giudizio immediato ogni qual volta le indagini possano essere compiute nello spazio di novanta giorni. Il giudizio immediato e' meno rigido del giudizio direttissimo e consente al pubblico ministero cospicui tempi di indagine: in questa nuova forma di procedimento, l'" evidenza " non e' un dato oggettivo presupposto all'instaurazione del giudizio, ma e' il possibile risultato di una acquisizione probatoria protrattasi per un tempo non superiore a novanta giorni. Conseguentemente qui e' evenienza normale e fisiologica che sia lo stesso pubblico ministero a poter determinare l'evidenza della prova, quale risultato di un'indagine preliminare d'iniziativa diretta oppure delegata alla polizia giudiziaria. Ne risulta, percio', un rito che si colloca a meta' strada tra il giudizio direttissimo e il procedimento ordinario. Illustrazione degli articoli. L'articolo 447 descrive i casi e i modi del giudizio immediato. In particolare il comma 1 stabilisce che il giudizio immediato puo' essere richiesto - ricorrendone i presupposti - solo previo interrogatorio dell'imputato. Il comma 2 contiene una disposizione, analoga a quella prevista per il giudizio direttissimo, tendente a regolare l'ipotesi di connessione del reato per cui e' richiesto il giudizio immediato con altri reati per i quali mancano le condizioni per tale rito: la regola e' che si procede separatamente salvo che da cio' derivi un grave pregiudizio per le indagini. L'ulteriore regola e' che, in caso di riunione, prevale il rito ordinario. Deve essere sottolineata la facolta', riconosciuta all'imputato dal comma 3, di richiedere il giudizio immediato in sede di atti introduttivi all'udienza preliminare. Gli articoli 448 - 451 descrivono le attivita' predibattimentali di questo rito, la cui peculiarita' consiste nella riduzione degli ambiti temporali delle indagini preliminari del pubblico ministero e nello scavalcamento della udienza preliminare, con coinvolgimento del giudice dell'udienza preliminare unicamente al limitato fine di predisporre il passaggio rapido al dibatti mento. L'art. 448 regola la formulazione della richiesta di giudizio immediato; con tale richiesta il pubblico ministero deposita il fascicolo e gli atti in suo possesso relativi alla notizia di reato, alle indagini espletate, agli atti eventualmente assunti nell'incidente probatorio. La conoscenza di tutti gli atti e' condizione indispensabile per la valutazione da parte del giudice della ipotesi accusatoria del pubblico ministero. Naturalmente, ove il giudice emetta decreto che dispone il giudizio immediato, viene formato il fascicolo per il dibattimento a norma dell'art. 427, mentre gli altri atti vengono restituiti al pubblico ministero (art. 451). L'altro esito ipotizzabile e' costituito da una valutazione negativa da parte del giudice in ordine alla ipotesi accusatoria proposta dal pubblico ministero e, quindi, dal rigetto della richiesta di giudizio immediato. In tale ipotesi gli atti vengono restituiti al pubblico ministero senza alcuna indicazione da parte del giudice circa eventuali indagini ulteriori da compiere. L'articolo 452 disciplina la facolta' dell'imputato di chiedere il giudizio abbreviato. Tale previsione si e' imposta a fronte del rilievo per cui, pure in mancanza di udienza preliminare, non poteva essere eliminato il diritto dell'imputato di usufruire, chiedendo il giudizio allo stato degli atti ai sensi degli artt. 434 e seguenti, del beneficio della riduzione della pena nella misura di un terzo, pena una prevedibile censura di incostituzionalita'. Il giudizio abbreviato, inoltre, presenta particolari vantaggi di celerita', sia per l'eliminazione del dibattimento sia per i limiti previsti all'appellabilita' della sentenza. Tali argomentazioni - oltre che l'intento di disincentivare manovre meramente dilatorie - rendono comprensibile la ulteriore disciplina contenuta nell'art. 452 e cioe' la inapplicabilita' della previsione detta nel caso il giudizio immediato sia stato richiesto nel corso dell'udienza preliminare: perche' gia' in quella sede l'imputato avrebbe potuto chiedere il giudizio abbreviato. Conseguente alle argomentazioni da ultimo esposte e' inoltre la previsione (art. 450 comma 2) secondo cui il decreto di giudizio immediato contiene l'avviso che l'imputato puo' chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 439. TITOLO V PROCEDIMENTO PER DECRETO Premessa. Tra i riti differenziati rientra anche il decreto penale di condanna, a cui si richiamano, come strumento privilegiato di definizione anticipata del procedimento, pressoche' tutti gli interventi nel corso del dibattito parlamentare, nonche' le relazioni della Commissione Giustizia della Camera e del Senato e la relazione del ministro Martinazzoli al disegno di legge-delega, presentata alla Camera dei deputati il 21 ottobre 1983. Unitamente a queste indicazioni di fondo sulla funzione svolta dal procedimento per decreto, la linea di tendenza ad allargarne l'ambito di operativita' trova espressione nell'estensione dell'istituto anche al caso di condanna a pena pecuniaria inflitta in sostituzione di pena detentiva ribadita dalla direttiva 46 della legge-delega. Non ha invece trovato accoglimento nella nuova delega la proposta, espressa in un emendamento del ministro Morlino presentato alla Commissione Giustizia della Camera il 21 febbraio 1980, di allargare l'ambito di operativita' del decreto alle condanne a pene detentive non superiori a tre mesi, purche' sospese condizionalmente o estinte per indulto. La disciplina della legge-delega, sia in se' considerata, sia nel raffronto con la precedente delega del 1974, non suscita dunque controversie ed esprime in modo univoco l'intendimento di riservare ampio spazio al decreto penale di condanna, pur senza estenderne l'ambito di operativita' alle pene detentive brevi. Tenendo conto di questa indicazione di fondo, il legislatore delegato ha ritenuto conforme alla legge-delega prevedere un potenziamento dell'istituto del decreto operando alcune scelte. Si e' innanzitutto estesa l'operativita' del decreto penale ai reati di competenza del tribunale (ad esempio, reati di contrabbando puniti con la sola pena pecuniaria). In mancanza di qualsiasi controindicazione nella direttiva 46 della legge-delega, e tenuto conto che nella relazione al Progetto preliminare del 1978 la scelta allora operata di circoscrivere l'operativita' dell'istituto ai soli reati di competenza pretorile non era stata accompagnata da alcuna specifica ragione a favore di tale limitazione, e' parso del tutto coerente con la volonta' del legislatore delegante estendere l'ambito di applicazione dell'istituto ai reati di competenza del tribunale. La scelta gia' operata nel Progetto del 1978 e' apparsa infatti motivata piu' da una sorta di acritico adeguamento alla tradizionale portata dell'istituto che all'esistenza di controindicazioni di politica legislativa o tecnico-giuridiche. L'estensione ai reati di competenza del tribunale comporta ovviamente un mutamento della collocazione che era stata data all'istituto nel Progetto preliminare del 1978, ove figurava nel titolo II del libro IX relativo al procedimento pretorile. La materia e' ora quindi collocata nella parte relativa ai riti differenziati. Al fine di incentivare l'acquiescenza al decreto, ed inserendosi nelle prospettive " premiali " che ispirano gli altri riti abbreviati, si e' poi ritenuto opportuno attribuire al pubblico ministero la facolta' di richiedere al giudice che venga applicata una pena diminuita sino alla meta' rispetto al minimo della pena edittale (art. 453). La diminuzione della misura della pena sino alla meta' trova la sua ragione nella constatazione che per gli altri procedimenti semplificati (giudizio abbreviato di cui alla direttiva 53 della delega e applicazione della pena su richiesta delle parti di cui alla direttiva 45) l'incentivo premiale prevede una diminuzione di pena sino ad un terzo. Poiche' dal punto di vista dell'economia processuale il procedimento per decreto e' senza dubbio quello che consente il maggior risparmio di risorse e la maggior semplificazione, pare opportuno incentivarne l'operativita' ricorrendo ad una piu' consistente incidenza del meccanismo premiale. Ove infatti vi siano i presupposti per ricorrere sia al procedimento per decreto, sia agli altri riti abbreviati di cui alle direttive 45 e 53 della delega, il pubblico ministero dovra' in primo luogo proporre il procedimento per decreto, sul presupposto che un forte incentivo premiale possa convincere l'imputato della opportunita' di accettare una condanna considerevolmente ridotta rispetto al minimo della pena edittale. Si inserisce in questa logica anche la previsione, tra i requisiti del decreto, della menzione della diminuzione della pena al di sotto del minimo edittale e delle ragioni che hanno determinato il giudice ad operare tale diminuzione, in modo che l'imputato possa avere chiara nozione dei vantaggi connessi all'acquiescenza al decreto (art. 454). Come si e' gia' piu' volte sottolineato, la pratica operativita' del nuovo processo penale si basa sulla idoneita' dei riti differenziati ed abbreviati a deflazionare il ricorso al dibattimento; di qui l'esigenza di rafforzare al massimo, nei limiti della legge-delega, meccanismi premiali capaci di sollecitare l'adesione dell'imputato al rito abbreviato, sotto il punto di vista sia della ridotta entita' della pena, sia del vantaggio di non dovere praticamente affrontare spese legali, stante l'estrema semplicita' del rito. In questa ottica si muovono, infine, anche le innovazioni introdotte per il caso in cui l'imputato abbia proposto opposizione e il procedimento debba seguire un ulteriore corso. Al riguardo, il Progetto preliminare del 1978 ricalcava la disciplina vigente, prevedendo che, nel caso in cui il pretore non accogliesse la richiesta di decreto del pubblico ministero, ovvero nel caso in cui fosse impossibile notificare il decreto per irreperibilita' dell'imputato, il pretore medesimo emettesse il decreto di citazione a giudizio. Questa disciplina veniva peraltro a privilegiare il passaggio al dibattimento, sacrificando le possibilita' di concludere il procedimento mediante altri riti abbreviati. Ad evitare questa conseguenza si e' preferito disporre che, nei casi in cui il giudice ritiene di non dovere emettere il decreto, ovvero non e' possibile notificarlo all'imputato, gli atti vengano restituiti al pubblico ministero (artt. 453 e 454,) il quale potra' richiedere il giudizio immediato, il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'art. 439, cioe' indirizzare il procedimento verso riti semplificati e piu' celeri rispetto alla richiesta di citazione a giudizio attraverso l'udienza preliminare. Nella medesima direzione si muove la norma (art. 455 comma 3) secondo cui l'opponente puo' chiedere, in sede di opposizione, solo il giudizio immediato, ovvero il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'art. 439, previo evidentemente il consenso del pubblico ministero, e non anche l'udienza preliminare; si vuole cioe' precludere che, nei casi presumibilmente semplici e di non particolare gravita' in cui il pubblico ministero ritiene di poter ricorrere al rito per decreto, il procedimento possa sfociare nel meccanismo piu' complesso e sofisticato che prevede, per i reati di competenza del tribunale, l'udienza preliminare quale filtro prima del dibattimento. Le ulteriori indicazioni della direttiva 46 della legge-delega, relative alle garanzie della difesa nella fase di opposizione, alla previsione di un congruo termine per l'opposizione e di ipotesi di remissione in termini, sono state tradotte mantenendo ferma la disciplina, gia' prevista nel Progetto preliminare del 1978, del termine di 15 giorni per proporre opposizione ed eliminando la norma del vigente codice di procedura penale che dispone l'esecuzione del decreto nel caso in cui l'opponente non si presenta al dibattimento. Si e' ritenuto opportuno, al fine di facilitare la presentazione della opposizione, consentire che possa essere proposta anche dal difensore appositamente nominato dall'imputato, inserendo, di conseguenza, tra i requisiti del decreto l'avvertimento che l'imputato ha facolta' di nominare un difensore. Circa il richiamo, contenuto nella direttiva 46 della legge-delega, ad ipotesi di rimessione in termini, si e' ritenuto che l'espressa indicazione della rimessione con riferimento al decreto comportasse una disciplina dei casi di rimessione piu' estesa di quella prevista in via generale. L'esigenza e' stata risolta prevedendo nell'art. 175 comma 2 (norma che disciplina in via generale la restituzione nel termine) una specifica ipotesi di remissione ove l'imputato provi di non avere avuto effettiva conoscenza del decreto penale. Illustrazione degli articoli. Passando ad un esame analitico delle disposizioni formulate, sul tema dei presupposti del rito, si deve segnalare la scelta operata nell'articolo 453 in ordine alla perseguibilita' d'ufficio dei reati per i quali e' possibile adottare il procedimento speciale. Le osservazioni formulate nel Parere della Commissione Consultiva (p. 398) sulla corrispondente disposizione del Progetto preliminare del 1978 (art. 529) non sono apparse, infatti, tali da superare gli argomenti che nell'attuale ordinamento la dottrina adduce per giustificare la disciplina dell'art. 506 sullo specifico punto. Nel caso di reato perseguibile a querela, ad esempio, la situazione impeditiva del rito abbreviato scaturisce dall'assoggettamento del processo ad una serie di regole incompatibili con il carattere di snellezza e celerita' che contraddistinguono il procedimento per decreto. Senza tener conto, poi, dei problemi che scaturiscono dall'eventualita' che si costituisca parte civile il danneggiato dal reato, la cui costituzione, come noto, non e' compatibile con il rito abbreviato. Si collega con queste considerazioni anche l'orientamento seguito dall'art. 455 comma 5. Non pare, infatti, ragionevole che un accertamento caratterizzato da una accentuata sommarieta', come quello che si svolge in sede monitoria, possa, in qualche modo, essere vincolante nei confronti di un soggetto che non e' stato posto in grado d'interloquire nel procedimento. Tale e', del resto, l'avviso espresso dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 99/1973 e n. 55/1971. Ne' potrebbe, di contro, ammettersi la costituzione di parte civile in sede monitoria, poiche' essa imporrebbe la conversione del rito in quello ordinario in ragione del fatto che un eventuale decreto penale equivarrebbe, come la piu' accreditata dottrina sottolinea, ad un diniego di pronuncia. L'inciso "anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva" e' stato inserito (art. 453 comma 1) in ottemperanza alla direttiva 46 della legge-delega che si e' fatta carico dell'innovazione introdotta dall'art. 53 comma 3 l. 24 novembre 1981, n. 689. A questo riguardo, va osservato che la predetta direttiva 46 non consente altra deroga, sotto il profilo "qualitativo" della pena irrogabile con decreto penale, disponendo che il rito puo' essere adottato "solo per pene pecuniarie". Si e' ritenuto di poter introdurre una novita' di rilievo nella disciplina del procedimento monitorio consentendo la scelta di tale rito anche per i reati di competenza diversa da quella pretorile, fermo restando il limite della pena eslusivamente pecuniaria. L'innovazione non contrasta con il disposto della direttiva 46, stante il termine " giudice " che in esso figura relativamente alla determinazione del giudice competente ad adottare il rito. Si e' ritenuto di poter rendere particolarmente " appetibile " l'acquiescenza alla definizione anticipata del procedimento penale consentendo, alla luce del modello offerto dalla direttiva 45, che il pubblico ministero, ovviamente in considerazione della lieve entita' del fatto e del suo scarso allarme sociale, sia legittimato a richiedere una pena diminuita sino alla meta' rispetto al minimo edittale. L'imputato sara' in tal modo indotto ad astenersi dal proporre opposizione ed il procedimento conseguira' il risultato economico e deflattivo del carico dibattimentale che con esso si persegue. Non si e' ritenuto di mantenere la formulazione dell'art. 529 del Progetto preliminare del 1978 (ora art. 453) laddove prevedeva che il giudice, dissentendo dalla richiesta, instaurasse il rito ordinario mediante decreto di citazione. E' parso invece opportuno prevedere che in tal caso gli atti vengano restituiti al pubblico ministero, che potra' cosi' instaurare altri riti abbreviati, evitando il passaggio automatico al dibattimento. E' sembrato, infine, ragionevole escludere la possibilita' di inflizione in sede monitoria di misure di sicurezza personale. Di fronte alla gravita' del provvedimento applicato, l'imputato, infatti, non verrebbe mai indotto ad astenersi dal proporre opposizione e se questa fosse proposta la revoca ex lege del decreto porrebbe automaticamente nel nulla la condanna e le statuizioni in essa contenute. In ordine alla lett. c) dell'articolo 454 va osservato che la corrispondente disposizione del Progetto preliminare del 1978 (art. 530 n. 3) si limitava ad una riproduzione testuale della formula adottata dal vigente art. 507 comma 1 n. 3 c.p.p., il che riproponeva la stessa gamma di problemi che sul punto si agitano nell'attuale ordinamento. Pertanto si e' ritenuto di dover addivenire ad un recupero di tale requisito. Un decreto che si presenti costantemente privo di motivazione, in cui manchi, cioe', non solo l'attestazione di una razionale elaborazione degli elementi di prova e delle questioni giuridiche, ma pure la formulazione autonoma di un'accusa che rappresenti il vaglio dell'opinio delicti espressa fuori dal processo, non puo' che indurre, nella maggior parte dei casi, il condannato a proporre opposizione dal momento che non ha la possibilita' di persuadersi della giustizia della condanna attraverso l'illustrazione degli elementi probatori e delle ragioni giuridiche su cui si fonda l'accertamento, ancorche' sommario, della sua responsabilita'. Recenti indirizzi legislativi (art. 53 comma 3 l. n. 689/1981) dimostrano che questa e' la via da seguire. Ma v'e' un altro non meno fondamentale motivo per cui occorre restituire al decreto penale la sua vera natura di decisione motivata, capace di persuadere il condannato dell'inutilita' di instaurare il contraddittorio su una vicenda che avrebbe scarse probabilita' di esser risolta diversamente. Cio' giustifica la previsione dell'art. 458 comma 3, ai sensi del quale " il giudice o il pretore puo' applicare in ogni caso una pena anche diversa e piu' grave di quella indicata nel decreto di condanna e revocare i benefici gia' concessi ". E' infatti evidente che, una volta esplicitate le ragioni che inducono ad affermare la responsabilita' dell'imputato, questi e' posto nelle condizioni di poter operare consapevolmente la sua scelta circa l'accettazione della condanna o la richiesta di un dibattimento nel quale potrebbe vedersi applicata una pena maggiore. Attraverso la dilatazione del contenuto dell'avvertimento di cui alla lett. e) si e' inteso, inoltre, richiamare l'attenzione dell'imputato sull'intero spettro di possibilita' che gli sono offerte di definire anticipatamente il procedimento. Quanto alla legittimazione a proporre opposizione (articolo 455), il Progetto preliminare del 1978 ribadiva il sistema vigente, che identifica i titolari del relativo potere nel condannato, nel civilmente obbligato per la pena pecuniaria e non nel difensore, a meno che questi non rivesta la qualifica di procuratore speciale. Ora, non sembra che vi sia motivo di mantenere un simile meccanismo il quale innesta, in ultima analisi, un adempimento in piu' per potersi discolpare. La direttiva 46 della legge-delega, sottolineando la necessita' di assicurare nella fase dell'opposizione tutte le garanzie difensive, lascia ampio spazio per un ripensamento sulla questione, nel senso, appunto, di legittimare anche il difensore a proporre opposizione, e in tal senso e' stata formulata la disposizione dell'art. 455 comma 1. E' stata modificata anche la formula dell'art. 455 comma 2 rispetto a quella della corrispondente disposizione del Progetto preliminare del 1978, che, letteralmente interpretata, sembrava precludere la nomina di un difensore o, comunque, ritenerla inefficace, se non contestuale alla dichiarazione di opposizione. Non