dei paesi di origine oltre che dalle forme di accoglienza nel nostro Paese, possono influenzare l'efficacia e la tempestivita' della risposta assistenziale, riducendo l'effettiva accessibilita' ai servizi da parte delle popolazioni immigrate. Non sono disponibili, attualmente, informazioni valide e continuative, a livello nazionale, sulla salute degli immigrati. La dinamica demografica puo', per molti versi, suggerire profili epidemiologici e bisogni di salute. Studi condotti in diverse realta' sociali e geografiche hanno tracciato un profilo epidemiologico dell'immigrato caratterizzato da: a) aumentata presenza di donne in prevalenza giovani, nella fascia dell'eta' fertile, con tutte le problematiche connesse alla salute sessuale e riproduttiva; b) progressivo incremento delle nascite dei bambini stranieri; c) consolidato fenomeno migratorio che richiede urgenti interventi mirati nell'ambito della medicina del lavoro: i lavoratori immigrati sostituiscono molto spesso gli italiani in lavori "ad alto carico lavorativo", subendo una maggiore monetizzazione del "rischio salute". Un aspetto del tutto peculiare e' relativo alla percezione del bisogno ed alla formulazione della domanda di aiuto da parte della popolazione immigrata; tale aspetto puo' essere, infatti, condizionato da molteplici e differenti fattori, tra cui diversi modi di intendere la malattia e la salute; diversa concezione della prevenzione e di percezione del rischio; scarsa o distorta consapevolezza dei propri diritti; e' da tener presente, al riguardo, che gli stranieri regolarmente soggiornanti sono iscritti al Ssn e godono degli stessi diritti all'assistenza dei cittadini italiani, mentre gli stranieri non in regola hanno diritto solo alle "cure urgenti o comunque essenziali" ed agli "interventi di medicina preventiva e prestazioni di cura correlate" (le cure sono a carico dello straniero, ma se questi versa in condizioni di indigenza, i relativi oneri sono sostenuti dal Ministero dell'interno, attraverso le Prefetture); deficit di informazione che determina aspettative improprie canalizzando la domanda di assistenza in modo inadeguato; piu' difficoltosa percezione del servizio adeguato al proprio bisogno, esistenza di una barriera linguistico-culturale, che crea un ostacolo insormontabile alla comunicazione fra utente e operatore; riferimento a modelli culturali e comportamentali che determinano difficolta' nella fruibilita' dei servizi da parte dell'utente straniero e nella gestione degli stessi servizi da parte dell'operatore italiano; fragilita' del progetto migratorio che, in relazione allo status giuridico (possesso del permesso di soggiorno, della tessera sanitaria, etc;), provoca un eccesso di dipendenza nei confronti del contesto e condiziona negativamente l'accesso ai servizi da parte dell'utente straniero. Osservando il flusso di utilizzo di alcuni servizi sanitari da parte degli stranieri, si evidenzia una sostanziale mancanza di elasticita' dell'offerta di servizi, a fronte dei nuovi problemi di salute di questi nuovi gruppi di utenti. Al contrario di quanto paventato, non vi e' evidenza di una specificita' patologica dello straniero che invece si ammala delle stesse patologie dell'italiano che ne condivide le condizioni di poverta' e di discriminazione. Numerosi studi osservazionali indicano, tra i principali motivi di ricorso alle strutture sanitarie: i disturbi dell'apparato digerente; le patologie traumatiche (soprattutto incidenti stradali e di tipo occupazionale); le malattie acute dell'apparato respiratorio; le richieste di sostegno per disagio della sfera psichica comprese le dipendenze; il monitoraggio delle gravidanze, spesso con tempi e modalita' inadeguate; un aumentato tasso di abortivita', che interessa particolarmente alcune etnie, rispetto alla popolazione locale. Il "Rapporto nazionale sui ricoveri ospedalieri degli stranieri in Italia", stilato nel 1998 dal Dipartimento della programmazione del Ministero della salute, analizza i principali motivi del ricorso ai ricoveri dei pazienti immigrati, siano essi residenti o non residenti. L'aspetto rilevante del rapporto e' il confronto fra le cause di ricovero degli stranieri ed il valore nazionale dove si evince che i motivi del ricovero per cause traumatiche sono piu' alti (in percentuale) negli stranieri mentre sono decisamente piu' basse le percentuali rilevate per le malattie cronico degenerative. Tra i 25.000 bambini nati da almeno un genitore straniero sono piu' frequenti la prematurita', il basso peso alla nascita, la mortalita' neonatale e i calendari vaccinali sono effettuati in ritardo o in modo incompleto specie nelle popolazioni nomadi. Per quanto riguarda la salute della donna, i temi emergenti sono l'alto tasso di abortivita', la scarsa informazione (con conseguente ridotta domanda di assistenza alla gravidanza), la presenza di mutilazioni genitali femminili. Un'indagine coordinata dall'Istituto Superiore di Sanita' ha evidenziato che le I.V.G. effettuate da donne straniere sono passate da 4.500 nel 1980 a 20.500 nel 1998, con un trend fortemente decrescente dalle eta' piu' giovani a quelle in eta' piu' avanzate. Relativamente al rischio infettivo, spesso paventato per la popolazione italiana per effetto di trasferimento di agenti infettanti da paesi a media-alta endemia, esso e' in generale - controllabile; specifici problemi originati nel paese di partenza possono pero' trovare nel paese di destinazione condizioni di aggravamento che interessano soprattutto la popolazione di recente immigrazione. Infatti, soprattutto nel caso delle malattie trasmissibili, le condizioni di vita rappresentano un sicuro fattore favorente la diffusione, ma il rapporto dinamico popolazione immigrata/popolazione ospite e' notevolmente complesso. Il rischio specifico, infatti, per alcuni gruppi di popolazione, e' fortemente legato a fattori di rischio esterni a quei gruppi; pertanto, per la popolazione immigrata, tali fattori rappresentano contemporaneamente sia momento diffusivo che recettivo. Il calcolo dell'incidenza della malattie infettive nella popolazione immigrata e' una problematica notevolmente complessa poiche', da un lato, non si dispone di un denominatore totalmente rappresentativo del fenomeno migrazione e, dall'altro, la domanda di salute relativa risulta per molti versi inespressa. In particolare, cio' e' vero soprattutto per le malattie infettive espressione di disagio sociale ed a forte impatto sull'opinione pubblica. Stime condotte su dati relativi ad erogazione di servizi da parte di strutture sia pubbliche che del volontariato indicano che l'incidenza di malattie infettive nelle popolazioni immigrate diventa, a parita' di condizioni di vita, sempre piu' simile all'incidenza di malattie infettive del Paese ospite. Per quanto riguarda le malattie infettive per le quali in Italia sono obbligatorie le vaccinazioni gia' da lungo periodo, si e' registrata negli ultimi anni solo l'importazione di un caso di difterite dall'America latina. Notevolmente differente risulta la problematica relativa alle malattie infettive per le quali la suscettibilita' individuale e' strettamente correlata con condizioni ambientali e sociali degradate: e' il caso della tubercolosi che, assente al momento dell'ingresso nel Paese ospite, si manifesta, in genere, dopo un periodo di permanenza variabile da uno a due anni, soprattutto in soggetti provenienti da zone endemiche. L'incidenza della tubercolosi e' passata dall'8,1% nel 1992 al 16,6% nel 