punto e' stata presa in considerazione la disciplina stabilita dai commi 2 e 3 dell'art. 185 c.p.p. per le nullita' di ordine generale, con particolare riguardo alla categoria delle nullita' variamente definite come "a regime intermedio" o "assolute affievolite" o "relativamente assolute". Tali nullita', previste appunto dal citato comma 3, sono rilevabili anche di ufficio ma non in ogni stato e grado del procedimento sibbene entro tempi determinati. Come e' noto, detraendo dalle nullita' generali previste dall'art. 185 comma 1 c.p.p. quelle dichiarate insanabili dal comma 2, risulta che le nullita' a regime intermedio riguardano la partecipazione del pubblico ministero al procedimento, nonche' l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato, fatta eccezione per la sua "omessa citazione" e per la "assenza" del difensore nel dibattimento; si discute poi se in tale categoria debbano farsi o meno rientrare le nullita' concernenti la "nomina" del giudice e quelle attinenti al "numero" dei componenti un collegio giudicante. La "riforma" dell'art. 185 c.p.p. operata dall'art. 6 l. 8 agosto 1977, n. 534, e che ha introdotto la categoria delle nullita' a regime intermedio, ha inteso corrispondere all'esigenza di un piu' rapido ed efficace svolgimento del processo, senza compromettere gli interessi fondamentali dei relativi soggetti. Partendosi dalla constatazione, che la direttiva 7, come e' stato gia' notato, non obbliga il legislatore delegato a prevedere la nullita' insanabile per ogni vizio concernente la capacita' e la costituzione del giudice e per ogni violazione del diritto all'intervento, all'assistenza e alla rappresentanza delle parti e per altri casi predeterminati, ma si limita a stabilire l'obbligo di prevedere anche la nullita' insanabile per le irregolarita' sopra indicate, si e' deciso di utilizzare, per quanto opportuno e con le forme piu' idonee, accanto alle nullita' insanabili, la categoria delle nullita' risultante dall'attuale art. 185 comma 3 c.p.p. In tal modo verranno tutelati i fondamentali interessi in gioco nel processo penale, sara' evitata la proliferazione di vizi insanabili e verra' colmato lo scarto eccessivo tra le nullita' assolute e le altre nullita' di ordine generale sottoposte, nel Progetto preliminare del 1978, al regime delle nullita' relative (art. 172). Illustrazione degli articoli L'articolo 177 riproduce, salve poche modifiche di forma, la norma stabilita nell'art. 184 c.p.p. che enuncia il principio di tassativita', nel senso che occorre una espressa comminatoria di legge, formulata in via generale o in relazione a specifiche disposizioni, perche' l'inosservanza delle prescrizioni di legge assurga a causa di nullita'. L'articolo 178 contiene la previsione delle nullita' di ordine generale seguendo, con il comma 1, lo schema normativo delineato dal primo comma dell'art. 185 c.p.p. Il comma 2 riguarda materia non trattata espressamente ne' dall'art. 185 c.p.p. ne' dall'art. 170 del Progetto del 1978 e della quale ci occuperemo fra breve. Va innanzitutto ricordato che per il combinato disposto degli artt. 178, 179 e 180 il sistema qui seguito si distingue da quello adottato nel Progetto del 1978 in quanto configura come nullita' a regime intermedio quelle che, menzionate nell'art. 170 ma non comprese nelle nullita' insanabili previste dall'art. 171, si risolvevano in nullita' relative. Quanto al contenuto del comma 1 dell'articolo in esame va osservato che nella lettera a), difformemente dal n.1) del primo comma dell'art. 185 c.p.p. e dall'art. 170 del Progetto del 1978, non si fa piu' riferimento alla "nomina" del giudice, oltre alle condizioni di capacita' e al numero dei giudici necessario a costituire i collegi giudicanti. Premesso che neppure la direttiva 7 menziona la nomina, facendo riferimento solo alla capacita' e costituzione del giudice, il discorso va correlato col disposto del comma 2 dell'articolo di cui ci occupiamo. Si deve infatti osservare che se per "nomina" del giudice si intende semplicemente l'ammissione alle funzioni giurisdizionali, si rientra nella capacita' di esercizio "generica" e quindi nelle "condizioni di capacita' del giudice" espressamente menzionate nella lettera a). Se invece, seguendo una contrastata corrente giurisprudenziale e dottrinale, si ritiene che il concetto di nomina comprende anche la destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni nonche' la formazione dei collegi, si rientra nel disposto del comma 2 dell'articolo in esame che esclude nullita' di qualsiasi specie per l'inosservanza delle disposizioni che regolano queste materie. Con tale esclusione ci si e' uniformati ai rilievi espressi dalla Commissione per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale e al processo minorile, per la quale una previsione di nullita' (non importa di quale specie) per la violazione delle norme riguardanti le disposizioni da ultimo accennate si sarebbe negativamente riflettuta su delicate questioni di ordinamento giudiziario. Fra l'altro, considerata l'attuale situazione normativa, sarebbe stato necessario disciplinare l'assegnazione dei magistrati agli uffici, alle loro interne articolazioni e ai collegi, nonche' definire i criteri per l'assegnazione dei processi alle sezioni, ai collegi e ai giudici, in modo da consentire appunto il giudizio sulla violazione delle relative norme da parte del giudice delle nullita'. Senza parlare poi delle interrelazioni che si potrebbero determinare tra procedure amministrative, eventuale contenzioso e questioni di nullita' del processo penale. Va rilevato altresi' che con la lettera c) dell'art. 178 la comminatoria in via generale delle nullita' per violazione dei diritti della difesa, e' estesa dall'imputato alle altre parti private costituite (parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria) e comprende espressamente anche la citazione in giudizio dell'offeso dal reato e del querelante. Cio' sia in ossequio alla direttiva 7 che in materia fa riferimento alle parti e non al solo imputato, sia a tutela dei diritti che immancabilmente vanno riconosciuti anche all'offeso dal reato e al querelante. Il che peraltro non comporta una assoluta parita' di trattamento, come risultera' dal successivo art. 179. Va comunque sottolineato il particolare rilievo che assume l'inserimento delle nullita' riguardanti la citazione in giudizio dell'offeso dal reato e del querelante nel novero delle nullita' di ordine generale. Senza richiamare le complesse questioni che hanno preceduto e seguito la sentenza della Corte costituzionale 20 dicembre 1968, n. 132 con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' dell'art. 422 c.p.p. "nella parte in cui prevede la sanatoria della nullita' di cui all'art. 412 stesso codice, in relazione al precedente art. 408, anche nei confronti della parte civile, dell'offeso dal reato e del querelante", e' sufficiente rilevare che il passaggio della nullita' in parola dalla categoria delle nullita' relative, come fino ad oggi ritenuto dalla giurisprudenza, a quella delle nullita' intermedie, consentira' una piu' puntuale applicazione dei principi enunciati nella citata sentenza della Corte. L'articolo 179 individua e disciplina le nullita' assolute, caratterizzate dall'insanabilita' e dalla rilevabilita' anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Quanto all'area di applicazione, l'articolo in esame, oltre a prevedere che il carattere assoluto possa essere attribuito a singole figure di nullita' da specifiche disposizioni di legge, individua le ipotesi di nullita' di ordine generale che sono soggette a tale regime. Come emergera' dall'esame dell'art. 180, le fattispecie di nullita' previste dall'art. 178 e non rientranti in quelle menzionate dall'art. 179, confluiscono nella categoria delle c.d. nullita' a regime intermedio. Non sara' inutile rilevare che la direttiva 7 non fa riferimento alla nullita' "assoluta", ma alla nullita' "insanabile"; cio' perche', come si ricava dai lavori preparatori della Camera dei Deputati (atto n. 691, 21 ottobre 1983), "una modifica di forma ha eliminato, al punto 6" (ora 7) "il riferimento alla categoria delle nullita' assolute che avrebbe potuto ingenerare equivoci dopo le modifiche apportate al regime delle nullita' dalla l. 8 agosto 1977, n. 534". Circa l'individuazione delle nullita' assolute, va rilevato innanzitutto che sono state incluse in tale categoria tutte le nullita' previste dall'art. 178 comma 1 lettera a), cioe' quelle riguardanti le condizioni di capacita' del giudice (nel senso che gia' si e' detto) e il numero dei componenti i collegi. Per le disposizioni concernenti l'attivita' del pubblico ministero si e' limitata l'attribuzione del carattere assoluto