sembra dubbio che il condannato per decreto possa nominare il proprio difensore a decorrere dal momento in cui si e' perfezionata la notificazione del decreto penale. D'altra parte, a fronte di una gamma di scelte ben piu' penetranti rispetto all'unica alternativa acquiescenza-opposizione e' apparso doveroso legittimare l'imputato a nominare un difensore fin dal momento in cui riceve la notificazione del provvedimento. Vincolando il giudice alla esposizione delle ragioni che lo hanno indotto a concedere l'eventuale diminuzione della pena e a dare atto della concreta entita' dello scomputo operato, rispetto alla pena prevista per il reato (art. 454 comma 1 lett. c e comma 2), si e' inteso rendere edotto l'imputato, ai fini delle scelte che si accinge a compiere, del trattamento particolarmente favorevole del quale ha gia' fruito. Degno di nota il profilo riguardante la conoscenza del provvedimento che emerge dalla direttiva 46 della legge-delega (articolo 456). Nel sistema vigente, la normativa che la legge appresta a tutela della conoscenza dell'atto da notificare non preordina alcuna particolare formalita' affinche' sia garantita l'effettiva conoscenza del decreto penale. Alla luce degli esiti peculiari che la conoscenza del decreto penale si prefigge, posto che esso viene appreso dal destinatario nella duplice componente di provvedimento di condanna e di " atto di contestazione formale del fatto ", emerge una vasta gamma di problemi in ordine all'effettivita' del diritto dell'imputato di proporre opposizione. Imponendo la previsione di congrue " ipotesi di remissione in termini ", la direttiva 46 pone sicuramente le basi per un piu' equilibrato assetto della materia, tale da garantire realmente l'esercizio del diritto spettante all'imputato. Per adeguare la disciplina dell'istituto al disposto della citata direttiva risulta perfettamente idonea la formula adottata dall'art. 175 del Progetto. Si e' ritenuta meritevole di considerazione l'ipotesi del coimputato non opponente insolvibile nei confronti del quale sia stata disposta la conversione della pena pecuniaria. Dire che costui beneficia degli effetti favorevoli della sentenza emessa ai sensi dell'art. 458 comma 4 ha poco valore posto che, al momento di fruire della risoluzione ex lege del decreto, costui con buone probabilita', a causa dei tempi tecnici di definizione del procedimento ordinario, ha gia' espiato la pena sostitutiva, se non, addirittura, quella detentiva di conversione, ove, per avventura, sia incorso nella violazione di alcuna delle prescrizioni " inerenti alle pene conseguenti alla conversione della multa o dell'ammenda " (art. 108 l. n. 689/1981). Da qui l'opportunita' di prevedere (articolo 457) in casi di tal genere un'ipotesi di sospensione dell'esecuzione. Dell'articolo 458 che disciplina il giudizio conseguente all'opposizione si sono gia' illustrate le disposizioni di maggior rilievo. LIBRO VII GIUDIZIO La legge-delega non ha introdotto consistenti novita' nella disciplina del dibattimento. La fisionomia di questa fase del processo e' rimasta, tuttavia, ugualmente alterata. Per un triplice ordine di considerazioni, attinenti: alla collocazione del dibattimento nel nuovo sistema, all'incidenza della prova acquisita prima del dibattimento, allo svolgimento dell'istruzione dibattimentale. Durante i lavori preparatori della precedente legge-delega venne piu' volte esaltata la " centralita' " del dibattimento; una " centralita' " che avrebbe dovuto qualificare il passaggio dal sistema misto a un processo eminentemente accusatorio. " Il dibattimento sara' il vero e proprio processo penale e verra' condotto secondo il sistema accusatorio " (Valiante, Commissione giustizia, 12 maggio 1966). La messa a punto compendiava il travaglio della riforma processuale e non consentiva possibili diversioni, al di la' dei casi (limitatissimi) di proscioglimento istruttorio e di condanna per decreto. Processo, dibattimento e sistema accusatorio apparivano realta' inscindibilmente legate e la centralita' del dibattimento esprimeva perfettamente questi infungibili nessi. " Il dibattimento e' la sede centrale del processo da cui emerge il giudizio ed al dibattimento tutte le prove vanno riportate " (sottosegretario Misasi, Commissione giustizia, 19 ottobre 1966). L'argomentazione non faceva una grinza: " se accettiamo come valido e fermo il sistema accusatorio, allora dobbiamo considerare che il dibattimento e' il momento essenziale del processo, e' la' che dovremo verificare questa nostra volonta' di innovare " (Musotto, Commissione giustizia, 26 febbraio 1969). La relazione Lospinoso-Severini avrebbe ribadito, nel corso della sesta legislatura, questi concetti, richiamandosi al dibattimento quale " punto focale di tutto il processo " e come " momento di esaltazione di tutta la dinamica processuale ". Sono note le critiche mosse a tale impostazione: ineccepibile sul piano dei principi, la tesi incontrava insormontabili difficolta' di ordine pratico. L'inflazione dei dibattimenti avrebbe per forza di cose compromesso la riforma. Ne avrebbe appesantito in modo insopportabile i costi: per un malinteso impegno a far confluire in un rito unico e insostituibile esperienze diverse e difficilmente comparabili. La tendenza ad incentivare i procedimenti differenziati mutuo' queste preoccupazioni. Fini' magari per ridurre la " centralita' " del dibattimento, per scalfirlo nella sua " infungibilita' ", ma addito' modelli processuali idonei a salvare la riforma e a garantirne la praticabilita'. Di qui le piu' articolate ipotesi di condanna per decreto, la previsione di un " patteggiamento " di generale applicabilita' (pur nei limiti di pena della direttiva 45) e l'introduzione di nuove forme di giudizio abbreviato. Di qui soprattutto un dibattimento " possibile " perche' affrancato da scelte inflattive. In una dimensione, per questo verso, adeguata ad apprestare l'effettiva oralita'. Ma nella nuova delega (e nel presente Progetto) la fisionomia del dibattimento e' cambiata anche per un'altra ragione. L'eliminazione della fase dedicata agli atti di istruzione ed i limiti frapposti all'esperimento dell'incidente probatorio dovrebbero consentire una reale immediatezza nell'acquisizione dibattimentale della prova. Non e' difficile rendersene conto. La previsione, nella legge-delega del 1974, di una fase dedicata agli atti di istruzione (e la possibilita' di dilatarne al massimo le dimensioni) spianavano, in effetti, la via a forme larvate di istruzione, programmaticamente escluse dai criteri direttivi della delega. Con il rischio, ineliminabile, di vedere riesumata al dibattimento la deviante prassi delle interminabili letture, deleteria per un'" immediatezza ", sbandierata a parole ed esposta a mortificanti condizionamenti nella concreta esperienza processuale. L'incidente probatorio, se effettivamente limitato alle ipotesi previste dall'art. 390, dovrebbe scongiurare questi pericoli. Al dibattimento perverrebbero, infatti, singoli atti acquisiti per le eccezionali evenienze indicate dalla legge, e non un complesso di atti variamente combinati in vista di un possibile risultato. Le letture sarebbero scandite da queste circoscritte dimensioni delle precedenti acquisizioni. Tranne, ovviamente, i casi di sopravvenuta impossibilita' di ripetizione degli atti assunti dal pubblico ministero. Resta un punto da chiarire. Il nuovo Progetto preliminare ha dato una piu' articolata specificazione all'istruzione dibattimentale. Particolare attenzione e' stata, cosi', prestata alle norme che, in vario modo, disciplinano il contraddittorio nell'elaborazione della prova testimoniale. A differenza del Progetto del 1978, che esauriva in una sola disposizione (l'art. 472) l'intera materia, il nuovo Progetto ha previsto, in un piu' organico discorso (artt. 491, 492 e 493), prima le regole generali per l'esame testimoniale e poi le specifiche regole afferenti al modo di porre le " domande " e al modo di muovere le " contestazioni ". Nell'ambito di un'istruzione dibattimentale, volta a realizzare il contraddittorio per la prova (nel momento nevralgico della sua progressiva formazione) e non piu' su una prova (registrata nei protocolli istruttori), queste piu' dettagliate previsioni sono sembrate indispensabili. In effetti sono proprio le " domande " e le " contestazioni " i momenti essenziali del contraddittorio; per loro tramite i fatti da rappresentare diventano fatti rappresentati. Oralita', immediatezza e contraddittorio assumono, in definitiva, nel nuovo Progetto, significati che la prima delega non si incaricava di assicurare. Il nuovo dibattimento, nelle plausibili dimensioni di cui si e' detto, dovrebbe uscirne rinvigorito. Con una riserva: l'adozione dei procedimenti differenziati, la frequenza degli incidenti probatori, lo svolgimento dell'istruzione dibattimentale sono pur sempre filtrati attraverso scelte discrezionali e attivita' processuali non modellabili secondo precise regole di comportamento. La sorte del nuovo dibattimento dipendera' anche - e' bene non dimenticarlo - dall'oculato uso della discrezionalita' e dal responsabile modus operandi delle parti. TITOLO I ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO La novita' rilevante rispetto al Progetto del 1978 e' l'attribuzione del compito di fissare l'udienza per il dibattimento, in tutti i casi, al giudice che dispone il giudizio (in seguito all'udienza preliminare ovvero alla richiesta di giudizio immediato), anziche' al presidente del collegio giudicante. La Commissione ha discusso a piu' riprese sull'opportunita' di questa modifica, nella consapevolezza che la sua attuazione comportera', negli uffici giudiziari di maggiori dimensioni, un notevole sforzo organizzativo. Si e' tuttavia voluto privilegiare un sistema che, almeno tendenzialmente, consenta l'eliminazione di tempi morti e una piu' rapida instaurazione del giudizio. Del resto, non era praticabile la soluzione adottata dal Progetto del 1978, che prevedeva la fissazione dell'udienza ad opera del giudice istruttore nel solo caso di giudizio immediato: ne sarebbe derivata una disparita' di trattamento difficilmente giustificabile, non essendo il giudizio immediato concepito per casi di particolare urgenza, specialmente dopo la reintroduzione del giudizio direttissimo. Neppure dovrebbero sorgere problemi circa la precostituzione del giudice, poiche' - se una scelta deve aver luogo - risulta pur sempre effettuata da un altro giudice e non dal pubblico ministero. L'impostazione descritta ha condotto alla nuova formulazione dell'art. 459 e alla soppressione degli artt. 441 e 442 del Progetto del 1978. L'articolo 459 presuppone avvenuta la trasmissione del decreto che dispone il giudizio al giudice del dibattimento, ai sensi dell'art. 428 o dell'art. 451 (i requisiti del decreto e la sua notificazione sono invece disciplinati dagli artt. 425 e 450). Si prevede che il presidente del tribunale o della corte di assise possa modificare la data dell'udienza, ma solo per gravi motivi (legati, si deve intendere, a problemi di organizzazione). In tal caso debbono essere rinnovate le notificazioni, ma limitatamente alla data. Il termine e' stato fissato con riferimento alla vecchia data (e non alla nuova) perche' da un lato si tende ad evitare, se possibile, operazioni inutili, mentre d'altro lato, rimanendo invariata la contestazione dell'accusa, non e' necessario un nuovo termine a comparire modellato su quello originario. La durata di sette giorni e' stata mutuata da quella concernente il termine per la presentazione delle liste testimoniali (art. 462). La norma sulla precedenza spettante ai giudizi con imputati detenuti e' invece piu' opportunamente collocabile nelle disposizioni di attuazione. L'articolo 460 riconosce ai difensori l'accesso al fascicolo per il dibattimento, custodito nella cancelleria ai sensi dell'art. 428: resta sottinteso che durante il termine per comparire, il fascicolo debba restare depositato a disposizione di chi ha diritto di prenderne visione. Non si e' ritenuto necessario prevedere che nel decreto che dispone il giudizio fosse inserito uno specifico avvertimento al riguardo, poiche' per i difensori e' sufficiente essere a conoscenza dell'emissione del decreto, mentre la facolta' di prendere visione del fascicolo non compete all'imputato e alla persona offesa come tali. Nell'articolo 461 e' stata eliminata, rispetto al Progetto del 1978 (art. 443), la menzione specifica della testimonianza a futura memoria, che non ha piu' rilievo autonomo, essendo ora assorbita fra le ipotesi di incidente probatorio. La formula attuale richiama i presupposti che legittimerebbero la richiesta di incidente probatorio, ma non la relativa procedura, in particolare per quanto riguarda le parti che hanno titolo a intervenire e per quanto riguarda le modalita' di acquisizione della prova. Ad evitare possibili equivoci sull'estensione dei poteri conferiti da questo articolo, invece, non e' stato riprodotto il riferimento generico agli " atti urgenti " che figurava nel Progetto del 1978. Il deposito delle liste testimoniali, previsto dall'articolo 462, ha principalmente una funzione di discovery, ad evitare l'introduzione, ad opera di qualsiasi parte, di prove a sorpresa. Rispetto alla corrispondente disposizione del precedente Progetto (art. 444), si e' ritenuto pero' di modificare (art. 462 comma 2) le modalita' della citazione, prevedendosi un'autorizzazione preventiva del presidente alla parte che ne faccia richiesta: cio' allo scopo di munire di sanzione l'obbligo di presentazione della persona citata dalle parti private, eliminando cosi' una possibile disparita' di poteri tra le parti private medesime e il pubblico ministero. Solo entro questi limiti e' attribuito al presidente il potere discrezionale di concedere o negare l'autorizzazione, che non implica alcun giudizio sulla rilevanza della prova, e non preclude una diversa decisione al dibattimento. Resta infatti impregiudicata la decisione sull'ammissibilita' delle prove, riservata al collegio dopo l'esposizione introduttiva (art. 489). In questa fase possono essere escluse solo le testimonianze, in quanto siano vietate dalla legge o manifestamente sovrabbondanti (il giudizio al riguardo e' possibile anche senza la conoscenza degli atti). Si e' comunque ritenuto opportuno consentire alle parti di presentare direttamente al dibattimento i testimoni e i consulenti tecnici (comma 3), salva sempre la decisione sull'ammissibilita'. La citazione autorizzata dal presidente, in sostanza, serve solo a fornire uno strumento coercitivo a chi intende ottenere la presentazione del testimone: quando a giudizio della parte cio' non e' necessario, le relative formalita' possono essere eliminate, e resta solo l'onere di indicare il testimone nella lista, a titolo di comunicazione alle altre parti. La disciplina dei termini per la citazione, come pure l'elenco dei requisiti dell'atto (commi 2 e 4 dell'art. 444 del Progetto del 1978) sembrano trovare collocazione migliore nelle disposizioni di attuazione. L'articolo 463 ripristina la sentenza anticipata di proscioglimento. Nel Progetto del 1978, l'improcedibilita' o l'estinzione del reato potevano sempre essere accertate nell'udienza preliminare, dando luogo a una sentenza di proscioglimento del giudice istruttore. La delega attuale esclude l'udienza preliminare nel caso di giudizio immediato, non consentendo cosi' il proscioglimento anticipato. Inoltre, anche nel procedimento ordinario, una causa di estinzione sopravvenuta non sarebbe accertabile se non al dibattimento. Si e' quindi riprodotto, con le modifiche necessarie, l'art. 421 del codice di rito vigente. In un primo tempo la competenza era stata attribuita al presidente: si e' tuttavia ritenuto preferibile riservare la competenza al collegio, per evitare la creazione di un giudice diverso da quello stabilito dall'ordinamento giudiziario. La previsione del comma 2, secondo cui la dichiarazione di estinzione del reato puo', in questa sede, essere pronunciata solo se l'imputato non si oppone, ha lo scopo di sostituire la tradizionale regola della prevalenza del proscioglimento pieno. Non sarebbe infatti applicabile la norma che impone di assolvere nel merito quando esiste la prova evidente dell'innocenza, poiche' in linea di principio la prova si forma solo al dibattimento, e il presidente non e' comunque a conoscenza degli atti di indagine preliminare. Il proscioglimento anticipato, nel nuovo contesto, assume un ruolo prevalente di garanzia per l'imputato che preferisca non affrontare il dibattimento; sembra percio' corretto che, in quanto si possa prospettare un'alternativa (escluso, cioe', il caso di improcedibilita'), sia a questi rimessa la responsabilita' della scelta. La formulazione della norma, secondo la quale e' l'imputato a dover assumere l'iniziativa della richiesta di dibattimento, e' stata concepita per evitare che l'inerzia o il disinteresse della parte possa paralizzare la pronuncia della sentenza anticipata. Per quanto riguarda le impugnazioni (comma 3), il regime applicabile e' quello delle sentenze pronunciate nel giudizio abbreviato. Gli artt. 445 e 446 del Progetto del 1978 sono stati soppressi e sostituiti dagli artt. 427, 428 e 429, poiche' il fascicolo per il dibattimento di cui alla direttiva 57, e quello del pubblico ministero di cui alla direttiva 58, vengono formati prima del giudizio. TITOLO II DIBATTIMENTO CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI L'articolo 464 e' rimasto sostanzialmente invariato rispetto all'art. 447 del Progetto del 1978. Il comma 2 e' stato modificato in conformita' al Parere sul Progetto medesimo, secondo cui l'esecuzione degli ordini del presidente in materia di disciplina dell'udienza non andava affidata alla sola polizia giudiziaria ma, piu' in generale, alla " forza pubblica ", e sempre in via eccezionale rispetto ad altri ausiliari (ufficiali giudiziari e commessi). Anche l'articolo 465 e' sostanzialmente identico al testo del 1978: vanno esclusi dall'aula i minori, gli ubriachi, gli infermi di mente e coloro che possono turbare lo svolgimento dell'udienza. Nel comma 4 si e' precisato, come peraltro era implicito, che l'ordine di espulsione spetta al presidente (o, in sua assenza, al pubblico ministero) e non al collegio. E' poi sembrato piu' semplice attribuire al presidente anche il potere di limitare l'accesso all'aula (comma 5): si tratta infatti di uno dei provvedimenti che a norma del comma 6 sono dati " oralmente e senza formalita' ", e non rappresentano una vera e propria eccezione alla pubblicita', com'e' invece il procedimento a porte chiuse, su cui decide il collegio (artt. 466 - 467). L'autorizzazione all'uso di mezzi audiovisivi in udienza va disciplinata nelle disposizioni di attuazione. Il procedimento a porte chiuse, di cui all'articolo 466, e' stato ammesso in due nuove ipotesi: per salvaguardare la sicurezza dei testimoni, ma in tal caso senza l'esclusione della stampa (v. art. 467 comma 2), e per tutelare la personalita' dei minori, in attuazione dell'art. 6 n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Fra le altre modifiche, prevalentemente formali, va segnalata, nel comma 2, la sostituzione della formula " fatti non direttamente attinenti all'oggetto dell'imputazione " che figurava nel Progetto del 1978, con " fatti che non costituiscano oggetto dell'imputazione ". Si e' osservato che i fatti " non attinenti " non possono di per se' avere ingresso nel processo, mentre la norma vuole semplicemente escludere che possa darsi rilievo a un diritto dell'imputato alla riservatezza dell'imputazione. L'articolo 467 contiene la disciplina del provvedimento che dispone di procedere a porte chiuse. Rispetto al Progetto del 1978, nel comma 1 e' stato inserito l'inciso " o alcuni atti di esso ", per simmetria con la dizione dell'art. 466. In mancanza, si potrebbe intendere che l'ordinanza debba riguardare in ogni caso tutto il dibattimento, con l'obbligo di una revoca espressa ogni volta che siano conclusi gli atti per i quali si sia reso necessario procedere a porte chiuse. Il comma 4 del corrispondente testo del Progetto del 1978 e' stato abolito, poiche' la previsione non sembra necessaria, ricavandosi agevolmente dal contesto. Mentre l'articolo 468 e' rimasto identico all'art. 451 del Progetto del 1978, l'articolo 469, sull'allontanamento coattivo, e' stato modificato per riprodurre la norma introdotta nel