1998, secondo i dati dell'Ufficio III della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria. Anche gli studi condotti da poliambulatori Caritas indicano che la malattia insorge a circa 10 mesi - un anno dall'arrivo in Italia, delineandosi, pertanto, non una patologia da importazione ma un quadro di tipo "border line", al limite, cioe', fra patologia di importazione e patologia acquisita in seguito a stress transculturale e disagio sociale. Per quanto riguarda la problematica relativa alle malattie a trasmissione sessuale (MST) ed, in particolare alla patologia da HIV nella popolazione immigrata, numerose osservazioni sembrano indicare che l'infezione da HIV possa configurare una patologia a rischio per tale popolazione. Tali osservazioni si basano, almeno sul piano teorico, sulla presenza di alcuni fattori di rischio riconosciuti quali: provenienza da Paesi ad alta endemia per MST/HIV condizioni di vita nel Paese ospitante spesso ai limiti dell'emarginazione soggetti di eta' giovane e sessualmente attivi condizioni di single diffusione del fenomeno della prostituzione femminile e transessuale scarsita' di campagne di informazione mirate alla prevenzione delle MST. Per quanto concerne i casi di AIDS, i dati del Registro Nazionale AIDS mostrano che il contributo degli stranieri alla casistica totale, aggiornata al 2000, si aggira intorno al 4,8%; se si considera l'andamento temporale, si evidenzia un incremento della proporzione di casi notificati in cittadini stranieri dal 3% nel periodo 1983-93 all'11% nel primo semestre del 2000. Questo dato deve essere interpretato con cautela, in quanto anche il numero totale degli immigrati in Italia e' aumentato notevolmente. Per quanto riguarda invece i dati relativi all'infezione da HIV, i risultati della sierologia eseguita su un campione di 1912 soggetti ha evidenziato una prevalenza dell'infezione del 5,7% tra gli immigrati rispetto al 9,4% registrata tra gli italiani afferenti ai centri pubblici MST. Per quanto riguarda le altre MST, l'ultimo rapporto ufficiale del sistema di sorveglianza mette in evidenza che su 52.515 casi segnalati dal 1991 al 1996 il 10,6% sono stati diagnosticati in cittadini stranieri. Un aspetto particolare riguarda le malattie infettive che gli stranieri possono contrarre al ritorno nel Paese d'origine. Un esempio paradigmatico e' costituito dalla malaria: negli ultimi anni, fra tutti i casi di malaria notificati in Italia, circa il 40% sono insorti in immigrati rientrati temporaneamente nel proprio Paese d'origine, senza aver effettuato la profilassi antimalarica: il fenomeno e' dovuto al fatto che l'immigrato al di fuori del Paese d'origine (se quest'ultimo e' un Paese endemico per malaria) perde la "premunizione" cioe' quella sorta di protezione sviluppata fin dalla nascita. Nel quadro dei molteplici interventi necessari per superare l'emarginazione degli immigrati bisognosi, un importante aspetto e' quello di assicurare l'accesso delle popolazioni immigrate al Servizio Sanitario Nazionale adeguando l'offerta di assistenza pubblica in modo da renderla visibile, facilmente accessibile, attivamente disponibile ed in sintonia con i bisogni di questi gruppi di popolazione in conformita' a quanto previsto dal testo unico sull'immigrazione che ha sancito il diritto alle cure urgenti ed essenziali ed alla continuita' della cura anche per gli immigrati irregolari. In tale contesto sono necessari, fra l'altro, sia interventi di tipo informativo dell'utenza immigrata sull'offerta dei servizi da parte della ASL che l'individuazione all'interno di ciascuna ASL di unita' di personale esperte e particolarmente idonee per questo tipo di rapporti. Azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti: - miglioramento dell'assistenza sanitaria alle donne straniere in gravidanza e riduzione del ricorso all'I.V.G.; - riduzione dell'incidenza dell'HIV, delle malattie sessualmente trasmesse e della tubercolosi, tramite interventi di prevenzione mirati a questa fascia di popolazione; - raggiungere coperture vaccinali della popolazione infantile immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana; - erogare gli interventi di profilassi primaria alle categorie di lavoratori stranieri ove prevista per i lavoratori italiani; - ridurre gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati, tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani; ----> VEDERE TABELLA A PAG. 109 E 110 DELLA G.U. <---- 4.5) Politiche abitative La situazione abitativa per gli immigrati stranieri si presenta per piu' aspetti problematica. Il disagio per la situazione abitativa si sta aggravando soprattutto nel centro nord e nelle aree metropolitane, non solo per la condizione specifica dei cittadini immigrati, oltre tutto con il forte incremento dei ricongiungimenti familiari. Il patrimonio in affitto disponibile e' in Italia estremamente ridotto e ancora piu' scarsa e' l'offerta per le fasce svantaggiate della popolazione, anche italiana. La domanda di alloggi in affitto a canoni calmierati, accessibili ai redditi medio-bassi, e' in forte aumento, a fronte di un'offerta abitativa pubblica ampiamente insufficiente ed un'offerta privata molto limitata, rigida, scarsamente disponibile nei confronti degli immigrati. Dall'inizio del fenomeno immigratorio in Italia, gli Enti locali hanno cercato di rispondere a questi bisogni, in collaborazione con il volontariato e con il terzo settore, dando vita ad iniziative ed esperienze anche innovative: Associazioni, Volontariato, Fondazioni, Cooperative, Agenzie sociali per la sola intermediazione fra domanda e offerta abitativa in affitto, ecc. Gli obiettivi da perseguire sono quelli di: ridurre gli ostacoli all'utilizzazione del patrimonio privato disponibile, con misure che assicurino la buona conduzione dell'alloggio e la possibilita' di riottenerne la disponibilita' al momento della scadenza contrattuale; perseguire il calmieramento dei canoni di affitto con l'attivazione di politiche abitative da parte degli Enti locali, volte a creare le condizioni affinche' a fronte della concessione di contributi da parte della Pubblica Amministrazione, di agevolazioni fiscali locali e nazionali, di offerta di aree a basso costo per le nuove costruzioni, del ricavo di alloggi dal recupero di edifici dismessi, regolato da convenzioni, ci sia una contropartita soprattutto in merito alla riduzione del costo dell'affitto. incentivare il concorso dei datori di lavoro delineando specifiche agevolazioni, fermi restando i vincoli della finanza pubblica: nel caso di contributo per il pagamento dell'affitto, verificarne la sua deducibilita' dal reddito d'impresa e da lavoro dipendente, nonche' la natura non retributiva ai fini contributivi; nel caso di finanziamento, comunque da recuperare in modi e tempi stabiliti, verificare la possibilita' di collegarvi un risparmio fiscale sotto forma di credito d'imposta. 