(parte 5)
esecuzione ad un provvedimento cautelare formalmente viziato.
   L'articolo  293 concerne gli adempimenti esecutivi delle ordinanze
che dispongono misure cautelari, in una  prospettiva  piu'  ampia  di
quella  del  Progetto  del 1978, essendo coinvolte anche attivita' di
organi diversi da quelli di polizia giudiziaria.
   Nel  comma  1  si  segnala  l'inserzione di quanto e' volto a dare
attuazione alla direttiva 5 della legge-delega circa gli avvertimenti
funzionali  all'esercizio del diritto di difesa, mentre nel comma 2 e
nel comma  3  alcuni  ritocchi  alla  disciplina  gia'  prevista  dal
Progetto  del  1978  mirano  ad  una  maggior chiarezza di normativa,
sempre  in  relazione   all'esercizio   di   diritti   che   spettano
all'imputato  od  al  suo  difensore.  Nel  comma  4,  infine,  si e'
trasferita, generalizzandola per tutte le  misure  interdittive,  una
disposizione gia' prevista dal precedente Progetto preliminare per la
sola sospensione dalla potesta' genitoriale, e volta a consentire  un
raccordo   tra  l'esercizio  dei  poteri  cautelari  nell'ambito  del
processo penale e l'esercizio di poteri conferiti in via ordinaria ad
organi estranei a tale processo.
   Nell'articolo  294  e'  data  attuazione  alla  direttiva 60 della
legge-delega, concernente l'interrogatorio dell'indiziato in stato di
custodia cautelare.
   Come    piu'    diffusamente   illustrato   nelle   considerazioni
introduttive al titolo V del libro V, la Commissione, muovendo  dalla
considerazione    della    natura    di    "strumento    di   difesa"
dell'interrogatorio (direttiva 5),  dopo  un  lungo  ed  approfondito
dibattito,  ha  ritenuto, a maggioranza, di dover concedere in taluni
casi al giudice il  potere-dovere  di  esaminare  l'imputato  con  le
modalita'   dell'interrogatorio,  ma  con  finalita'  sostanzialmente
diverse da quelle dell'interrogatorio del pubblico ministero, vale  a
dire a fini di controllo e di garanzia, e non di investigazione.
   Tale potere-dovere e' stato cosi' attribuito (oltre che al giudice
dell'udienza preliminare) al giudice  che  ha  disposto  la  custodia
cautelare,  al fine di consentire, attraverso il contatto diretto con
l'indiziato ristretto, l'acquisizione degli  elementi  necessari  per
un'immediata  verifica della sussistenza dei presupposti della misura
cautelare disposta.
   In ragione di tale sua specifica finalita', peraltro espressamente
sancita nel comma 5, la norma in esame  e'  stata  collocata  fra  le
norme concernenti le misure cautelari personali.
   I  commi  1  e  2  riproducono,  con gli adattamenti imposti dalla
legge-delega, le disposizioni dell'attuale art. 365 c.p.p.
   Al fine di evitare che il numero e la dislocazione degli indiziati
possano,     di     fatto,     pregiudicare     la     praticabilita'
dell'interrogatorio,  si  e'  previsto,  nel comma 4, il ricorso alla
"rogatoria".
   Nel  comma  6  si e' infine stabilito che l'interrogatorio, cui il
pubblico ministero puo' autonomamente procedere nell'ambito dei  suoi
poteri  di  indagine,  possa  anche  precedere  l'interrogatorio  del
giudice, purche' non rechi  intralcio  o  ritardo  al  compimento  di
questo.
   La  disciplina  appena  descritta si applica evidentemente anche a
chi sia custodito in luogo di cura o a  chi  si  trovi  agli  arresti
domiciliari,  stante  l'assimilazione  di  quest'ultima  misura  alla
custodia cautelare (art. 284 comma 5).
   L'articolo 295 e l'articolo 296 sono strettamente legati tra loro,
anche e soprattutto dal punto di vista dell'integrazione che e' stata
apportata  al  primo  di  essi.  Tra  le  attivita'  successive  alla
constatazione  dell'esito  infruttuoso  delle   ricerche   per   dare
esecuzione   alle   misure   cautelari,   si   sono   infatti  volute
espressamente  menzionare,  e  disciplinare,  le  intercettazioni  di
comunicazioni,  in  questo  caso  dirette  all'ulteriore  ricerca del
latitante,  anziche'  all'acquisizione  di  prove  per  la  decisione
finale.
   Sostanzialmente  invariata,  rispetto alla disciplina del Progetto
del 1978, e' rimasta d'altronde la  normativa  direttamente  dedicata
alla latitanza.
   L'articolo 297 (corrispondente all'art. 286 del Progetto del 1978)
che regola il computo dei termini di durata delle  misure  cautelari,
e' stato oggetto di ampio riesame.
   Sono  comunque rimasti sostanzialmente immutati i primi due commi,
con la conferma, nel comma 1, della  disciplina  vigente  per  quanto
concerne  la  decorrenza  degli effetti della custodia cautelare (nel
cui ambito va compresa, come oggi,  anche  la  misura  degli  arresti
domiciliari,  per  effetto  dell'ultimo comma dell'art. 284) e con la
precisazione relativa alla decorrenza delle altre  misure,  contenuta
nel comma 2.
   Nel  comma  3,  in rapporto ai casi di concorso tra diversi titoli
cautelari relativi al medesimo fatto, si e' fissata una normativa che
ricalca  quella  dell'art.  271  comma 3 c.p.p., mentre nel comma 5 -
concernente il cumulo tra titolo sanzionatorio e titolo cautelare  si
e' integrata la disciplina gia' prevista dal Progetto preliminare del
1978 con una precisazione che  a  sua  volta  si  modella  su  quella
dell'ultimo comma del citato art. 271 c.p.p.
   Assai   discussa,  nell'ambito  della  Commissione,  e'  stata  la
previsione del comma 4, che riflette una soluzione di  "congelamento"
di  tempi  dibattimentali,  identica  a quella introdotta, nel nostro
ordinamento, con l'art. 2 l. 17 febbraio 1987, n. 29.  Nonostante  il
permanere  di  dubbi,  si  e'  infatti  ritenuto che questa soluzione
potesse considerarsi sostanzialmente autorizzata dalla  direttiva  61
della  legge-delega,  nella  parte  in  cui  giunge  a  consentire la
soluzione - ritenuta meno "garantista" per l'imputato e la  difesa  -
della sospensione dei termini di custodia "durante il dibattimento in
relazione allo svolgimento e alla complessita' dello stesso".
   Priva   di   modifiche,   rispetto   alla  versione  del  Progetto
preliminare del 1978, e' la normativa dell'articolo 298, in  tema  di
sospensione   dell'esecuzione   delle   misure  cautelari  personali,
connessa alle esigenze di esecuzione di un ordine di carcerazione.
                                CAPO V
                       ESTINZIONE DELLE MISURE
   In  questo  capo  sono  disciplinati tutti quei fenomeni in cui si
concretizza il  venir  meno  degli  effetti  delle  misure  cautelari
personali,   nonche'   le   cause   ostative   al   loro  verificarsi
(rinnovazione e proroga).
   Nell'articolo  299  si  e'  racchiusa  la disciplina della revoca,
ossia di quel fenomeno estintivo che presuppone una valutazione sulla
sussistenza  ex  ante e sulla persistenza ex post delle condizioni di
applicabilita' delle misure cautelari.
   Ripercorrendo  la scelta gia' operata nel Progetto preliminare del
1978,  si  e'  infatti  ritenuto  opportuno,   per   un'esigenza   di
semplificazione  e  di uniformita' di disciplina, ricomprendere in un
unico istituto le ipotesi oggi previste dagli artt. 260, 269,  277  e
277- bis c.p.p., posto che la ratio delle stesse va individuata nella
medesima esigenza di procedere ad una verifica della sussistenza  dei
presupposti che legittimano l'esercizio del potere cautelare.
   Con  l'espresso  e  analitico  rinvio, nel comma 1, alle norme che
sanciscono le condizioni di applicabilita' generali e particolari  in
relazione  alla  singola  misura,  nonche'  all'art.  274 che detta i
criteri di valutazione circa la sussistenza delle esigenze  cautelari
che giustificano l'emissione del provvedimento, si e' peraltro inteso
chiarire, senza possibilita' di equivoco, che il potere di revoca  e'
soggetto  alle  medesime  regole di discrezionalita' vincolata cui e'
subordinato l'esercizio del potere cautelare.
   Nel  comma  2,  oltre  ad  essere  ribadita  la  distinzione, gia'
presente nella corrispondente disposizione del Progetto del 1978, tra
assoluta  mancanza  e semplice attenuazione delle esigenze cautelari,
che non comporta revoca bensi' sostituzione della misura, e' altresi'
data  autonoma  rilevanza  al  principio  di proporzionalita' sancito
dalla direttiva 59 della legge-delega,  prevedendosi  che  la  misura
cautelare  disposta debba essere sostituita o applicata con modalita'
meno gravose anche  nel  caso  in  cui  la  stessa  non  appaia  piu'
proporzionata  all'entita'  del  fatto o alla sanzione che si ritiene
possa essere irrogata.
   Nel comma 3 e' stabilita la competenza ad adottare i provvedimenti
di revoca o di sostituzione delle misure cautelari in relazione  alle
varie fasi del procedimento.
   Al   riguardo  si  e'  ritenuta  incompatibile  con  una  corretta
ripartizione dei ruoli tra pubblico ministero e  giudice  nella  fase
delle  indagini  preliminari  l'attribuzione  al  giudice,  che  solo
incidentalmente interviene in tale fase, di  un  autonomo  potere  di
intervento  volto  alla  revoca  o  alla  sostituzione  delle  misure
cautelari. Pertanto, mentre nell'udienza preliminare e nel corso  del
giudizio  la  revoca  potra' intervenire anche di ufficio, durante le
indagini  preliminari  la  sollecitazione  del  provvedimento   sara'
rimessa alla iniziativa delle parti, configurandosi tuttavia a carico
del pubblico ministero un potere-dovere  di  richiedere  l'intervento
del  giudice quando siano venuti a mancare i presupposti della misura
cautelare.
   Quale  correttivo  di  tale  anomala  situazione  si  e'  peraltro
previsto, nel medesimo comma 3 dell'art. 299, che  anche  il  giudice
per  le  indagini  preliminari possa intervenire ex officio allorche'
sia investito del procedimento per l'esercizio  di  taluno  dei  suoi
poteri funzionali (interrogatorio dell'indiziato in stato di custodia
cautelare,  proroga  del  termine  per  le  indagini  preliminari   e
incidente probatorio).
   Al   medesimo   fine   di   contemperare   la   predetta  anomalia
contribuiscono, per altro verso,  la  previsione  di  un  termine  di
efficacia e della automatica estinzione allo spirare di detto termine
delle misure cautelari con finalita' istruttorie, prevista  dall'art.
301,  nonche'  l'automatica  caducazione della custodia cautelare per
mancato interrogatorio dell'imputato sancita dall'art. 302.
   Negli  articoli  300,  301  e 302 sono disciplinati altri fenomeni
estintivi  che,  pur  nella  loro   diversita',   si   contrappongono
unitariamente  alla revoca, in quanto caratterizzati dall'automatismo
delle conseguenze che si ricollegano al  verificarsi  di  determinati
eventi, salvo l'intervento di fattori ostativi, quali la rinnovazione
e la proroga.
   Il primo di tali fenomeni e' preso in considerazione nell'articolo
300,  ove  si  sottolinea  l'incondizionato  diritto  della   persona
sottoposta a misura cautelare ad ottenere un'immediata reintegrazione
dello status libertatis, in coincidenza con la pronuncia di  sentenze
di  proscioglimento  che  scavalchino  la  precedente  valutazione di
probabile "colpevolezza" posta a base della misura; ovvero  che,  pur
avendo  contenuto  di condanna, pongano in contrasto con il principio
di proporzionalita' il  permanere  della  misura  (concessione  della
sospensione  condizionale  della  pena,  indulto,  pena di durata non
superiore a quella della custodia gia'  sofferta).  La  normativa  va
letta,  peraltro,  tenendo  conto anche del comma 2 del medesimo art.
300, ove si precisa che la sentenza di proscioglimento per infermita'
mentale  puo'  comportare  la conversione della custodia cautelare in
carcere,  eventualmente  disposta  in  un  momento  anteriore,  nella
custodia  in  luogo di cura. Occorre, poi, tener conto, ovviamente di
quanto disposto dall'art. 306,  per  il  caso  custodia  caducata  in
relazione ad un determinato procedimento, ma non destinata a tradursi
in cessazione dello stato detentivo nei confronti della  persona  per
la quale sussistono altre ragioni di detenzione.
   La   disciplina  appena  descritta  riproduce  sostanzialmente  la
corrispondente disciplina del Progetto del 1978.
   L'ultimo  comma  dell'articolo  in  esame  prevede  che l'imputato
prosciolto e successivamente condannato per  lo  stesso  fatto  possa
essere  sottoposto  a  misure coercitive quando ricorrano le esigenze
cautelari indicate nell'art. 274 comma 1 lettere b )  e  c).  In  tal
modo  si  e' data attuazione alla direttiva 63 della legge-delega che
ha innovato in tal senso la delega del 1974, la quale invece  sanciva
l'assoluto  divieto  di  sottoporre  a  misure  coercitive l'imputato
prosciolto sino al passaggio in giudicato della sentenza.
   L'articolo  301 si ricollega a quanto previsto dall'art. 292 comma
1 lett. d) ed ha l'intento di dare piena attuazione alla volonta' del
legislatore delegante di vedere predeterminata la durata delle misure
coercitive, se disposte a fini istruttori. Si  e'  pertanto  prevista
l'automatica  estinzione  delle  misure  disposte  a  tali  fini,  in
coincidenza con lo  spirare  del  termine  fissato  dal  giudice  nel
provvedimento applicativo.
   Allo  scopo di non rendere irragionevole (dal punto di vista degli
obiettivi  generali  che  il  processo  deve  proporsi)  una   simile
conseguenza, ed in considerazione del fatto che non sempre e' agevole
calcolare con esattezza  in  anticipo  la  durata  dei  singoli  atti
istruttori  cui e' preordinata una determinata misura, si e' ritenuto
che il principio suddetto dovesse poter subire un temperamento. Si e'
cioe' ammesso che, prima dello spirare del termine di caducazione, il
giudice possa disporre  una  "rinnovazione"  della  misura,  entro  i
limiti massimi risultanti dagli articoli 305 e 308.
   E' sembrato questo, d'altronde, l'unico strumento che, all'interno
della  logica  prescelta  dalla  legge-delega,  possa  assicurare  il
contemperamento di esigenze altrimenti non componibili, di garanzia e
di completezza dell'attivita' istruttoria.
   Nell'articolo  302,  in  attuazione della gia' citata direttiva 60
della  legge-delega,  e  riproducendo  una  disposizione   introdotta
nell'attuale  art.  365 c.p.p. dalla l. 28 luglio 1984, n. 398, si e'
prevista l'automatica caducazione della custodia  cautelare  disposta
nel  corso  delle indagini preliminari nel caso in cui il giudice non
proceda all'interrogatorio entro il termine stabilito dall'art.  294.
   La   misura  potra'  essere,  tuttavia,  nuovamente  disposta  dal
giudice, su richiesta del pubblico ministero,  previo  interrogatorio
dell'indiziato nelle forme previste dal medesimo art. 294.
   Nel  formulare  la  disposizione  da  ultimo citata si e' recepito
l'orientamento giurisprudenziale, consolidatosi  nell'interpretazione
dell'art.  365  c.p.p.,  secondo il quale la scarcerazione automatica
per il motivo  in  esame  non  puo'  ritenersi,  a  differenza  della
scarcerazione  automatica  per  decorrenza  dei termini massimi della
custodia   cautelare,   preclusiva   dell'emissione   di   un   nuovo
provvedimento  restrittivo  della  liberta'  personale  e cio' per la
diversa  e  specifica   ratio   della   scarcerazione   per   mancato
interrogatorio,  preordinata  al solo fine di consentire all'imputato
di difendersi in stato di liberta' relativamente  ai  reati  che  gli
vengono contestati.
   Ne  consegue  che la misura potra' essere nuovamente disposta dopo
che l'indiziato sia stato interrogato in stato di liberta'  e  sempre
che,  tenuto conto di quanto emerso nel corso dell'interrogatorio, ne
ricorrano ancora i presupposti.
   Gli  articoli  303-308  disciplinano  gli  effetti del decorso del
tempo sulla durata della custodia e delle altre misure cautelari,  in
attuazione delle direttive 61, 62 e 65 della legge-delega.
   In  particolare  l'articolo 303 individua tutte le singole ipotesi
in  cui  la  caducazione  per  decorso  del  termine  della  custodia
cautelare  ha  luogo,  anche con riferimento alle ipotesi di scadenza
del termine prorogato, la' dove la proroga  e'  consentita  ai  sensi
dell'art. 305.
   Circa   l'intrinseca   complementarieta'   della  caducazione  per
decorrenza dei termini rispetto alle altre ipotesi di estinzione, non
dovrebbero  esservi  dubbi  in  quanto e' detto esplicitamente che si
tratta di termini di "durata massima" della  custodia.  La  norma  e'
costruita   in   modo   da   dare   spazio   a  tutta  una  serie  di
differenziazioni, a seconda delle varie fasi o  dei  vari  gradi  del
procedimento,  e  con  riguardo  a  differenti  categorie  di  reati,
individuati in  base  alla  misura  della  pena  per  essi  prevista.
Pertanto sono stati individuati termini diversi e "autonomi" (secondo
la precisa indicazione della direttiva  61)  in  rapporto  alla  fase
delle  indagini  preliminari, al giudizio di primo grado, al giudizio
di appello ed al successivo grado di giudizio, fino al  passaggio  in
giudicato  della  sentenza,  sulla  falsariga  di  quanto  gia'  oggi
previsto. In  coerenza  con  questa  scelta  di  "segmentazione"  dei
termini  massimi  di  custodia, e' stato altresi' previsto (sempre in
armonia con la legislazione vigente) che, nel caso  di  regresso  del
procedimento  ad  una diversa fase o di rinvio ad un diverso giudice,
dalla data del  relativo  provvedimento,  ovvero  dalla  sopravvenuta
esecuzione  della  custodia, decorrano nuovamente i termini stabiliti
dal comma 1, in relazione a ciascuno stato e grado del  procedimento.
   Si  e'  poi prefissato un limite massimo per la durata complessiva
della custodia cautelare,  dovendosi  tener  conto  al  riguardo  dei
giorni esclusi dal computo nella fase del giudizio ai sensi dell'art.
297 comma 4, nonche' di tutte le proroghe previste dall'art. 305  (ma
non  delle  ipotesi  di  sospensione  ammesse  dall'art.  304).  Piu'
precisamente, si e' stabilito che tale durata non  possa  superare  i
due  anni,  quando  si  procede  per un delitto per il quale la legge
prevede la pena della reclusione non  superiore  nel  massimo  a  sei
anni,  ovvero i quattro anni, quando si procede per un delitto punito
con una pena piu'  grave.  Quest'ultima  determinazione  corrisponde,
ovviamente,  al limite massimo complessivo sancito per la custodia in
carcere dalla direttiva 61 della delega.
   Nell'articolo  304 e' disciplinato il meccanismo della sospensione
dei termini di  durata  della  custodia  cautelare,  con  l'esplicita
previsione  della  impugnabilita'  della  relativa  ordinanza a norma
dell'art. 310.  Accanto  alla  tradizionale  ipotesi  correlata  allo
svolgimento  di  una perizia sullo stato di mente dell'imputato, sono
state previste quali cause di sospensione nella fase di giudizio  (in
attuazione della direttiva 61 della delega) le ipotesi di sospensione
o di rinvio del dibattimento dietro richiesta, ovvero per impedimento
dell'imputato  o  del  suo  difensore (sempreche' la sospensione o il
rinvio non siano determinati da esigenze di acquisizione della  prova
o  da  concessione  di termini per la difesa), nonche' la particolare
ipotesi di sospensione o  di  rinvio  del  dibattimento  dovuta  alla
mancata   presentazione,   all'allontanamento   ovvero  alla  mancata
partecipazione di uno o piu' difensori (con evidente riferimento alla
innovazione introdotta nel vigente articolo 272 c.p.p. dall'art. 2 l.
27 febbraio 1987, n. 29).
   Quanto  alla  proroga  della  custodia  cautelare, l'articolo 305,
concretizzando la direttiva 61 della  legge-delega,  per  la  verita'
piuttosto  generica,  ne  limita  la  possibilita'  all'ambito  delle
indagini preliminari. Si prevede che, nel  corso  di  tale  fase,  il
pubblico  ministero possa richiedere la proroga dei termini che siano
prossimi a scadere, allorche'  la  prosecuzione  della  custodia  sia
imposta  da  gravi  esigenze  cautelari,  in rapporto ad accertamenti
particolarmente complessi. Competente a decidere sulla  richiesta  e'
il  giudice  delle indagini preliminari, il quale, dopo avere sentito
pubblico   ministero   e   difensore,   provvedera'   con   ordinanza
(impugnabile  a  norma  dell'art. 310), con la quale potra' concedere
una proroga, anche rinnovabile, per un periodo comunque non superiore
alla   meta'   del  termine  di  custodia  correlativamente  previsto
dall'art. 303 comma 1 lett. a). Tale  periodo  dovra'  in  ogni  caso
computarsi ai fini della durata complessiva della custodia cautelare,
come disposto dal comma 3 dell'art. 303.
   L'articolo  306 riprende il contenuto normativo dell'attuale comma
1  dell'art.  276  c.p.p.   Si   e'   tuttavia   ritenuta   opportuna
un'inversione di prospettiva, a sottolineare anche da questo punto di
vista che la regola e' la liberta' e che la prosecuzione dello  stato
detentivo,  nonostante  l'intervento  di  un  fattore estintivo della
custodia  cautelare   in   un   determinato   processo,   rappresenta
l'eccezione.
   Quanto alla norma corrispondente all'attuale comma 2 dell'art. 276
c.p.p.,  essa  dovra'  venire  trasferita  tra  le  disposizioni   di
attuazione, per maggiore congruenza di struttura.
   Nell'articolo  307  e'  stata  racchiusa,  isolandola dal contesto
dell'articolo 303, la disciplina dei provvedimenti sostitutivi  della
custodia  cautelare  per  l'ipotesi  in  cui  questa  venga  meno  in
relazione al decorso dei termini legislativamente fissati. Ne risulta
cosi'  alleggerita la normativa che riguarda direttamente il fenomeno
della caducazione  per  decorso  dei  termini,  la  quale  altrimenti
avrebbe  rischiato  di  assumere  dimensioni  non  lontane  da quelle
dell'attuale art. 272 c.p.p.
   Quanto   al   contenuto   di   tale  normativa,  ci  si  e'  mossi
essenzialmente lungo due  direttrici,  del  resto  in  conformita'  a
quanto disposto dalla direttiva 62 della legge-delega.