codice vigente (art. 434) dalla l. 18 maggio 1978, n. 191. Nel nuovo comma 3, tuttavia, non e' stata riportata testualmente la disciplina in vigore. In primo luogo e' stato conservato il potere esclusivo del giudice di adottare il provvedimento: cio' ha escluso ogni potere in capo al pubblico ministero, non esente, oggi, da problemi di costituzionalita'. E' stato poi eliminato l'automatismo in virtu' del quale l'allontanamento dell'imputato riammesso su sua richiesta deve in ogni caso essere definitivo. Si e' pertanto previsto che il giudice abbia un potere discrezionale di disporre l'allontanamento definitivo (anche in ragione dell'entita' e della frequenza delle turbative), a partire dal primo allontanamento dopo la riammissione. E' sembrato anche opportuno unificare la nomenclatura: si e' cosi' definito " allontanamento " soltanto quello, tendenzialmente provvisorio, dell'imputato; ed " espulsione " l'allontanamento definitivo con divieto di partecipare ulteriormente all'udienza, riferito tanto all'imputato che alle persone del pubblico. Anche in caso di espulsione, l'imputato deve essere riammesso non solo per rendere le dichiarazioni finali, ma anche per essere sottoposto ad esame (art. 496), il quale avviene solo dietro sua richiesta o col suo consenso, e rappresenta un diritto che non puo' essere limitato. Nell'articolo 470, per i reati commessi in udienza, al comma 1 e' stato sostituito l'inciso " nelle forme ordinarie ", che figurava nel Progetto del 1978 (art. 453), con " a norma di legge ", perche' fosse chiaro che possono applicarsi anche i riti direttissimo e immediato. Inoltre, la direttiva 74 prevede espressamente il divieto di arresto in udienza del falso testimone. Si e' ritenuto opportuno tradurre la direttiva in una norma specifica (comma 2), anche se il divieto di arresto potrebbe, allo stato, ricavarsi dal sistema, posto che la falsa testimonianza non e' compresa fra i reati per i quali e' consentito l'arresto in flagranza. Gli articoli 471 e 472 sono rimasti identici ai corrispondenti articoli del Progetto del 1978, mentre agli articoli 473 e 474 sono state apportate soltanto modifiche terminologiche. Nell'articolo 475 e' stato eliminato l'obbligo di trascrivere a verbale le ragioni poste dalle parti a fondamento delle proprie richieste e conclusioni (v. art. 458 del Progetto del 1978), che costituirebbe una notevole perdita di tempo, oltre tutto di dubbia utilita'. La verbalizzazione puo' essere sostituita da eventuali memorie scritte presentate dalle parti: a questo scopo e' stato modificato il comma 1 dell'articolo 476. Il potere di presentare memorie scritte, in ogni stato e grado, deriva dalla regola generale dell'art. 120: in questa sede la regola viene ribadita per il caso specifico, e si precisa che le eventuali memorie vanno allegate al verbale e ne seguono la sorte. L'articolo 477, nella parte concernente la trascrizione del verbale (comma 2), e' stato adeguato alla scelta di considerare come mezzo ordinario di verbalizzazione, particolarmente per il dibattimento, la stenotipia. Si vedano in proposito gli artt. 133, 135, 138. CAPO II ATTI INTRODUTTIVI La disposizione relativa alla " costituzione delle parti " (articolo 478) riproduce, nel comma 1, il testo del Progetto del 1978. Il comma 2 e' stato, invece, modificato per adeguare la normativa alla nuova disciplina relativa alla nomina del difensore (prevista dall'art. 96). La disciplina dettata negli articoli 479 , 480 e 481, concernenti la rinnovazione della citazione, l'impedimento a comparire dell'imputato o del difensore e la contumacia, costituisce il frutto di un meditato e non agevole sforzo volto a ricondurre in chiave sistematica evenienze processuali in varia misura raccordate, ma pur sempre eterogenee, al precipuo scopo di configurare una equilibrata ed armonica normativa che da un lato assicuri l'effettiva partecipazione dell'imputato alla fase centrale del processo e, dall'altro, consenta di pervenire celermente alla celebrazione del dibattimento, scoraggiando il ricorso ad espedienti dilatori. L'elaborazione della accennata disciplina, profondamente innovativa rispetto al vigente regime, ha, come e' ovvio, inteso rappresentare il momento attuativo delle disposizioni, anch'esse nuove, contenute nella legge-delega, pur se talune apparenti antinomi e ivi riscontrate hanno comportato la necessita' di armonizzare fra loro le singole previsioni, in sintonia, anche, con quegli istituti processuali che di quelle previsioni costituiscono il naturale corollario. La direttiva 77 della legge-delega prevede, infatti, " l'obbligo di sospendere o rinviare il dibattimento quando risulti che l'imputato o il difensore sono nell'assoluta impossibilita' di comparire per legittimo impedimento ". A sua volta, la direttiva 82 sancisce " il potere-dovere del giudice del dibattimento... di disporre che sia rinnovata la notificazione del decreto di citazione, quando risulta o deve ritenersi che l'imputato... non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore ". Da un lato, quindi, l'assoluta impossibilita' di comparire per legittimo impedimento e' in se' causa di sospensione o rinvio del dibattimento, ma comporta l'obbligo di rinnovare la citazione ove l'impossibilita' medesima sia dipesa da caso fortuito o forza maggiore; ipotesi, queste ultime, che a ben guardare finiscono per rappresentare null'altro che una species del piu' ampio genus. Sotto altro profilo, poi, mentre l'impossibilita' di comparire per legittimo impedimento trova ingresso delibativo solo ove la stessa " risulti " dagli atti, il caso fortuito e la forza maggiore non richiedono un presupposto probatorio tanto cogente, essendo rimesso al giudice un apprezzamento valutativo anche su dati acquisiti aliunde, come il fatto notorio. Alla impossibilita' di comparire dell'imputato e' poi perequata quella del difensore; ma per quest'ultimo la previsione del delegante si limita a stabilire l'obbligo della sospensione o del rinvio del dibattimento, restando esclusa la diversa disciplina prevista per il caso di mancata comparizione dell'imputato dovuta a caso fortuito o forza maggiore. La necessita' di armonizzare le direttive di cui si e' fatto cenno, ha tratto, infine, ulteriore ragione d'essere dall'eterogeneo concorrere di evenienze dalle quali, pure, il delegante ha fatto scaturire medesime conseguenze processuali. Accanto, infatti, alla ipotesi della mancata comparizione per caso fortuito o forza maggiore, la direttiva 82 prevede l'obbligo di rinnovare la citazione anche "... quando risulta o deve ritenersi che l'imputato non ne abbia avuto conoscenza per cause diverse dalla inosservanza di quanto disposto dal numero 81 ". Il rapporto tra i due presupposti, il primo oggettivo ed il secondo meramente subiettivo, ha comportato, quindi, la previsione di una calibrata disciplina tesa a semplificare il non agevole sistema prefigurato dalla delega, ed in cio' si e' privilegiato un criterio di scansione logico-temporale delle evenienze processuali, evitando il ricorso ad una esasperata casistica, difficilmente riconducibile a sistema. Sotto un diverso ordine di considerazioni ed in forza dell'alinea dell'art. 2 della legge- delega - secondo il quale il nuovo codice dovra' adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia, relative ai diritti della persona e al processo penale - il riesame della vigente disciplina della contumacia ha necessariamente tenuto conto delle previsioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nonche' delle raccomandazioni contenute nella nota Risoluzione n. 11 del 1975 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa. Quest'ultima, infatti, nel trattare proprio della contumacia, detta nove " regole minime " dimostrando in tal modo di ritenere ammissibile il giudizio senza la presenza dell'imputato, purche' circondato da numerose garanzie. In particolare, nell'anzidetta risoluzione si richiamano, fra le altre, le regole della citazione tempestiva, del rinvio in caso di mancata comparizione dell'imputato che non risulti essersi volontariamente sottratto alla giustizia, dell'esigenza dell'avvertimento circa le conseguenze del suo mancato intervento, del rinvio del dibattimento in caso di indispensabilita' della comparizione o di legittimo impedimento, della presenza del difensore, della procedura dibattimentale usuale, della notificazione della sentenza, del ricorso contro di essa, di un nuovo giudizio in caso di assenza non giustificata ma tardivamente comprovata per impossibilita' dell'imputato. Regole, quelle teste' riferite, che possono ritenersi esaurientemente soddisfatte dalle norme che di seguito si analizzano, nonche' dalle modifiche apportate alla disciplina della rinnovazione del dibattimento in grado di appello ed alla restituzione in termini. L'articolo 479 prevede l'obbligo di rinnovare la citazione a giudizio quando e' provato o appare probabile che l'imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza. Due le eccezioni al principio: la prima riguarda il caso in cui la mancata conoscenza sia dipesa da fatto colpevole dell'imputato; la seconda, in qualche misura correlata alla prima, concerne le ipotesi in cui la notificazione sia stata eseguita mediante consegna al difensore per omessa, insufficiente o inidonea dichiarazione o elezione di domicilio, malgrado l'avvertimento del giudice, ovvero, nel caso dell'imputato all'estero, malgrado l'invito contenuto nella raccomandata. Deroghe, quelle da ultimo menzionate, espressamente previste dalla legge-delega che, alla direttiva 82, fa salva l'ipotesi di " inosservanza di quanto disposto dal numero 81 " che, per l'appunto, stabilisce la " previsione che l'imputato debba dichiarare o eleggere il proprio domicilio e tempestivamente comunicare alla autorita' che procede le relative variazioni ". Ulteriore eccezione, a se' stante, riguarda il caso dell'imputato irreperibile. Per quest'ultimo, a stretto rigore, la conoscenza effettiva della citazione a giudizio rappresenta una evenienza del tutto ipotetica. Tuttavia, e' apparso irragionevole prevedere in tal caso l'obbligo della rinnovazione della citazione, posto che ne sarebbe scaturito un regime di sostanziale paralisi processuale, dovendo la nuova citazione essere notificata col rito degli irreperibili (espressamente previsto nella direttiva 80) con la ineluttabile conseguenza di una ulteriore citazione, e cosi' via all'infinito. D'altra parte, l'estrema articolazione e puntualita' del nuovo regime delle ricerche previsto dall'art. 159, consente di prevedere che nel futuro assetto processuale l'ipotesi dell'imputato irreperibile debba essere riguardata come evento eccezionale, peraltro adeguatamente assistito, sul piano delle garanzie, dalla disciplina, particolarmente ampia, stabilita in materia di restituzione in termini. In attuazione della direttiva 82, e' stato previsto che il giudice debba disporre la rinnovazione della citazione non solo quando e' provato, ma anche quando appare probabile che l'imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza; tuttavia, mentre in ordine a siffatta probabilita' si e' tenuta ferma la libera valutazione del giudice che non puo', quindi, dar luogo ad impugnazioni, si e' escluso che tale libera valutazione possa trovare luogo in ordine all'apprezzamento della prova circa la mancata conoscenza della citazione da parte dell'imputato. L'articolo 480 disciplina le varie ipotesi di impedimento a comparire dell'imputato o del difensore, partitamente esaminate in rapporto ai soggetti presi a riferimento ed ai vari momenti in cui tali evenienze vengono a verificarsi: soggetti e momenti in relazione ai quali e' apparso necessario prevedere regimi differenziati. Si e' gia' accennato, infatti, che la legge-delega prefigura un complesso meccanismo secondo il quale se " risulta " che l'imputato o il difensore sono nella assoluta impossibilita' di comparire per legittimo impedimento, il dibattimento deve essere sospeso o rinviato; qualora, invece, " risulta o deve ritenersi " che l'imputato non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore, il giudice dispone la rinnovazione del decreto di citazione. Tenuto conto, peraltro, che la mancata comparizione dell'imputato alla prima udienza comporta la necessita' di stabilire una disciplina omogenea in tutti i casi di impedimento legittimo, si e' ritenuto sistematicamente corretto e conforme allo spirito della delega prevedere comunque la rinnovazione della citazione, anche se l'impedimento stesso non sia dipeso da caso fortuito o forza maggiore. In analogia a quanto stabilito nell'art. 479 e sempre in ossequio alla direttiva 82, e' stato previsto, al comma 2, che la rinnovazione della citazione venga disposta anche quando appaia probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta a caso fortuito o forza maggiore, precisandosi, peraltro, che tale probabilita' deve essere liberamente valutata dal giudice e non puo' formare oggetto di discussione successiva, ne' motivo di impugnazione. In altri termini e come gia' si e' fatto cenno, mentre al giudice si e' attribuito il potere discrezionale di tener conto di quei fatti notori che possono far ritenere " probabile " un impedimento dell'imputato, quale puo' essere il caso in cui si siano verificate calamita' naturali nel luogo ove egli risiede, si e' invece eliminata ogni discrezionalita' in ordine all'apprezzamento della prova fornita dall'imputato circa il suo impedimento, di tal che una erronea valutazione della medesima puo' formare oggetto di censura in sede di impugnazione. Logico corollario e' quanto espressamente previsto nel comma 4 del successivo art. 481, ove si stabilisce che l'ordinanza dichiarativa della contumacia e' nulla se al momento della pronuncia vi e' la prova che l'assenza dell'imputato e' dovuta a caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. Diversa e', ovviamente, la disciplina nel caso in cui l'impedimento dell'imputato si sia verificato nelle udienze successive: stabilisce, infatti, il comma 3 che in tale ipotesi il giudice sospende o rinvia il dibattimento, fissando con ordinanza la data della nuova udienza. Regime, quello descritto, che ben si coniuga con la sentenza della Corte costituzionale 1 febbraio 1982, n. 9, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 428 c.p.p. nella parte in cui non consente la sospensione o il rinvio del dibattimento ove l'imputato, gia' interrogato, si astenga dal comparire o si allontani dall'udienza per legittimo impedimento. Circa gli effetti che scaturiscono dalla lettura dell'ordinanza, il comma 4 detta poi disposizioni che rappresentano una specificazione della disciplina prevista dall'art. 148 in tema di avvisi de praesenti. Quando, infine, l'impedimento riguarda il difensore, il comma 5 stabilisce che il giudice sospende o rinvia il dibattimento, salvo tre ipotesi che rappresentano altrettante deroghe. La prima si verifica allorche' l'imputato e' assistito da due difensori e l'impedimento riguarda uno solo dei medesimi; la seconda ricorre quando il difensore impedito ha designato un sostituto e la terza concerne l'ipotesi in cui l'imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito. Deroghe correlate, le prime due, alla non incidenza dell'impedimento in modo tale da escludere l'effettiva assistenza dell'imputato e la seconda alla volonta' di quest'ultimo di non differire la celebrazione del dibattimento, al cui solerte esito puo' avere preminente interesse, specie se in stato di custodia cautelare. L'articolo 481 disciplina l'istituto della contumacia delineandolo sulla falsariga delle omologhe disposizioni del vigente codice di rito, pur se con talune rilevanti modifiche. Fermi, infatti, i presupposti che legittimano il giudizio contumaciale, cosi' come il tradizionale principio che l'imputato contumace e' rappresentato nel dibattimento dal difensore, e' stato introdotto un regime differenziato che prende a riferimento le varie ipotesi di comparizione tardiva. Qualora, infatti, l'imputato compaia prima della decisione (e non prima della discussione finale come invece stabilito dal vigente art. 501 c.p.p.) e' stata prevista la revoca della ordinanza dichiarativa della contumacia e la facolta' per l'imputato medesimo di rendere le dichiarazioni previste dall'art. 488. In tal modo alla presenza fisica e' sembrato ragionevole far conseguire l'effetto tipico, evitando la notifica dell'estratto contumaciale. Se la comparizione avviene, invece, prima della discussione finale, l'imputato gia' dichiarato contumace potra' inoltre chiedere di essere sottoposto all'esame: tuttavia, al fine di evitare possibili condotte dilatorie, e' stato previsto che in nessun caso il dibattimento possa essere sospeso o rinviato a causa della comparizione tardiva. Come gia' si e' rilevato, il comma 4 stabilisce che l'ordinanza dichiarativa della contumacia e' nulla se, al momento della pronuncia, vi e' la prova che l'assenza dell'imputato e' dovuta ad una delle cause " giustificatrici " previste dagli artt. 479 comma 1 e 480 comma 1. Ove la prova stessa pervenga al giudice in un momento successivo alla pronuncia dell'ordinanza ma antecedente alla decisione e sempre che il ritardo non sia dipeso da fatto colpevole dell'imputato, stabilisce il comma 5 che quest'ultimo possa chiedere e il giudice disporre l'assunzione o la rinnovazione degli atti che siano ritenuti rilevanti ai fini della decisione, ferma restando la validita' degli atti precedentemente compiuti. In altri termini, le situazioni di fatto che legittimerebbero la restituzione in termini e la rinnovazione del dibattimento in appello, determinano nel corso del giudizio di primo grado un sistema di adeguate garanzie senza peraltro travolgere l'attivita' pregressa, pur sempre legittimamente compiuta. L'articolo 482 prevede le ipotesi dell'assenza e dell'allontanamento volontario dell'imputato, stabilendo che la disciplina della contumacia e dell'impedimento a comparire non trovano applicazione se l'imputato, anche se impedito, chiede o consente che il dibattimento avvenga in sua assenza ovvero si allontana dall'aula di udienza dopo essere comparso o evade. Quanto alla prima ipotesi, non vi sono ragioni per consentire al giudice di disattendere la richiesta dell'imputato di procedere in sua assenza, salvi i casi tassativamente previsti dall'art. 131. D'altra parte, le situazioni dell'imputato impedito che consenta tuttavia il giudizio o del detenuto che rifiuti di assistervi, non sono in sostanza diverse, sotto il profilo che qui interessa, da quella dell'imputato che non si presenti al dibattimento. Non vi e' dunque spazio per una previsione che imponga limiti piu' rigorosi all'esercizio della generale facolta' dell'imputato di non presenziare al giudizio. L'articolo 483 mira ad attuare l'ultima parte della direttiva 82 che stabilisce l'obbligo nelle fasi successive all'appello - ove e' prevista la rinnovazione del dibattimento - " inclusi il giudizio di cassazione e quello di revisione, nonche' nella fase di esecuzione, di assicurare l'interrogatorio da parte di un magistrato all'imputato o condannato gia' dichiarato contumace che non abbia avuto notizia del procedimento a proprio carico. A tal fine si prevede che le dichiarazioni dell'imputato vengano assunte in forma garantita dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura, qualora penda il giudizio di cassazione e dal magistrato di sorveglianza negli altri casi. L'articolo 484 individua, come si e' visto, il limite alla facolta' dell'imputato di non presenziare al dibattimento e prevede il potere del giudice di disporne l'accompagnamento coattivo, ove questo sia possibile, nei casi e secondo la disciplina previsti dall'art. 131. Il " nuovo " comma 2 dell'articolo 485 annovera fra le possibili questioni preliminari quelle relative al " contenuto del fascicolo per il dibattimento ". Anche dette questioni debbono essere proposte, a pena di decadenza, nei termini previsti dal comma 1. A completare la disciplina provvede il comma 4 con la prescrizione circa il potere del giudice in merito all'acquisizione e all'eliminazione degli atti. La norma relativa alla " dichiarazione di apertura del dibattimento " (articolo 486) e' identica alla corrispondente disposizione del Progetto del 1978. La " novita' " introdotta nella disposizione relativa all'" esposizione introduttiva " (articolo 487) attiene alla possibilita', riconosciuta alle parti, di richiedere l'acquisizione di prove