4.6) Vita familiare, seconde generazioni e ricongiungimenti L'Italia registra oramai da anni una sostanziale crescita della popolazione immigrata determinata prevalentemente dai ricongiungimenti o dalla costituzione di nuovi nuclei familiari. In Italia al 2003 si calcolano circa 300.000 minori presenti dei quali oltre 230.000 sono gli alunni stranieri inseriti nel mondo della scuola. Se la famiglia rappresenta un fattore cruciale nel processo di integrazione, l'aumento dei nuclei familiari composti da stranieri comporta anche nuovi bisogni, che incidono sui servizi scolastici, sociali, educativi, sanitari e abitativi. Anche alla luce della recente regolarizzazione del 2002-2003, che vedra' un forte aumento dei nuclei familiari di origine straniera, le politiche sociali dovranno essere in grado di rispondere alle nuove esigenze. Visti per ricongiungimento familiare e permessi Per motivi familiari ===================================================================== | 2001| 2002| 2003 ===================================================================== Ricongiungimenti familiari, nuovi visti| 64.772| 62.067| 58.337 --------------------------------------------------------------------- Totale visti rilasciati durante l'anno | 947.085| 853.535| 874.874 --------------------------------------------------------------------- Ricongiungimenti in % dei visti | | | rilasciati nell'anno | 6,8| 7,3| 6,7 --------------------------------------------------------------------- Stock di permessi di soggiorno per | | | motivi familiari | 393.865| 472.240| 532.670 --------------------------------------------------------------------- Numero di permessi di soggiorno |1.362.630|1.512.324|2.193.999 --------------------------------------------------------------------- In % dei permessi validi | 28,9| 31,2| 24,3 Fonte: Ministero dell'interno e Ministero degli affari esteri Ricongiungimenti familiari, nuovi visti rilasciati durante l'anno per nazionalita' ===================================================================== | 2002| |Gen-set 2003 ===================================================================== Albania |11350| Marocco | 8548 Marocco | 6644| Albania | 8269 Cina | 5335| Cina | 2664 Romania | 5079| India | 2197 India | 3395| Tunisia | 1905 FYRM Macedonia | 2235| Romania | 1777 Filippine | 2137| Filippine | 1763 Bangladesh | 1937| FIRM Macedonia | 1727 Tunisia | 1901| Bangladesh | 1584 Sri Lanka | 1826| Pakistan | 1522 Peru' | 1802| Cuba | 1274 Cuba | 1421| Sri Lanka | 1237 Ghana | 1266| Peru' | 1098 Egitto | 1197| Ghana | 1049 Jugoslavia | 1123| Ucraina | 981 Pakistan | 1110| Egitto | 884 Repubblica Dominicana | 1109| Moldavia | 788 Ucraina | 856| Repubblica Dominicana| 626 Moldavia | 826| Senegal | 598 Senegal | 674| Jugoslavia | 579 Fonte: Ministero degli affari esteri Adeguate politiche di integrazione non possono pero' prescindere da un'approfondita conoscenza del fenomeno. Nell'ambito della famiglia immigrata, un aspetto che dovrebbe cominciare ad essere monitorato con maggiore sistematicita' e' rappresentato dalle relazioni intergenerazionali tra genitori e figli e dalle caratteristiche del processo di integrazione delle seconde generazioni. La dimensione strutturale dell'immigrazione in Italia comporta la necessita' di sviluppare misure volte a favorire i processi di integrazione sociale delle giovani generazioni, anche in considerazione dell'esperienza di altri paesi di meno recente immigrazione. In questi paesi e' ormai maturata la consapevolezza che le seconde e terze generazioni rappresentano categorie portatrici di particolari bisogni cui rivolgere una attenzione specifica. Le seconde generazioni esprimono infatti identita' multiple, che non si identificano piu' con i luoghi del passato migratorio dei propri genitori, ma nemmeno con la nuova societa' di accoglienza. Il desiderio di appartenenza e di mimesi con i giovani autoctoni, i modelli di riferimento e le pressioni delle comunita' di origine producono identita' molto complesse. In Italia la tendenza e' stata fino ad oggi quella di parlare piu' di minori stranieri che non di seconde generazioni, incentrando il dibattito e la ricerca quasi esclusivamente sulle dinamiche educative e interculturali: tema cruciale ma che non assorbe tutti gli aspetti della vita sociale dei giovani figli di immigrati. Accanto al tema dei percorsi scolastici delle seconde generazioni andranno prese in considerazione con maggiore attenzione le dinamiche familiari determinate dal confronto tra prima e seconda generazione in termini di aspettative, motivazioni personali e progetti di vita, nonche' la formazione professionale e l'inserimento lavorativo. Forme di discriminazione possono infatti impedire al giovane migrante di seconda e terza generazione di accedere su un piano paritario rispetto ai cittadini del paese ospitante ad un impiego e ad un ruolo nella societa'. Le istituzioni dovrebbero quindi essere in grado di anticipare i problemi derivanti dal difficile passaggio dall'adolescenza all'eta' adulta di giovani immigrati che possono svolgere un ruolo di intermediazione tra societa' di accoglienza e cultura familiare, tra genitori immigrati e mondo circostante. Sara' dunque opportuno promuovere specifiche politiche di integrazione con attenzione a questo fenomeno, nella consapevolezza che un ruolo fondamentale spetta all'istruzione e alla formazione. 4.7) Minori stranieri La consistente presenza di minori stranieri non accompagnati sul territorio italiano rappresenta un aspetto specifico del fenomeno migratorio, tanto che l'art. 33 del D.lgs 25.7.1998, n. 286 ha istituito un apposito Comitato per i Minori Stranieri che svolge diverse funzioni. In primo luogo, il Comitato e' responsabile del monitoraggio costante delle presenze di minori stranieri non accompagnati e dell'inserimento delle informazioni in una apposita banca dati. In secondo luogo, prende le misure necessarie all'accertamento dello status del minore straniero e all'esame della sua condizione di non accompagnato. In terzo luogo promuove le indagini familiari per rintracciare i genitori dei minori nei Paesi di origine al fine del ricongiungimento degli stessi attraverso il rimpatrio assistito, favorendo interventi per il sostegno e l'intensificazione del monitoraggio ambientale dei contesti socio-familiari d'origine del minore. Inoltre, a seguito dell'entrata in vigore della legge 30 luglio 2002, n. 189, che ha posto attenzione al passaggio alla maggiore eta' del minore, soprattutto nel caso in cui questi sia inserito in progetti di integrazione sociale e civile, il Comitato ha iniziato ad esaminare le istanze di permanenza ed integrazione di minori stranieri non accompagnati in Italia, pervenute da parte dei servizi sociali dei Comuni (in conformita' all'art. 25 della legge 30 luglio 2002, n. 189). Al fine di favorire l'attivita' del Comitato, sara' necessario continuare nell'opera di rafforzamento dell'attivita' di supporto, sia per quanto riguarda la banca dati delle informazioni utili a monitorare il fenomeno, sia per implementare il sistema di rete relativamente alle indagini familiari, in modo da ottenere nel piu' breve tempo possibile le informazioni circa la situazione familiare del minore. A tal fine sara' opportuno sottoscrivere accordi con le rappresentanze diplomatico-consolari dei Paesi d'origine dei minori allo scopo di accelerare le procedure di identificazione e razionalizzare l'iter del riaffidamento del minore. Allo stesso tempo, si dovranno ampliare i programmi di rimpatrio assistito con accordi con i Paesi di provenienza e con le realta' associative presenti nei Paese di origine, per facilitare il reinserimento familiare e sociale dei minori una volta rimpatriati. Altro compito del Comitato e' la gestione dei programmi solidaristici di accoglienza temporanea promossi da enti, associazioni o famiglie. Si tratta di un fenomeno che riguarda mediamente 36.000 ingressi di minori accolti presso associazioni e famiglie per soggiorni temporanei a scopo umanitario ogni anno. Questa attivita' di accoglienza ha avuto origine da un impulso del mondo