   Da  un  lato,  si  e'  stabilito  che il venir meno della custodia
cautelare per  effetto  del  decorso  del  tempo  autorizza  tuttavia
l'adozione,  a  carico  dell'imputato  scarcerato, delle altre misure
cautelari di cui ricorrano i presupposti, purche' siano rimaste ferme
le ragioni giustificatrici del ricorso alla custodia.
   Per un altro verso, si e' adottato un regime di maggior rigore per
l'ipotesi in cui - successivamente alla scarcerazione per decorso del
termine - vengano a verificarsi delle situazioni nuove, e tali da far
tenere in particolare considerazione le esigenze cautelari  del  caso
di  specie. In particolare si e' stabilito che la custodia cautelare,
ove risulti necessaria alla stregua dei  criteri  indicati  nell'art.
275,   debba   venire   ripristinata  anche  a  carico  dell'imputato
scarcerato, quando il medesimo abbia dolosamente trasgredito  ad  una
delle  misure  cautelari  impostegli  in  via sostitutiva (sempreche'
ricorrano le  esigenze  di  cui  all'art.  274),  ovvero  quando  sia
sopravvenuta  sentenza  di  condanna  di  primo  o  di  secondo grado
(sempreche' l'imputato si sia dato alla fuga, ovvero  si  accerti  un
concreto pericolo di fuga ai sensi del predetto art. 274 lett. b).
In  simili  ipotesi  di  reviviscenza  della custodia cautelare si e'
stabilito che prendano a decorrere nuovamente i termini relativi alla
fase in cui il procedimento si trova, salvo restando pero' il computo
della custodia anteriormente sofferta in vista  della  determinazione
della  durata  complessiva della custodia cautelare a norma dell'art.
303 comma 3.
   Allo  scopo  di  assicurare un intervento coercitivo immediato nei
riguardi  dell'imputato  che,  trasgredendo  ad  una   delle   misure
cautelari  impostegli  in  via sostitutiva, si sia dato alla fuga, il
comma 4 dell'art. 307 prevede - senza discostarsi dalla direttiva  62
della  delega - che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria
possano procedere al fermo del medesimo (sulla scia, del resto, della
disciplina  oggi  emergente dagli articoli 272 comma 10 e 292 comma 3
c.p.p.). Si stabiliscono, quindi, adeguate norme per la comunicazione
al  procuratore  della  Repubblica dell'avvenuto fermo (al piu' tardi
nel giro di ventiquattro ore) e per la sua convalida,  da  parte  del
giudice,  prevedendosi altresi' la caducazione entro venti giorni del
provvedimento  di  custodia  cautelare  emesso  da  quest'ultimo,  se
incompetente.
   Per  quanto  riguarda  i  termini  di  durata massima delle misure
diverse dalla custodia cautelare, l'articolo 308 detta  due  distinte
disposizioni  a seconda che si tratti di misure coercitive (direttiva
61 della legge-delega) ovvero di misure interdittive (direttiva  65).
Mentre  rispetto  alle prime la relativa durata massima e' prefissata
facendo riferimento al doppio dei termini previsti dall'art. 303  per
la  custodia  cautelare,  con riferimento alle seconde si e' ritenuto
opportuno stabilire che esse, di regola, perdano  efficacia  dopo  la
decorrenza  di  due mesi dall'inizio della loro esecuzione. Tuttavia,
anche in quest'ultimo caso, quando si tratti di misure  disposte  per
esigenze   probatorie   (evidentemente   suscettibili   di  mantenere
rilevanza anche oltre quel  termine),  e'  prevista  la  possibilita'
della  loro  rinnovazione  anche  al  di la' del sessantesimo giorno,
purche' sempre nel  rispetto  dei  termini  previsti  per  le  misure
coercitive diverse dalla custodia.
                               CAPO VI
                             IMPUGNAZIONI
   Nella   disciplina  delle  impugnazioni,  ci  si  e'  sforzati  di
costruire - attorno all'essenziale nucleo di normativa deducibile dal
principio  di  "riesaminabilita', anche nel merito, del provvedimento
che decide sulla misura di coercizione dinanzi al tribunale in camera
di  consiglio,  con garanzia del contraddittorio e ricorribilita' per
cassazione" (direttiva 59 della legge-delega) - un sistema  organico,
poggiante  sugli istituti del riesame, dell'appello e del ricorso per
cassazione,  ma  in  una  prospettiva  che  e'  parsa  piu'  adeguata
dell'attuale  alle  esigenze  di  garanzia,  di  tempestivita'  e  di
efficienza delle decisioni.
   In  particolare,  nell'articolo  309 si e' disciplinato l'istituto
del riesame delle ordinanze che dispongono una misura  coercitiva  in
via  autonoma  rispetto  all'istituto  dell'appello  (cui e' dedicato
l'articolo successivo), operando cosi' una scelta che, anche rispetto
a   precedenti  impostazioni  ispirate  all'idea  di  una  disciplina
cumulativa, dovrebbe giovare sul piano della  chiarezza  sistematica.
Definito   l'ambito   oggettivo  del  riesame  con  riferimento  alle
ordinanze applicative di una misura coercitiva - salvo che si  tratti
di  ordinanza  emessa dietro appello del pubblico ministero, ai sensi
dell'art. 310, nel qual caso sara' proponibile soltanto  ricorso  per
cassazione  -  come titolare del diritto al riesame viene individuato
l'imputato, accanto al quale risulta esplicitamente menzionato  anche
il  difensore, stabilendosi per l'uno e per l'altro un diverso regime
di  decorrenza  del  termine  per  la  proposizione  della   relativa
richiesta.
   La  competenza a decidere sulla richiesta di riesame e' attribuita
al tribunale del capoluogo della provincia in cui ha  sede  l'ufficio
del  giudice  che  ha emesso l'ordinanza, ed alla cancelleria di quel
tribunale  (diversamente  da  quanto  avviene   oggi)   deve   essere
direttamente presentata la predetta richiesta. Quanto al contenuto di
quest'ultima, si prevede che essa  possa  recare  contestualmente  la
enunciazione  degli  eventuali  motivi, ma si ammette altresi' che il
proponente possa  enunciare  nuovi  motivi  dinanzi  al  giudice  del
riesame,  facendone  dare  atto  a  verbale  prima  dell'inizio della
discussione.
   La  caratteristica  di  rapidita'  coessenziale al procedimento di
riesame e' sottolineata dalla previsione che il tribunale  emetta  la
sua   decisione   entro  otto  giorni  dalla  ricezione  degli  atti,
provvedendo in camera di consiglio secondo il modello procedurale (e,
quindi,  con le corrispondenti garanzie di contraddittorio) descritto
nell'art. 126, salva una necessaria abbreviazione da dieci  a  cinque
giorni,   prima   della   data   dell'udienza,  del  termine  per  il
corrispondente avviso al pubblico ministero, all'imputato ed  al  suo
difensore. L'esigenza del rispetto del termine di otto giorni fissato
per la decisione e' sottolineata dalla  tradizionale  previsione  per
cui  - nel caso di inosservanza di quel termine - la misura cautelare
disposta  con  l'ordinanza  assoggettata  a  riesame  deve  ritenersi
immediatamente caducata.
   Per  quanto  riguarda l'esercizio dei poteri decisori da parte del
tribunale, si definisce anzitutto, con  maggiore  chiarezza  rispetto
alla  vigente disciplina, la tipologia dei provvedimenti adottabili a
seguito della richiesta di riesame (declaratoria di inammissibilita';
annullamento,   riforma   o  conferma  dell'ordinanza),  precisandosi
altresi' che la decisione possa  tener  conto  anche  degli  elementi
addotti   dalle  parti  nel  corso  dell'udienza.  Si  riconosce  poi
esplicitamente   al   tribunale,   sulla   scia   di   un   indirizzo
giurisprudenziale  ormai  consolidato  in  tema  di  "tribunale della
liberta'", il potere di decidere senza particolari vincoli sul  piano
della  cognizione:  piu'  precisamente,  l'ordinanza impugnata potra'
essere annullata, o revocata, anche  per  motivi  diversi  da  quelli
enunciati  nella  richiesta  di  riesame,  o successivamente ad essa,
mentre potra' essere confermata anche sulla base di  ragioni  diverse
da quelle gia' indicate nella sua motivazione.
   Rispetto  alla  disciplina  dettata  in  materia  di  riesame,  la
regolamentazione   prevista   dall'articolo   310   per    l'istituto
dell'appello  in  materia de libertate assume una fisionomia per vari
aspetti residuale, pur abbracciando un ambito oggettivo e  soggettivo
di  notevole ampiezza. Titolari del potere di appello sono l'imputato
ed il pubblico ministero (per il  quale,  non  essendogli  attribuito
alcun  potere  di proporre richiesta di riesame, si tratta dell'unica
possibilita' di impugnazione nel merito), e l'area dei  provvedimenti
assoggettabili  ad  appello e' individuata con riferimento a tutte le
ordinanze relative ad una  misura  cautelare  personale,  diverse  da
quelle assoggettabili a riesame ai sensi dell'art. 309 comma 1. Circa
i  profili   procedurali,   vengono   espressamente   richiamate   le
disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3, 4 e 6 del medesimo art. 309
(quindi anche per quanto riguarda la  competenza  del  tribunale  ivi
indicato,  senza  distinguere  a seconda del giudice che abbia emesso
l'ordinanza appellata), specificandosi inoltre che i  motivi  debbano
venire   enunciati   contestualmente   all'appello.   Viene  altresi'
stabilito che il tribunale decida entro trenta giorni dal ricevimento
degli atti, osservando la procedura camerale di cui all'art. 126. Per
il  resto,  deve  ritenersi  implicito  il  rinvio  alla   disciplina
dell'appello,  in  quanto  non  risulti  diversamente  disposto,  ivi
compresa la previsione dell'effetto limitatamente  devolutivo  tipico
del  mezzo  di  impugnazione  in oggetto: ne consegue, dunque, che il
tribunale, quale organo  di  appello,  possa  decidere  soltanto  nei
limiti  dei  motivi  enunciati dalle parti. Si stabilisce, infine, in
attuazione del principio del favor libertatis, la  sospensione  della
esecuzione  (fino  alla  sua definitivita') dell'ordinanza con cui il
tribunale,  accogliendo  l'appello  del  pubblico  ministero,   abbia
disposto una misura cautelare a carico dell'imputato.
   Quanto  al  ricorso per cassazione avverso le decisioni in materia
di misure cautelari personali emesse  dal  tribunale  a  norma  degli
artt.  309  e  310,  stabilisce  l'articolo  311 che il ricorso debba
venire  proposto  dai  soggetti  legittimati   (pubblico   ministero,
imputato  e difensore) entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla
notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento. Tuttavia  il
comma  2  del  predetto  art.  311,  introducendo un istituto inedito
rispetto all'attuale processo penale, configura la proposizione di un
ricorso per saltum, la' dove autorizza l'imputato ed il suo difensore
a ricorrere in cassazione per violazione di legge direttamente (cioe'
prescindendo  dalla  richiesta  di  riesame)  contro le ordinanze che
abbiamo disposto una misura cautelare. In questo caso  si  stabilisce
opportunamente - anche per sottolineare il particolare significato di
una simile opzione difensiva - che la proposizione del ricorso  rende
di  per  se'  inammissibile  la  richiesta  di  riesame,  pur se gia'
presentata.
   Nell'uno  e  nell'altro  caso si tratta di un ricorso disciplinato
secondo  ritmi  piuttosto  serrati.  Cio'  risulta  non  solo   dalla
disciplina  della sua presentazione, e della conseguente trasmissione
degli atti ("entro il giorno successivo") alla corte  di  cassazione,
da  parte  della  autorita' giudiziaria procedente, ma altresi' dalla
previsione dell'ultimo comma,  che  impone  alla  medesima  corte  di
decidere  entro  trenta giorni dal ricevimento degli atti, secondo la
procedura camerale di cui all'art. 126. In  entrambe  le  ipotesi  di
ricorso  previste  dai  commi 1 e 2 dell'articolo in esame si prevede
che i motivi debbano venire  enunciati  contestualmente  al  ricorso,
salva  al  ricorrente  la  facolta' di enunciare nuovi motivi davanti
alla corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione. Per il
resto,  deve  ritenersi  implicito il rinvio alla disciplina generale
del ricorso  per  cassazione,  in  quanto  non  risulti  diversamente
disposto.
                               CAPO VII
           APPLICAZIONE PROVVISORIA DI MISURE DI SICUREZZA
   Negli  articoli  312  e  313  e' stata disciplinata l'applicazione
provvisoria delle misure di sicurezza, con esplicito  riferimento  ai
"casi previsti dalla legge" (cioe' dall'art. 206 c.p.), attraverso il
richiamo ad alcune tra le piu' qualificanti disposizioni  dettate  in
materia di misure cautelari.
   Si  e'  posto  il  problema se le esigenze emergenti dall'art. 206
c.p. potessero venire soddisfatte  dalla  disciplina  della  custodia
cautelare  in  luogo  di  cura  prevista  dall'art.  286  per il caso
dell'imputato infermo di mente, ma si e' constatato che la  questione
sarebbe comunque rimasta aperta in rapporto alle altre situazioni per
le quali il medesimo art. 206 c.p. prevede l'applicazione provvisoria
di  una  misura  di sicurezza. Per conseguenza, finche' rimanga ferma
quest'ultima disposizione  sembra  necessario  dettare  una  sia  pur
sintetica disciplina processuale dell'istituto.
   Qualora,  invece,  si  ritenesse  che le suddette esigenze possano
venire soddisfatte attraverso le comuni misure cautelari, senza farsi
luogo  alla  applicazione  provvisoria di misure di sicurezza, allora
occorrerebbe  prevedere,  in  sede  di  coordinamento,  l'abrogazione
dell'art.  206 c.p. (come si prevede che avverra' per l'art. 140 c.p.
a  seguito  della  autonoma   disciplina   delle   misure   cautelari
interdittive,    ritenuta    sostitutiva    di   quella   concernente
l'applicazione provvisoria delle pene accessorie).
                              CAPO VIII
                RIPARAZIONE PER L'INGIUSTA DETENZIONE
   Negli articoli 314 e 315 e' contenuta la disciplina di un istituto
di assoluta novita' per la nostra legislazione,  in  armonia  con  la
direttiva  100  della  legge-delega,  dove il legislatore ha previsto
accanto alla riparazione del classico errore giudiziario, vale a dire
del  giudicato erroneo (gia' oggetto della disciplina vigente), anche
la riparazione per la "ingiusta detenzione".
   Sullo sfondo di codesto intendimento normativo (gia' fatto proprio
con chiarezza anche dalla legge-delega del 1974) si pone la  sentenza
della  Corte  costituzionale  n.  1/1969,  che proprio al legislatore
ordinario aveva demandato il  compito  di  specificare  se,  tra  gli
"errori giudiziari", dei quali l'art. 24 ult. comma Cost. prevede "le
condizioni e i  modi  per  la  riparazione",  dovesse  o  meno  farsi
rientrare  la  ingiusta  carcerazione  preventiva.  Appunto in questa
prospettiva va letto il disposto della gia' ricordata direttiva  100,
nel  quale  l'esplicito  riferimento, per di piu' in via prioritaria,
alla "ingiusta detenzione", impone in concreto di estendere  l'ambito
della  riparabilita' alla detenzione che, anche senza derivare da una
sentenza passata in giudicato, dovesse risultare "non dovuta".
   Anche  sulla  scorta  degli  orientamenti emersi durante la scorsa
legislatura,  nel  corso  delle  discussioni  parlamentari   su   uno
specifico  disegno  di  legge in materia, si sono previsti due grandi
gruppi di ipotesi di  detenzione  (rectius,  di  custodia  cautelare,
secondo  la  interpretazione  accolta),  nelle  quali  si profilano i
presupposti di una situazione di "ingiustizia" rilevante ai  fini  di
una  "equa riparazione". Il primo gruppo si riferisce alla situazione
dell'imputato che, dopo avere subito un periodo di custodia cautelare
-  alla  quale  non  abbia dato causa, ne' concorso a dare causa, per
dolo o colpa grave - sia stato prosciolto con sentenza  irrevocabile,
anche al termine delle indagini preliminari, per non aver commesso il
fatto, ovvero perche' il fatto non sussiste, o non costituisce reato,
ovvero   perche'   fu   compiuto  nell'adempimento  di  un  dovere  o
nell'esercizio di una facolta' legittima.  Qui  il  rapporto  tra  la
natura  della  formula  di  proscioglimento adottata e la restrizione
subita dall'imputato sul piano della liberta'  personale  risulta  di
per se' sufficiente ad attestare ex post la sostanziale "ingiustizia"
di tale restrizione.
   Diverse sono le situazioni contemplate nel secondo gruppo, dove si
fa riferimento all'ipotesi dell'imputato (non importa se condannato o
prosciolto) il quale, durante il processo sia stato sottoposto ad una
misura di custodia cautelare, quando si sia accertato  con  decisione
irrevocabile  che  il  relativo  provvedimento  era  stato  emesso, o
mantenuto,  senza  che   sussistessero   le   condizioni   idonee   a
legittimarlo. Qui non viene necessariamente in evidenza un profilo di
"ingiustizia"  sostanziale  della  restrizione  subita  dell'imputato
mentre e' evidente la sua "illegittimita'" (cioe', per cosi' dire, la
sua "ingiustizia" formale), ed anche  quest'ultima  situazione  viene
assunta   a   presupposto   del  diritto  alla  riparazione  in  capo
all'imputato medesimo.
   Pur  ricorrendo una ipotesi riconducibile all'ambito dei commi 1 e
2 dell'art. 314, il diritto  alla  riparazione  e'  tuttavia  escluso
(ritenendosi  cosi'  compensata  la  "ingiustizia"  della restrizione
subita dall'imputato) per quella parte della custodia  cautelare  che
sia  stata computata ai fini della determinazione della durata di una
pena o di una misura di sicurezza, ovvero per il periodo  in  cui  le
relative  limitazioni  della  liberta' personale siano state sofferte
anche in forza di un altro titolo.  Quanto  ai  profili  procedurali,
l'art.  315  dispone  che  la  domanda  di  riparazione  debba essere
proposta  entro  diciotto  mesi  dal  giorno  in  cui  sia   divenuta
irrevocabile  la  decisione  (di  proscioglimento  o di condanna) cui
fanno  riferimento  il  comma  1  e,  rispettivamente,  il  comma   2
dell'articolo  precedente;  per  il  resto,  invece, si richiamano in
quanto compatibili le norme dettate per la procedura  di  riparazione
dell'errore  giudiziario.  In  ogni  caso,  l'entita'  massima  della
riparazione per ingiusta detenzione e' fissata nella somma  di  cento
milioni di lire.
                              TITOLO II
                        MISURE CAUTELARI REALI
   La  disciplina dei provvedimenti cautelari in materia patrimoniale
non  trova  nel   sistema   della   legge-delega   una   delineazione
sufficientemente  precisa.  La sola direttiva 65 riconosce al giudice
il potere di disporre, in relazione a specifiche esigenze  cautelari,
oltre  che  misure  interdittive  anche  "misure reali". Al di la' di
questa direttiva di fondo, che  autorizza  la  previsione  di  misure
dirette  a  colpire il patrimonio accanto a quelle che incidono sulla
persona, mancano indicazioni concrete su come  costruire  i  congegni
destinati ad operare nel processo.
   La  Commissione  ha interpretato la laconicita' della legge-delega
anzitutto quale espressione di una volonta' del Parlamento  intesa  a
riconfermare  un  istituto  tradizionalmente  presente  nella  nostra
legislazione processuale come il sequestro conservativo penale (artt.
617-   621  c.p.p.).  L'accostamento  delle  misure  reali  a  quelle
personali nell'ambito  del  genus  "misure  cautelari"  ha,  inoltre,
suggerito  di  disciplinare  separatamente  il  sequestro  delle cose
pertinenti al reato,  finalizzato  alla  acquisizione  del  materiale
probatorio:  e'  sembrato  che il riferimento alle esigenze cautelari
evocasse un vincolo piu'  penetrante  di  quello  che  scaturisce  in
funzione   delle  sole  esigenze  probatorie,  al  punto  da  rendere
possibile l'individuazione  di  limitazioni  di  ordine  patrimoniale
destinate  ad operare come restrizioni di liberta' costituzionalmente
garantite. La misura reale, in altri termini, crea l'indisponibilita'
di  cose  o beni con una incisivita' analoga a quella che nasce dalla
custodia cautelare e da altre forme di misure cautelari personali. Al
fine  di  garantire  l'esecuzione  della  sentenza  che potra' essere
pronunciata  a  conclusione  del  processo,  ovvero  quando   occorre
impedire  che  l'uso  della  cosa  possa agevolare le conseguenze del
reato od indurre a  nuovi  reati,  si  creano  dei  vincoli  che,  si
potrebbe  dire,  dalla  cosa  passano  alla persona, nel senso che il
sequestro non mira semplicemente a  trasferire  nella  disponibilita'
del giudice cio' che deve essere utilizzato a fini di prova, ma tende
piuttosto ad inibire certe attivita' (la  vendita  o  l'uso)  che  il
destinatario della misura puo' realizzare mediante la cosa.
   Da  questa impostazione si e' ricavata la partizione della materia
in  due  capi  intesi  a  regolare,  da  un   lato,   il   "sequestro
conservativo",  dall'altro, un nuovo tipo di misura cautelare, cui si
e' attribuita la denominazione di "sequestro preventivo".
                                CAPO I
                        SEQUESTRO CONSERVATIVO
   Gli  articoli  da  316  a  320,  che  disciplinano  l'istituto del
sequestro conservativo, recepiscono  le  corrispondenti  disposizioni
del Progetto del 1978.
   In  quella occasione la Commissione si era proposta di innovare la
disciplina del sequestro conservativo, muovendo dalla  necessita'  di
superare un assetto legislativo, quale quello rispecchiato dal codice
vigente, in cui era largamente penetrato  il  pensiero  della  Scuola
positiva, dominato in questo settore dall'idea della funzione sociale
del risarcimento del danno da reato. In questa prospettiva l'istituto
in  questione  era  stato  modellato  quale  strumento rispondente al
bisogno   di   tutela   della   persona   danneggiata   dal    reato,
salvaguardandosi,  con  un  giusto  equilibrio  dei vari interessi in
gioco, anche  i  diritti  dei  terzi  creditori  dell'imputato  e  la
liberta' del medesimo.
   Peraltro,  gia'  nel 1978, la Commissione aveva dovuto mettere nel
debito conto la circostanza per cui una revisione completa e profonda
dell'istituto  del  sequestro  conservativo  avrebbe  necessariamente
comportato una modifica della parte corrispondente del diritto penale
sostanziale, non consentita dalla legge-delega (quale, ad esempio, la
modifica dell'ordine interno dei crediti garantiti dal sequestro, che
poteva   portare   a  conseguenze  negative  rispetto  alla  liberta'
personale del condannato quando, esaurite le misure patrimoniali  per
fare  fronte  alle  pretese  risarcitorie  della  parte  civile,  non
residuano somme per il pagamento della pena pecuniaria).