non indicate tempestivamente nelle " liste ". La deroga alla regola fissata dall'art. 462 e' consistente. Una rigida preclusione sarebbe stata, d'altronde, inconcepibile: le aperture nelle fitte maglie dell'art. 462 sono apparse percio' indispensabili, magari con talune cautele, come e' appunto quella che impone alla parte l'onere di dimostrare di non avere potuto tempestivamente indicare le prove. Si e' registrata qualche perplessita' sul mantenimento dell'articolo 488, ma si e' tuttavia ritenuto di dover conservare la norma per l'importante funzione di autodifesa che la relativa prescrizione serve a garantire. Con un duplice limite: che le " dichiarazioni " si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e che non intralcino l'istruzione dibattimentale. L'articolo 489 ha subito due sole modifiche rispetto alla formulazione del Progetto del 1978 (art. 470): a) e' stata eliminata l'ipotesi d'inammissibilita' delle prove " non previste dalla legge ", per le modifiche intervenute nelle disposizioni generali in tema di tassativita' dei mezzi di prova; b) e' stata sostituita l'espressione " prove rilevanti " con la piu' incisiva espressione " prove manifestamente irrilevanti ", con il chiaro intento di rendere ancor piu' limitata la possibilita' di " rifiutare " l'ammissione delle prove nella fase introduttiva. Nella nozione di " irrilevanza ", rientra naturalmente sia il concetto di " estraneita' " sia quello di " superfluita' ". CAPO III ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE Le disposizioni del capo III (sull'istruzione dibattimentale) concernono, anzitutto, gli atti preliminari all'esame dei testimoni (articolo 490). La sola modifica apportata alla corrispondente norma del Progetto del 1978 afferisce all'ordine di assunzione dei testimoni: va in ogni caso rispettata la " precedenza " nell'esame dei testimoni di accusa. Gli artt. 491, 492 e 493 sono dedicati all'esame testimoniale e alle condizioni da osservare nel porre le domande e per muovere le contestazioni. Veramente opportuna appare la disposizione del comma 1 dell'articolo 491: l'esame deve svolgersi mediante domande su fatti specifici, onde evitare che lo stesso si risolva nella mera " ripetizione " di una testimonianza, predisposta nel suo complesso, e per consentire un " efficace " controinterrogatorio. Le altre regole attengono al potere di direzione del presidente del collegio nel corso dell'esame: di qui i divieti in ordine alle domande " che possono nuocere alla sincerita' delle risposte "; di qui il controllo per un'escussione " che non leda il rispetto della persona "; di qui le caute autorizzazioni " a consultare documenti in aiuto alla memoria "; di qui infine la possibilita' d'intervento, prevista nel comma 6 a chiusura di una disciplina, tutta da sperimentare. Il comma 1 dell'articolo 492 riproduce il testo della corrispondente norma del Progetto del 1978. Il comma 2 introduce, invece, una sensata innovazione circa l'esame testimoniale del minorenne. In base alla nuova disposizione l'esame e' condotto dal presidente " su domande e contestazioni proposte dalle parti ". Potra' proseguire, pero', con domande e con contestazioni direttamente effettuate dalle parti, se queste modalita' dell'esame non incidano sulla " serenita' del teste ". A rendersene conto dovrebbe essere proprio il presidente del collegio, che ha " iniziato " l'esame. La possibile revoca dell'ordinanza varrebbe, comunque, a garantire il minore e la sua testimonianza. L'articolo 493 regola la facolta' delle parti in ordine alle contestazioni, specifica il potenziale probatorio delle stesse e precisa i limiti entro i quali talune dichiarazioni, utilizzate per le contestazioni, sono acquisibili nel fascicolo per il dibattimento. Questi i punti fermi di una disciplina che la pratica giudiziaria " perfezionera' " in tutta la sua complessa articolazione: a) le contestazioni " seguono " alla deposizione del teste; b) si basano sulle dichiarazioni rese dallo stesso nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare; c) possono essere mosse dalla parte " leggendo " la precedente dichiarazione; d) non possono essere il surrettizio tramite di una " prova " basata sui fatti affermati nella " dichiarazione ". Solo alcune di queste dichiarazioni (specificamente indicate nel comma 4 dell'art. 493) sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento ed assumono piena efficacia probatoria. Sempre che le stesse siano state pero' utilizzate per le contestazioni. Gli articoli 494 e 495 riproducono il testo del Progetto preliminare del 1978. Non e' stata invece riproposta la disposizione gia' contenuta nel comma 3 dell'art. 474 del Progetto del 1978, per il suo contenuto assolutamente pleonastico. La disposizione normativa sull'esame delle parti private (articolo 496) e' stata modificata in qualche essenziale punto: a) e' stata espressamente prevista l'ipotesi dell'esame " consentito " dalla parte privata (in seguito alla richiesta del pubblico ministero); b) vige anche per l'esame delle parti private la regola della possibile acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese al pubblico ministero (alle quali il difensore aveva il diritto di assistere). La disposizione relativa alla " decisione sulle eccezioni " e' rimasta invariata (articolo 497). L'articolo 498 attua la direttiva 39 della legge-delega. La norma riconosce alla persona offesa non costituita parte civile e alle associazioni o agli enti intervenuti nel processo ex art. 92: a) la facolta' di chiedere al presidente del collegio " di rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici e alle parti private che si sono sottoposte a esame "; b) la facolta' di chiedere al giudice " l'ammissione di nuovi mezzi di prova ". I poteri del presidente in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private (articolo 499) appaiono improntati ad una piu' marcata immediatezza. L'indicazione dei " temi di prova nuovi o piu' ampi " puo' dipendere solo dai " risultati delle prove assunte nel dibattimento " o dalle " letture disposte a norma degli articoli 504, 505 e 506 ". Non puo' discendere, cioe', dalla valutazione di atti non formatisi al dibattimento (in base ad un paradigma ipotizzato anche dal Progetto del 1978). E' stato poi riformulato il comma 2 per adeguare la norma alla direttiva 73 della legge-delega, che non frappone alcun limite al potere di domanda del presidente. A differenza del Progetto del 1978, che circoscriveva questo potere nell'ambito del tema di prova nuovo o piu' ampio, precedentemente indicato. Pure l'articolo 500 (" Ammissione di nuove prove ") risulta ispirato all'innovazione introdotta dalla direttiva 73 della legge-delega, che concede al giudice piu' ampi poteri di iniziativa probatoria, rispetto al testo della precedente legge-delega del 1974. Gli articoli 501 , 502 e 503 riproducono, salvo qualche marginale modifica, il testo delle corrispondenti disposizioni del Progetto del 1978. Non sono stati riproposti l'ultima parte dell'art. 480 (ora 502) (perche' il comma 3 dell'art. 471 disciplina, in via generale, la materia degli " avvisi " effettuabili al dibattimento) e il comma 3 dell'art. 481 (ora 503) (giacche' la lettura determina, di per se', l'utilizzabilita' dell'atto). La disposizione che disciplinava la redazione del verbale (art. 481 comma 4 del Progetto del 1978) non e' stata riproposta perche' ripeteva una prescrizione contenuta nelle disposizioni generali in tema di verbalizzazione degli atti. E' stato invece esplicitato il potere di vigilanza che su tali atti spetta al presidente del collegio. Anche la previsione dell'art. 482 del Progetto del 1978 non viene riproposta perche' risulta chiaramente ricompresa nella disciplina generale sulla verbalizzazione degli atti. L'articolo 504 contiene una compiuta regolamentazione delle " letture consentite ". Con riferimento alla tipologia degli atti: e' sempre consentita la lettura, integrale o parziale, degli atti inseriti nel fascicolo per il dibattimento. In relazione ai " tempi " della lettura: necessariamente successivi all'esame del testimone o della parte privata. Riguardo ai limiti di utilizzazione di talune letture: particolarmente rilevanti quando afferiscono alle " denunzie " o alle " querele ". In merito agli " equipollenti " alle letture: filtrati attraverso lo sperimentato modello dell' "indicazione " degli atti utilizzabili per il giudizio. Con riferimento, infine, ai soggetti legittimati a richiedere la lettura e al significato di queste richieste, in relazione ai diversi tipi di atti (dichiarazioni od altro). Non e' sembrato opportuno inserire una specifica disposizione concernente gli atti allegati al fascicolo a norma degli artt. 493 comma 4 e 496 comma 5, stante che tali atti sono gia' acquisiti al dibattimento e, per la previsione dell'art. 519, sono pienamente utilizzabili ai fini della decisione. La disposizione consacrata nell'articolo 505 scioglie due essenziali nodi dell'acquisizione dibattimentale della prova. La norma riconosce piena efficacia probatoria agli atti assunti dal pubblico ministero, di cui e' sopravvenuta un'assoluta impossibilita' di ripetizione: a " tutti " gli atti del pubblico ministero, non essendovi validi motivi per ridurre la categoria degli atti utilizzabili in chiave probatoria (secondo un'impostazione caldeggiata da una parte della Commissione). Ma i problemi evocati dalla norma non sono soltanto questi. L'ipotesi che l'art. 505 possa essere usato dopo aver accuratamente " evitato " l'alea dell'incidente probatorio, non e' peregrina. Manovre del genere verrebbero, pero', facilmente scoperte se l'impossibilita' di ripetere l'atto al dibattimento fosse stata " prevedibile " nel corso delle indagini preliminari. L'articolo 506 disciplina, anzitutto, il caso in cui l'" impossibilita' sopravvenuta " di cui alla direttiva 76 della legge-delega sia costituita dall'indisponibilita' dello stesso imputato all'esame (dopo le dichiarazioni rese al pubblico ministero o al giudice dell'udienza preliminare). La lettura dei verbali e delle dichiarazioni precedentemente rese non puo' essere disposta d'ufficio bensi', a richiesta di una qualsiasi delle parti (anche dello stesso imputato): non e' apparsa giustificata la particolare posizione che l'art. 485 del Progetto del 1978 riconosceva al pubblico ministero, in ordine alla facolta' di introdurre la prova. Regole specifiche valgono, poi, per l'ipotesi di dichiarazioni rese nei confronti del coimputato dello stesso reato o di un reato connesso. La necessita' di derogare in tale ipotesi alla disciplina generale dettata dall'art. 210 nasce dall'intento di evitare che si possa invocare la regola ivi prevista dell'inutilizzabilita' delle dichiarazioni contra se: se e' comprensibile che cio' accada con riferimento a processi separati, non sembra praticabile nell'ambito dello stesso processo. L'articolo 507 riproduce, salvo marginali modifiche, la disposizione di chiusura prevista nell'art. 486 del Progetto del 1978, che riafferma la regola del divieto di " letture " non espressamente consentite. La previsione relativa al significato da attribuire alla lettura dei verbali di querela e di istanza non viene riproposta in questa sede, perche' meglio collocata nell'art. 504 comma 3. Viene riaffermato anche il principio del divieto di lettura della documentazione e degli atti di polizia giudiziaria, contenuto nell'art. 486 comma 4 del Progetto del 1978 senza riferimento alle attivita' compiute " di propria iniziativa della polizia giudiziaria ". L'espressa indicazione di divieto solo per tali atti avrebbe potuto essere intesa come possibilita' di lettura di tutta la documentazione e di tutti i verbali delle " attivita' delegate " alla polizia giudiziaria, anche al di fuori delle ipotesi consentite dagli artt. 504, 505 e 506. Non e' stato, invece, riproposto l'art. 487 del Progetto del 1978, in quanto sono cadute le disposizioni ad esso logicamente sovraordinate (gli artt. 406 e 426 del Progetto stesso), che prevedevano poteri di indagine sulla personalita' dell'imputato. L'esigenza di riordinare in modo parzialmente diverso gli atti del dibattimento sta alla base della diversa formulazione dell'articolo 508 rispetto all'art. 488 comma 1 del Progetto del 1978. A suggerirla e' stata l'esistenza stessa di un fascicolo per il dibattimento. Di un fascicolo, cioe', che deve raccogliere gli atti che ne costituiscono l'originaria ossatura o che vi vengono " allegati " in seguito alle " contestazioni "; ma che deve raccogliere anche gli altri atti letti al dibattimento e i documenti ammessi durante il suo svolgimento. Non e' stato invece riproposto il comma 2 dello stesso art. 488. La regola ivi espressa del divieto di allegazione e di utilizzazione ai fini della decisione dei verbali degli atti di cui e' vietata o non e' stata data lettura e' apparsa superflua. La prescrizione emerge in modo chiaro dalla correlazione tra le disposizioni relative alle " letture " e la previsione (art. 519), che impone al giudice di non utilizzare per la decisione prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento. CAPO IV NUOVE CONTESTAZIONI La modifica dell'imputazione nel dibattimento era gia' prevista dal Progetto del 1978, sulla base di una direttiva, per la verita', piuttosto generica (direttiva 50 della delega del 1974). L'innovazione piu' importante era rappresentata dal potere del pubblico ministero di richiedere la contestazione in dibattimento del fatto " diverso " (art. 489): l'intento, secondo la Relazione, era di attribuire maggior valore alla fase dibattimentale, rafforzando il divieto di retrocessione a fasi antecedenti. L'art. 491 inoltre ammetteva, con il consenso dell'imputato, anche il giudizio sul fatto " nuovo " che fosse risultato nel corso del dibattimento. Tale orientamento risulta in linea di massima confermato dalla direttiva 78 della delega del 1987, a partire dal testo approvato dal Comitato ristretto della Commissione giustizia della Camera (" previsione del potere del pubblico ministero di chiedere e del giudice di disporre la modificazione dell'imputazione e nuove contestazioni "). La direttiva non puo' evidentemente riferirsi alla sola contestazione suppletiva, per l'aggiunta dell'inciso sulla modifica dell'imputazione. Il testo licenziato dalla Camera e' stato emendato, al Senato, sia dal Comitato ristretto della Commissione giustizia che in assemblea. Il primo intervento riguarda la posizione del pubblico ministero: non si parla piu' di richiesta (al giudice) ma del potere di " procedere " alla modifica. Sempre dal Comitato ristretto sono state meglio distinte le due ipotesi, modifica dell'imputazione e nuove contestazioni. La " previsione di adeguate garanzie per la difesa " e' invece frutto di un emendamento del Governo approvato in aula. Poiche' la direttiva 78 attribuisce al pubblico ministero il potere di procedere direttamente alla contestazione, che non deve piu' passare attraverso il giudice, l'art. 489 del Progetto del 1978 (ora articolo 509) e' stato modificato di conseguenza, e anche la rubrica e' stata conformata alla nomenclatura usata dalla delega. Sull'operato del pubblico ministero resta comunque il controllo a posteriori del giudice, che dovra' verificare, fra l'altro, la propria competenza. Il riferimento all'" istruzione dibattimentale " intende sottolineare che la contestazione al dibattimento resta fluida, essendo l'indagine preliminare volutamente incompleta, mentre dopo l'escussione delle prove il pubblico ministero e' in grado di confermare definitivamente l'accusa o modificarla. Anche la contestazione suppletiva, di cui all'articolo 510, e' stata conformata ai criteri seguiti nell'art. 509. Come nel Progetto del 1978, la contestazione puo' riguardare, oltre l'aggravante, solo il reato in concorso formale con quello per cui si procede; e' sembrato pero' piu' opportuno un riferimento interno al codice di procedura penale (art. 12 comma 1 lettera b), anziche' un rinvio al codice penale. La delega non contempla la possibilita' di contestare, oltre al fatto diverso, il fatto nuovo (fuori dei casi di contestazione suppletiva), dato che le " nuove contestazioni " debbono essere, come si e' visto, " inerenti ai fatti oggetto di giudizio ", mentre nel concetto di " modifica dell'imputazione " non puo' ricomprendersi l'aggiunta di ulteriori accuse. L'articolo 511, sostanzialmente identico alla corrispondente norma del Progetto del 1978, prevede la contestazione solo con il consenso dell'imputato e subordinatamente alla speditezza del processo (al riguardo, l'autorizzazione del presidente sottintende un vero e proprio potere discrezionale): in ogni altro caso il pubblico ministero procede nelle forme ordinarie. Tale disciplina sembra pertanto conforme alla volonta' della delega. Come si e' accennato, la direttiva 78 impone la previsione di adeguate garanzie per la difesa, riservandone peraltro la determinazione al legislatore delegato. Lo strumento classico della concessione di un termine, a richiesta dell'imputato, era gia' previsto nel Progetto del 1978; per rafforzare la garanzia (come sembra doveroso, stante l'esplicita prescrizione al riguardo) e' parso opportuno equiparare il termine di cui all'articolo 512 a quello per comparire in giudizio. Si e' inoltre espressamente richiamato il potere dell'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove, anche se sull'applicabilita' dell'art. 500 non avrebbero dovuto, comunque, esistere dubbi. Il richiamo e' tuttavia parso utile, sia per escludere possibili interpretazioni restrittive, sia per sottolineare che tale facolta' compete anche in caso di rinuncia al termine a difesa, col conseguente dovere del giudice di sospendere il dibattimento (eventualmente per un periodo di tempo inferiore) ai sensi dell'art. 502. L'articolo 513 prevede la contestazione all'imputato contumace o assente, confermando il sistema della notifica per estratto. Dal momento che non e' piu' il presidente che provvede alla contestazione, la procedura e' stata semplificata. Il pubblico ministero si limita a chiedere al presidente che sia disposta la notifica del verbale contenente gli estremi della contestazione (indicati dal pubblico ministero medesimo nella richiesta). L'articolo 514 corrisponde all'art. 477 del codice vigente, che non era stato riprodotto nel Progetto del 1978. Nel comma 1 e' stato espressamente riconfermato il potere del giudice di modificare nella sentenza la qualificazione giuridica del fatto, potere che nel precedente Progetto era rimasto solo sottinteso. Non si e' dunque prevista una correlazione obbligatoria fra la decisione sul tema giuridico dell'accusa e le conclusioni del pubblico ministero: cio' indubbiamente sacrifica in qualche misura le esigenze della difesa, in particolare per il caso che la diversa qualificazione giuridica implichi una pena piu' grave. Si e' tuttavia ritenuto di confermare la regola tradizionale, considerato che le richieste del pubblico ministero, anche nel nuovo sistema, non sono vincolanti per il giudice, che puo' pronunciare extra petita. In tale contesto, le alternative avrebbero potuto essere una disciplina costruita in modo analogo a quella concernente la contestazione del fatto diverso (iniziativa del pubblico ministero, termine a difesa, eventuale trasmissione degli atti); ovvero la previsione di un dovere del giudice di rendere nota preventivamente la decisione di modificare la qualificazione giuridica, consentendo la discussione sul punto. Entrambe le soluzioni avrebbero pero' comportato un dispendio di attivita' probabilmente eccessivo, e il rischio, in pratica, di indurre il giudice a conformarsi in ogni caso al nomen iuris contestato. Come termine di confronto viene indicata, genericamente, l'imputazione: non e' parso necessario specificare in dettaglio gli atti che ne costituiscono il veicolo, proprio perche' il giudice non ne risulta comunque vincolato. E' stato anche mantenuto il limite riguardante l'incompetenza, negli stessi termini in cui viene espresso dal codice vigente: con la conseguenza che non si tiene conto, a questi fini, della incompetenza per eccesso. Il comma 2 dell'art. 514 e' stato introdotto (sul modello dell'art. 477 comma 2 del codice vigente) per l'ipotesi che il fatto risulti diverso ma non venga contestato in dibattimento. La Relazione al Progetto del 1978 concludeva che in tal caso il giudice dovesse pronunciare sentenza di assoluzione e che spettasse poi al pubblico