(parte 7)
giudizio  immediato  ogni  qual  volta  le  indagini  possano  essere
compiute nello spazio di novanta giorni.
   Il  giudizio  immediato e' meno rigido del giudizio direttissimo e
consente al pubblico ministero cospicui tempi di indagine: in  questa
nuova  forma di procedimento, l'" evidenza " non e' un dato oggettivo
presupposto  all'instaurazione  del  giudizio,  ma  e'  il  possibile
risultato di una acquisizione probatoria protrattasi per un tempo non
superiore a novanta giorni.
   Conseguentemente qui e' evenienza normale e fisiologica che sia lo
stesso pubblico ministero a poter determinare l'evidenza della prova,
quale  risultato  di  un'indagine  preliminare  d'iniziativa  diretta
oppure delegata alla polizia giudiziaria.
   Ne  risulta, percio', un rito che si colloca a meta' strada tra il
giudizio direttissimo e il procedimento ordinario.
Illustrazione degli articoli.
   L'articolo 447 descrive i casi e i modi del giudizio immediato. In
particolare il comma 1 stabilisce  che  il  giudizio  immediato  puo'
essere   richiesto   -  ricorrendone  i  presupposti  -  solo  previo
interrogatorio dell'imputato.
   Il  comma  2  contiene una disposizione, analoga a quella prevista
per il  giudizio  direttissimo,  tendente  a  regolare  l'ipotesi  di
connessione  del reato per cui e' richiesto il giudizio immediato con
altri reati per i quali mancano  le  condizioni  per  tale  rito:  la
regola  e'  che  si procede separatamente salvo che da cio' derivi un
grave pregiudizio per le indagini. L'ulteriore regola e' che, in caso
di riunione, prevale il rito ordinario.
   Deve  essere  sottolineata  la facolta', riconosciuta all'imputato
dal comma 3, di richiedere il giudizio  immediato  in  sede  di  atti
introduttivi all'udienza preliminare.
   Gli  articoli  448 - 451 descrivono le attivita' predibattimentali
di questo rito, la cui peculiarita' consiste  nella  riduzione  degli
ambiti  temporali delle indagini preliminari del pubblico ministero e
nello scavalcamento della udienza preliminare, con coinvolgimento del
giudice  dell'udienza  preliminare  unicamente  al  limitato  fine di
predisporre il passaggio rapido al dibatti mento.
   L'art.  448  regola  la  formulazione  della richiesta di giudizio
immediato; con tale  richiesta  il  pubblico  ministero  deposita  il
fascicolo  e gli atti in suo possesso relativi alla notizia di reato,
alle   indagini   espletate,   agli   atti   eventualmente    assunti
nell'incidente  probatorio.  La  conoscenza  di  tutti  gli  atti  e'
condizione indispensabile per la valutazione  da  parte  del  giudice
della ipotesi accusatoria del pubblico ministero.
   Naturalmente,  ove  il  giudice  emetta  decreto  che  dispone  il
giudizio immediato, viene formato il fascicolo per il dibattimento  a
norma  dell'art.  427,  mentre  gli  altri atti vengono restituiti al
pubblico ministero (art. 451).
   L'altro  esito  ipotizzabile  e'  costituito  da  una  valutazione
negativa da parte del giudice  in  ordine  alla  ipotesi  accusatoria
proposta   dal  pubblico  ministero  e,  quindi,  dal  rigetto  della
richiesta di giudizio immediato. In tale  ipotesi  gli  atti  vengono
restituiti  al  pubblico  ministero senza alcuna indicazione da parte
del giudice circa eventuali indagini ulteriori da compiere.
   L'articolo 452 disciplina la facolta' dell'imputato di chiedere il
giudizio abbreviato. Tale previsione  si  e'  imposta  a  fronte  del
rilievo  per cui, pure in mancanza di udienza preliminare, non poteva
essere eliminato il diritto dell'imputato di usufruire, chiedendo  il
giudizio  allo  stato degli atti ai sensi degli artt. 434 e seguenti,
del beneficio della riduzione della pena nella misura  di  un  terzo,
pena  una  prevedibile  censura  di  incostituzionalita'. Il giudizio
abbreviato, inoltre, presenta particolari vantaggi di celerita',  sia
per  l'eliminazione  del  dibattimento  sia  per  i  limiti  previsti
all'appellabilita' della sentenza.
   Tali  argomentazioni  -  oltre  che  l'intento  di  disincentivare
manovre meramente dilatorie  -  rendono  comprensibile  la  ulteriore
disciplina  contenuta nell'art. 452 e cioe' la inapplicabilita' della
previsione detta nel caso il giudizio immediato sia  stato  richiesto
nel  corso  dell'udienza  preliminare:  perche'  gia'  in quella sede
l'imputato avrebbe potuto chiedere il giudizio abbreviato.
   Conseguente  alle  argomentazioni  da ultimo esposte e' inoltre la
previsione (art. 450 comma 2) secondo  cui  il  decreto  di  giudizio
immediato  contiene l'avviso che l'imputato puo' chiedere il giudizio
abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta a norma dell'art.
439.
                               TITOLO V
                       PROCEDIMENTO PER DECRETO
Premessa.
   Tra  i  riti  differenziati  rientra  anche  il  decreto penale di
condanna,  a  cui  si  richiamano,  come  strumento  privilegiato  di
definizione   anticipata   del  procedimento,  pressoche'  tutti  gli
interventi nel corso del dibattito parlamentare, nonche' le relazioni
della  Commissione Giustizia della Camera e del Senato e la relazione
del ministro Martinazzoli al disegno di legge-delega, presentata alla
Camera dei deputati il 21 ottobre 1983.
   Unitamente a queste indicazioni di fondo sulla funzione svolta dal
procedimento per decreto, la linea di tendenza ad allargarne l'ambito
di operativita' trova espressione nell'estensione dell'istituto anche
al caso di condanna a pena pecuniaria  inflitta  in  sostituzione  di
pena detentiva ribadita dalla direttiva 46 della legge-delega. Non ha
invece trovato accoglimento nella nuova delega la proposta,  espressa
in  un  emendamento  del ministro Morlino presentato alla Commissione
Giustizia della Camera il 21 febbraio 1980, di allargare l'ambito  di
operativita' del decreto alle condanne a pene detentive non superiori
a tre mesi, purche' sospese condizionalmente o estinte per indulto.
   La  disciplina della legge-delega, sia in se' considerata, sia nel
raffronto con la precedente  delega  del  1974,  non  suscita  dunque
controversie  ed  esprime in modo univoco l'intendimento di riservare
ampio spazio al decreto penale  di  condanna,  pur  senza  estenderne
l'ambito di operativita' alle pene detentive brevi.
   Tenendo  conto  di  questa  indicazione  di  fondo, il legislatore
delegato  ha  ritenuto  conforme  alla  legge-delega   prevedere   un
potenziamento dell'istituto del decreto operando alcune scelte.
   Si  e'  innanzitutto  estesa  l'operativita' del decreto penale ai
reati di competenza del tribunale (ad esempio, reati di  contrabbando
puniti  con  la  sola  pena  pecuniaria).  In  mancanza  di qualsiasi
controindicazione nella direttiva 46  della  legge-delega,  e  tenuto
conto  che nella relazione al Progetto preliminare del 1978 la scelta
allora operata di circoscrivere l'operativita' dell'istituto ai  soli
reati  di  competenza  pretorile non era stata accompagnata da alcuna
specifica ragione a favore di tale limitazione, e'  parso  del  tutto
coerente con la volonta' del legislatore delegante estendere l'ambito
di applicazione dell'istituto ai reati di competenza  del  tribunale.
La  scelta  gia'  operata  nel  Progetto  del 1978 e' apparsa infatti
motivata piu' da una sorta di acritico adeguamento alla  tradizionale
portata  dell'istituto  che  all'esistenza  di  controindicazioni  di
politica legislativa o tecnico-giuridiche.
   L'estensione   ai  reati  di  competenza  del  tribunale  comporta
ovviamente  un  mutamento  della  collocazione  che  era  stata  data
all'istituto  nel  Progetto  preliminare  del  1978, ove figurava nel
titolo II del libro IX relativo al procedimento pretorile. La materia
e' ora quindi collocata nella parte relativa ai riti differenziati.
   Al  fine  di incentivare l'acquiescenza al decreto, ed inserendosi
nelle  prospettive  "  premiali  "  che  ispirano  gli   altri   riti
abbreviati,  si  e'  poi  ritenuto  opportuno  attribuire al pubblico
ministero la facolta' di richiedere al giudice  che  venga  applicata
una  pena  diminuita  sino  alla  meta' rispetto al minimo della pena
edittale (art. 453). La diminuzione della misura della pena sino alla
meta'  trova  la  sua  ragione  nella constatazione che per gli altri
procedimenti semplificati (giudizio abbreviato di cui alla  direttiva
53 della delega e applicazione della pena su richiesta delle parti di
cui alla direttiva 45) l'incentivo premiale prevede  una  diminuzione
di  pena  sino  ad un terzo. Poiche' dal punto di vista dell'economia
processuale il procedimento per decreto e' senza  dubbio  quello  che
consente   il   maggior   risparmio   di   risorse   e   la   maggior
semplificazione,   pare   opportuno    incentivarne    l'operativita'
ricorrendo ad una piu' consistente incidenza del meccanismo premiale.
Ove infatti vi siano i presupposti per ricorrere sia al  procedimento
per  decreto, sia agli altri riti abbreviati di cui alle direttive 45
e 53 della delega,  il  pubblico  ministero  dovra'  in  primo  luogo
proporre  il  procedimento  per decreto, sul presupposto che un forte
incentivo premiale possa convincere l'imputato della opportunita'  di
accettare  una  condanna considerevolmente ridotta rispetto al minimo
della pena edittale.
   Si inserisce in questa logica anche la previsione, tra i requisiti
del decreto, della menzione della diminuzione della pena al di  sotto
del  minimo edittale e delle ragioni che hanno determinato il giudice
ad operare tale diminuzione,  in  modo  che  l'imputato  possa  avere
chiara  nozione  dei  vantaggi  connessi  all'acquiescenza al decreto
(art. 454).
   Come  si  e' gia' piu' volte sottolineato, la pratica operativita'
del  nuovo  processo  penale  si  basa  sulla  idoneita'   dei   riti
differenziati   ed   abbreviati   a   deflazionare   il   ricorso  al
dibattimento; di qui l'esigenza di rafforzare al massimo, nei  limiti
della   legge-delega,   meccanismi  premiali  capaci  di  sollecitare
l'adesione dell'imputato al rito abbreviato, sotto il punto di  vista
sia della ridotta entita' della pena, sia del vantaggio di non dovere
praticamente affrontare spese legali,  stante  l'estrema  semplicita'
del rito.
   In   questa  ottica  si  muovono,  infine,  anche  le  innovazioni
introdotte per il caso in cui l'imputato abbia proposto opposizione e
il  procedimento  debba  seguire  un ulteriore corso. Al riguardo, il
Progetto  preliminare  del  1978  ricalcava  la  disciplina  vigente,
prevedendo  che,  nel  caso  in  cui  il  pretore  non accogliesse la
richiesta di decreto del pubblico ministero, ovvero nel caso  in  cui
fosse   impossibile   notificare   il   decreto  per  irreperibilita'
dell'imputato, il pretore medesimo emettesse il decreto di  citazione
a giudizio.
   Questa  disciplina  veniva peraltro a privilegiare il passaggio al
dibattimento,  sacrificando  le   possibilita'   di   concludere   il
procedimento  mediante  altri  riti  abbreviati.  Ad  evitare  questa
conseguenza si e' preferito disporre che, nei casi in cui il  giudice
ritiene  di  non  dovere emettere il decreto, ovvero non e' possibile
notificarlo all'imputato, gli atti  vengano  restituiti  al  pubblico
ministero  (artt.  453 e 454,) il quale potra' richiedere il giudizio
immediato, il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma
dell'art.   439,   cioe'   indirizzare  il  procedimento  verso  riti
semplificati e piu' celeri rispetto alla  richiesta  di  citazione  a
giudizio attraverso l'udienza preliminare.
   Nella  medesima  direzione  si  muove  la norma (art. 455 comma 3)
secondo cui l'opponente puo' chiedere, in sede di  opposizione,  solo
il giudizio immediato, ovvero il giudizio abbreviato o l'applicazione
della pena a norma dell'art. 439, previo  evidentemente  il  consenso
del  pubblico  ministero, e non anche l'udienza preliminare; si vuole
cioe' precludere che, nei casi  presumibilmente  semplici  e  di  non
particolare  gravita'  in  cui il pubblico ministero ritiene di poter
ricorrere al rito per decreto, il  procedimento  possa  sfociare  nel
meccanismo  piu'  complesso e sofisticato che prevede, per i reati di
competenza del tribunale, l'udienza preliminare  quale  filtro  prima
del dibattimento.
   Le  ulteriori  indicazioni  della direttiva 46 della legge-delega,
relative alle garanzie della difesa nella fase di  opposizione,  alla
previsione  di  un  congruo termine per l'opposizione e di ipotesi di
remissione in  termini,  sono  state  tradotte  mantenendo  ferma  la
disciplina,  gia'  prevista  nel  Progetto  preliminare del 1978, del
termine di 15 giorni per proporre opposizione ed eliminando la  norma
del  vigente  codice di procedura penale che dispone l'esecuzione del
decreto nel caso in cui l'opponente non si presenta al  dibattimento.
   Si  e'  ritenuto opportuno, al fine di facilitare la presentazione
della opposizione, consentire che possa  essere  proposta  anche  dal
difensore   appositamente   nominato   dall'imputato,  inserendo,  di
conseguenza,  tra  i  requisiti  del   decreto   l'avvertimento   che
l'imputato ha facolta' di nominare un difensore.
   Circa   il   richiamo,   contenuto   nella   direttiva   46  della
legge-delega, ad ipotesi di rimessione in termini, si e' ritenuto che
l'espressa  indicazione  della  rimessione con riferimento al decreto
comportasse una disciplina dei casi  di  rimessione  piu'  estesa  di
quella prevista in via generale.
   L'esigenza  e'  stata  risolta  prevedendo  nell'art.  175 comma 2
(norma che disciplina in via generale la  restituzione  nel  termine)
una specifica ipotesi di remissione ove l'imputato provi di non avere
avuto effettiva conoscenza del decreto penale.
Illustrazione degli articoli.
  Passando  ad  un  esame analitico delle disposizioni formulate, sul
tema dei presupposti del rito, si deve segnalare  la  scelta  operata
nell'articolo  453 in ordine alla perseguibilita' d'ufficio dei reati
per i quali  e'  possibile  adottare  il  procedimento  speciale.  Le
osservazioni  formulate  nel  Parere della Commissione Consultiva (p.
398) sulla corrispondente disposizione del Progetto  preliminare  del
1978  (art.  529)  non  sono  apparse,  infatti, tali da superare gli
argomenti  che  nell'attuale  ordinamento  la  dottrina  adduce   per
giustificare  la  disciplina dell'art. 506 sullo specifico punto. Nel
caso di reato perseguibile  a  querela,  ad  esempio,  la  situazione
impeditiva  del  rito  abbreviato scaturisce dall'assoggettamento del
processo ad una serie di regole incompatibili  con  il  carattere  di
snellezza  e  celerita'  che  contraddistinguono  il procedimento per
decreto. Senza  tener  conto,  poi,  dei  problemi  che  scaturiscono
dall'eventualita'  che si costituisca parte civile il danneggiato dal
reato, la cui costituzione, come noto, non e' compatibile con il rito
abbreviato.
   Si  collega con queste considerazioni anche l'orientamento seguito
dall'art.  455  comma  5.  Non  pare,  infatti,  ragionevole  che  un
accertamento  caratterizzato  da  una  accentuata  sommarieta',  come
quello che si svolge in  sede  monitoria,  possa,  in  qualche  modo,
essere vincolante nei confronti di un soggetto che non e' stato posto
in  grado  d'interloquire  nel  procedimento.  Tale  e',  del  resto,
l'avviso  espresso  dalla  Corte  costituzionale  nelle  sentenze  n.
99/1973 e  n.   55/1971.  Ne'  potrebbe,  di  contro,  ammettersi  la
costituzione   di  parte  civile  in  sede  monitoria,  poiche'  essa
imporrebbe la conversione del rito in quello ordinario in ragione del
fatto  che  un  eventuale  decreto  penale equivarrebbe, come la piu'
accreditata dottrina sottolinea, ad un diniego di pronuncia.
   L'inciso  "anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva" e'
stato inserito (art. 453 comma 1) in ottemperanza alla  direttiva  46
della legge-delega che si e' fatta carico dell'innovazione introdotta
dall'art. 53 comma 3 l. 24 novembre 1981, n. 689. A questo  riguardo,
va  osservato che la predetta direttiva 46 non consente altra deroga,
sotto il profilo "qualitativo"  della  pena  irrogabile  con  decreto
penale,  disponendo  che  il rito puo' essere adottato "solo per pene
pecuniarie".
   Si  e'  ritenuto  di poter introdurre una novita' di rilievo nella
disciplina del procedimento monitorio consentendo la scelta  di  tale
rito  anche  per  i  reati di competenza diversa da quella pretorile,
fermo  restando  il  limite  della  pena  eslusivamente   pecuniaria.
L'innovazione  non  contrasta  con  il  disposto  della direttiva 46,
stante il termine " giudice " che in esso figura  relativamente  alla
determinazione del giudice competente ad adottare il rito.
   Si  e'  ritenuto  di  poter rendere particolarmente " appetibile "
l'acquiescenza alla definizione anticipata  del  procedimento  penale
consentendo, alla luce del modello offerto dalla direttiva 45, che il
pubblico ministero, ovviamente in considerazione della lieve  entita'
del  fatto  e  del  suo  scarso  allarme  sociale,  sia legittimato a
richiedere una pena diminuita sino  alla  meta'  rispetto  al  minimo
edittale.  L'imputato  sara'  in  tal  modo  indotto ad astenersi dal
proporre opposizione ed  il  procedimento  conseguira'  il  risultato
economico  e  deflattivo  del  carico  dibattimentale che con esso si
persegue.
   Non  si e' ritenuto di mantenere la formulazione dell'art. 529 del
Progetto preliminare del 1978 (ora art. 453) laddove prevedeva che il
giudice,  dissentendo  dalla richiesta, instaurasse il rito ordinario
mediante decreto di citazione.
   E'  parso  invece  opportuno  prevedere  che  in tal caso gli atti
vengano restituiti al pubblico ministero, che potra' cosi' instaurare
altri   riti   abbreviati,   evitando   il  passaggio  automatico  al
dibattimento.
   E'  sembrato,  infine,  ragionevole  escludere  la possibilita' di
inflizione in sede monitoria di misure  di  sicurezza  personale.  Di
fronte   alla   gravita'  del  provvedimento  applicato,  l'imputato,
infatti,  non  verrebbe  mai  indotto  ad  astenersi   dal   proporre
opposizione  e se questa fosse proposta la revoca ex lege del decreto
porrebbe automaticamente nel nulla la condanna e  le  statuizioni  in
essa contenute.
   In  ordine  alla  lett.  c)  dell'articolo 454 va osservato che la
corrispondente disposizione del Progetto preliminare del  1978  (art.
530  n.  3)  si  limitava  ad una riproduzione testuale della formula
adottata dal vigente art. 507 comma 1 n. 3 c.p.p., il che riproponeva
la  stessa  gamma  di  problemi che sul punto si agitano nell'attuale
ordinamento. Pertanto si  e'  ritenuto  di  dover  addivenire  ad  un
recupero  di tale requisito. Un decreto che si presenti costantemente
privo di motivazione, in cui manchi, cioe', non  solo  l'attestazione
di  una  razionale  elaborazione  degli  elementi  di  prova  e delle
questioni giuridiche, ma pure la formulazione autonoma  di  un'accusa
che  rappresenti  il  vaglio  dell'opinio  delicti espressa fuori dal
processo, non puo' che indurre, nella  maggior  parte  dei  casi,  il
condannato   a  proporre  opposizione  dal  momento  che  non  ha  la
possibilita' di persuadersi della giustizia della condanna attraverso
l'illustrazione  degli  elementi probatori e delle ragioni giuridiche
su  cui  si  fonda  l'accertamento,  ancorche'  sommario,  della  sua
responsabilita'. Recenti indirizzi legislativi (art. 53 comma 3 l. n.
689/1981) dimostrano che questa e' la via da seguire.
   Ma  v'e'  un  altro  non  meno fondamentale motivo per cui occorre
restituire  al  decreto  penale  la  sua  vera  natura  di  decisione
motivata,  capace  di  persuadere  il  condannato  dell'inutilita' di
instaurare il contraddittorio  su  una  vicenda  che  avrebbe  scarse
probabilita'  di  esser  risolta  diversamente.  Cio'  giustifica  la
previsione dell'art. 458 comma 3, ai sensi del quale " il  giudice  o
il  pretore puo' applicare in ogni caso una pena anche diversa e piu'
grave di quella  indicata  nel  decreto  di  condanna  e  revocare  i
benefici  gia'  concessi  ".  E'  infatti  evidente  che,  una  volta
esplicitate le ragioni che inducono ad affermare  la  responsabilita'
dell'imputato,  questi  e'  posto  nelle  condizioni di poter operare
consapevolmente la sua scelta circa l'accettazione della  condanna  o
la  richiesta di un dibattimento nel quale potrebbe vedersi applicata
una pena maggiore.
   Attraverso  la  dilatazione del contenuto dell'avvertimento di cui
alla  lett.  e)  si  e'  inteso,  inoltre,  richiamare   l'attenzione
dell'imputato  sull'intero  spettro  di  possibilita'  che  gli  sono
offerte di definire anticipatamente il procedimento.
   Quanto  alla legittimazione a proporre opposizione (articolo 455),
il Progetto preliminare del 1978 ribadiva  il  sistema  vigente,  che
identifica  i  titolari  del  relativo  potere  nel  condannato,  nel
civilmente obbligato per la pena pecuniaria e non  nel  difensore,  a
meno  che  questi  non  rivesta la qualifica di procuratore speciale.
Ora, non sembra che vi sia motivo di mantenere un  simile  meccanismo
il  quale  innesta,  in  ultima  analisi,  un adempimento in piu' per
potersi discolpare. La direttiva 46 della legge-delega, sottolineando
la  necessita'  di  assicurare  nella  fase dell'opposizione tutte le
garanzie difensive, lascia ampio spazio  per  un  ripensamento  sulla
questione,  nel  senso,  appunto, di legittimare anche il difensore a
proporre  opposizione,  e  in  tal  senso  e'  stata   formulata   la
disposizione dell'art. 455 comma 1.
   E'  stata  modificata  anche  la  formula  dell'art.  455  comma 2
rispetto a quella  della  corrispondente  disposizione  del  Progetto
preliminare  del  1978,  che,  letteralmente  interpretata,  sembrava
precludere  la  nomina  di  un  difensore  o,   comunque,   ritenerla
inefficace, se non contestuale alla dichiarazione di opposizione. Non
sembra dubbio che il condannato per decreto possa nominare il proprio
difensore  a  decorrere  dal  momento  in  cui  si e' perfezionata la
notificazione del decreto penale.