   Era   stata   percio'   proposta   una  disciplina  che  intendeva
contemperare  i  diversi  interessi  nel  rispetto  della  competenza
attribuita  dal  legislatore  delegante.  Si  e' ritenuto di recepire
quella disciplina.
   Va  peraltro  sottolineato  che e' stata mantenuta la soppressione
dell'istituto dell'ipoteca legale gia' operata nel Progetto del 1978.
Tale  istituto  rappresenta un relitto storico di un epoca in cui era
sconosciuto l'istituto del sequestro  conservativo  civile  sui  beni
immobili,  introdotto con il codice di procedura civile del 1940. Con
la creazione di un unico provvedimento cautelare  idoneo  ad  operare
sui  beni  immobili  si  sgombra  il  terreno da tutte le difficolta'
interpretative originate dall'attuale  dualita'  di  strumenti  e  si
allinea  il  sistema ai principi della legge-delega che ha privato il
pubblico ministero di ogni potere cautelare in  materia  di  liberta'
personale,  lasciando  intendere  che non puo' sopravvivere un potere
cosi' incisivo come quello di iscrivere ipoteca, oggi riconosciuto al
pubblico ministero dall'articolo 616 c.p.p.
    Al  riguardo la precedente Commissione consultiva aveva osservato
che la abolizione dell'ipoteca legale avrebbe finito per incidere  su
una  norma  del  codice  penale  (art.  189),  esulando  cosi'  dalla
disciplina  propriamente  processuale  sulla  quale  e'  chiamato  ad
intervenire  il  legislatore  delegato.  Venne pero' gia' a suo tempo
replicato dalla precedente Commissione redigente che la  collocazione
attuale della garanzia ipotecaria nel vigente codice penale e' frutto
di una visuale dogmatica superata  dalla  moderna  dottrina  e  dalla
stessa  elaborazione  giurisprudenziale  che  attribuiscono  ormai  a
questo istituto la natura di  provvedimento  cautelare  parallelo  al
sequestro conservativo, che pure trova parzialmente il suo fondamento
normativo nella legge penale sostanziale.
   L'articolo 316 ricalca essenzialmente, nel comma 1, la formula del
codice vigente, da cui si discosta solo nella parte in cui prevede il
sequestro  di  beni immobili e quello "presso terzi" ("somme o cose a
lui dovute") nella linea dell'art. 671 c.p.c. E' stato  soppresso  il
riferimento   alle  ragioni  creditorie  rivendicabili  dall'istituto
sanitario  pubblico  e  dallo  stesso  difensore  per  il   pagamento
dell'onorario,  del tutto obsolete nella prassi (art. 189 comma 1 nn.
4 e 6 c.p.). Ci si e' attenuti al criterio della  effettivita'  della
tutela  cautelare  nell'attuale  esperienza  giudiziaria ed ai limiti
della  qualita'  di   parte   dei   soggetti   cui   riconoscere   la
legittimazione  (il  pubblico  istituto  sanitario e il difensore non
potrebbero ovviamente costituirsi parte civile nel procedimento).
   Il   comma  2  conferma  questa  impostazione,  la'  dove  esclude
implicitamente che l'offeso dal reato  non  costituito  parte  civile
possa  richiedere il sequestro conservativo o "giovarsi" della misura
cautelare richiesta dal  pubblico  ministero.  Anche  il  significato
della estensione ex lege sancita dal comma 3 va colto con riguardo ai
poteri della parte civile: poiche' l'art. 320 comma 2 attribuisce  un
diritto  di  prelazione  alla  parte  civile rispetto allo Stato, era
inevitabile prevedere che  il  sequestro  disposto  a  seguito  della
richiesta  del solo pubblico ministero spiegasse i suoi effetti anche
in favore  della  parte  civile,  che  ha  in  ogni  caso  diritto  a
soddisfare  il  suo  credito in via prioritaria nella fase esecutiva.
L'estensione cui allude l'espressione "giova" nell'art. 316 comma  3,
opera  percio'  in  relazione  al procedimento di opposizione ed alla
fase esecutiva in cui il  danneggiato  regolarmente  costituito  puo'
inserirsi  anche  se  non  abbia  proposto  una richiesta autonoma di
sequestro. Va rilevato che  il  sequestro  conservativo  puo'  essere
chiesto anche nel corso delle indagini preliminari.
   L'articolo   317   regola  la  competenza  in  tema  di  sequestro
conservativo,  sulla  falsariga  delle  disposizioni  contenute   nel
vigente  art.  617 c.p.p. Nessuna innovazione e' stata apportata alla
disciplina delle modalita'  esecutive  della  misura  cautelare,  che
rimangono  percio'  distinte  da  quelle  previste  per  il sequestro
conservativo civile, per  quanto  attiene  all'impulso,  che  non  e'
rimesso  alla  parte che ha chiesto il provvedimento (v. invece artt.
675 e 678 c.p.c., in linea con la  necessita'  della  convalida,  che
manca  nella  misura cautelare penale), mentre si identificano con le
stesse  per  cio'  che  riguarda  le  formalita'   dettate   per   il
pignoramento  dei  beni mobili e la necessita' della trascrizione nei
registri immobiliari per i beni immobili (art. 679 c.p.c.).  In  caso
di  estinzione  del sequestro (situazione da parificarsi a quella che
consegue  alla   revoca   della   misura   da   parte   del   giudice
dell'opposizione),  si  e' invece previsto che la cancellazione della
trascrizione debba essere  richiesta  al  conservatore  dei  registri
immobiliari dal pubblico ministero in virtu' della sua investitura in
executivis.
   L'articolo  318  prevede  la  facolta'  di chiedere il riesame del
provvedimento di sequestro conservativo, anche nel merito, con rinvio
alla disciplina generale sul riesame di provvedimenti (art. 324).
   Del  tutto  nuovo rispetto alla legislazione vigente e' l'articolo
319 (corrispondente all'art. 305 del Progetto del  1978),  nel  quale
tuttavia appaiono ricomprese in un unico contesto due previsioni gia'
presenti separatamente nell'attuale sistema (v.  artt.  189  comma  5
c.p.  e  618  comma  4  c.p.p.).  La  cauzione puo' fungere da evento
impeditivo ovvero sostitutivo del sequestro, a seconda del momento in
cui  viene  offerta  o  prestata. Si e' cercato di precisare meglio i
parametri della discrezionalita' del giudice, prendendo spunto  dalla
formulazione dell'art. 684 c.p.c.
   La novita' piu' rimarchevole, nella disciplina dell'esecuzione sui
beni  sequestrati,  riguarda  il  fenomeno  della   conversione   del
sequestro  in  pignoramento, espressamente previsto dall'articolo 320
(corrispondente all'art. 306 del Progetto del 1978). Stabilito che la
misura  cautelare patrimoniale puo' spiegare effetti solo a vantaggio
di chi sia parte nel processo  penale,  viene  meno  l'ostacolo  oggi
esistente  quanto  alla configurabilita' di una vicenda estintiva del
sequestro, in conseguenza del giudicato di condanna, che  porrebbe  i
creditori  non  muniti  di  titolo  esecutivo nella impossibilita' di
rispettare i termini previsti dal codice di procedura civile per dare
l'avvio  alla  fase  esecutiva.  L'ulteriore  ostacolo al realizzarsi
della conversione in pignoramento, dovuto al rischio di travolgere il
privilegio, legato nelle sue origini al provvedimento del giudice, e'
stato  superato  prevedendo  espressamente   che   l'estinzione   del
sequestro lascia sopravvivere il privilegio.
   Si  e' avuto cura di precisare che il procedimento esecutivo e' di
competenza del giudice civile e si svolge secondo le forme prescritte
dal codice di rito civile.
                               CAPO II
                         SEQUESTRO PREVENTIVO
   Nella  predisposizione  della  normativa che da' vita a un tertium
genus  accanto  al  sequestro  a  fini  di  prova  ed  al   sequestro
conservativo,  si  e'  partiti  da  due termini di riferimento: da un
lato, dal sistema processuale penale vigente che, sia pure in termini
sfumati e non privi di sfasature sistematiche, non disconosce il fine
preventivo della misura di coercizione reale (ad esempio, in tema  di
rapporti  tra  sequestro  e confisca; in materia di frodi agrarie, di
caccia,  di  pesca;  il  c.d.   sequestro   automobilistico,   ecc.).
Dall'altro lato, dalla esperienza giuridica degli ultimi anni, cha ha
visto affacciarsi sempre piu' di frequente l'adozione  di  misure  di
coercizione  reale  volte  ad  interrompere  l'iter  criminoso  o  ad
impedire la commissione di nuovi reati (si pensi al  sequestro  delle
costruzioni  o delle lottizzazioni abusive; al sequestro di pellicole
cinematografiche e di prodotti alimentari; al sequestro  di  impianti
nei processi per inquinamento o per infortuni sul lavoro).
   E"  noto  che la giurisprudenza della Corte costituzionale e della
cassazione ha ritenuto la  legittimita'  del  sequestro  disposto  in
funzione  dell'interesse  sostanziale  alla  prevenzione  del  reato,
richiamando a tale proposito l'art. 219 c.p.p.
   Avuto  riguardo  al  fatto  che la legge-delega (direttiva 31) non
ignora l'esigenza di impedire che il reato venga portato a  ulteriori
conseguenze, sia pure con riguardo ai compiti di polizia giudiziaria,
la  disciplina  della  nuova  misura  cautelare  e'  stata  elaborata
essenzialmente  con  tre  obiettivi:  1)  offrire una base unitaria a
figure  disperse  nelle  leggi  speciali   e   affioranti   in   modo
frammentario nel codice; 2) approntare un sistema di rimedi in favore
delle persone che vengono colpite da questa  misura,  particolarmente
grave  per  la sua potenzialita' lesiva di diritti costituzionali che
si  ricollegano  all'uso  della   cosa   sequestrata   (liberta'   di
manifestazione  del  pensiero  in  caso di film; attivita' economica,
ecc.); 3) rendere razionale e  controllabile  il  passaggio  dall'una
all'altra forma di sequestro, per evitare che la pluralita' dei fini,
in  astratto  perseguibili  mediante  il  vincolo,  possa  indurre  a
pretestuose  protrazioni  dell'indisponibilita'  della  cosa  a danno
dell'avente diritto.
   Piu'  in  generale,  e'  sembrato  che  i  rilevanti  effetti  che
scaturiscono dalla misura cautelare penale,  in  una  prassi  che  va
estendendone  sempre  piu'  l'area di applicazione del provvedimento,
rendessero necessaria una previsione normativa tale da  obbligare  il
giudice  ad  enunciare le finalita' della misura al momento della sua
applicazione, in modo da consentire sempre, alla persona  che  ne  e'
colpita,  di  provocare  un controllo sul merito e sulla legittimita'
della stessa, anche per quanto attiene alla  ragione  d'essere  della
sua persistenza. Si e' ritenuto infine di sottolineare che fondamento
dell'istituto in questione resta l'esigenza  cautelare:  precisamente
quella  di  tutela  della  collettivita' con riferimento al protrarsi
della attivita' criminosa e dei suoi effetti.
   L'articolo  321  riflette  il  punto  d'arrivo di una approfondita
discussione che faceva  perno  sulla  strumentalita'  necessaria  tra
sequestro e confisca. Il proposito era quello di delimitare, mediante
un rinvio alla nozione di "cose di cui e'  consentita  la  confisca",
l'area  di  operativita' del sequestro preventivo, cosi' da escludere
che  esso  potesse  trovare  attuazione  fuori  dei  confini  segnati
dall'art.  240  c.p.  e  dalle leggi speciali in cui e' espressamente
riconosciuto al giudice il potere di confisca. In  contrario,  si  e'
tuttavia  fatto  rilevare  come  questa  visuale  restrittiva potesse
inibire l'iniziativa del  giudice  almeno  in  due  casi  importanti:
quello   delle  costruzioni  abusive,  per  le  quali  la  prevalente
giurisprudenza  della  corte  di  cassazione  esclude  il  potere  di
confisca  del  giudice  penale  in  ragione  dell'analogo  potere  di
demolizione che le leggi  amministrative  attribuiscono  al  sindaco;
quello  del  prezzo  del riscatto nei reati di sequestro di persona a
scopo di  estorsione,  la  cui  "immunita'"  dalla  confisca  risulta
chiaramente  dall'art. 240 comma 3 c.p., in forza del requisito della
appartenenza a persona estranea al reato.
   Il  testo  e'  stato  percio'  formulato  in modo da costruire una
fattispecie   nella   quale   non   figura   il   presupposto   della
confiscabilita'  della cosa (comma 1), e si pone invece l'accento sui
fini della misura cautelare piu' che  sulla  caratterizzazione  delle
cose  materiali  su  cui  essa  e'  destinata ad incidere (la formula
"pertinente al  reato"  assume  infatti  un  significato  scarsamente
delimitativo).
   Il   legame  tra  sequestro  e  confisca  e'  stato  invece  fatto
riaffiorare, come previsione specifica ed autonoma, nel comma 2.
   L'opposizione   al  sequestro  preventivo  e'  stata  disciplinata
nell'articolo  322   mediante   la   previsione   del   riesame   del
provvedimento, secondo i principi generali (art. 324).
   L'estinzione  del  provvedimento  e' nell'articolo 323 ricollegata
alla pronuncia  della  sentenza  di  proscioglimento,  ancorche'  non
definitiva,  fuori  dei casi in cui si tratti di cose per le quali la
legge penale prevede la confisca obbligatoria.
   Il  comma  2  regola  il  passaggio  dal  sequestro  preventivo al
sequestro a fini  di  prova.  La  norma  e'  applicabile  a  tutti  i
"sequestri di massa" (pellicole cinematografiche, sostanze o prodotti
alimentari, ecc.).
                               CAPO III
                             IMPUGNAZIONI
   Gli  articoli  324  e  325  disciplinano le impugnazioni avverso i
provvedimenti di misura cautelare  reale  sulla  falsariga  dell'art.
343- bis c.p.p.
                            PARTE SECONDA
                               LIBRO V
              INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE
   La   Commissione   ha   dato   attuazione   alle  direttive  della
legge-delega in  tema  di  indagini  preliminari  cercando  di  farne
risaltare,   fin   dall'impianto   sistematico   del   Progetto,   la
collocazione in un momento antecedente all'inizio dell'azione penale.
Assunta  l'imputazione come linea di confine tra il procedimento, nel
quale trovano posto le attivita'  della  polizia  giudiziaria  e  del
pubblico  ministero  istituzionalmente  inidonee  a  formare la prova
utilizzabile nel dibattimento, ed il processo, che prende  avvio  con
la  richiesta  di rinvio a giudizio o con uno degli atti introduttivi
dei procedimenti speciali (art. 413), si e' inserita nel titolo  VIII
(Chiusura  delle  indagini  preliminari) la normativa sugli epiloghi,
interlocutori  o  definitivi,  che  non  comportano  la  formulazione
dell'accusa  (richiesta  di  proroga dei termini o di archiviazione),
riservando la disciplina della udienza preliminare  ad  una  distinta
sedes  materiae del presente libro (titolo IX) e quella concernente i
procedimenti speciali ad un autonomo libro VI.
   In   linea   logica  l'architettura  del  Progetto  avrebbe  forse
contrassegnato meglio la netta separazione  tra  attivita'  di  parte
degli organi dell'investigazione e attivita' giurisdizionale se anche
l'udienza preliminare fosse stata disciplinata al di fuori del  libro
delle indagini preliminari, nel contesto unitario della normativa del
libro VI dedicata  a  tutti  gli  epiloghi  che  integrano  forme  di
esercizio  dell'azione  penale,  quali  sono indubbiamente quelle che
danno vita ai procedimenti speciali. Ma, da un lato, la necessita' di
dare   particolare   rilievo   alla  materia  tutta  nuova  dei  riti
differenziati, dall'altro, la natura anfibia dell'udienza preliminare
che   la  legge-delega  ha  caratterizzato  come  luogo  genuinamente
processuale ma inidoneo a formare la prova destinata al dibattimento,
hanno  indotto  la Commissione a mantenere l'istituto delineato dalla
direttiva 52 della legge-delega all'interno del libro delle  indagini
preliminari.
   Nessun  dubbio,  invece,  in  ordine alla collocazione delle norme
sull'incidente probatorio. Esse sono state inserite nel  titolo  VII,
prima  della disciplina attinente alla chiusura delle indagini, cosi'
da mettere in luce l'intrinseca natura dell'istituto quale  parentesi
giurisdizionale che trova posto nel corso dell'attivita' demandata al
pubblico ministero.
   Per  rispettare  la  sequenza  cronologica  delle attivita' che si
compiono all'interno delle indagini, le disposizioni sull'arresto  in
flagranza  e  sul  fermo  sono  state inserite nel titolo VI, dopo le
norme che disciplinano le investigazioni della polizia giudiziaria  e
del  pubblico ministero. Non e' sembrato opportuno mantenere la sedes
scelta dal Progetto del 1978 che collocava  questo  corpus  normativo
dopo la chiusura delle indagini preliminari, facendo cosi' perdere di
rilievo  il  loro  collegamento  con  la  dinamica  delle  operazioni
compiute dagli organi della investigazione.
   Il  libro  V  e', dunque, dedicato alle indagini preliminari ed al
piu'  tipico  dei  loro  epiloghi.  Le  norme   in   esso   contenute
disciplinano istituti nuovi (quali l'incidente probatorio e l'udienza
preliminare) e disegnano il complesso di attivita'  demandate,  nella
fase, al giudice per le indagini preliminari, al pubblico ministero e
alla polizia giudiziaria.
   Si  tratta,  per lo piu', di disposizioni profondamente innovative
rispetto al codice vigente ed al Progetto preliminare del 1978 e  che
mirano  a  risolvere una delle piu' rilevanti ambiguita' dell'attuale
sistema:  quella  rappresentata  dall'esistenza  di  un  giudice,  il
"giudice  istruttore", cui sono attribuiti poteri inquisitori e dalla
contemporanea     esistenza     di     un     pubblico      ministero
"giurisdizionalizzato", al quale, cioe', sono attribuiti anche poteri
coercitivi e di formazione della prova. In  ossequio  alle  direttive
della legge-delega del 1987, le disposizioni del libro V conferiscono
al pubblico ministero il  ruolo  di  parte  pubblica,  deputata  alla
attivita'  investigativa  per  la  assunzione  delle  "determinazioni
inerenti all'esercizio  dell'azione  penale".  Sotto  altro  aspetto,
conferiscono   alla  fase  in  cui  detta  attivita'  si  svolge,  le
caratteristiche della fase pre-processuale finalizzata  alla  ricerca
ed  assicurazione  delle  "fonti  di prova" ma non alla formazione di
questa. Alla ridefinizione dei ruoli e della fase  si  accompagna  la
scomparsa della figura del giudice istruttore cui non e' assimilabile
quella del giudice per le indagini preliminari la funzione del quale,
emergente  anche da altre parti del Progetto, e' quella di garanzia e
di controllo sull'attivita' di indagine svolta dal pubblico ministero
e  sui tempi di essa. E, solo eccezionalmente, quella di procedere ad
acquisizioni probatorie mediante il compimento di specifici "atti non
rinviabili"   al  dibattimento.  L'attribuzione  al  giudice  per  le
indagini preliminari di un tale potere non determina il  pericolo  di
sopravvivenza,  sotto altre spoglie, dell'istruzione formale poiche',
come si dira' nel commento  al  titolo  VII  relativo  all'"incidente
probatorio", profondamente diverse sono la finalita' di tale istituto
e la posizione che  nel  suo  svolgimento  e'  assunta  del  giudice.
L'incidente  probatorio e', di fatto, una parentesi anticipatoria del
dibattimento collocata all'interno di una fase  preprocessuale  e  ad
esso  spetta  di  conferire  dignita'  di  "prova"  ad  atti  il  cui
compimento non e' rinviabile.
   D'altronde,   proprio  del  dibattimento,  l'incidente  probatorio
ripete modalita' significative prevedendo l'esame diretto delle parti
e  del testimone oltreche' la presenza dell'imputato e dei difensori.
   Non  puo'  dedursi da cio' l'incompatibilita' dell'istituto con le
indagini concernenti la criminalita' organizzata. Il pregiudizio  per
tali  tipi  di  indagine  potra'  discendere  solo  da un cattivo uso
dell'istituto medesimo che, anzi, per  piu'  aspetti,  specie  quello
concernente  la  "cristallizzazione  tempestiva  della prova", appare
consono proprio a quel tipo  di  indagini  particolarmente  complesse
delle  quali  si  tratta  e  alle  quali  il Progetto ha guardato con
significativa  attenzione  sancendo,  in   funzione   di   esse,   la
possibilita'  di  termini  piu'  lunghi  per  la  loro  chiusura,  di
differimenti dell'incidente probatorio, di collegamenti investigativi
tra  pubblici  ministeri  ben  piu'  intensi  di  quelli  attualmente
consentiti.
                               TITOLO I
                        DISPOSIZIONI GENERALI
   L'articolo  326  specifica le finalita' delle indagini preliminari
per ribadire che esse non possono piu'  venir  confuse  con  la  fase
della istruzione sommaria e chiarendo che tali finalita', in aderenza
alla   direttiva   37   della   legge-delega,   sono    rappresentate
esclusivamente  dalla  necessita'  di delibare la notitia criminis al
fine di configurarla entro una precisa imputazione e di scegliere  un
tipo  di  domanda  da proporre al giudice competente. Questa limitata
finalizzazione delle indagini preliminari, che  emerge  con  evidenza
dai  lavori  preparatori,  costituisce  uno  dei punti salienti della
riforma.
   Inoltre,  pur considerando congiuntamente l'attivita' del pubblico
ministero e della polizia giudiziaria,  l'art.  326  precisa  che  le
indagini  della  polizia  giudiziaria, anche se svolte per l'identica
finalita'  delle  indagini  dirette  del   pubblico   ministero,   si
esercitano comunque nell'ambito di diverse attribuzioni.
   La norma trova le necessarie specificazioni nell'art. 56 (relativo
alla polizia giudiziaria) e nell'art.  358  (attivita'  del  pubblico
ministero):  quest'ultimo  chiarisce, in applicazione della direttiva
37, che le indagini del pubblico  ministero  non  possono,  in  alcun
caso, trascurare "gli elementi favorevoli all'imputato".
   L'articolo  327  conferma ancora l'aspetto unitario delle indagini
del pubblico ministero e della polizia  giudiziaria,  attribuendo  al
primo   la  loro  direzione;  principio,  questo  che  si  e'  voluto
testualmente richiamare per ribadire che non sara' piu' possibile, in
futuro,  una  "preistruttoria" della polizia giudiziaria, autonoma ed
antecedente alle indagini del pubblico ministero  o  che  si  svolga,
comunque,  al  di fuori dei coordinamenti da tale organo predisposti.