dell'associazionismo dopo il disastro ambientale di Chernobyl e, nel corso degli anni, si e' ampliato anche ad altri Paesi e ad altre tipologie di minore. Il Comitato ha, in questo ambito, il compito primario di definire i criteri di valutazione delle richieste per l'ingresso e il soggiorno in Italia dei minori, valutando l'affidabilita' del proponente, la validita' dell'iniziativa, nonche' l'affidabilita' del referente estero. Obiettivo fondamentale e comune a tutti i soggetti coinvolti nell'accoglienza dei minori e' la tutela di detti minori che, per ragioni di solidarieta', sono accolti temporaneamente in Italia. In tale prospettiva, il Comitato ha inaugurato una nuova fase di attivita', basata sulla valorizzazione dell'associazionismo di solidarieta'. Proprio a tale scopo, sono state elaborate nuove linee guida che recepiscono sia le richieste delle associazioni, sia una valutazione sull'evoluzione che ha attualmente assunto il fenomeno. L'attivita' futura avra' come scopo prioritario il monitoraggio del soggiorno dei minori attraverso incontri con le associazioni e le famiglie durante il periodo di permanenza in Italia dei minori. Si dovra' inoltre valutare, alla luce dei vincoli di finanza pubblica, la possibilita' di individuare forme di sostegno al bilancio dei comuni di piccole dimensioni e che usufruiscono di limitate risorse finanziarie, per gli eventuali oneri dipendenti dalle forme di assistenza erogate dall'amministrazione comunale a minori stranieri non accompagnati. Si ritiene auspicabile un maggiore coinvolgimento delle Regioni nelle attivita' del Comitato, soprattutto alla luce di quanto previsto dall'art. 25 della legge 189/02. In tal senso sarebbe auspicabile procedere a accordi di programma con le Regioni, per quanto riguarda i progetti di integrazione sociale e civile, in particolare sotto l'aspetto della formazione e dell'accoglienza. 4.8) Cittadinanza L'attivita' del Ministero dell'interno e' incentrata sulla trattazione delle questioni attinenti allo status personae, con particolare riferimento ai provvedimenti di conferimento della cittadinanza in favore di stranieri residenti o coniugi di cittadini italiani, al riconoscimento dello status di apolide, nonche' sulla vigilanza dell'esatta applicazione delle leggi emanate nella materia e sullo studio della legislazione e degli accordi internazionali nel settore. La normativa riguardante la materia della cittadinanza e' disciplinata dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992, entrata in vigore il 16 agosto 1992, che ha abrogato tutte le leggi e le disposizioni emanate precedentemente. La predetta normativa disciplina due diverse modalita' di acquisto della cittadinanza, sempre su istanza di parte, e di conseguenti due procedure: 1) sul presupposto del matrimonio con cittadino italiano ai sensi dell'art. 5, 2) sul presupposto della residenza sul territorio della Repubblica, ai sensi dell'art. 9. Occorre, altresi' soffermarsi sinteticamente sulle procedure per ottenere, perdere o riacquistare il nostro status civitatis. Le vigenti disposizioni regolanti le procedure sulla materia sono contenute nel D.P.R. 12/10/1993, n. 572 recante il Regolamento di esecuzione della legge 5/02/1992, n. 91 e nel D.P.R. 18/04/1994 n. 362, concernente la disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana. a) Acquisto In applicazione della succitata normativa regolamentare, le istanze, corredate della prescritta documentazione, per l'acquisto della cittadinanza ai sensi dell'art. 5 (per matrimonio) e art. 9 (per residenza) vanno presentate al Prefetto competente in relazione al luogo di residenza del richiedente, ovvero all'Autorita' consolare italiana nel caso di residenza all'estero (solo per l'acquisto ex art. 5 o 9 lett. c). Nella documentata istanza, redatta su appositi modelli, in distribuzione presso gli U.T.G. (all'estero presso i Consolati), devono essere indicati i presupposti in base ai quali si intende conseguire la cittadinanza. b) Rinuncia Al sensi dell'art. 11 legge 5/02/92 n. 91, si puo' rinunciare alla cittadinanza italiana a condizione che si risieda all'estero o si detenga un'altra cittadinanza; ai sensi dell'art. 14, se si e' conseguito durante la minore eta' la cittadinanza italiana oltre ad un'altra gia' posseduta; se sia cessata l'adozione per cause non imputabili all'adottato (art. 3 c. 4) e se non si intenda riacquistare la cittadinanza dopo un anno di residenza ininterrotta sul territorio italiano (art. l3 c. 1, lett. d); infine, ai sensi dell'art. 2 della Convenzione di Strasburgo, si puo' rinunciare al nostro status civitatis a seguito di autorizzazione da parte dello Stato alla cui cittadinanza si intende rinunciare. All'art. 8 del Regolamento di esecuzione, cosi' come modificato dall'art. 10 del D.P.R. 3/11/2000 n. 396, sono indicate le modalita' per rendere le dichiarazioni di rinuncia. In base alla succitata normativa, le dichiarazioni, corredate della prescritta documentazione, in Italia, devono essere rese dinanzi all'Ufficiale di stato civile del comune di residenza; all'estero devono essere rilasciate dinanzi all'Autorita' consolare italiana competente in relazione alla residenza del rinunziante. Le dichiarazioni devono essere rese secondo le formule indicate nell'allegato A del citato Decreto del Ministro dell'interno del 5/04/2002. c) Riacquisto Il riacquisto della cittadinanza e' previsto dagli artt. 13 e 17 della legge 5/02/1992 n. 91. Le dichiarazioni, corredate della prescritta documentazione, volte a riacquistare il nostro status civitatis sono effettuate dinanzi all'Ufficiale dello stato civile del Comune mediante formule stabilite nell'allegato A del D.M 5/04/2002. Nei casi di prestazione del servizio militare per lo Stato italiano (art. 13, c. 1 lett. a); nei casi di assunzione di un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato (art. 13 c. 1 lett. b); nei casi di stabilimento della propria residenza in Italia (art. 13 c. 1 lett. c); per chi avendo perduto la cittadinanza intende riacquistarla (art. 13 c. 1 lett. e); per la donna che ha perduto, in data anteriore al 1/01/1948, la cittadinanza italiana a seguito di matrimonio contratto con uno straniero o per mutamento di cittadinanza del coniuge (art. 17 c. 2 legge 5/02/1992 n. 91 e art. 219 legge 19/05/1975 n. 151). d) Riconoscimento della cittadinanza ai sensi della legge 14/12/2000, n. 379 Le persone originarie dei territori gia' appartenuti all'Impero Austro-Ungarico attualmente italiani o ceduti successivamente all'Italia con i Trattati di pace di Parigi del 10/02/1947 e di Osimo del 10/11/1975, emigrate all'estero prima del 16/07/1920, ad esclusione dell'attuale Repubblica Austriaca, possono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana qualora rendano una dichiarazione, corredata dalla prescritta documentazione, in tal senso entro cinque anni dalla entrata in vigore della legge. Tale facolta' e' consentita anche ai loro discendenti. La documentata dichiarazione deve essere presentata in Comune, se il richiedente risiede in Italia o all'Autorita' diplomatica o consolare italiana, se risiede all'estero. Il Console o l'Ufficiale di stato civile del Comune di residenza che riceve la documentazione provvedera' a trasmetterla all'apposita Commissione Interministeriale (istituita con D.M. 2/03/2001) per il tramite del Ministero dell'interno che, sulla scorta del parere positivo dell'organo collegiale, emanera' l'esito dell'accertamento cui e' subordinata l'efficacia della dichiarazione. La