ministero procedere nelle forme ordinarie. La soluzione sarebbe adeguata nel caso di " fatto nuovo ", ma porterebbe a conseguenze eccessive nel caso di " fatto diverso ", poiche' la sentenza sarebbe destinata a passare in giudicato e quindi a precludere una nuova azione penale ai sensi dell'art. 640. In pratica, si renderebbe il pubblico ministero, in caso di inerzia, arbitro del risultato del processo (si veda il Parere sul Progetto del 1978): situazione che risulterebbe perfettamente conseguente solo in un sistema imperniato sulla disponibilita' dell'azione e sul vincolo del giudice alla domanda. La trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi del comma 2 avra' luogo tanto nel caso che il pubblico ministero sia rimasto inattivo di fronte alla diversita' del fatto, quanto nel caso che abbia modificato erroneamente la contestazione. L'art. 514 comma 3 rappresenta una norma di chiusura, applicabile quando il pubblico ministero abbia modificato l'imputazione fuori dei casi consentiti (da notare che al giudice e' ora sottratto il controllo preventivo sulla ammissibilita' dell'iniziativa del pubblico ministero). La norma vale anche nel caso che il pubblico ministero abbia illegittimamente contestato un fatto " nuovo ", e non la semplice diversita' del fatto: in tal caso il giudice non puo' decidere ne' sul fatto " vecchio ", ne' su quello " nuovo " (salvo l'eventuale proscioglimento dall'accusa originaria, ma questo e' un problema la cui soluzione deve essere rimessa all'interprete). A parte quanto e' disposto nel comma 1, non e' stata specificamente disciplinata l'ipotesi di incompetenza, ne' in questa sede, ne' negli articoli che prevedono le nuove contestazioni, che come si e' detto non consentono un controllo preventivo del giudice: si applichera', se necessario, l'art. 24. L'articolo 515, che prevede la nullita' della sentenza solo per la parte irritualmente contestata, resta invariato rispetto all'art. 494 del Progetto del 1978. CAPO V DISCUSSIONE FINALE Gli articoli 516 e 517 (" Svolgimento della discussione " e " Chiusura del dibattimento ") riproducono l'impostazione del precedente Progetto. Per consentire maggiori spazi difensivi e' stata peraltro eliminata nell'art. 516 comma 4 la previsione dell'inammissibilita' della replica per la confutazione di argomenti avversari gia' discussi, che era invece contenuta nella corrispondente disposizione del Progetto del 1978 (art. 495 comma 4). TITOLO III SENTENZA Le disposizioni di questo titolo, che completano la disciplina del giudizio, conservano la sistemazione del Progetto preliminare del 1978, e sono suddivise in tre capi, rispettivamente dedicati alla deliberazione della sentenza, alla decisione ed agli atti successivi alla deliberazione. CAPO I DELIBERAZIONE L'articolo 518 sancisce, in apertura del capo I, il principio fondamentale dell'immediatezza della deliberazione della sentenza, confermando l'impostazione adottata dal Progetto del 1978 dopo una lunga discussione circa l'opportunita' di consentire un differimento della decisione nei casi di maggiore complessita'. Con l'art. 498 del Progetto del 1978 si era voluto fissare una limitazione del materiale probatorio utilizzabile ai fini della deliberazione, statuendo espressamente che il giudice non potesse porre a fondamento della sentenza prove raccolte fuori del dibattimento. Nella legge-delega del 1987 la disciplina dell'utilizzabilita' degli atti al dibattimento e' stata notevolmente precisata ed ha, percio', trovato una trattazione analitica e diffusa nel nuovo Progetto. La conseguenza e' ovvia: l'attuale articolo 519 ha assunto una funzione di mero rinvio alle norme che disciplinano l'utilizzabilita' e l'acquisizione degli atti istruttori in dibattimento. L'aggiunta dell'avverbio " legittimamente " completa la disciplina con un opportuno richiamo all'essenzialita' delle forme in punto di prova. L'articolo 520, che regola la deliberazione collegiale, e' rimasto sostanzialmente immutato rispetto al precedente Progetto del 1978 e non si discosta considerevolmente dal testo dell'art. 473 c.p.p. Risulta cosi' accentuata la collegialita' della discussione in camera di consiglio (" tutti i giudici enunciano le ragioni della loro opinione ") e con maggior precisione e' fissata la sequenza logica delle questioni (di rito e di merito) che potrebbero porsi nel corso della deliberazione. L'articolo 521 risolve il problema dell'utilizzazione in camera di consiglio, e nel corso della deliberazione, di un verbale redatto in caratteri non comuni. Nel Progetto del 1978 si era esclusa tanto l'ipotesi del " ritorno " alla fase dibattimentale (per procedere alla lettura) quanto l'ipotesi dell'" intervento " delle parti in camera di consiglio (per consentire il " controllo della lettura "). Queste soluzioni avrebbero aperto sicuramente la strada ad incidenti e ad inevitabili complicazioni " prima " della decisione. Di qui la soluzione della sospensione della deliberazione per permettere, secondo i casi, la " lettura del verbale " e l'" ascolto " della registrazione. CAPO II DECISIONE Il Capo II, dedicato alla decisione, e' suddiviso in tre sezioni, dedicate rispettivamente alla sentenza di proscioglimento (artt. 522-525), alla sentenza di condanna (artt. 526-530) ed alla decisione sulle domande civili (artt. 531-536). SEZIONE I Sentenza di proscioglimento Si legge nella Relazione al Progetto del 1978 che nell'art. 501 " confluiscono non solo le situazioni di difetto di una delle condizioni di procedibilita' propriamente dette (querela, istanza, richiesta e autorizzazione, oltre naturalmente a quelle disciplinate fuori del codice di procedura penale), ma anche quelle situazioni che costituiscono, in modi diversi, altrettante cause di improcedibilita', come ad esempio l'errore di persona ". Sotto questo profilo la norma (ora articolo 522) e' rimasta immutata. Il comma 2, invece, e' stato adeguato alla piu' precisa formulazione suggerita dalla nuova legge-delega, che definisce la situazione di dubbio come quella in cui la " prova e' insufficiente o contraddittoria " (direttiva 11). L'articolo 523 disciplina la " sentenza di assoluzione ". Il comma 1 elenca le " cause ". Fra queste " cause " e' stata espressamente inserita quella relativa al difetto di imputabilita', che nel Progetto del 1978 era prevista in un comma autonomo, con l'indicazione delle disposizioni accessorie nella specie applicabili. Detta collocazione, in effetti, poteva far sorgere dubbi circa la riferibilita' anche a quest'ipotesi delle regole di giudizio poste nei commi 2 e 3. Per tale ragione si e' preferito elencare nel comma 1 tutte le ipotesi di assoluzione: non solo " il fatto non sussiste ", " l'imputato non lo ha commesso " e " il fatto non costituisce reato ", ma anche " il reato e' stato commesso da persona non imputabile ". Il comma 2, che riproduce, con una maggiore estensione, la regola di giudizio contenuta nell'art. 479 del codice vigente, e' rimasto sostanzialmente immutato rispetto al precedente Progetto del 1978. Le modifiche sono solo due: e' stata riprodotta la formula della delega (" prova insufficiente o contraddittoria ") con riferimento alle situazioni di dubbio, equiparate nel nuovo testo alla mancanza di prova; e' stata espressamente estesa la regola di giudizio anche all'ipotesi di difetto di imputabilita', in conformita' alla nuova formulazione del comma 1. Pure il comma 3, specificamente dedicato alle regole di giudizio concernenti le cause di giustificazione e le cause personali di esenzione da pena, ha sostanzialmente riprodotto la formulazione del Progetto del 1978. Se vi e' dubbio sull'esistenza delle esimenti o sulle cause personali di esenzione il giudice pronuncia sentenza di assoluzione, enunciando la relativa " causa ". L'art. 503 del Progetto del 1978 qualificava l'estinzione del reato come una delle " cause " di assoluzione, innovando rispetto all'art. 479 c.p.p. che, accomunata quest'ipotesi a quella del difetto di una condizione di procedibilita', la considera come " causa " della sentenza di non doversi procedere. Pur consapevole della serieta' di questa impostazione, la Commissione, nel corrispondente articolo 524, ha ritenuto di dover confermare la scelta del codice vigente: in considerazione dei gravi problemi pratici connessi alla ventilata inclusione dell'estinzione del reato fra le " cause " dell'assoluzione (possibile, com'e' noto, nei casi di prova positiva dell'innocenza, prova negativa della responsabilita' e prova insufficiente o contraddittoria). Anche il comma 2 e' stato formulato in modo da rendere chiaro che il proscioglimento deve essere pronunciato pure quando sia insufficiente la prova. Non e' stata riprodotta poi la disposizione del comma 3 dell'art. 503 del Progetto del 1978: la regola della " precedenza " del proscioglimento nel merito e' infatti gia' contenuta nell'art. 128 comma 2. L'articolo 525, concernente le statuizioni della sentenza di proscioglimento in materia di misure cautelari personali, e' rimasto sostanzialmente immutato rispetto alla precedente formulazione, salvi i necessari adeguamenti terminologici. SEZIONE II Sentenza di condanna L'articolo 526, che reca tre disposizioni sulla " condanna dell'imputato " e' formulato in modo da evitare che, gia' sul piano della descrizione normativa, si alimenti l'impressione di un carattere " residuale " della " sentenza " di condanna. Nel comma 3 e' rimasta la disposizione corrispondente a quella che e' oggi contenuta nell'art. 487 sulla sospensione condizionale e sulla non menzione della condanna. Gli articoli 527 , 528 e 529, che riproducono sostanzialmente i vigenti artt. 490, 488 e 484 c.p.p., hanno ripetuto la formulazione del precedente Progetto. Solo nel comma 1 dell'art. 528 si e' introdotta una modifica di un qualche rilievo, apprestandosi una nuova disciplina della condanna alle spese nei procedimenti a carico di unica persona imputata di una pluralita' di reati. Anche l'articolo 530 ha subito modifiche marginali. Si e' ritenuto che la formula " atto pubblico ", ripresa dal vigente art. 480 c.p.p., sia equivoca (perche' assimila l'atto al documento) e che il riferimento alle " scritture private " potrebbe risultare inadeguato (rispetto a una realta', tesa verso forme di documentazione diverse dalla scrittura). Si e', quindi, sostituita la formula " atto pubblico o scrittura privata ", con " atto o documento ": espressione idonea a ricomprendere ogni tipo di atto, pubblico o privato, e ogni tipo di documentazione, anche non scritta. SEZIONE III Decisione sulle domande civili Il comma 1 dell'articolo 531 riproduce - con alcune varianti di ordine formale - l'art. 489 comma 1 del codice vigente. Rispetto al testo del 1978 e' stata, invece, introdotta una modificazione di sostanza, conseguente alla soppressione della prescrizione contenuta nell'art. 510 (corrispondente all'art. 531 del nuovo Progetto) in base alla quale il giudice poteva decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta a norma dell'art. 80 (ora, art. 73), non solo in caso di condanna, ma anche in caso di proscioglimento per estinzione del reato quando risultasse gia' provata l'esistenza del fatto e la sua attribuzione all'imputato. La disciplina della condanna per la responsabilita' civile, ipotizzata dall'art. 531, attua la direttiva 28 della legge-delega. Si presenta, percio' perfettamente in linea con la normativa introdotta dall'art. 12 della l. 3 agosto 1978, n. 405, in quanto esclude la possibilita' di " condanna " per la responsabilita' civile nei casi di estinzione del reato, dichiarata nel giudizio di primo grado. Il comma 2 dell'art. 531 (corrispondente all'art. 510 comma 2 del Progetto del 1978) riproduce, con alcuni ammodernamenti lessicali, la prima parte dell'art. 489 comma 2 del codice vigente. Viene cosi' sancito, in attuazione della prima parte della direttiva 26, il principio che il giudice penale e' tenuto a provvedere anche sulla liquidazione dei danni: un principio derogabile solo quando la liquidazione sia impossibile allo stato degli atti ovvero sia prevista la competenza di altro giudice. Con il comma 3 (che corrisponde al comma 3 dell'art. 510 del precedente Progetto) e' stato riprodotto il precetto della seconda parte dell'art. 489 comma 1 del codice vigente, disponendosi che la condanna alla restituzione e al risarcimento del danno e' pronunciata anche nei confronti del responsabile civile citato o intervenuto quando sia riconosciuta la sua responsabilita'. Non si e' ritenuto, invece, di reintrodurre la seconda parte del comma 1 dell'art. 489 in ordine alla condanna, quale responsabile civile, dell'imputato prosciolto, perche' un precetto di tal genere risulta insito nella regola stabilita dalla seconda parte dell'art. 82 comma 1, in base al quale l'imputato puo' essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati (soltanto) per il caso di proscioglimento. L'articolo 532 corrisponde esattamente all'art. 511 del Progetto del 1978. Mentre il comma 1 indica le condizioni per la pronuncia della condanna generica alle restituzioni e al risarcimento del danno, il comma 2 fissa l'obbligo per il giudice penale di condannare, a richiesta della parte civile, l'imputato e il responsabile civile al pagamento di una provvisionale nei limiti per cui si ritiene gia' raggiunta la prova. Con tale precetto e' stata data attuazione alla seconda parte della direttiva 26, che impone al giudice penale, quando non sussista la possibilita' di liquidare il danno, " di assegnare alla parte civile una congrua somma in conto della liquidazione riservata al giudice civile ". Si e' considerato utile adottare, al riguardo, la formula del codice di procedura civile, in quanto la formulazione dell'art. 489 c.p.p. ha indotto la dottrina a supporre diversita' di presupposti e differenti discipline che si sono ritenuti ingiustificati (v. Relazione al Progetto del 1978, pag. 431). Gli artt. 533, 534, 535 e 536 hanno riproposto il testo degli artt. 512, 513, 514 e 515 del Progetto del 1978. Con l'articolo 533 si e' prevista, da un lato (comma 1), la provvisoria esecuzione, a richiesta della parte civile, della sentenza di condanna alla restituzione e al risarcimento del danno, e, dall'altro (comma 2), l'immediata esecutivita' della condanna al pagamento della provvisionale. L'un precetto da' attuazione alla prima parte della direttiva 26 laddove si prevede la " facolta' di concedere la provvisoria esecuzione quando ricorrono giustificati motivi ". Il fatto che la detta direttiva abbia attribuito la facolta' e non l'obbligo (apparentemente imposto, invece, dalla direttiva 25 della legge-delega del 1974) di rendere provvisoriamente esecutiva la decisione sui danni non e' parso argomento sufficiente per modificare il testo del Progetto del 1978, considerando che, comunque, la valutazione dei " giusti motivi " costituisce espressione della discrezionalita' " tecnica " del giudice penale, identificabile con l'esercizio di una facolta'. Il secondo precetto costituisce puntuale attuazione della terza parte della direttiva 26 che prevede la provvisoria esecuzione del provvedimento con il quale si dispone di assegnare alla parte civile " una congrua somma in conto della liquidazione riservata al giudice civile ". L'articolo 534, nel prevedere la condanna alle spese relative all'azione civile, introduce l'istituto della compensazione totale o parziale delle spese tanto nel caso di accoglimento quanto nel caso di reiezione della pretesa risarcitoria. Con l'articolo 535 e' stato previsto, secondo la linea indicata dagli artt. 382 e 482 del codice vigente, il regime concernente la condanna del querelante alle spese e ai danni, peraltro circoscrivendo tale assetto alle sole ipotesi di proscioglimento perche' il fatto non sussiste o perche' l'imputato non l'ha commesso. La Commissione ha, cosi', seguito talune indicazioni contenute nelle sentenze n. 165 del 1974 e n. 52 della Corte costituzionale. Infine, con riguardo all'articolo 536, il quale disciplina il regime della pubblicazione della sentenza come riparazione del danno, si e' ritenuto di non modificare il testo dell'art. 515 del Progetto del 1978, attribuendosi alla sola parte civile costituita, e non anche alla persona offesa, il potere di richiedere la pubblicazione. CAPO III ATTI SUCCESSIVI ALLA DELIBERAZIONE L'articolo 537 introduce il capo dedicato agli atti successivi alla deliberazione. Considerata l'evoluzione della direttiva 79 della delega, e' sembrato evidente come il legislatore abbia inteso ampliare i margini di discrezionalita' del giudice nella scelta dei tempi di redazione della motivazione della sentenza. In una precedente formulazione della direttiva, si era recepita l'impostazione del Progetto del 1978, prevedendosi la contestualita' tra decisione e motivazione, salvi i casi di " particolare complessita' ". Nella sua formulazione definitiva, invece, la direttiva 79 ha capovolto questa impostazione: il giudice, anche se fosse in grado di redigere immediatamente la motivazione, non potrebbe tuttavia farlo nei casi di particolare complessita'. Si e' reso, pertanto, necessario modificare il testo del Progetto del 1978. Onde evitare il rinvio al successivo art. 541, si e' anche anticipata la disciplina dei termini di deposito della motivazione differita. La maggiore discrezionalita' riconosciuta al giudice nella scelta circa i tempi di redazione della motivazione ha indotto ad eliminare anche l'ultimo comma dell'art. 517 del Progetto del 1978, che richiedeva una pubblica giustificazione del differimento della motivazione. A questa nuova impostazione e' stato adeguato anche il comma 2 dell'articolo 538. La soppressione della direttiva 9 della vecchia delega e la modifica della direttiva 10 sulla " perizia " rendono plausibile la tesi che il legislatore delegante abbia inteso sopprimere l'istituto della riapertura del dibattimento al fine di procedere a perizia criminologica. A questa interpretazione si e' uniformata la Commissione. L'articolo 539 e' stato mantenuto nel testo del 1978, salvo che nella disciplina della motivazione. E' stata, infatti, eliminata la limitazione relativa all'enunciazione delle ragioni circa l'" inattendibilita' " delle prove contrarie. A differenza del precedente Progetto, che imponeva una specifica motivazione solo con riferimento alle prove indicate dalle parti, il nuovo testo si richiama anche alle prove che siano risultate comunque favorevoli all'imputato, ancorche' da lui non richieste. L'articolo 540, relativo alla correzione degli errori della sentenza, non ha subito modifiche rispetto al testo del 1978. L'articolo 541, concernente il deposito della sentenza, e' stato, invece, adeguato alla nuova formulazione dell'art. 537 ed alla nuova disciplina delle impugnazioni. LIBRO VIII PROCEDIMENTO DAVANTI AL PRETORE La direttiva 103 della legge-delega, relativa alla disciplina del processo pretorile, contiene indicazioni molto sintetiche e generali, che lasciano ampi spazi al legislatore delegato nella descrizione analitica delle concrete modalita' di funzionamento del procedimento davanti al pretore. Anche i pochi accenni rinvenibili nei lavori preparatori sono estremamente laconici e generici e fanno per lo piu' esclusivo riferimento all'esigenza, segnalata nella direttiva 103, di distinguere le funzioni di pubblico ministero e di giudice. Le indicazioni relative all'impostazione del procedimento avanti al pretore si riducono alla previsione di una disciplina "in base ai principi generali di cui ai numeri precedenti, secondo criteri di massima semplificazione, con esclusione dell'udienza preliminare e con possibilita' di incidenti probatori solo in casi eccezionali". Sulla base di questi tre principi, pare comunque possibile cogliere alcune indicazioni di fondo, che costituiranno le linee direttive del nuovo processo di pretura. In primo luogo, poiche' la direttiva 1 della legge-delega fissa gia' il principio della "massima semplificazione nello svolgimento del processo", i "criteri di massima semplificazione" richiesti dalla direttiva 103 della legge-delega non possono che tradursi in una ulteriore semplificazione degli istituti e dei meccanismi "semplificati" previsti in via generale per il procedimento per i reati di competenza del tribunale. Ne consegue che il richiamo ai "principi generali di cui ai numeri precedenti" non deve essere interpretato come rigida adesione agli specifici istituti disciplinati dalla legge-delega per il procedimento