   D'altra parte, a fronte di una gamma di scelte ben piu' penetranti
rispetto all'unica alternativa  acquiescenza-opposizione  e'  apparso
doveroso  legittimare  l'imputato  a  nominare  un  difensore fin dal
momento in cui riceve la notificazione del provvedimento.
   Vincolando  il giudice alla esposizione delle ragioni che lo hanno
indotto a concedere l'eventuale diminuzione della pena e a dare  atto
della  concreta  entita'  dello  scomputo operato, rispetto alla pena
prevista per il reato (art. 454 comma 1 lett. c e  comma  2),  si  e'
inteso rendere edotto l'imputato, ai fini delle scelte che si accinge
a compiere, del trattamento particolarmente favorevole del  quale  ha
gia' fruito.
   Degno   di   nota   il   profilo  riguardante  la  conoscenza  del
provvedimento  che  emerge  dalla  direttiva  46  della  legge-delega
(articolo  456).  Nel  sistema  vigente,  la  normativa  che la legge
appresta a  tutela  della  conoscenza  dell'atto  da  notificare  non
preordina  alcuna  particolare  formalita'  affinche'  sia  garantita
l'effettiva conoscenza del decreto  penale.  Alla  luce  degli  esiti
peculiari che la conoscenza del decreto penale si prefigge, posto che
esso viene appreso  dal  destinatario  nella  duplice  componente  di
provvedimento  di  condanna  e di " atto di contestazione formale del
fatto  ",  emerge   una   vasta   gamma   di   problemi   in   ordine
all'effettivita'  del  diritto dell'imputato di proporre opposizione.
Imponendo la previsione di congrue " ipotesi di remissione in termini
",  la  direttiva 46 pone sicuramente le basi per un piu' equilibrato
assetto della materia, tale da garantire  realmente  l'esercizio  del
diritto   spettante   all'imputato.   Per   adeguare   la  disciplina
dell'istituto   al   disposto   della   citata   direttiva    risulta
perfettamente  idonea la formula adottata dall'art. 175 del Progetto.
   Si   e'   ritenuta  meritevole  di  considerazione  l'ipotesi  del
coimputato non opponente insolvibile  nei  confronti  del  quale  sia
stata  disposta la conversione della pena pecuniaria. Dire che costui
beneficia degli effetti favorevoli della  sentenza  emessa  ai  sensi
dell'art.  458 comma 4 ha poco valore posto che, al momento di fruire
della risoluzione ex lege del decreto, costui con buone probabilita',
a  causa dei tempi tecnici di definizione del procedimento ordinario,
ha gia' espiato la pena  sostitutiva,  se  non,  addirittura,  quella
detentiva  di  conversione,  ove,  per  avventura,  sia incorso nella
violazione  di  alcuna  delle  prescrizioni  "  inerenti  alle   pene
conseguenti  alla  conversione della multa o dell'ammenda " (art. 108
l. n. 689/1981). Da qui l'opportunita' di prevedere (articolo 457) in
casi di tal genere un'ipotesi di sospensione dell'esecuzione.
   Dell'articolo   458   che   disciplina   il  giudizio  conseguente
all'opposizione si sono gia' illustrate le  disposizioni  di  maggior
rilievo.
                              LIBRO VII
                               GIUDIZIO
   La  legge-delega  non  ha  introdotto  consistenti  novita'  nella
disciplina  del  dibattimento.  La  fisionomia  di  questa  fase  del
processo  e'  rimasta, tuttavia, ugualmente alterata. Per un triplice
ordine  di   considerazioni,   attinenti:   alla   collocazione   del
dibattimento  nel  nuovo sistema, all'incidenza della prova acquisita
prima   del   dibattimento,    allo    svolgimento    dell'istruzione
dibattimentale.
   Durante  i  lavori preparatori della precedente legge-delega venne
piu' volte esaltata la  "  centralita'  "  del  dibattimento;  una  "
centralita' " che avrebbe dovuto qualificare il passaggio dal sistema
misto a un processo  eminentemente  accusatorio.  "  Il  dibattimento
sara'  il vero e proprio processo penale e verra' condotto secondo il
sistema accusatorio " (Valiante,  Commissione  giustizia,  12  maggio
1966).  La  messa  a  punto  compendiava  il  travaglio della riforma
processuale e non consentiva possibili diversioni, al di la' dei casi
(limitatissimi)  di  proscioglimento  istruttorio  e  di condanna per
decreto. Processo,  dibattimento  e  sistema  accusatorio  apparivano
realta'  inscindibilmente  legate  e  la centralita' del dibattimento
esprimeva perfettamente questi infungibili nessi. "  Il  dibattimento
e'  la  sede  centrale  del  processo da cui emerge il giudizio ed al
dibattimento  tutte  le  prove  vanno  riportate  "  (sottosegretario
Misasi, Commissione giustizia, 19 ottobre 1966). L'argomentazione non
faceva una grinza: " se accettiamo come valido  e  fermo  il  sistema
accusatorio,  allora  dobbiamo  considerare che il dibattimento e' il
momento essenziale del processo, e' la' che dovremo verificare questa
nostra  volonta'  di  innovare  " (Musotto, Commissione giustizia, 26
febbraio 1969). La relazione Lospinoso-Severini avrebbe ribadito, nel
corso  della  sesta  legislatura,  questi  concetti, richiamandosi al
dibattimento quale " punto focale di tutto il processo  "  e  come  "
momento di esaltazione di tutta la dinamica processuale ".
   Sono  note le critiche mosse a tale impostazione: ineccepibile sul
piano dei principi, la tesi incontrava insormontabili difficolta'  di
ordine  pratico.  L'inflazione  dei dibattimenti avrebbe per forza di
cose  compromesso  la  riforma.  Ne  avrebbe  appesantito   in   modo
insopportabile  i  costi: per un malinteso impegno a far confluire in
un rito unico e insostituibile  esperienze  diverse  e  difficilmente
comparabili.
   La  tendenza  ad  incentivare  i procedimenti differenziati mutuo'
queste preoccupazioni. Fini' magari per ridurre la  "  centralita'  "
del  dibattimento,  per  scalfirlo  nella  sua " infungibilita' ", ma
addito'  modelli  processuali  idonei  a  salvare  la  riforma  e   a
garantirne la praticabilita'.
   Di  qui  le  piu'  articolate  ipotesi di condanna per decreto, la
previsione di un " patteggiamento " di generale  applicabilita'  (pur
nei  limiti  di  pena  della  direttiva 45) e l'introduzione di nuove
forme di giudizio abbreviato. Di qui soprattutto  un  dibattimento  "
possibile   "   perche'  affrancato  da  scelte  inflattive.  In  una
dimensione, per questo  verso,  adeguata  ad  apprestare  l'effettiva
oralita'.
   Ma  nella nuova delega (e nel presente Progetto) la fisionomia del
dibattimento e' cambiata anche per un'altra  ragione.  L'eliminazione
della  fase  dedicata  agli  atti di istruzione ed i limiti frapposti
all'esperimento dell'incidente probatorio dovrebbero  consentire  una
reale immediatezza nell'acquisizione dibattimentale della prova.
   Non e' difficile rendersene conto.
   La  previsione,  nella legge-delega del 1974, di una fase dedicata
agli atti di istruzione (e la possibilita' di dilatarne al massimo le
dimensioni)  spianavano,  in  effetti,  la  via  a  forme  larvate di
istruzione, programmaticamente escluse dai  criteri  direttivi  della
delega.  Con  il  rischio,  ineliminabile,  di  vedere  riesumata  al
dibattimento  la  deviante  prassi   delle   interminabili   letture,
deleteria  per un'" immediatezza ", sbandierata a parole ed esposta a
mortificanti condizionamenti nella concreta esperienza processuale.
   L'incidente  probatorio,  se  effettivamente limitato alle ipotesi
previste dall'art. 390,  dovrebbe  scongiurare  questi  pericoli.  Al
dibattimento  perverrebbero,  infatti,  singoli atti acquisiti per le
eccezionali evenienze indicate dalla legge, e  non  un  complesso  di
atti  variamente  combinati  in  vista  di un possibile risultato. Le
letture sarebbero scandite da queste  circoscritte  dimensioni  delle
precedenti  acquisizioni.  Tranne, ovviamente, i casi di sopravvenuta
impossibilita'  di  ripetizione  degli  atti  assunti  dal   pubblico
ministero.
   Resta  un punto da chiarire. Il nuovo Progetto preliminare ha dato
una piu'  articolata  specificazione  all'istruzione  dibattimentale.
Particolare  attenzione  e' stata, cosi', prestata alle norme che, in
vario modo, disciplinano il contraddittorio  nell'elaborazione  della
prova  testimoniale. A differenza del Progetto del 1978, che esauriva
in una sola disposizione (l'art.  472)  l'intera  materia,  il  nuovo
Progetto  ha previsto, in un piu' organico discorso (artt. 491, 492 e
493), prima le regole generali per  l'esame  testimoniale  e  poi  le
specifiche regole afferenti al modo di porre le " domande " e al modo
di  muovere  le  "  contestazioni  ".  Nell'ambito  di  un'istruzione
dibattimentale,  volta  a  realizzare il contraddittorio per la prova
(nel momento nevralgico della sua progressiva formazione) e non  piu'
su  una  prova  (registrata  nei  protocolli istruttori), queste piu'
dettagliate previsioni sono sembrate indispensabili. In effetti  sono
proprio  le  "  domande " e le " contestazioni " i momenti essenziali
del contraddittorio;  per  loro  tramite  i  fatti  da  rappresentare
diventano fatti rappresentati.
   Oralita',  immediatezza e contraddittorio assumono, in definitiva,
nel nuovo Progetto, significati che la prima delega non si incaricava
di  assicurare. Il nuovo dibattimento, nelle plausibili dimensioni di
cui si e' detto,  dovrebbe  uscirne  rinvigorito.  Con  una  riserva:
l'adozione   dei   procedimenti  differenziati,  la  frequenza  degli
incidenti probatori, lo  svolgimento  dell'istruzione  dibattimentale
sono  pur sempre filtrati attraverso scelte discrezionali e attivita'
processuali non modellabili secondo precise regole di  comportamento.
   La  sorte  del  nuovo  dibattimento dipendera' anche - e' bene non
dimenticarlo  -  dall'oculato  uso  della  discrezionalita'   e   dal
responsabile modus operandi delle parti.
                               TITOLO I
                   ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO
   La   novita'   rilevante   rispetto   al   Progetto  del  1978  e'
l'attribuzione del compito di fissare l'udienza per il  dibattimento,
in  tutti  i  casi,  al  giudice  che dispone il giudizio (in seguito
all'udienza preliminare ovvero alla richiesta di giudizio immediato),
anziche'  al  presidente  del  collegio giudicante. La Commissione ha
discusso a piu' riprese sull'opportunita' di questa  modifica,  nella
consapevolezza  che  la  sua  attuazione  comportera',  negli  uffici
giudiziari di maggiori dimensioni, un notevole sforzo  organizzativo.
Si   e'   tuttavia   voluto   privilegiare  un  sistema  che,  almeno
tendenzialmente, consenta l'eliminazione di tempi morti  e  una  piu'
rapida  instaurazione del giudizio. Del resto, non era praticabile la
soluzione adottata dal Progetto del 1978, che prevedeva la fissazione
dell'udienza  ad  opera  del  giudice  istruttore  nel  solo  caso di
giudizio immediato: ne sarebbe derivata una disparita' di trattamento
difficilmente  giustificabile,  non  essendo  il  giudizio  immediato
concepito per casi  di  particolare  urgenza,  specialmente  dopo  la
reintroduzione  del giudizio direttissimo. Neppure dovrebbero sorgere
problemi circa la precostituzione  del  giudice,  poiche'  -  se  una
scelta  deve  aver  luogo - risulta pur sempre effettuata da un altro
giudice e non dal pubblico ministero.
   L'impostazione  descritta  ha  condotto  alla  nuova  formulazione
dell'art. 459 e alla soppressione degli artt. 441 e 442 del  Progetto
del 1978.
   L'articolo 459 presuppone avvenuta la trasmissione del decreto che
dispone il giudizio al giudice del dibattimento, ai  sensi  dell'art.
428  o  dell'art. 451 (i requisiti del decreto e la sua notificazione
sono invece disciplinati dagli artt. 425 e 450). Si  prevede  che  il
presidente  del tribunale o della corte di assise possa modificare la
data  dell'udienza,  ma  solo  per  gravi  motivi  (legati,  si  deve
intendere,  a problemi di organizzazione). In tal caso debbono essere
rinnovate le notificazioni, ma limitatamente alla data. Il termine e'
stato  fissato  con  riferimento alla vecchia data (e non alla nuova)
perche' da un lato si tende  ad  evitare,  se  possibile,  operazioni
inutili,  mentre  d'altro  lato, rimanendo invariata la contestazione
dell'accusa, non e' necessario un nuovo termine a comparire modellato
su  quello  originario. La durata di sette giorni e' stata mutuata da
quella concernente  il  termine  per  la  presentazione  delle  liste
testimoniali  (art.  462).  La  norma  sulla  precedenza spettante ai
giudizi  con  imputati  detenuti  e'   invece   piu'   opportunamente
collocabile nelle disposizioni di attuazione.
   L'articolo  460  riconosce ai difensori l'accesso al fascicolo per
il dibattimento, custodito nella cancelleria ai sensi dell'art.  428:
resta  sottinteso  che durante il termine per comparire, il fascicolo
debba  restare  depositato  a  disposizione  di  chi  ha  diritto  di
prenderne  visione.  Non  si e' ritenuto necessario prevedere che nel
decreto  che  dispone  il  giudizio  fosse  inserito  uno   specifico
avvertimento  al  riguardo,  poiche'  per  i difensori e' sufficiente
essere a conoscenza dell'emissione del decreto, mentre la facolta' di
prendere  visione  del  fascicolo  non  compete  all'imputato  e alla
persona offesa come tali.
   Nell'articolo  461  e'  stata  eliminata, rispetto al Progetto del
1978 (art. 443), la menzione specifica della testimonianza  a  futura
memoria,  che non ha piu' rilievo autonomo, essendo ora assorbita fra
le ipotesi di incidente probatorio. La  formula  attuale  richiama  i
presupposti   che   legittimerebbero   la   richiesta   di  incidente
probatorio, ma non la relativa procedura, in particolare  per  quanto
riguarda  le  parti  che  hanno  titolo  a  intervenire  e per quanto
riguarda  le  modalita'  di  acquisizione  della  prova.  Ad  evitare
possibili  equivoci  sull'estensione  dei  poteri conferiti da questo
articolo, invece, non e' stato  riprodotto  il  riferimento  generico
agli " atti urgenti " che figurava nel Progetto del 1978.
   Il  deposito delle liste testimoniali, previsto dall'articolo 462,
ha   principalmente   una   funzione   di   discovery,   ad   evitare
l'introduzione, ad opera di qualsiasi parte, di prove a sorpresa.
   Rispetto  alla corrispondente disposizione del precedente Progetto
(art. 444), si e' ritenuto pero' di modificare (art. 462 comma 2)  le
modalita'  della citazione, prevedendosi un'autorizzazione preventiva
del presidente alla parte che ne faccia richiesta: cio' allo scopo di
munire  di  sanzione  l'obbligo di presentazione della persona citata
dalle parti private, eliminando cosi'  una  possibile  disparita'  di
poteri  tra  le  parti private medesime e il pubblico ministero. Solo
entro  questi  limiti  e'  attribuito   al   presidente   il   potere
discrezionale di concedere o negare l'autorizzazione, che non implica
alcun giudizio sulla  rilevanza  della  prova,  e  non  preclude  una
diversa  decisione  al  dibattimento. Resta infatti impregiudicata la
decisione sull'ammissibilita' delle prove, riservata al collegio dopo
l'esposizione  introduttiva (art. 489). In questa fase possono essere
escluse solo le testimonianze, in quanto siano vietate dalla legge  o
manifestamente  sovrabbondanti  (il giudizio al riguardo e' possibile
anche senza la conoscenza degli atti).
   Si  e'  comunque  ritenuto  opportuno  consentire  alle  parti  di
presentare direttamente al dibattimento i testimoni  e  i  consulenti
tecnici (comma 3), salva sempre la decisione sull'ammissibilita'.
   La citazione autorizzata dal presidente, in sostanza, serve solo a
fornire  uno  strumento  coercitivo  a  chi   intende   ottenere   la
presentazione  del  testimone: quando a giudizio della parte cio' non
e' necessario, le relative formalita'  possono  essere  eliminate,  e
resta  solo l'onere di indicare il testimone nella lista, a titolo di
comunicazione alle altre parti.
   La disciplina dei termini per la citazione, come pure l'elenco dei
requisiti dell'atto (commi 2 e 4 dell'art. 444 del Progetto del 1978)
sembrano   trovare   collocazione   migliore  nelle  disposizioni  di
attuazione.
   L'articolo    463    ripristina    la   sentenza   anticipata   di
proscioglimento.  Nel  Progetto  del   1978,   l'improcedibilita'   o
l'estinzione  del reato potevano sempre essere accertate nell'udienza
preliminare, dando  luogo  a  una  sentenza  di  proscioglimento  del
giudice  istruttore.  La delega attuale esclude l'udienza preliminare
nel  caso  di  giudizio   immediato,   non   consentendo   cosi'   il
proscioglimento   anticipato.   Inoltre,   anche   nel   procedimento
ordinario,  una  causa  di  estinzione   sopravvenuta   non   sarebbe
accertabile  se  non al dibattimento. Si e' quindi riprodotto, con le
modifiche necessarie, l'art. 421 del codice di rito vigente.
   In   un   primo  tempo  la  competenza  era  stata  attribuita  al
presidente:  si  e'  tuttavia  ritenuto  preferibile   riservare   la
competenza  al  collegio,  per  evitare  la  creazione  di un giudice
diverso da quello stabilito dall'ordinamento giudiziario.
   La  previsione  del  comma  2,  secondo  cui  la  dichiarazione di
estinzione del reato puo', in questa sede, essere pronunciata solo se
l'imputato  non  si oppone, ha lo scopo di sostituire la tradizionale
regola  della  prevalenza  del  proscioglimento  pieno.  Non  sarebbe
infatti  applicabile  la  norma  che  impone  di assolvere nel merito
quando esiste la prova evidente dell'innocenza, poiche' in  linea  di
principio la prova si forma solo al dibattimento, e il presidente non
e' comunque a conoscenza  degli  atti  di  indagine  preliminare.  Il
proscioglimento  anticipato,  nel  nuovo  contesto,  assume  un ruolo
prevalente di garanzia per l'imputato che preferisca  non  affrontare
il  dibattimento;  sembra  percio'  corretto  che, in quanto si possa
prospettare   un'alternativa   (escluso,   cioe',    il    caso    di
improcedibilita'),  sia  a  questi  rimessa  la responsabilita' della
scelta. La formulazione della norma, secondo la quale e' l'imputato a
dover assumere l'iniziativa della richiesta di dibattimento, e' stata
concepita per evitare che l'inerzia o  il  disinteresse  della  parte
possa paralizzare la pronuncia della sentenza anticipata.
   Per   quanto   riguarda  le  impugnazioni  (comma  3),  il  regime
applicabile  e'  quello  delle  sentenze  pronunciate  nel   giudizio
abbreviato.
   Gli  artt.  445 e 446 del Progetto del 1978 sono stati soppressi e
sostituiti dagli artt. 427, 428 e 429, poiche' il  fascicolo  per  il
dibattimento  di  cui  alla  direttiva  57,  e  quello  del  pubblico
ministero di  cui  alla  direttiva  58,  vengono  formati  prima  del
giudizio.
                              TITOLO II
                             DIBATTIMENTO
                                CAPO I
                        DISPOSIZIONI GENERALI
   L'articolo  464  e'  rimasto  sostanzialmente  invariato  rispetto
all'art. 447 del Progetto del 1978. Il comma 2 e' stato modificato in
conformita' al Parere sul Progetto medesimo, secondo cui l'esecuzione
degli ordini del presidente in materia di disciplina dell'udienza non
andava  affidata  alla sola polizia giudiziaria ma, piu' in generale,
alla " forza pubblica ", e sempre  in  via  eccezionale  rispetto  ad
altri ausiliari (ufficiali giudiziari e commessi).
   Anche  l'articolo  465  e'  sostanzialmente  identico al testo del
1978: vanno esclusi dall'aula i minori, gli ubriachi, gli infermi  di
mente  e  coloro che possono turbare lo svolgimento dell'udienza. Nel
comma 4 si e' precisato, come peraltro era implicito, che l'ordine di
espulsione  spetta  al  presidente  (o,  in  sua assenza, al pubblico
ministero)  e  non  al  collegio.  E'  poi  sembrato  piu'   semplice
attribuire  al  presidente  anche  il  potere  di  limitare l'accesso
all'aula (comma 5): si tratta infatti di uno dei provvedimenti che  a
norma  del  comma 6 sono dati " oralmente e senza formalita' ", e non
rappresentano una vera e propria eccezione alla  pubblicita',  com'e'
invece  il  procedimento  a  porte  chiuse, su cui decide il collegio
(artt. 466 - 467).
   L'autorizzazione  all'uso  di  mezzi  audiovisivi  in  udienza  va
disciplinata nelle disposizioni di attuazione.
   Il  procedimento a porte chiuse, di cui all'articolo 466, e' stato
ammesso in due nuove ipotesi:  per  salvaguardare  la  sicurezza  dei
testimoni,  ma  in  tal caso senza l'esclusione della stampa (v. art.
467  comma  2),  e  per  tutelare  la  personalita'  dei  minori,  in
attuazione  dell'art.  6  n.  1 della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo.
   Fra le altre modifiche, prevalentemente formali, va segnalata, nel
comma 2, la sostituzione  della  formula  "  fatti  non  direttamente
attinenti  all'oggetto  dell'imputazione  " che figurava nel Progetto
del 1978, con " fatti che non costituiscano oggetto  dell'imputazione
".  Si  e' osservato che i fatti " non attinenti " non possono di per
se' avere ingresso nel processo, mentre la norma vuole  semplicemente
escludere  che  possa  darsi  rilievo a un diritto dell'imputato alla
riservatezza dell'imputazione.
   L'articolo  467  contiene  la  disciplina  del  provvedimento  che
dispone di procedere a porte chiuse. Rispetto al Progetto  del  1978,
nel comma 1 e' stato inserito l'inciso " o alcuni atti di esso ", per
simmetria con la dizione dell'art.  466.  In  mancanza,  si  potrebbe
intendere  che  l'ordinanza  debba  riguardare  in ogni caso tutto il
dibattimento, con l'obbligo di una revoca  espressa  ogni  volta  che
siano  conclusi gli atti per i quali si sia reso necessario procedere
a porte chiuse. Il comma 4 del corrispondente testo del Progetto  del
1978  e'  stato abolito, poiche' la previsione non sembra necessaria,
ricavandosi agevolmente dal contesto.