E' parsa inoltre questa la sede per sancire chiaramente il  principio
costituzionale    della    diretta   disponibilita'   della   polizia
giudiziaria, che ha gia' trovato articolata traduzione in  una  delle
disposizioni del libro dedicato ai "soggetti" (art. 59).
   E'   d'altronde  parso  che  la  formula  della  "direzione",  non
specificata in termini cronologici, fosse,  in  definitiva,  la  piu'
idonea  per  sottolineare  il  carattere  permanente  del particolare
rapporto che lega la polizia al pubblico ministero.  Non  e',  cioe',
sembrato  opportuno  stabilire  che  la  direzione  delle indagini e'
assunta dal pubblico ministero  quando  egli  ha  avuto  notizia  del
reato, e cio' per evitare che la polizia giudiziaria potesse sentirsi
svincolata dal rapporto di dipendenza  fino  al  perfezionamento  del
meccanismo   di  formale  comunicazione  della  notitia  criminis  al
pubblico ministero.
   L'articolo  328  menziona  la  figura,  caratteristica  del  nuovo
modello processuale, del giudice delle indagini preliminari, che, nel
corso  di  questa fase del procedimento, provvede sulle richieste del
pubblico ministero e delle parti private in tutti i casi previsti dal
codice.  L'articolo  329  disciplina  l'istituto  del  segreto  nelle
indagini preliminari, ed intende dare attuazione alla prima  ed  alla
terza parte della direttiva 71 della legge-delega. Le altre direttive
di questo stesso numero, relative al divieto di pubblicazione,  hanno
trovato invece attuazione nell'art. 113. Dal testo della legge-delega
e  dai  lavori  preparatori  risulta,  invero,   la   necessita'   di
distinguere  nettamente  tra  segreto  e  divieto  di  pubblicazione:
quest'ultimo deve permanere anche quando le parti del processo  ed  i
soggetti  che  hanno  concorso  a  realizzare gli atti delle indagini
preliminari non sono piu' tenuti al segreto.
   La  regola  fondamentale  in  tema di segreto e' posta dal comma 1
dell'art. 329, in conformita' della prima parte  della  direttiva  71
della   legge-delega:   in  linea  generale  l'obbligo  del  segreto,
sull'atto  compiuto  dal   pubblico   ministero   o   dalla   polizia
giudiziaria, cessa quando l'imputato ha la conoscenza o il diritto di
conoscere  l'atto  stesso.  In  tal  modo  si  e'  oggettivizzata  la
segretezza  senza collegarla alla individuazione dei soggetti ad essa
obbligati, come invece fa l'art. 307 del codice vigente.
   I  successivi  due  commi  dell'art. 329 apportano due deroghe, di
opposto contenuto, alla regola generale dettata dal comma 1.
   Il  comma 2 consente al pubblico ministero di escludere il segreto
per atti o parti di atti per i quali la pubblicazione sia  necessaria
per le indagini (es.: fotografie, identikit, etc.).
   Il  comma  3  prevede, al contrario, la protrazione del segreto su
singoli  atti,  pur  quando  essi  siano  conosciuti  o   conoscibili
dall'imputato,  qualora  il  pubblico  ministero  ritenga  necessaria
questa misura per la prosecuzione delle indagini (c.d. segretazione).
La  disposizione  del  Progetto  precisa  i presupposti necessari per
l'esercizio  di  tale  potere,  previsto  dalla  terza  parte   della
direttiva  71  (consenso  dell'imputato ovvero rilevanza dell'atto da
mantenere  segreto  per  le  indagini  riguardanti  persone   diverse
dall'imputato).
   Ambedue le deroghe alla regola generale sul segreto debbono essere
disposte con decreto motivato.
   La  correlazione  tra segreto dell'atto e divieto di pubblicazione
del suo contenuto - chiaramente espressa nel comma 1 dell'art. 113  -
comporta  che  alla deroga al segreto (nell'una o nell'altra ipotesi)
si accompagni anche  una  disciplina  della  pubblicazione  dell'atto
diversa  da quella dettata dall'art. 113; anzi e' proprio la esigenza
di anticipare o di posticipare tale pubblicazione, in relazione  alle
esigenze  delle  indagini,  a  giustificare la deroga al segreto. Per
maggiore  chiarezza,  percio',  i  commi  2  e  3  dell'art.  329  si
riferiscono   anche   all'istituto   del   divieto  di  pubblicazione
dell'atto, disciplinato in generale nell'art. 113.
   Nell'art.  114  e'  comminata  la  sanzione  per la violazione del
divieto di pubblicazione imposto a norma del comma 3 dell'art. 329.
                              TITOLO II
                           NOTIZIA DI REATO
   Il  titolo II contiene un gruppo di disposizioni che costituiscono
il nucleo essenziale della disciplina relativa alle notizie di reato.
   A  differenza che nel codice vigente, esse sono state inserite fra
le norme attinenti alla dinamica processuale, perche'  si  tratta  di
disposizioni  caratterizzate  proprio  per  i  loro  agganci  con  le
prerogative e con i doveri degli organi  incaricati  di  condurre  le
indagini preliminari.
   Assume  particolare  rilievo  in  proposito,  l'articolo  330  che
accentua l'esigenza di iniziativa del pubblico ministero (come organo
d'impulso del processo) e della polizia giudiziaria (in quanto da lui
dipende) nel prendere notizia dei reati, pur sottolineando, al  tempo
stesso,  l'altro  compito,  loro  spettante, di ricevere tali notizie
nelle forme tipiche previste dalle disposizioni successive.
  A proposito di queste ultime, si puo' notare che gli articoli 331 e
332 qualificano "denuncia" quello che, nella terminologia del  codice
vigente,  e'  qualificato  "rapporto". La scelta terminologica ha una
sua giustificazione.
   Eliminato  il  "rapporto"  della  polizia  giudiziaria,  come atto
avente una sua tipicita' nel quadro delle  relazioni  tra  la  stessa
polizia  giudiziaria  ed  il  pubblico  ministero, si e' ritenuto che
potesse dare adito ad incertezze la  conservazione  del  nomen  iuris
"rapporto"  con  riferimento  a  quelle informative di altri pubblici
ufficiali od incaricati di pubblico servizio, che l'art. 2 del codice
vigente affianca appunto al "rapporto" della polizia giudiziaria. Pur
mantenendo  una  relativa  autonomia   di   disciplina,   quanto   ad
obbligatorieta'   di   presentazione   e   quanto   a   modalita'  di
quest'ultima, tale specie di informative e' stata pertanto ricondotta
al  genere  delle  "denunce".  Lo  stesso  inquadramento  e la stessa
terminologia, del resto, si rinvengono nel codice  penale  (cfr.  gli
artt. 361 e 362).
   La  nuova  disciplina  della  "denuncia"  del pubblico ufficiale e
dell'incaricato di pubblico servizio si discosta, in taluni punti, da
quella dell'art. 2 c.p.p. vigente.
   In  particolare, ed a prescindere dalla regola della forma scritta
come forma vincolata per tale specie di denuncia (art. 331 comma  1),
si e' cercato di descrivere un modello normativo piu' coerente con il
carattere di atto pre-processuale,  che  va  certamente  riconosciuto
alla  denuncia anche quando essa proviene da un soggetto rivestito di
pubblica autorita': pertanto nell'art. 332, che ne fissa il contenuto
minimo,  non  si  parla  piu'  di "elementi di prova raccolti", ma di
"fonti di prova gia' note"; ne' di "testimoni",  ma  di  "coloro  che
siano   in   grado  di  riferire  su  circostanze  rilevanti  per  la
ricostruzione dei fatti".
   La  denuncia,  quando  proviene da autorita' non appartenenti alla
polizia giudiziaria, puo' essere  presentata  non  solo  al  pubblico
ministero  (come  oggi  prevede  l'art.  2  comma  3), ma anche ad un
ufficiale  di  polizia  giudiziaria  (art.  331  comma   2).   Questa
alternativa e' esclusa nella sola ipotesi prevista nel comma 4.
   Quanto  alla  disposizione dell'art. 331 comma 3, non si tratta se
non  di  un'estensione,  a  questo  tipo  di  denuncia   (in   quanto
obbligatoria),  di  una  regola  che  il  codice  di procedura penale
vigente gia'  prevede  in  tema  di  referto  cumulativo,  e  che  in
quest'ambito il progetto conferma (cfr. art. 334 comma 3).
   La  disposizione  dell'art.  331,  ultimo  comma  obbedisce ad una
esigenza di semplificazione. Si e', cioe', ricondotto alla  categoria
delle  "denunce"  dei  pubblici  ufficiali anche l'atto oggi previsto
come "rapporto" dall'art. 3  c.p.p.  vigente,  con  riferimento  alle
notitiae criminis emergenti dagli atti di un giudizio non penale.
   Fermo  restando che in tal caso l'obbligo della "denuncia" incombe
soltanto al giudice, non si e'  ravvisata  l'esigenza  di  conservare
alla   disposizione  un'autonomia  cosi'  spinta  da  richiederne  la
collocazione in un apposito articolo di legge. Cio' anche perche' non
si  e'  ritenuto  di  riprodurre  nel  codice  di procedura penale la
dettagliata  disciplina  delle  ripercussioni  che  l'emergere  della
notitia   criminis  comporta  sul  corso  del  giudizio  non  penale.
D'altronde,  tale  disciplina  puo'  dirsi,  gia'  oggi,   largamente
assorbita  da  quella  contenuta  in  norme relative ad altri settori
della fenomenologia processuale (cfr. in specie l'art. 295 c.p.c.).
   Nelle  disposizioni di attuazione sara' inserita una norma secondo
cui il pubblico ministero, quando risulta che il reato ha  comportato
un danno per l'erario, ne informa il procuratore generale della corte
dei conti.
   Va  infine  precisato  che  l'art. 331 esordisce con una esplicita
clausola  di  salvaguardia  per  quanto  stabilito  dall'art.  347  a
proposito delle informative cui e' tenuta la polizia giudiziaria.
   L'ampliamento   dei   confini  della  categoria  delle  "denunce",
rispetto alla tipizzazione del codice vigente, ha indotto ad inserire
nell'articolo   333,  e  cioe'  subito  dopo  le  disposizioni  sulle
"denunce" dei pubblici  ufficiali  e  degli  incaricati  di  pubblico
servizio,  la  disciplina  relativa  a  quelle  che,  gia' secondo la
terminologia tradizionale, venivano definite "denunce" di privati. Al
riguardo, il comma 1 dell'articolo si limita a riprodurre, con minime
modifiche formali, il contenuto dei due commi dell'art. 7 c.p.p.
   Nel  comma  2 dello stesso art. 333 sono precisate le modalita' di
presentazione della denuncia da parte del privato, secondo uno schema
non dissimile da quello che oggi risulta dal combinarsi dell'art. 8 e
dell'art. 2 c.p.p. Non si e', peraltro, ritenuto di dover richiedere,
per  le  denunce  dei  privati,  un contenuto formale tipico, che del
resto, anche oggi, e' reso assai sfuggente per il tenore  del  rinvio
all'art.    2   contenuto   nell'art.   8   c.p.p.   ("in  quanto  e'
applicabile").
   Nell'ultimo  comma  dell'art. 333 e' enunciata la disciplina delle
denunce anonime, sostanzialmente in modo non dissimile da quanto gia'
oggi  risulta  dall'art. 141 del codice vigente. E' stata fatta salva
la previsione dell'art. 240 in tema  di  acquisizione  dei  documenti
anonimi   quando   costituiscono   corpo   del   reato  o  provengono
dall'imputato.
   Non  e'  stato  invece  riprodotto  l'ultimo comma dell'art. 8 del
codice vigente, relativo all'obbligo di  trasmissione  delle  denunce
eventualmente  presentate  a  pubblici  ufficiali. Fermi restando gli
obblighi della polizia giudiziaria, di cui al successivo art. 347, si
e'  infatti  ritenuto  che  una  norma  generale in questa sede fosse
sovrabbondante: anche perche' non si puo' estendere troppo la cerchia
dei  soggetti tenuti a dare un seguito alle denunce dei privati. Cio'
non esclude, beninteso, l'opportunita' di una disciplina  particolare
per  determinate  categorie  di  denunce  private, in particolare per
quelle dei detenuti: v., al riguardo, l'art. 122, comma 3.
   Si  e'  invece  deliberato  di  prevedere,  nelle  disposizioni di
attuazione, a carico degli uffici della  polizia  giudiziaria  o  del
pubblico  ministero  tenuti  a  ricevere  le  denunce,  l'obbligo  di
rilasciare una ricevuta, che puo' tornare utile al  privato,  sia  ai
fini  della  dimostrazione  di aver osservato il dovere di presentare
denuncia (quando questa e' obbligatoria), sia, in ogni caso, ai  fini
della  prova  relativa a rapporti giuridici di natura extrapenale (si
pensi,  ad  esempio,  ad  eventuali  controversie  con  la   societa'
assicuratrice  per  un  danno  da reato). Si disporra', pertanto, che
l'autorita'  alla  quale  e'  presentata  una  denuncia  rilasci,   a
richiesta   del   denunciante,   ricevuta   con  l'indicazione  delle
generalita' e del domicilio del denunciato, se risultano dall'atto.
   L'articolo 334 disciplina il "referto" secondo uno schema ripreso,
in larga parte, dal  codice  vigente  anche  per  quel  che  concerne
l'omessa   esplicitazione   dei   casi   in   cui   ne   e'  prevista
l'obbligatorieta'.
   Nei  dettagli,  la  modifica piu' saliente rispetto alla normativa
attuale riguarda il tempo a disposizione  di  chi  deve  redigere  il
referto. Ad evitare che si vengano a creare situazioni eccessivamente
gravose per il redigente, si e' fissato in quarantotto ore il termine
massimo  per  la  presentazione  del  referto,  lasciando,  peraltro,
inalterato  l'ordine  di  priorita'  nella  scelta  dei  destinatari:
anzitutto,  cioe', gli organi del pubblico ministero o l'ufficiale di
polizia giudiziaria del luogo dell'intervento; poi, e  solo  in  loro
mancanza, l'ufficiale di polizia giudiziaria del luogo piu' vicino.
   Per  quanto  concerne  il contenuto del referto (cosi' come per le
denunce  dei  pubblici  ufficiali  e  degli  incaricati  di  pubblico
servizio),  ci  si  e'  preoccupati di evitare una precostituzione di
convincimento negli organi giudiziari, ad opera di un atto che  resta
preprocessuale,  ed  in tale ottica e' stato eliminato il riferimento
alle "cause" del fatto. Si e' poi escluso l'obbligo di  indicare  nel
referto  la persona offesa, che puo' essere anche una persona diversa
da quella cui  il  sanitario  ha  prestato  assistenza.  Le  restanti
modifiche, rispetto alle disposizioni dell'art. 4 del codice vigente,
sono prevalentemente formali, e tese  ad  una  maggiore  chiarezza  e
semplificazione della normativa.
   L'articolo  335  e'  diretto  a  dare attuazione alla direttiva 35
della legge-delega. Nei commi 1 e 2 e' stata prevista  la  disciplina
delle iscrizioni nel registro del pubblico ministero della notizia di
reato e del nominativo della persona alla quale esso  e'  attribuito.
Si  e'  disposto  che  il  pubblico  ministero  debba "aggiornare" il
registro avendo riguardo alle risultanze solo nelle  due  ipotesi  di
diversa qualificazione giuridica del fatto e di fatto differentemente
circostanziato ascritto al  medesimo  imputato.  In  tutte  le  altre
ipotesi, e quindi quando si tratti di reati concorrenti ascritti allo
stesso imputato ovvero dello stesso reato ascritto  a  piu'  imputati
non  tutti identificati contestualmente, dovra' procedersi non a meri
aggiornamenti,  ma  a  nuove  iscrizioni,  dalle  quali  decorreranno
autonomi   termini   per  l'esercizio  dell'azione  penale,  a  norma
dell'articolo 402.
   I commi 3 e 4 dell'art. 335 attuano l'ultima parte della direttiva
35, la quale, differenziandosi dalla  precedente  delega,  ha  voluto
escludere  che  le  notizie  relative  alle iscrizioni possano essere
chieste ed ottenute in qualsiasi tempo.  Le  relative  facolta'  e  i
diritti   sono   stati   percio'   ancorati  allo  specifico  momento
processuale rappresentato dall'assunzione della qualita' di  imputato
a norma dell'art. 61.
                              TITOLO III
                     CONDIZIONI DI PROCEDIBILITA'
Premessa.
   La  delega  non  contiene  alcun  criterio direttivo che indichi o
implichi modifiche degli istituti della querela, dell'istanza,  della
richiesta  di  procedimento. La disciplina vigente, d'altro lato, non
sembra aver dato luogo a inconvenienti  rilevanti;  non  e'  sembrato
opportuno, pertanto, discostarsi dalle sue linee generali.
   E'  bensi'  vero  che la querela e' istituto di ordine chiaramente
processuale e che la sistemazione  delle  disposizioni  relative,  in
parte  nel  codice  penale  ed in altra parte nel codice di procedura
penale, ha una  discutibile  giustificazione  tecnica  e  da'  luogo,
inoltre,  a  notevoli  inconvenienti  pratici;  ma  non  e'  sembrato
possibile inserire nel codice di procedura penale l'intera disciplina
dell'istituto,   perche'   diversamente  si  sarebbero  create  delle
inammissibili duplicazioni normative.  La  ragione  principale  della
attuale  divisione della materia sembra, del resto, essenzialmente da
attribuire al  fatto  che  la  remissione  della  querela  sia  stata
considerata  come  causa  estintiva  del reato, e, pertanto, e' stata
disciplinata nel codice penale. Tale collocazione, d'altra parte,  si
spiega con la difficolta' di attribuire alla remissione della querela
altra qualifica, data la irretrattabilita' dell'azione penale.
   In definitiva, pur nella convinzione della opportunita' di riunire
nel codice di procedura penale tutte le  disposizioni  relative  alle
condizioni  di  procedibilita', si e' preferito non trattare anche la
materia attualmente disciplinata dal codice penale. In  questa  parte
si  e'  percio'  riprodotta  sostanzialmente la disciplina del codice
vigente.
Illustrazione degli articoli.
   L'articolo  336  (querela)  non introduce modifiche sostanziali al
vigente art. 9, con una formulazione che da un lato e'  piu'  precisa
in  ordine  al  contenuto  dell'atto  e, d'altro canto, evita di fare
riferimento  alla  sua  natura  giuridica  ("diritto",  "facolta'"  o
"potere").
   Nell'articolo  337  (formalita'  della  querela) e' stata prevista
espressamente la possibilita' che la querela venga  presentata  anche
ad un agente consolare della Repubblica all'estero. Si superano cosi'
i dubbi relativi alla possibilita' di integrazione analogica ex  art.
6  comma 2 c.p.p. vigente. Si e' provveduto, inoltre, a risolvere con
statuizioni esplicite i contrasti interpretativi perduranti  in  tema
di  soggetti legittimati (il comma 3 disciplina il caso in cui offeso
dal reato sia una persona giuridica, un ente o un'associazione) e  di
modi  di presentazione (si e' consentita la spedizione a mezzo posta,
richiedendosi pero' la  sottoscrizione  autentica  del  querelante  e
l'uso  della  raccomandata). Infine, nel comma 4, e' stato prescritto
che l'autorita' che riceve la querela provveda  alla  identificazione
della  persona  che  la  presenta materialmente, dato che questa puo'
essere diversa sia dall'offeso sia dal suo procuratore speciale.
   L'articolo  338  regola  la  nomina  del  curatore speciale per la
presentazione della querela nelle situazioni previste  dall'art.  121
del  codice  penale.  Si  e'  modificata  la disciplina contenuta nel
vigente art. 11, precisando che il termine per la presentazione della
querela, da parte del curatore speciale, decorre dal giorno in cui il
provvedimento di nomina e' notificato al curatore speciale.  Cio'  al
fine  di  evitare  che il termine ordinario venga ad essere ridotto o
possa trascorrere, in seguito ai ritardi di tale notifica.
   Si  sono,  invece,  confermate sia la competenza territoriale alla
nomina  del  giudice  del  luogo  in  cui  si  trova  l'offeso,   sia
l'iniziativa  esclusiva  del  pubblico ministero per la richiesta del
provvedimento, mentre agli enti esponenziali  e'  stato  lasciato  un
potere di mera sollecitazione.
   L'articolo  339  disciplina  la  rinuncia  espressa  alla querela,
mentre la rinuncia tacita e' disciplinata dall'art.  124  del  codice
penale,  al quale, per le ragioni sopra illustrate, si deve rinviare,
analogamente a quanto si verifica per altre disposizioni  tipicamente
processuali  (come  quella  relativa al termine per proporre querela)
che sono contenute nel codice penale.
   E'  stata  soppressa  la  previsione  dell'inammissibilita'  della
querela dopo  proposta  l'azione  civile:  da  alcuni  ricondotta  al
brocardo  electa  una  via  non  datur  recursus  ad alteram (art. 12
c.p.p.).  Si  e'  ritenuto  non  rispondente  a   ragionevolezza   un
meccanismo  preventivo  per cui la possibilita' di presentare querela
risulterebbe estinta ancor prima di essere nata. Si pensi all'ipotesi
di mancata conoscenza, da parte del danneggiato, di tutti gli estremi
del fatto costituente reato o anche al  caso  in  cui  la  dimensione
penalmente rilevante dell'illecito emerga soltanto per la prima volta
nel corso di un procedimento civile (per esempio: nel  corso  di  una
causa di risoluzione per inadempimento o di annullamento di contratto
per dolo o violenza potrebbero emergere reati di  frode  o  di  falso
perseguibili  a  querela).  In  linea  teorica,  poi, in una sede che
attiene  unicamente  all'esercizio  della   potesta'   punitiva,   la
perseguibilita' a querela di parte invece che ex officio non dovrebbe
importare  una  diversa  rilevanza  processuale  di  fatti  giuridici
estranei alla dimensione penalistica dell'illecito, quali sono quelli
diretti al ristoro del danno.
   L'articolo  340  disciplina  la  remissione  della querela in modo
analogo al vigente art. 14. Mentre si e' confermata la regola che  le
spese  del  procedimento  sono a carico del remittente, salvo diverso
accordo con il querelato, non si e' ritenuto necessario prevedere  la
solidarieta'  nell'ipotesi  di  piu'  obbligati,  stante il principio
generale posto dall'articolo 1294 del codice civile.
   Gli  articoli  341  e  342  trattano - senza modifiche sostanziali
rispetto agli artt. 5 e 6 del codice vigente - rispettivamente  della
istanza e della richiesta. Per quest'ultima, si e' ritenuto opportuno
stabilire  le   necessita'   della   sottoscrizione   del   legittimo
rappresentante dell'autorita' cui spetta il potere di richiesta.