avanti al tribunale, bensi' come riferimento ai principi generali ispiratori di quegli istituti, con possibilita' di modificarli e di interpretarli secondo criteri, appunto, di massima semplificazione, adeguati alle forme piu' snelle e rapide che si sono tradizionalmente accompagnate al procedimento pretorile. Si inserisce su questa indicazione di fondo l'esclusione dell'udienza preliminare. Quella che il legislatore delegante ha voluto escludere dal procedimento pretorile e' evidentemente l'udienza preliminare che e' stata definita "di smistamento", nel corso della quale il giudice valuta la fondatezza dell'ipotesi accusatoria del pubblico ministero ai fini del passaggio alla fase del giudizio. Non vi e' infatti dubbio che l'esclusione di tale udienza e' coerente con i criteri di massima semplificazione del procedimento pretorile, posto che l'udienza preliminare introduce un momento di controllo e di contraddittorio che, necessario per i reati di maggiore gravita' di competenza del tribunale, per i quali le indagini preliminari possono protrarsi a lungo, costituirebbe un inutile appesantimento in relazione ai reati di competenza del pretore. Diverse sono invece le conclusioni in ordine a quell'udienza antecedente al giudizio nel corso della quale il giudice nei procedimenti per reati di competenza del tribunale puo' adottare provvedimenti di merito che concludono il procedimento ovvero comunque evitano il passaggio alla fase dibattimentale. Ritenere che il legislatore delegante, nell'escludere nel processo di pretura l'udienza preliminare, abbia voluto eliminare questi meccanismi semplificati porterebbe a conclusioni illogiche e contrastanti con i criteri di massima semplificazione della direttiva 103. Si sarebbe infatti costretti ad escludere, proprio nel processo pretorile, i meccanismi abbreviati e piu' celeri di cui alle direttive 45 (applicazione della pena su richiesta delle parti), 52 (sentenza di non luogo a procedere prima del giudizio), 53 (giudizio abbreviato). Al contrario, la massima semplificazione del processo pretorile deve essere perseguita attraverso la scelta di fondo di potenziare al massimo gli sbocchi diversi dal dibattimento, trasformando la relativa fase da situazione ordinaria - come e' nel processo di pretura che il nuovo codice si appresta a sostituire - in evenienza eccezionale o, quantomeno, residuale. In particolare, i riti alternativi al dibattimento devono divenire i meccanismi ordinari di definizione del procedimento in tutti i casi in cui il bagaglio probatorio acquisito in sede di indagini preliminari rende del tutto evidente la responsabilita' dell'imputato ovvero quando questi ha confessato o si presume che ammettera' la propria responsabilita'. In queste situazioni e' palesemente antieconomico ricorrere alla fase dibattimentale, che presenta meccanismi complessi e sofisticati inidonei a perseguire i criteri di massima semplificazione che debbono sorreggere il procedimento pretorile. L'obiettivo e' di creare, sia attraverso la disciplina legislativa, sia soprattutto nel costume giudiziario, una sorta di incompatibilita' tra evidenza della prova e/o confessione dell'imputato e giudizio dibattimentale, salvo evidentemente che sia lo stesso imputato a chiedere che il procedimento trovi sbocco nel dibattimento. Disincentivazione del dibattimento e massima semplificazione sono quindi due finalita' che marciano parallele e trovano traduzione da un lato nell'ampio potere discrezionale del pubblico ministero nell'impostare le fasi iniziali del procedimento in vista del perseguimento di questi obiettivi, dall'altro nell'utilizzazione di meccanismi premiali - peraltro previsti in via generale anche nel procedimento per i reati di competenza del tribunale - capaci di prospettare all'imputato consistenti vantaggi insiti nella rinuncia al dibattimento. Al pubblico ministero e' stato attribuito il potere di emettere il decreto di citazione a giudizio, che gli consente appunto una incisiva attivita' di smistamento in vista dei vari sbocchi - alternativi o dibattimentali - del procedimento. Tale conclusione non contrasta con i principi della delega, ma si attaglia alla particolare struttura del procedimento pretorile, caratterizzato dalla espressa esclusione dell'udienza preliminare, che nel processo di tribunale e' il momento in cui il giudice valuta l'ipotesi accusatoria del pubblico ministero e dispone, se del caso, il rinvio a giudizio. Mancando nel processo di pretura tale momento, e' del tutto congruo attribuire direttamente al pubblico ministero i poteri di impulso processuale e di scelta del rito. D'altro canto nella delega sono previste specifiche ipotesi in cui il pubblico ministero presenta direttamente l'imputato in giudizio, con riferimento ai tre casi di giudizio direttissimo disciplinati dalla direttiva 43. Il decreto di citazione a giudizio del pubblico ministero (art. 548) e' il momento centrale del procedimento davanti al pretore, ed opportunamente contiene anche l'avviso che l'imputato entro un termine prestabilito puo' chiedere il giudizio abbreviato ovvero, sino all'apertura del dibattimento, l'applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 439. In particolare, ove il pubblico ministero ritenga che il giudizio possa essere definito allo stato degli atti ovvero mediante l'applicazione della pena su richiesta, ne da' atto nello stesso decreto di citazione, indicando il rito per il quale e' disposto a prestare il proprio consenso. Solo nel caso in cui l'imputato non accolga l'offerta del pubblico ministero, ovvero non chieda di sua iniziativa la definizione anticipata del procedimento, il decreto di citazione per il dibattimento svolgera' i suoi effetti tipici, mediante la notificazione alle altre parti, la formazione del fascicolo d'ufficio e la sua trasmissione al pretore del dibattimento. Il titolo III, che prevede appunto sotto la rubrica "Atti introduttivi del giudizio" questi due modelli di decreto di citazione a giudizio che potremmo definire a formazione successiva, si collega sistematicamente con il titolo successivo, che contiene le varie forme di definizione anticipata del procedimento, dal giudizio abbreviato all'applicazione della pena su richiesta, dall'udienza di conciliazione al procedimento per decreto. Nel titolo e' compreso il giudizio in caso di arresto in flagranza, in quanto anche in tale ipotesi l'imputato puo' presentare richiesta di giudizio abbreviato (art. 559 comma 7). E' implicito che anche in tale caso l'imputato puo' comunque sempre chiedere, prima dell'apertura del dibattimento, l'applicazione della pena su richiesta. Non e' pertanto casuale che il giudizio in dibattimento sia disciplinato alla fine del libro VIII, quasi a tradurre sistematicamente il carattere residuale che dovrebbe assumere questa forma di giudizio, ultima risorsa dopo che non hanno avuto corso le ipotesi di accordo premiale tra pubblico ministero e imputato. Il che non esclude evidentemente che vi siano situazioni in cui, a causa della particolare complessita' delle indagini preliminari, il procedimento si avvii sin dall'inizio verso lo sbocco naturale della verifica dibattimentale. Le esigenze di massima semplificazione del procedimento davanti al pretore trovano comunque riscontro anche in sede dibattimentale. L'art. 560 prevede infatti che il verbale di udienza venga redatto in forma riassuntiva e che, sull'accordo delle parti, il pretore possa procedere direttamente all'interrogatorio delle parti e all'esame dei testimoni, dei periti e dei consulenti sulla base delle domande poste dal pubblico ministero e dai difensori. Attraverso l'introduzione di questi meccanismi il procedimento davanti al pretore dovrebbe divenire il banco di prova di un nuovo costume giudiziario, destinato ad estendersi anche ai reati piu' semplici di competenza del tribunale, che vede nei riti abbreviati e nelle forme di definizione anticipata lo sbocco normale del procedimento in tutti i casi in cui non vi e' contestazione sulla responsabilita' o, a contrario, sulla mancanza di responsabilita' dell'imputato. D'altro canto l'esperienza degli ordinamenti che da secoli prevedono un processo di tipo accusatorio insegna che tale modello processuale e' in grado di trovare pratica applicazione, stante il notevole dispendio di risorse richieste dalla formazione orale della prova in dibattimento e dalla cross examination, solo se ad esso si accompagnano forme di definizione anticipata del procedimento basate su modelli alternativi di tipo inquisitorio e premiale. Gli istituti del guilty plea e del plea bargaining del processo nord-americano costituiscono al riguardo un esempio estremamente significativo, posto che consentono di risolvere senza ricorrere al dibattimento almeno il 90 % dei casi per cui il pubblico ministero ha iniziato l'azione penale. TITOLO I DISPOSIZIONI GENERALI Venendo all'esame analitico delle singole disposizioni, il titolo I "Disposizioni generali" contiene in primo luogo il rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribunale, evidentemente in quanto non incompatibili con le peculiarita' del procedimento pretorile (articolo 542). Il successivo articolo 543 mira a chiarire, al di la' di ogni possibile dubbio, la distinzione tra gli organi del processo di pretura, in vista delle autonome e diverse funzioni giudiziarie loro attribuite. La distinzione tra un giudice per le indagini preliminari e un pretore del dibattimento trova la sua ragion d'essere nelle diverse funzioni attribuite ai due organi giurisdizionali: il primo essendo competente a svolgere tutte le funzioni (incidente probatorio, autorizzazione alla proroga delle indagini preliminari, provvedimenti in tema di archiviazione e di sentenza di non luogo a procedere, nonche' in tema di misure cautelari e di atti urgenti a norma dell'art. 443, sentenza nel corso del giudizio abbreviato e applicazione di sanzioni sostitutive, decreto penale di condanna) diverse da quelle del pretore del dibattimento. L'esistenza di tre diversi organi giudiziari (pubblico ministero, giudice per le indagini preliminari, pretore del dibattimento, ciascuno con competenze esclusive e non interscambiabili), rende evidente che le condizioni ottimali per un funzionamento economico e razionale del processo sono quelle di una pretura di medie o grandi dimensioni, nella quale le diverse funzioni possano essere distribuite tra i vari organi senza inutile dispendio di energie e risorse personali. L'attuale pretura mandamentale monocratica nonche' le preture con meno di cinque magistrati sembrano quindi poco idonee a consentire un funzionamento del processo conforme ai criteri di snellezza e di economia nella gestione della giustizia penale. E' evidente pertanto che l'approvazione del nuovo codice implica la necessita' di una contestuale revisione delle circoscrizioni giudiziarie che incida profondamente sull'attuale assetto delle preture mandamentali. Tuttavia la Commissione, pur nella ferma convinzione della inderogabilita' della esigenza sopra indicata, ha ritenuto di formulare la disposizione relativa agli "organi giudiziari nel procedimento davanti al pretore" sulla base di una ipotesi di lavoro, allo stato apparsa maggiormente realistica, in base alla quale l'ufficio del pubblico ministero e il pretore del dibattimento sono individuati su base circondariale (cioe' coincidente con la sede di pretura che si trova nella citta' sede di tribunale) e l'ufficio del giudice per le indagini preliminari su base locale (corrispondente alla pretura mandamentale). Al conseguente aumento del carico di lavoro nella pretura "circondariale", cui corrispondera' una diminuzione correlata di lavoro nelle preture mandamentali, potra', nell'immediato, soddisfarsi mediante il ricorso agli istituti previsti dall'ordinamento giudiziario (supplenza) utilizzando parzialmente proprio i pretori mandamentali. TITOLO II INDAGINI PRELIMINARI Alle indagini preliminari ed ai conseguenti provvedimenti del giudice, disciplinate dal titolo II, si applicano le disposizioni previste per il procedimento relativo ai reati di competenza del tribunale, in virtu' del rinvio contenuto nell'art. 542. Le specifiche norme contenute nel titolo affrontano quelle situazioni in cui le esigenze di massima semplificazione hanno suggerito di dettare una autonoma disciplina. Cio' vale per l'incidente probatorio (articolo 544). La direttiva 103 della legge-delega circoscrive la possibilita' di assumere incidenti probatori "solo in casi eccezionali", in linea con i criteri di massima semplificazione del procedimento pretorile. Le ipotesi di incidente probatorio sono state in via generale circoscritte ai casi in cui la complessita' delle indagini non consenta al pubblico ministero di emettere subito il decreto di citazione a giudizio (art. 545 comma 1). Cio' premesso, nel procedimento pretorile sono stati esclusi i casi di incidente probatorio specificamente previsti per fronteggiare le esigenze dei processi di criminalita' organizzata, indicati sotto le lett. b ) e c) dell'art. 390. E' stata pure esclusa la possibilita' di ricorrere all'incidente probatorio per assumere un confronto, in quanto si e' ritenuto che l'esigenza di assumere tale mezzo di prova fosse del tutto eccezionale per i reati di competenza del pretore. In ordine al procedimento (articolo 545) si applicano le norme previste dagli articoli che disciplinano in via generale l'istituto, con l'esclusione, in ossequio al principio della massima semplificazione, della disciplina relativa alla richiesta di incidente probatorio e della notifica della stessa; la facolta' di presentare deduzioni si esercita compatibilmente con la maggiore snellezza del procedimento relativo davanti al pretore rispetto a quello davanti al tribunale. La durata "ordinaria" delle indagini preliminari e' stata fissata in quattro mesi (articolo 546), termine che e' parso appropriato per consentire al pubblico ministero di svolgere le eventuali indagini necessarie per le proprie determinazioni. Puo' tuttavia essere presentata al giudice richiesta di proroga per un termine massimo di quattro mesi, prorogabile di ulteriori quattro mesi, qualora debbano essere compiuti atti di particolare complessita'. In base all'articolo 547, il pubblico ministero, concluse le indagini, puo' presentare al giudice per le indagini preliminari richiesta di archiviazione ovvero emettere decreto di citazione a giudizio ove non abbia fatto richiesta, entro il termine di quattro mesi dalla iscrizione della notizia di reato, di decreto penale di condanna (che presuppone una evidenza probatoria logicamente incompatibile con indagini che possono protrarsi fino a dodici mesi). Nel caso sia stata richiesta l'archiviazione, trova applicazione la disciplina analoga prevista per i reati di competenza del tribunale, ma se la richiesta non viene accolta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero. Non opera, invece, l'art. 406 comma 3 in quanto la maggiore snellezza del procedimento pretorile ha consigliato di lasciare il pubblico ministero libero di autodeterminarsi senza essere vincolato dalle indicazioni del giudice in ordine alle ulteriori indagini da compiere. TITOLO III ATTI INTRODUTTIVI DEL GIUDIZIO Il titolo III, relativo alla introduzione al giudizio, assume una importanza centrale nell'impostazione e nello sviluppo del procedimento pretorile, in quanto le disposizioni ivi contenute consentono al pubblico ministero di esplicare quelle scelte capaci di orientare il procedimento verso una delle varie forme di definizione anticipata rispetto al dibattimento. Il titolo e' interamente dedicato al decreto di citazione a giudizio, che ricalca in parte quello previsto per il procedimento di tribunale, ma contiene (articolo 548 comma 1, lett. e) anche l'avviso che l'imputato puo' chiedere entro quindici giorni il giudizio abbreviato ovvero l'applicazione della pena su richiesta. E' questa la ragione per cui il termine dilatorio tra la data della notifica e la data del dibattimento e' piu' lungo rispetto a quello del procedimento davanti al tribunale: si deve infatti dare all'imputato il tempo di presentare la richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta, e solo ove risulti che entro il termine di quindici giorni l'imputato non ha presentato tale richiesta, il pubblico ministero provvedera' a fare eseguire la notifica del decreto alle altre parti, a formare il fascicolo per il dibattimento e a trasmetterlo al pretore unitamente al decreto di citazione. Il decreto di citazione e' dunque un atto complesso, che produce diversi effetti, a seconda di quello che sara' l'atteggiamento dell'imputato nei confronti delle possibilita' che gli sono offerte di definizione anticipata del procedimento. I motivi di economia e di convenienza di tale meccanismo sono di tutta evidenza. Con un atto unico si ottengono due effetti: sollecitare l'imputato ad avvalersi di un rito abbreviato e contestualmente citarlo per il giudizio a una data gia' fissata ove tale sollecitazione non venga accolta. Questo meccanismo viene riproposto con maggiore forza di pressione nell'articolo 549, che disciplina il caso in cui il pubblico ministero porta a conoscenza dell'imputato, mediante il decreto di citazione, l'intento di prestare il proprio consenso anticipato al giudizio abbreviato o all'applicazione della pena su richiesta, e lo invita a fare richiesta di definizione anticipata del giudizio entro quindici giorni dalla notifica, avvisandolo che, in caso di mancata richiesta, dovra' comparire a giudizio all'udienza che viene contestualmente fissata. La disciplina e' completata dal successivo articolo 550, che regola il caso in cui l'imputato abbia formulato nel termine di quindici giorni richiesta di definizione anticipata del giudizio e dall'articolo 551 che regola l'ipotesi in cui, a contrario, tale richiesta non sia stata formulata e si debba quindi attivare il meccanismo delle notifiche alle altre parti della citazione per il dibattimento. TITOLO IV DEFINIZIONE DEL PROCEDIMENTO Le forme di definizione anticipata del procedimento sono disciplinate dal titolo IV, a cominciare dal giudizio abbreviato (articoli 553 , 554 , 555). Le esigenze di massima semplificazione imposte dalla direttiva 103 della legge-delega hanno fatto ritenere non solo opportuno, ma doveroso un sensibile snellimento rispetto all'analogo rito previsto per il procedimento di tribunale, realizzato attraverso due differenze sostanziali. In primo luogo non e' stata prevista la decisione preliminare con cui il giudice dispone se dare o meno corso al giudizio abbreviato; non trova cioe' applicazione l'art. 435. In altre parole nel processo di pretura, se vi e' la richiesta dell'imputato e il consenso del pubblico ministero, il passaggio al rito abbreviato e' automatico, salva sempre la possibilita' per il giudice che ritenga di non poter decidere allo stato degli atti di restituire gli atti al pubblico ministero (art. 555). In secondo luogo il giudizio abbreviato e', in sede di procedimento pretorile, un vero e proprio giudizio allo stato degli atti, senza alcuna possibilita' di assumere prove. Si e', infatti, mantenuta ferma l'esclusione di ogni attivita' probatoria gia' stabilita, per le ragioni diffusamente illustrate nella relazione al titolo II del libro VI, per il giudizio abbreviato dinanzi al tribunale. A differenza che in quest'ultimo, tuttavia, nel giudizio abbreviato dinanzi al pretore, non essendo prevista nel procedimento pretorile l'udienza preliminare, non sara' possibile utilizzare neppure le limitate acquisizioni probatorie consentite dall'art. 419 e utilizzabili nei casi di conversione dell'udienza preliminare in giudizio abbreviato. Si e' peraltro ritenuto che non sussistessero per il procedimento pretorile quelle ragioni di economia processuale e di incentivazione al rito abbreviato che avrebbero consigliato di prevedere, anche oltre i limiti anzidetti, ove la delega lo avesse consentito, l'acquisizione di prove nel giudizio abbreviato per i reati di competenza del tribunale. Al contrario, avuto riguardo alla composizione sempre monocratica del giudice nel procedimento pretorile ed alla possibilita' che anche nel giudizio dibattimentale il pretore, sull'accordo delle parti, proceda direttamente all'esame delle parti, dei testimoni e del consulenti tecnici, e' sembrato che prevedere la possibilita' di assumere prove nel giudizio abbreviato dinanzi al pretore, oltre a contrastare con