  Mentre l'articolo 468 e' rimasto identico all'art. 451 del Progetto
del 1978, l'articolo  469,  sull'allontanamento  coattivo,  e'  stato
modificato  per  riprodurre  la  norma  introdotta nel codice vigente
(art. 434) dalla l. 18 maggio  1978,  n.  191.  Nel  nuovo  comma  3,
tuttavia,  non  e'  stata  riportata  testualmente  la  disciplina in
vigore. In primo luogo e' stato conservato il  potere  esclusivo  del
giudice  di adottare il provvedimento: cio' ha escluso ogni potere in
capo  al  pubblico  ministero,  non  esente,  oggi,  da  problemi  di
costituzionalita'. E' stato poi eliminato l'automatismo in virtu' del
quale l'allontanamento dell'imputato riammesso su sua richiesta  deve
in ogni caso essere definitivo.
   Si   e'   pertanto   previsto  che  il  giudice  abbia  un  potere
discrezionale  di  disporre  l'allontanamento  definitivo  (anche  in
ragione  dell'entita'  e  della frequenza delle turbative), a partire
dal primo allontanamento dopo  la  riammissione.  E'  sembrato  anche
opportuno   unificare   la  nomenclatura:  si  e'  cosi'  definito  "
allontanamento  "  soltanto  quello,   tendenzialmente   provvisorio,
dell'imputato;  ed  "  espulsione  "  l'allontanamento definitivo con
divieto di  partecipare  ulteriormente  all'udienza,  riferito  tanto
all'imputato  che  alle  persone  del  pubblico.  Anche  in  caso  di
espulsione, l'imputato deve essere riammesso non solo per rendere  le
dichiarazioni  finali,  ma anche per essere sottoposto ad esame (art.
496), il quale avviene solo dietro sua richiesta o col suo  consenso,
e rappresenta un diritto che non puo' essere limitato.
   Nell'articolo  470, per i reati commessi in udienza, al comma 1 e'
stato sostituito l'inciso " nelle forme ordinarie ", che figurava nel
Progetto del 1978 (art. 453), con " a norma di legge ", perche' fosse
chiaro che possono applicarsi anche i riti direttissimo e  immediato.
Inoltre,  la direttiva 74 prevede espressamente il divieto di arresto
in udienza del falso testimone. Si e' ritenuto opportuno tradurre  la
direttiva  in  una  norma specifica (comma 2), anche se il divieto di
arresto potrebbe, allo stato, ricavarsi dal  sistema,  posto  che  la
falsa  testimonianza  non  e'  compresa  fra  i  reati per i quali e'
consentito l'arresto in flagranza.
   Gli  articoli  471  e  472 sono rimasti identici ai corrispondenti
articoli del Progetto del 1978, mentre agli articoli 473 e  474  sono
state apportate soltanto modifiche terminologiche.
   Nell'articolo  475  e'  stato eliminato l'obbligo di trascrivere a
verbale le ragioni poste  dalle  parti  a  fondamento  delle  proprie
richieste  e  conclusioni  (v.  art.  458 del Progetto del 1978), che
costituirebbe una notevole perdita di tempo, oltre  tutto  di  dubbia
utilita'.  La  verbalizzazione  puo'  essere  sostituita da eventuali
memorie scritte presentate dalle  parti:  a  questo  scopo  e'  stato
modificato  il  comma  1  dell'articolo  476. Il potere di presentare
memorie scritte, in ogni stato e grado, deriva dalla regola  generale
dell'art.  120:  in  questa sede la regola viene ribadita per il caso
specifico, e si precisa che le eventuali memorie  vanno  allegate  al
verbale e ne seguono la sorte.
   L'articolo  477,  nella  parte  concernente  la  trascrizione  del
verbale (comma 2), e' stato adeguato alla scelta di considerare  come
mezzo   ordinario   di   verbalizzazione,   particolarmente   per  il
dibattimento, la stenotipia. Si vedano in proposito  gli  artt.  133,
135, 138.
                               CAPO II
                          ATTI INTRODUTTIVI
   La  disposizione  relativa  alla  "  costituzione  delle  parti  "
(articolo 478) riproduce, nel comma 1,  il  testo  del  Progetto  del
1978.  Il  comma  2  e'  stato,  invece,  modificato  per adeguare la
normativa alla nuova disciplina relativa alla  nomina  del  difensore
(prevista dall'art. 96).
  La  disciplina  dettata negli articoli 479 , 480 e 481, concernenti
la  rinnovazione   della   citazione,   l'impedimento   a   comparire
dell'imputato  o del difensore e la contumacia, costituisce il frutto
di un meditato e non agevole sforzo  volto  a  ricondurre  in  chiave
sistematica  evenienze processuali in varia misura raccordate, ma pur
sempre eterogenee, al precipuo scopo di configurare  una  equilibrata
ed   armonica   normativa   che   da  un  lato  assicuri  l'effettiva
partecipazione dell'imputato  alla  fase  centrale  del  processo  e,
dall'altro,  consenta  di  pervenire celermente alla celebrazione del
dibattimento,  scoraggiando  il  ricorso  ad   espedienti   dilatori.
L'elaborazione  della  accennata disciplina, profondamente innovativa
rispetto al vigente regime, ha, come e' ovvio,  inteso  rappresentare
il  momento  attuativo delle disposizioni, anch'esse nuove, contenute
nella  legge-delega,  pur  se  talune  apparenti   antinomi   e   ivi
riscontrate hanno comportato la necessita' di armonizzare fra loro le
singole  previsioni,  in  sintonia,  anche,   con   quegli   istituti
processuali  che  di  quelle  previsioni  costituiscono  il  naturale
corollario. La direttiva 77 della legge-delega  prevede,  infatti,  "
l'obbligo di sospendere o rinviare il dibattimento quando risulti che
l'imputato  o  il  difensore  sono  nell'assoluta  impossibilita'  di
comparire  per  legittimo impedimento ". A sua volta, la direttiva 82
sancisce "  il  potere-dovere  del  giudice  del  dibattimento...  di
disporre che sia rinnovata la notificazione del decreto di citazione,
quando risulta o deve ritenersi  che  l'imputato...  non  sia  potuto
comparire  per  caso fortuito o forza maggiore ". Da un lato, quindi,
l'assoluta impossibilita' di comparire per legittimo  impedimento  e'
in  se'  causa  di sospensione o rinvio del dibattimento, ma comporta
l'obbligo di rinnovare la citazione ove l'impossibilita' medesima sia
dipesa da caso fortuito o forza maggiore; ipotesi, queste ultime, che
a ben guardare finiscono per rappresentare null'altro che una species
del   piu'   ampio   genus.   Sotto   altro   profilo,   poi,  mentre
l'impossibilita'  di  comparire  per  legittimo   impedimento   trova
ingresso  delibativo  solo  ove  la stessa " risulti " dagli atti, il
caso fortuito e la  forza  maggiore  non  richiedono  un  presupposto
probatorio tanto cogente, essendo rimesso al giudice un apprezzamento
valutativo anche su dati acquisiti aliunde, come  il  fatto  notorio.
Alla  impossibilita'  di  comparire  dell'imputato  e'  poi perequata
quella del difensore; ma per quest'ultimo la previsione del delegante
si  limita  a  stabilire l'obbligo della sospensione o del rinvio del
dibattimento, restando esclusa la diversa disciplina prevista per  il
caso  di  mancata comparizione dell'imputato dovuta a caso fortuito o
forza maggiore.  La necessita' di armonizzare le direttive di cui  si
e'  fatto  cenno,  ha  tratto,  infine,  ulteriore  ragione  d'essere
dall'eterogeneo  concorrere  di  evenienze  dalle  quali,  pure,   il
delegante   ha  fatto  scaturire  medesime  conseguenze  processuali.
Accanto, infatti, alla ipotesi della mancata  comparizione  per  caso
fortuito  o  forza  maggiore,  la  direttiva  82 prevede l'obbligo di
rinnovare la citazione anche "... quando risulta o deve ritenersi che
l'imputato  non  ne  abbia  avuto  conoscenza per cause diverse dalla
inosservanza di quanto disposto dal numero 81 ". Il  rapporto  tra  i
due   presupposti,   il  primo  oggettivo  ed  il  secondo  meramente
subiettivo, ha comportato, quindi, la  previsione  di  una  calibrata
disciplina  tesa  a  semplificare  il non agevole sistema prefigurato
dalla delega, ed in cio' si e' privilegiato un criterio di  scansione
logico-temporale  delle evenienze processuali, evitando il ricorso ad
una esasperata casistica, difficilmente riconducibile a sistema.
   Sotto  un diverso ordine di considerazioni ed in forza dell'alinea
dell'art. 2 della legge- delega - secondo il quale  il  nuovo  codice
dovra'   adeguarsi   alle   norme  delle  convenzioni  internazionali
ratificate dall'Italia,  relative  ai  diritti  della  persona  e  al
processo   penale   -  il  riesame  della  vigente  disciplina  della
contumacia ha necessariamente tenuto  conto  delle  previsioni  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali nonche' delle raccomandazioni  contenute  nella
nota  Risoluzione  n.  11 del 1975 adottata dal Comitato dei Ministri
del Consiglio d'Europa. Quest'ultima, infatti, nel  trattare  proprio
della  contumacia,  detta  nove  " regole minime " dimostrando in tal
modo  di  ritenere  ammissibile  il  giudizio   senza   la   presenza
dell'imputato,   purche'   circondato   da   numerose   garanzie.  In
particolare, nell'anzidetta risoluzione si richiamano, fra le  altre,
le  regole  della citazione tempestiva, del rinvio in caso di mancata
comparizione dell'imputato che non  risulti  essersi  volontariamente
sottratto  alla  giustizia,  dell'esigenza dell'avvertimento circa le
conseguenze del suo mancato intervento, del rinvio  del  dibattimento
in  caso  di  indispensabilita'  della  comparizione  o  di legittimo
impedimento,  della   presenza   del   difensore,   della   procedura
dibattimentale   usuale,  della  notificazione  della  sentenza,  del
ricorso contro di essa, di un nuovo giudizio in caso di  assenza  non
giustificata    ma   tardivamente   comprovata   per   impossibilita'
dell'imputato. Regole, quelle teste' riferite, che possono  ritenersi
esaurientemente soddisfatte dalle norme che di seguito si analizzano,
nonche' dalle modifiche apportate alla disciplina della  rinnovazione
del dibattimento in grado di appello ed alla restituzione in termini.
   L'articolo  479  prevede  l'obbligo  di  rinnovare  la citazione a
giudizio quando e' provato o appare probabile che l'imputato  non  ne
abbia  avuto  effettiva conoscenza. Due le eccezioni al principio: la
prima riguarda il caso in cui la mancata  conoscenza  sia  dipesa  da
fatto   colpevole   dell'imputato;  la  seconda,  in  qualche  misura
correlata alla prima, concerne le ipotesi in cui la notificazione sia
stata   eseguita   mediante   consegna   al   difensore  per  omessa,
insufficiente o  inidonea  dichiarazione  o  elezione  di  domicilio,
malgrado  l'avvertimento  del giudice, ovvero, nel caso dell'imputato
all'estero, malgrado l'invito contenuto nella raccomandata.  Deroghe,
quelle   da   ultimo   menzionate,   espressamente   previste   dalla
legge-delega che, alla direttiva 82, fa salva l'ipotesi di
" inosservanza di quanto disposto dal numero 81 " che, per l'appunto,
stabilisce la " previsione che l'imputato debba dichiarare o eleggere
il  proprio domicilio e tempestivamente comunicare alla autorita' che
procede le relative variazioni ". Ulteriore eccezione, a se'  stante,
riguarda  il  caso  dell'imputato  irreperibile.  Per quest'ultimo, a
stretto rigore, la conoscenza effettiva della  citazione  a  giudizio
rappresenta  una  evenienza del tutto ipotetica. Tuttavia, e' apparso
irragionevole prevedere in  tal  caso  l'obbligo  della  rinnovazione
della  citazione,  posto  che  ne  sarebbe  scaturito  un  regime  di
sostanziale paralisi processuale, dovendo la nuova  citazione  essere
notificata  col rito degli irreperibili (espressamente previsto nella
direttiva 80)  con  la  ineluttabile  conseguenza  di  una  ulteriore
citazione,   e  cosi'  via  all'infinito.  D'altra  parte,  l'estrema
articolazione e puntualita' del nuovo regime delle ricerche  previsto
dall'art.   159,   consente  di  prevedere  che  nel  futuro  assetto
processuale  l'ipotesi  dell'imputato   irreperibile   debba   essere
riguardata come evento eccezionale, peraltro adeguatamente assistito,
sul piano delle garanzie, dalla  disciplina,  particolarmente  ampia,
stabilita in materia di restituzione in termini.
   In attuazione della direttiva 82, e' stato previsto che il giudice
debba disporre la rinnovazione della citazione  non  solo  quando  e'
provato, ma anche quando appare probabile che l'imputato non ne abbia
avuto effettiva conoscenza; tuttavia, mentre  in  ordine  a  siffatta
probabilita' si e' tenuta ferma la libera valutazione del giudice che
non puo', quindi, dar luogo ad impugnazioni, si e' escluso  che  tale
libera  valutazione  possa  trovare luogo in ordine all'apprezzamento
della prova circa la mancata  conoscenza  della  citazione  da  parte
dell'imputato.
   L'articolo  480  disciplina  le  varie  ipotesi  di  impedimento a
comparire dell'imputato o del difensore,  partitamente  esaminate  in
rapporto  ai  soggetti  presi a riferimento ed ai vari momenti in cui
tali evenienze vengono a verificarsi: soggetti e momenti in relazione
ai  quali e' apparso necessario prevedere regimi differenziati. Si e'
gia' accennato, infatti, che la legge-delega prefigura  un  complesso
meccanismo  secondo  il  quale  se  "  risulta  " che l'imputato o il
difensore  sono  nella  assoluta  impossibilita'  di  comparire   per
legittimo   impedimento,   il  dibattimento  deve  essere  sospeso  o
rinviato;  qualora,  invece,  "  risulta  o  deve  ritenersi  "   che
l'imputato  non  sia  potuto  comparire  per  caso  fortuito  o forza
maggiore,  il  giudice  dispone  la  rinnovazione  del   decreto   di
citazione.  Tenuto  conto,  peraltro,  che  la  mancata  comparizione
dell'imputato alla prima udienza comporta la necessita' di  stabilire
una  disciplina omogenea in tutti i casi di impedimento legittimo, si
e' ritenuto sistematicamente corretto e conforme allo  spirito  della
delega  prevedere  comunque la rinnovazione della citazione, anche se
l'impedimento  stesso  non  sia  dipeso  da  caso  fortuito  o  forza
maggiore.  In  analogia  a quanto stabilito nell'art. 479 e sempre in
ossequio alla direttiva 82, e' stato previsto, al  comma  2,  che  la
rinnovazione  della  citazione  venga  disposta  anche  quando appaia
probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta a  caso  fortuito  o
forza  maggiore,  precisandosi,  peraltro, che tale probabilita' deve
essere liberamente valutata dal giudice e non puo' formare oggetto di
discussione  successiva, ne' motivo di impugnazione. In altri termini
e come gia' si e' fatto cenno, mentre al giudice si e' attribuito  il
potere  discrezionale di tener conto di quei fatti notori che possono
far ritenere " probabile " un impedimento dell'imputato,  quale  puo'
essere  il  caso  in  cui  si siano verificate calamita' naturali nel
luogo ove egli risiede, si e' invece eliminata ogni  discrezionalita'
in  ordine  all'apprezzamento della prova fornita dall'imputato circa
il suo impedimento, di tal che una erronea valutazione della medesima
puo'  formare  oggetto  di  censura  in  sede di impugnazione. Logico
corollario  e'  quanto  espressamente  previsto  nel  comma   4   del
successivo  art.  481, ove si stabilisce che l'ordinanza dichiarativa
della contumacia e' nulla se al momento  della  pronuncia  vi  e'  la
prova  che  l'assenza  dell'imputato e' dovuta a caso fortuito, forza
maggiore o altro legittimo impedimento. Diversa  e',  ovviamente,  la
disciplina  nel  caso  in  cui  l'impedimento  dell'imputato  si  sia
verificato nelle udienze successive: stabilisce, infatti, il comma  3
che  in  tale  ipotesi  il giudice sospende o rinvia il dibattimento,
fissando con ordinanza la data della nuova  udienza.  Regime,  quello
descritto,   che   ben   si  coniuga  con  la  sentenza  della  Corte
costituzionale  1›  febbraio  1982,   n.   9,   che   ha   dichiarato
costituzionalmente  illegittimo  l'art. 428 c.p.p. nella parte in cui
non  consente  la  sospensione  o  il  rinvio  del  dibattimento  ove
l'imputato, gia' interrogato, si astenga dal comparire o si allontani
dall'udienza  per  legittimo  impedimento.  Circa  gli  effetti   che
scaturiscono  dalla  lettura  dell'ordinanza,  il  comma  4 detta poi
disposizioni che rappresentano una  specificazione  della  disciplina
prevista dall'art. 148 in tema di avvisi de praesenti.
   Quando,  infine,  l'impedimento  riguarda il difensore, il comma 5
stabilisce che il giudice sospende o rinvia  il  dibattimento,  salvo
tre  ipotesi  che  rappresentano  altrettante  deroghe.  La  prima si
verifica  allorche'  l'imputato  e'  assistito  da  due  difensori  e
l'impedimento  riguarda  uno  solo  dei  medesimi; la seconda ricorre
quando il difensore impedito ha designato un  sostituto  e  la  terza
concerne l'ipotesi in cui l'imputato chiede che si proceda in assenza
del difensore impedito. Deroghe correlate, le  prime  due,  alla  non
incidenza  dell'impedimento  in  modo  tale  da escludere l'effettiva
assistenza dell'imputato e la seconda alla volonta'  di  quest'ultimo
di  non  differire  la  celebrazione del dibattimento, al cui solerte
esito puo' avere preminente interesse, specie se in stato di custodia
cautelare.
   L'articolo 481 disciplina l'istituto della contumacia delineandolo
sulla falsariga delle omologhe disposizioni  del  vigente  codice  di
rito,  pur  se  con  talune  rilevanti  modifiche.  Fermi, infatti, i
presupposti che legittimano il giudizio contumaciale, cosi'  come  il
tradizionale  principio che l'imputato contumace e' rappresentato nel
dibattimento  dal  difensore,   e'   stato   introdotto   un   regime
differenziato   che   prende   a  riferimento  le  varie  ipotesi  di
comparizione tardiva.  Qualora,  infatti,  l'imputato  compaia  prima
della  decisione  (e  non  prima della discussione finale come invece
stabilito dal vigente art. 501 c.p.p.) e' stata  prevista  la  revoca
della  ordinanza  dichiarativa  della  contumacia  e  la facolta' per
l'imputato medesimo di rendere le  dichiarazioni  previste  dall'art.
488.  In  tal  modo  alla presenza fisica e' sembrato ragionevole far
conseguire  l'effetto  tipico,  evitando  la  notifica  dell'estratto
contumaciale.   Se  la  comparizione  avviene,  invece,  prima  della
discussione  finale,  l'imputato  gia'  dichiarato  contumace  potra'
inoltre chiedere di essere sottoposto all'esame: tuttavia, al fine di
evitare possibili condotte dilatorie, e' stato previsto che in nessun
caso  il  dibattimento  possa essere sospeso o rinviato a causa della
comparizione tardiva. Come gia' si e' rilevato, il comma 4 stabilisce
che l'ordinanza dichiarativa della contumacia e' nulla se, al momento
della pronuncia, vi e' la prova che l'assenza dell'imputato e' dovuta
ad una delle cause " giustificatrici " previste dagli artt. 479 comma
1 e 480 comma 1. Ove la  prova  stessa  pervenga  al  giudice  in  un
momento  successivo alla pronuncia dell'ordinanza ma antecedente alla
decisione e sempre che il ritardo non sia dipeso da  fatto  colpevole
dell'imputato,  stabilisce il comma 5 che quest'ultimo possa chiedere
e il giudice disporre l'assunzione o la rinnovazione degli  atti  che
siano  ritenuti  rilevanti ai fini della decisione, ferma restando la
validita' degli atti precedentemente compiuti. In altri  termini,  le
situazioni di fatto che legittimerebbero la restituzione in termini e
la rinnovazione del dibattimento in appello,  determinano  nel  corso
del  giudizio  di  primo  grado un sistema di adeguate garanzie senza
peraltro travolgere l'attivita' pregressa, pur sempre  legittimamente
compiuta.
   L'articolo    482    prevede    le    ipotesi    dell'assenza    e
dell'allontanamento  volontario  dell'imputato,  stabilendo  che   la
disciplina  della  contumacia  e  dell'impedimento  a  comparire  non
trovano applicazione se  l'imputato,  anche  se  impedito,  chiede  o
consente  che  il  dibattimento  avvenga  in  sua  assenza  ovvero si
allontana dall'aula di udienza dopo essere comparso o  evade.  Quanto
alla  prima ipotesi, non vi sono ragioni per consentire al giudice di
disattendere la richiesta dell'imputato di procedere in sua  assenza,
salvi i casi tassativamente previsti dall'art. 131. D'altra parte, le
situazioni dell'imputato impedito che consenta tuttavia il giudizio o
del detenuto che rifiuti di assistervi, non sono in sostanza diverse,
sotto il profilo che qui interessa, da quella dell'imputato  che  non
si  presenti  al  dibattimento.  Non  vi  e'  dunque  spazio  per una
previsione che  imponga  limiti  piu'  rigorosi  all'esercizio  della
generale facolta' dell'imputato di non presenziare al giudizio.
   L'articolo  483  mira ad attuare l'ultima parte della direttiva 82
che stabilisce l'obbligo nelle fasi successive all'appello -  ove  e'
prevista  la rinnovazione del dibattimento - " inclusi il giudizio di
cassazione e quello di revisione, nonche' nella fase  di  esecuzione,
di assicurare l'interrogatorio da parte di un magistrato all'imputato
o condannato gia' dichiarato contumace che non  abbia  avuto  notizia
del  procedimento  a  proprio  carico.  A  tal fine si prevede che le
dichiarazioni dell'imputato vengano assunte in  forma  garantita  dal
giudice  per le indagini preliminari presso la pretura, qualora penda
il giudizio di cassazione e  dal  magistrato  di  sorveglianza  negli
altri casi.
   L'articolo  484  individua,  come  si  e'  visto,  il  limite alla
facolta' dell'imputato di non presenziare al dibattimento  e  prevede
il  potere  del  giudice  di disporne l'accompagnamento coattivo, ove
questo sia possibile, nei  casi  e  secondo  la  disciplina  previsti
dall'art. 131.
  Il  "  nuovo  " comma 2 dell'articolo 485 annovera fra le possibili
questioni preliminari quelle relative al "  contenuto  del  fascicolo
per il dibattimento ". Anche dette questioni debbono essere proposte,
a pena di decadenza, nei termini previsti dal comma 1.  A  completare
la disciplina provvede il comma 4 con la prescrizione circa il potere
del giudice in merito all'acquisizione e all'eliminazione degli atti.