formula della dichiarazione e' indicata nell'allegato A del D.M. 5/04/2002. e) Apolidia Con legge 1/02/1962, n. 306, l'Italia ha reso esecutiva la Convenzione di New York del 28/09/1954 sugli apolidi. Per la naturalizzazione di un soggetto apolide e' previsto il requisito di un periodo di residenza legale abbreviato (cinque anni) rispetto ai dieci previsti in via ordinaria. Nel nostro paese l'apolidia di un soggetto puo' essere riconosciuta sia in sede giudiziaria che in via amministrativa. L'art. 17 del D.P.R n. 572/93 disciplina la relativa procedura (la persona interessata al riconoscimento deve produrre una documentata istanza in bollo) attribuendo esplicitamente al Ministero dell'interno la competenza al rilascio della certificazione di apolidia. Reingegnerizzazione dei processi di concessione della cittadinanza: In relazione all'imponente fenomeno della migrazione di cittadini stranieri ed il conseguente ingente e progressivo aumento delle istanze prodotte e tese all'ottenimento del nostro status civitatis, e' stato gioco-forza studiare la reingegnerizzazione, attraverso una nuova programmazione informatica, dei processi di concessione della cittadinanza. Nel mese di ottobre del 2002 si e' dato inizio al progetto, suddiviso in quattro fasi. Tale progetto di implementazione di nuove procedure informatiche per l'attivita' dell'Ufficio e' finalizzato all'aumento del numero complessivo dei provvedimenti, all'aumento del trend di produttivita' dell'attivita' dell'Ufficio, nonche' all'ampliamento della funzionalita' dello stesso con la progressiva riduzione dei tempi di attesa dei richiedenti. I dati statistici sulle concessioni della cittadinanza italiana e sui paesi di provenienza degli stranieri e/o quelli di cui gli stessi sono titolari della cittadinanza evidenziano, in particolare, che il maggior numero di concessioni risulta a favore di cittadini stranieri dell'Europa Orientale, provenienti quindi da paesi dell'Unione europea o attualmente coinvolti nel processo di allargamento. Seguono le concessioni a favore degli stranieri provenienti dal Sud America, dall'Africa del Nord e dal Continente Asiatico. Infine numerose sono le concessioni a favore degli stranieri dell'estremo oriente. ----> VEDERE TABELLA A PAG. 116 DELLA G.U. <---- Concessioni di cittadinanza italiana ===================================================================== | Totale | Uomini | Donne ===================================================================== 1993 | 6544 | 2141 | 4403 1994 | 6613 | 2043 | 4570 1995 | 7416 | 2432 | 4984 1996 | 7015 | 2202 | 4813 1997 | 9237 | 2857 | 6380 1998 | 12036 | 3464 | 8572 1999 | 11337 | 3462 | 7875 2000 | 9594 | 2851 | 6743 2001 | 10290 | 2725 | 7565 Fonte: Ministero dell'interno In ogni caso, il numero delle istanze e delle relative concessioni della cittadinanza sul presupposto del matrimonio supera quello delle concessioni sul presupposto della residenza ed inoltre, i dati concernenti la differenza di eta' tra il coniuge italiano e quello straniero, che sul presupposto del vincolo del coniugio, chiede la cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 5 della legge n. 91/92, evidenziano la rilevanza del fenomeno dei matrimoni di comodo. Matrimoni di comodo La predetta normativa non contiene disposizioni specifiche per arginarne l'evoluzione: infatti, i presupposti di legge (sei mesi di residenza legale in Italia ovvero tre anni di matrimonio se residenti all'estero), una volta maturati, sono da considerare cristallizzati e qualsiasi circostanza intervenuta successivamente - purche' non si tratti di annullamento del matrimonio - non puo' inficiarli. Pertanto, in presenza di tali presupposti di legge ed in assenza delle cause preclusive di cui all'art. 6 della citata legge 91/92, lo straniero matura il diritto al conferimento della cittadinanza italiana. Sono, al riguardo, frequenti, peraltro, i rapporti informativi delle Questure o i pareri resi dal Dipartimento della P.S. che evidenziano l'esistenza di provvedimenti di revoca del permesso di soggiorno, atteso che tra i coniugi non vi e' mai stata convivenza, che il matrimonio e' stato contratto al solo scopo di ottenere il permesso di soggiorno, talvolta anche dietro compenso di ingenti somme di denaro. In talune delle predette fattispecie, nella considerazione che puo' ritenersi nullo ab origine il permesso di soggiorno rilasciato sull'errato presupposto di una convivenza tra il coniuge straniero e quello italiano, di fatto mai esistita, si e' provveduto a dichiarare l'inammissibilita' dell'istanza di acquisto della cittadinanza per la insussistenza della residenza legale prevista dall'art. 5 della legge n. 91/92. Matrimoni bianchi Si precisa infine che, per contrastare il fenomeno dei cosiddetti "matrimoni bianchi", nel caso di matrimonio di un cittadino italiano con uno straniero o con apolide, sono state gia' in passato proposte modifiche da apportare alla vigente legge. Si potrebbe prevedere: a) che il matrimonio debba essere validamente esistente al momento del giuramento da parte del cittadino straniero o apolide che acquista la cittadinanza; b) che il periodo di residenza legale in Italia, previsto dal citato art. 5, sia prolungato di almeno un anno dalla data del matrimonio e che si protragga fino alla prestazione del giuramento di cui all'art. 10 della legge n. 91/92. Casi di riconoscimento ai sensi della legge 14112/2000, n. 379 Rilevanti risultano anche le richieste di riconoscimento della cittadinanza italiana ai sensi della legge 14/12/2000 n. 379, concernente "Disposizioni per il riconoscimento della cittadinanza italiana alle persone nate e gia' residenti nei territori appartenuti all'Impero Austro-Ungarico e ai loro discendenti": Le predette richieste, attualmente circa 2.000, presumibilmente destinate ad aumentare, presentate ai Comuni ed alle Autorita' consolari di competenza, vengono esaminate da una Commissione Interministeriale che esprime il preventivo avviso in base al quale il Ministero dell'interno si pronuncia sull'eventuale riconoscimento. 4.9 Iniziative per migliorare la comprensione con le diverse fedi religiose Secondo i principi di laicita' dello Stato, questo si pone in una posizione di non ingerenza di fronte alle confessioni religiose, quanto a partecipazione ed organizzazione delle stesse, senza essere estraneo ed indifferente, tuttavia, alle garanzie dei diritti inviolabili dell'essere umano, che debbono spettare agli aderenti a tutte le confessioni. Vanno osservati, al riguardo, i principi contenuti negli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione che concernono: l'uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione; la pari liberta' delle confessioni religiose che hanno diritto di organizzarsi secondo propri statuti e i cui rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di `intese'; il diritto di tutti - quindi non solo dei cittadini, ma anche degli stranieri di professare la propria fede, farne propaganda ed esercitare il relativo culto, a condizione, tuttavia, che si tratti di riti non contrari al buon costume. Grazie al ruolo che la Chiesa cattolica ha sempre rivestito e riveste nella cultura storico-religiosa del nostro Paese, alla stessa - come noto - e' conferito un particolare riconoscimento costituzionale: l'art. 7 della Costituzione prevede, infatti, che `Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani' ed i relativi rapporti sono regolati con speciali norme di natura pattizia(il Trattato e il Concordato). Per