   L'articolo  343  delinea il regime dell'autorizzazione a procedere
in modo nuovo e in aderenza alla  direttiva  47  della  legge-delega.
Attribuito   al   pubblico   ministero   il   compito  di  richiedere
l'autorizzazione  (comma  1),  si  sono  specificate   le   attivita'
consentite  e quelle vietate in mancanza di autorizzazione (commi 2 e
3). In particolare, nell'individuare gli  atti  vietati,  sono  stati
aggiunti   a   quelli   esplicitamente   previsti   dalla  delega  le
individuazioni  e  le  intercettazioni  di  "conversazioni".  Si   e'
ritenuto, infatti, che la delega abbia voluto richiamare tutti i tipi
di  intercettazione  previsti  dall'art.  266.  Il  riferimento  alle
individuazioni  consegue  alla inopportunita' di distinguere tra atti
del giudice e atti del pubblico  ministero,  dovendosi  prevedere  un
analogo  regime  per atti "simili" che potrebbero produrre effetti in
tema di "valutazione" delle "prove" successivamente acquisite.
   Per  gli  atti  diversi da quelli espressamente indicati nell'art.
343 comma 2 si applica la regola generale prevista dall'art. 346.
   Il  comma  4  stabilisce  che  gli atti compiuti in violazione dei
divieti  posti  dagli  artt.  343  e  346  non  sono  in  alcun  modo
utilizzabili.   La   estensione  di  tale  sanzione  anche  ad  altri
procedimenti e' parsa necessaria al fine di evitare  l'applicabilita'
dell'art.  238  del  Progetto  che  prevede l'acquisizione di verbali
probatori in altri processi.
   Il  comma 3 riguarda l'arresto in flagranza. La direttiva 47 della
legge-delega esclude dal divieto delle misure di coercizione tutti  i
casi di arresto obbligatorio in flagranza, facendo all'uopo rinvio ai
"delitti previsti dalle lettere a ) e  b)  del  n.  32".  Considerato
l'elenco  dei  delitti  per  i quali il Progetto, in attuazione della
direttiva  32  della  delega,  prevede  l'arresto   obbligatorio   in
flagranza  (art.  378), una disposizione che consentisse nelle stesse
ipotesi l'arresto della persona per la quale occorre l'autorizzazione
a  procedere  avrebbe  un  significato estensivo dei casi per i quali
oggi e' possibile l'arresto in flagranza  (delitti  per  i  quali  e'
obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura, come si esprime l'art.
68 della Costituzione, con disposizione frutto di  ampie  discussioni
in  seno  all'Assemblea  Costituente). La Commissione ha ritenuto che
non sia consentita una attuazione letterale della delega, ma che  per
questa  parte  la  direttiva  debba  essere  realizzata  nella misura
consentita  dalla  citata  disposizione  costituzionale,  la   quale,
d'altro  canto,  ha  un  significato  sostanziale che sopravvive alla
eliminazione dell'istituto del mandato di cattura obbligatorio.
   Nell'articolo   344  si  prevedono  i  tempi  della  richiesta  di
autorizzazione. Il comma 1 da'  attuazione  alla  prima  parte  della
direttiva 47 della legge-delega.
   Nel  comma  3 e' disciplinata la situazione - che puo' verificarsi
in particolare nell'ipotesi di elezione a parlamentare -  in  cui  la
necessita'  di autorizzazione sorga soltanto in un momento successivo
a quelli previsti nel comma 1. Per tale ipotesi e' sembrata ovvia  la
regola della sospensione del processo, con la possibilita' - comune a
tutte le  forme  di  sospensione  disciplinate  nel  nuovo  codice  -
dell'assunzione  di  prove,  alla  duplice  condizione dell'urgenza e
della richiesta di parte.
Naturalmente  il processo riprendera' al verificarsi della condizione
che fa venir meno la ragione della sospensione ed in  particolare  al
momento  in  cui pervenga l'autorizzazione; si applichera' d'altronde
l'articolo successivo.
   Nell'articolo 345 e' contenuta la disciplina di carattere generale
del difetto  di  una  condizione  di  procedibilita',  attraverso  il
richiamo  delle  disposizioni  ove  sono  indicati  i diversi tipi di
pronuncia  in  relazione  al  momento   processuale   in   cui   esse
intervengono: archiviazione per improcedibilita' (art. 408), sentenza
di non luogo a procedere in esito all'udienza preliminare (art. 422),
sentenza  dibattimentale  di  non  doversi  procedere  (art. 522). La
ragione   giustificativa   dell'art.   345   sta   ovviamente   nella
"riproponibilita'"  dell'azione  qualora sopravvenga la condizione di
procedibilita'.
   A  questo  proposito  si  e'  preveduto,  nell'art.  402,  che, in
pendenza di una condizione  di  procedibilita',  il  termine  per  le
indagini del pubblico ministero decorre dal giorno in cui la querela,
l'istanza o la richiesta pervengono  al  pubblico  ministero.  Se  e'
necessaria  l'autorizzazione  a  procedere, il decorso del termine e'
sospeso dal momento della richiesta a quello in cui  l'autorizzazione
perviene al pubblico ministero.
   L'articolo  346,  dopo  avere richiamato il divieto assoluto posto
dagli artt. 343 e 344 in tema di autorizzazione a procedere, consente
eccezionalmente  il  compimento  di  atti  di indagine preliminare in
mancanza di  una  condizione  di  procedibilita'  qualora  sussistano
ragioni   di  urgenza,  e  sempre  che  la  condizione  possa  ancora
validamente sopravvenire (si pensi alle ipotesi  di  lesioni  e  alla
loro  procedibilita'  a  querela o d'ufficio a seconda del periodo di
guarigione; ovvero ai casi di reato il cui  colpevole  non  e'  stato
immediatamente  identificato  e  le indagini si svolgono anche per la
qualificazione del reato).
                              TITOLO IV
           ATTIVITA' A INIZIATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA
Premessa.
   Il  titolo quarto (artt. 347 - 357) disciplina le attivita' che la
polizia giudiziaria puo' svolgere di  propria  iniziativa,  anche  se
nell'ambito  dei  rapporti  di dipendenza funzionale, gia' illustrati
nel commento agli articoli 326 e 327.
   La  legge-delega  del 1974, pur avendo accolto la tesi, emersa nel
corso dei lavori parlamentari, di coloro che  ritenevano  impossibile
togliere  ogni funzione alla polizia giudiziaria, concentrando sempre
e subito ogni attivita' nelle  mani  del  pubblico  ministero,  aveva
tuttavia  sensibilmente  limitato  l'attivita'  di  iniziativa  della
polizia  giudiziaria,  sia  per  l'esclusione  della  utilizzabilita'
processuale   degli   atti,   sia  per  la  riduzione  dei  tempi  di
legittimazione   delle   iniziative   autonome.   Tale    limitazione
determino', da piu' parti, serie critiche, in punto di funzionalita',
alla stessa legge-delega del 1974 per l'eccessivo restringimento  dei
poteri  della polizia giudiziaria - peraltro ancor piu' soffocati dal
depotenziamento del ruolo del pubblico ministero - e per  il  rischio
della deresponsabilizzazione degli organi di polizia dei quali andava
invece garantita l'efficacia del primo intervento,  proprio  per  non
pregiudicare  le  indagini  preliminari, costituenti il centro motore
del nuovo processo.
   Il  legislatore  delegante successivamente intervenuto si e' fatto
carico di tali critiche e,  sopprimendo  l'istruzione  come  autonoma
fase  del  nuovo  processo,  ha  prefigurato  un sistema nel quale la
polizia  giudiziaria  ha   poteri-doveri   molto   piu'   estesi   ed
analiticamente indicati nelle direttive 31, 32 e 33.
   A  parte  la regolamentazione dell'arresto e del fermo di cui alla
direttiva 32 (che sara' esaminata separatamente)  a  proposito  delle
direttive 31 (riflettente l'attivita' della polizia giudiziaria) e 33
(che concerne la documentazione di tale attivita') puo' notarsi  che:
    la  polizia  giudiziaria  ha  il  potere-dovere  di  compiere non
soltanto "gli atti necessari e urgenti per  assicurare  le  fonti  di
prova"  (come  stabiliva  la  direttiva 30 della delega del 1974), ma
tutti gli atti specificamente indicati nella  nuova  delega  che  non
sono  piu'  vincolati  ai presupposti della necessita' e dell'urgenza
salvo quelli di perquisizione e sequestro;
    l'obbligo  di  documentazione - inesistente nella delega del 1974
ed introdotto dalla Camera - e' stato esteso  dal  Senato  fino  alla
verbalizzazione  delle  attivita'  compiute  per  descrivere  i fatti
costituenti reato e rappresentare direttamente la realta'. Ed infatti
il  Senato, dopo avere introdotto, nella direttiva 31 prima parte, la
frase "e di descrivere i fatti compilando  i  verbali  relativi  alle
attivita'   compiute",   ha   aggiunto,   all'inizio  dell'originaria
direttiva 33, quella "fuori dei casi in cui  e'  tenuta  a  compilare
specifici verbali ai sensi del n. 31";
    in  relazione  alla  direttiva  31  seconda  parte,  il Senato ha
modificato il testo inizialmente approvato dalla  Camera  sostituendo
la frase "eventualmente per iscritto" con quella "anche oralmente", e
la frase "e di indicargli le fonti di prova fino ad allora acquisite"
con  quella  "indicando  le attivita' compiute e gli elementi sino ad
allora acquisiti con divieto di ogni utilizzazione agli  effetti  del
giudizio...";
    in  relazione  alla  direttiva  31  terza  parte,  il  Senato  ha
eliminato  la  frase  "in  caso  di  necessita'  e  di  urgenza"  che
compariva,  prima  delle parole "sino a che il pubblico ministero non
abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini",  nel
testo inizialmente approvato dalla Camera.
   Circa  le  modifiche  apportate dal Senato, va segnalato, inoltre,
che esse sono state, per lo piu', proposte, discusse e  approvate  in
sede  di  Comitato  ristretto,  sicche' manca, al riguardo, qualsiasi
documentazione illustrativa.
   Proprio  su  alcune  di queste modifiche, e specialmente su quelle
concernenti le direttive 31 prima parte e 31  seconda  parte,  si  e'
svolto  in  Commissione  un  ampio  ed  approfondito  dibattito  che,
prendendo  le  mosse  dal  problema  dei  tempi  e  delle  forme   di
comunicazione  della  "denuncia" al pubblico ministero da parte della
polizia  giudiziaria  (art.  347)  ed  esaminando  specificamente  la
questione delle sommarie informazioni della persona nei cui confronti
vengono svolte le indagini (art. 350), ha, in sostanza, affrontato il
tema che attiene allo svolgimento della attivita' ad iniziativa della
polizia giudiziaria in relazione alla interpretazione  da  dare  alla
direttiva 31.
   E' prevalso l'orientamento secondo cui la direttiva 31 prima parte
e' meramente descrittiva dei poteri della polizia giudiziaria. Si  e'
escluso,  invece,  che  dalla  direttiva  sia  possibile  argomentare
l'esistenza di un "primo momento" di azione della polizia giudiziaria
immediatamente  successivo  (se  non  contestuale)  all'apprendimento
della notizia di reato.
   Si  e'  osservato in proposito che la finalita' della direttiva 31
prima parte e' quella  di  evidenziare  l'attribuzione  alla  polizia
giudiziaria  di un potere piu' ampio di quello connesso al compimento
degli atti necessari ed urgenti per  assicurare  le  fonti  di  prova
(come  prevedeva,  invece, la delega del 1974) e che, quantomeno fino
al momento in cui il pubblico ministero non ha assunto  la  direzione
delle  indagini,  non  incontra  alcuna  limitazione sotto il profilo
investigativo. La direttiva ha voluto anche ribadire  che  nel  nuovo
modello  processuale  non  vi  e'  spazio  per il rapporto di polizia
giudiziaria inteso non solo come strumento  di  conoscenza  ma  anche
come  atto  conclusivo  delle  indagini;  in  tale  ottica  si spiega
l'espresso richiamo, nella  stessa  direttiva  31  prima  parte,  sia
all'obbligo  di una "segnalazione" contenente solo le descrizioni dei
fatti e non anche la loro valutazione sia  all'ulteriore  obbligo  di
far  emergere  le  indicate  descrizioni  dei fatti dai verbali delle
attivita' compiute e non  da  autonome  valutazioni  riportate  nella
"segnalazione"  stessa  (v.  anche  sub  art.  332).  Il pericolo che
l'obbligo di riferire nei modi appena indicati potesse  far  rivivere
nei  fatti e pur contro le intenzioni del legislatore, il rapporto di
polizia  giudiziaria  ha  peraltro  indotto  all'inserimento,   nella
seconda    parte    della    direttiva    31,   del   richiamo   alla
"inutilizzabilita' agli effetti  del  giudizio"  delle  dichiarazioni
rese  alla  polizia giudiziaria. In tal modo il legislatore delegante
ha  infatti  voluto  ribadire   ancor   piu'   chiaramente   che   la
"segnalazione"  non  puo' essere utilizzata surrettiziamente per fini
decisori e che neppure la riproduzione in essa  delle  descrizioni  e
degli  esiti delle attivita' compiute puo' quindi determinare effetti
sul convincimento del giudice facendo assurgere a  "prova"  cio'  che
deve fungere solo da "informazione".
   Da  tale  interpretazione  della prima e della seconda parte della
direttiva 31 discende la formulazione del comma  1  dell'art.  347  e
dell'intero   art.  350  nonche'  la  complessiva  ricostruzione  dei
contenuti e delle finalita' della direttiva 31 con le sue conseguenti
applicazioni  nei  singoli articoli del Progetto. In questo contesto,
la direttiva 31 prima parte ha finalita'  descrittive  dell'attivita'
della  polizia  giudiziaria (artt. 56 e 347 comma 1); la direttiva 31
seconda parte fissa l'obbligo di riferire al pubblico ministero (art.
347);  la  terza,  la  quinta  e  la  sesta  parte della direttiva 31
stabiliscono il complesso degli atti che la polizia giudiziaria  puo'
compiere  ad  iniziativa  prima  che  il pubblico ministero assuma la
direzione delle indagini (artt. da 348 a 354); la direttiva 31 quarta
parte, prescrive quale attivita' la polizia giudiziaria puo' compiere
su delega del pubblico ministero.
   La   interpretazione   che   si  e'  proposta  non  e'  abrogativa
dell'ultimo inciso della  direttiva  31  seconda  parte.  L'apparente
contrasto  tra  quell'inciso  e  il  dettato della direttiva 31 sesta
parte  non  viene  percio'  risolto  attraverso   una   interpretatio
abrogans.
   Al  di  la'  di quel che si e' detto con riguardo al "rapporto" di
polizia   giudiziaria,   il   richiamo,   in    quell'inciso,    alla
"inutilizzabilita'  agli effetti del giudizio" e' infatti esplicativo
di una inutilizzabilita' come  prova  delle  dichiarazioni  acquisite
dalla   polizia   giudiziaria   e  della  conseguente  loro  limitata
utilizzabilita' ai fini delle contestazioni. E  cio',  a  differenza,
della  inutilizzabilita' tout court degli altri tipi di dichiarazioni
cui fa richiamo la direttiva 31 nella sua successiva sesta parte.
    L'ultimo inciso della direttiva 31 seconda parte riafferma poi il
principio, gia' parzialmente sancito dall'art. 71, secondo  il  quale
le   dichiarazioni   rese   non  possono  essere  "sostituite"  dalle
"testimonianze" di chi ha compiuto o ha assistito all'atto (v.  artt.
71 e 195).
   In  tale  ottica  la  direttiva  31  seconda  parte  ha  allora un
effettivo significato pienamente in linea con la  previsione  di  cui
alla  direttiva  31 parte sesta. Le due direttive finiscono, infatti,
per essere fra loro complementari poiche'  disegnano,  congiuntamente
il  regime  di  una  articolata  serie  di  dichiarazioni:  quelle "a
sorpresa" rese dal testimone nell'immediatezza, che sono "allegabili"
(v.  a  contrario  direttiva  31  sesta  parte e 76); quelle rese dal
testimone  o  dall'indiziato  assistito  dal  difensore,   che   sono
utilizzabili  per  le "contestazioni" anche in giudizio (v. direttiva
31 seconda e terza parte nonche' 58 e 76); le "notizie e  indicazioni
utili  ai fini della prosecuzione delle indagini" assunte sul luogo o
nell'immediatezza del fatto (31 sesta  parte)  che  invece  non  sono
utilizzabili  ne'  documentabili  se  provengono  dall'indiziato  (v.
peraltro anche sub art. 350).
   Si  e'  poi  ritenuto che la nuova formulazione della direttiva 31
seconda parte privilegiata dal Senato abbia voluto  consentire  anche
la  previsione,  accanto  alle  categorie gia' enunciate, di un altro
tipo di dichiarazioni: quelle cc.dd.  spontanee  rese  dall'indiziato
senza  il  difensore  alla  polizia  giudiziaria  ed  utilizzabili in
giudizio  ai  fini  delle  contestazioni.  Alla  conclusione  si   e'
pervenuti  argomentando  dal  fatto  che  la  direttiva  31 mostra di
distinguere le "informazioni rese" (utilizzabili) da quelle  "assunte
(e,  quindi,  "provocate")  dalla  polizia giudiziaria" (direttiva 31
sesta parte) (inutilizzabili).
   Nel  corso  dell'animato dibattito che si e' svolto in Commissione
redigente l'interpretazione della direttiva 31 della delega che si e'
sopra  esposta,  e'  prevalsa  rispetto all'altra che individuava tre
specifici "momenti" all'interno dell'attivita' svolta  dalla  polizia
giudiziaria:  il primo, riferito alla parte della direttiva in cui si
affida alla polizia giudiziaria il compito di "prendere  notizia  dei
reati",  il  secondo che si estende "sino a che il pubblico ministero
non abbia impartito le direttive per lo svolgimento  delle  indagini"
(31  terza  parte)  ed  il terzo successivo alla delega, da parte del
pubblico ministero alla polizia giudiziaria, degli atti  da  compiere
ed alla indicazione delle direttive di indagine (31 quarta parte).
   Secondo la interpretazione appena proposta, dalla suddivisione dei
tre "momenti" di azione ora ricordati, deriverebbe,  per  la  polizia
giudiziaria,  il potere, nell'ambito del primo di essi, di descrivere
i  fatti  costituenti  reato  compilando  i  verbali  relativi   alle
attivita'   compiute   nonche'   di   ricevere  "dichiarazioni"  rese
spontaneamente e di riferirle al pubblico ministero entro quarantotto
ore,  fermo  il  divieto della loro utilizzazione nel giudizio, anche
attraverso la testimonianza della stessa polizia giudiziaria.
   Nel secondo momento alla polizia giudiziaria sarebbe attribuito il
potere-dovere di "assumere informazioni da chi non si trovi in  stato
di arresto o di fermo, con l'assistenza del difensore" e di "assumere
sul luogo o nell'immediatezza del fatto, anche senza l'assistenza del
difensore,  notizie  ed  indicazioni  utili  ai  fini della immediata
prosecuzione delle indagini, con divieto  di  ogni  documentazione  e
utilizzazione   processuale,  anche  attraverso  testimonianza  della
stessa polizia giudiziaria".
   Di qui, una diversa formulazione degli articoli 347 e 350 che, per
maggior comprensione della delicata problematica,  si  e'  deciso  di
riportare in questa sede, precisando ancora che tale articolazione e'
ispirata alla linea interpretativa che  e'  rimasta  minoritaria  nel
dibattito che si e' svolto sul punto:
   "Art.  347 (Prime attivita' della polizia giudiziaria nel prendere
notizia del reato. Obbligo di riferire la  notizia.)  1.  La  polizia
giudiziaria,  nel prendere notizia di un reato: a) descrive i fatti e
le situazioni che lo costituiscono compilando i verbali relativi alle
attivita'  compiute  per  rappresentare  direttamente  la realta'; b)
acquisisce le dichiarazioni ad essa rese spontaneamente da  testimoni
o  dalla  persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, senza
l'assistenza della difesa, le quali potranno  essere  utilizzate  nel
processo,  ma  giammai  agli effetti del giudizio, neanche attraverso
testimonianza della stessa polizia giudiziaria. -  2.  Immediatamente
e, comunque, non oltre quarantotto ore dalla ricezione della denuncia
o del referto ovvero dal momento in cui ha  altrimenti  acquisito  la
notizia di un reato, la polizia giudiziaria riferisce per iscritto al
pubblico ministero i fatti indicando il giorno  e  l'ora  in  cui  ha
appreso  la  notizia,  le  attivita'  compiute e gli elementi sino ad
allora raccolti, trasmettendo la  relativa  documentazione.  Comunica
inoltre le generalita' e le altre informazioni utili per identificare
la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini,  nonche'  le
fonti  di  prova. - 3. Se vi e' urgenza, la comunicazione puo' essere
fatta anche oralmente e deve avvenire col mezzo piu' rapido di cui la
polizia  giudiziaria  dispone.  In tal caso, alla comunicazione orale
deve seguire quella scritta secondo le forme indicate nel comma 2".
   "Art.  350  (Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti
vengono svolge le indagini) 1. Gli ufficiali di  polizia  giudiziaria
possono  assumere,  dalla  persona  nei  cui confronti sono svolte le
indagini, che non si trovi  in  stato  di  arresto  o  di  fermo,  le
informazioni  utili per le investigazioni durante il tempo necessario
al pubblico ministero per provvedere all'interrogatorio.  La  persona
deve  essere  avvertita  che  ha  facolta' di non rispondere. - 2. Le
informazioni di cui al comma 1 non possono essere  assunte  senza  la
presenza   del  difensore,  salvo  che  si  tratti  di  dichiarazioni
rilasciate nel corso delle perquisizioni ovvero  immediatamente  dopo
il  fatto  e  sul  luogo  del  medesimo nel qual caso potranno essere
utilizzate nel processo ma giammai agli effetti del giudizio, neanche
attraverso  testimonianza  della  stessa polizia giudiziaria. - 3. Al
solo scopo di  proseguire  le  indagini,  gli  ufficiali  di  polizia
giudiziaria  possono altresi' assumere, sul luogo o nell'immediatezza
del fatto, senza l'assistenza del difensore,  notizie  e  indicazioni
utili dalla persona nei cui confronti le stesse indagini sono svolte,
dall'arrestato in flagranza e dal fermato, ma tali  informazioni  non
devono  essere  documentate  e  non  possono  essere  in  alcun  modo
utilizzate nel processo neanche attraverso testimonianza della stessa
polizia giudiziaria".
Illustrazione degli articoli.
   L'articolo  347  mira  a dare attuazione alla direttiva 31 seconda
parte della delega in relazione alla quale sono state esposte le  due
tesi che si sono contrapposte in Commissione.
   In  base  a  tale direttiva e nel quadro degli stretti rapporti di
diretta dipendenza funzionale  esistenti  tra  pubblico  ministero  e
polizia giudiziaria, si e' ritenuto (come gia' esposto in precedenza:
v. artt. 331 e 332) che nel nuovo codice non possa  trovar  posto  il
rapporto  di  cui  all'art. 2 comma 1 c.p.p., inteso come atto tipico
che chiude la c.d. "istruttoria di polizia". Nella  pratica,  invero,
il  rapporto e' divenuto lo strumento per rappresentare all'autorita'
giudiziaria gli elementi di prova autonomamente raccolti ed i  motivi
in  base  ai  quali  l'ufficiale  di  polizia  giudiziaria ritiene di
denunciare una persona. Il Progetto  vi  sostituisce  le  informative
disciplinate  nell'articolo  che  si  commenta  e  che,  per  la loro
essenzialita' e per il brevissimo termine  entro  cui  devono  essere
inoltrate,  presentano molte analogie con il "rapporto preliminare" o
con la "segnalazione di reato". Sotto altro  profilo  le  informative
costituiscono  una  specie  qualificata  della  denuncia  da parte di
pubblico ufficiale, preveduta negli artt. 331 e 332.
   L'obbligo  di  riferire  e'  stato  precisato, in primo luogo, con
riguardo al contenuto delle informazioni da trasmettere  al  pubblico
ministero.
   Devono  essere  riferiti  gli  elementi essenziali del fatto e gli
altri elementi sino ad allora raccolti e devono  essere  indicate  le
fonti  di  prova  e  le  attivita'  compiute,  con trasmissione della
relativa documentazione (comma 1). Devono essere parimenti comunicati
le generalita', il domicilio e quant'altro valga alla identificazione
dell'indiziato, della persona offesa e di coloro che siano  in  grado
di  riferire  su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti
(comma 2), sempre che siano stati acquisiti unitamente  alla  notizia
di  reato  o  altrimenti  conosciuti  prima  dell'inoltro al pubblico
ministero.
   Infine,  dovranno  essere  precisati  il  giorno e l'ora in cui e'
stata acquisita la notizia del reato: indicazione, quest'ultima,  che
trova  la sua ratio nell'esigenza di controllare che la comunicazione
sia stata inoltrata nel  rispetto  del  termine  di  quarantotto  ore
ovvero,  in  caso  di  urgenza,  che sia stata fatta, immediatamente,
anche  in  forma  orale  eventualmente  col  mezzo  piu'   rapido   a
disposizione.
   Si  tratta di una informativa molto precisa, dettagliata, completa
e documentata che deve pero' restare nell'ambito della informazione e
rappresentazione  e  servire come mero strumento di conoscenza, senza
mai diventare un rapporto come atto conclusivo  delle  indagini;  per
questo  motivo,  la  segnalazione di polizia giudiziaria - come si e'
gia' detto esponendo le tesi interpretative della direttiva 31  prima
e  seconda  parte - dovra' contenere le descrizioni dei fatti - e non
la loro valutazione - che, peraltro, deve emergere dai "verbali delle
attivita' compiute" (direttiva 31 prima parte).
   Sempre  con riguardo al contenuto delle informazioni, va segnalato
che per notizia del reato agli effetti dell'obbligo di riferire  deve
intendersi  anche  la notizia non soggettivamente qualificata e priva
di riscontri probatori (cfr.  anche  l'art.  332  che  si  fonda  sul
medesimo  significato  di notizia). Il dubbio prospettato a suo tempo
dalla Commissione consultiva in relazione al  Progetto  del  1978  e'
stato  risolto  nel  senso  che l'obbligo di riferire sorge anche nel
caso in cui sia conosciuta la notizia  ma  non  ancora  l'autore  del
reato.   Conseguentemente   si   e'   ritenuto   che   la  ricerca  e
l'individuazione dell'indiziato, da  compiersi  successivamente  alla
comunicazione,  vanno affidate alla direzione del pubblico ministero,
pur se e' applicabile, in tal caso, l'art. 348.
   Per quanto concerne i tempi e le forme in cui la notizia del reato
deve essere trasmessa, il comma 1 prevede una  comunicazione  scritta
da  inviare entro quarantotto ore, mentre il comma 3 prescrive, se vi
e' urgenza, una comunicazione "data  immediatamente  anche  in  forma
orale".
   Nell'elaborare  tale  disciplina si e' preso atto delle differenze
esistenti tra  la  delega  del  1974  e  quella  del  1987  circa  la
inversione  di  tendenza  sulle modalita' di redazione della denuncia
qualificata (da "eventualmente  per  iscritto"  del  1974  ad  "anche
oralmente" del 1987) e circa il fatto che essa va trasmessa (non piu'
"immediatamente" ma  "immediatamente  e  comunque  entro  quarantotto
ore").  La  relativa direttiva 31 seconda parte della delega e' stata
percio'  attuata,  prevedendo  che  l'obbligo   di   riferire   sorga
immediatamente   solo   nei  casi  di  urgenza  (casi  nei  quali  la
comunicazione puo' essere fatta anche oralmente) e che,  normalmente,
invece,  possa  ritenersi  soddisfatto  se  la comunicazione e' fatta
entro quarantotto ore. Per un lato  non  si  e'  voluto  lasciare  la
polizia  giudiziaria  arbitra assoluta delle decisioni (consentendole
ogni scelta sui tempi della comunicazione anche nei  casi  urgenti  e
nei  quali  puo' verificarsi la necessita' di immediata attivita' del
pubblico ministero); per un altro verso si e' voluto evitare  che  il
pubblico  ministero  fosse  subissato  dall'arrivo  contemporaneo  di
innumerevoli notizie per giunta  prive  di  alcun  dato  di  supporto
investigativo  (in  quanto  la polizia giudiziaria che da' la notizia
immediatamente nulla puo' indicare circa l'attivita' compiuta  e  gli
altri elementi rilevati).
   Nell'articolo  348,  di portata generale, e che attua la direttiva
31 terza e quarta parte della legge-delega, l'attivita' ad iniziativa
della  polizia  giudiziaria  viene  contrapposta,  nel suo complesso,
all'attivita' "delegata", che il pubblico  ministero  puo'  conferire
per  specifiche  indagini,  a  norma  del  successivo art. 368; viene
inoltre classificata in due distinte specie, sulla base  del  diverso
momento  in  cui  la  predetta  attivita' ad iniziativa della polizia
giudiziaria e' destinata a svolgersi. Per entrambe  le  ipotesi  sono
stabiliti i limiti di intervento.
   Il  primo  tipo  di  attivita' - che sara' la piu' frequente nella
pratica - si  colloca  all'inizio  delle  indagini  preliminari,  dal
momento  in  cui  la  polizia  giudiziaria  ha  acquisito per proprio
tramite la notizia del reato e puo' svolgersi legittimamente fino  al
momento  in  cui  il  pubblico ministero, sollecitato dalla ricezione
della  medesima  notizia,  sia  intervenuto  e  "abbia  impartito  le
direttive per lo svolgimento delle indagini".
   Si  tratta  del  potere-dovere "di raccogliere ogni elemento utile
alla ricostruzione del fatto ed alla  individuazione  del  colpevole"
(direttiva  31 terza parte), molto esteso ed in pratica senza limiti,
quanto meno nel periodo di tempo che precede il "fattivo"  intervento
del  pubblico  ministero.  Esso si giustifica per il fatto che, nella
primissima fase delle indagini - che spesso e'  la  piu'  delicata  e
qualche  volta puo' essere determinante - la polizia giudiziaria deve
essere responsabilizzata al fine di  rendere  piu'  efficace  la  sua
azione.
   Il secondo tipo di attivita' - di applicazione forse piu' limitata
pur  tenendo  conto  dei  maggiori  poteri  attribuiti  alla  polizia
giudiziaria  -  si  colloca  dopo  che  il  pubblico  ministero abbia
impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini e comprende,
da  una parte e nell'ambito delle direttive impartite, lo svolgimento
di "tutte  le  attivita'  di  indagine  per  accertare  i  reati"  e,
dall'altra,  il  possibile  ritorno  al  compimento  di "attivita' di
iniziativa"  con  riferimento,  pero',  ad  elementi  successivamente
emersi.  Per  quest'ultima evenienza - che ha come presupposto che la
polizia giudiziaria sia venuta a conoscenza di nuove fonti di prova -
si  e'  stabilito,  in  conformita'  alla delega (direttiva 31 quarta
parte), che essa informi senza ritardo il pubblico ministero.
   Le    formule    della   delega   "potere-dovere   della   polizia
giudiziaria... di assicurare le fonti di prova" (direttiva  31  prima
parte)   -   che  e'  richiamata  nella  rubrica  dell'articolo  -  e
"potere-dovere della polizia giudiziaria di raccogliere ogni elemento
utile   alla  ricostruzione  del  fatto  e  alla  individuazione  del
colpevole" (direttiva 31 terza parte) - che costituisce uno  sviluppo
dell'"assicurazione  delle  fonti  di  prova" ed e' stata ripresa nel
comma 1 - sono state ulteriormente precisate nel comma 2  in  cui  e'
espressamente  indicata  l'attivita'  di  ricerca,  individuazione  e
conservazione delle fonti di prova, con riferimento  sia  alle  prove
reali  (cose, tracce pertinenti al reato, stato dei luoghi, corpo del
reato), sia alle prove personali (testimonianze).
   E' infine da rilevare che nel quadro delle attivita' ad iniziativa
della polizia giudiziaria  da  compiersi  prima  dell'intervento  del
pubblico   ministero,   si   e'   inteso  distinguere  una  attivita'
"informale", diretta ad assicurare le fonti  di  prova  mediante  una
azione  di  ricerca,  individuazione e conservazione, sostanzialmente
libera nei modi del suo svolgimento, e taluni atti "tipici"  soggetti
ad  una  piu'  rigorosa disciplina. Tali atti, enunciati nel comma 2,
lett. c), trovano dettagliato svolgimento  normativo  nei  successivi
articoli da 349 a 354.
   La  prima  attivita' si riferisce all'assicurazione delle fonti di
prova reale. Con la terminologia "cose e tracce pertinenti al  reato"
si  e' inteso comprendere in una formula sintetica anche il corpo del
reato. L'attivita' di conservazione, in quanto libera nelle forme, ma
vincolata allo scopo, comprende in se' anche la facolta' di prelevare
le cose e tracce dal luogo ove furono rinvenute, sempre che cio'  non
comporti  la  dispersione  di  elementi  utili. In tal senso, e senza
necessita' di apposita previsione normativa, va risolto il problema a
suo  tempo  prospettato  sul  punto  dalla  Commissione consultiva in
relazione al Progetto del 1978.
   Per  quanto  concerne  l'assicurazione delle fonti di prova, e' di
particolare importanza la ricerca e la individuazione  delle  persone
"in  grado  di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione
dei fatti" e che il pubblico ministero  e  le  altre  parti  potranno
presentare  come testi. Si e' ritenuto che per l'attivita' di ricerca
e individuazione fosse necessario acquisire  informazioni  presso  le
medesime persone. A tale scopo la polizia giudiziaria potra' assumere
le sommarie informazioni previste dall'art. 351.
   Sono  stati  previsti, infine, alcuni atti tipici di assicurazione
della  prova.  Nella  disciplina  di  ciascuno  di  essi  sono  stati
stabiliti  limiti  specifici,  diretti a mantenere l'intervento della
polizia giudiziaria negli ambiti  suoi  propri  e  nel  rispetto  dei
diritti individuali costituzionalmente garantiti.
   L'articolo  349  prevede  la identificazione della persona nei cui
confronti vengono svolte le indagini e  della  persona  in  grado  di
riferire  su  circostanze  rilevanti  per la ricostruzione dei fatti,
quale  importante   concretizzazione   dell'attivita'   investigativa
diretta all'assicurazione delle fonti di prova a norma dell'art. 348.
Si  e'  ritenuto  che  tale  facolta',  ancorche'  non  espressamente
attribuita   alla   polizia   giudiziaria,   rientri  nella  generale
previsione della direttiva 31 con particolare riferimento alla  prima
e alla seconda parte. Per rendere praticabili le "identificazioni" in
questione, si e' inoltre stabilito, recependo  l'orientamento  a  suo
tempo  espresso dalla Commissione consultiva in relazione al Progetto
del 1978, di attribuire  alla  polizia  giudiziaria  la  facolta'  di
disporre l'accompagnamento negli uffici di polizia di chi
rifiuta  di farsi identificare. L'accompagnamento e' previsto sia con
riferimento all'"indagato", che al "potenziale testimone", mentre  la
possibilita'   di  eseguire,  ove  occorra,  rilievi  dattiloscopici,
fotografici,  antroponometrici  ed  altri  dello  stesso   tipo   per
identificare  la  persona,  e' stata stabilita, nel comma 2, soltanto
con riferimento alla persona nei  cui  confronti  vengono  svolte  le
indagini.   Anche   se  questa  limitazione  riguarda  specificamente
soltanto l'attivita' di polizia giudiziaria, di essa  dovra'  tenersi
conto in sede di coordinamento con l'art. 4 t.u.l.p.s. e con l'art. 7
del Regolamento di pubblica sicurezza a mente dei quali tutti  coloro
che  "non  sono  in grado o si rifiutano di provare la loro identita'
possono essere sottoposti a rilievi fotografici".
   Il  generico  richiamo  agli  "altri  accertamenti",  permette  di
"utilizzare" la norma anche per quelle indagini che lo sviluppo della
tecnica  o le peculiarita' del caso rendessero necessarie o opportune
ai fini della identificazione.
   Non  si  ritiene  che  la  disciplina illustrata possa far sorgere
problemi  di  legittimita'  costituzionale  in  quanto  l'imposizione
dell'obbligo di prestarsi alla propria identificazione, declinando le
generalita' o sottoponendosi a rilievi dattiloscopici, fotografici  e
ad  ogni  altro  rilievo  necessario,  non costituisce violazione dei
diritti costituzionalmente garantiti. La Corte  costituzionale  nella
sentenza n. 30 del 27 marzo 1962 ha affermato, infatti, che i rilievi
puramente esteriori,  i  quali  non  importino  ispezioni  personali,
costituiscono  prestazioni  imposte  e non vere e proprie restrizioni
fisico-morali alla liberta' e  possono  essere  consentiti  in  vista
della prevenzione e repressione dei reati, sempre che facciano capo a
categorie  determinate  di  soggetti  ed  a  particolari   condizioni
previste  dalla  legge, come appunto si verifica per gli indiziati di
reato. D'altra parte, la facolta' di accompagnare e trattenere per il
tempo  strettamente  necessario,  al solo fine dell'identificazione e
comunque non oltre le dodici ore, la persona  che  rifiuta  di  farsi
identificare    ovvero    fornisce   generalita'   o   documenti   di
identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi
per  ritenere  la falsita', e', in ogni caso, una diretta conseguenza
della   violazione   dell'obbligo   di   prestarsi    alla    propria
identificazione  e,  nel  caso  dell'"indagato",  e'  anche contenuta
implicitamente,   nella   facolta'   di   effettuare   rilievi    per
l'identificazione, riconosciuta alla polizia giudiziaria.
   Si osserva, infine, che nella ipotesi del potenziale testimone che
tenga il comportamento descritto nel comma 4, la situazione  e'  tale
da  rendere  normalmente  necessaria  l'attivazione di altre indagini
proprio nei confronti della persona di cui si tratta,  la  quale,  da
"persona  in  grado  di  riferire  su  circostanze  rilevanti  per la
ricostruzione  dei  fatti"  riguardanti  la  prima   indagine,   puo'
diventare  "persona  nei  cui  confronti  vengono svolte le indagini"
concernenti il comportamento tenuto.
   Il  comma  6,  infine, dopo aver richiamato la norma dell'art. 161
sull'invito  a  dichiarare   o   eleggere   il   domicilio   per   le
notificazioni, che deve essere rivolto alla persona nei cui confronti
vengono svolte le indagini fin dal suo primo contatto con la  polizia
giudiziaria,   rende  applicabili  in  questa  sede  le  disposizioni
dell'art.  64  che  riguardano  l'invito  a  dichiarare  le   proprie
generalita',  l'ammonizione  circa le conseguenze a cui si espone chi
rifiuti di fornirle o le dia false, l'impossibilita' di  identificare
l'indiziato con le proprie generalita'.
   Nella  formulazione  dell'articolo 350 si chiarisce che la polizia
giudiziaria puo':
     a)   assumere,   con   l'assistenza   del   difensore,  sommarie
informazioni dalla persona indagata  utilizzabili  probatoriamente  a
fini  processuali  e, agli effetti del giudizio, per le contestazioni
(comma 1);
     b)  assumere,  senza  l'assistenza  del  difensore,  notizie  ed
indicazioni dall'"indagato" al solo fine della immediata prosecuzione
delle  indagini (oggi, art. 225-bis c.p.p.): con divieto di qualsiasi
utilizzazione e  documentazione  processuale  e  con  precisi  limiti
temporali o spaziali per la assunzione (sul luogo o nell'immediatezza
del fatto) (commi 5 e 6);
     c) ricevere dichiarazioni spontanee dall'"indagato" utilizzabili
solo  processualmente  -  e  non  come  prova  ma  eventualmente  per
contestazione - a norma dell'art. 496 comma 3 (comma 7).
   Circa la documentazione degli atti sub a ) e c) (per quelli sub b)
e' prescritto il  divieto  di  documentazione)  si  rinvia  a  quanto
stabilito  nell'art.  357  dove,  come  si  vedra', il problema della
documentazione degli atti e' stato affrontato  in  vista  della  loro
utilizzazione.
   Le  informazioni  chieste all'indiziato libero di cui sub a), sono
garantite dal diritto dell'indiziato di rendere dichiarazioni  libere
e  spontanee,  dal  diritto al silenzio, e dal diritto all'assistenza
del difensore. Sono state pertanto richiamate le  modalita'  previste
dall'art.  71  contenente  le  regole  generali  per l'interrogatorio
dell'imputato.
   Il diritto all'assistenza del difensore e' previsto nel comma 3 il
quale dispone che le informazioni sono  assunte  "con  la  necessaria
assistenza del difensore" che deve, naturalmente, essere preavvertito
(dal momento che si tratta di atti che non possono essere  paragonati
a  quelli  cosiddetti "a sorpresa") ed ha l'obbligo di presenziare al
compimento dell'atto.
   L'invito  a  nominare un difensore di fiducia e le modalita' della
nomina del difensore  di  ufficio  sono  disciplinate  nel  comma  2,
contenente  un  richiamo  all'art.  96.  La  presenza  del  difensore
all'atto e' assicurata dal comma 4.
   Le  dichiarazioni o le notizie sub b ) e c) possono essere assunte
o ricevute anche se l'"indagato" si trovi in stato di  arresto  o  di
fermo (commi 5 e 7).
   Le  dichiarazioni  spontanee  possono  essere ricevute anche dagli
agenti di polizia giudiziaria  che  non  possono  viceversa  assumere
notizie e informazioni dall'"indagato".
   La  distinzione  si  spiega con il carattere non "provocato" delle
prime dichiarazioni.
   L'articolo  351  prevede le "sommarie informazioni" che la polizia
giudiziaria assume dalle persone  che  possono  riferire  circostanze
utili ai fini delle indagini.
   L'attribuzione  di  un siffatto potere alla polizia giudiziaria e'
stato riconosciuto dalla  legge-delega  nella  direttiva  31  seconda
parte   (che   menziona  espressamente  le  "dichiarazioni  rese  dai
testimoni") e nella direttiva 76 seconda parte (che include, tra  gli
atti   utilizzati  per  le  contestazioni  allegabili,  "le  sommarie
informazioni assunte dalla polizia  giudiziaria...  nel  corso  delle
perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto").
   Pertanto,  nel comma 1, sono menzionate, in modo generico tutte le
"sommarie informazioni" assunte dalla polizia giudiziaria  -  per  la
ricerca  e  l'individuazione  dei testi potenziali ed, in genere, per
assicurare le  fonti  di  prova  -  costituenti  forme  di  attivita'
particolarmente  utili,  specie  all'inizio delle indagini, quando e'
necessario seguire e verificare tutte le piste, ma  che  non  possono
essere utilizzate come prova in dibattimento; nel comma 2 sono invece
indicate,   in   modo   specifico,   quelle   particolari   "sommarie
informazioni  assunte sul luogo o nell'immediatezza del fatto nonche'
nel corso delle perquisizioni dalle persone presenti o da quelle  che
intervengono successivamente" le quali, per le loro caratteristiche e
in presenza delle condizioni richieste, possono essere utilizzate  in
dibattimento  a  norma  dell'art.  493  comma  4  quando si tratta di
dichiarazioni "assunte nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo
e nell'immediatezza del fatto".
   Anche   la   documentazione,  come  si  vedra',  segue  il  regime
dell'utilizzazione per  cui  l'obbligo  di  redigere  il  verbale  e'
previsto  soltanto  per  le  sommarie informazioni assunte "nel corso
delle perquisizioni ovvero sul luogo e l'immediatezza del fatto"  (v.
art. 357 comma 2, lett. c):
   L'articolo   352   attua   la  direttiva  31  quinta  parte  della
legge-delega nella parte  in  cui  prevede  il  "potere-dovere  della
polizia   giudiziaria   di   procedere,  in  casi  predeterminati  di
necessita'  e  di  urgenza,  a  perquisizioni  e  sequestri".   Nella
"predeterminazione  dei casi" si e' avuto riferimento alle ipotesi di
flagranza del reato ed evasione in cui l'urgenza e'  presunta  (comma
1)  ed  ai  reati  di  maggiore  gravita'  (per  i  quali e' previsto
l'arresto  obbligatorio  o  il  fermo  di  polizia  giudiziaria)   in
relazione  ai  quali  e'  stata  pero'  richiesta  la  sussistenza di
specifiche situazioni di urgenza (comma 2).
   Si  ricorda  che  le perquisizioni negli uffici dei difensori sono
disciplinate dall'art. 102.
   In  ordine  alle modalita' della perquisizione e alle garanzie del
perquisito, il comma 3 rinvia alle disposizioni contenute negli artt.
248 comma 1, sull'invito a consegnare la cosa ricercata, 249 comma 2,
sul rispetto della dignita' e del pudore del perquisito, 249 comma  1
e 250, sul diritto di farsi assistere da persona di fiducia, 251, sui
limiti  temporali  delle  perquisizioni  domiciliari,  e   252,   sul
sequestro conseguente a perquisizione.
   Il  diritto di assistenza del difensore e' regolato dall'art. 356.
La verbalizzazione dell'attivita' compiuta e' disposta nell'art. 357.
   Va  sottolineata  la necessita' di prevedere nelle disposizioni di
coordinamento  il   regime   delle   perquisizioni   previste   dalle
disposizioni speciali (art. 41 t.u.l.p.s.; art. 33 l. 7 gennaio 1929,
n. 4, etc...).
   Nell'articolo 353 l'esigenza di assicurare le fonti di prova viene
bilanciata col diritto di corrispondere o  comunicare  liberamente  e
riservatamente.
   Quando  vi  sia  la  necessita'  di  acquisire  plichi sigillati o
altrimenti chiusi, l'ufficiale di polizia deve  trasmetterli  intatti
al  pubblico  ministero, salva l'autorizzazione, anche telefonica, ad
aprirli sul posto. Si e' cosi' inteso tutelare sia le  corrispondenze
non  ancora  inoltrate,  o gia' pervenute e non ancora aperte, sia il
diritto dei privati di creare un ambito  di  riservatezza  attorno  a
documenti  importanti  mediante  la  loro  collocazione  entro plichi
sigillati. Nell'aggiornare la norma, la locuzione "plichi  sigillati"
e'  stata  sostituita  a  quella  "carte  sigillate"  allo  scopo  di
ricomprendere documenti formati con  materiale  diverso  dalla  carta
(nastri  magnetici,  pellicole  cinematografiche, etc.) ed egualmente
meritevoli di tutela. Se si tratta  di  corrispondenza,  e'  previsto
nell'ultimo  comma  che  l'ufficiale  di  polizia  giudiziaria  possa
ordinare soltanto  la  sospensione  dell'inoltro  fino  a  quando  il
pubblico  ministero  non  abbia assunto i provvedimenti del caso. Per
contro si e' disposto che, se entro le quarantotto  ore  dall'ordine,
il  pubblico  ministero  non disponga il sequestro, la corrispondenza
debba essere in ogni caso inoltrata.
   Nel comma 3, il concetto di "corrispondenza" e' stato precisato ed
integrato richiamando le lettere, i pacchi, i valori, i telegrammi  e
gli   "altri   oggetti   di   corrispondenza"  al  fine  di  adeguare
compiutamente il contenuto della disposizione all'art. 254 ed al fine
di  evitare equivoci interpretativi specie tenendo conto del concetto
di corrispondenza quale emergente da disposizioni speciali in tema di
servizio   postale.  La  preoccupazione  a  suo  tempo  espressa  che
attraverso questa norma possano essere sacrificati oltre  misura  gli
interessi  privati,  lesi dal mancato inoltro della corrispondenza se
non si consenta il  rilascio  immediato  di  copie  del  documento  e
l'inoltro   delle   missive  urgenti,  e'  stata  ritenuta  eccessiva
considerando che il fermo della corrispondenza non puo'  superare  le
quarantotto  ore e che, se il pubblico ministero ordina il sequestro,
gli interessi privati possono trovare soddisfazione nelle  norme  che
consentono  di rilasciare copia dei documenti sequestrati (art. 258).
   Non  e'  stata  riprodotta una disposizione del tipo di quella che
figurava nel comma 4 dell'art. 365 del Progetto del 1978  e  relativa
al  divieto  di impedire, interrompere o intercettare comunicazioni o
conversazioni senza la previa autorizzazione del giudice.
   Si  e'  ritenuto,  infatti,  che una norma del genere e' del tutto
superflua  alla  luce  della  disciplina   elaborata   in   tema   di
intercettazioni  telefoniche  considerando,  altresi', che il divieto
discende anche dall'art. 348, che enuncia  gli  atti  tipici  che  la
polizia giudiziaria puo' compiere.
   Si  ricorda, infine, che anche per questi atti, l'art. 357 prevede
la  verbalizzazione  e  che,  per  l'immediata  apertura  del  plico,
autorizzata  dal  pubblico ministero, l'art. 356 prevede l'assistenza
del difensore.
   Nell'articolo  354,  riguardante  gli  accertamenti  urgenti sullo
stato dei luoghi e delle cose, si e' adottata  una  formulazione  che
richiama  il  comma  2 dell'art. 222 c.p.p., con gli adattamenti ed i
coordinamenti  ritenuti  opportuni  o  resi  necessari  dalle   altre
disposizioni  del Progetto (legittimati al sequestro - v. anche artt.
352 e 353 - sono  solo  gli  ufficiali  di  polizia  giudiziaria;  il
sequestro  puo'  riguardare  anche  le  cose  pertinenti al reato; la
polizia giudiziaria procede anche ai necessari rilievi: la previsione
e'  attualmente  nell'art.  225  c.p.p.; il riferimento al diritto di
assistere da parte del difensore e' nell'art. 356).
   In conseguenza della sostanziale irripetibilita' e della peculiare
funzione accertativa, la documentazione di questo atto  acquista  una
particolare  importanza. Si e' percio' disposto nell'art. 357, che la
polizia giudiziaria rediga il verbale delle  operazioni  compiute.  E
poiche' e' previsto che a tali operazioni partecipino persone fornite
di  specifica  competenza  tecnica  nell'eseguire  i  rilievi  e  gli
accertamenti (la previsione e' ora nell'art. 359 comma 3, ed e' parso
superfluo ripeterla anche qui), il verbale  potra'  essere  corredato
con fotografie, planimetrie e con ogni altro mezzo di riproduzione.
   L'articolo  355 riproduce l'attuale art. 224 bis c.p.p. introdotto
con l'art. 21 l. 12 agosto 1982, n. 532. Il  decreto  e'  emesso  dal
pubblico  ministero  perche' a questi spetta funzionalmente il potere
di disporre il sequestro. Pertanto  per  tale  decreto  di  convalida
valgono  le  norme  sul riesame del decreto di sequestro (v. art. 343
bis c.p.p. e artt. 257 e 324 del Progetto).
   L'articolo  356  prevede  che  il  difensore della persona nei cui
confronti vengono svolte le indagini ha facolta' di assistere,  senza
diritto  di essere preventivamente avvisato, a taluni atti di polizia
giudiziaria: sono,  come  si  e'  accennato,  le  perquisizioni,  gli
accertamenti   urgenti   sullo  stato  dei  luoghi  e  delle  cose  e
l'immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico  ministero  a
norma dell'art. 353 comma 2.
   La   norma  attua  la  direttiva  31  settima  parte  ("previsione
specifica di garanzie difensive tra le quali devono  essere  comprese
quelle relative agli atti non ripetibili".).
   Tale  assistenza  e'  di  natura eccezionale in quanto avviene nel
corso  di  un'attivita'  preprocessuale,  svolta  da   soggetti   che
dovrebbero  trovarsi  in posizione dialettica rispetto all'indiziato.
Essa trova giustificazione - per  le  perquisizioni,  l'apertura  del
plico per gli accertamenti urgenti - nel fatto che le fonti di prova,
cosi' assicurate, saranno acquisite  al  dibattimento  attraverso  la
lettura  del  verbale  se si tratta di atti non ripetibili (artt. 504
comma 1 e 427) e la consultazione  del  verbale  e  la  testimonianza
dell'ufficiale  o  agente di polizia giudiziaria se si tratta di atti
ripetibili (art. 507).
   Circa  il grado della partecipazione del difensore si e' stabilito
che per le perquisizioni, l'apertura del  plico  e  gli  accertamenti
urgenti  il diritto di assistere non si accompagna a quello di essere
preavvertito, sia per le ragioni di urgenza che giustificano il  loro
compimento, sia per la loro qualita' di "atti a sorpresa".
   Per  quanto  attiene  alle sommarie informazioni della persona nei
cui confronti vengono svolte le indagini si  richiama  la  disciplina
prevista nell'art. 350.
   Per  la  restante  attivita'  di  polizia  giudiziaria, che non si
concreta nel compimento di atti tipici, si e' previsto che essa possa
svolgersi senza formalita'.
   Il    tema   della   documentazione   degli   atti,   disciplinato
nell'articolo 357, e' stato affrontato nella consapevolezza della sua
rilevanza in vista della "utilizzazione" degli atti medesimi.
   Il  comma  1  dell'art.  357 stabilisce che la polizia giudiziaria
annota, secondo le modalita' ritenute idonee ai fini delle  indagini,
anche  sommariamente,  tutte  le sue attivita'. Nella disposizione e'
contenuta la previsione implicita di una annotazione non sommaria  da
disciplinare   nelle   disposizioni  di  attuazione.  "Le  specifiche
modalita'" menzionate nella direttiva 33  della  delega  sono  scelte
dalla  polizia giudiziaria in funzione delle esigenze delle indagini.
Attraverso la collocazione del comma si mira a  sottolineare  che  la
annotazione   "informale"  rappresenta  la  forma  di  documentazione
ordinaria  della  attivita'   svolta   d'iniziativa   dalla   polizia
giudiziaria.
   E'  previsto infatti che la polizia giudiziaria rediga verbale nei
soli casi del comma 2 e cioe':
     delle   denunce,   delle  querele  e  delle  istanze  presentate
oralmente (comma 2, lett. a);
     degli atti certamente non ripetibili, quali le perquisizioni e i
sequestri sub d) e, tenuto  conto  anche  della  direttiva  31  prima
parte, degli atti descrittivi di fatti e situazioni sub f);
     degli atti normalmente non ripetibili, quali le operazioni e gli
accertamenti sub e);
     delle sommarie informazioni rese e delle dichiarazioni spontanee
ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte  le  indagini
(comma  2,  lett.  b) e delle informazioni assunte, a norma dell'art.
351,   nel   corso   delle   perquisizioni   oppure   sul   luogo   e
nell'immediatezza del fatto (comma 2, lett. c).
                               TITOLO V
                   ATTIVITA' DEL PUBBLICO MINISTERO
Premessa.
   Prima  di  illustrare  i singoli articoli, e' opportuno premettere
alcune osservazioni  generali  alla  luce  delle  quali  deve  essere
valutata la disciplina nel suo insieme.
   Anzitutto  va  rilevato  che  soltanto una parte dell'attivita' di
indagine del pubblico ministero trova la sua collocazione  in  questo
titolo.  Diverse  disposizioni  riguardanti  l'attivita' del pubblico
ministero  sono  state  inserite  nella  disciplina  generale   delle
indagini  preliminari.  La  disciplina concernente gli epiloghi delle
indagini preliminari e, in particolare,  i  vari  tipi  di  richieste
formulabili  dal  pubblico  ministero  (e,  altresi', i termini delle
indagini preliminari) e' collocata in altra sede.
   Taluni  degli atti tipici che il pubblico ministero puo' compiere,
avendo "forma libera" ovvero non diversa da quella prevista nel libro
III   per   "i   mezzi  di  ricerca  della  prova",  non  sono  stati
specificamente  disciplinati  (ad  es.  raccolta  di  informazioni  e
confronti)  o  sono  stati  disciplinati nel titolo III del libro III
(ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni).
   L'"interrogatorio   nel  merito"  -  che  inizialmente  era  stato
disciplinato nell'ambito  dell'attivita'  del  pubblico  ministero  -
essendo stato consentito anche nell'udienza preliminare come atto del
giudice (v. art. 419) - e' stato collocato tra le norme  in  tema  di
"imputato" art. 72).
   Con  riguardo  all'interrogatorio,  si ritiene opportuno ricordare
che, nell'ambito della Commissione e'  stata  molto  contrastata,  da
parte  di  alcuni  componenti,  la  decisione di considerare anche il
giudice come soggetto legittimato, sia pure soltanto in alcuni  casi,
al  compimento  dell'atto  "interrogatorio". In particolare, dopo che
era stata sottolineata la rilevanza della  questione  (implicante  il
pericolo  di reinterpretazioni del ruolo e delle funzioni del giudice
e del pubblico ministero nelle indagini preliminari, oltre che  della
natura   e  degli  scopi  dell'interrogatorio  dell'imputato)  si  e'
sostenuto  che   l'"interrogatorio"   dell'imputato   doveva   essere
disciplinato   nel   titolo   riguardante  l'attivita'  del  pubblico
ministero  perche'  atto  di  competenza  esclusiva  di  quest'ultimo
organo. In proposito e' stato richiamato il contenuto delle direttive
37 (prima, seconda ed ultima parte), 38 (prima e seconda  parte),  34
(seconda e quarta parte), 43 (lett. c), 44 (prima parte); 40 e 73 (le
quali indicano che davanti al giudice dell'incidente probatorio ed al
giudice    del    dibattimento   si   procede   all'"esame"   e   non
all'"interrogatorio" dell'imputato) nonche' 48, (seconda  parte),  50
(ultima  parte), 52, (quinta e sesta parte) dalle quali emerge che il
giudice   delle   indagini   preliminari   non   procede    mai    ad
"interrogatorio"   dell'imputato,   ma,   si   limita   a   "sentire"
"l'arrestato o il fermato" (34) "le altre parti"  (48),  "le  persone
alle  quali  e' stato attribuito il reato" (50) e "le parti comparse"
(52).
   Si    e'    pero'   ritenuto   prevalente   il   riferimento   che
all'interrogatorio come "strumento di  difesa",  fa  la  direttiva  5
della  delega.  Di  qui  la  concessione  al giudice che ha emesso il
provvedimento  di  custodia  cautelare   (art.   294),   al   giudice
dell'udienza  preliminare  (art.  419)  ed  al  giudice  del giudizio
abbreviato (art. 436), del potere-dovere di esaminare l'imputato, con
le  modalita'  dell'interrogatorio, pur sottolineandosi che tale atto
e' sostanzialmente diverso dall'interrogatorio del pubblico ministero
perche'  non ha finalita' investigative ma di controllo e di garanzia
(v. anche sub art. 294 comma 6).
   Illustrando  le disposizioni sul pubblico ministero quale soggetto
processuale (v.  libro  I,  titolo  II)  si  e'  evidenziato  che  la
legge-delega,  abolendo  la fase autonoma dell'istruzione affidata al
giudice e facendo del pubblico  ministero  il  dominus  dell'indagine
preliminare,  ha,  rispetto alla legge-delega del 1974, potenziato le
funzioni del pubblico ministero e ridefinito il suo  ruolo.  Come  e'
stato  osservato  nella relazione al disegno di legge Martinazzoli n.
691/c, "per la definizione  del  ruolo  e  dei  poteri  del  pubblico
ministero  nella  fase dell'inchiesta preliminare, la norma-chiave e'
quella della direttiva 35 (oggi 37), che opportunamente definisce  in
primo  luogo  il  campo  dell'attivita' della magistratura requirente
affiancando alla funzione inerente all'esercizio  dell'azione  penale
quella  dell'accertamento  del fatto, inclusi gli elementi favorevoli
all'indiziato o all'imputato. Senza intaccare i principi del  sistema
accusatorio,  si  e'  cosi'  inteso  riaffermare  in  via generale la
particolare  natura  pubblica  delle  funzioni  svolte  dal  pubblico
ministero. L'elencazione - non necessariamente esaustiva - degli atti
che in questa fase  il  pubblico  ministero  puo'  compiere  conferma
l'estensione   dei   suoi  poteri  investigativi,  risultando  questi
limitati dalla necessita' di richiedere la preventiva  autorizzazione
del   giudice   solo   per   cio'  che  riguarda  le  intercettazioni
telefoniche".
   La  direttiva  37  definisce  nella  prima  parte  le funzioni del
pubblico ministero  e,  nella  seconda,  gli  atti  che  il  pubblico
ministero  puo'  compiere per esercitare le sue funzioni di indagine:
precisando, in particolare,  che  al  pubblico  ministero  spetta  il
"potere-dovere...  di  compiere  indagini  in funzione dell'esercizio
dell'azione  penale  e  dell'accertamento  di  fatti  specifici,  ivi
compresi gli elementi favorevoli all'imputato e il potere..., ai fini
suddetti, di interrogare l'imputato, di raccogliere informazioni,  di
procedere  a  confronti,  a  individuazioni  di persone e di cose, ad
accertamenti  tecnici,  ad  ispezioni,  di  disporre   perquisizioni,
sequestri  e,  previa  autorizzazione del giudice, intercettazioni di
conversazioni e di altre forme di comunicazione".
   In  relazione  a  tali  direttive  si  pongono  alcuni problemi di
carattere generale.
   Il  primo  riguarda  il  richiamo,  contenuto  nella direttiva 37,
"all'accertamento dei fatti  specifici,  ivi  compresi  gli  elementi
favorevoli all'imputato".
   In  merito  va  subito  chiarito  che  da  quest'ultima innovativa
indicazione, non puo' tuttavia discendere  una  diversa  collocazione
"istituzionale" del pubblico ministero. La sua attivita' resta quella
di investigazione inidonea a formare la prova; il suo  ruolo,  quello
di  "organo dell'azione penale". Con quella indicazione, infatti, non
si e' inteso ripristinare l'istruzione sommaria (accusatore-giudice),
ma   solo   sottolineare   la  complessita'  della  funzione  svolta,
chiarendone il carattere  giuridicamente  doveroso  e  la  necessaria
riferibilita'  a  "fatti  specifici"  (specificazione,  quest'ultima,
voluta dal Senato in luogo della formulazione  della  Camera  che  si
rifaceva al generico "accertamento del fatto").
   Il  secondo  problema, strettamente connesso al primo, concerne la
necessita' od opportunita' di formulare, eventualmente  aggiungendola
all'articolo  di  apertura del titolo, una disposizione, riproducente
la direttiva 37 seconda parte, con l'elencazione  degli  atti  tipici
del  pubblico  ministero.  Al  riguardo, pur ritenendosi che gli atti
tipici debbano essere espressamente disciplinati perche'  la  delega,
elencandoli,  e' "attributiva di poteri", tuttavia non si e' ritenuto
di doverli previamente elencare e poi disciplinare espressamente  per
evitare   che   il   riferimento   agli   atti   tipici,   in  rigida
concatenazione, facesse pensare ad una  riedizione  della  istruzione
sommaria  e  facesse,  viceversa,  dimenticare  che  l'attivita'  del
pubblico ministero e' pre-processuale e quindi ispirata  alla  "forma
libera e alla atipicita' degli atti".
    Nel disciplinare l'attivita' del pubblico ministero si e' cercato
di attuare scrupolosamente l'orientamento  seguito  dalla  delega  di
differenziare  nettamente il ruolo del pubblico ministero ed il ruolo
del giudice che interviene durante la fase anteriore al  dibattimento
attraverso  una  diversita', sia nominale, sia di effetti, degli atti
compiuti dai due organi giudiziari.
   Dal  punto  di vista nominale, tenendo conto delle differenze gia'
evidenziate  dalla  delega  tra  gli  atti  del  pubblico   ministero
specificati  nella  direttiva 37 seconda parte e gli atti del giudice
menzionati nella direttiva 40 (riguardante  l'incidente  probatorio),
nel  disciplinare  o richiamare gli atti del pubblico ministero si e'
fatto  riferimento,  come  meglio  si  vedra'  esaminando  i  singoli
articoli,  agli  "accertamenti  tecnici" (e non alle "perizie"), alla
"individuazione di persone e di cose" (e non alle  ricognizioni),  al
"confronto"  (e  non  ad  "atti  di confronto"), all'"interrogatorio"
dell'imputato inteso come atto compiuto anche a fini investigativi (e
non   all'"esame"   dell'imputato),   alle   "sommarie  informazioni"
(anziche' alle "testimonianze").
   Il  valore  di  questo  impegno  lessicale  si rinviene laddove la
questione venga considerata dal punto di vista  dei  diversi  effetti
degli atti per far intendere che, in un sistema nel quale la prova si
forma in dibattimento - o, comunque, davanti al giudice  in  sede  di
incidente  probatorio visto come anticipazione del dibattimento - gli
atti del pubblico ministero, tutti processualmente utilizzabili nella
fase  delle  indagini  preliminari  per  l'esercizio  delle  funzioni
previste nella direttiva 37, hanno, in linea generale,  una  funzione
esclusivamente  endo-processuale, legata ai vari passaggi del cammino
verso il giudizio. Essi servono dunque per le decisioni da  prendersi
sulla liberta' personale dell'imputato (art. 291), sulla richiesta di
archiviazione  (artt.  405  e  406),  sulla  richiesta  di   giudizio
immediato  (art.  449)  e sulla richiesta di procedimento per decreto
(art. 453) e possono essere utilizzati processualmente nella  udienza
preliminare  (artt.  413  e  418)  e  nell'applicazione della pena su
richiesta  delle  parti  (artt.  439  e  442).   Invece,   non   sono
ulteriormente  utilizzabili  come prova, nella fase dibattimentale, -
dato che questi atti non pervengono al giudice del dibattimento salvo
che  si tratti di atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero
o dalla polizia giudiziaria (v. art. 427, lett. b ) e c) ed art.  504
comma  1)  o  degli  atti  assunti  dal  pubblico ministero quando di
questi, per fatti o circostanze  imprevedibili  durante  le  indagini
preliminari, e' divenuta impossibile la ripetizione (art. 505).
   Va ricordato, infine, che gli atti compiuti dal pubblico ministero
o  dalla  polizia   giudiziaria   sono   comunque   utilizzabili   in
dibattimento  per  le  contestazioni nei limiti stabiliti dagli artt.
493, 494, 496 e che dei verbali delle dichiarazioni rese da  imputati
nel  corso  delle  indagini  preliminari  al pubblico ministero, puo'
essere data lettura in dibattimento, ove ne esistano i presupposti, a
norma dell'art. 506.
  Rinviando   alle   rispettive   sedes   materiae  per  la  completa
illustrazione  della  articolata   e   complessa   disciplina   della
utilizzazione  degli  atti  del  pubblico  ministero,  qui  interessa
segnalare che:
     a)  la  disciplina  dell'esercizio del diritto di difesa ha dato
attuazione alla direttiva 38 della legge-delega tenendo conto che gli
atti  compiuti  nelle  indagini  preliminari,  attesa la loro normale
inutilizzabilita' come prova  in  dibattimento,  non  comportano,  di
regola,   l'intervento   del   difensore  con  funzione  propriamente
difensiva, ma con funzioni di tutela della persona: tuttavia,  quando
si  tratta  di  atti utilizzabili nel dibattimento, la partecipazione
del difensore assume la piena funzione difensiva:
     b)   la   disciplina  della  documentazione  dell'attivita'  del
pubblico ministero ha attuato la direttiva  37  nella  parte  in  cui
prevede  l'"obbligo del pubblico ministero di documentare l'attivita'
compiuta secondo specifiche e differenziate modalita'"; essa e' stata
redatta,  da  un  lato,  considerando l'importanza che, nella delega,
assume la diversificazione delle forme di  documentazione  anche  con
riferimento  al  regime  di  utilizzabilita' dell'atto e, dall'altro,
scegliendo la forma da seguire in correlazione alla natura intrinseca
dell'atto,  alle  caratteristiche  delle indagini preliminari ed alle
determinazioni che al riguardo assumera' il pubblico  ministero,  per
conferire   alle   stesse   indagini   preliminari  la  flessibilita'
necessaria  ad  adeguarle  ai  diversi  tipi  di  processo  ed   alle
caratteristiche del singolo processo in concreto:
     c)  durante  i  lavori  della  Commissione  e' stata prospettata
l'esigenza di elencare tassativamente, nell'ambito dell'attivita' del
pubblico ministero, gli atti che appaiono subito non ripetibili e che
come tali vengono compiuti dallo stesso pubblico ministero in modo da
poter  stabilire  preventivamente,  per tali atti non ripetibili, una
disciplina comune con specifico riguardo alle garanzie  difensive  ed
alle  forme  di  documentazione:  al  riguardo  si e' ritenuto di non
introdurre elencazioni tassative di atti non ripetibili, sia  per  la
gia' ricordata impostazione accolta tendente ad evitare l'elencazione
di atti tipici del pubblico ministero, sia per il  rilievo  che  deve
essere  riconosciuta al giudice del dibattimento la valutazione circa
l'effettiva non ripetibilita' degli atti in concreto.