   La   norma   relativa   alla   "  dichiarazione  di  apertura  del
dibattimento  "  (articolo  486)  e'  identica  alla   corrispondente
disposizione del Progetto del 1978.
   La  "  novita'  "  introdotta  nella  disposizione  relativa all'"
esposizione introduttiva " (articolo 487) attiene alla  possibilita',
riconosciuta  alle  parti,  di richiedere l'acquisizione di prove non
indicate tempestivamente nelle "  liste  ".  La  deroga  alla  regola
fissata  dall'art. 462 e' consistente. Una rigida preclusione sarebbe
stata, d'altronde, inconcepibile:  le  aperture  nelle  fitte  maglie
dell'art.  462 sono apparse percio' indispensabili, magari con talune
cautele, come e' appunto quella che  impone  alla  parte  l'onere  di
dimostrare di non avere potuto tempestivamente indicare le prove.
   Si   e'   registrata   qualche   perplessita'   sul   mantenimento
dell'articolo 488, ma si e' tuttavia ritenuto di dover conservare  la
norma  per  l'importante  funzione  di  autodifesa  che  la  relativa
prescrizione serve a garantire. Con  un  duplice  limite:  che  le  "
dichiarazioni " si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e che non
intralcino l'istruzione dibattimentale.
   L'articolo   489  ha  subito  due  sole  modifiche  rispetto  alla
formulazione del Progetto del 1978 (art. 470): a) e' stata  eliminata
l'ipotesi  d'inammissibilita'  delle prove " non previste dalla legge
", per le modifiche intervenute nelle disposizioni generali  in  tema
di   tassativita'   dei  mezzi  di  prova;  b)  e'  stata  sostituita
l'espressione " prove rilevanti " con la piu' incisiva espressione  "
prove  manifestamente irrilevanti ", con il chiaro intento di rendere
ancor piu' limitata la possibilita' di  "  rifiutare  "  l'ammissione
delle prove nella fase introduttiva.
   Nella  nozione  di  "  irrilevanza  ", rientra naturalmente sia il
concetto di " estraneita' " sia quello di " superfluita' ".
                               CAPO III
                      ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE
   Le  disposizioni  del  capo  III  (sull'istruzione dibattimentale)
concernono, anzitutto, gli atti preliminari all'esame  dei  testimoni
(articolo  490). La sola modifica apportata alla corrispondente norma
del  Progetto  del  1978  afferisce  all'ordine  di  assunzione   dei
testimoni:  va  in  ogni caso rispettata la " precedenza " nell'esame
dei testimoni di accusa.
   Gli  artt.  491,  492 e 493 sono dedicati all'esame testimoniale e
alle condizioni da osservare nel porre le domande e  per  muovere  le
contestazioni.
   Veramente   opportuna   appare   la   disposizione   del  comma  1
dell'articolo 491: l'esame deve svolgersi mediante domande  su  fatti
specifici,  onde  evitare  che  lo  stesso  si  risolva  nella mera "
ripetizione " di una testimonianza, predisposta nel suo complesso,  e
per consentire un " efficace " controinterrogatorio.
   Le  altre  regole  attengono al potere di direzione del presidente
del collegio nel corso dell'esame: di qui i divieti  in  ordine  alle
domande  "  che  possono nuocere alla sincerita' delle risposte "; di
qui il controllo per un'escussione " che non leda il  rispetto  della
persona "; di qui le caute autorizzazioni " a consultare documenti in
aiuto alla memoria "; di qui  infine  la  possibilita'  d'intervento,
prevista  nel  comma  6  a  chiusura  di  una  disciplina,  tutta  da
sperimentare.
   Il   comma   1   dell'articolo   492   riproduce  il  testo  della
corrispondente norma del Progetto del 1978.  Il  comma  2  introduce,
invece,  una  sensata  innovazione  circa  l'esame  testimoniale  del
minorenne. In base alla nuova disposizione l'esame  e'  condotto  dal
presidente  "  su  domande  e  contestazioni  proposte dalle parti ".
Potra'  proseguire,  pero',   con   domande   e   con   contestazioni
direttamente  effettuate  dalle parti, se queste modalita' dell'esame
non incidano sulla "  serenita'  del  teste  ".  A  rendersene  conto
dovrebbe essere proprio il presidente del collegio, che ha " iniziato
" l'esame. La possibile revoca dell'ordinanza varrebbe,  comunque,  a
garantire il minore e la sua testimonianza.
   L'articolo  493  regola  la  facolta'  delle  parti in ordine alle
contestazioni, specifica il  potenziale  probatorio  delle  stesse  e
precisa  i  limiti entro i quali talune dichiarazioni, utilizzate per
le contestazioni, sono acquisibili nel fascicolo per il dibattimento.
   Questi  i punti fermi di una disciplina che la pratica giudiziaria
" perfezionera' " in tutta la  sua  complessa  articolazione:  a)  le
contestazioni  "  seguono  " alla deposizione del teste; b) si basano
sulle dichiarazioni  rese  dallo  stesso  nel  corso  delle  indagini
preliminari o nell'udienza preliminare; c) possono essere mosse dalla
parte " leggendo " la precedente dichiarazione; d) non possono essere
il  surrettizio  tramite  di una " prova " basata sui fatti affermati
nella  "  dichiarazione  ".  Solo  alcune  di  queste   dichiarazioni
(specificamente  indicate  nel  comma 4 dell'art. 493) sono acquisite
nel  fascicolo  per  il  dibattimento  ed  assumono  piena  efficacia
probatoria.  Sempre che le stesse siano state pero' utilizzate per le
contestazioni.
   Gli   articoli  494  e  495  riproducono  il  testo  del  Progetto
preliminare del 1978. Non e' stata invece riproposta la  disposizione
gia'  contenuta  nel comma 3 dell'art. 474 del Progetto del 1978, per
il suo contenuto assolutamente pleonastico.
   La disposizione normativa sull'esame delle parti private (articolo
496) e' stata modificata in qualche essenziale  punto:  a)  e'  stata
espressamente  prevista  l'ipotesi  dell'esame  "  consentito " dalla
parte privata (in seguito alla richiesta del pubblico ministero);  b)
vige  anche per l'esame delle parti private la regola della possibile
acquisizione al fascicolo per  il  dibattimento  delle  dichiarazioni
precedentemente  rese  al pubblico ministero (alle quali il difensore
aveva il diritto di assistere).
   La  disposizione  relativa  alla  " decisione sulle eccezioni " e'
rimasta invariata (articolo 497).
   L'articolo  498 attua la direttiva 39 della legge-delega. La norma
riconosce alla persona offesa non  costituita  parte  civile  e  alle
associazioni  o  agli enti intervenuti nel processo ex art. 92: a) la
facolta' di chiedere  al  presidente  del  collegio  "  di  rivolgere
domande  ai  testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici e alle parti
private che si sono sottoposte a esame "; b) la facolta' di  chiedere
al giudice " l'ammissione di nuovi mezzi di prova ".
   I  poteri del presidente in ordine all'esame dei testimoni e delle
parti private (articolo 499) appaiono improntati ad una piu'  marcata
immediatezza.  L'indicazione  dei " temi di prova nuovi o piu' ampi "
puo'  dipendere  solo  dai  "  risultati  delle  prove  assunte   nel
dibattimento " o dalle " letture disposte a norma degli articoli 504,
505 e 506 ". Non puo' discendere, cioe', dalla  valutazione  di  atti
non  formatisi  al  dibattimento  (in base ad un paradigma ipotizzato
anche dal Progetto del 1978).
   E'  stato  poi  riformulato  il comma 2 per adeguare la norma alla
direttiva 73 della legge-delega, che non  frappone  alcun  limite  al
potere di domanda del presidente. A differenza del Progetto del 1978,
che circoscriveva questo potere nell'ambito del tema di prova nuovo o
piu' ampio, precedentemente indicato.
   Pure  l'articolo  500  ("  Ammissione  di  nuove  prove ") risulta
ispirato  all'innovazione  introdotta  dalla   direttiva   73   della
legge-delega,  che  concede al giudice piu' ampi poteri di iniziativa
probatoria, rispetto al testo della precedente legge-delega del 1974.
   Gli  articoli 501 , 502 e 503 riproducono, salvo qualche marginale
modifica, il testo delle corrispondenti disposizioni del Progetto del
1978.  Non  sono  stati  riproposti l'ultima parte dell'art. 480 (ora
502) (perche' il comma 3 dell'art. 471 disciplina, in  via  generale,
la  materia degli " avvisi " effettuabili al dibattimento) e il comma
3 dell'art. 481 (ora 503) (giacche' la lettura determina, di per se',
l'utilizzabilita' dell'atto).
   La  disposizione  che  disciplinava la redazione del verbale (art.
481 comma 4 del Progetto del 1978) non e'  stata  riproposta  perche'
ripeteva  una  prescrizione  contenuta nelle disposizioni generali in
tema di verbalizzazione degli atti. E' stato  invece  esplicitato  il
potere  di  vigilanza  che  su  tali  atti  spetta  al presidente del
collegio.
   Anche  la previsione dell'art. 482 del Progetto del 1978 non viene
riproposta perche' risulta chiaramente  ricompresa  nella  disciplina
generale sulla verbalizzazione degli atti.
   L'articolo  504  contiene  una  compiuta  regolamentazione delle "
letture consentite ". Con riferimento alla tipologia degli  atti:  e'
sempre  consentita  la  lettura,  integrale  o  parziale,  degli atti
inseriti nel fascicolo per il dibattimento. In relazione ai " tempi "
della  lettura:  necessariamente successivi all'esame del testimone o
della parte privata. Riguardo ai limiti di  utilizzazione  di  talune
letture:    particolarmente   rilevanti  quando  afferiscono  alle  "
denunzie " o alle " querele ". In merito agli " equipollenti  "  alle
letture:   filtrati   attraverso   lo   sperimentato   modello  dell'
"indicazione  "  degli  atti  utilizzabili  per  il   giudizio.   Con
riferimento,  infine, ai soggetti legittimati a richiedere la lettura
e al significato di queste richieste, in relazione ai diversi tipi di
atti (dichiarazioni od altro). Non e' sembrato opportuno inserire una
specifica disposizione concernente gli atti allegati al  fascicolo  a
norma  degli  artt.  493  comma 4 e 496 comma 5, stante che tali atti
sono gia' acquisiti al dibattimento e, per  la  previsione  dell'art.
519, sono pienamente utilizzabili ai fini della decisione.
   La   disposizione   consacrata   nell'articolo  505  scioglie  due
essenziali nodi  dell'acquisizione  dibattimentale  della  prova.  La
norma  riconosce  piena  efficacia  probatoria  agli atti assunti dal
pubblico ministero, di cui e' sopravvenuta un'assoluta impossibilita'
di  ripetizione:  a  "  tutti  " gli atti del pubblico ministero, non
essendovi  validi  motivi  per  ridurre  la  categoria   degli   atti
utilizzabili    in   chiave   probatoria   (secondo   un'impostazione
caldeggiata da una parte della Commissione).
   Ma  i  problemi  evocati  dalla  norma  non  sono soltanto questi.
L'ipotesi che l'art. 505 possa essere usato dopo aver accuratamente "
evitato " l'alea dell'incidente probatorio, non e' peregrina. Manovre
del genere verrebbero, pero', facilmente scoperte se l'impossibilita'
di  ripetere  l'atto  al dibattimento fosse stata " prevedibile " nel
corso delle indagini preliminari.
   L'articolo   506   disciplina,  anzitutto,  il  caso  in  cui  l'"
impossibilita'  sopravvenuta  "  di  cui  alla  direttiva  76   della
legge-delega   sia   costituita  dall'indisponibilita'  dello  stesso
imputato all'esame (dopo le dichiarazioni rese al pubblico  ministero
o  al  giudice  dell'udienza  preliminare).  La lettura dei verbali e
delle dichiarazioni precedentemente rese  non  puo'  essere  disposta
d'ufficio  bensi',  a  richiesta  di una qualsiasi delle parti (anche
dello stesso imputato): non e' apparsa  giustificata  la  particolare
posizione  che  l'art.  485  del  Progetto  del  1978  riconosceva al
pubblico ministero, in ordine alla facolta' di introdurre  la  prova.
Regole  specifiche  valgono, poi, per l'ipotesi di dichiarazioni rese
nei confronti del  coimputato  dello  stesso  reato  o  di  un  reato
connesso.  La  necessita' di derogare in tale ipotesi alla disciplina
generale dettata dall'art. 210 nasce dall'intento di evitare  che  si
possa  invocare  la  regola ivi prevista dell'inutilizzabilita' delle
dichiarazioni contra se: se e'  comprensibile  che  cio'  accada  con
riferimento  a  processi separati, non sembra praticabile nell'ambito
dello stesso processo.
   L'articolo   507   riproduce,   salvo   marginali   modifiche,  la
disposizione di chiusura prevista  nell'art.  486  del  Progetto  del
1978,  che  riafferma  la  regola  del  divieto  di  "  letture " non
espressamente consentite.
   La  previsione  relativa al significato da attribuire alla lettura
dei verbali di querela e di istanza non viene  riproposta  in  questa
sede, perche' meglio collocata nell'art. 504 comma 3.
   Viene  riaffermato anche il principio del divieto di lettura della
documentazione  e  degli  atti  di  polizia  giudiziaria,   contenuto
nell'art.  486  comma  4 del Progetto del 1978 senza riferimento alle
attivita' compiute " di propria iniziativa della polizia  giudiziaria
".  L'espressa  indicazione  di  divieto  solo  per tali atti avrebbe
potuto essere  intesa  come  possibilita'  di  lettura  di  tutta  la
documentazione e di tutti i verbali delle " attivita' delegate " alla
polizia giudiziaria, anche al di fuori delle ipotesi consentite dagli
artt. 504, 505 e 506. Non e' stato, invece, riproposto l'art. 487 del
Progetto del 1978, in quanto sono  cadute  le  disposizioni  ad  esso
logicamente  sovraordinate (gli artt. 406 e 426 del Progetto stesso),
che prevedevano poteri di indagine sulla personalita'  dell'imputato.
   L'esigenza di riordinare in modo parzialmente diverso gli atti del
dibattimento sta alla base della diversa  formulazione  dell'articolo
508 rispetto all'art. 488 comma 1 del Progetto del 1978. A suggerirla
e' stata l'esistenza stessa di un fascicolo per il  dibattimento.  Di
un   fascicolo,   cioe',   che  deve  raccogliere  gli  atti  che  ne
costituiscono l'originaria ossatura o che vi vengono " allegati "  in
seguito  alle  "  contestazioni  "; ma che deve raccogliere anche gli
altri atti letti al dibattimento e i documenti ammessi durante il suo
svolgimento.
   Non  e'  stato invece riproposto il comma 2 dello stesso art. 488.
La regola ivi espressa del divieto di allegazione e di  utilizzazione
ai  fini  della  decisione dei verbali degli atti di cui e' vietata o
non e' stata data  lettura  e'  apparsa  superflua.  La  prescrizione
emerge in modo chiaro dalla correlazione tra le disposizioni relative
alle " letture " e la previsione (art. 519), che impone al giudice di
non   utilizzare   per   la   decisione   prove   diverse  da  quelle
legittimamente acquisite in dibattimento.
                               CAPO IV
                         NUOVE CONTESTAZIONI
   La  modifica  dell'imputazione  nel dibattimento era gia' prevista
dal Progetto del 1978, sulla base di una direttiva, per  la  verita',
piuttosto   generica   (direttiva   50   della   delega   del  1974).
L'innovazione  piu'  importante  era  rappresentata  dal  potere  del
pubblico ministero di richiedere la contestazione in dibattimento del
fatto " diverso " (art. 489): l'intento, secondo la Relazione, era di
attribuire  maggior  valore  alla fase dibattimentale, rafforzando il
divieto di retrocessione  a  fasi  antecedenti.  L'art.  491  inoltre
ammetteva, con il consenso dell'imputato, anche il giudizio sul fatto
" nuovo " che fosse risultato nel corso del dibattimento.
   Tale  orientamento  risulta  in  linea di massima confermato dalla
direttiva 78 della delega del 1987, a partire dal testo approvato dal
Comitato  ristretto  della  Commissione  giustizia  della  Camera  ("
previsione del potere  del  pubblico  ministero  di  chiedere  e  del
giudice   di  disporre  la  modificazione  dell'imputazione  e  nuove
contestazioni "). La direttiva non puo' evidentemente riferirsi  alla
sola  contestazione  suppletiva,  per  l'aggiunta  dell'inciso  sulla
modifica dell'imputazione. Il testo licenziato dalla Camera e'  stato
emendato,  al  Senato,  sia  dal Comitato ristretto della Commissione
giustizia che in assemblea. Il primo intervento riguarda la posizione
del  pubblico  ministero: non si parla piu' di richiesta (al giudice)
ma del potere di " procedere " alla  modifica.  Sempre  dal  Comitato
ristretto  sono  state  meglio  distinte  le  due  ipotesi,  modifica
dell'imputazione e nuove contestazioni. La " previsione  di  adeguate
garanzie  per  la  difesa  "  e'  invece frutto di un emendamento del
Governo approvato in aula.
   Poiche'  la  direttiva  78  attribuisce  al  pubblico ministero il
potere di procedere direttamente alla  contestazione,  che  non  deve
piu'  passare attraverso il giudice, l'art. 489 del Progetto del 1978
(ora articolo 509) e' stato modificato di  conseguenza,  e  anche  la
rubrica  e'  stata  conformata  alla nomenclatura usata dalla delega.
Sull'operato del pubblico ministero resta  comunque  il  controllo  a
posteriori  del  giudice,  che  dovra'  verificare,  fra  l'altro, la
propria competenza.
   Il   riferimento   all'"   istruzione   dibattimentale  "  intende
sottolineare che  la  contestazione  al  dibattimento  resta  fluida,
essendo  l'indagine  preliminare  volutamente incompleta, mentre dopo
l'escussione delle  prove  il  pubblico  ministero  e'  in  grado  di
confermare definitivamente l'accusa o modificarla.
   Anche  la  contestazione  suppletiva,  di cui all'articolo 510, e'
stata conformata ai criteri seguiti nell'art. 509. Come nel  Progetto
del  1978, la contestazione puo' riguardare, oltre l'aggravante, solo
il reato in concorso formale  con  quello  per  cui  si  procede;  e'
sembrato  pero'  piu'  opportuno  un riferimento interno al codice di
procedura penale (art. 12 comma 1 lettera b), anziche' un  rinvio  al
codice penale.
   La  delega  non  contempla la possibilita' di contestare, oltre al
fatto diverso, il  fatto  nuovo  (fuori  dei  casi  di  contestazione
suppletiva), dato che le " nuove contestazioni " debbono essere, come
si e' visto, " inerenti ai fatti oggetto di giudizio  ",  mentre  nel
concetto  di  "  modifica  dell'imputazione " non puo' ricomprendersi
l'aggiunta  di  ulteriori  accuse.  L'articolo  511,  sostanzialmente
identico  alla corrispondente norma del Progetto del 1978, prevede la
contestazione solo con il consenso dell'imputato  e  subordinatamente
alla  speditezza  del  processo  (al  riguardo,  l'autorizzazione del
presidente sottintende un vero e proprio  potere  discrezionale):  in
ogni  altro caso il pubblico ministero procede nelle forme ordinarie.
Tale disciplina sembra pertanto conforme alla volonta' della  delega.
   Come  si  e'  accennato,  la  direttiva 78 impone la previsione di
adeguate  garanzie  per   la   difesa,   riservandone   peraltro   la
determinazione  al  legislatore delegato. Lo strumento classico della
concessione di  un  termine,  a  richiesta  dell'imputato,  era  gia'
previsto  nel  Progetto  del  1978;  per rafforzare la garanzia (come
sembra doveroso, stante  l'esplicita  prescrizione  al  riguardo)  e'
parso  opportuno  equiparare  il  termine  di  cui all'articolo 512 a
quello  per  comparire  in  giudizio.  Si  e'  inoltre  espressamente
richiamato  il potere dell'imputato di chiedere l'ammissione di nuove
prove, anche  se  sull'applicabilita'  dell'art.  500  non  avrebbero
dovuto,  comunque,  esistere  dubbi.  Il  richiamo  e' tuttavia parso
utile, sia per escludere possibili interpretazioni  restrittive,  sia
per  sottolineare che tale facolta' compete anche in caso di rinuncia
al termine a difesa, col conseguente dovere del giudice di sospendere
il  dibattimento (eventualmente per un periodo di tempo inferiore) ai
sensi dell'art. 502.
   L'articolo  513  prevede la contestazione all'imputato contumace o
assente, confermando il sistema  della  notifica  per  estratto.  Dal
momento   che   non   e'   piu'   il  presidente  che  provvede  alla
contestazione,  la  procedura  e'  stata  semplificata.  Il  pubblico
ministero  si  limita  a  chiedere  al presidente che sia disposta la
notifica del  verbale  contenente  gli  estremi  della  contestazione
(indicati dal pubblico ministero medesimo nella richiesta).
   L'articolo  514  corrisponde  all'art. 477 del codice vigente, che
non era stato riprodotto nel Progetto del 1978. Nel comma 1 e'  stato
espressamente  riconfermato il potere del giudice di modificare nella
sentenza la  qualificazione  giuridica  del  fatto,  potere  che  nel
precedente  Progetto  era  rimasto  solo sottinteso. Non si e' dunque
prevista una correlazione obbligatoria  fra  la  decisione  sul  tema
giuridico  dell'accusa  e le conclusioni del pubblico ministero: cio'
indubbiamente sacrifica in qualche misura le esigenze  della  difesa,
in  particolare  per  il caso che la diversa qualificazione giuridica
implichi una pena piu' grave. Si e' tuttavia ritenuto  di  confermare
la  regola  tradizionale,  considerato  che le richieste del pubblico
ministero, anche nel  nuovo  sistema,  non  sono  vincolanti  per  il
giudice,  che  puo'  pronunciare  extra  petita. In tale contesto, le
alternative avrebbero potuto essere una disciplina costruita in  modo
analogo  a  quella  concernente  la  contestazione  del fatto diverso
(iniziativa del  pubblico  ministero,  termine  a  difesa,  eventuale
trasmissione  degli  atti);  ovvero  la  previsione  di un dovere del
giudice di rendere nota preventivamente la decisione di modificare la
qualificazione  giuridica,  consentendo  la  discussione  sul  punto.
Entrambe le soluzioni avrebbero  pero'  comportato  un  dispendio  di
attivita'  probabilmente  eccessivo,  e  il  rischio,  in pratica, di
indurre il  giudice  a  conformarsi  in  ogni  caso  al  nomen  iuris
contestato.
   Come   termine   di   confronto   viene  indicata,  genericamente,
l'imputazione: non e' parso necessario specificare in  dettaglio  gli
atti  che ne costituiscono il veicolo, proprio perche' il giudice non
ne risulta comunque vincolato. E' stato  anche  mantenuto  il  limite
riguardante   l'incompetenza,  negli  stessi  termini  in  cui  viene
espresso dal codice vigente: con la  conseguenza  che  non  si  tiene
conto, a questi fini, della incompetenza per eccesso.
   Il  comma  2  dell'art.  514  e'  stato  introdotto  (sul  modello
dell'art. 477 comma 2 del codice vigente) per l'ipotesi che il  fatto
risulti diverso ma non venga contestato in dibattimento. La Relazione
al Progetto del 1978 concludeva che in tal caso  il  giudice  dovesse
pronunciare  sentenza  di assoluzione e che spettasse poi al pubblico
ministero procedere  nelle  forme  ordinarie.  La  soluzione  sarebbe
adeguata  nel  caso  di  " fatto nuovo ", ma porterebbe a conseguenze
eccessive nel caso di " fatto diverso ", poiche' la sentenza  sarebbe
destinata  a  passare  in  giudicato  e quindi a precludere una nuova
azione penale ai sensi dell'art. 640. In pratica,  si  renderebbe  il
pubblico  ministero,  in  caso  di inerzia, arbitro del risultato del
processo (si veda il Parere sul Progetto del  1978):  situazione  che
risulterebbe  perfettamente conseguente solo in un sistema imperniato
sulla disponibilita' dell'azione  e  sul  vincolo  del  giudice  alla
domanda.
   La  trasmissione  degli  atti  al  pubblico ministero ai sensi del
comma 2 avra' luogo tanto nel caso  che  il  pubblico  ministero  sia
rimasto inattivo di fronte alla diversita' del fatto, quanto nel caso
che abbia modificato erroneamente la contestazione.
   L'art.  514 comma 3 rappresenta una norma di chiusura, applicabile
quando il pubblico ministero abbia modificato l'imputazione fuori dei
casi  consentiti  (da  notare  che  al  giudice  e'  ora sottratto il
controllo  preventivo  sulla   ammissibilita'   dell'iniziativa   del
pubblico  ministero).  La  norma  vale anche nel caso che il pubblico
ministero abbia illegittimamente contestato un fatto " nuovo ", e non
la  semplice  diversita'  del  fatto: in tal caso il giudice non puo'
decidere ne' sul fatto " vecchio ", ne' su quello "  nuovo  "  (salvo
l'eventuale  proscioglimento  dall'accusa originaria, ma questo e' un
problema la cui soluzione deve essere rimessa all'interprete).
   A   parte   quanto   e'   disposto  nel  comma  1,  non  e'  stata
specificamente disciplinata l'ipotesi di incompetenza, ne' in  questa
sede,  ne'  negli  articoli che prevedono le nuove contestazioni, che
come si e' detto non consentono un controllo preventivo del  giudice:
si applichera', se necessario, l'art. 24.
   L'articolo 515, che prevede la nullita' della sentenza solo per la
parte irritualmente contestata, resta invariato rispetto all'art. 494
del Progetto del 1978.
                                CAPO V
                          DISCUSSIONE FINALE
   Gli  articoli  516  e  517  (" Svolgimento della discussione " e "
Chiusura  del  dibattimento   ")   riproducono   l'impostazione   del
precedente Progetto. Per consentire maggiori spazi difensivi e' stata
peraltro   eliminata   nell'art.   516   comma   4   la    previsione
dell'inammissibilita'  della replica per la confutazione di argomenti
avversari   gia'   discussi,   che   era   invece   contenuta   nella
corrispondente disposizione del Progetto del 1978 (art. 495 comma 4).
                              TITOLO III
                               SENTENZA
   Le disposizioni di questo titolo, che completano la disciplina del
giudizio, conservano la sistemazione  del  Progetto  preliminare  del
1978,  e  sono  suddivise  in tre capi, rispettivamente dedicati alla
deliberazione della sentenza, alla decisione ed agli atti  successivi
alla deliberazione.
                                CAPO I
                            DELIBERAZIONE
   L'articolo  518  sancisce,  in  apertura  del capo I, il principio
fondamentale dell'immediatezza della  deliberazione  della  sentenza,
confermando  l'impostazione  adottata  dal Progetto del 1978 dopo una
lunga discussione circa l'opportunita' di consentire un  differimento
della decisione nei casi di maggiore complessita'.
   Con  l'art.  498  del  Progetto del 1978 si era voluto fissare una
limitazione del  materiale  probatorio  utilizzabile  ai  fini  della
deliberazione,  statuendo  espressamente  che  il giudice non potesse
porre  a  fondamento  della  sentenza  prove   raccolte   fuori   del
dibattimento.    Nella    legge-delega   del   1987   la   disciplina
dell'utilizzabilita' degli atti al dibattimento e' stata notevolmente
precisata ed ha, percio', trovato una trattazione analitica e diffusa
nel nuovo Progetto. La conseguenza e' ovvia: l'attuale  articolo  519
ha  assunto  una  funzione di mero rinvio alle norme che disciplinano
l'utilizzabilita'  e  l'acquisizione   degli   atti   istruttori   in
dibattimento. L'aggiunta dell'avverbio " legittimamente " completa la
disciplina con un opportuno richiamo all'essenzialita' delle forme in
punto di prova.
   L'articolo 520, che regola la deliberazione collegiale, e' rimasto
sostanzialmente immutato rispetto al precedente Progetto del  1978  e
non  si  discosta  considerevolmente  dal  testo dell'art. 473 c.p.p.
Risulta cosi' accentuata la collegialita' della discussione in camera
di  consiglio  ("  tutti  i  giudici  enunciano le ragioni della loro
opinione ") e con maggior precisione e' fissata  la  sequenza  logica
delle  questioni (di rito e di merito) che potrebbero porsi nel corso
della deliberazione.
   L'articolo 521 risolve il problema dell'utilizzazione in camera di
consiglio, e nel corso della deliberazione, di un verbale redatto  in
caratteri  non  comuni.  Nel  Progetto  del 1978 si era esclusa tanto
l'ipotesi del " ritorno " alla  fase  dibattimentale  (per  procedere
alla  lettura)  quanto  l'ipotesi  dell'" intervento " delle parti in
camera di consiglio (per consentire il " controllo della lettura  ").
Queste  soluzioni avrebbero aperto sicuramente la strada ad incidenti
e ad inevitabili complicazioni " prima " della decisione. Di  qui  la
soluzione  della  sospensione  della  deliberazione  per  permettere,
secondo i casi, la " lettura del verbale "  e  l'"  ascolto  "  della
registrazione.
                               CAPO II
                              DECISIONE
   Il  Capo II, dedicato alla decisione, e' suddiviso in tre sezioni,
dedicate rispettivamente  alla  sentenza  di  proscioglimento  (artt.
522-525), alla sentenza di condanna (artt. 526-530) ed alla decisione
sulle domande civili (artt. 531-536).
                              SEZIONE I
                     Sentenza di proscioglimento
  Si  legge  nella Relazione al Progetto del 1978 che nell'art. 501 "
confluiscono  non  solo  le  situazioni  di  difetto  di  una   delle
condizioni  di  procedibilita'  propriamente dette (querela, istanza,
richiesta e autorizzazione, oltre naturalmente a quelle  disciplinate
fuori del codice di procedura penale), ma anche quelle situazioni che
costituiscono,   in    modi    diversi,    altrettante    cause    di
improcedibilita', come ad esempio l'errore di persona ". Sotto questo
profilo la norma (ora articolo 522) e' rimasta immutata. Il comma  2,
invece,  e'  stato  adeguato alla piu' precisa formulazione suggerita
dalla nuova legge-delega, che definisce la situazione di dubbio  come
quella  in  cui  la  "  prova  e'  insufficiente  o contraddittoria "
(direttiva 11).
   L'articolo 523 disciplina la " sentenza di assoluzione ". Il comma
1 elenca le " cause ". Fra queste " cause "  e'  stata  espressamente
inserita  quella  relativa  al  difetto  di  imputabilita',  che  nel
Progetto  del  1978  era  prevista  in   un   comma   autonomo,   con
l'indicazione delle disposizioni accessorie nella specie applicabili.
Detta collocazione, in effetti, poteva far  sorgere  dubbi  circa  la
riferibilita'  anche  a  quest'ipotesi delle regole di giudizio poste
nei commi 2 e 3. Per tale ragione si e' preferito elencare nel  comma
1  tutte  le ipotesi di assoluzione: non solo " il fatto non sussiste
", " l'imputato non lo ha commesso " e "  il  fatto  non  costituisce
reato  ",  ma  anche  "  il  reato  e'  stato commesso da persona non
imputabile ".
   Il  comma 2, che riproduce, con una maggiore estensione, la regola
di giudizio contenuta nell'art. 479 del codice  vigente,  e'  rimasto
sostanzialmente immutato rispetto al precedente Progetto del 1978. Le
modifiche sono solo due: e' stata riprodotta la formula della  delega
("  prova  insufficiente  o  contraddittoria  ") con riferimento alle
situazioni di dubbio, equiparate nel nuovo  testo  alla  mancanza  di
prova;  e'  stata  espressamente  estesa  la regola di giudizio anche
all'ipotesi di difetto di imputabilita', in  conformita'  alla  nuova
formulazione del comma 1.
   Pure  il  comma 3, specificamente dedicato alle regole di giudizio
concernenti le cause di  giustificazione  e  le  cause  personali  di
esenzione  da pena, ha sostanzialmente riprodotto la formulazione del
Progetto del 1978. Se vi e' dubbio sull'esistenza  delle  esimenti  o
sulle  cause  personali di esenzione il giudice pronuncia sentenza di
assoluzione, enunciando la relativa " causa ".
   L'art.  503  del  Progetto  del  1978 qualificava l'estinzione del
reato come una delle " cause "  di  assoluzione,  innovando  rispetto
all'art.  479  c.p.p.  che,  accomunata  quest'ipotesi  a  quella del
difetto di una condizione di  procedibilita',  la  considera  come  "
causa  "  della  sentenza  di  non doversi procedere. Pur consapevole
della  serieta'  di  questa   impostazione,   la   Commissione,   nel
corrispondente  articolo  524,  ha  ritenuto  di  dover confermare la
scelta del codice  vigente:  in  considerazione  dei  gravi  problemi
pratici  connessi alla ventilata inclusione dell'estinzione del reato
fra le " cause " dell'assoluzione (possibile, com'e' noto,  nei  casi
di    prova    positiva    dell'innocenza,   prova   negativa   della
responsabilita' e prova insufficiente o contraddittoria).
   Anche  il comma 2 e' stato formulato in modo da rendere chiaro che
il  proscioglimento  deve  essere   pronunciato   pure   quando   sia
insufficiente la prova.
   Non  e' stata riprodotta poi la disposizione del comma 3 dell'art.
503 del Progetto del  1978:  la  regola  della  "  precedenza  "  del
proscioglimento  nel  merito  e' infatti gia' contenuta nell'art. 128
comma 2.
   L'articolo  525,  concernente  le  statuizioni  della  sentenza di
proscioglimento in materia di misure cautelari personali, e'  rimasto
sostanzialmente immutato rispetto alla precedente formulazione, salvi
i necessari adeguamenti terminologici.
                              SEZIONE II
                         Sentenza di condanna
   L'articolo  526,  che  reca  tre  disposizioni  sulla  "  condanna
dell'imputato " e' formulato in modo da evitare che, gia'  sul  piano
della   descrizione   normativa,  si  alimenti  l'impressione  di  un
carattere " residuale " della " sentenza " di condanna. Nel  comma  3
e'  rimasta  la  disposizione  corrispondente  a  quella  che e' oggi
contenuta nell'art. 487 sulla sospensione condizionale  e  sulla  non
menzione della condanna.
   Gli  articoli  527  , 528 e 529, che riproducono sostanzialmente i
vigenti artt. 490, 488 e 484 c.p.p., hanno ripetuto  la  formulazione
del  precedente  Progetto.  Solo  nel  comma  1  dell'art.  528 si e'
introdotta una modifica di  un  qualche  rilievo,  apprestandosi  una
nuova  disciplina della condanna alle spese nei procedimenti a carico
di unica persona imputata di una pluralita' di reati.
   Anche l'articolo 530 ha subito modifiche marginali. Si e' ritenuto
che la formula " atto  pubblico  ",  ripresa  dal  vigente  art.  480
c.p.p.,  sia equivoca (perche' assimila l'atto al documento) e che il
riferimento alle " scritture private " potrebbe risultare  inadeguato
(rispetto  a  una realta', tesa verso forme di documentazione diverse
dalla scrittura).  Si  e',  quindi,  sostituita  la  formula  "  atto
pubblico o scrittura privata ", con " atto o documento ": espressione
idonea a ricomprendere ogni tipo di atto, pubblico o privato, e  ogni
tipo di documentazione, anche non scritta.
                             SEZIONE III
                    Decisione sulle domande civili
  Il  comma  1  dell'articolo  531 riproduce - con alcune varianti di
ordine formale - l'art. 489 comma 1 del codice vigente.
   Rispetto  al  testo  del  1978  e'  stata,  invece, introdotta una
modificazione  di  sostanza,  conseguente  alla  soppressione   della
prescrizione contenuta nell'art. 510 (corrispondente all'art. 531 del
nuovo Progetto) in base alla quale il giudice poteva  decidere  sulla
domanda  per  le  restituzioni e il risarcimento del danno proposta a
norma dell'art. 80 (ora, art. 73), non solo in caso di  condanna,  ma
anche  in  caso  di  proscioglimento  per estinzione del reato quando
risultasse gia' provata l'esistenza del fatto e la  sua  attribuzione
all'imputato.
   La  disciplina  della  condanna  per  la  responsabilita'  civile,
ipotizzata dall'art. 531, attua la direttiva 28  della  legge-delega.
Si   presenta,  percio'  perfettamente  in  linea  con  la  normativa
introdotta dall'art. 12 della l. 3 agosto 1978,  n.  405,  in  quanto
esclude la possibilita' di " condanna " per la responsabilita' civile
nei casi di estinzione del reato, dichiarata nel  giudizio  di  primo
grado.
   Il  comma 2 dell'art. 531 (corrispondente all'art. 510 comma 2 del
Progetto del 1978) riproduce, con alcuni ammodernamenti lessicali, la
prima  parte  dell'art.  489  comma 2 del codice vigente. Viene cosi'
sancito, in attuazione della  prima  parte  della  direttiva  26,  il
principio  che  il  giudice penale e' tenuto a provvedere anche sulla
liquidazione dei  danni:  un  principio  derogabile  solo  quando  la
liquidazione  sia  impossibile  allo  stato  degli  atti  ovvero  sia
prevista la competenza di altro giudice.
   Con  il  comma  3  (che  corrisponde  al comma 3 dell'art. 510 del
precedente Progetto) e' stato riprodotto il  precetto  della  seconda
parte  dell'art.  489 comma 1 del codice vigente, disponendosi che la
condanna alla restituzione e al risarcimento del danno e' pronunciata
anche  nei  confronti  del  responsabile  civile citato o intervenuto
quando sia riconosciuta la sua responsabilita'. Non si  e'  ritenuto,
invece, di reintrodurre la seconda parte del comma 1 dell'art. 489 in
ordine  alla  condanna,  quale  responsabile  civile,   dell'imputato
prosciolto,  perche'  un  precetto di tal genere risulta insito nella
regola stabilita dalla seconda parte dell'art. 82 comma 1, in base al
quale  l'imputato  puo' essere citato come responsabile civile per il
fatto dei coimputati (soltanto) per il caso di proscioglimento.
   L'articolo  532  corrisponde esattamente all'art. 511 del Progetto
del 1978. Mentre il comma 1 indica le  condizioni  per  la  pronuncia
della  condanna  generica  alle  restituzioni  e  al risarcimento del
danno,  il  comma  2  fissa  l'obbligo  per  il  giudice  penale   di
condannare,   a   richiesta  della  parte  civile,  l'imputato  e  il
responsabile civile al pagamento di una provvisionale nei limiti  per
cui  si  ritiene  gia' raggiunta la prova. Con tale precetto e' stata
data attuazione alla seconda parte della direttiva 26, che impone  al
giudice  penale,  quando non sussista la possibilita' di liquidare il
danno, " di assegnare alla parte civile una congrua  somma  in  conto
della liquidazione riservata al giudice civile ".
   Si  e'  considerato  utile  adottare,  al riguardo, la formula del
codice di procedura civile, in quanto la formulazione  dell'art.  489
c.p.p.  ha indotto la dottrina a supporre diversita' di presupposti e
differenti  discipline  che  si  sono  ritenuti  ingiustificati   (v.
Relazione al Progetto del 1978, pag. 431).
   Gli  artt.  533,  534,  535  e 536 hanno riproposto il testo degli
artt. 512, 513, 514 e 515 del Progetto del 1978.
   Con  l'articolo  533  si  e'  prevista,  da  un lato (comma 1), la
provvisoria  esecuzione,  a  richiesta  della  parte  civile,   della
sentenza  di  condanna alla restituzione e al risarcimento del danno,
e, dall'altro (comma 2), l'immediata esecutivita' della  condanna  al
pagamento della provvisionale.
   L'un  precetto  da' attuazione alla prima parte della direttiva 26
laddove  si  prevede  la  "  facolta'  di  concedere  la  provvisoria
esecuzione  quando  ricorrono  giustificati motivi ". Il fatto che la
detta  direttiva  abbia  attribuito  la  facolta'  e  non   l'obbligo
(apparentemente   imposto,   invece,   dalla   direttiva   25   della
legge-delega del  1974)  di  rendere  provvisoriamente  esecutiva  la
decisione sui danni non e' parso argomento sufficiente per modificare
il testo del  Progetto  del  1978,  considerando  che,  comunque,  la
valutazione  dei  "  giusti  motivi  "  costituisce espressione della
discrezionalita' " tecnica " del giudice penale,  identificabile  con
l'esercizio di una facolta'.
   Il  secondo  precetto  costituisce puntuale attuazione della terza
parte della direttiva 26 che prevede la  provvisoria  esecuzione  del
provvedimento  con il quale si dispone di assegnare alla parte civile
" una congrua somma in conto della liquidazione riservata al  giudice
civile ".
   L'articolo  534,  nel  prevedere  la  condanna alle spese relative
all'azione civile, introduce l'istituto della compensazione totale  o
parziale  delle  spese tanto nel caso di accoglimento quanto nel caso
di reiezione della pretesa risarcitoria.
   Con  l'articolo  535  e' stato previsto, secondo la linea indicata
dagli artt. 382 e 482 del codice vigente, il  regime  concernente  la
condanna   del   querelante   alle   spese   e   ai  danni,  peraltro
circoscrivendo tale assetto  alle  sole  ipotesi  di  proscioglimento
perche' il fatto non sussiste o perche' l'imputato non l'ha commesso.
La Commissione ha, cosi', seguito talune indicazioni contenute  nelle
sentenze n. 165 del 1974 e n. 52 della Corte costituzionale.
   Infine,  con  riguardo  all'articolo  536,  il quale disciplina il
regime della pubblicazione della sentenza come riparazione del danno,
si  e' ritenuto di non modificare il testo dell'art. 515 del Progetto
del 1978, attribuendosi alla sola  parte  civile  costituita,  e  non
anche  alla persona offesa, il potere di richiedere la pubblicazione.
                               CAPO III
                  ATTI SUCCESSIVI ALLA DELIBERAZIONE
   L'articolo  537  introduce  il  capo dedicato agli atti successivi
alla deliberazione.
   Considerata  l'evoluzione  della  direttiva  79  della  delega, e'
sembrato evidente come il legislatore abbia inteso ampliare i margini
di  discrezionalita'  del giudice nella scelta dei tempi di redazione
della motivazione della sentenza.
   In  una  precedente  formulazione della direttiva, si era recepita
l'impostazione del Progetto del 1978, prevedendosi la  contestualita'
tra   decisione   e  motivazione,  salvi  i  casi  di  "  particolare
complessita'  ".  Nella  sua  formulazione  definitiva,  invece,   la
direttiva  79  ha capovolto questa impostazione: il giudice, anche se
fosse  in  grado  di  redigere  immediatamente  la  motivazione,  non
potrebbe  tuttavia  farlo nei casi di particolare complessita'. Si e'
reso, pertanto, necessario modificare il testo del Progetto del 1978.
Onde evitare il rinvio al successivo art. 541, si e' anche anticipata
la disciplina dei termini di deposito della motivazione differita.
   La  maggiore discrezionalita' riconosciuta al giudice nella scelta
circa i tempi di redazione della motivazione ha indotto ad  eliminare
anche  l'ultimo  comma  dell'art.  517  del  Progetto  del  1978, che
richiedeva  una  pubblica  giustificazione  del  differimento   della
motivazione.  A  questa nuova impostazione e' stato adeguato anche il
comma 2 dell'articolo 538.
   La  soppressione  della  direttiva  9  della  vecchia  delega e la
modifica della direttiva 10 sulla " perizia " rendono  plausibile  la
tesi  che il legislatore delegante abbia inteso sopprimere l'istituto
della riapertura del dibattimento al  fine  di  procedere  a  perizia
criminologica.   A   questa   interpretazione  si  e'  uniformata  la
Commissione.
   L'articolo  539  e'  stato mantenuto nel testo del 1978, salvo che
nella disciplina della motivazione. E' stata, infatti,  eliminata  la
limitazione   relativa   all'enunciazione  delle  ragioni  circa  l'"
inattendibilita' " delle prove contrarie. A differenza del precedente
Progetto, che imponeva una specifica motivazione solo con riferimento
alle prove indicate dalle parti, il nuovo  testo  si  richiama  anche
alle  prove  che  siano  risultate  comunque favorevoli all'imputato,
ancorche' da lui non richieste.
   L'articolo  540,  relativo  alla  correzione  degli  errori  della
sentenza, non ha subito modifiche rispetto al testo del 1978.
   L'articolo  541, concernente il deposito della sentenza, e' stato,
invece, adeguato alla nuova formulazione dell'art. 537 ed alla  nuova
disciplina delle impugnazioni.
                              LIBRO VIII
                   PROCEDIMENTO DAVANTI AL PRETORE
   La  direttiva 103 della legge-delega, relativa alla disciplina del
processo pretorile, contiene indicazioni molto sintetiche e generali,
che  lasciano  ampi  spazi  al legislatore delegato nella descrizione
analitica delle concrete modalita' di funzionamento del  procedimento
davanti  al  pretore.  Anche  i  pochi accenni rinvenibili nei lavori
preparatori sono estremamente laconici e generici e fanno per lo piu'
esclusivo riferimento all'esigenza, segnalata nella direttiva 103, di
distinguere le funzioni di pubblico ministero e di giudice.
   Le  indicazioni  relative all'impostazione del procedimento avanti
al pretore si riducono alla previsione di una disciplina "in base  ai
principi  generali  di  cui ai numeri precedenti, secondo criteri di
massima semplificazione, con esclusione  dell'udienza  preliminare  e
con possibilita' di incidenti probatori solo in casi eccezionali".
   Sulla  base  di  questi  tre  principi,  pare  comunque possibile
cogliere alcune indicazioni di  fondo,  che  costituiranno  le  linee
direttive  del  nuovo processo di pretura. In primo luogo, poiche' la
direttiva 1 della legge-delega fissa gia' il principio della "massima
semplificazione  nello  svolgimento  del  processo",  i  "criteri  di
massima  semplificazione"  richiesti  dalla   direttiva   103   della
legge-delega    non   possono   che   tradursi   in   una   ulteriore
semplificazione  degli  istituti  e  dei  meccanismi   "semplificati"
previsti  in  via  generale  per  il  procedimento  per  i  reati  di
competenza del tribunale. Ne consegue che il richiamo  ai  "principi
generali  di  cui  ai numeri precedenti" non deve essere interpretato
come rigida  adesione  agli  specifici  istituti  disciplinati  dalla
legge-delega  per  il  procedimento  avanti al tribunale, bensi' come
riferimento ai principi generali ispiratori di quegli istituti,  con
possibilita'  di  modificarli  e  di  interpretarli  secondo criteri,
appunto, di massima semplificazione, adeguati alle forme piu'  snelle
e  rapide  che  si sono tradizionalmente accompagnate al procedimento
pretorile.
   Si   inserisce   su   questa  indicazione  di  fondo  l'esclusione
dell'udienza preliminare. Quella  che  il  legislatore  delegante  ha
voluto   escludere   dal   procedimento  pretorile  e'  evidentemente
l'udienza preliminare che e' stata  definita  "di  smistamento",  nel
corso  della  quale  il  giudice  valuta  la  fondatezza dell'ipotesi
accusatoria del pubblico ministero ai fini del  passaggio  alla  fase
del  giudizio.  Non  vi  e'  infatti  dubbio che l'esclusione di tale
udienza e' coerente con i  criteri  di  massima  semplificazione  del
procedimento  pretorile, posto che l'udienza preliminare introduce un
momento di controllo e di contraddittorio che, necessario per i reati
di  maggiore  gravita'  di  competenza  del tribunale, per i quali le
indagini preliminari possono  protrarsi  a  lungo,  costituirebbe  un
inutile  appesantimento  in  relazione  ai  reati  di  competenza del
pretore.
   Diverse  sono  invece  le  conclusioni  in  ordine a quell'udienza
antecedente  al  giudizio  nel  corso  della  quale  il  giudice  nei
procedimenti  per  reati  di  competenza  del tribunale puo' adottare
provvedimenti  di  merito  che  concludono  il  procedimento   ovvero
comunque  evitano il passaggio alla fase dibattimentale. Ritenere che
il legislatore delegante,  nell'escludere  nel  processo  di  pretura
l'udienza  preliminare,  abbia  voluto  eliminare  questi  meccanismi
semplificati porterebbe a conclusioni illogiche e contrastanti con  i
criteri  di  massima  semplificazione della direttiva 103. Si sarebbe
infatti costretti ad escludere, proprio  nel  processo  pretorile,  i
meccanismi  abbreviati  e  piu'  celeri  di  cui  alle  direttive  45
(applicazione della pena su richiesta delle parti), 52  (sentenza  di
non  luogo a procedere prima del giudizio), 53 (giudizio abbreviato).
   Al  contrario,  la  massima semplificazione del processo pretorile
deve essere perseguita attraverso la scelta di fondo di potenziare al
massimo   gli  sbocchi  diversi  dal  dibattimento,  trasformando  la
relativa fase da situazione ordinaria  -  come  e'  nel  processo  di
pretura  che  il nuovo codice si appresta a sostituire - in evenienza
eccezionale  o,  quantomeno,  residuale.  In  particolare,   i   riti
alternativi  al dibattimento devono divenire i meccanismi ordinari di
definizione del procedimento in tutti  i  casi  in  cui  il  bagaglio
probatorio  acquisito in sede di indagini preliminari rende del tutto
evidente la responsabilita' dell'imputato  ovvero  quando  questi  ha
confessato o si presume che ammettera' la propria responsabilita'. In
queste situazioni e' palesemente antieconomico  ricorrere  alla  fase
dibattimentale,  che  presenta  meccanismi  complessi  e  sofisticati
inidonei a  perseguire  i  criteri  di  massima  semplificazione  che
debbono  sorreggere  il  procedimento  pretorile.  L'obiettivo  e' di
creare, sia attraverso la disciplina legislativa, sia soprattutto nel
costume giudiziario, una sorta di incompatibilita' tra evidenza della
prova e/o confessione dell'imputato e giudizio dibattimentale,  salvo
evidentemente   che   sia  lo  stesso  imputato  a  chiedere  che  il
procedimento trovi sbocco nel dibattimento.
   Disincentivazione  del dibattimento e massima semplificazione sono
quindi due finalita' che marciano parallele e trovano  traduzione  da
un  lato  nell'ampio  potere  discrezionale  del  pubblico  ministero
nell'impostare  le  fasi  iniziali  del  procedimento  in  vista  del
perseguimento  di  questi obiettivi, dall'altro nell'utilizzazione di
meccanismi premiali - peraltro previsti in  via  generale  anche  nel
procedimento  per  i  reati  di  competenza del tribunale - capaci di
prospettare all'imputato consistenti vantaggi insiti  nella  rinuncia
al dibattimento.
   Al pubblico ministero e' stato attribuito il potere di emettere il
decreto di  citazione  a  giudizio,  che  gli  consente  appunto  una
incisiva  attivita'  di  smistamento  in  vista  dei  vari  sbocchi -
alternativi o dibattimentali - del procedimento. Tale conclusione non
contrasta   con  i  principi  della  delega,  ma  si  attaglia  alla
particolare  struttura  del  procedimento  pretorile,  caratterizzato
dalla  espressa esclusione dell'udienza preliminare, che nel processo
di tribunale e'  il  momento  in  cui  il  giudice  valuta  l'ipotesi
accusatoria  del pubblico ministero e dispone, se del caso, il rinvio
a giudizio. Mancando nel processo di pretura  tale  momento,  e'  del
tutto  congruo attribuire direttamente al pubblico ministero i poteri
di impulso processuale e di scelta  del  rito.  D'altro  canto  nella
delega  sono previste specifiche ipotesi in cui il pubblico ministero
presenta direttamente l'imputato in giudizio, con riferimento ai  tre
casi di giudizio direttissimo disciplinati dalla direttiva 43.
   Il  decreto  di  citazione a giudizio del pubblico ministero (art.
548) e' il momento centrale del procedimento davanti al  pretore,  ed
opportunamente  contiene  anche  l'avviso  che  l'imputato  entro  un
termine prestabilito puo' chiedere  il  giudizio  abbreviato  ovvero,
sino  all'apertura  del  dibattimento,  l'applicazione  della pena su
richiesta a norma dell'art. 439.  In  particolare,  ove  il  pubblico
ministero  ritenga  che  il giudizio possa essere definito allo stato
degli atti ovvero mediante l'applicazione della pena su richiesta, ne
da'  atto nello stesso decreto di citazione, indicando il rito per il
quale e' disposto a prestare il proprio consenso. Solo  nel  caso  in
cui  l'imputato  non accolga l'offerta del pubblico ministero, ovvero
non  chieda  di  sua  iniziativa  la   definizione   anticipata   del
procedimento, il decreto di citazione per il dibattimento svolgera' i
suoi effetti tipici, mediante la notificazione alle altre  parti,  la
formazione  del  fascicolo d'ufficio e la sua trasmissione al pretore
del dibattimento.
   Il  titolo  III,  che  prevede  appunto  sotto  la  rubrica  "Atti
introduttivi del giudizio" questi due modelli di decreto di citazione
a  giudizio che potremmo definire a formazione successiva, si collega
sistematicamente con il titolo  successivo,  che  contiene  le  varie
forme  di  definizione  anticipata  del  procedimento,  dal  giudizio
abbreviato all'applicazione della pena su richiesta, dall'udienza  di
conciliazione  al procedimento per decreto. Nel titolo e' compreso il
giudizio in caso di arresto in flagranza, in  quanto  anche  in  tale
ipotesi  l'imputato  puo' presentare richiesta di giudizio abbreviato
(art. 559 comma 7). E' implicito che anche in  tale  caso  l'imputato
puo'  comunque sempre chiedere, prima dell'apertura del dibattimento,
l'applicazione della pena su richiesta.
   Non  e'  pertanto  casuale  che  il  giudizio  in dibattimento sia
disciplinato  alla  fine   del   libro   VIII,   quasi   a   tradurre
sistematicamente  il carattere residuale che dovrebbe assumere questa
forma di giudizio, ultima risorsa dopo che non hanno avuto  corso  le
ipotesi di accordo premiale tra pubblico ministero e imputato. Il che
non esclude evidentemente che vi siano situazioni  in  cui,  a  causa
della   particolare   complessita'  delle  indagini  preliminari,  il
procedimento si avvii sin dall'inizio verso lo sbocco naturale  della
verifica dibattimentale.
   Le esigenze di massima semplificazione del procedimento davanti al
pretore trovano comunque  riscontro  anche  in  sede  dibattimentale.
L'art. 560 prevede infatti che il verbale di udienza venga redatto in
forma riassuntiva e che, sull'accordo delle parti, il  pretore  possa
procedere direttamente all'interrogatorio delle parti e all'esame dei
testimoni, dei periti e dei consulenti sulla base delle domande poste
dal pubblico ministero e dai difensori.
   Attraverso  l'introduzione  di  questi  meccanismi il procedimento
davanti al pretore dovrebbe divenire il banco di prova  di  un  nuovo
costume  giudiziario,  destinato  ad  estendersi  anche ai reati piu'
semplici di competenza del tribunale, che vede nei riti abbreviati  e
nelle   forme   di  definizione  anticipata  lo  sbocco  normale  del
procedimento in tutti i casi in cui non  vi  e'  contestazione  sulla
responsabilita'  o,  a  contrario,  sulla mancanza di responsabilita'
dell'imputato. D'altro canto l'esperienza degli  ordinamenti  che  da
secoli  prevedono  un  processo  di tipo accusatorio insegna che tale
modello processuale e' in  grado  di  trovare  pratica  applicazione,
stante  il  notevole  dispendio di risorse richieste dalla formazione
orale della prova in dibattimento e dalla cross examination, solo  se
ad   esso   si  accompagnano  forme  di  definizione  anticipata  del
procedimento basate su modelli alternativi  di  tipo  inquisitorio  e
premiale.  Gli  istituti  del  guilty  plea e del plea bargaining del
processo  nord-americano  costituiscono  al   riguardo   un   esempio
estremamente  significativo,  posto che consentono di risolvere senza
ricorrere al dibattimento almeno il 90 % dei casi per cui il pubblico
ministero ha iniziato l'azione penale.
                               TITOLO I
                        DISPOSIZIONI GENERALI
   Venendo  all'esame analitico delle singole disposizioni, il titolo
I "Disposizioni generali" contiene in  primo  luogo  il  rinvio  alle
norme relative al procedimento davanti al tribunale, evidentemente in
quanto  non  incompatibili  con  le  peculiarita'  del   procedimento
pretorile (articolo 542).
   Il  successivo  articolo  543  mira  a chiarire, al di la' di ogni
possibile dubbio, la distinzione  tra  gli  organi  del  processo  di
pretura,  in vista delle autonome e diverse funzioni giudiziarie loro
attribuite. La distinzione tra un giudice per le indagini preliminari
e  un  pretore  del  dibattimento  trova la sua ragion d'essere nelle
diverse funzioni attribuite ai due organi giurisdizionali:  il  primo
essendo   competente   a   svolgere   tutte  le  funzioni  (incidente
probatorio, autorizzazione alla proroga delle  indagini  preliminari,
provvedimenti  in  tema di archiviazione e di sentenza di non luogo a
procedere, nonche' in tema di misure cautelari e di  atti  urgenti  a
norma  dell'art.  443,  sentenza  nel corso del giudizio abbreviato e
applicazione di sanzioni sostitutive,  decreto  penale  di  condanna)
diverse da quelle del pretore del dibattimento.
   L'esistenza  di tre diversi organi giudiziari (pubblico ministero,
giudice  per  le  indagini  preliminari,  pretore  del  dibattimento,
ciascuno  con  competenze  esclusive  e  non interscambiabili), rende
evidente che le condizioni ottimali per un funzionamento economico  e
razionale  del  processo sono quelle di una pretura di medie o grandi
dimensioni,  nella  quale  le   diverse   funzioni   possano   essere
distribuite  tra  i  vari organi senza inutile dispendio di energie e
risorse personali. L'attuale pretura mandamentale monocratica nonche'
le  preture con meno di cinque magistrati sembrano quindi poco idonee
a consentire un funzionamento del processo  conforme  ai  criteri  di
snellezza e di economia nella gestione della giustizia penale.
   E'  evidente  pertanto che l'approvazione del nuovo codice implica
la necessita'  di  una  contestuale  revisione  delle  circoscrizioni
giudiziarie  che  incida  profondamente  sull'attuale  assetto  delle
preture mandamentali.
   Tuttavia   la  Commissione,  pur  nella  ferma  convinzione  della
inderogabilita'  della  esigenza  sopra  indicata,  ha  ritenuto   di
formulare  la  disposizione  relativa  agli  "organi  giudiziari  nel
procedimento davanti al pretore" sulla base di una ipotesi di lavoro,
allo  stato  apparsa  maggiormente  realistica,  in  base  alla quale
l'ufficio del pubblico ministero e il pretore del  dibattimento  sono
individuati  su  base circondariale (cioe' coincidente con la sede di
pretura che si trova nella citta' sede di tribunale) e l'ufficio  del
giudice  per  le  indagini preliminari su base locale (corrispondente
alla pretura mandamentale). Al  conseguente  aumento  del  carico  di
lavoro   nella   pretura   "circondariale",  cui  corrispondera'  una
diminuzione correlata di lavoro nelle preture  mandamentali,  potra',
nell'immediato,   soddisfarsi   mediante  il  ricorso  agli  istituti
previsti   dall'ordinamento   giudiziario   (supplenza)   utilizzando
parzialmente proprio i pretori mandamentali.
                              TITOLO II
                         INDAGINI PRELIMINARI
   Alle  indagini  preliminari  ed  ai  conseguenti provvedimenti del
giudice, disciplinate dal titolo II,  si  applicano  le  disposizioni
previste  per  il  procedimento  relativo  ai reati di competenza del
tribunale,  in  virtu'  del  rinvio  contenuto  nell'art.   542.   Le
specifiche norme contenute nel titolo affrontano quelle situazioni in
cui le esigenze di massima semplificazione hanno suggerito di dettare
una autonoma disciplina.
  Cio'  vale  per l'incidente probatorio (articolo 544). La direttiva
103  della  legge-delega  circoscrive  la  possibilita'  di  assumere
incidenti  probatori  "solo  in  casi  eccezionali",  in  linea con i
criteri di massima semplificazione  del  procedimento  pretorile.  Le
ipotesi   di   incidente   probatorio  sono  state  in  via  generale
circoscritte ai casi  in  cui  la  complessita'  delle  indagini  non
consenta  al  pubblico  ministero  di  emettere  subito il decreto di
citazione  a  giudizio  (art.  545  comma  1).  Cio'  premesso,   nel
procedimento  pretorile  sono  stati  esclusi  i  casi  di  incidente
probatorio specificamente previsti per fronteggiare le  esigenze  dei
processi  di  criminalita' organizzata, indicati sotto le lett. b ) e
c) dell'art. 390. E' stata pure esclusa la possibilita' di  ricorrere
all'incidente  probatorio  per assumere un confronto, in quanto si e'
ritenuto che l'esigenza di assumere tale mezzo  di  prova  fosse  del
tutto eccezionale per i reati di competenza del pretore.
   In  ordine  al  procedimento  (articolo 545) si applicano le norme
previste dagli articoli che disciplinano in via generale  l'istituto,
con   l'esclusione,   in   ossequio   al   principio   della  massima
semplificazione,  della  disciplina  relativa   alla   richiesta   di
incidente  probatorio  e  della notifica della stessa; la facolta' di
presentare deduzioni si  esercita  compatibilmente  con  la  maggiore
snellezza  del  procedimento  relativo  davanti al pretore rispetto a
quello davanti al tribunale.
   La  durata "ordinaria" delle indagini preliminari e' stata fissata
in quattro mesi (articolo 546), termine che e' parso appropriato  per
consentire  al  pubblico  ministero di svolgere le eventuali indagini
necessarie  per  le  proprie  determinazioni.  Puo'  tuttavia  essere
presentata  al giudice richiesta di proroga per un termine massimo di
quattro mesi, prorogabile di ulteriori quattro mesi, qualora  debbano
essere compiuti atti di particolare complessita'.
   In  base  all'articolo  547,  il  pubblico  ministero, concluse le
indagini, puo' presentare al  giudice  per  le  indagini  preliminari
richiesta  di  archiviazione  ovvero  emettere decreto di citazione a
giudizio ove non abbia fatto richiesta, entro il termine  di  quattro
mesi  dalla  iscrizione  della notizia di reato, di decreto penale di
condanna  (che  presuppone  una   evidenza   probatoria   logicamente
incompatibile con indagini che possono protrarsi fino a dodici mesi).
   Nel  caso  sia stata richiesta l'archiviazione, trova applicazione
la  disciplina  analoga  prevista  per  i  reati  di  competenza  del
tribunale,   ma   se  la  richiesta  non  viene  accolta  il  giudice
restituisce gli atti al pubblico ministero. Non opera, invece, l'art.
406  comma  3  in  quanto  la  maggiore  snellezza  del  procedimento
pretorile ha consigliato di lasciare il pubblico ministero libero  di
autodeterminarsi senza essere vincolato dalle indicazioni del giudice
in ordine alle ulteriori indagini da compiere.
                              TITOLO III
                    ATTI INTRODUTTIVI DEL GIUDIZIO
   Il  titolo III, relativo alla introduzione al giudizio, assume una
importanza  centrale   nell'impostazione   e   nello   sviluppo   del
procedimento  pretorile,  in  quanto  le  disposizioni  ivi contenute
consentono al pubblico ministero di esplicare quelle scelte capaci di
orientare  il procedimento verso una delle varie forme di definizione
anticipata rispetto al dibattimento.
   Il  titolo  e'  interamente  dedicato  al  decreto  di citazione a
giudizio, che ricalca in parte quello previsto per il procedimento di
tribunale, ma contiene (articolo 548 comma 1, lett. e) anche l'avviso
che l'imputato  puo'  chiedere  entro  quindici  giorni  il  giudizio
abbreviato  ovvero  l'applicazione della pena su richiesta. E' questa
la ragione per cui il termine dilatorio tra la data della notifica  e
la  data  del  dibattimento  e'  piu'  lungo  rispetto  a  quello del
procedimento davanti al tribunale: si deve infatti dare  all'imputato
il  tempo di presentare la richiesta di giudizio abbreviato ovvero di
applicazione della pena su richiesta, e solo ove risulti che entro il
termine   di  quindici  giorni  l'imputato  non  ha  presentato  tale
richiesta, il pubblico  ministero  provvedera'  a  fare  eseguire  la
notifica  del decreto alle altre parti, a formare il fascicolo per il
dibattimento e a trasmetterlo al pretore  unitamente  al  decreto  di
citazione.
   Il  decreto  di citazione e' dunque un atto complesso, che produce
diversi effetti,  a  seconda  di  quello  che  sara'  l'atteggiamento
dell'imputato  nei  confronti delle possibilita' che gli sono offerte
di definizione anticipata del procedimento. I motivi di economia e di
convenienza  di  tale  meccanismo sono di tutta evidenza. Con un atto
unico si ottengono due effetti: sollecitare l'imputato  ad  avvalersi
di un rito abbreviato e contestualmente citarlo per il giudizio a una
data gia' fissata ove tale sollecitazione non venga accolta.
   Questo meccanismo viene riproposto con maggiore forza di pressione
nell'articolo  549,  che  disciplina  il  caso  in  cui  il  pubblico
ministero  porta  a  conoscenza dell'imputato, mediante il decreto di
citazione, l'intento di prestare il proprio  consenso  anticipato  al
giudizio  abbreviato o all'applicazione della pena su richiesta, e lo
invita a fare richiesta di definizione anticipata del giudizio  entro
quindici  giorni  dalla notifica, avvisandolo che, in caso di mancata
richiesta,  dovra'  comparire  a  giudizio  all'udienza   che   viene
contestualmente  fissata.  La disciplina e' completata dal successivo
articolo 550, che regola il caso in cui  l'imputato  abbia  formulato
nel  termine  di  quindici giorni richiesta di definizione anticipata
del giudizio e dall'articolo 551  che  regola  l'ipotesi  in  cui,  a
contrario,  tale  richiesta non sia stata formulata e si debba quindi
attivare  il  meccanismo  delle  notifiche  alle  altre  parti  della
citazione per il dibattimento.
                              TITOLO IV
                     DEFINIZIONE DEL PROCEDIMENTO
   Le   forme   di   definizione  anticipata  del  procedimento  sono
disciplinate dal titolo IV,  a  cominciare  dal  giudizio  abbreviato
(articoli  553  ,  554 , 555). Le esigenze di massima semplificazione
imposte dalla direttiva 103 della legge-delega hanno  fatto  ritenere
non  solo  opportuno,  ma  doveroso un sensibile snellimento rispetto
all'analogo  rito  previsto  per  il   procedimento   di   tribunale,
realizzato  attraverso due differenze sostanziali. In primo luogo non
e' stata prevista la decisione preliminare con cui il giudice dispone
se  dare  o  meno  corso  al  giudizio  abbreviato;  non  trova cioe'
applicazione l'art. 435. In altre parole nel processo di pretura,  se
vi   e'  la  richiesta  dell'imputato  e  il  consenso  del  pubblico
ministero, il passaggio  al  rito  abbreviato  e'  automatico,  salva
sempre  la  possibilita'  per  il  giudice  che  ritenga di non poter
decidere allo stato degli atti di restituire  gli  atti  al  pubblico
ministero (art. 555).
   In   secondo   luogo   il  giudizio  abbreviato  e',  in  sede  di
procedimento pretorile, un vero e proprio giudizio allo  stato  degli
atti,  senza  alcuna  possibilita' di assumere prove. Si e', infatti,
mantenuta  ferma  l'esclusione  di  ogni  attivita'  probatoria  gia'
stabilita,  per le ragioni diffusamente illustrate nella relazione al
titolo II del  libro  VI,  per  il  giudizio  abbreviato  dinanzi  al
tribunale.  A  differenza che in quest'ultimo, tuttavia, nel giudizio
abbreviato dinanzi al pretore, non essendo prevista nel  procedimento
pretorile  l'udienza  preliminare,  non  sara'  possibile  utilizzare
neppure le limitate acquisizioni probatorie consentite dall'art.  419
e  utilizzabili  nei  casi di conversione dell'udienza preliminare in
giudizio abbreviato. Si e' peraltro ritenuto  che  non  sussistessero
per  il procedimento pretorile quelle ragioni di economia processuale
e di incentivazione al rito abbreviato che avrebbero  consigliato  di
prevedere,  anche  oltre  i limiti anzidetti, ove la delega lo avesse
consentito, l'acquisizione di prove nel  giudizio  abbreviato  per  i
reati  di competenza del tribunale. Al contrario, avuto riguardo alla
composizione  sempre  monocratica  del   giudice   nel   procedimento
pretorile  ed alla possibilita' che anche nel giudizio dibattimentale
il pretore, sull'accordo delle parti, proceda direttamente  all'esame
delle  parti, dei testimoni e del consulenti tecnici, e' sembrato che
prevedere la possibilita' di assumere prove nel  giudizio  abbreviato
dinanzi  al  pretore,  oltre  a contrastare con la formulazione della
delega, avrebbe comportato una sostanziale duplicazione del  giudizio
dibattimentale pretorile.
  In  questa  ottica  di  estrema  semplicita',  all'udienza  per  il
giudizio abbreviato si applicano le disposizioni dell'art. 417;  esso
cioe'  si  svolge  in  camera  di  consiglio,  senza  la presenza del
pubblico; l'imputato e la parte offesa sono sentiti  dal  pretore  ed
immediatamente  dopo il pubblico ministero ed i difensori delle parti
presentano le loro conclusioni (articolo 554).
   Se il pretore ritiene di non poter decidere allo stato degli atti,
l'articolo  555  prevede  la  restituzione  degli  atti  al  pubblico
ministero,  il  quale fissa l'udienza per il dibattimento entro venti
giorni.
   La disposizione relativa all'applicazione della pena su richiesta,
opera un rinvio integrale alla disciplina prevista per  questa  forma
di  giudizio abbreviato per i reati di competenza del tribunale (art.
556). In ossequio al principio della massima semplificazione  imposta
dalla  delega, si e' pero' stabilito che la richiesta di pena a norma
dell'art. 439 deve essere presentata nel termine di  quindici  giorni
dalla notifica del decreto di citazione (art. 548 comma 1 lett. e).
  Uno  strumento  nuovo  e  peculiare  del  processo  di pretura, che
dovrebbe recare un importante contributo alla deflazione  del  carico
giudiziario nel caso di reati perseguibili a querela, e' l'udienza di
conciliazione,   disciplinata   dall'articolo   557.   L'operativita'
dell'istituto   e'   lasciata   alla  discrezionalita'  del  pubblico
ministero, il quale, ove ritenga  sussistano  le  condizioni  per  un
accordo tra querelante e querelato, puo' citarli a comparire avanti a
se' prima di compiere atti  di  indagini  preliminari.  Se  le  parti
raggiungono  l'accordo,  sara'  -  secondo  i principi generali - il
giudice  per  le  indagini  preliminari  ad   emettere   decreto   di
archiviazione,  salvo  che  ritenga  trattarsi  di reato perseguibile
d'ufficio.  L'utilita'  di   siffatta   previsione   consiste   nella
eliminazione  di  accertamenti  o indagini preliminari quando l'esito
del procedimento potrebbe essere quello conseguente  alla  remissione
della querela.
   Nel  prevedere tale attivita' " conciliativa " tra le funzioni del
pubblico ministero - a fronte della diversa  soluzione,  in  astratto
proponibile,  secondo  cui  il tentativo di conciliare avrebbe potuto
essere svolto (e forse piu' proficuamente) dal giudice - si e' tenuta
presente la possibilita' di cui puo' avvalersi il pubblico ministero,
ove l'accordo non riesca,  di  dare  nuovo  impulso  al  procedimento
attivando  i meccanismi per una definizione anticipata dello stesso e
utilizzando per  questo  la  presenza  delle  parti.  Le  ragioni  di
economia  processuale  sono  cioe' parse prevalenti rispetto a quelle
attinenti al  ruolo  super  partes  che  il  giudice  avrebbe  potuto
assolvere nel cercare di raggiungere un accordo tra le parti.
   Un'ulteriore forma di definizione anticipata del procedimento (non
esclusiva del processo di pretura, ma che  avra'  larga  applicazione
soprattutto per i reati di pretura) e' il decreto penale di condanna,
disciplinato dall'articolo 558 (con rinvio  alle  norme  relative  al
corrispondente procedimento per i reati di competenza del tribunale).
Il termine di quattro mesi  entro  cui  il  pubblico  ministero  puo'
chiedere il decreto penale di condanna, (previsto dall'art. 547 comma
3) trova la sua ragione nella considerazione  che,  ove  le  indagini
preliminari debbano svolgersi oltre il termine ordinario previsto per
il processo di pretura, si verserebbe in una situazione in cui  manca
quell'evidenza  della prova che costituisce il presupposto logico del
decreto penale di  condanna.  Ulteriori  precisazioni  rispetto  alla
disciplina  dettata  in via generale per il decreto penale in caso di
reati di competenza del tribunale sono previste nel comma 2.  Poiche'
l'art.  455  comma 3 prevede che con l'atto di opposizione l'imputato
puo' chiedere il giudizio immediato ovvero il giudizio  abbreviato  o
l'applicazione  di  una  pena  su  richiesta,  tenuto  conto  che nel
procedimento  pretorile  e'  normalmente  il  pubblico  ministero  ad
emettere  decreto  di  citazione  a  giudizio,  si  e' opportunamente
previsto che l'imputato in sede  di  opposizione  possa  chiedere  al
giudice  di  emettere  anche  decreto  che  dispone il giudizio. Tale
potere e' eccezionalmente attribuito al giudice, per ovvi  motivi  di
economia  processuale.  In  tal  caso,  ovviamente,  il  decreto  non
conterra'  l'avviso  che  l'imputato  puo'   chiedere   il   giudizio
abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta.
   Tra le ipotesi di definizione anticipata del procedimento e' stato
inserito anche il giudizio in caso di arresto in flagranza  (articolo
559).   La   disciplina   risulta   dalla  fusione  tra  il  giudizio
direttissimo davanti al pretore introdotto dalla l. 27  luglio  1984,
n.  397  e  quello  cui fa riferimento la direttiva 43 lett. a) della
legge-delega. E' parso  infatti  pienamente  consono  ai  criteri  di
massima   semplificazione   recuperare   la  disciplina  della  legge
397/1984, che attribuisce agli ufficiali di polizia  giudiziaria  che
hanno  eseguito  l'arresto  in  flagranza  il  potere  di  presentare
direttamente al pretore del dibattimento l'arrestato per la convalida
dell'arresto  e  il  contestuale giudizio; tale disciplina ha infatti
dato buona prova ed e' stata di conseguenza  integralmente  recepita,
in  mancanza  di qualsiasi controindicazione desumibile dai principi
generali della legge-delega, nei primi tre commi dell'art. 559.  Sono
state  evidentemente  apportate quelle modifiche ed integrazioni rese
necessarie dall'impostazione del processo di pretura. In particolare,
il comma 7 stabilisce che dopo l'udienza di convalida l'imputato puo'
formulare richiesta di giudizio abbreviato,  in  quanto  non  vi  era
motivo  di privare l'arrestato in flagranza di usufruire di tale rito
e della conseguente diminuzione di pena  di  un  terzo.  Una  diversa
soluzione  avrebbe  tra  l'altro comportato profili di illegittimita'
costituzionale sia per violazione del principio di  eguaglianza,  sia
per  mancata  conformita' alla delega, che nella direttiva 53 prevede
una efficacia generalissima del giudizio abbreviato.  Ove  l'imputato
si  avvalga  di  tale  facolta',  e  vi  sia il consenso del pubblico
ministero, il giudizio si svolge con le forme  semplificate  previste
dall'art.  554  commi  2  e  3,  ma per evidenti motivi di economia e
rapidita'  processuale  e'  lo  stesso  pretore  del  dibattimento  a
celebrare tale forma di giudizio.
   Lo stesso art. 559 disciplina nel comma 4 il giudizio direttissimo
previsto dalla direttiva 43 lett. a) della legge-delega, nel caso  in
cui  la  polizia  giudiziaria  ponga  l'arrestato  a disposizione del
pubblico ministero. Il termine  massimo  di  novantasei  ore  per  la
convalida  dell'arresto rispetta la previsione contenuta nell'art. 13
comma 3 Cost. Delle altre due forme di giudizio direttissimo previste
dalla direttiva 43 della delega, quella di cui alla lett. b) e' parsa
poco congeniale alla  massima  semplificazione  del  procedimento  di
pretura,  nel  senso  che in tale sede la regola e' la contestualita'
tra convalida e giudizio direttissimo; quella di cui alla  lett.  c),
relativa  al caso di confessione, rimane assorbita - se cosi' si puo'
dire - dalle forme di definizione anticipata  del  procedimento,  che
nel  processo di pretura saranno il rito ordinario in caso appunto di
evidenza della prova o di confessione dell'imputato.
   L'articolo  560  e'  dedicato  al  giudizio in dibattimento. Fermo
restando un rinvio generale alle  norme  stabilite  per  i  reati  di
competenza  del  tribunale, l'alternativa piu' evidente che si poneva
al legislatore delegato al fine di  dare  attuazione  ai  criteri  di
massima  semplificazione  era escludere come regola generale la cross
examination,  attribuendo  al  pretore   il   potere   di   rivolgere
direttamente  alle  parti ed ai testimoni le relative domande, ovvero
incidere sul verbale di udienza. La prima via e'  peraltro  parsa  in
contrasto  con  l'impostazione di fondo del nuovo processo, in quanto
avrebbe comportato la necessita' di trasmettere al pretore  gli  atti
di  indagine  preliminare,  al  fine  di  metterlo  nelle condizioni,
attraverso la conoscenza degli atti del  procedimento,  di  procedere
all'interrogatorio diretto delle parti ed all'esame dei testimoni. Si
sarebbe  cosi'  reintrodotto  il  sistema  della  scrittura  e  della
conservazione   degli   atti,   in  contrasto  con  i  principi  che
sorreggono,  quantomeno  nella  fase  del  dibattimento,  il  sistema
accusatorio.
   Si  e'  cosi'  scelta  la  via  di  mantenere come regola generale
l'esame diretto ad iniziativa delle parti e di prevedere che in  ogni
caso il verbale venga redatto in forma riassuntiva; e' stato peraltro
previsto che sull'accordo delle parti  il  pretore  possa  -  ove  la
semplicita'   del   caso   lo   consenta   -  procedere  direttamente
all'interrogatorio dell'imputato ed  all'esame  dei  testimoni  sulla
base  delle  domande  formulate  dalle  parti.  La soluzione adottata
prevede  dunque  due  modalita'  di   formazione   della   prova   in
dibattimento,  mantenendo  da  un  lato fermo il principio dell'esame
diretto ad iniziativa delle parti, dall'altro consentendo alle  parti
di accordarsi per attribuire al pretore un potere di iniziativa nella
direzione del dibattimento,  cosi'  introducendo  un  piu'  celere  e
semplificato modello di formazione della prova.
                               LIBRO IX
                             IMPUGNAZIONI
   Il  Progetto  rispetta  l'opzione  sistematica,  gia'  propria del
Progetto preliminare del 1978, di includere in un solo libro tutta la
materia  delle  impugnazioni,  che,  viceversa,  nel  codice  vigente
risulta ripartita tra il libro I (titolo IV, capo VIII), per cio' che
riguarda  le  disposizioni generali, e il libro III (titolo III), per
cio' che attiene al giudizio. Tale  scelta,  riducendo  i  rinvii  ad
altre  norme,  offre l'evidente vantaggio di una piu' agevole lettura
delle disposizioni in merito e di una piu'  apprezzabile  valutazione
del quadro complessivo.
   Le  direttive  della  legge-delega  del  1987  che  riguardano  le
impugnazioni ricalcano in linea  generale  quelle  della  delega  del
1974,  che  gia'  lasciava inalterata l'impostazione tradizionale del
nostro sistema processuale mediante la previsione  di  tre  gradi  di
giudizio  ordinario,  due  di  merito ed uno di legittimita', e della
impugnazione straordinaria della revisione.  Mancano  infatti,  anche
nella   delega  del  1987,  innovative  e  radicali  enunciazioni  di
principio. E, con riguardo ai lavori preparatori,  non  si  ravvisano
tracce di un dibattito volto a chiarire la scelta politica tra le due
possibili  configurazioni,  pure   a   volte   presenti   in   talune
legislazioni,  della impugnazione come rimedio per riparare possibili
errori della decisione impugnata o, invece, come mezzo  di  controllo
dell'operato  del  giudice  del  precedente  grado.  D'altra parte e'
evidente che ogni impostazione che  si  fosse  discostata  da  quella
tradizionale avrebbe dovuto coinvolgere la revisione dell'ordinamento
giudiziario del 1941, tuttora vigente  malgrado  l'esplicito  dettato
della   VII   disposizione   transitoria   della   Costituzione.   La
legge-delega non si e' posta  neppure,  in  maniera  consistente,  il
problema dell'opportunita' politica di mantenere il generale criterio
dell'appellabilita' delle  decisioni,  anche  se  e'  stato  talvolta
ricordato  che,  alla  stregua  della  costante interpretazione della
Corte costituzionale, il principio  del  doppio  grado  di  giudizio,
qualunque  sia  il  valore che si attribuisca all'art. 14 comma 5 del
Patto internazionale sui diritti civili e politici dell'O.N.U.,  puo'
ritenersi  soddisfatto  mediante  la  sola previsione del ricorso per
cassazione, dettata nell'art. 111 della Costituzione.
   Il   non   sopito   dibattito  coagulatosi  attorno  all'esigenza,
unanimamente avvertita, di individuare adeguati strumenti processuali
volti  a  scongiurare  il  ricorso  alla impugnazione come espediente
meramente dilatorio, ha  indotto  il  delegante  a  reintrodurre  nel
sistema  l'istituto  dell'appello  incidentale.  La disciplina con la
quale si  e'  inteso  regolare  l'istituto,  tuttavia,  si  e'  mossa
nell'alveo  della piu' fedele osservanza di quel principio di parita'
delle  parti,  la  cui  elusione  aveva  ingenerato  la  censura   di
illegittimita'  costituzionale  della  omonima  figura  gia' prevista
dall'articolo 515 c.p.p.
   A parte l'appello incidentale, alcune altre innovazioni riguardano
procedimenti speciali, come  il  giudizio  abbreviato  (art.  438)  e
l'applicazione  della  pena  su richiesta delle parti (art. 442 comma
5), e si risolvono in limiti all'appellabilita'.
   Quanto all'appellabilita' in concreto, le ripetute decisioni della
Corte costituzionale (n. 70 del 25 marzo 1975, n. 72  del  16  luglio
1979,  n. 53 del 7 aprile 1981, n. 224 del 21 luglio 1983, n. 200 del
18 luglio 1986) non potevano non imporre una direttiva, quale la  86,
tradotta  nell'art.  586,  con  la  quale,  a dirimere ogni ulteriore
controversia, si riconosce il  diritto  a  impugnare  all'imputato  "
prosciolto  ", e non solo a quello " assolto " (come era nel Progetto
preliminare del 1978).
   Autentiche scelte politiche della legge-delega del 1987 riguardano
invece la posizione dell'imputato  che  non  sia  stato  presente  al
giudizio  e  la  previsione di un procedimento in camera di consiglio
quando l'appello abbia ad oggetto la specie o la misura  della  pena,
la concessione delle circostanze attenuanti generiche, l'applicazione
di sanzioni sostitutive o la concessione di  benefici  di  legge.  La
realizzazione  nel Progetto di tali direttive non poteva naturalmente
non tener  conto  della  successiva  presentazione  alla  Camera  dei
deputati  di  due  distinti disegni di legge da parte del ministro di
grazia e giustizia in data  19  ottobre  1987,  l'uno,  il  n.  1706,
recante  nuova  disciplina  della  contumacia,  l'altro,  il n. 1708,
contenente modifiche  al  codice  di  procedura  penale  in  tema  di
impugnazioni.  Nelle relazioni che accompagnano tali disegni di legge
si esprime il proposito di  anticipare  talune  normative  del  nuovo
codice e si sottolinea implicitamente la coerenza e l'omogeneita' con
i principi della delega.
   Una  situazione  simile  si  verifico'  anche  con  riferimento al
Progetto preliminare del 1978 per le norme in tema di notifiche,  che
andarono  a  costituire  parte  della l. 532/1977, del 1977, e per la
scelta di attribuire  anche  gli  appelli  avverso  le  sentenze  dei
pretori  alle  corti  di  appello  (che  anche  ora  viene ripetuta),
inserita poi nella l. 400/1984. Costituendo molte delle  disposizioni
contenute nei disegni di legge citati il ricalco pressoche' integrale
del  testo  unificato  concernente   modifiche   al   sistema   delle
impugnazioni  penali,  approvato  in sede referente dalla Commissione
giustizia della Camera dei deputati, e'  parso  ragionevole  fare  ad
esse  esplicito  riferimento  per  determinare  il concreto contenuto
delle norme in materia, anche se qualche perplessita' e' sorta,  come
vedremo,  in  tema  di  decisioni  in  camera  di  consiglio,  quanto
all'esclusione delle ipotesi in cui vi sia  una  parte  civile  e  di
quelle in cui impugnante sia il pubblico ministero.
   Un  procedimento  in  camera di consiglio e' previsto anche per la
dichiarazione di  inammissibilita'  della  impugnazione  per  ragioni
attinenti  al  mancato  rispetto delle regole in tema di interesse ad
impugnare, di forma o di termini. Analoga decisione,  a  causa  della
manifesta   infondatezza  dell'impugnazione,  continuera'  ad  essere
possibile solo per il ricorso per cassazione perche' la nuova  delega
non  consente,  per  l'appello,  la  stessa  evenienza  gia' prevista
nell'art.  560  del  Progetto  preliminare  del  1978.  Esce   invece
rafforzato,  perche' ripetuto ancora nella legge-delega, il principio
della conversione delle impugnazioni, che non puo' quindi riguardare,
come continua a sostenere una parte della giurisprudenza, solo i casi
in cui  sia  ravvisabile  un  errore  della  parte  che  ha  proposto
l'impugnazione  non  consentita.  Deve  quindi  ritenersi  prevalente
esclusivamente la volonta' intesa comunque a sottoporre  a  sindacato
la  decisione  impugnata,  sindacato  che  non puo' evidentemente non
aversi se non nella sede e con le modalita' previste dalla  legge  in
ordine  al  tipo di reato ritenuto o di procedimento al quale essa si
attaglia. Alla conversione dell'impugnazione  era  intitolato  l'art.
543  del  Progetto preliminare del 1978, che tuttavia disciplinava la
sola  ipotesi  della  conversione  in  appello  del  o  dei   ricorsi
presentati  da  altri  imputati,  quando  uno  di  essi avesse invece
presentato appello: si trattava percio' di un'ipotesi  particolare  e
relativa  ai  soli  processi  cumulativi.  E' parso opportuno allora,
lasciando  inalterata  tale  disposizione,  modificarne  la   rubrica
adeguandola   al  reale  contenuto,  e  dettare  invece  un  generale
principio di conversione nella sede piu'  propria,  quella  dell'art.
561,  che apre la normativa delle impugnazioni. Corollario di un tale
principio e' la modifica, apportata al regime degli attuali artt. 539
comma  1  n.  8 e 540 c.p.p. (passato indenne negli artt. 584 comma 1
lett. i e 585 del Progetto preliminare del 1978), per  effetto  della
quale,  in  caso  di  sentenza  che  abbia deciso in secondo grado in
materia per la quale non era ammesso l'appello,  all'annullamento  di
tale  decisione non deve seguire l'esecuzione della sentenza di primo
grado, ma invece il giudizio  di  cassazione  quale  unico  grado  di
impugnazione esperibile sin dall'inizio.
   In   tema   di   procedura   prevista   per  la  dichiarazione  di
inammissibilita'  della  impugnazione,  si  e'  ritenuto   di   dover
escludere il ricorso al particolare rito disciplinato in via generale
dall'art. 126 per tutti i procedimenti in camera di consiglio e si e'
conseguentemente introdotto un regime differenziato, a seconda che si
tratti  di  giudizio  di  cassazione  ovvero  di  secondo  grado.  In
quest'ultima  ipotesi,  e'  sembrato sufficiente mantenere inalterata
l'attuale disciplina e consentire, per l'effetto, un procedimento  in
camera  di  consiglio senza contraddittorio, e con la emissione di un
provvedimento de plano, in linea col testo della  direttiva  89,  che
prevede  garanzie  per la difesa solo in relazione alla dichiarazione
di inammissibilita' del ricorso per manifesta  infondatezza.  D'altra
parte,  l'attivita'  difensiva,  soltanto  eventuale  (potendo sempre
essere dispiegata mediante istanze e memorie prima della declaratoria
di  inammissibilita'), e' ampiamente assicurata con la previsione del
ricorso per cassazione avverso l'ordinanza.  In  ossequio  alla  gia'
citata  direttiva 89 e come meglio si precisera' nella relativa sede,
la dichiarazione di inammissibilita' in camera di consiglio da  parte
della  corte  di  cassazione  ha  ricevuto,  invece,  una  disciplina
profondamente innovativa: e cio' per piu' considerazioni. Da un lato,
infatti,   tutte  le  cause  di  inammissibilita',  ivi  compresa  la
manifesta infondatezza, sono state  trattate  allo  stesso  modo  per
l'assorbente    rilievo   che   la   gravita'   della   pronuncia   e
l'impossibilita' di distinguere le cause stesse sul piano di una loro
piu'  o  meno  agevole  verifica,  postulano  un  identico  regime di
garanzie. Sotto altro profilo, poi, e'  sembrato  non  conforme  alla
stessa  natura  del  giudizio di cassazione prevedere l'oralita' come
strumento atto ad assicurare il ristoro delle esigenze difensive, cui
pur  fa riferimento la legge-delega nei limitati termini di cui si e'
detto. Conseguentemente, si e' ritenuto di stabilire che nel caso  in
esame  la  corte  giudica  sui motivi e sulle memorie delle parti, le
quali possono presentare motivi nuovi e memorie  in  replica  fino  a
cinque  giorni  prima  dell'udienza,  in  modo  tale da assicurare la
pienezza  del  contraddittorio  sul  thema  decidendum,   gia'   noto
all'origine  per  la  particolare  disciplina  degli  avvisi prevista
dall'art. 603.
   Un  significativo miglioramento rispetto alla delega precedente e'
stato operato con le direttive 94 e 95 della legge-delega  del  1987.
Con  la  prima  si  elimina  la  regola  della  obbligatorieta' della
rinnovazione del  dibattimento  a  richiesta  delle  parti,  tradotta
nell'art.  563  del Progetto preliminare del 1978, che tante critiche
aveva  suscitato  specie  nella  magistratura,  rispristinandosi   il
sistema  dell'attuale art. 520 c.p.p., secondo cui la rinnovazione e'
possibile, a parte le condizioni privilegiate per il contumace,  solo
quando  il  giudice  sia  nella impossibilita' di decidere allo stato
degli atti. Con la seconda si stabilisce  che  le  conclusioni  della
difesa  dinanzi  alla corte di cassazione non sono piu' obbligatorie,
come prevedeva l'art. 579 comma 2 del Progetto preliminare del  1978.
Si   ritorna   quindi   al   sistema   attualmente   vigente,   nella
considerazione che, trattandosi di un  giudizio  di  legittimita',  i
motivi  del  ricorso,  affidati  all'atto  scritto,  non  abbisognino
necessariamente di ulteriori delucidazioni o  illustrazioni.  Non  e'
stata  naturalmente  estranea  a  tale  scelta  l'esigenza di evitare
inutili appesantimenti e di contribuire ad ogni livello a  conseguire
una maggiore sollecitudine nello svolgimento del processo.
   Ad  analoghe  esigenze  di  speditezza e' improntata la disciplina
della decorrenza dei termini per l'impugnazione. Una volta  approvata
dal  legislatore del 1987, nella direttiva 83, la scelta del Progetto
preliminare del 1978 di favorire il  piu'  possibile  la  motivazione
contestuale  della sentenza, e' parso opportuno prevedere che in tali
casi il  termine  decorra  dal  giorno  stesso  della  lettura  della
decisione  nel  suo  insieme, che comporta la conoscenza immediata ed
integrale, da parte di tutti i presenti, delle  ragioni  che  l'hanno
determinata.  Per  gli stessi motivi naturalmente tale decorrenza non
potra' essere utilizzata per l'imputato contumace  o  allorquando  la
motivazione   venga  redatta  successivamente.  Tuttavia,  anche  per
quest'ultima ipotesi, che ci si augura non rimanga  regola  generale,
la   Commissione,   avvalendosi   della   stessa  direttiva  83,  che
sollecitava alla massima funzionalita' e semplificazione,  ha  ideato
un  meccanismo  che,  utilizzando  le  nuove  disposizioni in tema di
redazione e deposito delle sentenze (artt.  537 e  541),  a'ncora  la
decorrenza   del  termine  alla  data,  alternativamente  prevista  o
fissata, del  deposito  della  decisione.  Di  qui  l'indicazione  di
termini differenziati esplicitata dall'art. 547.
   Particolare  segnalazione  va fatta per quanto attiene al pubblico
ministero impugnante. La presupposta configurazione  di  un  pubblico
ministero  presso  il  pretore ha imposto non solo di includere anche
tale soggetto tra gli organi legittimati a proporre impugnazione,  ma
di   disciplinare  anche  i  rapporti  tra  le  diverse  impugnazioni
eventualmente proposte da organi  del  pubblico  ministero  di  grado
diverso.  Una  decisa innovazione al riguardo e' stata introdotta con
la previsione che il pubblico ministero impugnante possa  richiedere,
e, con il consenso del procuratore generale del grado presso il quale
si svolge il giudizio di impugnazione, ottenere  l'autorizzazione  ad
esercitare  egli  le  funzioni di pubblico ministero in quel processo
anche nel superiore grado di giudizio. L'innovazione  si  spiega  con
l'opportunita'  di  non  far  disperdere la conoscenza e l'esperienza
gia' acquisite dei fatti di quel processo, cosi'  evitando,  giacche'
si  immagina che tale facolta' sara' esercitata soltanto nei processi
piu' impegnativi, anche  un  nuovo  studio  di  atti  particolarmente
ponderosi.  Tali pratiche esigenze sono state ritenute prevalenti sul
timore  di  un'eccessiva  personalizzazione   dell'accusa,   mitigata
peraltro  dalla acquisita configurazione del pubblico ministero quale
parte del processo.  I  rapporti  tra  i  vari  organi  del  pubblico
ministero   infine  si  riflettono  naturalmente  anche  quanto  alla
rinuncia alla impugnazione, secondo le regole qui  dettate  dall'art.
582.
   Per  quanto concerne l'impugnazione dell'imputato, si e' mantenuto
il tradizionale  principio  che  il  relativo  diritto  possa  essere
esercitato  anche  mediante  un  procuratore  speciale, precisandosi,
tuttavia, che la nomina di quest'ultimo puo' essere anche antecedente
alla  decisione  da impugnare. Cio' al fine di dirimere perplessita',
talora avanzate, che  la  procura  antecedentemente  conferita  possa
assumere  i  connotati  di  una  impugnazione  preventiva,  come tale
inammissibile. Innovativa e', invece, la  disciplina  che  regola  la
legittimazione  del  difensore  a  proporre  impugnazione avverso una
sentenza contumaciale: si e' previsto, infatti, che in  tal  caso  il
difensore  deve  essere  munito  di specifico mandato, rilasciato con
l'atto di nomina o anche successivamente. La ragion d'essere di  tale
previsione   risiede   nel  fatto  che  l'impugnazione  proposta  dal
difensore esaurisce per l'imputato la possibilita'  di  ottenere,  se
contumace, la restituzione in termini, istituto, quest'ultimo, che ha
ricevuto  una  disciplina  particolarmente   ampia   nell'art.   175.
Conseguentemente,  e'  sembrato necessario limitare la legittimazione
del difensore nel  caso  di  sentenza  contumaciale,  allo  scopo  di
impedire   gli   effetti   preclusivi   che   scaturirebbero  da  una
impugnazione proposta frettolosamente da un difensore il  quale,  sia
esso legato o meno da rapporto fiduciario, e' ben possibile non abbia
potuto prendere contatto con l'imputato nel  breve  termine  previsto
per  la  proposizione  del  gravame.  La  previsione di uno specifico
mandato  consente,  invece,  di  presumere   che   l'imputato   abbia
effettuato   una   preventiva   valutazione   circa   le  conseguenze
dell'attivita' che il difensore potra' compiere  nel  suo  interesse,
ivi  compreso, quindi, l'eventuale effetto preclusivo di cui prima si
e' detto.
   La  legge-delega,  alla  direttiva  87, ha fatto propria la scelta
gia' effettuata nel Progetto preliminare del 1978, di estendere anche
alla  parte  offesa  la facolta' di chiedere al pubblico ministero di
proporre impugnazione. E' parso opportuno stabilire  che  le  ragioni
del  mancato  accoglimento dell'istanza debbano essere espresse in un
apposito decreto.
   Quanto  all'impugnazione  per  gli  interessi  civili,  una  volta
ripristinata la norma dell'ultimo  comma  dell'art.  202  del  codice
vigente, che consente di sottolineare la diversa area di operativita'
delle due decisioni, si e' dovuta prevedere (art. 569) l'impugnazione
della  parte  civile  anche  in  relazione  alla  sentenza emessa nel
giudizio abbreviato. In esecuzione della direttiva 85, dettata da  un
emendamento  approvato  non  senza  contrasti  al  Senato,  e'  stata
introdotta la legittimazione  della  parte  civile  ad  impugnare  la
sentenza  di  condanna o di proscioglimento per i reati di ingiuria o
di diffamazione e,  in  conformita'  della  direttiva  28,  e'  stato
inserito  nel  Progetto  il  dovere  del  giudice di provvedere sulle
restituzioni e sul risarcimento del  danno  quando  l'imputato,  gia'
condannato,  debba  essere prosciolto per una causa di estinzione del
reato.  Un  generalizzato  dovere  di  notifica  alle   altre   parti
dell'impugnazione  proposta  e' stato stabilito nell'art. 577, che lo
pone pero' a carico del segretario del  giudice,  anche  al  fine  di
rendere  possibile  il  funzionamento di taluni nuovi istituti, quali
l'appello  incidentale  e  il  ricorso  in  cassazione  per   saltum.
Quest'ultimo,  gia'  previsto  nel  Progetto preliminare del 1978, e'
stato mantenuto anche in questo Progetto, pur scontandosene la scarsa
utilizzazione,  nell'intento di spingere verso l'impiego piu' proprio
dei singoli mezzi di impugnazione.
   L'area   della  decisione  del  giudice  dell'impugnazione  rimane
naturalmente fissata dai motivi addotti dall'impugnante, che, pur non
costituendo  piu'  atto separato dalla dichiarazione di impugnazione,
sono egualmente enucleabili all'interno del gravame proposto.  Rimane
salva  la  facolta'  del giudice di appello di concedere attenuanti e
benefici,  anche  se  non  richiesti,  nell'ambito  percio'  di   una
ulteriore   implicita   devoluzione,   al  pari  di  altre  forme  di
devoluzione implicita sempre riconosciute in tema di competenza e  di
nullita'  insanabili.  Si intende che, per il ricorso per cassazione,
permangono  i  limiti  derivanti  dalla  natura   del   giudizio   di
legittimita',  sia  pur  mitigati  da  un'estensione dei poteri della
corte  di   cassazione,   gia'   ora   spesso   intravedibili   nella
giurisprudenza formatasi dopo la modifica dell'ultimo comma dell'art.
538 c.p.p., attuata con il d.l. 20 aprile 1974, n. 104.  Al  fine  di
legittimare  tale  intervento,  si  e' esplicitamente consentito alla
corte di cassazione, che prosciolga il condannato da  uno  dei  reati
contestati,  allorquando  la  determinazione  della  pena per ciascun
reato non sia stata  fatta  dai  giudici  di  merito,  di  effettuare
direttamente la conseguente eliminazione della pena, cosi' evitandosi
inutili rinvii e probabili prescrizioni (art. 612 comma 1 lett. l).
   Rimangono  gli  effetti,  sia  pure  nella rivisitazione dommatica
effettuata dal Progetto preliminare del  1978  (Relazione,  p.  447),
della  sospensione  dell'esecuzione  dovuta  all'impugnabilita' della
decisione o alla proposizione dell'impugnazione, nonche' la possibile
favorevole  estensione  dei motivi e della sentenza al coimputato non
impugnante, riguardata questa volta anche con riferimento all'ipotesi
della unione dei procedimenti per reati diversi.
   L'unificazione  nell'unico  atto  di impugnazione dei due momenti,
ora ontologicamente e temporalmente diversi,  della  dichiarazione  e
della  presentazione dei motivi, oltre a rendere piu' spedita la fase
introduttiva del gravame (specie se  correlata  al  diverso  modo  di
decorrenza   dei   termini)   ridurra'  notevolmente  le  ragioni  di
inammissibilita' che sono precisate nell'art. 584, ferma restando  la
precedente  e  risolutiva  scelta  di  demandarne la rilevazione e la
pronuncia al solo giudice dell'impugnazione, cosi' eliminandosi  ogni
discussione   sui   poteri   concorrenti  delle  due  fasi  conferiti
attualmente dagli artt. 207 e 209 c.p.p.
                               TITOLO I
                        DISPOSIZIONI GENERALI
   L'articolo  561  ripete  il  principio  della  tassativita'  delle
impugnazioni  con  l'ulteriore  richiamo  al  contenuto  prescrittivo
dell'art.   111  Cost.  La  riaffermata  accettazione  del  principio
generale di conversione delle impugnazioni  viene  qui  espressa  nel
comma  5,  con  l'indicazione delle modalita' e degli adempimenti che
derivano  al  giudice   dinanzi   al   quale   sia   stata   proposta
un'impugnazione   non   consentita.  E'  rimasta  esclusa  l'espressa
previsione dell'impugnazione dei  provvedimenti  abnormi,  attesa  la
rilevante  difficolta'  di una possibile tipizzazione e la necessita'
di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l'esistenza e  di
fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilita'. Se infatti,
proprio per il principio di  tassativita',  dovrebbe  essere  esclusa
ogni  impugnazione non prevista, e' vero pure che il generale rimedio
del ricorso per cassazione  consente  comunque  l'esperimento  di  un
gravame  atto  a  rimuovere  un  provvedimento  non  inquadrabile nel
sistema processuale o adottato a  fini  diversi  da  quelli  previsti
dall'ordinamento.
   Nell'articolo  562 vi e' la previsione di un ricorso immediato per
cassazione,  gia'  presente  nel  Progetto  preliminare   del   1978,
ammissibile  allorquando  si  sia raggiunta l'intesa tra le parti per
far decidere la  questione  di  diritto  oggetto  della  controversia
direttamente dalla corte di cassazione. Pur nella constatazione della
scarsa  applicazione  avvenuta  nel  processo  civile  per  l'omonimo
istituto  previsto  dall'art. 360 ultimo comma c.p.c., si e' ritenuto
di dover mantenere tale possibilita' nel nuovo codice di rito penale,
allo  scopo  di  fornire  comunque  uno  strumento  acceleratorio del
processo, per effetto del quale la parte privata risparmia  le  spese
del   giudizio   di   grado   intermedio,   qualunque   sia  l'esito.
Coerentemente con tale esigenza, e' stato  previsto  che  l'eventuale
giudizio di rinvio debba svolgersi in via generale dinanzi alla corte
di appello, per evitare che si disperda l'effetto sollecitatorio  che
l'istituto  mira  a  conseguire.  Dovendo  comunque  la  parte che ha
proposto appello essere messa in condizione di adeguare le sue difese
al  diverso  rimedio della cassazione, si e' prevista la possibilita'
di motivi aggiunti, in luogo di una piu' lunga e  costosa  rimessione
nei termini iniziali ordinari. Alla stregua delle precisate finalita'
dell'istituto, si comprende  come  tale  rimedio  sia  stato  escluso
allorquando  il vizio denunciabile in cassazione sia rapportato ad un
difetto di motivazione ovvero alla mancata assunzione  di  una  prova
decisiva (v. art. 599 comma 1 lett. d ) ed e), ipotesi entrambe nelle
quali  il  mezzo  piu'  congeniale  di  impugnazione  e'   costituito
dall'appello, che non c'e' quindi ragione di saltare.
   L'articolo  563 disciplina le impugnazioni del pubblico ministero.
La legittimazione e' stata  conferita  al  nuovo  pubblico  ministero
presso  il  pretore, al procuratore della Repubblica e al procuratore
generale presso la corte di appello, in conformita' delle  competenze
del giudice presso il quale tali soggetti sono chiamati a svolgere le
loro funzioni in primo o  in  secondo  grado.  Si  ripete,  in  buona
sostanza, lo schema dell'attuale art. 191 c.p.p., anche per sopperire
all'eventuale inerzia del pubblico ministero di grado inferiore.  Non
vi  e'  alcun  accenno  agli  avvisi  e  alle  notifiche indicate nel
Progetto preliminare  del  1978,  essendo  stato  il  relativo  onere
generalizzato per adeguarlo ad una visione sempre piu' paritetica del
processo e per soddisfare la possibilita'  di  esperimento  di  nuovi
istituti  introdotti  nel processo. Per evitare pertanto duplicazione
di disposizioni, con riferimento al pubblico ministero e  alle  parti
private,  e'  parso  percio' opportuno creare un'apposita norma (art.
577) che precisi, insieme  con  l'obbligo  di  notifica,  l'area  dei
soggetti destinatari delle notifiche stesse.
   L'articolo    564   correlativamente   disciplina   l'impugnazione
dell'imputato, prevedendo che questi si possa avvalere  anche  di  un
procuratore speciale. Scompare il riferimento ai minori - e quindi ai
genitori - posto che essi  non  possono  piu'  essere  giudicati  dal
giudice  ordinario  dopo  la  sentenza  n.  222  del 1983 della Corte
costituzionale. In ogni caso il relativo processo  trovera'  adeguata
disciplina  nella  debita sede. L'incapacita' legale e' evidentemente
estranea al tema. Quanto infine all'incapacita' naturale, e' evidente
che  la  stessa puo' rilevare solo come incapacita' processuale: ma a
cio' provvedono gia' gli articoli 67 e  seguenti,  che  impongono  la
sospensione   del   procedimento.   Nel   comma  2  e'  previsto  che
l'impugnazione possa avvenire ad opera del difensore  intendendo  per
tale  sia quello che sia stato nominato per il giudizio terminato con
la sentenza che si impugna, sia altro appositamente nominato  per  il
giudizio di impugnazione. Nella parte introduttiva sono state esposte
le ragioni per le quali si e' ritenuto di  prevedere  un  particolare
regime   per   l'impugnazione   del  difensore  avverso  la  sentenza
contumaciale, particolarita' rappresentata dal  conferimento  di  uno
specifico  mandato  rilasciato con la nomina o anche successivamente.
La  prevalenza  della  volonta'  dell'imputato  e'   stata   comunque
assicurata  conferendo  all'imputato  stesso  il  potere  di togliere
effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore nei modi previsti
per la rinuncia.
   L'articolo  565  prevede  in  forma  piu'  ampia  e convincente la
possibilita' di un'istanza della parte offesa al  pubblico  ministero
per  la  proposizione  della  impugnazione  avverso  la  sentenza  di
proscioglimento  dell'imputato,   sia   nel   senso   di   consentire
l'esperimento  non solo ai fini dell'accertamento del reato, ma anche
ad  ogni  effetto  penale  (direttiva  87),  sia  con  riguardo  alla
legittimazione, estesa anche, in omaggio alla direttiva 39, agli enti
e alle associazioni intervenute nel processo ai sensi degli artt. 90,
91  e 92. E, per evitare che le determinazioni del pubblico ministero
possano esaurirsi in una formula di stile destinata  a  restare  agli
atti,  e'  stato  disposto  che  esse  debbano  essere tradotte in un
decreto, da notificarsi al richiedente, che serva a responsabilizzare
il pubblico ministero.
   Gli  artt.  566 e 569 riguardano le impugnazioni per gli interessi
civili.
   L'articolo  566  ricalca  nelle  linee  essenziali la disposizione
dell'art.  202  del  vigente  codice,  con   riferimento   alle   due
proposizioni   che   sono  sembrate  essenziali,  che  riguardano  la
trattazione anche di tali impugnazioni con  le  forme  ordinarie  del
processo  penale,  imposta  dalla  scelta  di  attribuirne al giudice
penale  la  cognizione,  e   l'inefficacia   sospensiva   di   questa
impugnazione   quanto  alle  disposizioni  penali  del  provvedimento
impugnato.  Quest'ultima  disposizione  non  era  stata  inclusa  nel
Progetto  preliminare  del 1978, essendo stata ritenuta superflua, in
relazione al gia' limitato ambito  di  devoluzione  dell'impugnazione
per  i soli interessi civili, ma non certo perche' non si concordasse
sul contenuto della norma.
   L'articolo  567  ripete  la disciplina contenuta negli artt. 516 e
526 comma 2 c.p.p., sicche', per ragione  di  compiutezza,  e'  stato
introdotto,  rispetto  al  Progetto  preliminare del 1978, un secondo
comma  al  fine  di  disciplinare  anche  l'impugnazione  contro   le
disposizioni   della   sentenza   di  proscioglimento  relative  alle
richieste dell'imputato quanto ai  danni  e  alle  spese  processuali
(art.   534).   Al   comma  4  e'  stata  aggiunta  una  precisazione
delimitativa dell'effetto conseguenziale dell'impugnazione penale.
   L'articolo   568,   rimasto   inalterato   rispetto   al  Progetto
preliminare  del  1978,  conferisce  al  responsabile  civile  e   al
civilmente  obbligato  per  la  pena  pecunaria il diritto a proporre
impugnazione non solo contro  la  sentenza  civile  emessa  nei  loro
confronti,   ma   anche  avverso  la  pronuncia  di  condanna  penale
dell'imputato, in conformita'  della  duplicita'  di  interessi,  sia
diretto  che  mediato, riscontrabile nella posizione di tali soggetti
chiamati a rispondere per fatto non proprio.
   L'articolo  569  si  occupa delle impugnazioni proprie della parte
civile, come  e'  nell'intitolazione  dell'art.  195  c.p.p.,  e  del
querelante che sia stato condannato alle spese e ai danni (art. 535),
con  un  riferimento  anche  alla  sentenza  di  merito   pronunciata
nell'udienza   preliminare.   L'estensione   alla  pronuncia  sull'an
debeatur deriva dalle decisioni della Corte costituzionale n.  1  del
1970 e n. 29 del 1972, che ritennero la illegittimita' dell'esistenza
di limiti alla proponibilita' del ricorso per cassazione della  parte
civile  contro  le  disposizioni  della  sentenza  riguardanti i suoi
interessi  civili.  Come   e'   noto,   nonostante   tali   decisioni
riguardassero  il solo ricorso per cassazione, gia' in sede di lavori
preparatori della precedente delega si rilevo' come dovesse ritenersi
incoerente  un  sistema  che  consentisse, nelle ipotesi predette, il
ricorso e non l'appello della parte civile. Questo spiega perche'  la
norma  e'  ora  formulata  in  sede  di  disposizioni  generali,  con
riferimento percio' ad entrambe le impugnazioni.
   L'articolo 570 introduce una previsione del tutto nuova, dovuta ad
un emendamento introdotto non senza contrasti al Senato nel corso dei
lavori  preparatori. Esso fu giustificato dal relatore sen. Gallo con
il rilievo che la natura dei reati di ingiuria e diffamazione, idonei
a  colpire  il  patrimonio morale della persona offesa, richiedessero
una piu' energica tutela, anche  perche'  la  legge-delega  prevedeva
gia'  una  possibile estensione di taluni diritti, propri delle parti
processuali, a soggetti estranei, non  titolari  dell'interesse  leso
dal  reato.  Si e' ritenuto di redigere la norma ricalcando le parole
della legge-delega ed assegnandone la legittimazione alla sola  parte
offesa  costituita  parte  civile,  sia  perche' si e' pervenuti alla
conclusione che nella legge-delega i riferimenti alla  parte  privata
debbano  intendersi  proprio  alla parte civile (direttive 3, 10, 15,
22, 39, 50, 51, 52, 69, 72, 73, 76), sia perche' e'  parsa  eccessiva
una  estensione  della  legittimazione  all'impugnazione  anche a chi
abbia mostrato un non eccessivo interesse al processo di primo grado.
   Quanto  alla seconda parte della stessa direttiva 85, alla stregua
della quale il termine per  l'impugnazione  per  tali  sentenze  deve
decorrere  "  dal giorno dell'avviso di deposito ", si e' ritenuto di
non dover attribuire a tale indicazione il carattere perentorio che a
prima  vista  essa  sembra avere. A parte infatti che non e' in alcun
modo spiegata la ragione di un diverso e particolare trattamento, che
si  collocherebbe in posizione asistematica, e' stato rilevato che la
puntuale applicazione della direttiva avrebbe escluso la possibilita'
della  motivazione  contestuale  -  che  la delega intende favorire -
proprio nelle ipotesi  in  cui  l'attacco  "  a  valori  strettamente
intrinsechi  al  significato  e  alla  portata  della persona umana "
richiederebbe   una   definizione   immediata   ed   esauriente   del
procedimento,  come  la legge gia' prescrive per i reati commessi col
mezzo della stampa. Dalla direttiva 85 si ricava il  dato  essenziale
della  necessita'  che  l'impugnazione  non  debba essere fatta senza
l'integrale conoscenza della decisione e delle  ragioni  che  l'hanno
determinata,  ma  questa esigenza risulta gia' pienamente soddisfatta
con la eliminazione dei due momenti  diversi  della  dichiarazione  e
della  presentazione  dei  motivi  per  la generalizzata introduzione
dell'atto  unitario  di  impugnazione,  che  nella  legge-delega  non
risultava  prescritto;  sicche' per questa via si e' estesa a tutti i
processi la garanzia di fondo sottolineata  dalla  direttiva  85  per
tali specie di reati.
   L'articolo  571  esegue  la  direttiva  28  della  legge-delega  e
riproduce pressoche' integralmente l'art. 12 della l. 3 agosto  1978,
n.  405,  che  costituisce  il  testo di legge innovativo in materia,
estendendone  la   normativa   anche   all'analogo   istituto   della
prescrizione.
   L'articolo  572  detta  una disciplina unitaria delle impugnazioni