alle nullita' concernenti l'iniziativa nell'esercizio dell'azione penale. In tal modo, identico a quello stabilito dall'art. 185 comma 2 c.p.p., le nullita' concernenti la partecipazione del pubblico ministero al procedimento sono state fatte rientrare nella categoria di quelle a regime intermedio. Criteri ulteriormente riduttivi sono stati applicati per le ipotesi previste dalla lettera c) dell'art. 178. Innanzitutto non e' stata prevista alcuna nullita' assoluta per le violazioni concernenti l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza delle parti private diverse dall'imputato nonche' la citazione in giudizio dell'offeso dal reato e del querelante. Tale orientamento e' stato determinato dal rilievo che la tutela dei diritti di detti soggetti, opportunamente garantita con l'inserimento delle ipotesi di violazione nel novero delle nullita' di ordine generale, non deve necessariamente avere intensita' uguale a quella concernente i diritti dell'imputato; e cio' in rapporto alle diverse rispettive posizioni. In proposito la Corte costituzionale ha dichiarato che "il presidio predisposto per le garanzie difensive puo' essere legittimamente di diversa intensita' e d'altra parte la differenza di trattamento non contrasta col principio di eguaglianza in quanto la collocazione e la situazione processuale delle parti private da un lato e dell'imputato dall'altro non sono sullo stesso piano" (Corte cost., 3 luglio 1975, n. 172). Per queste ragioni si e' ritenuto che la tutela assicurata ai diritti delle parti private diverse dall'imputato con il regime previsto dall'art. 180 sia idonea a contemperare le esigenze difensive delle stesse con la prospettiva di un sollecito ed efficace processo. Per quanto riguarda l'imputato, e' rimasta insanabile la "omessa" citazione che va intesa come riferita non al solo dibattimento, ma anche a momenti diversi, come, ad esempio, l'udienza preliminare (art. 416). Si deve aggiungere fin d'ora che tale sistema e' piu' favorevole all'imputato rispetto a quello previsto nel Progetto del 1978. Infatti, secondo la disciplina in esame, l'omessa citazione e' in ogni caso insanabile, mentre nel Progetto era sanabile con la comparizione dell'imputato o la sua rinuncia a comparire (art. 175 comma 1). La insanabilita' e' pure prevista per le nullita' concernenti l'assenza del difensore "nei casi in cui ne e' obbligatoria la presenza". E' stata quindi ritenuta sufficiente la garanzia ridotta ai casi ivi specificati, considerando che l'assenza del difensore nelle ipotesi diverse dara' luogo comunque a nullita' d'ordine intermedio. L'articolo 180 e' gia' stato sostanzialmente illustrato nelle osservazioni via via formulate per gli articoli precedenti. Qui e' sufficiente notare che le nullita' di ordine intermedio sono rilevabili anche di ufficio, non pero' in ogni stato e grado del procedimento ma nei termini stabiliti dall'articolo in esame (salvo quanto si dira' per l'art. 182); mentre, per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 182, non possono essere eccepite da chi vi ha dato o e' concorso a darvi causa ovvero non ha interesse all'osservanza della disposizione violata. Per quanto riguarda in particolare i termini entro i quali dette nullita' vanno eccepite o rilevate si osserva che mentre per l'art. 185 comma 3 c.p.p., il termine scade, per quelle verificatesi nella "istruzione", una volta che siano state compiute le formalita' di apertura del dibattimento, l'articolo in esame protrae il termine per le nullita' incorse nelle fasi che hanno preceduto l'apertura del dibattimento, alla chiusura del dibattimento di primo grado; se si sono verificate nel giudizio, il termine scade con la chiusura del dibattimento del grado successivo. In proposito va ricordato che la "chiusura" del dibattimento interviene con la relativa dichiarazione pronunciata dal presidente quando siasi "esaurita la discussione" (art. 517). L'articolo 181 individua, al comma 1, con sistema "ad esclusione", le nullita' a cui e' attribuito il carattere relativo. Con la locuzione "nullita' diverse da quelle previste dall'articolo 178" intende escludere, come e' chiaro, sia quelle assolute che quelle a regime intermedio. Naturalmente, vanno pure escluse le "nullita' definite assolute da specifiche disposizioni di legge" menzionate nell'art. 179 comma 2. Relative sono pertanto le nullita' non riconducibili all'art. 178 e non definite assolute da specifiche disposizioni di legge. Lo stesso comma 1, (il quale afferma che tali nullita' "sono dichiarate su eccezione di parte") va inteso nel senso che possono essere dedotte solo dalla parte (che ha interesse alla osservanza della disposizione violata: art. 182) e non sono rilevabili di ufficio. Cio' in coerenza anche con il carattere accusatorio che distingue il nuovo processo. I commi successivi determinano i limiti cronologici entro i quali la parte deve, nelle diverse fasi del procedimento, eccepire la nullita' relative. Detti termini sono stabiliti a pena di decadenza, secondo quanto disposto dall'art. 182 comma 2. Come si legge nella Relazione al Progetto del 1978, la non rilevabilita' di ufficio delle nullita' relative e quindi il potere riconosciuto in materia soltanto alle parti, ha posto il problema "di impedire che una parte strumentalizzi tale suo potere di chiedere l'invalidazione di un atto ritardando la proposizione dell'istanza con l'intento di allungare i tempi processuali". Il problema venne risolto "oltre che con la previsione di un sistema di decadenze legate ai singoli stadi procedurali, con l'attribuzione al giudice del potere di assegnare alle parti, nel corso degli atti di istruzione (l'unica fase, cioe', in cui un tale potere acquisti un rilievo apprezzabile) un termine anticipato rispetto a quello previsto ex lege per la deduzione delle nullita' istruttorie" (Relazione, p. 153 e 154). Per tale motivo, nell'art. 173 comma 4 del Progetto del 1978 venne disposto: "Il giudice che rileva una delle predette nullita' puo' assegnare alle parti interessate un congruo termine entro il quale chiedere la declaratoria della nullita'". Tale disposizione venne pero' criticata da qualche Consiglio giudiziario, in quanto poteva implicitamente essere intesa come un "incitamento a sollecitare eccezioni di nullita'" e risultava "in contrasto con la posizione di terzieta' del giudice". Si e' pertanto ritenuto, sia per i motivi ora riferiti, sia per la non eccessiva ampiezza dei termini previsti, di non riprodurre il rimedio sopra indicato. L'articolo 182 dispone, nel comma 1, limiti alla deducibilita' delle nullita', valevoli sia per le relative (con il riferimento all'art. 181) che per quelle a regime intermedio (con il riferimento all'art. 180): le nullita' in parola non possono essere eccepite da chi abbia dato o sia concorso a dare causa alla nullita' o non abbia interesse all'osservanza della disposizione di cui si denuncia la violazione. Si tratta, come e' chiaro, della disposizione oggi prevista dall'art. 187 comma 2 c.p.p.; solo che mentre in questo articolo la materia era inserita nel quadro delle "sanatorie generali", nel Progetto e' piu' esattamente prevista in via autonoma. Infatti, se per comune accezione si intende come "sanatoria" l'elemento nuovo che nasce da un atto o comportamento successivo e si combina con l'atto irregolare in modo da sostituire l'elemento la cui mancanza ha dato luogo alla nullita', e' chiaro che detta qualifica non puo' essere attribuita alle ipotesi ora menzionate. La seconda parte del comma 1, estendendo all'intero arco del processo la disposizione che l'art. 471 c.p.p. riserva al dibattimento, pone a carico della parte che assiste al compimento di un atto l'onere di dedurre immediatamente le eventuali nullita'. Se la parte non ha assistito al compimento dell'atto, la nullita' va eccepita, per quelle a regime intermedio, nei termini previsti dall'art. 180 e, per le nullita' relative, nei termini di cui all'art. 181. L'ultimo comma dichiara, con norma di carattere generale, che i termini per rilevare o eccepire le nullita' sono stabiliti a pena di decadenza. L'articolo 183, applicabile alle nullita' a regime intermedio e a quelle relative, disciplina le cause di sanatoria. Esso, in corrispondenza con quanto previsto dall'art. 187 comma 3 c.p.p., contempla i seguenti fatti: la rinuncia espressa ad eccepire la nullita' o l'accettazione anche tacita degli effetti dell'atto; l'esercizio della facolta' a cui l'atto omesso o nullo era preordinato. Con quest'ultima previsione si e' individuata la causa di sanatoria enunciata in chiave di "raggiungimento dello scopo". Si e' ritenuto opportuno modificare la formula per ancorare l'operativita' della sanatoria al dato inequivoco dell'esercizio