quanto riguarda le altre confessioni, lo Stato ha, finora, stipulato le `intese' di cui al citato art. 8 della Costituzione con: la Tavola Valdese, l'Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno, le Assemblee di Dio in Italia, l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia, la Chiesa Evangelica Luterana in Italia e l'Unione delle Comunita' Ebraiche italiane. E' auspicabile l'estensione di tali intese anche ad altre religioni, che operano di fatto sul nostro territorio, alle quali si applica tuttora la vecchia normativa (1929 -1930) sui `culti ammessi'. Occorre aggiungere che un disegno di legge, in corso di esame (A.C. 2531), si propone di realizzare la compiuta attuazione delle garanzie costituzionali riguardanti i diritti individuali e collettivi in materia di liberta' religiosa, raccordandole anche con le normative internazionali in materia. Resta basilare, in ogni caso, il citato principio costituzionale che prevede il diritto di tutti e quindi anche degli stranieri presenti nel nostro Paese - di professare la propria fede, farne propaganda ed esercitare il relativo culto, con l'unica condizione che non si tratti di riti contrari al buon costume. A tale condizione, dunque, tutte le confessioni religiose dagli stranieri possono essere professate liberamente. Il loro concreto impatto sul nostro territorio, tuttavia, non si presenta sempre semplice, specie per quei culti che si accompagnano ad usi e tradizioni molto diversi e distanti dai nostri e che spesso suscitano forti diffidenze nelle popolazioni locali. Un'adeguata informazione e conoscenza dei culti che si sono diffusi con le recenti immigrazioni appare, percio' essenziale per migliorare la comprensione delle diverse fedi religiose presenti nel nostro Paese. Tali confessioni possono avere voce anche attraverso la partecipazione dei vari organismi e associazioni che rappresentano i cittadini extracomunitari nei Consigli territoriali per l'immigrazione, allo scopo di agevolare l'integrazione degli stranieri regolari nel nostro Paese. I Consigli territoriali per l'immigrazione - previsti dall'art. 3 del T.U. - rappresentano, infatti, le sedi locali di analisi e confronto delle problematiche degli immigrati e di riferimento per tutti i soggetti che agiscono ai fini dell'integrazione degli stranieri sul nostro territorio. Anche le problematiche che riguardano gli aspetti religiosi della vita degli stranieri possono, quindi, esservi discusse e approfondite, allo scopo di agevolare la conoscenza e la comprensione delle diverse fedi religiose, che debbono essere, in ogni caso, praticate nel rispetto delle leggi del nostro Paese. Si ritiene, pertanto, che vada conferito sempre maggiore impulso, attraverso detti Consigli - ed in ogni altra sede opportuna - alle iniziative di informazione e sensibilizzazione su tale delicato tema, che rappresenta sicuramente uno degli aspetti di maggior rilievo ed importanza riguardanti la convivenza e l'integrazione degli stranieri in Italia. Il Ministero dell'interno ha proposto il tema del dialogo inter-religioso anche in sede comunitaria, realizzando durante il semestre di Presidenza un'importante Conferenza dei Ministri dell'interno dell'Unione allargata ai nuovi Stati membri e ai Paesi candidati. Da questa iniziativa e' scaturito l'impegno dell'Unione, contenuto in un'apposita Dichiarazione adottata dai Ministri dell'interno e sancita dai Capi di Stato e di Governo, ad assumere ogni possibile iniziativa per favorire il dialogo tra le diverse fedi religiose, con particolare riguardo alle tre grandi fedi monoteistiche. 4.10) Informazione Nell'ambito delle misure tese a favorire le politiche di integrazione degli immigrati residenti nel nostro paese di fondamentale importanza appare l'attivita' di comunicazione rivolta alla popolazione straniera, finalizzata ad una puntuale informazione su diritti e doveri in materia di immigrazione. Con l'entrata in vigore della nuova legge n. 189/2002 che modifica il T.U. in materia di immigrazione (D.L. n. 286/98), sono state introdotte nuove norme sulle modalita' di ingresso e soggiorno in Italia da parte dei cittadini extracomunitari. Tali cambiamenti dovrebbero essere accompagnati da puntuali campagne informative, aventi come destinatari i cittadini non comunitari, al fine di favorire la conoscenza di diritti e doveri e l'accessibilita' ai servizi pubblici. La figura del mediatore culturale potrebbe svolgere, in tale ambito, un ruolo importante allo scopo di ridurre le distanze fra le istituzioni del Paese ospitante e la popolazione immigrata, interagendo con essi. Tra gli ambiti di intervento inediti nei quali coinvolgere mediatori culturali, le Direzioni provinciali del lavoro potrebbero rappresentare uno spazio strategico di informazione capace di rispondere alle esigenze dell'utenza immigrata. Nell'ambito di questi come di altri settori di riferimento per il lavoratore straniero e per le comunita' immigrate sarebbe auspicabile da parte dell'Amministrazione centrale, degli enti locali e delle associazioni datoriali, la promozione di strategie di comunicazione multilingue dirette al pubblico immigrato, eventualmente supportate da mediatori culturali, e veicolate attraverso vecchi e nuovi media, postazioni informatiche multimediali, eventi fieristici, manifesti, materiali informativi relativi alla disciplina in materia di immigrazione (leggi, decreti, circolari, direttive, ecc.), ai diritti e doveri dei cittadini, alle procedure per avere documenti personali o per avere accesso ad una serie a servizi pubblici. Nel quadro delle iniziative dirette a favorire il processo di integrazione della popolazione immigrata nel nostro Paese, e' nato il progetto "Civis - verso una societa' multirazziale", promosso dal Ministero dell'interno in collaborazione con la R.A.I. Radiotelevisione italiana, nell'ambito del Programma Operativo Nazionale "Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia" finanziato sui fondi strutturali europei 2000-2006. L'iniziativa in oggetto e' stata ammessa a finanziamento per un importo complessivo di euro 5.893.806 (comprensivo di I.V.A), che grava sul fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie previste dalla legge 183/87. Tale iniziativa, di durata triennale - in corso di realizzazione dal 2001, si struttura attraverso due diverse linee di azione, mirate a promuovere un corretto processo di integrazione e di socializzazione degli immigrati. 11 progetto si propone, inoltre, di sensibilizzare i cittadini italiani affinche', attraverso un'informazione corretta sull'attivita' svolta dal Ministero dell'interno, orientata da un lato a contenere i flussi di immigrazione clandestina e dall'altro a garantire all'immigrazione regolare adeguate condizioni di vita, possano comprendere il quadro complesso del fenomeno immigrazione ed acquisire una nuova coscienza della societa' multietnica. La prima linea di azione si e' concretata nella distribuzione, a 30 Prefetture del Meridione - per la successiva diffusione agli stranieri immigrati -, di materiali informativi multimediali (audiocassette, videocassette, fascicoli monografici a stampa), realizzati nelle 'lingue dei piu' popolosi gruppi etnici presenti sul nostro territorio (arabo, albanese, filippino, inglese, francese, spagnolo, russo, cinese) nonche' in italiano, sui temi: "Le leggi, le istituzioni, i servizi"; "La casa, il lavoro"; 'La scuola, la cultura". La seconda linea di azione si sviluppa in una campagna di informazione mirata alla positiva collocazione della figura dell'immigrato regolare in termini lavorativi, economici e demografici, allo scopo di trasmettere un'immagine del mondo dell'immigrazione che permetta ai cittadini di acquisire un'informazione corretta ed equilibrata sulla societa' multirazziale. A tale scopo e' stata realizzata, insieme alla R.A.I. - Radiotelevisione Italiana, una serie di inserimenti tematici, in varie trasmissioni televisive, relativi a storie di integrazione riuscita, a problemi connessi alla situazione abitativa, all'assistenza sanitaria, all'inserimento scolastico degli stranieri, nonche', al delicato tema della "tratta ". Alcuni inserimenti sono stati inoltre dedicati al tema dell'informazione per l'integrazione e la sicurezza. 