la formulazione della delega, avrebbe comportato una sostanziale duplicazione del giudizio dibattimentale pretorile. In questa ottica di estrema semplicita', all'udienza per il giudizio abbreviato si applicano le disposizioni dell'art. 417; esso cioe' si svolge in camera di consiglio, senza la presenza del pubblico; l'imputato e la parte offesa sono sentiti dal pretore ed immediatamente dopo il pubblico ministero ed i difensori delle parti presentano le loro conclusioni (articolo 554). Se il pretore ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, l'articolo 555 prevede la restituzione degli atti al pubblico ministero, il quale fissa l'udienza per il dibattimento entro venti giorni. La disposizione relativa all'applicazione della pena su richiesta, opera un rinvio integrale alla disciplina prevista per questa forma di giudizio abbreviato per i reati di competenza del tribunale (art. 556). In ossequio al principio della massima semplificazione imposta dalla delega, si e' pero' stabilito che la richiesta di pena a norma dell'art. 439 deve essere presentata nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione (art. 548 comma 1 lett. e). Uno strumento nuovo e peculiare del processo di pretura, che dovrebbe recare un importante contributo alla deflazione del carico giudiziario nel caso di reati perseguibili a querela, e' l'udienza di conciliazione, disciplinata dall'articolo 557. L'operativita' dell'istituto e' lasciata alla discrezionalita' del pubblico ministero, il quale, ove ritenga sussistano le condizioni per un accordo tra querelante e querelato, puo' citarli a comparire avanti a se' prima di compiere atti di indagini preliminari. Se le parti raggiungono l'accordo, sara' - secondo i principi generali - il giudice per le indagini preliminari ad emettere decreto di archiviazione, salvo che ritenga trattarsi di reato perseguibile d'ufficio. L'utilita' di siffatta previsione consiste nella eliminazione di accertamenti o indagini preliminari quando l'esito del procedimento potrebbe essere quello conseguente alla remissione della querela. Nel prevedere tale attivita' " conciliativa " tra le funzioni del pubblico ministero - a fronte della diversa soluzione, in astratto proponibile, secondo cui il tentativo di conciliare avrebbe potuto essere svolto (e forse piu' proficuamente) dal giudice - si e' tenuta presente la possibilita' di cui puo' avvalersi il pubblico ministero, ove l'accordo non riesca, di dare nuovo impulso al procedimento attivando i meccanismi per una definizione anticipata dello stesso e utilizzando per questo la presenza delle parti. Le ragioni di economia processuale sono cioe' parse prevalenti rispetto a quelle attinenti al ruolo super partes che il giudice avrebbe potuto assolvere nel cercare di raggiungere un accordo tra le parti. Un'ulteriore forma di definizione anticipata del procedimento (non esclusiva del processo di pretura, ma che avra' larga applicazione soprattutto per i reati di pretura) e' il decreto penale di condanna, disciplinato dall'articolo 558 (con rinvio alle norme relative al corrispondente procedimento per i reati di competenza del tribunale). Il termine di quattro mesi entro cui il pubblico ministero puo' chiedere il decreto penale di condanna, (previsto dall'art. 547 comma 3) trova la sua ragione nella considerazione che, ove le indagini preliminari debbano svolgersi oltre il termine ordinario previsto per il processo di pretura, si verserebbe in una situazione in cui manca quell'evidenza della prova che costituisce il presupposto logico del decreto penale di condanna. Ulteriori precisazioni rispetto alla disciplina dettata in via generale per il decreto penale in caso di reati di competenza del tribunale sono previste nel comma 2. Poiche' l'art. 455 comma 3 prevede che con l'atto di opposizione l'imputato puo' chiedere il giudizio immediato ovvero il giudizio abbreviato o l'applicazione di una pena su richiesta, tenuto conto che nel procedimento pretorile e' normalmente il pubblico ministero ad emettere decreto di citazione a giudizio, si e' opportunamente previsto che l'imputato in sede di opposizione possa chiedere al giudice di emettere anche decreto che dispone il giudizio. Tale potere e' eccezionalmente attribuito al giudice, per ovvi motivi di economia processuale. In tal caso, ovviamente, il decreto non conterra' l'avviso che l'imputato puo' chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta. Tra le ipotesi di definizione anticipata del procedimento e' stato inserito anche il giudizio in caso di arresto in flagranza (articolo 559). La disciplina risulta dalla fusione tra il giudizio direttissimo davanti al pretore introdotto dalla l. 27 luglio 1984, n. 397 e quello cui fa riferimento la direttiva 43 lett. a) della legge-delega. E' parso infatti pienamente consono ai criteri di massima semplificazione recuperare la disciplina della legge 397/1984, che attribuisce agli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto in flagranza il potere di presentare direttamente al pretore del dibattimento l'arrestato per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio; tale disciplina ha infatti dato buona prova ed e' stata di conseguenza integralmente recepita, in mancanza di qualsiasi controindicazione desumibile dai principi generali della legge-delega, nei primi tre commi dell'art. 559. Sono state evidentemente apportate quelle modifiche ed integrazioni rese necessarie dall'impostazione del processo di pretura. In particolare, il comma 7 stabilisce che dopo l'udienza di convalida l'imputato puo' formulare richiesta di giudizio abbreviato, in quanto non vi era motivo di privare l'arrestato in flagranza di usufruire di tale rito e della conseguente diminuzione di pena di un terzo. Una diversa soluzione avrebbe tra l'altro comportato profili di illegittimita' costituzionale sia per violazione del principio di eguaglianza, sia per mancata conformita' alla delega, che nella direttiva 53 prevede una efficacia generalissima del giudizio abbreviato. Ove l'imputato si avvalga di tale facolta', e vi sia il consenso del pubblico ministero, il giudizio si svolge con le forme semplificate previste dall'art. 554 commi 2 e 3, ma per evidenti motivi di economia e rapidita' processuale e' lo stesso pretore del dibattimento a celebrare tale forma di giudizio. Lo stesso art. 559 disciplina nel comma 4 il giudizio direttissimo previsto dalla direttiva 43 lett. a) della legge-delega, nel caso in cui la polizia giudiziaria ponga l'arrestato a disposizione del pubblico ministero. Il termine massimo di novantasei ore per la convalida dell'arresto rispetta la previsione contenuta nell'art. 13 comma 3 Cost. Delle altre due forme di giudizio direttissimo previste dalla direttiva 43 della delega, quella di cui alla lett. b) e' parsa poco congeniale alla massima semplificazione del procedimento di pretura, nel senso che in tale sede la regola e' la contestualita' tra convalida e giudizio direttissimo; quella di cui alla lett. c), relativa al caso di confessione, rimane assorbita - se cosi' si puo' dire - dalle forme di definizione anticipata del procedimento, che nel processo di pretura saranno il rito ordinario in caso appunto di evidenza della prova o di confessione dell'imputato. L'articolo 560 e' dedicato al giudizio in dibattimento. Fermo restando un rinvio generale alle norme stabilite per i reati di competenza del tribunale, l'alternativa piu' evidente che si poneva al legislatore delegato al fine di dare attuazione ai criteri di massima semplificazione era escludere come regola generale la cross examination, attribuendo al pretore il potere di rivolgere direttamente alle parti ed ai testimoni le relative domande, ovvero incidere sul verbale di udienza. La prima via e' peraltro parsa in contrasto con l'impostazione di fondo del nuovo processo, in quanto avrebbe comportato la necessita' di trasmettere al pretore gli atti di indagine preliminare, al fine di metterlo nelle condizioni, attraverso la conoscenza degli atti del procedimento, di procedere all'interrogatorio diretto delle parti ed all'esame dei testimoni. Si sarebbe cosi' reintrodotto il sistema della scrittura e della conservazione degli atti, in contrasto con i principi che sorreggono, quantomeno nella fase del dibattimento, il sistema accusatorio. Si e' cosi' scelta la via di mantenere come regola generale l'esame diretto ad iniziativa delle parti e di prevedere che in ogni caso il verbale venga redatto in forma riassuntiva; e' stato peraltro previsto che sull'accordo delle parti il pretore possa - ove la semplicita' del caso lo consenta - procedere direttamente all'interrogatorio dell'imputato ed all'esame dei testimoni sulla base delle domande formulate dalle parti. La soluzione adottata prevede dunque due modalita' di formazione della prova in dibattimento, mantenendo da un lato fermo il principio dell'esame diretto ad iniziativa delle parti, dall'altro consentendo alle parti di accordarsi per attribuire al pretore un potere di iniziativa nella direzione del dibattimento, cosi' introducendo un piu' celere e semplificato modello di formazione della prova. LIBRO IX IMPUGNAZIONI Il Progetto rispetta l'opzione sistematica, gia' propria del Progetto preliminare del 1978, di includere in un solo libro tutta la materia delle impugnazioni, che, viceversa, nel codice vigente risulta ripartita tra il libro I (titolo IV, capo VIII), per cio' che riguarda le disposizioni generali, e il libro III (titolo III), per cio' che attiene al giudizio. Tale scelta, riducendo i rinvii ad altre norme, offre l'evidente vantaggio di una piu' agevole lettura delle disposizioni in merito e di una piu' apprezzabile valutazione del quadro complessivo. Le direttive della legge-delega del 1987 che riguardano le impugnazioni ricalcano in linea generale quelle della delega del 1974, che gia' lasciava inalterata l'impostazione tradizionale del nostro sistema processuale mediante la previsione di tre gradi di giudizio ordinario, due di merito ed uno di legittimita', e della impugnazione straordinaria della revisione. Mancano infatti, anche nella delega del 1987, innovative e radicali enunciazioni di principio. E, con riguardo ai lavori preparatori, non si ravvisano tracce di un dibattito volto a chiarire la scelta politica tra le due possibili configurazioni, pure a volte presenti in talune legislazioni, della impugnazione come rimedio per riparare possibili errori della decisione impugnata o, invece, come mezzo di controllo dell'operato del giudice del precedente grado. D'altra parte e' evidente che ogni impostazione che si fosse discostata da quella tradizionale avrebbe dovuto coinvolgere la revisione dell'ordinamento giudiziario del 1941, tuttora vigente malgrado l'esplicito dettato della VII disposizione transitoria della Costituzione. La legge-delega non si e' posta neppure, in maniera consistente, il problema dell'opportunita' politica di mantenere il generale criterio dell'appellabilita' delle decisioni, anche se e' stato talvolta ricordato che, alla stregua della costante interpretazione della Corte costituzionale, il principio del doppio grado di giudizio, qualunque sia il valore che si attribuisca all'art. 14 comma 5 del Patto internazionale sui diritti civili e politici dell'O.N.U., puo' ritenersi soddisfatto mediante la sola previsione del ricorso per cassazione, dettata nell'art. 111 della Costituzione. Il non sopito dibattito coagulatosi attorno all'esigenza, unanimamente avvertita, di individuare adeguati strumenti processuali volti a scongiurare il ricorso alla impugnazione come espediente meramente dilatorio, ha indotto il delegante a reintrodurre nel sistema l'istituto dell'appello incidentale. La disciplina con la quale si e' inteso regolare l'istituto, tuttavia, si e' mossa nell'alveo della piu' fedele osservanza di quel principio di parita' delle parti, la cui elusione aveva ingenerato la censura di illegittimita' costituzionale della omonima figura gia' prevista dall'articolo 515 c.p.p. A parte l'appello incidentale, alcune altre innovazioni riguardano procedimenti speciali, come il giudizio abbreviato (art. 438) e l'applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 442 comma 5), e si risolvono in limiti all'appellabilita'. Quanto all'appellabilita' in concreto, le ripetute decisioni della Corte costituzionale (n. 70 del 25 marzo 1975, n. 72 del 16 luglio 1979, n. 53 del 7 aprile 1981, n. 224 del 21 luglio 1983, n. 200 del 18 luglio 1986) non potevano non imporre una direttiva, quale la 86, tradotta nell'art. 586, con la quale, a dirimere ogni ulteriore controversia, si riconosce il diritto a impugnare all'imputato " prosciolto ", e non solo a quello " assolto " (come era nel Progetto preliminare del 1978). Autentiche scelte politiche della legge-delega del 1987 riguardano invece la posizione dell'imputato che non sia stato presente al giudizio e la previsione di un procedimento in camera di consiglio quando l'appello abbia ad oggetto la specie o la misura della pena, la concessione delle circostanze attenuanti generiche, l'applicazione di sanzioni sostitutive o la concessione di benefici di legge. La realizzazione nel Progetto di tali direttive non poteva naturalmente non tener conto della successiva presentazione alla Camera dei deputati di due distinti disegni di legge da parte del ministro di grazia e giustizia in data 19 ottobre 1987, l'uno, il n. 1706, recante nuova disciplina della contumacia, l'altro, il n. 1708, contenente modifiche al codice di procedura penale in tema di impugnazioni. Nelle relazioni che accompagnano tali disegni di legge si esprime il proposito di anticipare talune normative del nuovo codice e si sottolinea implicitamente la coerenza e l'omogeneita' con i principi della delega. Una situazione simile si verifico' anche con riferimento al Progetto preliminare del 1978 per le norme in tema di notifiche, che andarono a costituire parte della l. 532/1977, del 1977, e per la scelta di attribuire anche gli appelli avverso le sentenze dei pretori alle corti di appello (che anche ora viene ripetuta), inserita poi nella l. 400/1984. Costituendo molte delle disposizioni contenute nei disegni di legge citati il ricalco pressoche' integrale del testo unificato concernente modifiche al sistema delle impugnazioni penali, approvato in sede referente dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, e' parso ragionevole fare ad esse esplicito riferimento per determinare il concreto contenuto delle norme in materia, anche se qualche perplessita' e' sorta, come vedremo, in tema di decisioni in camera di consiglio, quanto all'esclusione delle ipotesi in cui vi sia una parte civile e di quelle in cui impugnante sia il pubblico ministero. Un procedimento in camera di consiglio e' previsto anche per la dichiarazione di inammissibilita' della impugnazione per ragioni attinenti al mancato rispetto delle regole in tema di interesse ad impugnare, di forma o di termini. Analoga decisione, a causa della manifesta infondatezza dell'impugnazione, continuera' ad essere possibile solo per il ricorso per cassazione perche' la nuova delega non consente, per l'appello, la stessa evenienza gia' prevista nell'art. 560 del Progetto preliminare del 1978. Esce invece rafforzato, perche' ripetuto ancora nella legge-delega, il principio della conversione delle impugnazioni, che non puo' quindi riguardare, come continua a sostenere una parte della giurisprudenza, solo i casi in cui sia ravvisabile un errore della parte che ha proposto l'impugnazione non consentita. Deve quindi ritenersi prevalente esclusivamente la volonta' intesa comunque a sottoporre a sindacato la decisione impugnata, sindacato che non puo' evidentemente non aversi se non nella sede e con le modalita' previste dalla legge in ordine al tipo di reato ritenuto o di procedimento al quale essa si attaglia. Alla conversione dell'impugnazione era intitolato l'art. 543 del Progetto preliminare del 1978, che tuttavia disciplinava la sola ipotesi della conversione in appello del o dei ricorsi presentati da altri imputati, quando uno di essi avesse invece presentato appello: si trattava percio' di un'ipotesi particolare e relativa ai soli processi cumulativi. E' parso opportuno allora, lasciando inalterata tale disposizione, modificarne la rubrica adeguandola al reale contenuto, e dettare invece un generale principio di conversione nella sede piu' propria, quella dell'art. 561, che apre la normativa delle impugnazioni. Corollario di un tale principio e' la modifica, apportata al regime degli attuali artt. 539 comma 1 n. 8 e 540 c.p.p. (passato indenne negli artt. 584 comma 1 lett. i e 585 del Progetto preliminare del 1978), per effetto della quale, in caso di sentenza che abbia deciso in secondo grado in materia per la quale non era ammesso l'appello, all'annullamento di tale decisione non deve seguire l'esecuzione della sentenza di primo grado, ma invece il giudizio di cassazione quale unico grado di impugnazione esperibile sin dall'inizio. In tema di procedura prevista per la dichiarazione di inammissibilita' della impugnazione, si e' ritenuto di dover escludere il ricorso al particolare rito disciplinato in via generale dall'art. 126 per tutti i procedimenti in camera di consiglio e si e' conseguentemente introdotto un regime differenziato, a seconda che si tratti di giudizio di cassazione ovvero di secondo grado. In quest'ultima ipotesi, e' sembrato sufficiente mantenere inalterata l'attuale disciplina e consentire, per l'effetto, un procedimento in camera di consiglio senza contraddittorio, e con la emissione di un provvedimento de plano, in linea col testo della direttiva 89, che prevede garanzie per la difesa solo in relazione alla dichiarazione di inammissibilita' del ricorso per manifesta infondatezza. D'altra parte, l'attivita' difensiva, soltanto eventuale (potendo sempre essere dispiegata mediante istanze e memorie prima della declaratoria di inammissibilita'), e' ampiamente assicurata con la previsione del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza. In ossequio alla gia' citata direttiva 89 e come meglio si precisera' nella relativa sede, la dichiarazione di inammissibilita' in camera di consiglio da parte della corte di cassazione ha ricevuto, invece, una disciplina profondamente innovativa: e cio' per piu' considerazioni. Da un lato, infatti, tutte le cause di inammissibilita', ivi compresa la manifesta infondatezza, sono state trattate allo stesso modo per l'assorbente rilievo che la gravita' della pronuncia e l'impossibilita' di distinguere le cause stesse sul piano di una loro piu' o meno agevole verifica, postulano un identico regime di garanzie. Sotto altro profilo, poi, e' sembrato non conforme alla stessa natura del giudizio di cassazione prevedere l'oralita' come strumento atto ad assicurare il ristoro delle esigenze difensive, cui pur fa riferimento la legge-delega nei limitati termini di cui si e' detto. Conseguentemente, si e' ritenuto di stabilire che nel caso in esame la corte giudica sui motivi e sulle memorie delle parti, le quali possono presentare motivi nuovi e memorie in replica fino a cinque giorni prima dell'udienza, in modo tale da assicurare la pienezza del contraddittorio sul thema decidendum, gia' noto all'origine per la particolare disciplina degli avvisi prevista dall'art. 603. Un significativo miglioramento rispetto alla delega precedente e' stato operato con le direttive 94 e 95 della legge-delega del 1987. Con la prima si elimina la regola della obbligatorieta' della rinnovazione del dibattimento a richiesta delle parti, tradotta nell'art. 563 del Progetto preliminare del 1978, che tante critiche aveva suscitato specie nella magistratura, rispristinandosi il sistema dell'attuale art. 520 c.p.p., secondo cui la rinnovazione e' possibile, a parte le condizioni privilegiate per il contumace, solo quando il giudice sia nella impossibilita' di decidere allo stato degli atti. Con la seconda si stabilisce che le conclusioni della difesa dinanzi alla corte di cassazione non sono piu' obbligatorie, come prevedeva l'art. 579 comma 2 del Progetto preliminare del 1978. Si ritorna quindi al sistema attualmente vigente, nella considerazione che, trattandosi di un giudizio di legittimita', i motivi del ricorso, affidati all'atto scritto, non abbisognino necessariamente di ulteriori delucidazioni o illustrazioni. Non e' stata naturalmente estranea a tale scelta l'esigenza di evitare inutili appesantimenti e di contribuire ad ogni livello a conseguire una maggiore sollecitudine nello svolgimento del processo. Ad analoghe esigenze di speditezza e' improntata la disciplina della decorrenza dei termini per l'impugnazione. Una volta approvata dal legislatore del 1987, nella direttiva 83, la scelta del Progetto preliminare del 1978 di favorire il piu' possibile la motivazione contestuale della sentenza, e' parso opportuno prevedere che in tali casi il termine decorra dal giorno stesso della lettura della decisione nel suo insieme, che comporta la conoscenza immediata ed integrale, da parte di tutti i presenti, delle ragioni che l'hanno determinata. Per gli stessi motivi naturalmente tale decorrenza non potra' essere utilizzata per l'imputato contumace o allorquando la motivazione venga redatta successivamente. Tuttavia, anche per quest'ultima ipotesi, che ci si augura non rimanga regola generale, la Commissione, avvalendosi della stessa direttiva 83, che sollecitava alla massima funzionalita' e semplificazione, ha ideato un meccanismo che, utilizzando le nuove disposizioni in tema di redazione e deposito delle sentenze (artt. 537 e 541), a'ncora la decorrenza del termine alla data, alternativamente prevista o fissata, del deposito della decisione. Di qui l'indicazione di termini differenziati esplicitata dall'art. 547. Particolare segnalazione va fatta per quanto attiene al pubblico ministero impugnante. La presupposta configurazione di un pubblico ministero presso il pretore ha imposto non solo di includere anche tale soggetto tra gli organi legittimati a proporre impugnazione, ma di disciplinare anche i rapporti tra le diverse impugnazioni eventualmente proposte da organi del pubblico ministero di grado diverso. Una decisa innovazione al riguardo e' stata introdotta con la previsione che il pubblico ministero impugnante possa richiedere, e, con il consenso del procuratore generale del grado presso il quale si svolge il giudizio di impugnazione, ottenere l'autorizzazione ad esercitare egli le funzioni di pubblico ministero in quel processo anche nel superiore grado di giudizio. L'innovazione si spiega con l'opportunita' di non far disperdere la conoscenza e l'esperienza gia' acquisite dei fatti di quel processo, cosi' evitando, giacche' si immagina che tale facolta' sara' esercitata soltanto nei processi piu' impegnativi, anche un nuovo studio di atti particolarmente ponderosi. Tali pratiche esigenze sono state ritenute prevalenti sul timore di un'eccessiva personalizzazione dell'accusa, mitigata peraltro dalla acquisita configurazione del pubblico ministero quale parte del processo. I rapporti tra i vari organi del pubblico ministero infine si riflettono naturalmente anche quanto alla rinuncia alla impugnazione, secondo le regole qui dettate dall'art. 582. Per quanto concerne l'impugnazione dell'imputato, si e' mantenuto il tradizionale principio che il relativo diritto possa essere esercitato anche mediante un procuratore speciale, precisandosi, tuttavia, che la nomina di quest'ultimo puo' essere anche antecedente alla decisione da impugnare. Cio' al fine di dirimere perplessita', talora avanzate, che la procura antecedentemente conferita possa assumere i connotati di una impugnazione preventiva, come tale inammissibile. Innovativa e', invece, la disciplina che regola la legittimazione del difensore a proporre impugnazione avverso una sentenza contumaciale: si e' previsto, infatti, che in tal caso il difensore deve essere munito di specifico mandato, rilasciato con l'atto di nomina o anche successivamente. La ragion d'essere di tale previsione risiede nel fatto che l'impugnazione proposta dal difensore esaurisce per l'imputato la possibilita' di ottenere, se contumace, la restituzione in termini, istituto, quest'ultimo, che ha ricevuto una disciplina particolarmente ampia nell'art. 175. Conseguentemente, e' sembrato necessario limitare la legittimazione del difensore nel caso di sentenza contumaciale, allo scopo di impedire gli effetti preclusivi che scaturirebbero da una impugnazione proposta frettolosamente da un difensore il quale, sia esso legato o meno da rapporto fiduciario, e' ben possibile non abbia potuto prendere contatto con l'imputato nel breve termine previsto per la proposizione del gravame. La previsione di uno specifico mandato consente, invece, di presumere che l'imputato abbia effettuato una preventiva valutazione circa le conseguenze dell'attivita' che il difensore potra' compiere nel suo interesse, ivi compreso, quindi, l'eventuale effetto preclusivo di cui prima si e' detto. La legge-delega, alla direttiva 87, ha fatto propria la scelta gia' effettuata nel Progetto preliminare del 1978, di estendere anche alla parte offesa la facolta' di chiedere al pubblico ministero di proporre impugnazione. E' parso opportuno stabilire che le ragioni del mancato accoglimento dell'istanza debbano essere espresse in un apposito decreto. Quanto all'impugnazione per gli interessi civili, una volta ripristinata la norma dell'ultimo comma dell'art. 202 del codice vigente, che consente di sottolineare la diversa area di operativita' delle due decisioni, si e' dovuta prevedere (art. 569) l'impugnazione della parte civile anche in relazione alla sentenza emessa nel giudizio abbreviato. In esecuzione della direttiva 85, dettata da un emendamento approvato non senza contrasti al Senato, e' stata introdotta la legittimazione della parte civile ad impugnare la sentenza di condanna o di proscioglimento per i reati di ingiuria o di diffamazione e, in conformita' della direttiva 28, e' stato inserito nel Progetto il dovere del giudice di provvedere sulle restituzioni e sul risarcimento del danno quando l'imputato, gia' condannato, debba essere prosciolto per una causa di estinzione del reato. Un generalizzato dovere di notifica alle altre parti dell'impugnazione proposta e' stato stabilito nell'art. 577, che lo pone pero' a carico del segretario del giudice, anche al fine di rendere possibile il funzionamento di taluni nuovi istituti, quali l'appello incidentale e il ricorso in cassazione per saltum. Quest'ultimo, gia' previsto nel Progetto preliminare del 1978, e' stato mantenuto anche in questo Progetto, pur scontandosene la scarsa utilizzazione, nell'intento di spingere verso l'impiego piu' proprio dei singoli mezzi di impugnazione. L'area della decisione del giudice dell'impugnazione rimane naturalmente fissata dai motivi addotti dall'impugnante, che, pur non costituendo piu' atto separato dalla dichiarazione di impugnazione, sono egualmente enucleabili all'interno del gravame proposto. Rimane salva la facolta' del giudice di appello di concedere attenuanti e benefici, anche se non richiesti, nell'ambito percio' di una ulteriore implicita devoluzione, al pari di altre forme di devoluzione implicita sempre riconosciute in tema di competenza e di nullita' insanabili. Si intende che, per il ricorso per cassazione, permangono i limiti derivanti dalla natura del giudizio di legittimita', sia pur mitigati da un'estensione dei poteri della corte di cassazione, gia' ora spesso intravedibili nella giurisprudenza formatasi dopo la modifica dell'ultimo comma dell'art. 538 c.p.p., attuata con il d.l. 20 aprile 1974, n. 104. Al fine di legittimare tale intervento, si e' esplicitamente consentito alla corte di cassazione, che prosciolga il condannato da uno dei reati contestati, allorquando la determinazione della pena per ciascun reato non sia stata fatta dai giudici di merito, di effettuare direttamente la conseguente eliminazione della pena, cosi' evitandosi inutili rinvii e probabili prescrizioni (art. 612 comma 1 lett. l). Rimangono gli effetti, sia pure nella rivisitazione dommatica effettuata dal Progetto preliminare del 1978 (Relazione, p. 447), della sospensione dell'esecuzione dovuta all'impugnabilita' della decisione o alla proposizione dell'impugnazione, nonche' la possibile favorevole estensione dei motivi e della sentenza al coimputato non impugnante, riguardata questa volta anche con riferimento all'ipotesi della unione dei procedimenti per reati diversi. L'unificazione nell'unico atto di impugnazione dei due momenti, ora ontologicamente e temporalmente diversi, della dichiarazione e della presentazione dei motivi, oltre a rendere piu' spedita la fase introduttiva del gravame (specie se correlata al diverso modo di decorrenza dei termini) ridurra' notevolmente le ragioni di inammissibilita' che sono precisate nell'art. 584, ferma restando la precedente e risolutiva scelta di demandarne la rilevazione e la pronuncia al solo giudice dell'impugnazione, cosi' eliminandosi ogni discussione sui poteri concorrenti delle due fasi conferiti attualmente dagli artt. 207 e 209 c.p.p. TITOLO I DISPOSIZIONI GENERALI L'articolo 561 ripete il principio della tassativita' delle impugnazioni con l'ulteriore richiamo al contenuto prescrittivo dell'art. 111 Cost. La riaffermata accettazione del principio generale di conversione delle impugnazioni viene qui espressa nel comma 5, con l'indicazione delle modalita' e degli adempimenti che derivano al giudice dinanzi al quale sia stata proposta un'impugnazione non consentita. E' rimasta esclusa l'espressa previsione dell'impugnazione dei provvedimenti abnormi, attesa la rilevante difficolta' di una possibile tipizzazione e la necessita' di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l'esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilita'. Se infatti, proprio per il principio di tassativita', dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, e' vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l'esperimento di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti dall'ordinamento. Nell'articolo 562 vi e' la previsione di un ricorso immediato per cassazione, gia' presente nel Progetto preliminare del 1978, ammissibile allorquando si sia raggiunta l'intesa tra le parti per far decidere la questione di diritto oggetto della controversia direttamente dalla corte di cassazione. Pur nella constatazione della scarsa applicazione avvenuta nel processo civile per l'omonimo istituto previsto dall'art. 360 ultimo comma c.p.c., si e' ritenuto di dover mantenere tale possibilita' nel nuovo codice di rito penale, allo scopo di fornire comunque uno strumento acceleratorio del processo, per effetto del quale la parte privata risparmia le spese del giudizio di grado intermedio, qualunque sia l'esito. Coerentemente con tale esigenza, e' stato previsto che l'eventuale giudizio di rinvio debba svolgersi in via generale dinanzi alla corte di appello, per evitare che si disperda l'effetto sollecitatorio che l'istituto mira a conseguire. Dovendo comunque la parte che ha proposto appello essere messa in condizione di adeguare le sue difese al diverso rimedio della cassazione, si e' prevista la possibilita' di motivi aggiunti, in luogo di una piu' lunga e costosa rimessione nei termini iniziali ordinari. Alla stregua delle precisate finalita' dell'istituto, si comprende come tale rimedio sia stato escluso allorquando il vizio denunciabile in cassazione sia rapportato ad un difetto di motivazione ovvero alla mancata assunzione di una prova decisiva (v. art. 599 comma 1 lett. d ) ed e), ipotesi entrambe nelle quali il mezzo piu' congeniale di impugnazione e' costituito dall'appello, che non c'e' quindi ragione di saltare. L'articolo 563 disciplina le impugnazioni del pubblico ministero. La legittimazione e' stata conferita al nuovo pubblico ministero presso il pretore, al procuratore della Repubblica e al procuratore generale presso la corte di appello, in conformita' delle competenze del giudice presso il quale tali soggetti sono chiamati a svolgere le loro funzioni in primo o in secondo grado. Si ripete, in buona sostanza, lo schema dell'attuale art. 191 c.p.p., anche per sopperire all'eventuale inerzia del pubblico ministero di grado inferiore. Non vi e' alcun accenno agli avvisi e alle notifiche indicate nel Progetto preliminare del 1978, essendo stato il relativo onere generalizzato per adeguarlo ad una visione sempre piu' paritetica del processo e per soddisfare la possibilita' di esperimento di nuovi istituti introdotti nel processo. Per evitare pertanto duplicazione di disposizioni, con riferimento al pubblico ministero e alle parti private, e' parso percio' opportuno creare un'apposita norma (art. 577) che precisi, insieme con l'obbligo di notifica, l'area dei soggetti destinatari delle notifiche stesse. L'articolo 564 correlativamente disciplina l'impugnazione dell'imputato, prevedendo che questi si possa avvalere anche di un procuratore speciale. Scompare il riferimento ai minori - e quindi ai genitori - posto che essi non possono piu' essere giudicati dal giudice ordinario dopo la sentenza n. 222 del 1983 della Corte costituzionale. In ogni caso il relativo processo trovera' adeguata disciplina nella debita sede. L'incapacita' legale e' evidentemente estranea al tema. Quanto infine all'incapacita' naturale, e' evidente che la stessa puo' rilevare solo come incapacita' processuale: ma a cio' provvedono gia' gli articoli 67 e seguenti, che impongono la sospensione del procedimento. Nel comma 2 e' previsto che l'impugnazione possa avvenire ad opera del difensore intendendo per tale sia quello che sia stato nominato per il giudizio terminato con la sentenza che si impugna, sia altro appositamente nominato per il giudizio di impugnazione. Nella parte introduttiva sono state esposte le ragioni per le quali si e' ritenuto di prevedere un particolare regime per l'impugnazione del difensore avverso la sentenza contumaciale, particolarita' rappresentata dal conferimento di uno specifico mandato rilasciato con la nomina o anche successivamente. La prevalenza della volonta' dell'imputato e' stata comunque assicurata conferendo all'imputato stesso il potere di togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore nei modi previsti per la rinuncia. L'articolo 565 prevede in forma piu' ampia e convincente la possibilita' di un'istanza della parte offesa al pubblico ministero per la proposizione della impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell'imputato, sia nel senso di consentire l'esperimento non solo ai fini dell'accertamento del reato, ma anche ad ogni effetto penale (direttiva 87), sia con riguardo alla legittimazione, estesa anche, in omaggio alla direttiva 39, agli enti e alle associazioni intervenute nel processo ai sensi degli artt. 90, 91 e 92. E, per evitare che le determinazioni del pubblico ministero possano esaurirsi in una formula di stile destinata a restare agli atti, e' stato disposto che esse debbano essere tradotte in un decreto, da notificarsi al richiedente, che serva a responsabilizzare il pubblico ministero. Gli artt. 566 e 569 riguardano le impugnazioni per gli interessi civili. L'articolo 566 ricalca nelle linee essenziali la disposizione dell'art. 202 del vigente codice, con riferimento alle due proposizioni che sono sembrate essenziali, che riguardano la trattazione anche di tali impugnazioni con le forme ordinarie del processo penale, imposta dalla scelta di attribuirne al giudice penale la cognizione, e l'inefficacia sospensiva di questa impugnazione quanto alle disposizioni penali del provvedimento impugnato. Quest'ultima disposizione non era stata inclusa nel Progetto preliminare del 1978, essendo stata ritenuta superflua, in relazione al gia' limitato ambito di devoluzione dell'impugnazione per i soli interessi civili, ma non certo perche' non si concordasse sul contenuto della norma. L'articolo 567 ripete la disciplina contenuta negli artt. 516 e 526 comma 2 c.p.p., sicche', per ragione di compiutezza, e' stato introdotto, rispetto al Progetto preliminare del 1978, un secondo comma al fine di disciplinare anche l'impugnazione contro le disposizioni della sentenza di proscioglimento relative alle richieste dell'imputato quanto ai danni e alle spese processuali (art. 534). Al comma 4 e' stata aggiunta una precisazione delimitativa dell'effetto conseguenziale dell'impugnazione penale. L'articolo 568, rimasto inalterato rispetto al Progetto preliminare del 1978, conferisce al responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecunaria il diritto a proporre impugnazione non solo contro la sentenza civile emessa nei loro confronti, ma anche avverso la pronuncia di condanna penale dell'imputato, in conformita' della duplicita' di interessi, sia diretto che mediato, riscontrabile nella posizione di tali soggetti chiamati a rispondere per fatto non proprio. L'articolo 569 si occupa delle impugnazioni proprie della parte civile, come e' nell'intitolazione dell'art. 195 c.p.p., e del querelante che sia stato condannato alle spese e ai danni (art. 535), con un riferimento anche alla sentenza di merito pronunciata nell'udienza preliminare. L'estensione alla pronuncia sull'an debeatur deriva dalle decisioni della Corte costituzionale n. 1 del 1970 e n. 29 del 1972, che ritennero la illegittimita' dell'esistenza di limiti alla proponibilita' del ricorso per cassazione della parte civile contro le disposizioni della sentenza riguardanti i suoi interessi civili. Come e' noto, nonostante tali decisioni riguardassero il solo ricorso per cassazione, gia' in sede di lavori preparatori della precedente delega si rilevo' come dovesse ritenersi incoerente un sistema che consentisse, nelle ipotesi predette, il ricorso e non l'appello della parte civile. Questo spiega perche' la norma e' ora formulata in sede di disposizioni generali, con riferimento percio' ad entrambe le impugnazioni. L'articolo 570 introduce una previsione del tutto nuova, dovuta ad un emendamento introdotto non senza contrasti al Senato nel corso dei lavori preparatori. Esso fu giustificato dal relatore sen. Gallo con il rilievo che la natura dei reati di ingiuria e diffamazione, idonei a colpire il patrimonio morale della persona offesa, richiedessero una piu' energica tutela, anche perche' la legge-delega prevedeva gia' una possibile estensione di taluni diritti, propri delle parti processuali, a soggetti estranei, non titolari dell'interesse leso dal reato. Si e' ritenuto di redigere la norma ricalcando le parole della legge-delega ed assegnandone la legittimazione alla sola parte offesa costituita parte civile, sia perche' si e' pervenuti alla conclusione che nella legge-delega i riferimenti alla parte privata debbano intendersi proprio alla parte civile (direttive 3, 10, 15, 22, 39, 50, 51, 52, 69, 72, 73, 76), sia perche' e' parsa eccessiva una estensione della legittimazione all'impugnazione anche a chi abbia mostrato un non eccessivo interesse al processo di primo grado. Quanto alla seconda parte della stessa direttiva 85, alla stregua della quale il termine per l'impugnazione per tali sentenze deve decorrere " dal giorno dell'avviso di deposito ", si e' ritenuto di non dover attribuire a tale indicazione il carattere perentorio che a prima vista essa sembra avere. A parte infatti che non e' in alcun modo spiegata la ragione di un diverso e particolare trattamento, che si collocherebbe in posizione asistematica, e' stato rilevato che la puntuale applicazione della direttiva avrebbe escluso la possibilita' della motivazione contestuale - che la delega intende favorire - proprio nelle ipotesi in cui l'attacco " a valori strettamente intrinsechi al significato e alla portata della persona umana " richiederebbe una definizione immediata ed esauriente del procedimento, come la legge gia' prescrive per i reati commessi col mezzo della stampa. Dalla direttiva 85 si ricava il dato essenziale della necessita' che l'impugnazione non debba essere fatta senza l'integrale conoscenza della decisione e delle ragioni che l'hanno determinata, ma questa esigenza risulta gia' pienamente soddisfatta con la eliminazione dei due momenti diversi della dichiarazione e della presentazione dei motivi per la generalizzata introduzione dell'atto unitario di impugnazione, che nella legge-delega non risultava prescritto; sicche' per questa via si e' estesa a tutti i processi la garanzia di fondo sottolineata dalla direttiva 85 per tali specie di reati. L'articolo 571 esegue la direttiva 28 della legge-delega e riproduce pressoche' integralmente l'art. 12 della l. 3 agosto 1978, n. 405, che costituisce il testo di legge innovativo in materia, estendendone la normativa anche all'analogo istituto della prescrizione. L'articolo 572 detta una disciplina unitaria delle impugnazioni