esecuzione ad un provvedimento cautelare formalmente viziato. L'articolo 293 concerne gli adempimenti esecutivi delle ordinanze che dispongono misure cautelari, in una prospettiva piu' ampia di quella del Progetto del 1978, essendo coinvolte anche attivita' di organi diversi da quelli di polizia giudiziaria. Nel comma 1 si segnala l'inserzione di quanto e' volto a dare attuazione alla direttiva 5 della legge-delega circa gli avvertimenti funzionali all'esercizio del diritto di difesa, mentre nel comma 2 e nel comma 3 alcuni ritocchi alla disciplina gia' prevista dal Progetto del 1978 mirano ad una maggior chiarezza di normativa, sempre in relazione all'esercizio di diritti che spettano all'imputato od al suo difensore. Nel comma 4, infine, si e' trasferita, generalizzandola per tutte le misure interdittive, una disposizione gia' prevista dal precedente Progetto preliminare per la sola sospensione dalla potesta' genitoriale, e volta a consentire un raccordo tra l'esercizio dei poteri cautelari nell'ambito del processo penale e l'esercizio di poteri conferiti in via ordinaria ad organi estranei a tale processo. Nell'articolo 294 e' data attuazione alla direttiva 60 della legge-delega, concernente l'interrogatorio dell'indiziato in stato di custodia cautelare. Come piu' diffusamente illustrato nelle considerazioni introduttive al titolo V del libro V, la Commissione, muovendo dalla considerazione della natura di "strumento di difesa" dell'interrogatorio (direttiva 5), dopo un lungo ed approfondito dibattito, ha ritenuto, a maggioranza, di dover concedere in taluni casi al giudice il potere-dovere di esaminare l'imputato con le modalita' dell'interrogatorio, ma con finalita' sostanzialmente diverse da quelle dell'interrogatorio del pubblico ministero, vale a dire a fini di controllo e di garanzia, e non di investigazione. Tale potere-dovere e' stato cosi' attribuito (oltre che al giudice dell'udienza preliminare) al giudice che ha disposto la custodia cautelare, al fine di consentire, attraverso il contatto diretto con l'indiziato ristretto, l'acquisizione degli elementi necessari per un'immediata verifica della sussistenza dei presupposti della misura cautelare disposta. In ragione di tale sua specifica finalita', peraltro espressamente sancita nel comma 5, la norma in esame e' stata collocata fra le norme concernenti le misure cautelari personali. I commi 1 e 2 riproducono, con gli adattamenti imposti dalla legge-delega, le disposizioni dell'attuale art. 365 c.p.p. Al fine di evitare che il numero e la dislocazione degli indiziati possano, di fatto, pregiudicare la praticabilita' dell'interrogatorio, si e' previsto, nel comma 4, il ricorso alla "rogatoria". Nel comma 6 si e' infine stabilito che l'interrogatorio, cui il pubblico ministero puo' autonomamente procedere nell'ambito dei suoi poteri di indagine, possa anche precedere l'interrogatorio del giudice, purche' non rechi intralcio o ritardo al compimento di questo. La disciplina appena descritta si applica evidentemente anche a chi sia custodito in luogo di cura o a chi si trovi agli arresti domiciliari, stante l'assimilazione di quest'ultima misura alla custodia cautelare (art. 284 comma 5). L'articolo 295 e l'articolo 296 sono strettamente legati tra loro, anche e soprattutto dal punto di vista dell'integrazione che e' stata apportata al primo di essi. Tra le attivita' successive alla constatazione dell'esito infruttuoso delle ricerche per dare esecuzione alle misure cautelari, si sono infatti volute espressamente menzionare, e disciplinare, le intercettazioni di comunicazioni, in questo caso dirette all'ulteriore ricerca del latitante, anziche' all'acquisizione di prove per la decisione finale. Sostanzialmente invariata, rispetto alla disciplina del Progetto del 1978, e' rimasta d'altronde la normativa direttamente dedicata alla latitanza. L'articolo 297 (corrispondente all'art. 286 del Progetto del 1978) che regola il computo dei termini di durata delle misure cautelari, e' stato oggetto di ampio riesame. Sono comunque rimasti sostanzialmente immutati i primi due commi, con la conferma, nel comma 1, della disciplina vigente per quanto concerne la decorrenza degli effetti della custodia cautelare (nel cui ambito va compresa, come oggi, anche la misura degli arresti domiciliari, per effetto dell'ultimo comma dell'art. 284) e con la precisazione relativa alla decorrenza delle altre misure, contenuta nel comma 2. Nel comma 3, in rapporto ai casi di concorso tra diversi titoli cautelari relativi al medesimo fatto, si e' fissata una normativa che ricalca quella dell'art. 271 comma 3 c.p.p., mentre nel comma 5 - concernente il cumulo tra titolo sanzionatorio e titolo cautelare si e' integrata la disciplina gia' prevista dal Progetto preliminare del 1978 con una precisazione che a sua volta si modella su quella dell'ultimo comma del citato art. 271 c.p.p. Assai discussa, nell'ambito della Commissione, e' stata la previsione del comma 4, che riflette una soluzione di "congelamento" di tempi dibattimentali, identica a quella introdotta, nel nostro ordinamento, con l'art. 2 l. 17 febbraio 1987, n. 29. Nonostante il permanere di dubbi, si e' infatti ritenuto che questa soluzione potesse considerarsi sostanzialmente autorizzata dalla direttiva 61 della legge-delega, nella parte in cui giunge a consentire la soluzione - ritenuta meno "garantista" per l'imputato e la difesa - della sospensione dei termini di custodia "durante il dibattimento in relazione allo svolgimento e alla complessita' dello stesso". Priva di modifiche, rispetto alla versione del Progetto preliminare del 1978, e' la normativa dell'articolo 298, in tema di sospensione dell'esecuzione delle misure cautelari personali, connessa alle esigenze di esecuzione di un ordine di carcerazione. CAPO V ESTINZIONE DELLE MISURE In questo capo sono disciplinati tutti quei fenomeni in cui si concretizza il venir meno degli effetti delle misure cautelari personali, nonche' le cause ostative al loro verificarsi (rinnovazione e proroga). Nell'articolo 299 si e' racchiusa la disciplina della revoca, ossia di quel fenomeno estintivo che presuppone una valutazione sulla sussistenza ex ante e sulla persistenza ex post delle condizioni di applicabilita' delle misure cautelari. Ripercorrendo la scelta gia' operata nel Progetto preliminare del 1978, si e' infatti ritenuto opportuno, per un'esigenza di semplificazione e di uniformita' di disciplina, ricomprendere in un unico istituto le ipotesi oggi previste dagli artt. 260, 269, 277 e 277- bis c.p.p., posto che la ratio delle stesse va individuata nella medesima esigenza di procedere ad una verifica della sussistenza dei presupposti che legittimano l'esercizio del potere cautelare. Con l'espresso e analitico rinvio, nel comma 1, alle norme che sanciscono le condizioni di applicabilita' generali e particolari in relazione alla singola misura, nonche' all'art. 274 che detta i criteri di valutazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari che giustificano l'emissione del provvedimento, si e' peraltro inteso chiarire, senza possibilita' di equivoco, che il potere di revoca e' soggetto alle medesime regole di discrezionalita' vincolata cui e' subordinato l'esercizio del potere cautelare. Nel comma 2, oltre ad essere ribadita la distinzione, gia' presente nella corrispondente disposizione del Progetto del 1978, tra assoluta mancanza e semplice attenuazione delle esigenze cautelari, che non comporta revoca bensi' sostituzione della misura, e' altresi' data autonoma rilevanza al principio di proporzionalita' sancito dalla direttiva 59 della legge-delega, prevedendosi che la misura cautelare disposta debba essere sostituita o applicata con modalita' meno gravose anche nel caso in cui la stessa non appaia piu' proporzionata all'entita' del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata. Nel comma 3 e' stabilita la competenza ad adottare i provvedimenti di revoca o di sostituzione delle misure cautelari in relazione alle varie fasi del procedimento. Al riguardo si e' ritenuta incompatibile con una corretta ripartizione dei ruoli tra pubblico ministero e giudice nella fase delle indagini preliminari l'attribuzione al giudice, che solo incidentalmente interviene in tale fase, di un autonomo potere di intervento volto alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari. Pertanto, mentre nell'udienza preliminare e nel corso del giudizio la revoca potra' intervenire anche di ufficio, durante le indagini preliminari la sollecitazione del provvedimento sara' rimessa alla iniziativa delle parti, configurandosi tuttavia a carico del pubblico ministero un potere-dovere di richiedere l'intervento del giudice quando siano venuti a mancare i presupposti della misura cautelare. Quale correttivo di tale anomala situazione si e' peraltro previsto, nel medesimo comma 3 dell'art. 299, che anche il giudice per le indagini preliminari possa intervenire ex officio allorche' sia investito del procedimento per l'esercizio di taluno dei suoi poteri funzionali (interrogatorio dell'indiziato in stato di custodia cautelare, proroga del termine per le indagini preliminari e incidente probatorio). Al medesimo fine di contemperare la predetta anomalia contribuiscono, per altro verso, la previsione di un termine di efficacia e della automatica estinzione allo spirare di detto termine delle misure cautelari con finalita' istruttorie, prevista dall'art. 301, nonche' l'automatica caducazione della custodia cautelare per mancato interrogatorio dell'imputato sancita dall'art. 302. Negli articoli 300, 301 e 302 sono disciplinati altri fenomeni estintivi che, pur nella loro diversita', si contrappongono unitariamente alla revoca, in quanto caratterizzati dall'automatismo delle conseguenze che si ricollegano al verificarsi di determinati eventi, salvo l'intervento di fattori ostativi, quali la rinnovazione e la proroga. Il primo di tali fenomeni e' preso in considerazione nell'articolo 300, ove si sottolinea l'incondizionato diritto della persona sottoposta a misura cautelare ad ottenere un'immediata reintegrazione dello status libertatis, in coincidenza con la pronuncia di sentenze di proscioglimento che scavalchino la precedente valutazione di probabile "colpevolezza" posta a base della misura; ovvero che, pur avendo contenuto di condanna, pongano in contrasto con il principio di proporzionalita' il permanere della misura (concessione della sospensione condizionale della pena, indulto, pena di durata non superiore a quella della custodia gia' sofferta). La normativa va letta, peraltro, tenendo conto anche del comma 2 del medesimo art. 300, ove si precisa che la sentenza di proscioglimento per infermita' mentale puo' comportare la conversione della custodia cautelare in carcere, eventualmente disposta in un momento anteriore, nella custodia in luogo di cura. Occorre, poi, tener conto, ovviamente di quanto disposto dall'art. 306, per il caso custodia caducata in relazione ad un determinato procedimento, ma non destinata a tradursi in cessazione dello stato detentivo nei confronti della persona per la quale sussistono altre ragioni di detenzione. La disciplina appena descritta riproduce sostanzialmente la corrispondente disciplina del Progetto del 1978. L'ultimo comma dell'articolo in esame prevede che l'imputato prosciolto e successivamente condannato per lo stesso fatto possa essere sottoposto a misure coercitive quando ricorrano le esigenze cautelari indicate nell'art. 274 comma 1 lettere b ) e c). In tal modo si e' data attuazione alla direttiva 63 della legge-delega che ha innovato in tal senso la delega del 1974, la quale invece sanciva l'assoluto divieto di sottoporre a misure coercitive l'imputato prosciolto sino al passaggio in giudicato della sentenza. L'articolo 301 si ricollega a quanto previsto dall'art. 292 comma 1 lett. d) ed ha l'intento di dare piena attuazione alla volonta' del legislatore delegante di vedere predeterminata la durata delle misure coercitive, se disposte a fini istruttori. Si e' pertanto prevista l'automatica estinzione delle misure disposte a tali fini, in coincidenza con lo spirare del termine fissato dal giudice nel provvedimento applicativo. Allo scopo di non rendere irragionevole (dal punto di vista degli obiettivi generali che il processo deve proporsi) una simile conseguenza, ed in considerazione del fatto che non sempre e' agevole calcolare con esattezza in anticipo la durata dei singoli atti istruttori cui e' preordinata una determinata misura, si e' ritenuto che il principio suddetto dovesse poter subire un temperamento. Si e' cioe' ammesso che, prima dello spirare del termine di caducazione, il giudice possa disporre una "rinnovazione" della misura, entro i limiti massimi risultanti dagli articoli 305 e 308. E' sembrato questo, d'altronde, l'unico strumento che, all'interno della logica prescelta dalla legge-delega, possa assicurare il contemperamento di esigenze altrimenti non componibili, di garanzia e di completezza dell'attivita' istruttoria. Nell'articolo 302, in attuazione della gia' citata direttiva 60 della legge-delega, e riproducendo una disposizione introdotta nell'attuale art. 365 c.p.p. dalla l. 28 luglio 1984, n. 398, si e' prevista l'automatica caducazione della custodia cautelare disposta nel corso delle indagini preliminari nel caso in cui il giudice non proceda all'interrogatorio entro il termine stabilito dall'art. 294. La misura potra' essere, tuttavia, nuovamente disposta dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, previo interrogatorio dell'indiziato nelle forme previste dal medesimo art. 294. Nel formulare la disposizione da ultimo citata si e' recepito l'orientamento giurisprudenziale, consolidatosi nell'interpretazione dell'art. 365 c.p.p., secondo il quale la scarcerazione automatica per il motivo in esame non puo' ritenersi, a differenza della scarcerazione automatica per decorrenza dei termini massimi della custodia cautelare, preclusiva dell'emissione di un nuovo provvedimento restrittivo della liberta' personale e cio' per la diversa e specifica ratio della scarcerazione per mancato interrogatorio, preordinata al solo fine di consentire all'imputato di difendersi in stato di liberta' relativamente ai reati che gli vengono contestati. Ne consegue che la misura potra' essere nuovamente disposta dopo che l'indiziato sia stato interrogato in stato di liberta' e sempre che, tenuto conto di quanto emerso nel corso dell'interrogatorio, ne ricorrano ancora i presupposti. Gli articoli 303-308 disciplinano gli effetti del decorso del tempo sulla durata della custodia e delle altre misure cautelari, in attuazione delle direttive 61, 62 e 65 della legge-delega. In particolare l'articolo 303 individua tutte le singole ipotesi in cui la caducazione per decorso del termine della custodia cautelare ha luogo, anche con riferimento alle ipotesi di scadenza del termine prorogato, la' dove la proroga e' consentita ai sensi dell'art. 305. Circa l'intrinseca complementarieta' della caducazione per decorrenza dei termini rispetto alle altre ipotesi di estinzione, non dovrebbero esservi dubbi in quanto e' detto esplicitamente che si tratta di termini di "durata massima" della custodia. La norma e' costruita in modo da dare spazio a tutta una serie di differenziazioni, a seconda delle varie fasi o dei vari gradi del procedimento, e con riguardo a differenti categorie di reati, individuati in base alla misura della pena per essi prevista. Pertanto sono stati individuati termini diversi e "autonomi" (secondo la precisa indicazione della direttiva 61) in rapporto alla fase delle indagini preliminari, al giudizio di primo grado, al giudizio di appello ed al successivo grado di giudizio, fino al passaggio in giudicato della sentenza, sulla falsariga di quanto gia' oggi previsto. In coerenza con questa scelta di "segmentazione" dei termini massimi di custodia, e' stato altresi' previsto (sempre in armonia con la legislazione vigente) che, nel caso di regresso del procedimento ad una diversa fase o di rinvio ad un diverso giudice, dalla data del relativo provvedimento, ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia, decorrano nuovamente i termini stabiliti dal comma 1, in relazione a ciascuno stato e grado del procedimento. Si e' poi prefissato un limite massimo per la durata complessiva della custodia cautelare, dovendosi tener conto al riguardo dei giorni esclusi dal computo nella fase del giudizio ai sensi dell'art. 297 comma 4, nonche' di tutte le proroghe previste dall'art. 305 (ma non delle ipotesi di sospensione ammesse dall'art. 304). Piu' precisamente, si e' stabilito che tale durata non possa superare i due anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge prevede la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, ovvero i quattro anni, quando si procede per un delitto punito con una pena piu' grave. Quest'ultima determinazione corrisponde, ovviamente, al limite massimo complessivo sancito per la custodia in carcere dalla direttiva 61 della delega. Nell'articolo 304 e' disciplinato il meccanismo della sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, con l'esplicita previsione della impugnabilita' della relativa ordinanza a norma dell'art. 310. Accanto alla tradizionale ipotesi correlata allo svolgimento di una perizia sullo stato di mente dell'imputato, sono state previste quali cause di sospensione nella fase di giudizio (in attuazione della direttiva 61 della delega) le ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento dietro richiesta, ovvero per impedimento dell'imputato o del suo difensore (sempreche' la sospensione o il rinvio non siano determinati da esigenze di acquisizione della prova o da concessione di termini per la difesa), nonche' la particolare ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento dovuta alla mancata presentazione, all'allontanamento ovvero alla mancata partecipazione di uno o piu' difensori (con evidente riferimento alla innovazione introdotta nel vigente articolo 272 c.p.p. dall'art. 2 l. 27 febbraio 1987, n. 29). Quanto alla proroga della custodia cautelare, l'articolo 305, concretizzando la direttiva 61 della legge-delega, per la verita' piuttosto generica, ne limita la possibilita' all'ambito delle indagini preliminari. Si prevede che, nel corso di tale fase, il pubblico ministero possa richiedere la proroga dei termini che siano prossimi a scadere, allorche' la prosecuzione della custodia sia imposta da gravi esigenze cautelari, in rapporto ad accertamenti particolarmente complessi. Competente a decidere sulla richiesta e' il giudice delle indagini preliminari, il quale, dopo avere sentito pubblico ministero e difensore, provvedera' con ordinanza (impugnabile a norma dell'art. 310), con la quale potra' concedere una proroga, anche rinnovabile, per un periodo comunque non superiore alla meta' del termine di custodia correlativamente previsto dall'art. 303 comma 1 lett. a). Tale periodo dovra' in ogni caso computarsi ai fini della durata complessiva della custodia cautelare, come disposto dal comma 3 dell'art. 303. L'articolo 306 riprende il contenuto normativo dell'attuale comma 1 dell'art. 276 c.p.p. Si e' tuttavia ritenuta opportuna un'inversione di prospettiva, a sottolineare anche da questo punto di vista che la regola e' la liberta' e che la prosecuzione dello stato detentivo, nonostante l'intervento di un fattore estintivo della custodia cautelare in un determinato processo, rappresenta l'eccezione. Quanto alla norma corrispondente all'attuale comma 2 dell'art. 276 c.p.p., essa dovra' venire trasferita tra le disposizioni di attuazione, per maggiore congruenza di struttura. Nell'articolo 307 e' stata racchiusa, isolandola dal contesto dell'articolo 303, la disciplina dei provvedimenti sostitutivi della custodia cautelare per l'ipotesi in cui questa venga meno in relazione al decorso dei termini legislativamente fissati. Ne risulta cosi' alleggerita la normativa che riguarda direttamente il fenomeno della caducazione per decorso dei termini, la quale altrimenti avrebbe rischiato di assumere dimensioni non lontane da quelle dell'attuale art. 272 c.p.p. Quanto al contenuto di tale normativa, ci si e' mossi essenzialmente lungo due direttrici, del resto in conformita' a quanto disposto dalla direttiva 62 della legge-delega. Da