4.11) Lotta alle discriminazioni Su questo fronte, il Dipartimento per le pari opportunita' e' intervenuto, di recente, per integrare, in modo significativo, il quadro normativo di riferimento. Si segnala, infatti, che e' stata recepita, con decreto legislativo 9 luglio 2003, n°215, la direttiva 2000/43/CE, che attua il principio della parita' di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, in un ambito di applicazione dai confini estesi comprendenti il settore pubblico e privato, lo svolgimento del rapporto di lavoro, la protezione sociale, l'assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l'istruzione e l'accesso a beni e servizi. Il decreto fa, inoltre, salve tutte le disposizioni vigenti inerenti le condizioni di ingresso, soggiorno e accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini nei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato e le disposizioni che prevedono differenze di trattamento basate sulla nazionalita'. Il decreto offre una precisa definizione di discriminazione diretta e indiretta, prevede la giustificazione di alcune discriminazioni, disciplina i meccanismi di tutela giurisdizionale da attivare anche attraverso associazioni ed enti, iscritti in appositi elenchi, cui e' stata riconosciuta la legittimazione ad agire. Il provvedimento garantisce alla persona vittima di un comportamento discriminatorio una tutela giurisdizionale ampia e completa, consentendole di esperire o l'azione disciplinata dall'art. 44 del testo unico dell'immigrazione o il tentativo di conciliazione. Nel caso di accoglimento del ricorso il soggetto discriminato potra' ottenere il risarcimento del danno anche non patrimoniale, la cessazione del comportamento discriminatorio, nonche' la rimozione degli effetti ad esso collegati. Rispondendo alle sollecitazioni del diritto comunitario, il decreto, inoltre, istituisce presso il Dipartimento per le pari opportunita' l'Ufficio per la promozione della parita' di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica, quale presidio di riferimento per il controllo e la garanzia della parita' di trattamento e dell'operativita' degli strumenti di tutela. A questa nuova struttura sono affidati compiti specifici di assistenza alle vittime di comportamenti discriminatori nei procedimenti intrapresi da queste ultime sia in sede amministrativa che giurisdizionale; di promozione di azioni di sensibilizzazione e campagne di comunicazione; di incentivazione di studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, anche in collaborazione con le associazioni e organizzazioni che operano nel settore. Il decreto legislativo in esame prevede, inoltre, sia istituito un albo cui possono iscriversi le associazioni che hanno un'esperienza consolidata nella materia della lotta alle discriminazioni. 4.12) Mediazione culturale Negli ultimi anni i mediatori culturali hanno svolto un ruolo importante per la facilitazione dei processi di integrazione sociale e culturale degli immigrati soggiornanti in Italia. Questa figura professionale dovra' sempre di piu' favorire il rapporto tra i cittadini stranieri e le istituzioni pubbliche. La loro presenza, dall'accoglienza agli sbarchi, al supporto agli operatori italiani, alla funzione di orientamento e informazione sui diritti, all'attivita' di educazione interculturale e sostegno nei confronti di alunni stranieri o dei pazienti stranieri, comporta competenze diversificate rispetto ai diversi contesti. Se nel settore della pubblica sicurezza e della giustizia il mediatore accompagna lo straniero nelle procedure che legittimano la sua presenza regolare in Italia o che sanzionano la violazione di determinate norme, in ambito sociale, sanitario, scolastico, il mediatore facilita il processo di integrazione dello straniero, agendo come facilitatore nei rapporti con le istituzioni e come agente di pari opportunita', mediatore di squilibri nell'accesso ai servizi. Le crescenti esigenze di mediazione culturale da parte delle amministrazioni e le esperienze realizzate in questi anni, suggeriscono per il futuro l'adozione di modalita' diversificate per la collaborazione del mediatore, dal servizio a chiamata alla presenza fissa. La "convenzione a chiamata", cioe' tramite stipula di convenzione con singoli mediatori o associazioni che attuano un servizio di mediazione linguistico-culturale intervenendo "su chiamata" dell'istituzione in caso di bisogno puo' rispondere ad esigenze contingenti e temporalmente limitate o a servizi con utenza ridotta, mentre la "presenza fissa" potrebbe rispondere meglio ai bisogni delle questure, delle carceri e di ospedali di grandi citta' dove la presenza di stranieri appartenenti a determinate nazionalita' e' elevata e costante. Sotto questo profilo, l'azione dei mediatori dovrebbe essere sostenuta da una standardizzazione dei percorsi formativi e dal riconoscimento di specifiche competenze professionali, da disciplinare a livello normativo nazionale. Un'esperienza positiva in tal senso che puo' rappresentare un modello di riferimento, e' quella del "Programma operativo nazionale per la Sicurezza e lo Sviluppo del mezzogiorno d'Italia". Tale iniziativa prevede, nell'ambito di un rapporto di collaborazione con le Regioni interessate, la costituzione di una rete di mediatori culturali che operino all'interno di un nucleo di interventi finalizzati a circoscritti processi di accoglienza e di integrazione. Cap. 5) Richiedenti asilo e rifugiati Le problematiche dell'asilo non riguardano direttamente l'applicazione del testo unico sull'immigrazione ma, come gia' osservato, hanno una influenza sull'analisi dei movimenti migratori in quanto spesso i flussi d'immigrazione economica usano strumentalmente i canali della protezione internazionale e, inoltre, investono direttamente le politiche dell'accoglienza. Il numero dei richiedenti asilo e' stato nel 2000 superiore ai 18.000 con una lieve flessione nel 2001 con 17.000 istanze; flessione confermata nel 2002 con un numero di domande intorno alle 15.000. La tendenza in atto appare confermata anche dall'andamento del primo semestre del 2003. Sono gia' state evidenziate le problematiche connesse alla particolare lunghezza delle procedure di esame presso la Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Tempi lunghi dovuti al trend di crescita delle istanze di asilo, incremento avvenuto a partire dall'emanazione della legge n.39/1990 (legge Martelli) che ha rimosso la riserva geografica che aveva limitato fino ad allora ai soli europei la possibilita' di ottenere lo status di rifugiato. La lunghezza dei tempi di esame provoca conseguentemente condizioni di accoglienza inadeguate del richiedente asilo che non puo' provvedere ai propri bisogni attraverso una regolare attivita' lavorativa. L'assistenza