   Tanto  piu'  che  la  distinzione  fra  atti ripetibili e atti non
ripetibili sembra legata anche al divenire della esperienza teorica e
pratica.
Illustrazione degli articoli.
   Anche  gli  atti  specifici  del  pubblico  ministero  sono  stati
qualificati come "attivita' del pubblico ministero", ed il termine e'
stato  ripreso  nell'articolo 358 che apre questo titolo. E' sembrato
pero' opportuno mantenere nella rubrica l'espressione  "attivita'  di
indagine",  che - oltre a riprendere l'indicazione della direttiva 37
della delega  ("potere-dovere  del  pubblico  ministero  di  compiere
indagini")   -   vuole   dissipare   sin   dall'inizio,  anche  nella
formulazione lessicale,  ogni  residuo  equivoco  sul  carattere  non
istruttorio  dei relativi svolgimenti ed accentuare, nel contempo, la
limitata finalizzazione degli atti medesimi.
   Su  quest'ultimo  profilo  si e' ritenuto di dover insistere anche
nella  dizione  della  norma  ("ogni  attivita'  necessaria  ai  fini
indicati    nell'articolo   326"),   per   disincentivare   eventuali
atteggiamenti concreti che, per un naturale fenomeno di vischiosita',
dovessero  rinnovare  l'attuale istruzione sommaria e per ribadire il
limite di funzione e di utilizzabilita' di tali attivita'.
   Anche  l'aggettivazione  in  termini  di  "necessarieta'"  intende
ribadire questo profilo. Dovrebbe quindi risultare ben chiaro che  le
indagini  rivestono il carattere di una fase eventuale, nel senso che
il  compimento  dell'attivita'  investigativa  non   costituisce   il
passaggio  obbligato  verso il procedimento, perche' puo' verificarsi
l'ipotesi di un immediato promovimento dell'azione penale sulla  base
della  notizia  di reato o dei risultati dell'attivita' diretta della
polizia giudiziaria.
   Per  sottolineare  questo carattere non si e', tuttavia, impiegata
la locuzione "puo'" nella  descrizione  dell'attivita'  del  pubblico
ministero;  la  direttiva  37  della  delega  prevede,  infatti,  una
situazione soggettiva di potere-dovere, che rappresenta  qualcosa  di
piu'  della  pura  e  semplice  facolta'.  Sempre  per  togliere alle
indagini preliminari il carattere di fase rigidamente disciplinata in
una   concatenazione  di  atti  tipici,  si  e'  preferito  mantenere
nell'art. 358 una indicazione generica, rinviando, quando  possibile,
la  menzione  di  specifici  atti  di  indagine  alle  norme relative
all'intervento del difensore (artt. 363 e  364),  al  deposito  degli
atti (art. 365) ed alla documentazione degli atti (art. 371).
   La   formulazione   della   direttiva   37   parte  seconda  della
legge-delega ed il  suo  espresso  riferimento  "all'accertamento  di
fatti  specifici  ivi  compresi gli elementi favorevoli all'imputato"
hanno imposto di introdurre un secondo inciso che tenesse  conto  del
potere-dovere del pubblico ministero di estendere le proprie indagini
a tutto cio' che puo' formare oggetto di  prova  per  l'accusa  o  la
difesa  (v. art. 187). La formulazione privilegiata tenta di superare
la mera ripetizione del testo della delega pur salvaguardandone tutto
il  significato  tendente,  come  si  e'  accennato  all'inizio,  nel
rispetto piu' assoluto dei principi del  sistema  accusatorio  e  del
ruolo  di  "parte"  del  pubblico ministero, ad evidenziare la natura
ordinamentale,  giudiziaria  e  pubblica,   dell'istituto   e   della
funzione.
   Non  si  e'  ritenuto, invece, di inserire il secondo inciso della
disposizione quale comma 2 dell'art. 326  (finalita'  delle  indagini
preliminari)  osservando che le due norme devono essere diversificate
perche' quella dell'art. 326 e' solo descrittiva e riguarda anche  la
polizia   giudiziaria  cui  non  spettano  gli  obblighi  "ulteriori"
previsti per  il  pubblico  ministero,  mentre  quella  in  esame  e'
attributiva di poteri e riguarda soltanto il pubblico ministero.
   L'articolo  359  riguarda  i consulenti tecnici di cui il pubblico
ministero puo' avvalersi quando procede agli accertamenti, ai rilievi
e  ad  ogni  altra  operazione  che  richieda  specifiche  competenze
tecniche, scientifiche o artistiche.
   Si  tratta  di  una  disposizione  a  carattere generale che mutua
talune  espressioni  dall'art.  223  c.p.p.  vigente  e  altre  dagli
articoli  del  Progetto in tema di perizia (artt. 220, 221 e 228). Si
e' voluto consentire che il pubblico ministero possa avvalersi specie
in questa fase e per qualsiasi tipo di operazione tecnica" di persona
idonea (v. ultimo inciso dell'art. 369 del Progetto del 1978): quella
stessa  di  cui  potra' avvalersi anche nel corso del processo (artt.
225, 230, 233).
   Sono  stati  omessi richiami a "forme tipiche" per il conferimento
dell'incarico  ovvero  a  modalita'  tipiche  per  l'espletamento  di
questo, ma attraverso il riferimento alle "specifiche competenze", si
e' voluto precisare che il pubblico  ministero  dovra'  avvalersi  di
consulenti   particolarmente   affidabili.   (Nelle  disposizioni  di
attuazione dovra' essere previsto  a  quali  soggetti  specificamente
competenti vanno affidate le consulenze medico-legali).
   Il  comma  3  rende applicabile la disposizione anche alla polizia
giudiziaria, sia per l'attivita' ad iniziativa, sia  per  l'attivita'
delegata.
   Il   tema   della   liquidazione   al   consulente  dovra'  essere
disciplinato nelle disposizioni  di  attuazione  e  di  coordinamento
anche con un richiamo alla norma sulla perizia (art. 232).
   L'articolo   360   (concernente   gli   accertamenti  tecnici  non
ripetibili) in via di principio  mira  ad  evitare  il  ricorso  agli
incidenti  probatori  in  quei  casi  semplici ma numerosi che, nella
pratica, possono verificarsi (si pensi alle autopsie oggi disposte in
occasione  di decessi da incidenti stradali od a perizie balistiche e
chimiche di  particolare  semplicita'  ma  che  possono  produrre  la
distruzione dei reperti).
   In questi casi e' stata prevista per il difensore - che ha diritto
di assistere e di essere avvisato - una sorta di  "acquiescenza",  se
non  formula riserva di promuovere richiesta di incidente probatorio,
ed una sorta di "diritto di veto", se  invece  formula  tale  riserva
(commi  1,  2,  3  e  4).  Il  "veto" del difensore non puo' peraltro
operare se gli atti non sono comunque rinviabili (v. ultima parte del
comma 4 e clausola di salvezza all'inizio del comma 5).
   Il comma 5 prevede la sanzione processuale della inutilizzabilita'
dell'accertamento  se  compiuto  in  violazione  del   disposto   del
precedente  comma  4. Con la previsione del divieto di raccogliere "i
relativi esiti" nel fascicolo per il dibattimento si e' voluto  pero'
precisare  che  la  utilizzazione e' comunque possibile nei limiti in
cui e' consentita per gli atti contenuti nel fascicolo  di  parte  e,
pertanto,  ai  fini della contestazione (al pari, cioe', di tutti gli
atti compiuti dal p.m.).
   La disposizione sembra applicabile anche alle analisi dei campioni
prelevati (v. sent. Corte cost. 28 luglio 1983, n. 248).
   Diverso  e' il caso del prelievo dei campioni medesimi al quale e'
invece applicabile, oltre che la normativa speciale (ad es.  art.  15
l.  10  maggio  1976,  n.  319  sull'inquinamento  delle  acque),  il
complesso delle disposizioni che regolamenta la  perquisizione  e  il
sequestro  e,  in  tema di autonoma attivita' di polizia giudiziaria,
l'art. 354.
   Si  e' preferito non fare generico riferimento alla applicabilita'
delle  norme  sull'incidente  probatorio  in   considerazione   della
opportunita'  di  non tipizzare l'accertamento in questione. E' stata
comunque consentita  alla  persona  offesa  e  al  suo  difensore  la
"partecipazione"  all'atto  proprio  per  non determinare trattamenti
deteriori rispetto a quelli previsti in caso di incidente probatorio.
   L'articolo  361  disciplina la individuazione di persone e di cose
come atto tipico del pubblico ministero previsto espressamente  dalla
direttiva 37.
   Le   diversita'  lessicali  della  direttiva  37  (riguardante  le
"individuazioni di persone e di cose")  rispetto  alla  direttiva  40
(riguardanti le corrispondenti "ricognizioni" compiute dal giudice in
sede di incidente  probatorio)  dovranno  influire  sulla  disciplina
delle  individuazioni  che  si  sottraggono  al ricorso all'incidente
probatorio, tipico di questo tipo di atti.
   E'  prevedibile che il pubblico ministero si avvalga dell'art. 361
solo nella prima fase delle indagini ad evitare che la necessita'  di
compimento  dell'atto possa incidere sul convincimento del giudice in
occasione della valutazione degli esiti della  eventuale,  successiva
ricognizione.
   La  genericita'  della  norma  e', pertanto, intenzionale perche',
anche qui,  si  e'  voluto  evitare  qualsiasi  "tipizzazione"  delle
individuazioni  ed  evidenziare che esse possono essere compiute solo
quando e' necessario per la  immediata  prosecuzione  delle  indagini
(comma  1)  richiamando  in  proposito  un riferimento gia' contenuto
nell'art. 350 in tema di notizie e indicazioni fornite  alla  polizia
giudiziaria dall'indiziato.
   La  menzione,  nel  comma  1,  degli  "altri oggetti di percezione
sensoriale" si spiega con la autonoma  previsione  di  uno  specifico
tipo di corrispondente "ricognizione" (art. 216).
   Va  inoltre  precisato che nessuna distinzione e' stata operata in
relazione alla individuazione fotografica per la quale il problema si
pone,   in   modo  particolare,  tra  individuazione  occasionale  ed
individuazione provocata: sicche', anche quest'ultima  e'  consentita
al pubblico ministero.
   Il  riferimento, nel comma 3, alle cautele previste dall'art. 214,
concernente lo svolgimento della ricognizione da parte  del  giudice,
viene  incontro  ad  una  esigenza  pratica  che  esiste anche per le
individuazioni, malgrado la diversa  natura  giuridica  dell'atto  di
indagine rispetto al mezzo di prova.
   Quest'ultima   considerazione   vale   anche  per  l'articolo  362
("interrogatorio" di persona imputata di reato connesso) che  estende
l'applicabilita',   alla   fase  delle  indagini  preliminari,  delle
disposizioni dell'art. 210 concernenti l'"esame" di persona  imputata
dello  stesso  reato  o  di reato connesso contro la quale si procede
separatamente.
   Con gli articoli 363 e 364 viene data attuazione alla direttiva 38
parti prima, seconda e terza.
   Dette  direttive,  anche  se  hanno  imposto  di  far  rivivere la
tipicita' degli atti del pubblico ministero cui la difesa ha  diritto
di  assistere,  tuttavia  non  hanno  in  alcun  modo  reso tali atti
equivalenti, sotto il  profilo  probatorio,  a  quelli  compiuti  dal
giudice.  Sicche'  la  garanzia  della difesa che accompagna gli atti
tipici in questione (e rimane invece esclusa dalla  disciplina  degli
atti  generici)  non  vuole significare che l'intervento della difesa
incide sul valore dell'atto compiuto dal pubblico ministero,  perche'
la  legge-delega  ha  chiaramente fissato il principio secondo cui la
prova si forma in dibattimento (o davanti al  giudice  dell'incidente
probatorio).
   Contro  tale  conclusione  non  vale obiettare che la direttiva 76
della delega attribuisce  al  giudice  il  potere  "di  allegare  nel
fascicolo  processuale, tra gli atti utilizzati per le contestazioni,
solo quelli assunti  dal  pubblico  ministero  cui  il  difensore  ha
diritto  di  assistere".  Infatti  la  limitata  efficacia probatoria
attribuita ad alcuni di tali atti, se acquisiti al fascicolo  per  il
dibattimento dopo la loro utilizzazione per le contestazioni (v. art.
496 comma 5), non vale  a  rendere  gli  atti  stessi,  compiuti  dal
pubblico  ministero,  idonei  a  formare  la prova. Anche se per essi
l'assistenza del difensore non si risolve soltanto in  un  intervento
limitato  alla  tutela  della  liberta'  morale  della persona, ma si
estende anche ad una funzione difensiva vera e propria  (quanto  meno
con  riferimento  all'acquisizione  da  parte del difensore di quella
conoscenza degli sviluppi  delle  indagini  che  gli  consentira'  di
svolgere  appieno  l'assistenza  tecnica  in sede processuale davanti
all'organo   giurisdizionale),   cio'   non   toglie    che,    salva
l'utilizzabilita'  consentita  dalla  direttiva  76  della delega, la
destinazione naturale di tutto il  materiale  frutto  delle  indagini
preliminari   e'   nella   finalizzazione   delle   indagini  stesse,
volutamente scolpita nella direttiva 37 ed attuata con gli artt.  326
e 358.
   La disciplina del diritto di difesa nelle indagini preliminari - a
parte quel che si e' detto a proposito degli accertamenti tecnici non
ripetibili  di cui all'art. 360 - e' contenuta negli artt. 363 e 364,
che (salvo il caso della  "ispezione"  per  cui  e'  intervenuta  una
specifica  modifica  in  Senato,  rispetto  al  testo approvato dalla
Camera) corrispondono  ad  una  netta  bipartizione  non  chiaramente
tracciata  nella direttiva 38 della delega, ma connaturale ai singoli
atti di indagine: da un lato gli atti il cui svolgimento  mette  capo
all'acquisizione  di elementi per le determinazioni di competenza del
pubblico  ministero  (interrogatorio  e   confronto   cui   partecipi
l'imputato);   dall'altro,   atti   diretti  a  raccogliere  elementi
precostituiti alle indagini (ispezione, perquisizione e sequestri).
   Problema  complesso  e'  apparso  quello  relativo  al  diritto di
assistere del difensore e al diritto di essere  preavvertito  e  cio'
attese  le  modifiche  portate  dal  Senato  alla  direttiva  38, qui
sostituendo  le  parole  "le  perquisizioni"  con   le   parole   "la
perquisizione",   e,   nella  terza  parte  della  stessa  direttiva,
sostituendo  la  frase  "escluse  comunque  le  perquisizioni  e   le
ispezioni", con la frase "escluse le perquisizioni e i sequestri".
   Il  problema  e' stato risolto prevedendo il diritto di assistenza
con preavviso del difensore, non solo per l'interrogatorio e  per  il
confronto  cui  partecipi l'imputato, ma anche per le ispezioni, dato
che il riferimento ai "sequestri" (anziche' alle "ispezioni" come nel
testo   della  Camera)  nella  direttiva  38,  sembra  comportare,  a
contrario, un diritto all'avviso nei casi di ispezione (commi 1  e  3
dell'art.  363).  Per  gli  atti di perquisizione e sequestro, aventi
natura di "atti a sorpresa",  il  preavviso  del  difensore,  che  ha
facolta' di assistere, non e' dovuto.
   Riassumendo,   e'   quindi   previsto:   l'invito  all'imputato  a
presentarsi  per  gli  atti  che  richiedono  la  sua  partecipazione
personale;  l'avviso  del  compimento  degli  atti che non comportano
invece  tale  partecipazione  (ispezioni  cui  l'imputato  non  debba
partecipare);  l'avviso,  in  entrambi  i  casi,  della  nomina di un
difensore di ufficio e della facolta' di nominarne uno di fiducia. E'
stato  previsto  inoltre  che,  nel  rispetto  dello stesso ristretto
termine di ventiquattro ore, l'avviso del compimento di uno qualsiasi
di tali atti di indagine venga dato anche al difensore di ufficio o a
quello di fiducia precedentemente nominato.
   Per  quel  che  concerne  le modalita' di intervento del difensore
l'art. 363 comma 4 riproduce la  dizione  della  direttiva  38  della
legge-delega che parla di "diritto di assistere".
   Sulla  traccia  della disciplina attuale, e' stata mantenuta (art.
363 comma 5) la deroga  all'obbligo  di  avviso  al  difensore  o  al
rispetto  del  termine  dilatorio per il compimento dell'atto: salva,
naturalmente, la facolta' del difensore di intervenire.
   I  rischi  di  questa disciplina sono noti; ci si rende d'altronde
ben conto di come situazioni di assoluta eccezionalita'  ben  possono
presentarsi;  ma  si  e'  cercato  di  ridurre  il  pericolo  di  una
dilatazione applicativa della stessa,  ancorandone  i  presupposti  a
parametri il piu' possibile rigorosi.
   Si  e'  parlato,  percio',  nell'art.  363  comma  5,  di  casi di
"assoluta urgenza"  e  di  "fondato  motivo"  che  il  ritardo  possa
pregiudicare la ricerca e l'assicurazione delle fonti di prova. Si e'
inoltre espressamente prevista la sanzione di  nullita',  qualora  il
pubblico  ministero  non indichi espressamente i motivi della deroga,
in modo da non ammettere scusanti per quella  che  dovesse  diventare
una  prassi  generalizzata  anziche'  una  extrema  ratio per casi di
assoluta eccezionalita'.
   In ordine alla facolta' del difensore che assiste di presentare al
pubblico ministero richieste, osservazioni e riserve, fermo  restando
per  tutti  i  partecipanti  il  divieto  di  fare  segni che possono
pregiudicare  il  risultato  dell'atto,  si  e'  ritenuto   opportuno
prevedere  espressamente  la  menzione,  nel  verbale, delle suddette
richieste, osservazioni e riserve, tenuto conto della utilizzabilita'
dell'atto  in  dibattimento  per le contestazioni e della conseguente
possibilita' di allegazione al fascicolo per il dibattimento.
   L'articolo 365, che disciplina il deposito degli atti compiuti dal
pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria ai quali il  difensore
ha  diritto  di  assistere  e  di  quelli  relativi  alle ispezioni e
perquisizioni personali dell'indiziato, e' attuativo della  direttiva
38 parte quarta.
   La formulazione dell'articolo ricalca quella dell'art. 304XXquater
c.p.p. vigente e, quando richiama il decreto che dispone  il  ritardo
nel deposito, all'art. 329 nella parte concernente il decreto con cui
il pubblico ministero esercita il potere di segretazione  degli  atti
di indagine.
   Il  termine  entro  il  quale  deve  avvenire il deposito e' stato
adeguato al fatto che spetta al pubblico ministero  depositare  anche
gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria.
   L'articolo  366  (provvedimenti  del  giudice  sulla  richiesta di
sequestro), disciplina il caso  in  cui,  nel  corso  delle  indagini
preliminari,   chi  sia  interessato  (ad  esempio,  parte  offesa  o
danneggiato dal reato)  abbia  richiesto  al  pubblico  ministero  il
sequestro  e  questi abbia ritenuto di non doverlo disporre. In forza
del principio generale,  che  informa  tutto  il  nuovo  codice,  del
controllo,   da   parte   del  giudice  delle  indagini  preliminari,
dell'attivita' compiuta dal pubblico ministero  prima  dell'esercizio
dell'azione penale e, quindi, prima dell'inizio del processo in senso
proprio, si e' stabilito che, nel  caso  in  questione,  il  pubblico
ministero   trasmetta,   con   il   proprio   parere,   la  richiesta
presentatagli dall'interessato al giudice delle indagini  preliminari
il  quale  provvede  o rigettando la richiesta stessa o disponendo il
sequestro.
   L'articolo 367, concernente l'"informazione di garanzia", e' stato
introdotto per attuare la direttiva 38 parte quinta.
   Dai  lavori  preparatori della legge-delega emerge chiaramente che
il legislatore, con tale direttiva, considerando che, in concreto, il
vigente  istituto  della  "comunicazione  giudiziaria"  (frutto della
modifica apportata, con l. 15 dicembre 1972, n. 773,  all'"avviso  di
procedimento"  introdotto  con  l. 5 dicembre 1969, n. 932), anziche'
assolvere a quelle funzioni garantistiche  per  le  quali  era  stato
concepito,  spesso ha determinato rilevanti lesioni della reputazione
di indiziati a carico dei  quali  successivamente  non  e'  risultato
alcun  concreto elemento di responsabilita', ha voluto ovviare a tale
grave inconveniente adottando  una  soluzione  che,  pur  conservando
sostanzialmente  e concretamente la funzione di garantire l'esercizio
del diritto di difesa da parte dell'imputato, anche nella fase  delle
indagini  preliminari,  evita  di produrre su persone, che magari non
saranno mai rinviate a giudizio, danni - anche in termini di immagine
e di costi umani - propri del procedimento penale.
   Nella redazione dell'articolo si e' anche tenuto conto del recente
disegno di legge governativo n. 499/S, comunicato alla Presidenza del
Senato   il   5   ottobre   1987,   concernente  la  "modifica  della
comunicazione giudiziaria". Nella relazione fra l'altro, tale disegno
di legge e' presentato come "una anticipazione" del nuovo codice.
   L'espressione   "comunicazione   giudiziaria"   e'  stata,  cosi',
sostituita con quella "informazione di garanzia", apparsa piu' idonea
a  qualificare  l'istituto in esame. Detta "informazione di garanzia"
non viene piu' data dall'inizio delle indagini, ma, coerentemente con
la  sua funzione istituzionale, "sin dal compimento del primo atto al
quale il difensore ha diritto di assistere". E' solo in tale momento,
infatti,   che   sorge   l'esigenza   di   notiziare  l'imputato  del
procedimento a suo carico, giacche' solo in relazione  al  compimento
degli  atti  suddetti  puo' in concreto estrinsecarsi l'attivita' del
difensore.
   Tenuto  conto  del  fatto che in concreto puo' rivelarsi opportuno
procedere con sollecitudine al compimento degli atti in  questione  e
che  una  siffatta  esigenza  potrebbe esser frustrata se l'autorita'
procedente dovesse essere in ogni caso condizionata dai tempi, spesso
non   brevi,   della   notifica   a   mezzo   del   servizio  postale
dell'informazione di garanzia,  si  e'  previsto  (comma  2)  che  il