un lato, si e' stabilito che il venir meno della custodia cautelare per effetto del decorso del tempo autorizza tuttavia l'adozione, a carico dell'imputato scarcerato, delle altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, purche' siano rimaste ferme le ragioni giustificatrici del ricorso alla custodia. Per un altro verso, si e' adottato un regime di maggior rigore per l'ipotesi in cui - successivamente alla scarcerazione per decorso del termine - vengano a verificarsi delle situazioni nuove, e tali da far tenere in particolare considerazione le esigenze cautelari del caso di specie. In particolare si e' stabilito che la custodia cautelare, ove risulti necessaria alla stregua dei criteri indicati nell'art. 275, debba venire ripristinata anche a carico dell'imputato scarcerato, quando il medesimo abbia dolosamente trasgredito ad una delle misure cautelari impostegli in via sostitutiva (sempreche' ricorrano le esigenze di cui all'art. 274), ovvero quando sia sopravvenuta sentenza di condanna di primo o di secondo grado (sempreche' l'imputato si sia dato alla fuga, ovvero si accerti un concreto pericolo di fuga ai sensi del predetto art. 274 lett. b). In simili ipotesi di reviviscenza della custodia cautelare si e' stabilito che prendano a decorrere nuovamente i termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova, salvo restando pero' il computo della custodia anteriormente sofferta in vista della determinazione della durata complessiva della custodia cautelare a norma dell'art. 303 comma 3. Allo scopo di assicurare un intervento coercitivo immediato nei riguardi dell'imputato che, trasgredendo ad una delle misure cautelari impostegli in via sostitutiva, si sia dato alla fuga, il comma 4 dell'art. 307 prevede - senza discostarsi dalla direttiva 62 della delega - che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possano procedere al fermo del medesimo (sulla scia, del resto, della disciplina oggi emergente dagli articoli 272 comma 10 e 292 comma 3 c.p.p.). Si stabiliscono, quindi, adeguate norme per la comunicazione al procuratore della Repubblica dell'avvenuto fermo (al piu' tardi nel giro di ventiquattro ore) e per la sua convalida, da parte del giudice, prevedendosi altresi' la caducazione entro venti giorni del provvedimento di custodia cautelare emesso da quest'ultimo, se incompetente. Per quanto riguarda i termini di durata massima delle misure diverse dalla custodia cautelare, l'articolo 308 detta due distinte disposizioni a seconda che si tratti di misure coercitive (direttiva 61 della legge-delega) ovvero di misure interdittive (direttiva 65). Mentre rispetto alle prime la relativa durata massima e' prefissata facendo riferimento al doppio dei termini previsti dall'art. 303 per la custodia cautelare, con riferimento alle seconde si e' ritenuto opportuno stabilire che esse, di regola, perdano efficacia dopo la decorrenza di due mesi dall'inizio della loro esecuzione. Tuttavia, anche in quest'ultimo caso, quando si tratti di misure disposte per esigenze probatorie (evidentemente suscettibili di mantenere rilevanza anche oltre quel termine), e' prevista la possibilita' della loro rinnovazione anche al di la' del sessantesimo giorno, purche' sempre nel rispetto dei termini previsti per le misure coercitive diverse dalla custodia. CAPO VI IMPUGNAZIONI Nella disciplina delle impugnazioni, ci si e' sforzati di costruire - attorno all'essenziale nucleo di normativa deducibile dal principio di "riesaminabilita', anche nel merito, del provvedimento che decide sulla misura di coercizione dinanzi al tribunale in camera di consiglio, con garanzia del contraddittorio e ricorribilita' per cassazione" (direttiva 59 della legge-delega) - un sistema organico, poggiante sugli istituti del riesame, dell'appello e del ricorso per cassazione, ma in una prospettiva che e' parsa piu' adeguata dell'attuale alle esigenze di garanzia, di tempestivita' e di efficienza delle decisioni. In particolare, nell'articolo 309 si e' disciplinato l'istituto del riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva in via autonoma rispetto all'istituto dell'appello (cui e' dedicato l'articolo successivo), operando cosi' una scelta che, anche rispetto a precedenti impostazioni ispirate all'idea di una disciplina cumulativa, dovrebbe giovare sul piano della chiarezza sistematica. Definito l'ambito oggettivo del riesame con riferimento alle ordinanze applicative di una misura coercitiva - salvo che si tratti di ordinanza emessa dietro appello del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 310, nel qual caso sara' proponibile soltanto ricorso per cassazione - come titolare del diritto al riesame viene individuato l'imputato, accanto al quale risulta esplicitamente menzionato anche il difensore, stabilendosi per l'uno e per l'altro un diverso regime di decorrenza del termine per la proposizione della relativa richiesta. La competenza a decidere sulla richiesta di riesame e' attribuita al tribunale del capoluogo della provincia in cui ha sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza, ed alla cancelleria di quel tribunale (diversamente da quanto avviene oggi) deve essere direttamente presentata la predetta richiesta. Quanto al contenuto di quest'ultima, si prevede che essa possa recare contestualmente la enunciazione degli eventuali motivi, ma si ammette altresi' che il proponente possa enunciare nuovi motivi dinanzi al giudice del riesame, facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione. La caratteristica di rapidita' coessenziale al procedimento di riesame e' sottolineata dalla previsione che il tribunale emetta la sua decisione entro otto giorni dalla ricezione degli atti, provvedendo in camera di consiglio secondo il modello procedurale (e, quindi, con le corrispondenti garanzie di contraddittorio) descritto nell'art. 126, salva una necessaria abbreviazione da dieci a cinque giorni, prima della data dell'udienza, del termine per il corrispondente avviso al pubblico ministero, all'imputato ed al suo difensore. L'esigenza del rispetto del termine di otto giorni fissato per la decisione e' sottolineata dalla tradizionale previsione per cui - nel caso di inosservanza di quel termine - la misura cautelare disposta con l'ordinanza assoggettata a riesame deve ritenersi immediatamente caducata. Per quanto riguarda l'esercizio dei poteri decisori da parte del tribunale, si definisce anzitutto, con maggiore chiarezza rispetto alla vigente disciplina, la tipologia dei provvedimenti adottabili a seguito della richiesta di riesame (declaratoria di inammissibilita'; annullamento, riforma o conferma dell'ordinanza), precisandosi altresi' che la decisione possa tener conto anche degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza. Si riconosce poi esplicitamente al tribunale, sulla scia di un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato in tema di "tribunale della liberta'", il potere di decidere senza particolari vincoli sul piano della cognizione: piu' precisamente, l'ordinanza impugnata potra' essere annullata, o revocata, anche per motivi diversi da quelli enunciati nella richiesta di riesame, o successivamente ad essa, mentre potra' essere confermata anche sulla base di ragioni diverse da quelle gia' indicate nella sua motivazione. Rispetto alla disciplina dettata in materia di riesame, la regolamentazione prevista dall'articolo 310 per l'istituto dell'appello in materia de libertate assume una fisionomia per vari aspetti residuale, pur abbracciando un ambito oggettivo e soggettivo di notevole ampiezza. Titolari del potere di appello sono l'imputato ed il pubblico ministero (per il quale, non essendogli attribuito alcun potere di proporre richiesta di riesame, si tratta dell'unica possibilita' di impugnazione nel merito), e l'area dei provvedimenti assoggettabili ad appello e' individuata con riferimento a tutte le ordinanze relative ad una misura cautelare personale, diverse da quelle assoggettabili a riesame ai sensi dell'art. 309 comma 1. Circa i profili procedurali, vengono espressamente richiamate le disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3, 4 e 6 del medesimo art. 309 (quindi anche per quanto riguarda la competenza del tribunale ivi indicato, senza distinguere a seconda del giudice che abbia emesso l'ordinanza appellata), specificandosi inoltre che i motivi debbano venire enunciati contestualmente all'appello. Viene altresi' stabilito che il tribunale decida entro trenta giorni dal ricevimento degli atti, osservando la procedura camerale di cui all'art. 126. Per il resto, deve ritenersi implicito il rinvio alla disciplina dell'appello, in quanto non risulti diversamente disposto, ivi compresa la previsione dell'effetto limitatamente devolutivo tipico del mezzo di impugnazione in oggetto: ne consegue, dunque, che il tribunale, quale organo di appello, possa decidere soltanto nei limiti dei motivi enunciati dalle parti. Si stabilisce, infine, in attuazione del principio del favor libertatis, la sospensione della esecuzione (fino alla sua definitivita') dell'ordinanza con cui il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, abbia disposto una misura cautelare a carico dell'imputato. Quanto al ricorso per cassazione avverso le decisioni in materia di misure cautelari personali emesse dal tribunale a norma degli artt. 309 e 310, stabilisce l'articolo 311 che il ricorso debba venire proposto dai soggetti legittimati (pubblico ministero, imputato e difensore) entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento. Tuttavia il comma 2 del predetto art. 311, introducendo un istituto inedito rispetto all'attuale processo penale, configura la proposizione di un ricorso per saltum, la' dove autorizza l'imputato ed il suo difensore a ricorrere in cassazione per violazione di legge direttamente (cioe' prescindendo dalla richiesta di riesame) contro le ordinanze che abbiamo disposto una misura cautelare. In questo caso si stabilisce opportunamente - anche per sottolineare il particolare significato di una simile opzione difensiva - che la proposizione del ricorso rende di per se' inammissibile la richiesta di riesame, pur se gia' presentata. Nell'uno e nell'altro caso si tratta di un ricorso disciplinato secondo ritmi piuttosto serrati. Cio' risulta non solo dalla disciplina della sua presentazione, e della conseguente trasmissione degli atti ("entro il giorno successivo") alla corte di cassazione, da parte della autorita' giudiziaria procedente, ma altresi' dalla previsione dell'ultimo comma, che impone alla medesima corte di decidere entro trenta giorni dal ricevimento degli atti, secondo la procedura camerale di cui all'art. 126. In entrambe le ipotesi di ricorso previste dai commi 1 e 2 dell'articolo in esame si prevede che i motivi debbano venire enunciati contestualmente al ricorso, salva al ricorrente la facolta' di enunciare nuovi motivi davanti alla corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione. Per il resto, deve ritenersi implicito il rinvio alla disciplina generale del ricorso per cassazione, in quanto non risulti diversamente disposto. CAPO VII APPLICAZIONE PROVVISORIA DI MISURE DI SICUREZZA Negli articoli 312 e 313 e' stata disciplinata l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, con esplicito riferimento ai "casi previsti dalla legge" (cioe' dall'art. 206 c.p.), attraverso il richiamo ad alcune tra le piu' qualificanti disposizioni dettate in materia di misure cautelari. Si e' posto il problema se le esigenze emergenti dall'art. 206 c.p. potessero venire soddisfatte dalla disciplina della custodia cautelare in luogo di cura prevista dall'art. 286 per il caso dell'imputato infermo di mente, ma si e' constatato che la questione sarebbe comunque rimasta aperta in rapporto alle altre situazioni per le quali il medesimo art. 206 c.p. prevede l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza. Per conseguenza, finche' rimanga ferma quest'ultima disposizione sembra necessario dettare una sia pur sintetica disciplina processuale dell'istituto. Qualora, invece, si ritenesse che le suddette esigenze possano venire soddisfatte attraverso le comuni misure cautelari, senza farsi luogo alla applicazione provvisoria di misure di sicurezza, allora occorrerebbe prevedere, in sede di coordinamento, l'abrogazione dell'art. 206 c.p. (come si prevede che avverra' per l'art. 140 c.p. a seguito della autonoma disciplina delle misure cautelari interdittive, ritenuta sostitutiva di quella concernente l'applicazione provvisoria delle pene accessorie). CAPO VIII RIPARAZIONE PER L'INGIUSTA DETENZIONE Negli articoli 314 e 315 e' contenuta la disciplina di un istituto di assoluta novita' per la nostra legislazione, in armonia con la direttiva 100 della legge-delega, dove il legislatore ha previsto accanto alla riparazione del classico errore giudiziario, vale a dire del giudicato erroneo (gia' oggetto della disciplina vigente), anche la riparazione per la "ingiusta detenzione". Sullo sfondo di codesto intendimento normativo (gia' fatto proprio con chiarezza anche dalla legge-delega del 1974) si pone la sentenza della Corte costituzionale n. 1/1969, che proprio al legislatore ordinario aveva demandato il compito di specificare se, tra gli "errori giudiziari", dei quali l'art. 24 ult. comma Cost. prevede "le condizioni e i modi per la riparazione", dovesse o meno farsi rientrare la ingiusta carcerazione preventiva. Appunto in questa prospettiva va letto il disposto della gia' ricordata direttiva 100, nel quale l'esplicito riferimento, per di piu' in via prioritaria, alla "ingiusta detenzione", impone in concreto di estendere l'ambito della riparabilita' alla detenzione che, anche senza derivare da una sentenza passata in giudicato, dovesse risultare "non dovuta". Anche sulla scorta degli orientamenti emersi durante la scorsa legislatura, nel corso delle discussioni parlamentari su uno specifico disegno di legge in materia, si sono previsti due grandi gruppi di ipotesi di detenzione (rectius, di custodia cautelare, secondo la interpretazione accolta), nelle quali si profilano i presupposti di una situazione di "ingiustizia" rilevante ai fini di una "equa riparazione". Il primo gruppo si riferisce alla situazione dell'imputato che, dopo avere subito un periodo di custodia cautelare - alla quale non abbia dato causa, ne' concorso a dare causa, per dolo o colpa grave - sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile, anche al termine delle indagini preliminari, per non aver commesso il fatto, ovvero perche' il fatto non sussiste, o non costituisce reato, ovvero perche' fu compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta' legittima. Qui il rapporto tra la natura della formula di proscioglimento adottata e la restrizione subita dall'imputato sul piano della liberta' personale risulta di per se' sufficiente ad attestare ex post la sostanziale "ingiustizia" di tale restrizione. Diverse sono le situazioni contemplate nel secondo gruppo, dove si fa riferimento all'ipotesi dell'imputato (non importa se condannato o prosciolto) il quale, durante il processo sia stato sottoposto ad una misura di custodia cautelare, quando si sia accertato con decisione irrevocabile che il relativo provvedimento era stato emesso, o mantenuto, senza che sussistessero le condizioni idonee a legittimarlo. Qui non viene necessariamente in evidenza un profilo di "ingiustizia" sostanziale della restrizione subita dell'imputato mentre e' evidente la sua "illegittimita'" (cioe', per cosi' dire, la sua "ingiustizia" formale), ed anche quest'ultima situazione viene assunta a presupposto del diritto alla riparazione in capo all'imputato medesimo. Pur ricorrendo una ipotesi riconducibile all'ambito dei commi 1 e 2 dell'art. 314, il diritto alla riparazione e' tuttavia escluso (ritenendosi cosi' compensata la "ingiustizia" della restrizione subita dall'imputato) per quella parte della custodia cautelare che sia stata computata ai fini della determinazione della durata di una pena o di una misura di sicurezza, ovvero per il periodo in cui le relative limitazioni della liberta' personale siano state sofferte anche in forza di un altro titolo. Quanto ai profili procedurali, l'art. 315 dispone che la domanda di riparazione debba essere proposta entro diciotto mesi dal giorno in cui sia divenuta irrevocabile la decisione (di proscioglimento o di condanna) cui fanno riferimento il comma 1 e, rispettivamente, il comma 2 dell'articolo precedente; per il resto, invece, si richiamano in quanto compatibili le norme dettate per la procedura di riparazione dell'errore giudiziario. In ogni caso, l'entita' massima della riparazione per ingiusta detenzione e' fissata nella somma di cento milioni di lire. TITOLO II MISURE CAUTELARI REALI La disciplina dei provvedimenti cautelari in materia patrimoniale non trova nel sistema della legge-delega una delineazione sufficientemente precisa. La sola direttiva 65 riconosce al giudice il potere di disporre, in relazione a specifiche esigenze cautelari, oltre che misure interdittive anche "misure reali". Al di la' di questa direttiva di fondo, che autorizza la previsione di misure dirette a colpire il patrimonio accanto a quelle che incidono sulla persona, mancano indicazioni concrete su come costruire i congegni destinati ad operare nel processo. La Commissione ha interpretato la laconicita' della legge-delega anzitutto quale espressione di una volonta' del Parlamento intesa a riconfermare un istituto tradizionalmente presente nella nostra legislazione processuale come il sequestro conservativo penale (artt. 617- 621 c.p.p.). L'accostamento delle misure reali a quelle personali nell'ambito del genus "misure cautelari" ha, inoltre, suggerito di disciplinare separatamente il sequestro delle cose pertinenti al reato, finalizzato alla acquisizione del materiale probatorio: e' sembrato che il riferimento alle esigenze cautelari evocasse un vincolo piu' penetrante di quello che scaturisce in funzione delle sole esigenze probatorie, al punto da rendere possibile l'individuazione di limitazioni di ordine patrimoniale destinate ad operare come restrizioni di liberta' costituzionalmente garantite. La misura reale, in altri termini, crea l'indisponibilita' di cose o beni con una incisivita' analoga a quella che nasce dalla custodia cautelare e da altre forme di misure cautelari personali. Al fine di garantire l'esecuzione della sentenza che potra' essere pronunciata a conclusione del processo, ovvero quando occorre impedire che l'uso della cosa possa agevolare le conseguenze del reato od indurre a nuovi reati, si creano dei vincoli che, si potrebbe dire, dalla cosa passano alla persona, nel senso che il sequestro non mira semplicemente a trasferire nella disponibilita' del giudice cio' che deve essere utilizzato a fini di prova, ma tende piuttosto ad inibire certe attivita' (la vendita o l'uso) che il destinatario della misura puo' realizzare mediante la cosa. Da questa impostazione si e' ricavata la partizione della materia in due capi intesi a regolare, da un lato, il "sequestro conservativo", dall'altro, un nuovo tipo di misura cautelare, cui si e' attribuita la denominazione di "sequestro preventivo". CAPO I SEQUESTRO CONSERVATIVO Gli articoli da 316 a 320, che disciplinano l'istituto del sequestro conservativo, recepiscono le corrispondenti disposizioni del Progetto del 1978. In quella occasione la Commissione si era proposta di innovare la disciplina del sequestro conservativo, muovendo dalla necessita' di superare un assetto legislativo, quale quello rispecchiato dal codice vigente, in cui era largamente penetrato il pensiero della Scuola positiva, dominato in questo settore dall'idea della funzione sociale del risarcimento del danno da reato. In questa prospettiva l'istituto in questione era stato modellato quale strumento rispondente al bisogno di tutela della persona danneggiata dal reato, salvaguardandosi, con un giusto equilibrio dei vari interessi in gioco, anche i diritti dei terzi creditori dell'imputato e la liberta' del medesimo. Peraltro, gia' nel 1978, la Commissione aveva dovuto mettere nel debito conto la circostanza per cui una revisione completa e profonda dell'istituto del sequestro conservativo avrebbe necessariamente comportato una modifica della parte corrispondente del diritto penale sostanziale, non consentita dalla legge-delega (quale, ad esempio, la modifica dell'ordine interno dei crediti garantiti dal sequestro, che poteva portare a conseguenze negative rispetto alla liberta' personale del condannato quando, esaurite le misure patrimoniali per fare fronte alle pretese risarcitorie della parte civile, non residuano somme per il pagamento della pena pecuniaria). Era stata percio' proposta una disciplina che intendeva contemperare i diversi interessi nel rispetto della competenza attribuita dal legislatore delegante. Si e' ritenuto di recepire quella disciplina. Va peraltro sottolineato che e' stata mantenuta la soppressione dell'istituto dell'ipoteca legale gia' operata nel Progetto del 1978. Tale istituto rappresenta un relitto storico di un epoca in cui era sconosciuto l'istituto del sequestro conservativo civile sui beni immobili, introdotto con il codice di procedura civile del 1940. Con la creazione di un unico provvedimento cautelare idoneo ad operare sui beni immobili si sgombra il terreno da tutte le difficolta' interpretative originate dall'attuale dualita' di strumenti e si allinea il sistema ai principi della legge-delega che ha privato il pubblico ministero di ogni potere cautelare in materia di liberta' personale, lasciando intendere che non puo' sopravvivere un potere cosi' incisivo come quello di iscrivere ipoteca, oggi riconosciuto al pubblico ministero dall'articolo 616 c.p.p. Al riguardo la precedente Commissione consultiva aveva osservato che la abolizione dell'ipoteca legale avrebbe finito per incidere su una norma del codice penale (art. 189), esulando cosi' dalla disciplina propriamente processuale sulla quale e' chiamato ad intervenire il legislatore delegato. Venne pero' gia' a suo tempo replicato dalla precedente Commissione redigente che la collocazione attuale della garanzia ipotecaria nel vigente codice penale e' frutto di una visuale dogmatica superata dalla moderna dottrina e dalla stessa elaborazione giurisprudenziale che attribuiscono ormai a questo istituto la natura di provvedimento cautelare parallelo al sequestro conservativo, che pure trova parzialmente il suo fondamento normativo nella legge penale sostanziale. L'articolo 316 ricalca essenzialmente, nel comma 1, la formula del codice vigente, da cui si discosta solo nella parte in cui prevede il sequestro di beni immobili e quello "presso terzi" ("somme o cose a lui dovute") nella linea dell'art. 671 c.p.c. E' stato soppresso il riferimento alle ragioni creditorie rivendicabili dall'istituto sanitario pubblico e dallo stesso difensore per il pagamento dell'onorario, del tutto obsolete nella prassi (art. 189 comma 1 nn. 4 e 6 c.p.). Ci si e' attenuti al criterio della effettivita' della tutela cautelare nell'attuale esperienza giudiziaria ed ai limiti della qualita' di parte dei soggetti cui riconoscere la legittimazione (il pubblico istituto sanitario e il difensore non potrebbero ovviamente costituirsi parte civile nel procedimento). Il comma 2 conferma questa impostazione, la' dove esclude implicitamente che l'offeso dal reato non costituito parte civile possa richiedere il sequestro conservativo o "giovarsi" della misura cautelare richiesta dal pubblico ministero. Anche il significato della estensione ex lege sancita dal comma 3 va colto con riguardo ai poteri della parte civile: poiche' l'art. 320 comma 2 attribuisce un diritto di prelazione alla parte civile rispetto allo Stato, era inevitabile prevedere che il sequestro disposto a seguito della richiesta del solo pubblico ministero spiegasse i suoi effetti anche in favore della parte civile, che ha in ogni caso diritto a soddisfare il suo credito in via prioritaria nella fase esecutiva. L'estensione cui allude l'espressione "giova" nell'art. 316 comma 3, opera percio' in relazione al procedimento di opposizione ed alla fase esecutiva in cui il danneggiato regolarmente costituito puo' inserirsi anche se non abbia proposto una richiesta autonoma di sequestro. Va rilevato che il sequestro conservativo puo' essere chiesto anche nel corso delle indagini preliminari. L'articolo 317 regola la competenza in tema di sequestro conservativo, sulla falsariga delle disposizioni contenute nel vigente art. 617 c.p.p. Nessuna innovazione e' stata apportata alla disciplina delle modalita' esecutive della misura cautelare, che rimangono percio' distinte da quelle previste per il sequestro conservativo civile, per quanto attiene all'impulso, che non e' rimesso alla parte che ha chiesto il provvedimento (v. invece artt. 675 e 678 c.p.c., in linea con la necessita' della convalida, che manca nella misura cautelare penale), mentre si identificano con le stesse per cio' che riguarda le formalita' dettate per il pignoramento dei beni mobili e la necessita' della trascrizione nei registri immobiliari per i beni immobili (art. 679 c.p.c.). In caso di estinzione del sequestro (situazione da parificarsi a quella che consegue alla revoca della misura da parte del giudice dell'opposizione), si e' invece previsto che la cancellazione della trascrizione debba essere richiesta al conservatore dei registri immobiliari dal pubblico ministero in virtu' della sua investitura in executivis. L'articolo 318 prevede la facolta' di chiedere il riesame del provvedimento di sequestro conservativo, anche nel merito, con rinvio alla disciplina generale sul riesame di provvedimenti (art. 324). Del tutto nuovo rispetto alla legislazione vigente e' l'articolo 319 (corrispondente all'art. 305 del Progetto del 1978), nel quale tuttavia appaiono ricomprese in un unico contesto due previsioni gia' presenti separatamente nell'attuale sistema (v. artt. 189 comma 5 c.p. e 618 comma 4 c.p.p.). La cauzione puo' fungere da evento impeditivo ovvero sostitutivo del sequestro, a seconda del momento in cui viene offerta o prestata. Si e' cercato di precisare meglio i parametri della discrezionalita' del giudice, prendendo spunto dalla formulazione dell'art. 684 c.p.c. La novita' piu' rimarchevole, nella disciplina dell'esecuzione sui beni sequestrati, riguarda il fenomeno della conversione del sequestro in pignoramento, espressamente previsto dall'articolo 320 (corrispondente all'art. 306 del Progetto del 1978). Stabilito che la misura cautelare patrimoniale puo' spiegare effetti solo a vantaggio di chi sia parte nel processo penale, viene meno l'ostacolo oggi esistente quanto alla configurabilita' di una vicenda estintiva del sequestro, in conseguenza del giudicato di condanna, che porrebbe i creditori non muniti di titolo esecutivo nella impossibilita' di rispettare i termini previsti dal codice di procedura civile per dare l'avvio alla fase esecutiva. L'ulteriore ostacolo al realizzarsi della conversione in pignoramento, dovuto al rischio di travolgere il privilegio, legato nelle sue origini al provvedimento del giudice, e' stato superato prevedendo espressamente che l'estinzione del sequestro lascia sopravvivere il privilegio. Si e' avuto cura di precisare che il procedimento esecutivo e' di competenza del giudice civile e si svolge secondo le forme prescritte dal codice di rito civile. CAPO II SEQUESTRO PREVENTIVO Nella predisposizione della normativa che da' vita a un tertium genus accanto al sequestro a fini di prova ed al sequestro conservativo, si e' partiti da due termini di riferimento: da un lato, dal sistema processuale penale vigente che, sia pure in termini sfumati e non privi di sfasature sistematiche, non disconosce il fine preventivo della misura di coercizione reale (ad esempio, in tema di rapporti tra sequestro e confisca; in materia di frodi agrarie, di caccia, di pesca; il c.d. sequestro automobilistico, ecc.). Dall'altro lato, dalla esperienza giuridica degli ultimi anni, cha ha visto affacciarsi sempre piu' di frequente l'adozione di misure di coercizione reale volte ad interrompere l'iter criminoso o ad impedire la commissione di nuovi reati (si pensi al sequestro delle costruzioni o delle lottizzazioni abusive; al sequestro di pellicole cinematografiche e di prodotti alimentari; al sequestro di impianti nei processi per inquinamento o per infortuni sul lavoro). E" noto che la giurisprudenza della Corte costituzionale e della cassazione ha ritenuto la legittimita' del sequestro disposto in funzione dell'interesse sostanziale alla prevenzione del reato, richiamando a tale proposito l'art. 219 c.p.p. Avuto riguardo al fatto che la legge-delega (direttiva 31) non ignora l'esigenza di impedire che il reato venga portato a ulteriori conseguenze, sia pure con riguardo ai compiti di polizia giudiziaria, la disciplina della nuova misura cautelare e' stata elaborata essenzialmente con tre obiettivi: 1) offrire una base unitaria a figure disperse nelle leggi speciali e affioranti in modo frammentario nel codice; 2) approntare un sistema di rimedi in favore delle persone che vengono colpite da questa misura, particolarmente grave per la sua potenzialita' lesiva di diritti costituzionali che si ricollegano all'uso della cosa sequestrata (liberta' di manifestazione del pensiero in caso di film; attivita' economica, ecc.); 3) rendere razionale e controllabile il passaggio dall'una all'altra forma di sequestro, per evitare che la pluralita' dei fini, in astratto perseguibili mediante il vincolo, possa indurre a pretestuose protrazioni dell'indisponibilita' della cosa a danno dell'avente diritto. Piu' in generale, e' sembrato che i rilevanti effetti che scaturiscono dalla misura cautelare penale, in una prassi che va estendendone sempre piu' l'area di applicazione del provvedimento, rendessero necessaria una previsione normativa tale da obbligare il giudice ad enunciare le finalita' della misura al momento della sua applicazione, in modo da consentire sempre, alla persona che ne e' colpita, di provocare un controllo sul merito e sulla legittimita' della stessa, anche per quanto attiene alla ragione d'essere della sua persistenza. Si e' ritenuto infine di sottolineare che fondamento dell'istituto in questione resta l'esigenza cautelare: precisamente quella di tutela della collettivita' con riferimento al protrarsi della attivita' criminosa e dei suoi effetti. L'articolo 321 riflette il punto d'arrivo di una approfondita discussione che faceva perno sulla strumentalita' necessaria tra sequestro e confisca. Il proposito era quello di delimitare, mediante un rinvio alla nozione di "cose di cui e' consentita la confisca", l'area di operativita' del sequestro preventivo, cosi' da escludere che esso potesse trovare attuazione fuori dei confini segnati dall'art. 240 c.p. e dalle leggi speciali in cui e' espressamente riconosciuto al giudice il potere di confisca. In contrario, si e' tuttavia fatto rilevare come questa visuale restrittiva potesse inibire l'iniziativa del giudice almeno in due casi importanti: quello delle costruzioni abusive, per le quali la prevalente giurisprudenza della corte di cassazione esclude il potere di confisca del giudice penale in ragione dell'analogo potere di demolizione che le leggi amministrative attribuiscono al sindaco; quello del prezzo del riscatto nei reati di sequestro di persona a scopo di estorsione, la cui "immunita'" dalla confisca risulta chiaramente dall'art. 240 comma 3 c.p., in forza del requisito della appartenenza a persona estranea al reato. Il testo e' stato percio' formulato in modo da costruire una fattispecie nella quale non figura il presupposto della confiscabilita' della cosa (comma 1), e si pone invece l'accento sui fini della misura cautelare piu' che sulla caratterizzazione delle cose materiali su cui essa e' destinata ad incidere (la formula "pertinente al reato" assume infatti un significato scarsamente delimitativo). Il legame tra sequestro e confisca e' stato invece fatto riaffiorare, come previsione specifica ed autonoma, nel comma 2. L'opposizione al sequestro preventivo e' stata disciplinata nell'articolo 322 mediante la previsione del riesame del provvedimento, secondo i principi generali (art. 324). L'estinzione del provvedimento e' nell'articolo 323 ricollegata alla pronuncia della sentenza di proscioglimento, ancorche' non definitiva, fuori dei casi in cui si tratti di cose per le quali la legge penale prevede la confisca obbligatoria. Il comma 2 regola il passaggio dal sequestro preventivo al sequestro a fini di prova. La norma e' applicabile a tutti i "sequestri di massa" (pellicole cinematografiche, sostanze o prodotti alimentari, ecc.). CAPO III IMPUGNAZIONI Gli articoli 324 e 325 disciplinano le impugnazioni avverso i provvedimenti di misura cautelare reale sulla falsariga dell'art. 343- bis c.p.p. PARTE SECONDA LIBRO V INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE La Commissione ha dato attuazione alle direttive della legge-delega in tema di indagini preliminari cercando di farne risaltare, fin dall'impianto sistematico del Progetto, la collocazione in un momento antecedente all'inizio dell'azione penale. Assunta l'imputazione come linea di confine tra il procedimento, nel quale trovano posto le attivita' della polizia giudiziaria e del pubblico ministero istituzionalmente inidonee a formare la prova utilizzabile nel dibattimento, ed il processo, che prende avvio con la richiesta di rinvio a giudizio o con uno degli atti introduttivi dei procedimenti speciali (art. 413), si e' inserita nel titolo VIII (Chiusura delle indagini preliminari) la normativa sugli epiloghi, interlocutori o definitivi, che non comportano la formulazione dell'accusa (richiesta di proroga dei termini o di archiviazione), riservando la disciplina della udienza preliminare ad una distinta sedes materiae del presente libro (titolo IX) e quella concernente i procedimenti speciali ad un autonomo libro VI. In linea logica l'architettura del Progetto avrebbe forse contrassegnato meglio la netta separazione tra attivita' di parte degli organi dell'investigazione e attivita' giurisdizionale se anche l'udienza preliminare fosse stata disciplinata al di fuori del libro delle indagini preliminari, nel contesto unitario della normativa del libro VI dedicata a tutti gli epiloghi che integrano forme di esercizio dell'azione penale, quali sono indubbiamente quelle che danno vita ai procedimenti speciali. Ma, da un lato, la necessita' di dare particolare rilievo alla materia tutta nuova dei riti differenziati, dall'altro, la natura anfibia dell'udienza preliminare che la legge-delega ha caratterizzato come luogo genuinamente processuale ma inidoneo a formare la prova destinata al dibattimento, hanno indotto la Commissione a mantenere l'istituto delineato dalla direttiva 52 della legge-delega all'interno del libro delle indagini preliminari. Nessun dubbio, invece, in ordine alla collocazione delle norme sull'incidente probatorio. Esse sono state inserite nel titolo VII, prima della disciplina attinente alla chiusura delle indagini, cosi' da mettere in luce l'intrinseca natura dell'istituto quale parentesi giurisdizionale che trova posto nel corso dell'attivita' demandata al pubblico ministero. Per rispettare la sequenza cronologica delle attivita' che si compiono all'interno delle indagini, le disposizioni sull'arresto in flagranza e sul fermo sono state inserite nel titolo VI, dopo le norme che disciplinano le investigazioni della polizia giudiziaria e del pubblico ministero. Non e' sembrato opportuno mantenere la sedes scelta dal Progetto del 1978 che collocava questo corpus normativo dopo la chiusura delle indagini preliminari, facendo cosi' perdere di rilievo il loro collegamento con la dinamica delle operazioni compiute dagli organi della investigazione. Il libro V e', dunque, dedicato alle indagini preliminari ed al piu' tipico dei loro epiloghi. Le norme in esso contenute disciplinano istituti nuovi (quali l'incidente probatorio e l'udienza preliminare) e disegnano il complesso di attivita' demandate, nella fase, al giudice per le indagini preliminari, al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria. Si tratta, per lo piu', di disposizioni profondamente innovative rispetto al codice vigente ed al Progetto preliminare del 1978 e che mirano a risolvere una delle piu' rilevanti ambiguita' dell'attuale sistema: quella rappresentata dall'esistenza di un giudice, il "giudice istruttore", cui sono attribuiti poteri inquisitori e dalla contemporanea esistenza di un pubblico ministero "giurisdizionalizzato", al quale, cioe', sono attribuiti anche poteri coercitivi e di formazione della prova. In ossequio alle direttive della legge-delega del 1987, le disposizioni del libro V conferiscono al pubblico ministero il ruolo di parte pubblica, deputata alla attivita' investigativa per la assunzione delle "determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale". Sotto altro aspetto, conferiscono alla fase in cui detta attivita' si svolge, le caratteristiche della fase pre-processuale finalizzata alla ricerca ed assicurazione delle "fonti di prova" ma non alla formazione di questa. Alla ridefinizione dei ruoli e della fase si accompagna la scomparsa della figura del giudice istruttore cui non e' assimilabile quella del giudice per le indagini preliminari la funzione del quale, emergente anche da altre parti del Progetto, e' quella di garanzia e di controllo sull'attivita' di indagine svolta dal pubblico ministero e sui tempi di essa. E, solo eccezionalmente, quella di procedere ad acquisizioni probatorie mediante il compimento di specifici "atti non rinviabili" al dibattimento. L'attribuzione al giudice per le indagini preliminari di un tale potere non determina il pericolo di sopravvivenza, sotto altre spoglie, dell'istruzione formale poiche', come si dira' nel commento al titolo VII relativo all'"incidente probatorio", profondamente diverse sono la finalita' di tale istituto e la posizione che nel suo svolgimento e' assunta del giudice. L'incidente probatorio e', di fatto, una parentesi anticipatoria del dibattimento collocata all'interno di una fase preprocessuale e ad esso spetta di conferire dignita' di "prova" ad atti il cui compimento non e' rinviabile. D'altronde, proprio del dibattimento, l'incidente probatorio ripete modalita' significative prevedendo l'esame diretto delle parti e del testimone oltreche' la presenza dell'imputato e dei difensori. Non puo' dedursi da cio' l'incompatibilita' dell'istituto con le indagini concernenti la criminalita' organizzata. Il pregiudizio per tali tipi di indagine potra' discendere solo da un cattivo uso dell'istituto medesimo che, anzi, per piu' aspetti, specie quello concernente la "cristallizzazione tempestiva della prova", appare consono proprio a quel tipo di indagini particolarmente complesse delle quali si tratta e alle quali il Progetto ha guardato con significativa attenzione sancendo, in funzione di esse, la possibilita' di termini piu' lunghi per la loro chiusura, di differimenti dell'incidente probatorio, di collegamenti investigativi tra pubblici ministeri ben piu' intensi di quelli attualmente consentiti. TITOLO I DISPOSIZIONI GENERALI L'articolo 326 specifica le finalita' delle indagini preliminari per ribadire che esse non possono piu' venir confuse con la fase della istruzione sommaria e chiarendo che tali finalita', in aderenza alla direttiva 37 della legge-delega, sono rappresentate esclusivamente dalla necessita' di delibare la notitia criminis al fine di configurarla entro una precisa imputazione e di scegliere un tipo di domanda da proporre al giudice competente. Questa limitata finalizzazione delle indagini preliminari, che emerge con evidenza dai lavori preparatori, costituisce uno dei punti salienti della riforma. Inoltre, pur considerando congiuntamente l'attivita' del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, l'art. 326 precisa che le indagini della polizia giudiziaria, anche se svolte per l'identica finalita' delle indagini dirette del pubblico ministero, si esercitano comunque nell'ambito di diverse attribuzioni. La norma trova le necessarie specificazioni nell'art. 56 (relativo alla polizia giudiziaria) e nell'art. 358 (attivita' del pubblico ministero): quest'ultimo chiarisce, in applicazione della direttiva 37, che le indagini del pubblico ministero non possono, in alcun caso, trascurare "gli elementi favorevoli all'imputato". L'articolo 327 conferma ancora l'aspetto unitario delle indagini del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, attribuendo al primo la loro direzione; principio, questo che si e' voluto testualmente richiamare per ribadire che non sara' piu' possibile, in futuro, una "preistruttoria" della polizia giudiziaria, autonoma ed antecedente alle indagini del pubblico ministero o che si svolga, comunque, al di fuori dei coordinamenti da tale organo predisposti. E' parsa inoltre questa la sede per sancire chiaramente il principio costituzionale della diretta disponibilita' della polizia giudiziaria, che ha gia' trovato articolata traduzione in una delle disposizioni del libro dedicato ai "soggetti" (art. 59). E' d'altronde parso che la formula della "direzione", non specificata in termini cronologici, fosse, in definitiva, la piu' idonea per sottolineare il carattere permanente del particolare rapporto che lega la polizia al pubblico ministero. Non e', cioe', sembrato opportuno stabilire che la direzione delle indagini e' assunta dal pubblico ministero quando egli ha avuto notizia del reato, e cio' per evitare che la polizia giudiziaria potesse sentirsi svincolata dal rapporto di dipendenza fino al perfezionamento del meccanismo di formale comunicazione della notitia criminis al pubblico ministero. L'articolo 328 menziona la figura, caratteristica del nuovo modello processuale, del giudice delle indagini preliminari, che, nel corso di questa fase del procedimento, provvede sulle richieste del pubblico ministero e delle parti private in tutti i casi previsti dal codice. L'articolo 329 disciplina l'istituto del segreto nelle indagini preliminari, ed intende dare attuazione alla prima ed alla terza parte della direttiva 71 della legge-delega. Le altre direttive di questo stesso numero, relative al divieto di pubblicazione, hanno trovato invece attuazione nell'art. 113. Dal testo della legge-delega e dai lavori preparatori risulta, invero, la necessita' di distinguere nettamente tra segreto e divieto di pubblicazione: quest'ultimo deve permanere anche quando le parti del processo ed i soggetti che hanno concorso a realizzare gli atti delle indagini preliminari non sono piu' tenuti al segreto. La regola fondamentale in tema di segreto e' posta dal comma 1 dell'art. 329, in conformita' della prima parte della direttiva 71 della legge-delega: in linea generale l'obbligo del segreto, sull'atto compiuto dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, cessa quando l'imputato ha la conoscenza o il diritto di conoscere l'atto stesso. In tal modo si e' oggettivizzata la segretezza senza collegarla alla individuazione dei soggetti ad essa obbligati, come invece fa l'art. 307 del codice vigente. I successivi due commi dell'art. 329 apportano due deroghe, di opposto contenuto, alla regola generale dettata dal comma 1. Il comma 2 consente al pubblico ministero di escludere il segreto per atti o parti di atti per i quali la pubblicazione sia necessaria per le indagini (es.: fotografie, identikit, etc.). Il comma 3 prevede, al contrario, la protrazione del segreto su singoli atti, pur quando essi siano conosciuti o conoscibili dall'imputato, qualora il pubblico ministero ritenga necessaria questa misura per la prosecuzione delle indagini (c.d. segretazione). La disposizione del Progetto precisa i presupposti necessari per l'esercizio di tale potere, previsto dalla terza parte della direttiva 71 (consenso dell'imputato ovvero rilevanza dell'atto da mantenere segreto per le indagini riguardanti persone diverse dall'imputato). Ambedue le deroghe alla regola generale sul segreto debbono essere disposte con decreto motivato. La correlazione tra segreto dell'atto e divieto di pubblicazione del suo contenuto - chiaramente espressa nel comma 1 dell'art. 113 - comporta che alla deroga al segreto (nell'una o nell'altra ipotesi) si accompagni anche una disciplina della pubblicazione dell'atto diversa da quella dettata dall'art. 113; anzi e' proprio la esigenza di anticipare o di posticipare tale pubblicazione, in relazione alle esigenze delle indagini, a giustificare la deroga al segreto. Per maggiore chiarezza, percio', i commi 2 e 3 dell'art. 329 si riferiscono anche all'istituto del divieto di pubblicazione dell'atto, disciplinato in generale nell'art. 113. Nell'art. 114 e' comminata la sanzione per la violazione del divieto di pubblicazione imposto a norma del comma 3 dell'art. 329. TITOLO II NOTIZIA DI REATO Il titolo II contiene un gruppo di disposizioni che costituiscono il nucleo essenziale della disciplina relativa alle notizie di reato. A differenza che nel codice vigente, esse sono state inserite fra le norme attinenti alla dinamica processuale, perche' si tratta di disposizioni caratterizzate proprio per i loro agganci con le prerogative e con i doveri degli organi incaricati di condurre le indagini preliminari. Assume particolare rilievo in proposito, l'articolo 330 che accentua l'esigenza di iniziativa del pubblico ministero (come organo d'impulso del processo) e della polizia giudiziaria (in quanto da lui dipende) nel prendere notizia dei reati, pur sottolineando, al tempo stesso, l'altro compito, loro spettante, di ricevere tali notizie nelle forme tipiche previste dalle disposizioni successive. A proposito di queste ultime, si puo' notare che gli articoli 331 e 332 qualificano "denuncia" quello che, nella terminologia del codice vigente, e' qualificato "rapporto". La scelta terminologica ha una sua giustificazione. Eliminato il "rapporto" della polizia giudiziaria, come atto avente una sua tipicita' nel quadro delle relazioni tra la stessa polizia giudiziaria ed il pubblico ministero, si e' ritenuto che potesse dare adito ad incertezze la conservazione del nomen iuris "rapporto" con riferimento a quelle informative di altri pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio, che l'art. 2 del codice vigente affianca appunto al "rapporto" della polizia giudiziaria. Pur mantenendo una relativa autonomia di disciplina, quanto ad obbligatorieta' di presentazione e quanto a modalita' di quest'ultima, tale specie di informative e' stata pertanto ricondotta al genere delle "denunce". Lo stesso inquadramento e la stessa terminologia, del resto, si rinvengono nel codice penale (cfr. gli artt. 361 e 362). La nuova disciplina della "denuncia" del pubblico ufficiale e dell'incaricato di pubblico servizio si discosta, in taluni punti, da quella dell'art. 2 c.p.p. vigente. In particolare, ed a prescindere dalla regola della forma scritta come forma vincolata per tale specie di denuncia (art. 331 comma 1), si e' cercato di descrivere un modello normativo piu' coerente con il carattere di atto pre-processuale, che va certamente riconosciuto alla denuncia anche quando essa proviene da un soggetto rivestito di pubblica autorita': pertanto nell'art. 332, che ne fissa il contenuto minimo, non si parla piu' di "elementi di prova raccolti", ma di "fonti di prova gia' note"; ne' di "testimoni", ma di "coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti". La denuncia, quando proviene da autorita' non appartenenti alla polizia giudiziaria, puo' essere presentata non solo al pubblico ministero (come oggi prevede l'art. 2 comma 3), ma anche ad un ufficiale di polizia giudiziaria (art. 331 comma 2). Questa alternativa e' esclusa nella sola ipotesi prevista nel comma 4. Quanto alla disposizione dell'art. 331 comma 3, non si tratta se non di un'estensione, a questo tipo di denuncia (in quanto obbligatoria), di una regola che il codice di procedura penale vigente gia' prevede in tema di referto cumulativo, e che in quest'ambito il progetto conferma (cfr. art. 334 comma 3). La disposizione dell'art. 331, ultimo comma obbedisce ad una esigenza di semplificazione. Si e', cioe', ricondotto alla categoria delle "denunce" dei pubblici ufficiali anche l'atto oggi previsto come "rapporto" dall'art. 3 c.p.p. vigente, con riferimento alle notitiae criminis emergenti dagli atti di un giudizio non penale. Fermo restando che in tal caso l'obbligo della "denuncia" incombe soltanto al giudice, non si e' ravvisata l'esigenza di conservare alla disposizione un'autonomia cosi' spinta da richiederne la collocazione in un apposito articolo di legge. Cio' anche perche' non si e' ritenuto di riprodurre nel codice di procedura penale la dettagliata disciplina delle ripercussioni che l'emergere della notitia criminis comporta sul corso del giudizio non penale. D'altronde, tale disciplina puo' dirsi, gia' oggi, largamente assorbita da quella contenuta in norme relative ad altri settori della fenomenologia processuale (cfr. in specie l'art. 295 c.p.c.). Nelle disposizioni di attuazione sara' inserita una norma secondo cui il pubblico ministero, quando risulta che il reato ha comportato un danno per l'erario, ne informa il procuratore generale della corte dei conti. Va infine precisato che l'art. 331 esordisce con una esplicita clausola di salvaguardia per quanto stabilito dall'art. 347 a proposito delle informative cui e' tenuta la polizia giudiziaria. L'ampliamento dei confini della categoria delle "denunce", rispetto alla tipizzazione del codice vigente, ha indotto ad inserire nell'articolo 333, e cioe' subito dopo le disposizioni sulle "denunce" dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio, la disciplina relativa a quelle che, gia' secondo la terminologia tradizionale, venivano definite "denunce" di privati. Al riguardo, il comma 1 dell'articolo si limita a riprodurre, con minime modifiche formali, il contenuto dei due commi dell'art. 7 c.p.p. Nel comma 2 dello stesso art. 333 sono precisate le modalita' di presentazione della denuncia da parte del privato, secondo uno schema non dissimile da quello che oggi risulta dal combinarsi dell'art. 8 e dell'art. 2 c.p.p. Non si e', peraltro, ritenuto di dover richiedere, per le denunce dei privati, un contenuto formale tipico, che del resto, anche oggi, e' reso assai sfuggente per il tenore del rinvio all'art. 2 contenuto nell'art. 8 c.p.p. ("in quanto e' applicabile"). Nell'ultimo comma dell'art. 333 e' enunciata la disciplina delle denunce anonime, sostanzialmente in modo non dissimile da quanto gia' oggi risulta dall'art. 141 del codice vigente. E' stata fatta salva la previsione dell'art. 240 in tema di acquisizione dei documenti anonimi quando costituiscono corpo del reato o provengono dall'imputato. Non e' stato invece riprodotto l'ultimo comma dell'art. 8 del codice vigente, relativo all'obbligo di trasmissione delle denunce eventualmente presentate a pubblici ufficiali. Fermi restando gli obblighi della polizia giudiziaria, di cui al successivo art. 347, si e' infatti ritenuto che una norma generale in questa sede fosse sovrabbondante: anche perche' non si puo' estendere troppo la cerchia dei soggetti tenuti a dare un seguito alle denunce dei privati. Cio' non esclude, beninteso, l'opportunita' di una disciplina particolare per determinate categorie di denunce private, in particolare per quelle dei detenuti: v., al riguardo, l'art. 122, comma 3. Si e' invece deliberato di prevedere, nelle disposizioni di attuazione, a carico degli uffici della polizia giudiziaria o del pubblico ministero tenuti a ricevere le denunce, l'obbligo di rilasciare una ricevuta, che puo' tornare utile al privato, sia ai fini della dimostrazione di aver osservato il dovere di presentare denuncia (quando questa e' obbligatoria), sia, in ogni caso, ai fini della prova relativa a rapporti giuridici di natura extrapenale (si pensi, ad esempio, ad eventuali controversie con la societa' assicuratrice per un danno da reato). Si disporra', pertanto, che l'autorita' alla quale e' presentata una denuncia rilasci, a richiesta del denunciante, ricevuta con l'indicazione delle generalita' e del domicilio del denunciato, se risultano dall'atto. L'articolo 334 disciplina il "referto" secondo uno schema ripreso, in larga parte, dal codice vigente anche per quel che concerne l'omessa esplicitazione dei casi in cui ne e' prevista l'obbligatorieta'. Nei dettagli, la modifica piu' saliente rispetto alla normativa attuale riguarda il tempo a disposizione di chi deve redigere il referto. Ad evitare che si vengano a creare situazioni eccessivamente gravose per il redigente, si e' fissato in quarantotto ore il termine massimo per la presentazione del referto, lasciando, peraltro, inalterato l'ordine di priorita' nella scelta dei destinatari: anzitutto, cioe', gli organi del pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria del luogo dell'intervento; poi, e solo in loro mancanza, l'ufficiale di polizia giudiziaria del luogo piu' vicino. Per quanto concerne il contenuto del referto (cosi' come per le denunce dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio), ci si e' preoccupati di evitare una precostituzione di convincimento negli organi giudiziari, ad opera di un atto che resta preprocessuale, ed in tale ottica e' stato eliminato il riferimento alle "cause" del fatto. Si e' poi escluso l'obbligo di indicare nel referto la persona offesa, che puo' essere anche una persona diversa da quella cui il sanitario ha prestato assistenza. Le restanti modifiche, rispetto alle disposizioni dell'art. 4 del codice vigente, sono prevalentemente formali, e tese ad una maggiore chiarezza e semplificazione della normativa. L'articolo 335 e' diretto a dare attuazione alla direttiva 35 della legge-delega. Nei commi 1 e 2 e' stata prevista la disciplina delle iscrizioni nel registro del pubblico ministero della notizia di reato e del nominativo della persona alla quale esso e' attribuito. Si e' disposto che il pubblico ministero debba "aggiornare" il registro avendo riguardo alle risultanze solo nelle due ipotesi di diversa qualificazione giuridica del fatto e di fatto differentemente circostanziato ascritto al medesimo imputato. In tutte le altre ipotesi, e quindi quando si tratti di reati concorrenti ascritti allo stesso imputato ovvero dello stesso reato ascritto a piu' imputati non tutti identificati contestualmente, dovra' procedersi non a meri aggiornamenti, ma a nuove iscrizioni, dalle quali decorreranno autonomi termini per l'esercizio dell'azione penale, a norma dell'articolo 402. I commi 3 e 4 dell'art. 335 attuano l'ultima parte della direttiva 35, la quale, differenziandosi dalla precedente delega, ha voluto escludere che le notizie relative alle iscrizioni possano essere chieste ed ottenute in qualsiasi tempo. Le relative facolta' e i diritti sono stati percio' ancorati allo specifico momento processuale rappresentato dall'assunzione della qualita' di imputato a norma dell'art. 61. TITOLO III CONDIZIONI DI PROCEDIBILITA' Premessa. La delega non contiene alcun criterio direttivo che indichi o implichi modifiche degli istituti della querela, dell'istanza, della richiesta di procedimento. La disciplina vigente, d'altro lato, non sembra aver dato luogo a inconvenienti rilevanti; non e' sembrato opportuno, pertanto, discostarsi dalle sue linee generali. E' bensi' vero che la querela e' istituto di ordine chiaramente processuale e che la sistemazione delle disposizioni relative, in parte nel codice penale ed in altra parte nel codice di procedura penale, ha una discutibile giustificazione tecnica e da' luogo, inoltre, a notevoli inconvenienti pratici; ma non e' sembrato possibile inserire nel codice di procedura penale l'intera disciplina dell'istituto, perche' diversamente si sarebbero create delle inammissibili duplicazioni normative. La ragione principale della attuale divisione della materia sembra, del resto, essenzialmente da attribuire al fatto che la remissione della querela sia stata considerata come causa estintiva del reato, e, pertanto, e' stata disciplinata nel codice penale. Tale collocazione, d'altra parte, si spiega con la difficolta' di attribuire alla remissione della querela altra qualifica, data la irretrattabilita' dell'azione penale. In definitiva, pur nella convinzione della opportunita' di riunire nel codice di procedura penale tutte le disposizioni relative alle condizioni di procedibilita', si e' preferito non trattare anche la materia attualmente disciplinata dal codice penale. In questa parte si e' percio' riprodotta sostanzialmente la disciplina del codice vigente. Illustrazione degli articoli. L'articolo 336 (querela) non introduce modifiche sostanziali al vigente art. 9, con una formulazione che da un lato e' piu' precisa in ordine al contenuto dell'atto e, d'altro canto, evita di fare riferimento alla sua natura giuridica ("diritto", "facolta'" o "potere"). Nell'articolo 337 (formalita' della querela) e' stata prevista espressamente la possibilita' che la querela venga presentata anche ad un agente consolare della Repubblica all'estero. Si superano cosi' i dubbi relativi alla possibilita' di integrazione analogica ex art. 6 comma 2 c.p.p. vigente. Si e' provveduto, inoltre, a risolvere con statuizioni esplicite i contrasti interpretativi perduranti in tema di soggetti legittimati (il comma 3 disciplina il caso in cui offeso dal reato sia una persona giuridica, un ente o un'associazione) e di modi di presentazione (si e' consentita la spedizione a mezzo posta, richiedendosi pero' la sottoscrizione autentica del querelante e l'uso della raccomandata). Infine, nel comma 4, e' stato prescritto che l'autorita' che riceve la querela provveda alla identificazione della persona che la presenta materialmente, dato che questa puo' essere diversa sia dall'offeso sia dal suo procuratore speciale. L'articolo 338 regola la nomina del curatore speciale per la presentazione della querela nelle situazioni previste dall'art. 121 del codice penale. Si e' modificata la disciplina contenuta nel vigente art. 11, precisando che il termine per la presentazione della querela, da parte del curatore speciale, decorre dal giorno in cui il provvedimento di nomina e' notificato al curatore speciale. Cio' al fine di evitare che il termine ordinario venga ad essere ridotto o possa trascorrere, in seguito ai ritardi di tale notifica. Si sono, invece, confermate sia la competenza territoriale alla nomina del giudice del luogo in cui si trova l'offeso, sia l'iniziativa esclusiva del pubblico ministero per la richiesta del provvedimento, mentre agli enti esponenziali e' stato lasciato un potere di mera sollecitazione. L'articolo 339 disciplina la rinuncia espressa alla querela, mentre la rinuncia tacita e' disciplinata dall'art. 124 del codice penale, al quale, per le ragioni sopra illustrate, si deve rinviare, analogamente a quanto si verifica per altre disposizioni tipicamente processuali (come quella relativa al termine per proporre querela) che sono contenute nel codice penale. E' stata soppressa la previsione dell'inammissibilita' della querela dopo proposta l'azione civile: da alcuni ricondotta al brocardo electa una via non datur recursus ad alteram (art. 12 c.p.p.). Si e' ritenuto non rispondente a ragionevolezza un meccanismo preventivo per cui la possibilita' di presentare querela risulterebbe estinta ancor prima di essere nata. Si pensi all'ipotesi di mancata conoscenza, da parte del danneggiato, di tutti gli estremi del fatto costituente reato o anche al caso in cui la dimensione penalmente rilevante dell'illecito emerga soltanto per la prima volta nel corso di un procedimento civile (per esempio: nel corso di una causa di risoluzione per inadempimento o di annullamento di contratto per dolo o violenza potrebbero emergere reati di frode o di falso perseguibili a querela). In linea teorica, poi, in una sede che attiene unicamente all'esercizio della potesta' punitiva, la perseguibilita' a querela di parte invece che ex officio non dovrebbe importare una diversa rilevanza processuale di fatti giuridici estranei alla dimensione penalistica dell'illecito, quali sono quelli diretti al ristoro del danno. L'articolo 340 disciplina la remissione della querela in modo analogo al vigente art. 14. Mentre si e' confermata la regola che le spese del procedimento sono a carico del remittente, salvo diverso accordo con il querelato, non si e' ritenuto necessario prevedere la solidarieta' nell'ipotesi di piu' obbligati, stante il principio generale posto dall'articolo 1294 del codice civile. Gli articoli 341 e 342 trattano - senza modifiche sostanziali rispetto agli artt. 5 e 6 del codice vigente - rispettivamente della istanza e della richiesta. Per quest'ultima, si e' ritenuto opportuno stabilire le necessita' della sottoscrizione del legittimo rappresentante dell'autorita' cui spetta il potere di richiesta. L'articolo 343 delinea il regime dell'autorizzazione a procedere in modo nuovo e in aderenza alla direttiva 47 della legge-delega. Attribuito al pubblico ministero il compito di richiedere l'autorizzazione (comma 1), si sono specificate le attivita' consentite e quelle vietate in mancanza di autorizzazione (commi 2 e 3). In particolare, nell'individuare gli atti vietati, sono stati aggiunti a quelli esplicitamente previsti dalla delega le individuazioni e le intercettazioni di "conversazioni". Si e' ritenuto, infatti, che la delega abbia voluto richiamare tutti i tipi di intercettazione previsti dall'art. 266. Il riferimento alle individuazioni consegue alla inopportunita' di distinguere tra atti del giudice e atti del pubblico ministero, dovendosi prevedere un analogo regime per atti "simili" che potrebbero produrre effetti in tema di "valutazione" delle "prove" successivamente acquisite. Per gli atti diversi da quelli espressamente indicati nell'art. 343 comma 2 si applica la regola generale prevista dall'art. 346. Il comma 4 stabilisce che gli atti compiuti in violazione dei divieti posti dagli artt. 343 e 346 non sono in alcun modo utilizzabili. La estensione di tale sanzione anche ad altri procedimenti e' parsa necessaria al fine di evitare l'applicabilita' dell'art. 238 del Progetto che prevede l'acquisizione di verbali probatori in altri processi. Il comma 3 riguarda l'arresto in flagranza. La direttiva 47 della legge-delega esclude dal divieto delle misure di coercizione tutti i casi di arresto obbligatorio in flagranza, facendo all'uopo rinvio ai "delitti previsti dalle lettere a ) e b) del n. 32". Considerato l'elenco dei delitti per i quali il Progetto, in attuazione della direttiva 32 della delega, prevede l'arresto obbligatorio in flagranza (art. 378), una disposizione che consentisse nelle stesse ipotesi l'arresto della persona per la quale occorre l'autorizzazione a procedere avrebbe un significato estensivo dei casi per i quali oggi e' possibile l'arresto in flagranza (delitti per i quali e' obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura, come si esprime l'art. 68 della Costituzione, con disposizione frutto di ampie discussioni in seno all'Assemblea Costituente). La Commissione ha ritenuto che non sia consentita una attuazione letterale della delega, ma che per questa parte la direttiva debba essere realizzata nella misura consentita dalla citata disposizione costituzionale, la quale, d'altro canto, ha un significato sostanziale che sopravvive alla eliminazione dell'istituto del mandato di cattura obbligatorio. Nell'articolo 344 si prevedono i tempi della richiesta di autorizzazione. Il comma 1 da' attuazione alla prima parte della direttiva 47 della legge-delega. Nel comma 3 e' disciplinata la situazione - che puo' verificarsi in particolare nell'ipotesi di elezione a parlamentare - in cui la necessita' di autorizzazione sorga soltanto in un momento successivo a quelli previsti nel comma 1. Per tale ipotesi e' sembrata ovvia la regola della sospensione del processo, con la possibilita' - comune a tutte le forme di sospensione disciplinate nel nuovo codice - dell'assunzione di prove, alla duplice condizione dell'urgenza e della richiesta di parte. Naturalmente il processo riprendera' al verificarsi della condizione che fa venir meno la ragione della sospensione ed in particolare al momento in cui pervenga l'autorizzazione; si applichera' d'altronde l'articolo successivo. Nell'articolo 345 e' contenuta la disciplina di carattere generale del difetto di una condizione di procedibilita', attraverso il richiamo delle disposizioni ove sono indicati i diversi tipi di pronuncia in relazione al momento processuale in cui esse intervengono: archiviazione per improcedibilita' (art. 408), sentenza di non luogo a procedere in esito all'udienza preliminare (art. 422), sentenza dibattimentale di non doversi procedere (art. 522). La ragione giustificativa dell'art. 345 sta ovviamente nella "riproponibilita'" dell'azione qualora sopravvenga la condizione di procedibilita'. A questo proposito si e' preveduto, nell'art. 402, che, in pendenza di una condizione di procedibilita', il termine per le indagini del pubblico ministero decorre dal giorno in cui la querela, l'istanza o la richiesta pervengono al pubblico ministero. Se e' necessaria l'autorizzazione a procedere, il decorso del termine e' sospeso dal momento della richiesta a quello in cui l'autorizzazione perviene al pubblico ministero. L'articolo 346, dopo avere richiamato il divieto assoluto posto dagli artt. 343 e 344 in tema di autorizzazione a procedere, consente eccezionalmente il compimento di atti di indagine preliminare in mancanza di una condizione di procedibilita' qualora sussistano ragioni di urgenza, e sempre che la condizione possa ancora validamente sopravvenire (si pensi alle ipotesi di lesioni e alla loro procedibilita' a querela o d'ufficio a seconda del periodo di guarigione; ovvero ai casi di reato il cui colpevole non e' stato immediatamente identificato e le indagini si svolgono anche per la qualificazione del reato). TITOLO IV ATTIVITA' A INIZIATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA Premessa. Il titolo quarto (artt. 347 - 357) disciplina le attivita' che la polizia giudiziaria puo' svolgere di propria iniziativa, anche se nell'ambito dei rapporti di dipendenza funzionale, gia' illustrati nel commento agli articoli 326 e 327. La legge-delega del 1974, pur avendo accolto la tesi, emersa nel corso dei lavori parlamentari, di coloro che ritenevano impossibile togliere ogni funzione alla polizia giudiziaria, concentrando sempre e subito ogni attivita' nelle mani del pubblico ministero, aveva tuttavia sensibilmente limitato l'attivita' di iniziativa della polizia giudiziaria, sia per l'esclusione della utilizzabilita' processuale degli atti, sia per la riduzione dei tempi di legittimazione delle iniziative autonome. Tale limitazione determino', da piu' parti, serie critiche, in punto di funzionalita', alla stessa legge-delega del 1974 per l'eccessivo restringimento dei poteri della polizia giudiziaria - peraltro ancor piu' soffocati dal depotenziamento del ruolo del pubblico ministero - e per il rischio della deresponsabilizzazione degli organi di polizia dei quali andava invece garantita l'efficacia del primo intervento, proprio per non pregiudicare le indagini preliminari, costituenti il centro motore del nuovo processo. Il legislatore delegante successivamente intervenuto si e' fatto carico di tali critiche e, sopprimendo l'istruzione come autonoma fase del nuovo processo, ha prefigurato un sistema nel quale la polizia giudiziaria ha poteri-doveri molto piu' estesi ed analiticamente indicati nelle direttive 31, 32 e 33. A parte la regolamentazione dell'arresto e del fermo di cui alla direttiva 32 (che sara' esaminata separatamente) a proposito delle direttive 31 (riflettente l'attivita' della polizia giudiziaria) e 33 (che concerne la documentazione di tale attivita') puo' notarsi che: la polizia giudiziaria ha il potere-dovere di compiere non soltanto "gli atti necessari e urgenti per assicurare le fonti di prova" (come stabiliva la direttiva 30 della delega del 1974), ma tutti gli atti specificamente indicati nella nuova delega che non sono piu' vincolati ai presupposti della necessita' e dell'urgenza salvo quelli di perquisizione e sequestro; l'obbligo di documentazione - inesistente nella delega del 1974 ed introdotto dalla Camera - e' stato esteso dal Senato fino alla verbalizzazione delle attivita' compiute per descrivere i fatti costituenti reato e rappresentare direttamente la realta'. Ed infatti il Senato, dopo avere introdotto, nella direttiva 31 prima parte, la frase "e di descrivere i fatti compilando i verbali relativi alle attivita' compiute", ha aggiunto, all'inizio dell'originaria direttiva 33, quella "fuori dei casi in cui e' tenuta a compilare specifici verbali ai sensi del n. 31"; in relazione alla direttiva 31 seconda parte, il Senato ha modificato il testo inizialmente approvato dalla Camera sostituendo la frase "eventualmente per iscritto" con quella "anche oralmente", e la frase "e di indicargli le fonti di prova fino ad allora acquisite" con quella "indicando le attivita' compiute e gli elementi sino ad allora acquisiti con divieto di ogni utilizzazione agli effetti del giudizio..."; in relazione alla direttiva 31 terza parte, il Senato ha eliminato la frase "in caso di necessita' e di urgenza" che compariva, prima delle parole "sino a che il pubblico ministero non abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini", nel testo inizialmente approvato dalla Camera. Circa le modifiche apportate dal Senato, va segnalato, inoltre, che esse sono state, per lo piu', proposte, discusse e approvate in sede di Comitato ristretto, sicche' manca, al riguardo, qualsiasi documentazione illustrativa. Proprio su alcune di queste modifiche, e specialmente su quelle concernenti le direttive 31 prima parte e 31 seconda parte, si e' svolto in Commissione un ampio ed approfondito dibattito che, prendendo le mosse dal problema dei tempi e delle forme di comunicazione della "denuncia" al pubblico ministero da parte della polizia giudiziaria (art. 347) ed esaminando specificamente la questione delle sommarie informazioni della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini (art. 350), ha, in sostanza, affrontato il tema che attiene allo svolgimento della attivita' ad iniziativa della polizia giudiziaria in relazione alla interpretazione da dare alla direttiva 31. E' prevalso l'orientamento secondo cui la direttiva 31 prima parte e' meramente descrittiva dei poteri della polizia giudiziaria. Si e' escluso, invece, che dalla direttiva sia possibile argomentare l'esistenza di un "primo momento" di azione della polizia giudiziaria immediatamente successivo (se non contestuale) all'apprendimento della notizia di reato. Si e' osservato in proposito che la finalita' della direttiva 31 prima parte e' quella di evidenziare l'attribuzione alla polizia giudiziaria di un potere piu' ampio di quello connesso al compimento degli atti necessari ed urgenti per assicurare le fonti di prova (come prevedeva, invece, la delega del 1974) e che, quantomeno fino al momento in cui il pubblico ministero non ha assunto la direzione delle indagini, non incontra alcuna limitazione sotto il profilo investigativo. La direttiva ha voluto anche ribadire che nel nuovo modello processuale non vi e' spazio per il rapporto di polizia giudiziaria inteso non solo come strumento di conoscenza ma anche come atto conclusivo delle indagini; in tale ottica si spiega l'espresso richiamo, nella stessa direttiva 31 prima parte, sia all'obbligo di una "segnalazione" contenente solo le descrizioni dei fatti e non anche la loro valutazione sia all'ulteriore obbligo di far emergere le indicate descrizioni dei fatti dai verbali delle attivita' compiute e non da autonome valutazioni riportate nella "segnalazione" stessa (v. anche sub art. 332). Il pericolo che l'obbligo di riferire nei modi appena indicati potesse far rivivere nei fatti e pur contro le intenzioni del legislatore, il rapporto di polizia giudiziaria ha peraltro indotto all'inserimento, nella seconda parte della direttiva 31, del richiamo alla "inutilizzabilita' agli effetti del giudizio" delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria. In tal modo il legislatore delegante ha infatti voluto ribadire ancor piu' chiaramente che la "segnalazione" non puo' essere utilizzata surrettiziamente per fini decisori e che neppure la riproduzione in essa delle descrizioni e degli esiti delle attivita' compiute puo' quindi determinare effetti sul convincimento del giudice facendo assurgere a "prova" cio' che deve fungere solo da "informazione". Da tale interpretazione della prima e della seconda parte della direttiva 31 discende la formulazione del comma 1 dell'art. 347 e dell'intero art. 350 nonche' la complessiva ricostruzione dei contenuti e delle finalita' della direttiva 31 con le sue conseguenti applicazioni nei singoli articoli del Progetto. In questo contesto, la direttiva 31 prima parte ha finalita' descrittive dell'attivita' della polizia giudiziaria (artt. 56 e 347 comma 1); la direttiva 31 seconda parte fissa l'obbligo di riferire al pubblico ministero (art. 347); la terza, la quinta e la sesta parte della direttiva 31 stabiliscono il complesso degli atti che la polizia giudiziaria puo' compiere ad iniziativa prima che il pubblico ministero assuma la direzione delle indagini (artt. da 348 a 354); la direttiva 31 quarta parte, prescrive quale attivita' la polizia giudiziaria puo' compiere su delega del pubblico ministero. La interpretazione che si e' proposta non e' abrogativa dell'ultimo inciso della direttiva 31 seconda parte. L'apparente contrasto tra quell'inciso e il dettato della direttiva 31 sesta parte non viene percio' risolto attraverso una interpretatio abrogans. Al di la' di quel che si e' detto con riguardo al "rapporto" di polizia giudiziaria, il richiamo, in quell'inciso, alla "inutilizzabilita' agli effetti del giudizio" e' infatti esplicativo di una inutilizzabilita' come prova delle dichiarazioni acquisite dalla polizia giudiziaria e della conseguente loro limitata utilizzabilita' ai fini delle contestazioni. E cio', a differenza, della inutilizzabilita' tout court degli altri tipi di dichiarazioni cui fa richiamo la direttiva 31 nella sua successiva sesta parte. L'ultimo inciso della direttiva 31 seconda parte riafferma poi il principio, gia' parzialmente sancito dall'art. 71, secondo il quale le dichiarazioni rese non possono essere "sostituite" dalle "testimonianze" di chi ha compiuto o ha assistito all'atto (v. artt. 71 e 195). In tale ottica la direttiva 31 seconda parte ha allora un effettivo significato pienamente in linea con la previsione di cui alla direttiva 31 parte sesta. Le due direttive finiscono, infatti, per essere fra loro complementari poiche' disegnano, congiuntamente il regime di una articolata serie di dichiarazioni: quelle "a sorpresa" rese dal testimone nell'immediatezza, che sono "allegabili" (v. a contrario direttiva 31 sesta parte e 76); quelle rese dal testimone o dall'indiziato assistito dal difensore, che sono utilizzabili per le "contestazioni" anche in giudizio (v. direttiva 31 seconda e terza parte nonche' 58 e 76); le "notizie e indicazioni utili ai fini della prosecuzione delle indagini" assunte sul luogo o nell'immediatezza del fatto (31 sesta parte) che invece non sono utilizzabili ne' documentabili se provengono dall'indiziato (v. peraltro anche sub art. 350). Si e' poi ritenuto che la nuova formulazione della direttiva 31 seconda parte privilegiata dal Senato abbia voluto consentire anche la previsione, accanto alle categorie gia' enunciate, di un altro tipo di dichiarazioni: quelle cc.dd. spontanee rese dall'indiziato senza il difensore alla polizia giudiziaria ed utilizzabili in giudizio ai fini delle contestazioni. Alla conclusione si e' pervenuti argomentando dal fatto che la direttiva 31 mostra di distinguere le "informazioni rese" (utilizzabili) da quelle "assunte (e, quindi, "provocate") dalla polizia giudiziaria" (direttiva 31 sesta parte) (inutilizzabili). Nel corso dell'animato dibattito che si e' svolto in Commissione redigente l'interpretazione della direttiva 31 della delega che si e' sopra esposta, e' prevalsa rispetto all'altra che individuava tre specifici "momenti" all'interno dell'attivita' svolta dalla polizia giudiziaria: il primo, riferito alla parte della direttiva in cui si affida alla polizia giudiziaria il compito di "prendere notizia dei reati", il secondo che si estende "sino a che il pubblico ministero non abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini" (31 terza parte) ed il terzo successivo alla delega, da parte del pubblico ministero alla polizia giudiziaria, degli atti da compiere ed alla indicazione delle direttive di indagine (31 quarta parte). Secondo la interpretazione appena proposta, dalla suddivisione dei tre "momenti" di azione ora ricordati, deriverebbe, per la polizia giudiziaria, il potere, nell'ambito del primo di essi, di descrivere i fatti costituenti reato compilando i verbali relativi alle attivita' compiute nonche' di ricevere "dichiarazioni" rese spontaneamente e di riferirle al pubblico ministero entro quarantotto ore, fermo il divieto della loro utilizzazione nel giudizio, anche attraverso la testimonianza della stessa polizia giudiziaria. Nel secondo momento alla polizia giudiziaria sarebbe attribuito il potere-dovere di "assumere informazioni da chi non si trovi in stato di arresto o di fermo, con l'assistenza del difensore" e di "assumere sul luogo o nell'immediatezza del fatto, anche senza l'assistenza del difensore, notizie ed indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini, con divieto di ogni documentazione e utilizzazione processuale, anche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria". Di qui, una diversa formulazione degli articoli 347 e 350 che, per maggior comprensione della delicata problematica, si e' deciso di riportare in questa sede, precisando ancora che tale articolazione e' ispirata alla linea interpretativa che e' rimasta minoritaria nel dibattito che si e' svolto sul punto: "Art. 347 (Prime attivita' della polizia giudiziaria nel prendere notizia del reato. Obbligo di riferire la notizia.) 1. La polizia giudiziaria, nel prendere notizia di un reato: a) descrive i fatti e le situazioni che lo costituiscono compilando i verbali relativi alle attivita' compiute per rappresentare direttamente la realta'; b) acquisisce le dichiarazioni ad essa rese spontaneamente da testimoni o dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, senza l'assistenza della difesa, le quali potranno essere utilizzate nel processo, ma giammai agli effetti del giudizio, neanche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria. - 2. Immediatamente e, comunque, non oltre quarantotto ore dalla ricezione della denuncia o del referto ovvero dal momento in cui ha altrimenti acquisito la notizia di un reato, la polizia giudiziaria riferisce per iscritto al pubblico ministero i fatti indicando il giorno e l'ora in cui ha appreso la notizia, le attivita' compiute e gli elementi sino ad allora raccolti, trasmettendo la relativa documentazione. Comunica inoltre le generalita' e le altre informazioni utili per identificare la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, nonche' le fonti di prova. - 3. Se vi e' urgenza, la comunicazione puo' essere fatta anche oralmente e deve avvenire col mezzo piu' rapido di cui la polizia giudiziaria dispone. In tal caso, alla comunicazione orale deve seguire quella scritta secondo le forme indicate nel comma 2". "Art. 350 (Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolge le indagini) 1. Gli ufficiali di polizia giudiziaria possono assumere, dalla persona nei cui confronti sono svolte le indagini, che non si trovi in stato di arresto o di fermo, le informazioni utili per le investigazioni durante il tempo necessario al pubblico ministero per provvedere all'interrogatorio. La persona deve essere avvertita che ha facolta' di non rispondere. - 2. Le informazioni di cui al comma 1 non possono essere assunte senza la presenza del difensore, salvo che si tratti di dichiarazioni rilasciate nel corso delle perquisizioni ovvero immediatamente dopo il fatto e sul luogo del medesimo nel qual caso potranno essere utilizzate nel processo ma giammai agli effetti del giudizio, neanche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria. - 3. Al solo scopo di proseguire le indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono altresi' assumere, sul luogo o nell'immediatezza del fatto, senza l'assistenza del difensore, notizie e indicazioni utili dalla persona nei cui confronti le stesse indagini sono svolte, dall'arrestato in flagranza e dal fermato, ma tali informazioni non devono essere documentate e non possono essere in alcun modo utilizzate nel processo neanche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria". Illustrazione degli articoli. L'articolo 347 mira a dare attuazione alla direttiva 31 seconda parte della delega in relazione alla quale sono state esposte le due tesi che si sono contrapposte in Commissione. In base a tale direttiva e nel quadro degli stretti rapporti di diretta dipendenza funzionale esistenti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, si e' ritenuto (come gia' esposto in precedenza: v. artt. 331 e 332) che nel nuovo codice non possa trovar posto il rapporto di cui all'art. 2 comma 1 c.p.p., inteso come atto tipico che chiude la c.d. "istruttoria di polizia". Nella pratica, invero, il rapporto e' divenuto lo strumento per rappresentare all'autorita' giudiziaria gli elementi di prova autonomamente raccolti ed i motivi in base ai quali l'ufficiale di polizia giudiziaria ritiene di denunciare una persona. Il Progetto vi sostituisce le informative disciplinate nell'articolo che si commenta e che, per la loro essenzialita' e per il brevissimo termine entro cui devono essere inoltrate, presentano molte analogie con il "rapporto preliminare" o con la "segnalazione di reato". Sotto altro profilo le informative costituiscono una specie qualificata della denuncia da parte di pubblico ufficiale, preveduta negli artt. 331 e 332. L'obbligo di riferire e' stato precisato, in primo luogo, con riguardo al contenuto delle informazioni da trasmettere al pubblico ministero. Devono essere riferiti gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti e devono essere indicate le fonti di prova e le attivita' compiute, con trasmissione della relativa documentazione (comma 1). Devono essere parimenti comunicati le generalita', il domicilio e quant'altro valga alla identificazione dell'indiziato, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (comma 2), sempre che siano stati acquisiti unitamente alla notizia di reato o altrimenti conosciuti prima dell'inoltro al pubblico ministero. Infine, dovranno essere precisati il giorno e l'ora in cui e' stata acquisita la notizia del reato: indicazione, quest'ultima, che trova la sua ratio nell'esigenza di controllare che la comunicazione sia stata inoltrata nel rispetto del termine di quarantotto ore ovvero, in caso di urgenza, che sia stata fatta, immediatamente, anche in forma orale eventualmente col mezzo piu' rapido a disposizione. Si tratta di una informativa molto precisa, dettagliata, completa e documentata che deve pero' restare nell'ambito della informazione e rappresentazione e servire come mero strumento di conoscenza, senza mai diventare un rapporto come atto conclusivo delle indagini; per questo motivo, la segnalazione di polizia giudiziaria - come si e' gia' detto esponendo le tesi interpretative della direttiva 31 prima e seconda parte - dovra' contenere le descrizioni dei fatti - e non la loro valutazione - che, peraltro, deve emergere dai "verbali delle attivita' compiute" (direttiva 31 prima parte). Sempre con riguardo al contenuto delle informazioni, va segnalato che per notizia del reato agli effetti dell'obbligo di riferire deve intendersi anche la notizia non soggettivamente qualificata e priva di riscontri probatori (cfr. anche l'art. 332 che si fonda sul medesimo significato di notizia). Il dubbio prospettato a suo tempo dalla Commissione consultiva in relazione al Progetto del 1978 e' stato risolto nel senso che l'obbligo di riferire sorge anche nel caso in cui sia conosciuta la notizia ma non ancora l'autore del reato. Conseguentemente si e' ritenuto che la ricerca e l'individuazione dell'indiziato, da compiersi successivamente alla comunicazione, vanno affidate alla direzione del pubblico ministero, pur se e' applicabile, in tal caso, l'art. 348. Per quanto concerne i tempi e le forme in cui la notizia del reato deve essere trasmessa, il comma 1 prevede una comunicazione scritta da inviare entro quarantotto ore, mentre il comma 3 prescrive, se vi e' urgenza, una comunicazione "data immediatamente anche in forma orale". Nell'elaborare tale disciplina si e' preso atto delle differenze esistenti tra la delega del 1974 e quella del 1987 circa la inversione di tendenza sulle modalita' di redazione della denuncia qualificata (da "eventualmente per iscritto" del 1974 ad "anche oralmente" del 1987) e circa il fatto che essa va trasmessa (non piu' "immediatamente" ma "immediatamente e comunque entro quarantotto ore"). La relativa direttiva 31 seconda parte della delega e' stata percio' attuata, prevedendo che l'obbligo di riferire sorga immediatamente solo nei casi di urgenza (casi nei quali la comunicazione puo' essere fatta anche oralmente) e che, normalmente, invece, possa ritenersi soddisfatto se la comunicazione e' fatta entro quarantotto ore. Per un lato non si e' voluto lasciare la polizia giudiziaria arbitra assoluta delle decisioni (consentendole ogni scelta sui tempi della comunicazione anche nei casi urgenti e nei quali puo' verificarsi la necessita' di immediata attivita' del pubblico ministero); per un altro verso si e' voluto evitare che il pubblico ministero fosse subissato dall'arrivo contemporaneo di innumerevoli notizie per giunta prive di alcun dato di supporto investigativo (in quanto la polizia giudiziaria che da' la notizia immediatamente nulla puo' indicare circa l'attivita' compiuta e gli altri elementi rilevati). Nell'articolo 348, di portata generale, e che attua la direttiva 31 terza e quarta parte della legge-delega, l'attivita' ad iniziativa della polizia giudiziaria viene contrapposta, nel suo complesso, all'attivita' "delegata", che il pubblico ministero puo' conferire per specifiche indagini, a norma del successivo art. 368; viene inoltre classificata in due distinte specie, sulla base del diverso momento in cui la predetta attivita' ad iniziativa della polizia giudiziaria e' destinata a svolgersi. Per entrambe le ipotesi sono stabiliti i limiti di intervento. Il primo tipo di attivita' - che sara' la piu' frequente nella pratica - si colloca all'inizio delle indagini preliminari, dal momento in cui la polizia giudiziaria ha acquisito per proprio tramite la notizia del reato e puo' svolgersi legittimamente fino al momento in cui il pubblico ministero, sollecitato dalla ricezione della medesima notizia, sia intervenuto e "abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini". Si tratta del potere-dovere "di raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione del colpevole" (direttiva 31 terza parte), molto esteso ed in pratica senza limiti, quanto meno nel periodo di tempo che precede il "fattivo" intervento del pubblico ministero. Esso si giustifica per il fatto che, nella primissima fase delle indagini - che spesso e' la piu' delicata e qualche volta puo' essere determinante - la polizia giudiziaria deve essere responsabilizzata al fine di rendere piu' efficace la sua azione. Il secondo tipo di attivita' - di applicazione forse piu' limitata pur tenendo conto dei maggiori poteri attribuiti alla polizia giudiziaria - si colloca dopo che il pubblico ministero abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini e comprende, da una parte e nell'ambito delle direttive impartite, lo svolgimento di "tutte le attivita' di indagine per accertare i reati" e, dall'altra, il possibile ritorno al compimento di "attivita' di iniziativa" con riferimento, pero', ad elementi successivamente emersi. Per quest'ultima evenienza - che ha come presupposto che la polizia giudiziaria sia venuta a conoscenza di nuove fonti di prova - si e' stabilito, in conformita' alla delega (direttiva 31 quarta parte), che essa informi senza ritardo il pubblico ministero. Le formule della delega "potere-dovere della polizia giudiziaria... di assicurare le fonti di prova" (direttiva 31 prima parte) - che e' richiamata nella rubrica dell'articolo - e "potere-dovere della polizia giudiziaria di raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole" (direttiva 31 terza parte) - che costituisce uno sviluppo dell'"assicurazione delle fonti di prova" ed e' stata ripresa nel comma 1 - sono state ulteriormente precisate nel comma 2 in cui e' espressamente indicata l'attivita' di ricerca, individuazione e conservazione delle fonti di prova, con riferimento sia alle prove reali (cose, tracce pertinenti al reato, stato dei luoghi, corpo del reato), sia alle prove personali (testimonianze). E' infine da rilevare che nel quadro delle attivita' ad iniziativa della polizia giudiziaria da compiersi prima dell'intervento del pubblico ministero, si e' inteso distinguere una attivita' "informale", diretta ad assicurare le fonti di prova mediante una azione di ricerca, individuazione e conservazione, sostanzialmente libera nei modi del suo svolgimento, e taluni atti "tipici" soggetti ad una piu' rigorosa disciplina. Tali atti, enunciati nel comma 2, lett. c), trovano dettagliato svolgimento normativo nei successivi articoli da 349 a 354. La prima attivita' si riferisce all'assicurazione delle fonti di prova reale. Con la terminologia "cose e tracce pertinenti al reato" si e' inteso comprendere in una formula sintetica anche il corpo del reato. L'attivita' di conservazione, in quanto libera nelle forme, ma vincolata allo scopo, comprende in se' anche la facolta' di prelevare le cose e tracce dal luogo ove furono rinvenute, sempre che cio' non comporti la dispersione di elementi utili. In tal senso, e senza necessita' di apposita previsione normativa, va risolto il problema a suo tempo prospettato sul punto dalla Commissione consultiva in relazione al Progetto del 1978. Per quanto concerne l'assicurazione delle fonti di prova, e' di particolare importanza la ricerca e la individuazione delle persone "in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti" e che il pubblico ministero e le altre parti potranno presentare come testi. Si e' ritenuto che per l'attivita' di ricerca e individuazione fosse necessario acquisire informazioni presso le medesime persone. A tale scopo la polizia giudiziaria potra' assumere le sommarie informazioni previste dall'art. 351. Sono stati previsti, infine, alcuni atti tipici di assicurazione della prova. Nella disciplina di ciascuno di essi sono stati stabiliti limiti specifici, diretti a mantenere l'intervento della polizia giudiziaria negli ambiti suoi propri e nel rispetto dei diritti individuali costituzionalmente garantiti. L'articolo 349 prevede la identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e della persona in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, quale importante concretizzazione dell'attivita' investigativa diretta all'assicurazione delle fonti di prova a norma dell'art. 348. Si e' ritenuto che tale facolta', ancorche' non espressamente attribuita alla polizia giudiziaria, rientri nella generale previsione della direttiva 31 con particolare riferimento alla prima e alla seconda parte. Per rendere praticabili le "identificazioni" in questione, si e' inoltre stabilito, recependo l'orientamento a suo tempo espresso dalla Commissione consultiva in relazione al Progetto del 1978, di attribuire alla polizia giudiziaria la facolta' di disporre l'accompagnamento negli uffici di polizia di chi rifiuta di farsi identificare. L'accompagnamento e' previsto sia con riferimento all'"indagato", che al "potenziale testimone", mentre la possibilita' di eseguire, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici, antroponometrici ed altri dello stesso tipo per identificare la persona, e' stata stabilita, nel comma 2, soltanto con riferimento alla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini. Anche se questa limitazione riguarda specificamente soltanto l'attivita' di polizia giudiziaria, di essa dovra' tenersi conto in sede di coordinamento con l'art. 4 t.u.l.p.s. e con l'art. 7 del Regolamento di pubblica sicurezza a mente dei quali tutti coloro che "non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identita' possono essere sottoposti a rilievi fotografici". Il generico richiamo agli "altri accertamenti", permette di "utilizzare" la norma anche per quelle indagini che lo sviluppo della tecnica o le peculiarita' del caso rendessero necessarie o opportune ai fini della identificazione. Non si ritiene che la disciplina illustrata possa far sorgere problemi di legittimita' costituzionale in quanto l'imposizione dell'obbligo di prestarsi alla propria identificazione, declinando le generalita' o sottoponendosi a rilievi dattiloscopici, fotografici e ad ogni altro rilievo necessario, non costituisce violazione dei diritti costituzionalmente garantiti. La Corte costituzionale nella sentenza n. 30 del 27 marzo 1962 ha affermato, infatti, che i rilievi puramente esteriori, i quali non importino ispezioni personali, costituiscono prestazioni imposte e non vere e proprie restrizioni fisico-morali alla liberta' e possono essere consentiti in vista della prevenzione e repressione dei reati, sempre che facciano capo a categorie determinate di soggetti ed a particolari condizioni previste dalla legge, come appunto si verifica per gli indiziati di reato. D'altra parte, la facolta' di accompagnare e trattenere per il tempo strettamente necessario, al solo fine dell'identificazione e comunque non oltre le dodici ore, la persona che rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalita' o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenere la falsita', e', in ogni caso, una diretta conseguenza della violazione dell'obbligo di prestarsi alla propria identificazione e, nel caso dell'"indagato", e' anche contenuta implicitamente, nella facolta' di effettuare rilievi per l'identificazione, riconosciuta alla polizia giudiziaria. Si osserva, infine, che nella ipotesi del potenziale testimone che tenga il comportamento descritto nel comma 4, la situazione e' tale da rendere normalmente necessaria l'attivazione di altre indagini proprio nei confronti della persona di cui si tratta, la quale, da "persona in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti" riguardanti la prima indagine, puo' diventare "persona nei cui confronti vengono svolte le indagini" concernenti il comportamento tenuto. Il comma 6, infine, dopo aver richiamato la norma dell'art. 161 sull'invito a dichiarare o eleggere il domicilio per le notificazioni, che deve essere rivolto alla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini fin dal suo primo contatto con la polizia giudiziaria, rende applicabili in questa sede le disposizioni dell'art. 64 che riguardano l'invito a dichiarare le proprie generalita', l'ammonizione circa le conseguenze a cui si espone chi rifiuti di fornirle o le dia false, l'impossibilita' di identificare l'indiziato con le proprie generalita'. Nella formulazione dell'articolo 350 si chiarisce che la polizia giudiziaria puo': a) assumere, con l'assistenza del difensore, sommarie informazioni dalla persona indagata utilizzabili probatoriamente a fini processuali e, agli effetti del giudizio, per le contestazioni (comma 1); b) assumere, senza l'assistenza del difensore, notizie ed indicazioni dall'"indagato" al solo fine della immediata prosecuzione delle indagini (oggi, art. 225-bis c.p.p.): con divieto di qualsiasi utilizzazione e documentazione processuale e con precisi limiti temporali o spaziali per la assunzione (sul luogo o nell'immediatezza del fatto) (commi 5 e 6); c) ricevere dichiarazioni spontanee dall'"indagato" utilizzabili solo processualmente - e non come prova ma eventualmente per contestazione - a norma dell'art. 496 comma 3 (comma 7). Circa la documentazione degli atti sub a ) e c) (per quelli sub b) e' prescritto il divieto di documentazione) si rinvia a quanto stabilito nell'art. 357 dove, come si vedra', il problema della documentazione degli atti e' stato affrontato in vista della loro utilizzazione. Le informazioni chieste all'indiziato libero di cui sub a), sono garantite dal diritto dell'indiziato di rendere dichiarazioni libere e spontanee, dal diritto al silenzio, e dal diritto all'assistenza del difensore. Sono state pertanto richiamate le modalita' previste dall'art. 71 contenente le regole generali per l'interrogatorio dell'imputato. Il diritto all'assistenza del difensore e' previsto nel comma 3 il quale dispone che le informazioni sono assunte "con la necessaria assistenza del difensore" che deve, naturalmente, essere preavvertito (dal momento che si tratta di atti che non possono essere paragonati a quelli cosiddetti "a sorpresa") ed ha l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto. L'invito a nominare un difensore di fiducia e le modalita' della nomina del difensore di ufficio sono disciplinate nel comma 2, contenente un richiamo all'art. 96. La presenza del difensore all'atto e' assicurata dal comma 4. Le dichiarazioni o le notizie sub b ) e c) possono essere assunte o ricevute anche se l'"indagato" si trovi in stato di arresto o di fermo (commi 5 e 7). Le dichiarazioni spontanee possono essere ricevute anche dagli agenti di polizia giudiziaria che non possono viceversa assumere notizie e informazioni dall'"indagato". La distinzione si spiega con il carattere non "provocato" delle prime dichiarazioni. L'articolo 351 prevede le "sommarie informazioni" che la polizia giudiziaria assume dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. L'attribuzione di un siffatto potere alla polizia giudiziaria e' stato riconosciuto dalla legge-delega nella direttiva 31 seconda parte (che menziona espressamente le "dichiarazioni rese dai testimoni") e nella direttiva 76 seconda parte (che include, tra gli atti utilizzati per le contestazioni allegabili, "le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria... nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto"). Pertanto, nel comma 1, sono menzionate, in modo generico tutte le "sommarie informazioni" assunte dalla polizia giudiziaria - per la ricerca e l'individuazione dei testi potenziali ed, in genere, per assicurare le fonti di prova - costituenti forme di attivita' particolarmente utili, specie all'inizio delle indagini, quando e' necessario seguire e verificare tutte le piste, ma che non possono essere utilizzate come prova in dibattimento; nel comma 2 sono invece indicate, in modo specifico, quelle particolari "sommarie informazioni assunte sul luogo o nell'immediatezza del fatto nonche' nel corso delle perquisizioni dalle persone presenti o da quelle che intervengono successivamente" le quali, per le loro caratteristiche e in presenza delle condizioni richieste, possono essere utilizzate in dibattimento a norma dell'art. 493 comma 4 quando si tratta di dichiarazioni "assunte nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto". Anche la documentazione, come si vedra', segue il regime dell'utilizzazione per cui l'obbligo di redigere il verbale e' previsto soltanto per le sommarie informazioni assunte "nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e l'immediatezza del fatto" (v. art. 357 comma 2, lett. c): L'articolo 352 attua la direttiva 31 quinta parte della legge-delega nella parte in cui prevede il "potere-dovere della polizia giudiziaria di procedere, in casi predeterminati di necessita' e di urgenza, a perquisizioni e sequestri". Nella "predeterminazione dei casi" si e' avuto riferimento alle ipotesi di flagranza del reato ed evasione in cui l'urgenza e' presunta (comma 1) ed ai reati di maggiore gravita' (per i quali e' previsto l'arresto obbligatorio o il fermo di polizia giudiziaria) in relazione ai quali e' stata pero' richiesta la sussistenza di specifiche situazioni di urgenza (comma 2). Si ricorda che le perquisizioni negli uffici dei difensori sono disciplinate dall'art. 102. In ordine alle modalita' della perquisizione e alle garanzie del perquisito, il comma 3 rinvia alle disposizioni contenute negli artt. 248 comma 1, sull'invito a consegnare la cosa ricercata, 249 comma 2, sul rispetto della dignita' e del pudore del perquisito, 249 comma 1 e 250, sul diritto di farsi assistere da persona di fiducia, 251, sui limiti temporali delle perquisizioni domiciliari, e 252, sul sequestro conseguente a perquisizione. Il diritto di assistenza del difensore e' regolato dall'art. 356. La verbalizzazione dell'attivita' compiuta e' disposta nell'art. 357. Va sottolineata la necessita' di prevedere nelle disposizioni di coordinamento il regime delle perquisizioni previste dalle disposizioni speciali (art. 41 t.u.l.p.s.; art. 33 l. 7 gennaio 1929, n. 4, etc...). Nell'articolo 353 l'esigenza di assicurare le fonti di prova viene bilanciata col diritto di corrispondere o comunicare liberamente e riservatamente. Quando vi sia la necessita' di acquisire plichi sigillati o altrimenti chiusi, l'ufficiale di polizia deve trasmetterli intatti al pubblico ministero, salva l'autorizzazione, anche telefonica, ad aprirli sul posto. Si e' cosi' inteso tutelare sia le corrispondenze non ancora inoltrate, o gia' pervenute e non ancora aperte, sia il diritto dei privati di creare un ambito di riservatezza attorno a documenti importanti mediante la loro collocazione entro plichi sigillati. Nell'aggiornare la norma, la locuzione "plichi sigillati" e' stata sostituita a quella "carte sigillate" allo scopo di ricomprendere documenti formati con materiale diverso dalla carta (nastri magnetici, pellicole cinematografiche, etc.) ed egualmente meritevoli di tutela. Se si tratta di corrispondenza, e' previsto nell'ultimo comma che l'ufficiale di polizia giudiziaria possa ordinare soltanto la sospensione dell'inoltro fino a quando il pubblico ministero non abbia assunto i provvedimenti del caso. Per contro si e' disposto che, se entro le quarantotto ore dall'ordine, il pubblico ministero non disponga il sequestro, la corrispondenza debba essere in ogni caso inoltrata. Nel comma 3, il concetto di "corrispondenza" e' stato precisato ed integrato richiamando le lettere, i pacchi, i valori, i telegrammi e gli "altri oggetti di corrispondenza" al fine di adeguare compiutamente il contenuto della disposizione all'art. 254 ed al fine di evitare equivoci interpretativi specie tenendo conto del concetto di corrispondenza quale emergente da disposizioni speciali in tema di servizio postale. La preoccupazione a suo tempo espressa che attraverso questa norma possano essere sacrificati oltre misura gli interessi privati, lesi dal mancato inoltro della corrispondenza se non si consenta il rilascio immediato di copie del documento e l'inoltro delle missive urgenti, e' stata ritenuta eccessiva considerando che il fermo della corrispondenza non puo' superare le quarantotto ore e che, se il pubblico ministero ordina il sequestro, gli interessi privati possono trovare soddisfazione nelle norme che consentono di rilasciare copia dei documenti sequestrati (art. 258). Non e' stata riprodotta una disposizione del tipo di quella che figurava nel comma 4 dell'art. 365 del Progetto del 1978 e relativa al divieto di impedire, interrompere o intercettare comunicazioni o conversazioni senza la previa autorizzazione del giudice. Si e' ritenuto, infatti, che una norma del genere e' del tutto superflua alla luce della disciplina elaborata in tema di intercettazioni telefoniche considerando, altresi', che il divieto discende anche dall'art. 348, che enuncia gli atti tipici che la polizia giudiziaria puo' compiere. Si ricorda, infine, che anche per questi atti, l'art. 357 prevede la verbalizzazione e che, per l'immediata apertura del plico, autorizzata dal pubblico ministero, l'art. 356 prevede l'assistenza del difensore. Nell'articolo 354, riguardante gli accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose, si e' adottata una formulazione che richiama il comma 2 dell'art. 222 c.p.p., con gli adattamenti ed i coordinamenti ritenuti opportuni o resi necessari dalle altre disposizioni del Progetto (legittimati al sequestro - v. anche artt. 352 e 353 - sono solo gli ufficiali di polizia giudiziaria; il sequestro puo' riguardare anche le cose pertinenti al reato; la polizia giudiziaria procede anche ai necessari rilievi: la previsione e' attualmente nell'art. 225 c.p.p.; il riferimento al diritto di assistere da parte del difensore e' nell'art. 356). In conseguenza della sostanziale irripetibilita' e della peculiare funzione accertativa, la documentazione di questo atto acquista una particolare importanza. Si e' percio' disposto nell'art. 357, che la polizia giudiziaria rediga il verbale delle operazioni compiute. E poiche' e' previsto che a tali operazioni partecipino persone fornite di specifica competenza tecnica nell'eseguire i rilievi e gli accertamenti (la previsione e' ora nell'art. 359 comma 3, ed e' parso superfluo ripeterla anche qui), il verbale potra' essere corredato con fotografie, planimetrie e con ogni altro mezzo di riproduzione. L'articolo 355 riproduce l'attuale art. 224 bis c.p.p. introdotto con l'art. 21 l. 12 agosto 1982, n. 532. Il decreto e' emesso dal pubblico ministero perche' a questi spetta funzionalmente il potere di disporre il sequestro. Pertanto per tale decreto di convalida valgono le norme sul riesame del decreto di sequestro (v. art. 343 bis c.p.p. e artt. 257 e 324 del Progetto). L'articolo 356 prevede che il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facolta' di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, a taluni atti di polizia giudiziaria: sono, come si e' accennato, le perquisizioni, gli accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi e delle cose e l'immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico ministero a norma dell'art. 353 comma 2. La norma attua la direttiva 31 settima parte ("previsione specifica di garanzie difensive tra le quali devono essere comprese quelle relative agli atti non ripetibili".). Tale assistenza e' di natura eccezionale in quanto avviene nel corso di un'attivita' preprocessuale, svolta da soggetti che dovrebbero trovarsi in posizione dialettica rispetto all'indiziato. Essa trova giustificazione - per le perquisizioni, l'apertura del plico per gli accertamenti urgenti - nel fatto che le fonti di prova, cosi' assicurate, saranno acquisite al dibattimento attraverso la lettura del verbale se si tratta di atti non ripetibili (artt. 504 comma 1 e 427) e la consultazione del verbale e la testimonianza dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria se si tratta di atti ripetibili (art. 507). Circa il grado della partecipazione del difensore si e' stabilito che per le perquisizioni, l'apertura del plico e gli accertamenti urgenti il diritto di assistere non si accompagna a quello di essere preavvertito, sia per le ragioni di urgenza che giustificano il loro compimento, sia per la loro qualita' di "atti a sorpresa". Per quanto attiene alle sommarie informazioni della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini si richiama la disciplina prevista nell'art. 350. Per la restante attivita' di polizia giudiziaria, che non si concreta nel compimento di atti tipici, si e' previsto che essa possa svolgersi senza formalita'. Il tema della documentazione degli atti, disciplinato nell'articolo 357, e' stato affrontato nella consapevolezza della sua rilevanza in vista della "utilizzazione" degli atti medesimi. Il comma 1 dell'art. 357 stabilisce che la polizia giudiziaria annota, secondo le modalita' ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le sue attivita'. Nella disposizione e' contenuta la previsione implicita di una annotazione non sommaria da disciplinare nelle disposizioni di attuazione. "Le specifiche modalita'" menzionate nella direttiva 33 della delega sono scelte dalla polizia giudiziaria in funzione delle esigenze delle indagini. Attraverso la collocazione del comma si mira a sottolineare che la annotazione "informale" rappresenta la forma di documentazione ordinaria della attivita' svolta d'iniziativa dalla polizia giudiziaria. E' previsto infatti che la polizia giudiziaria rediga verbale nei soli casi del comma 2 e cioe': delle denunce, delle querele e delle istanze presentate oralmente (comma 2, lett. a); degli atti certamente non ripetibili, quali le perquisizioni e i sequestri sub d) e, tenuto conto anche della direttiva 31 prima parte, degli atti descrittivi di fatti e situazioni sub f); degli atti normalmente non ripetibili, quali le operazioni e gli accertamenti sub e); delle sommarie informazioni rese e delle dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini (comma 2, lett. b) e delle informazioni assunte, a norma dell'art. 351, nel corso delle perquisizioni oppure sul luogo e nell'immediatezza del fatto (comma 2, lett. c). TITOLO V ATTIVITA' DEL PUBBLICO MINISTERO Premessa. Prima di illustrare i singoli articoli, e' opportuno premettere alcune osservazioni generali alla luce delle quali deve essere valutata la disciplina nel suo insieme. Anzitutto va rilevato che soltanto una parte dell'attivita' di indagine del pubblico ministero trova la sua collocazione in questo titolo. Diverse disposizioni riguardanti l'attivita' del pubblico ministero sono state inserite nella disciplina generale delle indagini preliminari. La disciplina concernente gli epiloghi delle indagini preliminari e, in particolare, i vari tipi di richieste formulabili dal pubblico ministero (e, altresi', i termini delle indagini preliminari) e' collocata in altra sede. Taluni degli atti tipici che il pubblico ministero puo' compiere, avendo "forma libera" ovvero non diversa da quella prevista nel libro III per "i mezzi di ricerca della prova", non sono stati specificamente disciplinati (ad es. raccolta di informazioni e confronti) o sono stati disciplinati nel titolo III del libro III (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni). L'"interrogatorio nel merito" - che inizialmente era stato disciplinato nell'ambito dell'attivita' del pubblico ministero - essendo stato consentito anche nell'udienza preliminare come atto del giudice (v. art. 419) - e' stato collocato tra le norme in tema di "imputato" art. 72). Con riguardo all'interrogatorio, si ritiene opportuno ricordare che, nell'ambito della Commissione e' stata molto contrastata, da parte di alcuni componenti, la decisione di considerare anche il giudice come soggetto legittimato, sia pure soltanto in alcuni casi, al compimento dell'atto "interrogatorio". In particolare, dopo che era stata sottolineata la rilevanza della questione (implicante il pericolo di reinterpretazioni del ruolo e delle funzioni del giudice e del pubblico ministero nelle indagini preliminari, oltre che della natura e degli scopi dell'interrogatorio dell'imputato) si e' sostenuto che l'"interrogatorio" dell'imputato doveva essere disciplinato nel titolo riguardante l'attivita' del pubblico ministero perche' atto di competenza esclusiva di quest'ultimo organo. In proposito e' stato richiamato il contenuto delle direttive 37 (prima, seconda ed ultima parte), 38 (prima e seconda parte), 34 (seconda e quarta parte), 43 (lett. c), 44 (prima parte); 40 e 73 (le quali indicano che davanti al giudice dell'incidente probatorio ed al giudice del dibattimento si procede all'"esame" e non all'"interrogatorio" dell'imputato) nonche' 48, (seconda parte), 50 (ultima parte), 52, (quinta e sesta parte) dalle quali emerge che il giudice delle indagini preliminari non procede mai ad "interrogatorio" dell'imputato, ma, si limita a "sentire" "l'arrestato o il fermato" (34) "le altre parti" (48), "le persone alle quali e' stato attribuito il reato" (50) e "le parti comparse" (52). Si e' pero' ritenuto prevalente il riferimento che all'interrogatorio come "strumento di difesa", fa la direttiva 5 della delega. Di qui la concessione al giudice che ha emesso il provvedimento di custodia cautelare (art. 294), al giudice dell'udienza preliminare (art. 419) ed al giudice del giudizio abbreviato (art. 436), del potere-dovere di esaminare l'imputato, con le modalita' dell'interrogatorio, pur sottolineandosi che tale atto e' sostanzialmente diverso dall'interrogatorio del pubblico ministero perche' non ha finalita' investigative ma di controllo e di garanzia (v. anche sub art. 294 comma 6). Illustrando le disposizioni sul pubblico ministero quale soggetto processuale (v. libro I, titolo II) si e' evidenziato che la legge-delega, abolendo la fase autonoma dell'istruzione affidata al giudice e facendo del pubblico ministero il dominus dell'indagine preliminare, ha, rispetto alla legge-delega del 1974, potenziato le funzioni del pubblico ministero e ridefinito il suo ruolo. Come e' stato osservato nella relazione al disegno di legge Martinazzoli n. 691/c, "per la definizione del ruolo e dei poteri del pubblico ministero nella fase dell'inchiesta preliminare, la norma-chiave e' quella della direttiva 35 (oggi 37), che opportunamente definisce in primo luogo il campo dell'attivita' della magistratura requirente affiancando alla funzione inerente all'esercizio dell'azione penale quella dell'accertamento del fatto, inclusi gli elementi favorevoli all'indiziato o all'imputato. Senza intaccare i principi del sistema accusatorio, si e' cosi' inteso riaffermare in via generale la particolare natura pubblica delle funzioni svolte dal pubblico ministero. L'elencazione - non necessariamente esaustiva - degli atti che in questa fase il pubblico ministero puo' compiere conferma l'estensione dei suoi poteri investigativi, risultando questi limitati dalla necessita' di richiedere la preventiva autorizzazione del giudice solo per cio' che riguarda le intercettazioni telefoniche". La direttiva 37 definisce nella prima parte le funzioni del pubblico ministero e, nella seconda, gli atti che il pubblico ministero puo' compiere per esercitare le sue funzioni di indagine: precisando, in particolare, che al pubblico ministero spetta il "potere-dovere... di compiere indagini in funzione dell'esercizio dell'azione penale e dell'accertamento di fatti specifici, ivi compresi gli elementi favorevoli all'imputato e il potere..., ai fini suddetti, di interrogare l'imputato, di raccogliere informazioni, di procedere a confronti, a individuazioni di persone e di cose, ad accertamenti tecnici, ad ispezioni, di disporre perquisizioni, sequestri e, previa autorizzazione del giudice, intercettazioni di conversazioni e di altre forme di comunicazione". In relazione a tali direttive si pongono alcuni problemi di carattere generale. Il primo riguarda il richiamo, contenuto nella direttiva 37, "all'accertamento dei fatti specifici, ivi compresi gli elementi favorevoli all'imputato". In merito va subito chiarito che da quest'ultima innovativa indicazione, non puo' tuttavia discendere una diversa collocazione "istituzionale" del pubblico ministero. La sua attivita' resta quella di investigazione inidonea a formare la prova; il suo ruolo, quello di "organo dell'azione penale". Con quella indicazione, infatti, non si e' inteso ripristinare l'istruzione sommaria (accusatore-giudice), ma solo sottolineare la complessita' della funzione svolta, chiarendone il carattere giuridicamente doveroso e la necessaria riferibilita' a "fatti specifici" (specificazione, quest'ultima, voluta dal Senato in luogo della formulazione della Camera che si rifaceva al generico "accertamento del fatto"). Il secondo problema, strettamente connesso al primo, concerne la necessita' od opportunita' di formulare, eventualmente aggiungendola all'articolo di apertura del titolo, una disposizione, riproducente la direttiva 37 seconda parte, con l'elencazione degli atti tipici del pubblico ministero. Al riguardo, pur ritenendosi che gli atti tipici debbano essere espressamente disciplinati perche' la delega, elencandoli, e' "attributiva di poteri", tuttavia non si e' ritenuto di doverli previamente elencare e poi disciplinare espressamente per evitare che il riferimento agli atti tipici, in rigida concatenazione, facesse pensare ad una riedizione della istruzione sommaria e facesse, viceversa, dimenticare che l'attivita' del pubblico ministero e' pre-processuale e quindi ispirata alla "forma libera e alla atipicita' degli atti". Nel disciplinare l'attivita' del pubblico ministero si e' cercato di attuare scrupolosamente l'orientamento seguito dalla delega di differenziare nettamente il ruolo del pubblico ministero ed il ruolo del giudice che interviene durante la fase anteriore al dibattimento attraverso una diversita', sia nominale, sia di effetti, degli atti compiuti dai due organi giudiziari. Dal punto di vista nominale, tenendo conto delle differenze gia' evidenziate dalla delega tra gli atti del pubblico ministero specificati nella direttiva 37 seconda parte e gli atti del giudice menzionati nella direttiva 40 (riguardante l'incidente probatorio), nel disciplinare o richiamare gli atti del pubblico ministero si e' fatto riferimento, come meglio si vedra' esaminando i singoli articoli, agli "accertamenti tecnici" (e non alle "perizie"), alla "individuazione di persone e di cose" (e non alle ricognizioni), al "confronto" (e non ad "atti di confronto"), all'"interrogatorio" dell'imputato inteso come atto compiuto anche a fini investigativi (e non all'"esame" dell'imputato), alle "sommarie informazioni" (anziche' alle "testimonianze"). Il valore di questo impegno lessicale si rinviene laddove la questione venga considerata dal punto di vista dei diversi effetti degli atti per far intendere che, in un sistema nel quale la prova si forma in dibattimento - o, comunque, davanti al giudice in sede di incidente probatorio visto come anticipazione del dibattimento - gli atti del pubblico ministero, tutti processualmente utilizzabili nella fase delle indagini preliminari per l'esercizio delle funzioni previste nella direttiva 37, hanno, in linea generale, una funzione esclusivamente endo-processuale, legata ai vari passaggi del cammino verso il giudizio. Essi servono dunque per le decisioni da prendersi sulla liberta' personale dell'imputato (art. 291), sulla richiesta di archiviazione (artt. 405 e 406), sulla richiesta di giudizio immediato (art. 449) e sulla richiesta di procedimento per decreto (art. 453) e possono essere utilizzati processualmente nella udienza preliminare (artt. 413 e 418) e nell'applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 439 e 442). Invece, non sono ulteriormente utilizzabili come prova, nella fase dibattimentale, - dato che questi atti non pervengono al giudice del dibattimento salvo che si tratti di atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria (v. art. 427, lett. b ) e c) ed art. 504 comma 1) o degli atti assunti dal pubblico ministero quando di questi, per fatti o circostanze imprevedibili durante le indagini preliminari, e' divenuta impossibile la ripetizione (art. 505). Va ricordato, infine, che gli atti compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria sono comunque utilizzabili in dibattimento per le contestazioni nei limiti stabiliti dagli artt. 493, 494, 496 e che dei verbali delle dichiarazioni rese da imputati nel corso delle indagini preliminari al pubblico ministero, puo' essere data lettura in dibattimento, ove ne esistano i presupposti, a norma dell'art. 506. Rinviando alle rispettive sedes materiae per la completa illustrazione della articolata e complessa disciplina della utilizzazione degli atti del pubblico ministero, qui interessa segnalare che: a) la disciplina dell'esercizio del diritto di difesa ha dato attuazione alla direttiva 38 della legge-delega tenendo conto che gli atti compiuti nelle indagini preliminari, attesa la loro normale inutilizzabilita' come prova in dibattimento, non comportano, di regola, l'intervento del difensore con funzione propriamente difensiva, ma con funzioni di tutela della persona: tuttavia, quando si tratta di atti utilizzabili nel dibattimento, la partecipazione del difensore assume la piena funzione difensiva: b) la disciplina della documentazione dell'attivita' del pubblico ministero ha attuato la direttiva 37 nella parte in cui prevede l'"obbligo del pubblico ministero di documentare l'attivita' compiuta secondo specifiche e differenziate modalita'"; essa e' stata redatta, da un lato, considerando l'importanza che, nella delega, assume la diversificazione delle forme di documentazione anche con riferimento al regime di utilizzabilita' dell'atto e, dall'altro, scegliendo la forma da seguire in correlazione alla natura intrinseca dell'atto, alle caratteristiche delle indagini preliminari ed alle determinazioni che al riguardo assumera' il pubblico ministero, per conferire alle stesse indagini preliminari la flessibilita' necessaria ad adeguarle ai diversi tipi di processo ed alle caratteristiche del singolo processo in concreto: c) durante i lavori della Commissione e' stata prospettata l'esigenza di elencare tassativamente, nell'ambito dell'attivita' del pubblico ministero, gli atti che appaiono subito non ripetibili e che come tali vengono compiuti dallo stesso pubblico ministero in modo da poter stabilire preventivamente, per tali atti non ripetibili, una disciplina comune con specifico riguardo alle garanzie difensive ed alle forme di documentazione: al riguardo si e' ritenuto di non introdurre elencazioni tassative di atti non ripetibili, sia per la gia' ricordata impostazione accolta tendente ad evitare l'elencazione di atti tipici del pubblico ministero, sia per il rilievo che deve essere riconosciuta al giudice del dibattimento la valutazione circa l'effettiva non ripetibilita' degli atti in concreto. Tanto piu' che la distinzione fra atti ripetibili e atti non ripetibili sembra legata anche al divenire della esperienza teorica e pratica. Illustrazione degli articoli. Anche gli atti specifici del pubblico ministero sono stati qualificati come "attivita' del pubblico ministero", ed il termine e' stato ripreso nell'articolo 358 che apre questo titolo. E' sembrato pero' opportuno mantenere nella rubrica l'espressione "attivita' di indagine", che - oltre a riprendere l'indicazione della direttiva 37 della delega ("potere-dovere del pubblico ministero di compiere indagini") - vuole dissipare sin dall'inizio, anche nella formulazione lessicale, ogni residuo equivoco sul carattere non istruttorio dei relativi svolgimenti ed accentuare, nel contempo, la limitata finalizzazione degli atti medesimi. Su quest'ultimo profilo si e' ritenuto di dover insistere anche nella dizione della norma ("ogni attivita' necessaria ai fini indicati nell'articolo 326"), per disincentivare eventuali atteggiamenti concreti che, per un naturale fenomeno di vischiosita', dovessero rinnovare l'attuale istruzione sommaria e per ribadire il limite di funzione e di utilizzabilita' di tali attivita'. Anche l'aggettivazione in termini di "necessarieta'" intende ribadire questo profilo. Dovrebbe quindi risultare ben chiaro che le indagini rivestono il carattere di una fase eventuale, nel senso che il compimento dell'attivita' investigativa non costituisce il passaggio obbligato verso il procedimento, perche' puo' verificarsi l'ipotesi di un immediato promovimento dell'azione penale sulla base della notizia di reato o dei risultati dell'attivita' diretta della polizia giudiziaria. Per sottolineare questo carattere non si e', tuttavia, impiegata la locuzione "puo'" nella descrizione dell'attivita' del pubblico ministero; la direttiva 37 della delega prevede, infatti, una situazione soggettiva di potere-dovere, che rappresenta qualcosa di piu' della pura e semplice facolta'. Sempre per togliere alle indagini preliminari il carattere di fase rigidamente disciplinata in una concatenazione di atti tipici, si e' preferito mantenere nell'art. 358 una indicazione generica, rinviando, quando possibile, la menzione di specifici atti di indagine alle norme relative all'intervento del difensore (artt. 363 e 364), al deposito degli atti (art. 365) ed alla documentazione degli atti (art. 371). La formulazione della direttiva 37 parte seconda della legge-delega ed il suo espresso riferimento "all'accertamento di fatti specifici ivi compresi gli elementi favorevoli all'imputato" hanno imposto di introdurre un secondo inciso che tenesse conto del potere-dovere del pubblico ministero di estendere le proprie indagini a tutto cio' che puo' formare oggetto di prova per l'accusa o la difesa (v. art. 187). La formulazione privilegiata tenta di superare la mera ripetizione del testo della delega pur salvaguardandone tutto il significato tendente, come si e' accennato all'inizio, nel rispetto piu' assoluto dei principi del sistema accusatorio e del ruolo di "parte" del pubblico ministero, ad evidenziare la natura ordinamentale, giudiziaria e pubblica, dell'istituto e della funzione. Non si e' ritenuto, invece, di inserire il secondo inciso della disposizione quale comma 2 dell'art. 326 (finalita' delle indagini preliminari) osservando che le due norme devono essere diversificate perche' quella dell'art. 326 e' solo descrittiva e riguarda anche la polizia giudiziaria cui non spettano gli obblighi "ulteriori" previsti per il pubblico ministero, mentre quella in esame e' attributiva di poteri e riguarda soltanto il pubblico ministero. L'articolo 359 riguarda i consulenti tecnici di cui il pubblico ministero puo' avvalersi quando procede agli accertamenti, ai rilievi e ad ogni altra operazione che richieda specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Si tratta di una disposizione a carattere generale che mutua talune espressioni dall'art. 223 c.p.p. vigente e altre dagli articoli del Progetto in tema di perizia (artt. 220, 221 e 228). Si e' voluto consentire che il pubblico ministero possa avvalersi specie in questa fase e per qualsiasi tipo di operazione tecnica" di persona idonea (v. ultimo inciso dell'art. 369 del Progetto del 1978): quella stessa di cui potra' avvalersi anche nel corso del processo (artt. 225, 230, 233). Sono stati omessi richiami a "forme tipiche" per il conferimento dell'incarico ovvero a modalita' tipiche per l'espletamento di questo, ma attraverso il riferimento alle "specifiche competenze", si e' voluto precisare che il pubblico ministero dovra' avvalersi di consulenti particolarmente affidabili. (Nelle disposizioni di attuazione dovra' essere previsto a quali soggetti specificamente competenti vanno affidate le consulenze medico-legali). Il comma 3 rende applicabile la disposizione anche alla polizia giudiziaria, sia per l'attivita' ad iniziativa, sia per l'attivita' delegata. Il tema della liquidazione al consulente dovra' essere disciplinato nelle disposizioni di attuazione e di coordinamento anche con un richiamo alla norma sulla perizia (art. 232). L'articolo 360 (concernente gli accertamenti tecnici non ripetibili) in via di principio mira ad evitare il ricorso agli incidenti probatori in quei casi semplici ma numerosi che, nella pratica, possono verificarsi (si pensi alle autopsie oggi disposte in occasione di decessi da incidenti stradali od a perizie balistiche e chimiche di particolare semplicita' ma che possono produrre la distruzione dei reperti). In questi casi e' stata prevista per il difensore - che ha diritto di assistere e di essere avvisato - una sorta di "acquiescenza", se non formula riserva di promuovere richiesta di incidente probatorio, ed una sorta di "diritto di veto", se invece formula tale riserva (commi 1, 2, 3 e 4). Il "veto" del difensore non puo' peraltro operare se gli atti non sono comunque rinviabili (v. ultima parte del comma 4 e clausola di salvezza all'inizio del comma 5). Il comma 5 prevede la sanzione processuale della inutilizzabilita' dell'accertamento se compiuto in violazione del disposto del precedente comma 4. Con la previsione del divieto di raccogliere "i relativi esiti" nel fascicolo per il dibattimento si e' voluto pero' precisare che la utilizzazione e' comunque possibile nei limiti in cui e' consentita per gli atti contenuti nel fascicolo di parte e, pertanto, ai fini della contestazione (al pari, cioe', di tutti gli atti compiuti dal p.m.). La disposizione sembra applicabile anche alle analisi dei campioni prelevati (v. sent. Corte cost. 28 luglio 1983, n. 248). Diverso e' il caso del prelievo dei campioni medesimi al quale e' invece applicabile, oltre che la normativa speciale (ad es. art. 15 l. 10 maggio 1976, n. 319 sull'inquinamento delle acque), il complesso delle disposizioni che regolamenta la perquisizione e il sequestro e, in tema di autonoma attivita' di polizia giudiziaria, l'art. 354. Si e' preferito non fare generico riferimento alla applicabilita' delle norme sull'incidente probatorio in considerazione della opportunita' di non tipizzare l'accertamento in questione. E' stata comunque consentita alla persona offesa e al suo difensore la "partecipazione" all'atto proprio per non determinare trattamenti deteriori rispetto a quelli previsti in caso di incidente probatorio. L'articolo 361 disciplina la individuazione di persone e di cose come atto tipico del pubblico ministero previsto espressamente dalla direttiva 37. Le diversita' lessicali della direttiva 37 (riguardante le "individuazioni di persone e di cose") rispetto alla direttiva 40 (riguardanti le corrispondenti "ricognizioni" compiute dal giudice in sede di incidente probatorio) dovranno influire sulla disciplina delle individuazioni che si sottraggono al ricorso all'incidente probatorio, tipico di questo tipo di atti. E' prevedibile che il pubblico ministero si avvalga dell'art. 361 solo nella prima fase delle indagini ad evitare che la necessita' di compimento dell'atto possa incidere sul convincimento del giudice in occasione della valutazione degli esiti della eventuale, successiva ricognizione. La genericita' della norma e', pertanto, intenzionale perche', anche qui, si e' voluto evitare qualsiasi "tipizzazione" delle individuazioni ed evidenziare che esse possono essere compiute solo quando e' necessario per la immediata prosecuzione delle indagini (comma 1) richiamando in proposito un riferimento gia' contenuto nell'art. 350 in tema di notizie e indicazioni fornite alla polizia giudiziaria dall'indiziato. La menzione, nel comma 1, degli "altri oggetti di percezione sensoriale" si spiega con la autonoma previsione di uno specifico tipo di corrispondente "ricognizione" (art. 216). Va inoltre precisato che nessuna distinzione e' stata operata in relazione alla individuazione fotografica per la quale il problema si pone, in modo particolare, tra individuazione occasionale ed individuazione provocata: sicche', anche quest'ultima e' consentita al pubblico ministero. Il riferimento, nel comma 3, alle cautele previste dall'art. 214, concernente lo svolgimento della ricognizione da parte del giudice, viene incontro ad una esigenza pratica che esiste anche per le individuazioni, malgrado la diversa natura giuridica dell'atto di indagine rispetto al mezzo di prova. Quest'ultima considerazione vale anche per l'articolo 362 ("interrogatorio" di persona imputata di reato connesso) che estende l'applicabilita', alla fase delle indagini preliminari, delle disposizioni dell'art. 210 concernenti l'"esame" di persona imputata dello stesso reato o di reato connesso contro la quale si procede separatamente. Con gli articoli 363 e 364 viene data attuazione alla direttiva 38 parti prima, seconda e terza. Dette direttive, anche se hanno imposto di far rivivere la tipicita' degli atti del pubblico ministero cui la difesa ha diritto di assistere, tuttavia non hanno in alcun modo reso tali atti equivalenti, sotto il profilo probatorio, a quelli compiuti dal giudice. Sicche' la garanzia della difesa che accompagna gli atti tipici in questione (e rimane invece esclusa dalla disciplina degli atti generici) non vuole significare che l'intervento della difesa incide sul valore dell'atto compiuto dal pubblico ministero, perche' la legge-delega ha chiaramente fissato il principio secondo cui la prova si forma in dibattimento (o davanti al giudice dell'incidente probatorio). Contro tale conclusione non vale obiettare che la direttiva 76 della delega attribuisce al giudice il potere "di allegare nel fascicolo processuale, tra gli atti utilizzati per le contestazioni, solo quelli assunti dal pubblico ministero cui il difensore ha diritto di assistere". Infatti la limitata efficacia probatoria attribuita ad alcuni di tali atti, se acquisiti al fascicolo per il dibattimento dopo la loro utilizzazione per le contestazioni (v. art. 496 comma 5), non vale a rendere gli atti stessi, compiuti dal pubblico ministero, idonei a formare la prova. Anche se per essi l'assistenza del difensore non si risolve soltanto in un intervento limitato alla tutela della liberta' morale della persona, ma si estende anche ad una funzione difensiva vera e propria (quanto meno con riferimento all'acquisizione da parte del difensore di quella conoscenza degli sviluppi delle indagini che gli consentira' di svolgere appieno l'assistenza tecnica in sede processuale davanti all'organo giurisdizionale), cio' non toglie che, salva l'utilizzabilita' consentita dalla direttiva 76 della delega, la destinazione naturale di tutto il materiale frutto delle indagini preliminari e' nella finalizzazione delle indagini stesse, volutamente scolpita nella direttiva 37 ed attuata con gli artt. 326 e 358. La disciplina del diritto di difesa nelle indagini preliminari - a parte quel che si e' detto a proposito degli accertamenti tecnici non ripetibili di cui all'art. 360 - e' contenuta negli artt. 363 e 364, che (salvo il caso della "ispezione" per cui e' intervenuta una specifica modifica in Senato, rispetto al testo approvato dalla Camera) corrispondono ad una netta bipartizione non chiaramente tracciata nella direttiva 38 della delega, ma connaturale ai singoli atti di indagine: da un lato gli atti il cui svolgimento mette capo all'acquisizione di elementi per le determinazioni di competenza del pubblico ministero (interrogatorio e confronto cui partecipi l'imputato); dall'altro, atti diretti a raccogliere elementi precostituiti alle indagini (ispezione, perquisizione e sequestri). Problema complesso e' apparso quello relativo al diritto di assistere del difensore e al diritto di essere preavvertito e cio' attese le modifiche portate dal Senato alla direttiva 38, qui sostituendo le parole "le perquisizioni" con le parole "la perquisizione", e, nella terza parte della stessa direttiva, sostituendo la frase "escluse comunque le perquisizioni e le ispezioni", con la frase "escluse le perquisizioni e i sequestri". Il problema e' stato risolto prevedendo il diritto di assistenza con preavviso del difensore, non solo per l'interrogatorio e per il confronto cui partecipi l'imputato, ma anche per le ispezioni, dato che il riferimento ai "sequestri" (anziche' alle "ispezioni" come nel testo della Camera) nella direttiva 38, sembra comportare, a contrario, un diritto all'avviso nei casi di ispezione (commi 1 e 3 dell'art. 363). Per gli atti di perquisizione e sequestro, aventi natura di "atti a sorpresa", il preavviso del difensore, che ha facolta' di assistere, non e' dovuto. Riassumendo, e' quindi previsto: l'invito all'imputato a presentarsi per gli atti che richiedono la sua partecipazione personale; l'avviso del compimento degli atti che non comportano invece tale partecipazione (ispezioni cui l'imputato non debba partecipare); l'avviso, in entrambi i casi, della nomina di un difensore di ufficio e della facolta' di nominarne uno di fiducia. E' stato previsto inoltre che, nel rispetto dello stesso ristretto termine di ventiquattro ore, l'avviso del compimento di uno qualsiasi di tali atti di indagine venga dato anche al difensore di ufficio o a quello di fiducia precedentemente nominato. Per quel che concerne le modalita' di intervento del difensore l'art. 363 comma 4 riproduce la dizione della direttiva 38 della legge-delega che parla di "diritto di assistere". Sulla traccia della disciplina attuale, e' stata mantenuta (art. 363 comma 5) la deroga all'obbligo di avviso al difensore o al rispetto del termine dilatorio per il compimento dell'atto: salva, naturalmente, la facolta' del difensore di intervenire. I rischi di questa disciplina sono noti; ci si rende d'altronde ben conto di come situazioni di assoluta eccezionalita' ben possono presentarsi; ma si e' cercato di ridurre il pericolo di una dilatazione applicativa della stessa, ancorandone i presupposti a parametri il piu' possibile rigorosi. Si e' parlato, percio', nell'art. 363 comma 5, di casi di "assoluta urgenza" e di "fondato motivo" che il ritardo possa pregiudicare la ricerca e l'assicurazione delle fonti di prova. Si e' inoltre espressamente prevista la sanzione di nullita', qualora il pubblico ministero non indichi espressamente i motivi della deroga, in modo da non ammettere scusanti per quella che dovesse diventare una prassi generalizzata anziche' una extrema ratio per casi di assoluta eccezionalita'. In ordine alla facolta' del difensore che assiste di presentare al pubblico ministero richieste, osservazioni e riserve, fermo restando per tutti i partecipanti il divieto di fare segni che possono pregiudicare il risultato dell'atto, si e' ritenuto opportuno prevedere espressamente la menzione, nel verbale, delle suddette richieste, osservazioni e riserve, tenuto conto della utilizzabilita' dell'atto in dibattimento per le contestazioni e della conseguente possibilita' di allegazione al fascicolo per il dibattimento. L'articolo 365, che disciplina il deposito degli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria ai quali il difensore ha diritto di assistere e di quelli relativi alle ispezioni e perquisizioni personali dell'indiziato, e' attuativo della direttiva 38 parte quarta. La formulazione dell'articolo ricalca quella dell'art. 304XXquater c.p.p. vigente e, quando richiama il decreto che dispone il ritardo nel deposito, all'art. 329 nella parte concernente il decreto con cui il pubblico ministero esercita il potere di segretazione degli atti di indagine. Il termine entro il quale deve avvenire il deposito e' stato adeguato al fatto che spetta al pubblico ministero depositare anche gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria. L'articolo 366 (provvedimenti del giudice sulla richiesta di sequestro), disciplina il caso in cui, nel corso delle indagini preliminari, chi sia interessato (ad esempio, parte offesa o danneggiato dal reato) abbia richiesto al pubblico ministero il sequestro e questi abbia ritenuto di non doverlo disporre. In forza del principio generale, che informa tutto il nuovo codice, del controllo, da parte del giudice delle indagini preliminari, dell'attivita' compiuta dal pubblico ministero prima dell'esercizio dell'azione penale e, quindi, prima dell'inizio del processo in senso proprio, si e' stabilito che, nel caso in questione, il pubblico ministero trasmetta, con il proprio parere, la richiesta presentatagli dall'interessato al giudice delle indagini preliminari il quale provvede o rigettando la richiesta stessa o disponendo il sequestro. L'articolo 367, concernente l'"informazione di garanzia", e' stato introdotto per attuare la direttiva 38 parte quinta. Dai lavori preparatori della legge-delega emerge chiaramente che il legislatore, con tale direttiva, considerando che, in concreto, il vigente istituto della "comunicazione giudiziaria" (frutto della modifica apportata, con l. 15 dicembre 1972, n. 773, all'"avviso di procedimento" introdotto con l. 5 dicembre 1969, n. 932), anziche' assolvere a quelle funzioni garantistiche per le quali era stato concepito, spesso ha determinato rilevanti lesioni della reputazione di indiziati a carico dei quali successivamente non e' risultato alcun concreto elemento di responsabilita', ha voluto ovviare a tale grave inconveniente adottando una soluzione che, pur conservando sostanzialmente e concretamente la funzione di garantire l'esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato, anche nella fase delle indagini preliminari, evita di produrre su persone, che magari non saranno mai rinviate a giudizio, danni - anche in termini di immagine e di costi umani - propri del procedimento penale. Nella redazione dell'articolo si e' anche tenuto conto del recente disegno di legge governativo n. 499/S, comunicato alla Presidenza del Senato il 5 ottobre 1987, concernente la "modifica della comunicazione giudiziaria". Nella relazione fra l'altro, tale disegno di legge e' presentato come "una anticipazione" del nuovo codice. L'espressione "comunicazione giudiziaria" e' stata, cosi', sostituita con quella "informazione di garanzia", apparsa piu' idonea a qualificare l'istituto in esame. Detta "informazione di garanzia" non viene piu' data dall'inizio delle indagini, ma, coerentemente con la sua funzione istituzionale, "sin dal compimento del primo atto al quale il difensore ha diritto di assistere". E' solo in tale momento, infatti, che sorge l'esigenza di notiziare l'imputato del procedimento a suo carico, giacche' solo in relazione al compimento degli atti suddetti puo' in concreto estrinsecarsi l'attivita' del difensore. Tenuto conto del fatto che in concreto puo' rivelarsi opportuno procedere con sollecitudine al compimento degli atti in questione e che una siffatta esigenza potrebbe esser frustrata se l'autorita' procedente dovesse essere in ogni caso condizionata dai tempi, spesso non brevi, della notifica a mezzo del servizio postale dell'informazione di garanzia, si e' previsto (comma 2) che il