prevista dalla legge n. 39 del 1990 e' infatti, limitata esclusivamente all'erogazione di un contributo economico giornaliero per soli 45 giorni a fronte, invece, di procedure con tempi superiori agli 8 mesi. La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha inteso intervenire per ridurre i tempi di esame delle istanze di asilo sostituendo ad un unico organo centrale competente all'esame una articolazione di organi a livello provinciale (le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato). Tale articolazione periferica, unita alla realizzazione di strutture finalizzate ad evitare la dispersione sul territorio nazionale dei richiedenti asilo, consentira' di procedere alla valutazione delle situazione personali con tempi procedurali pari a 20 giorni (procedure semplificate) ovvero 30 giorni (procedure ordinarie). Le medesime strutture, denominate centri di identificazione, garantiranno anche l'accoglienza della maggior parte di richiedenti asilo cioe' tutti coloro che sono entrati nel territorio nazionale eludendo i controlli di frontiera ovvero quelli fermati in condizione di soggiorno irregolare. La Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato e' sostituita dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo. L'organo centrale e' chiamato a svolgere funzioni di indirizzo e coordinamento delle Commissioni territoriali e sara' competente alle revoche dello status. Al fine predetto la Commissione Nazionale potra' sviluppare nel proprio ambito le analisi, studi e verifiche sulla situazione dei singoli paesi di provenienza dei richiedenti asilo. Tutto il sistema previsto dalla citata legge n. 189 ha trovato applicazione con il regolamento attuativo della normativa sull'asilo introdotta dalla nuova disciplina. Con l'attuazione delle nuove norme trovera' soluzione l'annoso problema dell'accoglienza dei richiedenti asilo che grava in gran parte sugli enti locali chiamati a fornire assistenza, ai sensi dell'art. 40 del T.U. n. 286/1998 agli stranieri regolarmente soggiornanti in condizioni di bisogno. Per sviluppare le iniziative nel settore, il Ministero dell'interno, grazie alla collaborazione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) e l'Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) ha dato vita a partire dal 2001 - coi finanziamenti della quota otto per mille IRPEF e del Fondo europeo per i Rifugiati - ad uno specifico programma denominato "Programma Nazionale asilo". Tale programma ha dato vita, nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili, ad una rete di accoglienza a livello locale estesa a tutto il territorio nazionale. La legge n. 189/2002 ha voluto riconoscere il ruolo della rete cosi' realizzata istituendo, presso il Ministero dell'interno, un apposito Fondo a sostegno delle attivita' svolte dagli enti locali in favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati: il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. Per il coordinamento di tale attivita' e' poi prevista l'istituzione di una unita' organizzativa di stimolo e coordinamento dell'attivita' degli enti locali in materia, il Servizio Centrale. La prima ripartizione del Fondo, riservata dalla legge istitutiva a favore delle iniziative in atto finanziate con il Fondo Europeo per i rifugiati, e' avvenuta con decreto del Ministro dell'interno in data 23 luglio 2003. Nel 2003, nonostante l'assenza del regolamento attuativo che, come osservato, e' condizione per l'applicazione della nuova disciplina in materia di asilo prevista dalla citata legge n. 189, si e' potuto procedere alla ripartizione del Fondo sulla base dell'articolo 3 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 23 maggio 2003, n. 3287. La dotazione del Fondo e' costituita, ai sensi dell'art. 1 septies della citata legge 189, dalle risorse iscritte nell'unita' previsionale di base 4.1.2.5 "Immigrati, profughi e rifugiati" capitolo 2359 del Ministero dell'interno per l'anno 2002, e corrispondenti a 5,16 milioni di euro. La medesima disposizione fa confluire, inoltre, al Fondo anche le assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati, comprese quelle gia' attribuite per gli anni 2000, 2001 e 2002 ed in via di accreditamento al Fondo di rotazione del Ministero dell'economia e delle finanze. Ulteriori risorse possono affluire sul Fondo attraverso contributi e donazioni disposti da soggetti pubblici o privati, anche internazionali ovvero da parte di organismi dell'Unione europea. Per l'anno 2003 non sono state effettuate assegnazioni sul Fondo da parte del FER. In attuazione dell'art. 80, comma 8, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria 2003), e' stato inoltre assegnato un importo pari a 6.000.000,00. La dotazione per l'esercizio finanziario 2003; del capitolo 2361, e' risultata complessivamente pari a 11.160.000,00. Di tale stanziamento 8.956.521,99 sono stati assegnati agli enti locali. Sulla rimanente somma e' stata finanziata l'istituzione del Servizio Centrale, affidato ai sensi del citato art. l sexies, comma 4, all'Associazione Nazionale Comuni Italiani attraverso apposita convenzione siglata con il Ministero dell'interno. Con l'istituzione del Servizio Centrale si e' resa operativa l'unita' di coordinamento e stimolo del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati e sono stati dati supporto tecnico, informazione e consulenza agli Enti locali che prestano servizi finalizzati all'accoglienza di tali categorie di stranieri e i cui interventi sono stati sostenuti con le risorse del Fondo. Con la prima ripartizione delle risorse del Fondo sono stati finanziati 50 Comuni, distribuiti su tutto il territorio nazionale, che hanno permesso di dare assistenza a 1995 beneficiari, tra richiedenti asilo, rifugiati e stranieri in possesso di permesso per protezione umanitaria. Nel settore gli obiettivi prioritari sono: a)-applicazione della legge n. 189/2002 attraverso l'istituzione delle Commissioni territoriali, la costruzione dei centri di identificazione e definizione delle linee guida per l'indirizzo dei servizi di assistenza e tutela dei richiedenti asilo e rifugiati che saranno finanziati dal Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo; b) armonizzazione della normativa nazionale a quella europea in applicazione del Trattato dell'Unione europea; c) attuazione dell'articolo 10, comma 3, della Costituzione sul diritto di asilo attraverso una legge organica in materia che tenga conto dei principi di armonizzazione europea in via di elaborazione. In merito all'armonizzazione europea si fa presente che nel settore, secondo i tempi stabiliti dal Trattato di Amsterdam, si sta procedendo all'adozione di rilevanti atti normativi comunitari. In particolare sono stati gia' approvati il regolamento che stabilisce la competenza degli Stati membri per l'esame delle domande di asilo (Regolamento CE n. 343/2003 del 18 febbraio 2003) e la direttiva recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo (Direttiva n. 9/2003/CE del 27 gennaio 2003). Per il completamento del quadro della medesima normativa, la Presidenza italiana UE e' stata chiamata a concludere l'esame, secondo il Consiglio europeo di Salonicco del giugno 2003, della proposta di direttiva sull'attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale nonche' norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta e la proposta di direttiva sugli standard minimi delle procedure negli Stati membri per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato.