(all. 1 - art. 1) (parte 3)
dei  paesi di origine oltre che dalle forme di accoglienza nel nostro
Paese,  possono  influenzare  l'efficacia  e  la  tempestivita' della
risposta   assistenziale,  riducendo  l'effettiva  accessibilita'  ai
servizi da parte delle popolazioni immigrate.
   Non   sono   disponibili,   attualmente,   informazioni  valide  e
continuative,  a  livello nazionale, sulla salute degli immigrati. La
dinamica   demografica  puo',  per  molti  versi,  suggerire  profili
epidemiologici e bisogni di salute.
   Studi  condotti  in  diverse  realta'  sociali e geografiche hanno
tracciato un profilo epidemiologico dell'immigrato caratterizzato da:
      a) aumentata  presenza  di  donne  in prevalenza giovani, nella
fascia  dell'eta'  fertile,  con tutte le problematiche connesse alla
salute sessuale e riproduttiva;
      b) progressivo incremento delle nascite dei bambini stranieri;
      c) consolidato   fenomeno   migratorio   che  richiede  urgenti
interventi mirati nell'ambito della medicina del lavoro: i lavoratori
immigrati  sostituiscono molto spesso gli italiani in lavori "ad alto
carico  lavorativo", subendo una maggiore monetizzazione del "rischio
salute".
   Un  aspetto  del  tutto  peculiare e' relativo alla percezione del
bisogno  ed  alla  formulazione della domanda di aiuto da parte della
popolazione   immigrata;   tale   aspetto   puo'   essere,   infatti,
condizionato da molteplici e differenti fattori, tra cui
      • diversi modi di intendere la malattia e la salute;
      •  diversa  concezione  della  prevenzione  e di percezione del
rischio;
      •  scarsa  o  distorta consapevolezza dei propri diritti; e' da
tener   presente,   al   riguardo,  che  gli  stranieri  regolarmente
soggiornanti  sono  iscritti  al  Ssn  e  godono degli stessi diritti
all'assistenza  dei  cittadini  italiani, mentre gli stranieri non in
regola  hanno  diritto solo alle "cure urgenti o comunque essenziali"
ed  agli  "interventi  di  medicina  preventiva e prestazioni di cura
correlate" (le cure sono a carico dello straniero, ma se questi versa
in  condizioni  di  indigenza,  i  relativi  oneri sono sostenuti dal
Ministero dell'interno, attraverso le Prefetture);
      •  deficit  di informazione che determina aspettative improprie
canalizzando la domanda di assistenza in modo inadeguato;
      • piu' difficoltosa percezione del servizio adeguato al proprio
bisogno,
      •  esistenza di una barriera linguistico-culturale, che crea un
ostacolo insormontabile alla comunicazione fra utente e operatore;
      •   riferimento  a  modelli  culturali  e  comportamentali  che
determinano  difficolta'  nella  fruibilita'  dei  servizi  da  parte
dell'utente  straniero e nella gestione degli stessi servizi da parte
dell'operatore  italiano;  fragilita' del progetto migratorio che, in
relazione  allo status giuridico (possesso del permesso di soggiorno,
della  tessera sanitaria, etc;), provoca un eccesso di dipendenza nei
confronti  del  contesto  e  condiziona  negativamente  l'accesso  ai
servizi da parte dell'utente straniero.
   Osservando  il  flusso  di  utilizzo di alcuni servizi sanitari da
parte  degli  stranieri,  si  evidenzia  una  sostanziale mancanza di
elasticita'  dell'offerta  di servizi, a fronte dei nuovi problemi di
salute di questi nuovi gruppi di utenti.
   Al  contrario  di  quanto  paventato,  non  vi  e' evidenza di una
specificita'  patologica  dello  straniero che invece si ammala delle
stesse  patologie  dell'italiano  che  ne  condivide le condizioni di
poverta' e di discriminazione.
   Numerosi studi osservazionali indicano, tra i principali motivi di
ricorso alle strutture sanitarie:
      • i disturbi dell'apparato digerente;
      • le patologie traumatiche (soprattutto incidenti stradali e di
tipo occupazionale);
      • le malattie acute dell'apparato respiratorio;
      •  le  richieste  di  sostegno per disagio della sfera psichica
comprese  le  dipendenze;  • il monitoraggio delle gravidanze, spesso
con tempi e modalita' inadeguate;
      •   un   aumentato   tasso   di   abortivita',   che  interessa
particolarmente alcune etnie, rispetto alla popolazione locale.
   Il "Rapporto nazionale sui ricoveri ospedalieri degli stranieri in
Italia",  stilato  nel 1998 dal Dipartimento della programmazione del
Ministero  della  salute, analizza i principali motivi del ricorso ai
ricoveri   dei   pazienti  immigrati,  siano  essi  residenti  o  non
residenti.  L'aspetto  rilevante  del rapporto e' il confronto fra le
cause  di  ricovero  degli  stranieri  ed il valore nazionale dove si
evince che i motivi del ricovero per cause traumatiche sono piu' alti
(in  percentuale)  negli stranieri mentre sono decisamente piu' basse
le percentuali rilevate per le malattie cronico degenerative.
   Tra  i  25.000  bambini  nati da almeno un genitore straniero sono
piu'  frequenti  la  prematurita',  il  basso  peso  alla nascita, la
mortalita'  neonatale  e  i  calendari  vaccinali  sono effettuati in
ritardo o in modo incompleto specie nelle popolazioni nomadi.
   Per  quanto  riguarda la salute della donna, i temi emergenti sono
l'alto  tasso di abortivita', la scarsa informazione (con conseguente
ridotta  domanda  di  assistenza  alla  gravidanza),  la  presenza di
mutilazioni  genitali femminili. Un'indagine coordinata dall'Istituto
Superiore di Sanita' ha evidenziato che le I.V.G. effettuate da donne
straniere  sono  passate  da 4.500 nel 1980 a 20.500 nel 1998, con un
trend fortemente decrescente dalle eta' piu' giovani a quelle in eta'
piu' avanzate.
   Relativamente  al  rischio  infettivo,  spesso  paventato  per  la
popolazione   italiana   per   effetto  di  trasferimento  di  agenti
infettanti  da  paesi  a  media-alta  endemia,  esso e' in generale -
controllabile;  specifici  problemi  originati  nel paese di partenza
possono  pero'  trovare  nel  paese  di  destinazione  condizioni  di
aggravamento  che  interessano  soprattutto la popolazione di recente
immigrazione.   Infatti,   soprattutto   nel   caso   delle  malattie
trasmissibili,  le condizioni di vita rappresentano un sicuro fattore
favorente   la   diffusione,  ma  il  rapporto  dinamico  popolazione
immigrata/popolazione  ospite  e'  notevolmente complesso. Il rischio
specifico,  infatti,  per alcuni gruppi di popolazione, e' fortemente
legato  a  fattori di rischio esterni a quei gruppi; pertanto, per la
popolazione  immigrata, tali fattori rappresentano contemporaneamente
sia momento diffusivo che recettivo.
   Il   calcolo   dell'incidenza   della   malattie  infettive  nella
popolazione  immigrata  e'  una  problematica  notevolmente complessa
poiche',  da  un  lato,  non si dispone di un denominatore totalmente
rappresentativo  del fenomeno migrazione e, dall'altro, la domanda di
salute relativa risulta per molti versi inespressa.
   In particolare, cio' e' vero soprattutto per le malattie infettive
espressione  di  disagio  sociale  ed  a  forte impatto sull'opinione
pubblica.
   Stime  condotte su dati relativi ad erogazione di servizi da parte
di   strutture  sia  pubbliche  che  del  volontariato  indicano  che
l'incidenza   di   malattie  infettive  nelle  popolazioni  immigrate
diventa,  a  parita'  di  condizioni  di  vita,  sempre  piu'  simile
all'incidenza di malattie infettive del Paese ospite.
   Per  quanto  riguarda le malattie infettive per le quali in Italia
sono  obbligatorie  le  vaccinazioni  gia'  da  lungo  periodo, si e'
registrata  negli  ultimi  anni  solo  l'importazione  di  un caso di
difterite dall'America latina.
   Notevolmente  differente  risulta  la  problematica  relativa alle
malattie  infettive  per  le  quali la suscettibilita' individuale e'
strettamente correlata con condizioni ambientali e sociali degradate:
e'  il  caso  della tubercolosi che, assente al momento dell'ingresso
nel  Paese  ospite,  si  manifesta,  in  genere,  dopo  un periodo di
permanenza  variabile  da  uno  a  due  anni, soprattutto in soggetti
provenienti da zone endemiche.
   L'incidenza  della  tubercolosi  e'  passata dall'8,1% nel 1992 al
16,6%  nel  1998,  secondo  i  dati  dell'Ufficio III della Direzione
Generale della Prevenzione Sanitaria.
   Anche gli studi condotti da poliambulatori Caritas indicano che la
malattia  insorge  a  circa  10 mesi - un anno dall'arrivo in Italia,
delineandosi, pertanto, non una patologia da importazione
   ma  un  quadro  di  tipo  "border  line",  al  limite,  cioe', fra
patologia  di  importazione e patologia acquisita in seguito a stress
transculturale e disagio sociale.
   Per  quanto  riguarda  la  problematica  relativa  alle malattie a
trasmissione  sessuale (MST) ed, in particolare alla patologia da HIV
nella  popolazione immigrata, numerose osservazioni sembrano indicare
che  l'infezione da HIV possa configurare una patologia a rischio per
tale  popolazione.  Tali  osservazioni  si  basano,  almeno sul piano
teorico,  sulla  presenza  di  alcuni fattori di rischio riconosciuti
quali:
      • provenienza da Paesi ad alta endemia per MST/HIV
      • condizioni  di  vita  nel  Paese  ospitante  spesso ai limiti
dell'emarginazione • soggetti di eta' giovane e sessualmente attivi
      • condizioni di single
      • diffusione  del  fenomeno  della  prostituzione  femminile  e
transessuale
      • scarsita' di campagne di informazione mirate alla prevenzione
delle MST.
   Per  quanto concerne i casi di AIDS, i dati del Registro Nazionale
AIDS  mostrano  che  il  contributo  degli  stranieri  alla casistica
totale,  aggiornata  al  2000,  si  aggira  intorno  al  4,8%;  se si
considera  l'andamento  temporale,  si  evidenzia un incremento della
proporzione  di  casi  notificati  in  cittadini stranieri dal 3% nel
periodo 1983-93 all'11% nel primo semestre del 2000. Questo dato deve
essere  interpretato  con  cautela,  in quanto anche il numero totale
degli immigrati in Italia e' aumentato notevolmente.
   Per quanto riguarda invece i dati relativi all'infezione da HIV, i
risultati  della  sierologia eseguita su un campione di 1912 soggetti
ha  evidenziato  una  prevalenza  dell'infezione  del  5,7%  tra  gli
immigrati  rispetto  al 9,4% registrata tra gli italiani afferenti ai
centri pubblici MST.
   Per  quanto riguarda le altre MST, l'ultimo rapporto ufficiale del
sistema  di  sorveglianza  mette  in  evidenza  che  su  52.515  casi
segnalati  dal  1991  al  1996  il  10,6% sono stati diagnosticati in
cittadini stranieri.
   Un  aspetto  particolare  riguarda  le  malattie infettive che gli
stranieri  possono  contrarre  al  ritorno  nel  Paese  d'origine. Un
esempio paradigmatico e' costituito dalla malaria: negli ultimi anni,
fra  tutti  i casi di malaria notificati in Italia, circa il 40% sono
insorti  in  immigrati  rientrati  temporaneamente  nel proprio Paese
d'origine,  senza  aver  effettuato  la  profilassi  antimalarica: il
fenomeno  e'  dovuto  al  fatto che l'immigrato al di fuori del Paese
d'origine (se quest'ultimo e' un Paese endemico per malaria) perde la
"premunizione"  cioe' quella sorta di protezione sviluppata fin dalla
nascita.
   Nel  quadro  dei  molteplici  interventi  necessari  per  superare
l'emarginazione  degli  immigrati bisognosi, un importante aspetto e'
quello   di  assicurare  l'accesso  delle  popolazioni  immigrate  al
Servizio   Sanitario  Nazionale  adeguando  l'offerta  di  assistenza
pubblica  in  modo  da  renderla  visibile,  facilmente  accessibile,
attivamente disponibile ed in sintonia con i bisogni di questi gruppi
di  popolazione  in  conformita'  a  quanto  previsto dal testo unico
sull'immigrazione  che  ha  sancito  il  diritto alle cure urgenti ed
essenziali  ed  alla  continuita'  della cura anche per gli immigrati
irregolari.
   In  tale  contesto  sono necessari, fra l'altro, sia interventi di
tipo  informativo  dell'utenza  immigrata sull'offerta dei servizi da
parte  della  ASL che l'individuazione all'interno di ciascuna ASL di
unita'  di personale esperte e particolarmente idonee per questo tipo
di rapporti.
   Azioni prioritarie riguardano i seguenti aspetti:
      - miglioramento  dell'assistenza sanitaria alle donne straniere
in gravidanza e riduzione del ricorso all'I.V.G.;
      - riduzione    dell'incidenza    dell'HIV,    delle    malattie
sessualmente  trasmesse  e  della  tubercolosi, tramite interventi di
prevenzione mirati a questa fascia di popolazione;
      - raggiungere  coperture  vaccinali della popolazione infantile
immigrata pari a quella ottenuta per la popolazione italiana;
      - erogare  gli interventi di profilassi primaria alle categorie
di lavoratori stranieri ove prevista per i lavoratori italiani;
      - ridurre  gli infortuni sul lavoro tra i lavoratori immigrati,
tramite gli interventi previsti a tal fine per i lavoratori italiani;

      ---->   VEDERE TABELLA A PAG. 109 E 110 DELLA G.U.  <----


                      4.5) Politiche abitative

   La  situazione  abitativa  per gli immigrati stranieri si presenta
per piu' aspetti problematica.
   Il   disagio   per  la  situazione  abitativa  si  sta  aggravando
soprattutto  nel centro nord e nelle aree metropolitane, non solo per
la  condizione  specifica dei cittadini immigrati, oltre tutto con il
forte incremento dei ricongiungimenti familiari.
   Il  patrimonio  in  affitto  disponibile e' in Italia estremamente
ridotto  e  ancora piu' scarsa e' l'offerta per le fasce svantaggiate
della popolazione, anche italiana. La domanda di alloggi in affitto a
canoni  calmierati,  accessibili  ai redditi medio-bassi, e' in forte
aumento,   a  fronte  di  un'offerta  abitativa  pubblica  ampiamente
insufficiente   ed   un'offerta   privata   molto  limitata,  rigida,
scarsamente disponibile nei confronti degli immigrati.
   Dall'inizio  del  fenomeno immigratorio in Italia, gli Enti locali
hanno  cercato  di rispondere a questi bisogni, in collaborazione con
il  volontariato  e con il terzo settore, dando vita ad iniziative ed
esperienze  anche innovative: Associazioni, Volontariato, Fondazioni,
Cooperative,  Agenzie sociali per la sola intermediazione fra domanda
e offerta abitativa in affitto, ecc.
   Gli obiettivi da perseguire sono quelli di:
      • ridurre gli ostacoli all'utilizzazione del patrimonio privato
disponibile,   con   misure   che   assicurino  la  buona  conduzione
dell'alloggio  e  la possibilita' di riottenerne la disponibilita' al
momento della scadenza contrattuale;
      • perseguire   il  calmieramento  dei  canoni  di  affitto  con
l'attivazione  di  politiche  abitative  da  parte degli Enti locali,
volte  a creare le condizioni affinche' a fronte della concessione di
contributi  da  parte della Pubblica Amministrazione, di agevolazioni
fiscali  locali  e nazionali, di offerta di aree a basso costo per le
nuove  costruzioni,  del  ricavo  di  alloggi dal recupero di edifici
dismessi,   regolato   da   convenzioni,  ci  sia  una  contropartita
soprattutto in merito alla riduzione del costo dell'affitto.
      • incentivare  il  concorso  dei  datori  di  lavoro delineando
specifiche  agevolazioni,  fermi  restando  i  vincoli  della finanza
pubblica:  nel  caso  di  contributo  per  il pagamento dell'affitto,
verificarne  la  sua  deducibilita' dal reddito d'impresa e da lavoro
dipendente,  nonche'  la natura non retributiva ai fini contributivi;
nel  caso  di  finanziamento,  comunque da recuperare in modi e tempi
stabiliti,  verificare  la  possibilita'  di  collegarvi un risparmio
fiscale sotto forma di credito d'imposta.


     4.6) Vita familiare, seconde generazioni e ricongiungimenti

   L'Italia  registra  oramai  da anni una sostanziale crescita della
popolazione     immigrata     determinata     prevalentemente     dai
ricongiungimenti  o  dalla costituzione di nuovi nuclei familiari. In
Italia  al  2003 si calcolano circa 300.000 minori presenti dei quali
oltre  230.000  sono  gli  alunni  stranieri inseriti nel mondo della
scuola.
   Se  la  famiglia  rappresenta  un fattore cruciale nel processo di
integrazione,  l'aumento  dei  nuclei familiari composti da stranieri
comporta  anche  nuovi  bisogni, che incidono sui servizi scolastici,
sociali, educativi, sanitari e abitativi.
   Anche  alla luce della recente regolarizzazione del 2002-2003, che
vedra' un forte aumento dei nuclei familiari di origine straniera, le
politiche  sociali  dovranno essere in grado di rispondere alle nuove
esigenze.

Visti per ricongiungimento familiare e permessi Per motivi familiari
=====================================================================
                                       |     2001|     2002|     2003
=====================================================================
Ricongiungimenti familiari, nuovi visti|   64.772|   62.067|   58.337
---------------------------------------------------------------------
Totale visti rilasciati durante l'anno |  947.085|  853.535|  874.874
---------------------------------------------------------------------
Ricongiungimenti in % dei visti        |         |         |
rilasciati nell'anno                   |      6,8|      7,3|      6,7
---------------------------------------------------------------------
Stock di permessi di soggiorno per     |         |         |
motivi familiari                       |  393.865|  472.240|  532.670
---------------------------------------------------------------------
Numero di permessi di soggiorno        |1.362.630|1.512.324|2.193.999
---------------------------------------------------------------------
In % dei permessi validi               |     28,9|     31,2|     24,3
Fonte: Ministero dell'interno e Ministero degli affari esteri

Ricongiungimenti familiari, nuovi visti rilasciati durante l'anno per
nazionalita'
=====================================================================
                         | 2002|                        |Gen-set 2003
=====================================================================
   Albania               |11350|   Marocco              |        8548
   Marocco               | 6644|   Albania              |        8269
   Cina                  | 5335|   Cina                 |        2664
   Romania               | 5079|   India                |        2197
   India                 | 3395|   Tunisia              |        1905
   FYRM Macedonia        | 2235|   Romania              |        1777
   Filippine             | 2137|   Filippine            |        1763
   Bangladesh            | 1937|   FIRM Macedonia       |        1727
   Tunisia               | 1901|   Bangladesh           |        1584
   Sri Lanka             | 1826|   Pakistan             |        1522
   Peru'                 | 1802|   Cuba                 |        1274
   Cuba                  | 1421|   Sri Lanka            |        1237
   Ghana                 | 1266|   Peru'                |        1098
   Egitto                | 1197|   Ghana                |        1049
   Jugoslavia            | 1123|   Ucraina              |         981
   Pakistan              | 1110|   Egitto               |         884
   Repubblica Dominicana | 1109|   Moldavia             |         788
   Ucraina               |  856|   Repubblica Dominicana|         626
   Moldavia              |  826|   Senegal              |         598
   Senegal               |  674|   Jugoslavia           |         579
Fonte: Ministero degli affari esteri

   Adeguate  politiche  di integrazione non possono pero' prescindere
da   un'approfondita   conoscenza  del  fenomeno.  Nell'ambito  della
famiglia  immigrata,  un  aspetto  che  dovrebbe cominciare ad essere
monitorato   con   maggiore  sistematicita'  e'  rappresentato  dalle
relazioni   intergenerazionali   tra   genitori   e   figli  e  dalle
caratteristiche   del   processo   di   integrazione   delle  seconde
generazioni.
   La  dimensione strutturale dell'immigrazione in Italia comporta la
necessita'  di  sviluppare  misure  volte  a  favorire  i processi di
integrazione    sociale   delle   giovani   generazioni,   anche   in
considerazione   dell'esperienza  di  altri  paesi  di  meno  recente
immigrazione. In questi paesi e' ormai maturata la consapevolezza che
le  seconde e terze generazioni rappresentano categorie portatrici di
particolari bisogni cui rivolgere una attenzione specifica.
   Le  seconde  generazioni esprimono infatti identita' multiple, che
non  si  identificano  piu'  con  i luoghi del passato migratorio dei
propri  genitori, ma nemmeno con la nuova societa' di accoglienza. Il
desiderio  di  appartenenza  e  di  mimesi con i giovani autoctoni, i
modelli  di  riferimento  e  le  pressioni delle comunita' di origine
producono identita' molto complesse.
   In Italia la tendenza e' stata fino ad oggi quella di parlare piu'
di  minori  stranieri  che non di seconde generazioni, incentrando il
dibattito e la ricerca quasi esclusivamente sulle dinamiche educative
e  interculturali: tema cruciale ma che non assorbe tutti gli aspetti
della  vita  sociale  dei giovani figli di immigrati. Accanto al tema
dei  percorsi  scolastici delle seconde generazioni andranno prese in
considerazione   con   maggiore  attenzione  le  dinamiche  familiari
determinate  dal confronto tra prima e seconda generazione in termini
di  aspettative, motivazioni personali e progetti di vita, nonche' la
formazione professionale e l'inserimento lavorativo.
   Forme  di  discriminazione  possono  infatti  impedire  al giovane
migrante  di  seconda  e  terza  generazione  di accedere su un piano
paritario  rispetto  ai cittadini del paese ospitante ad un impiego e
ad un ruolo nella societa'.
   Le  istituzioni  dovrebbero quindi essere in grado di anticipare i
problemi  derivanti dal difficile passaggio dall'adolescenza all'eta'
adulta  di  giovani  immigrati  che  possono  svolgere  un  ruolo  di
intermediazione  tra societa' di accoglienza e cultura familiare, tra
genitori immigrati e mondo circostante.
   Sara'   dunque   opportuno   promuovere  specifiche  politiche  di
integrazione  con  attenzione a questo fenomeno, nella consapevolezza
che un ruolo fondamentale spetta all'istruzione e alla formazione.


                        4.7) Minori stranieri

   La  consistente  presenza di minori stranieri non accompagnati sul
territorio  italiano  rappresenta  un  aspetto specifico del fenomeno
migratorio,  tanto  che  l'art.  33  del  D.lgs  25.7.1998, n. 286 ha
istituito  un  apposito  Comitato  per  i Minori Stranieri che svolge
diverse funzioni.
   In  primo  luogo,  il  Comitato  e'  responsabile del monitoraggio
costante  delle  presenze  di  minori  stranieri  non  accompagnati e
dell'inserimento  delle  informazioni  in una apposita banca dati. In
secondo  luogo,  prende  le  misure necessarie all'accertamento dello
status  del  minore straniero e all'esame della sua condizione di non
accompagnato.  In  terzo  luogo  promuove  le  indagini familiari per
rintracciare  i  genitori dei minori nei Paesi di origine al fine del
ricongiungimento  degli  stessi  attraverso  il  rimpatrio assistito,
favorendo   interventi  per  il  sostegno  e  l'intensificazione  del
monitoraggio  ambientale  dei  contesti socio-familiari d'origine del
minore.
   Inoltre,  a  seguito  dell'entrata in vigore della legge 30 luglio
2002, n. 189, che ha posto attenzione al passaggio alla maggiore eta'
del  minore,  soprattutto  nel  caso  in  cui  questi sia inserito in
progetti di integrazione sociale e civile, il Comitato ha iniziato ad
esaminare   le  istanze  di  permanenza  ed  integrazione  di  minori
stranieri  non accompagnati in Italia, pervenute da parte dei servizi
sociali  dei Comuni (in conformita' all'art. 25 della legge 30 luglio
2002, n. 189).
   Al  fine  di  favorire  l'attivita' del Comitato, sara' necessario
continuare  nell'opera  di  rafforzamento dell'attivita' di supporto,
sia  per  quanto  riguarda  la  banca dati delle informazioni utili a
monitorare  il  fenomeno,  sia  per  implementare  il sistema di rete
relativamente  alle  indagini familiari, in modo da ottenere nel piu'
breve  tempo  possibile le informazioni circa la situazione familiare
del  minore.  A tal fine sara' opportuno sottoscrivere accordi con le
rappresentanze  diplomatico-consolari  dei Paesi d'origine dei minori
allo   scopo   di   accelerare  le  procedure  di  identificazione  e
razionalizzare  l'iter  del  riaffidamento  del  minore.  Allo stesso
tempo,  si  dovranno  ampliare i programmi di rimpatrio assistito con
accordi  con  i  Paesi  di  provenienza  e con le realta' associative
presenti  nei  Paese  di  origine,  per  facilitare  il reinserimento
familiare e sociale dei minori una volta rimpatriati.
   Altro   compito   del   Comitato  e'  la  gestione  dei  programmi
solidaristici   di   accoglienza   temporanea   promossi   da   enti,
associazioni  o  famiglie.  Si  tratta  di  un  fenomeno che riguarda
mediamente  36.000  ingressi  di minori accolti presso associazioni e
famiglie  per  soggiorni  temporanei  a  scopo  umanitario ogni anno.
Questa  attivita'  di  accoglienza ha avuto origine da un impulso del
mondo  dell'associazionismo  dopo il disastro ambientale di Chernobyl
e,  nel  corso  degli  anni, si e' ampliato anche ad altri Paesi e ad
altre  tipologie  di  minore.  Il  Comitato  ha, in questo ambito, il
compito primario di definire i criteri di valutazione delle richieste
per  l'ingresso  e  il  soggiorno  in  Italia  dei  minori, valutando
l'affidabilita' del proponente, la validita' dell'iniziativa, nonche'
l'affidabilita' del referente estero. Obiettivo fondamentale e comune
a tutti i soggetti coinvolti nell'accoglienza dei minori e' la tutela
di  detti  minori  che,  per  ragioni  di  solidarieta', sono accolti
temporaneamente  in  Italia.  In  tale  prospettiva,  il  Comitato ha
inaugurato  una  nuova fase di attivita', basata sulla valorizzazione
dell'associazionismo  di  solidarieta'.  Proprio  a  tale scopo, sono
state  elaborate  nuove  linee guida che recepiscono sia le richieste
delle  associazioni,  sia  una  valutazione  sull'evoluzione  che  ha
attualmente  assunto il fenomeno. L'attivita' futura avra' come scopo
prioritario  il  monitoraggio  del  soggiorno  dei  minori attraverso
incontri  con  le  associazioni  e  le famiglie durante il periodo di
permanenza  in  Italia  dei  minori. Si dovra' inoltre valutare, alla
luce  dei vincoli di finanza pubblica, la possibilita' di individuare
forme  di sostegno al bilancio dei comuni di piccole dimensioni e che
usufruiscono di limitate risorse finanziarie, per gli eventuali oneri
dipendenti  dalle  forme  di  assistenza erogate dall'amministrazione
comunale a minori stranieri non accompagnati.
   Si  ritiene  auspicabile  un maggiore coinvolgimento delle Regioni
nelle  attivita'  del  Comitato,  soprattutto  alla  luce  di  quanto
previsto  dall'art.  25  della  legge  189/02.  In  tal senso sarebbe
auspicabile  procedere  a  accordi  di  programma con le Regioni, per
quanto  riguarda  i  progetti  di  integrazione  sociale e civile, in
particolare sotto l'aspetto della formazione e dell'accoglienza.


                          4.8) Cittadinanza
   L'attivita'   del   Ministero  dell'interno  e'  incentrata  sulla
trattazione  delle  questioni  attinenti  allo  status  personae, con
particolare   riferimento  ai  provvedimenti  di  conferimento  della
cittadinanza  in favore di stranieri residenti o coniugi di cittadini
italiani,  al  riconoscimento  dello status di apolide, nonche' sulla
vigilanza  dell'esatta applicazione delle leggi emanate nella materia
e  sullo studio della legislazione e degli accordi internazionali nel
settore.
   La   normativa   riguardante  la  materia  della  cittadinanza  e'
disciplinata dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992, entrata in vigore
il  16  agosto 1992, che ha abrogato tutte le leggi e le disposizioni
emanate precedentemente.
   La predetta normativa disciplina due diverse modalita' di acquisto
della  cittadinanza, sempre su istanza di parte, e di conseguenti due
procedure:
      1) sul  presupposto  del  matrimonio  con cittadino italiano ai
sensi dell'art. 5,
      2) sul   presupposto   della  residenza  sul  territorio  della
Repubblica, ai sensi dell'art. 9.
   Occorre,  altresi'  soffermarsi sinteticamente sulle procedure per
ottenere, perdere o riacquistare il nostro status civitatis.
   Le  vigenti disposizioni regolanti le procedure sulla materia sono
contenute  nel  D.P.R.  12/10/1993,  n. 572 recante il Regolamento di
esecuzione  della  legge  5/02/1992, n. 91 e nel D.P.R. 18/04/1994 n.
362,  concernente  la  disciplina  dei procedimenti di acquisto della
cittadinanza italiana.

a) Acquisto
   In   applicazione  della  succitata  normativa  regolamentare,  le
istanze,  corredate  della  prescritta documentazione, per l'acquisto
della  cittadinanza  ai  sensi  dell'art. 5 (per matrimonio) e art. 9
(per  residenza) vanno presentate al Prefetto competente in relazione
al luogo di residenza del richiedente, ovvero all'Autorita' consolare
italiana  nel  caso  di  residenza all'estero (solo per l'acquisto ex
art. 5 o 9 lett. c).
   Nella   documentata  istanza,  redatta  su  appositi  modelli,  in
distribuzione  presso  gli  U.T.G.  (all'estero  presso i Consolati),
devono  essere  indicati  i  presupposti  in base ai quali si intende
conseguire la cittadinanza.

b) Rinuncia
   Al sensi dell'art. 11 legge 5/02/92 n. 91, si puo' rinunciare alla
cittadinanza  italiana  a  condizione  che si risieda all'estero o si
detenga  un'altra  cittadinanza;  ai  sensi  dell'art.  14,  se si e'
conseguito  durante  la minore eta' la cittadinanza italiana oltre ad
un'altra  gia'  posseduta;  se  sia  cessata l'adozione per cause non
imputabili   all'adottato   (art.  3  c.  4)  e  se  non  si  intenda
riacquistare  la  cittadinanza dopo un anno di residenza ininterrotta
sul  territorio  italiano  (art.  l3 c. 1, lett. d); infine, ai sensi
dell'art.  2  della  Convenzione di Strasburgo, si puo' rinunciare al
nostro  status  civitatis  a seguito di autorizzazione da parte dello
Stato alla cui cittadinanza si intende rinunciare.
   All'art.  8  del  Regolamento di esecuzione, cosi' come modificato
dall'art.  10 del D.P.R. 3/11/2000 n. 396, sono indicate le modalita'
per rendere le dichiarazioni di rinuncia.
   In  base  alla  succitata  normativa,  le dichiarazioni, corredate
della  prescritta  documentazione,  in  Italia,  devono  essere  rese
dinanzi  all'Ufficiale  di  stato  civile  del  comune  di residenza;
all'estero  devono  essere rilasciate dinanzi all'Autorita' consolare
italiana competente in relazione alla residenza del rinunziante.
   Le  dichiarazioni  devono  essere rese secondo le formule indicate
nell'allegato  A  del  citato  Decreto  del Ministro dell'interno del
5/04/2002.

c) Riacquisto
   Il  riacquisto  della cittadinanza e' previsto dagli artt. 13 e 17
della legge 5/02/1992 n. 91.
   Le dichiarazioni, corredate della prescritta documentazione, volte
a  riacquistare  il  nostro  status civitatis sono effettuate dinanzi
all'Ufficiale   dello   stato  civile  del  Comune  mediante  formule
stabilite  nell'allegato A del D.M 5/04/2002. Nei casi di prestazione
del  servizio militare per lo Stato italiano (art. 13, c. 1 lett. a);
nei  casi  di assunzione di un pubblico impiego alle dipendenze dello
Stato  (art. 13 c. 1 lett. b); nei casi di stabilimento della propria
residenza in Italia (art. 13 c. 1 lett. c); per chi avendo perduto la
cittadinanza  intende  riacquistarla  (art.  13 c. 1 lett. e); per la
donna che ha perduto, in data anteriore al 1/01/1948, la cittadinanza
italiana  a  seguito  di matrimonio contratto con uno straniero o per
mutamento  di  cittadinanza del coniuge (art. 17 c. 2 legge 5/02/1992
n. 91 e art. 219 legge 19/05/1975 n. 151).

d) Riconoscimento della cittadinanza ai sensi della legge 14/12/2000,
n. 379
   Le  persone  originarie  dei territori gia' appartenuti all'Impero
Austro-Ungarico   attualmente   italiani   o  ceduti  successivamente
all'Italia con i Trattati di pace di Parigi del 10/02/1947 e di Osimo
del   10/11/1975,   emigrate  all'estero  prima  del  16/07/1920,  ad
esclusione  dell'attuale  Repubblica  Austriaca,  possono ottenere il
riconoscimento   della  cittadinanza  italiana  qualora  rendano  una
dichiarazione,  corredata  dalla  prescritta  documentazione,  in tal
senso entro cinque anni dalla entrata in vigore della legge.
   Tale facolta' e' consentita anche ai loro discendenti.
   La  documentata dichiarazione deve essere presentata in Comune, se
il  richiedente  risiede  in  Italia  o  all'Autorita'  diplomatica o
consolare italiana, se risiede all'estero.
   Il  Console  o l'Ufficiale di stato civile del Comune di residenza
che  riceve la documentazione provvedera' a trasmetterla all'apposita
Commissione  Interministeriale  (istituita con D.M. 2/03/2001) per il
tramite  del  Ministero  dell'interno  che,  sulla  scorta del parere
positivo  dell'organo  collegiale, emanera' l'esito dell'accertamento
cui  e' subordinata l'efficacia della dichiarazione. La formula della
dichiarazione e' indicata nell'allegato A del D.M. 5/04/2002.

e) Apolidia
   Con  legge  1/02/1962,  n.  306,  l'Italia  ha  reso  esecutiva la
Convenzione  di  New  York  del  28/09/1954  sugli  apolidi.  Per  la
naturalizzazione  di  un soggetto apolide e' previsto il requisito di
un  periodo  di residenza legale abbreviato (cinque anni) rispetto ai
dieci  previsti  in  via ordinaria. Nel nostro paese l'apolidia di un
soggetto  puo' essere riconosciuta sia in sede giudiziaria che in via
amministrativa.  L'art. 17 del D.P.R n. 572/93 disciplina la relativa
procedura (la persona interessata al riconoscimento deve produrre una
documentata istanza in bollo) attribuendo esplicitamente al Ministero
dell'interno  la  competenza  al  rilascio  della  certificazione  di
apolidia.
   Reingegnerizzazione    dei    processi    di   concessione   della
cittadinanza:
   In  relazione all'imponente fenomeno della migrazione di cittadini
stranieri  ed  il  conseguente  ingente  e  progressivo aumento delle
istanze  prodotte e tese all'ottenimento del nostro status civitatis,
e'  stato gioco-forza studiare la reingegnerizzazione, attraverso una
nuova  programmazione  informatica, dei processi di concessione della
cittadinanza.
   Nel  mese  di  ottobre  del  2002  si  e' dato inizio al progetto,
suddiviso  in quattro fasi. Tale progetto di implementazione di nuove
procedure  informatiche  per  l'attivita' dell'Ufficio e' finalizzato
all'aumento del numero complessivo dei provvedimenti, all'aumento del
trend   di   produttivita'   dell'attivita'   dell'Ufficio,   nonche'
all'ampliamento  della  funzionalita' dello stesso con la progressiva
riduzione dei tempi di attesa dei richiedenti.
   I  dati statistici sulle concessioni della cittadinanza italiana e
sui paesi di provenienza degli stranieri e/o quelli di cui gli stessi
sono  titolari della cittadinanza evidenziano, in particolare, che il
maggior numero di concessioni risulta a favore di cittadini stranieri
dell'Europa   Orientale,  provenienti  quindi  da  paesi  dell'Unione
europea o attualmente coinvolti nel processo di allargamento. Seguono
le  concessioni a favore degli stranieri provenienti dal Sud America,
dall'Africa  del Nord e dal Continente Asiatico. Infine numerose sono
le concessioni a favore degli stranieri dell'estremo oriente.


        ---->   VEDERE TABELLA A PAG. 116 DELLA G.U.   <----

Concessioni di cittadinanza italiana
=====================================================================
                |     Totale      |     Uomini      |     Donne
=====================================================================
      1993      |      6544       |      2141       |      4403
      1994      |      6613       |      2043       |      4570
      1995      |      7416       |      2432       |      4984
      1996      |      7015       |      2202       |      4813
      1997      |      9237       |      2857       |      6380
      1998      |      12036      |      3464       |      8572
      1999      |      11337      |      3462       |      7875
      2000      |      9594       |      2851       |      6743
      2001      |      10290      |      2725       |      7565
Fonte: Ministero dell'interno

   In ogni caso, il numero delle istanze e delle relative concessioni
della cittadinanza sul presupposto del matrimonio supera quello delle
concessioni  sul  presupposto  della  residenza  ed  inoltre,  i dati
concernenti  la  differenza  di eta' tra il coniuge italiano e quello
straniero,  che  sul  presupposto del vincolo del coniugio, chiede la
cittadinanza  italiana  ai  sensi  dell'art.  5 della legge n. 91/92,
evidenziano la rilevanza del fenomeno dei matrimoni di comodo.
   Matrimoni di comodo
   La  predetta  normativa  non  contiene disposizioni specifiche per
arginarne  l'evoluzione: infatti, i presupposti di legge (sei mesi di
residenza legale in Italia ovvero tre anni di matrimonio se residenti
all'estero), una volta maturati, sono da considerare cristallizzati e
qualsiasi  circostanza  intervenuta  successivamente - purche' non si
tratti di annullamento del matrimonio - non puo' inficiarli.
   Pertanto,  in  presenza di tali presupposti di legge ed in assenza
delle cause preclusive di cui all'art. 6 della citata legge 91/92, lo
straniero  matura  il  diritto  al  conferimento  della  cittadinanza
italiana.
   Sono,  al  riguardo,  frequenti,  peraltro, i rapporti informativi
delle  Questure  o  i  pareri  resi  dal  Dipartimento della P.S. che
evidenziano  l'esistenza  di  provvedimenti di revoca del permesso di
soggiorno,  atteso  che tra i coniugi non vi e' mai stata convivenza,
che  il  matrimonio  e'  stato contratto al solo scopo di ottenere il
permesso  di  soggiorno,  talvolta  anche  dietro compenso di ingenti
somme di denaro.
   In  talune  delle  predette  fattispecie, nella considerazione che
puo'  ritenersi  nullo ab origine il permesso di soggiorno rilasciato
sull'errato  presupposto di una convivenza tra il coniuge straniero e
quello italiano, di fatto mai esistita, si e' provveduto a dichiarare
l'inammissibilita' dell'istanza di acquisto della cittadinanza per la
insussistenza della residenza legale prevista dall'art. 5 della legge
n. 91/92.
   Matrimoni bianchi
   Si  precisa infine che, per contrastare il fenomeno dei cosiddetti
"matrimoni  bianchi", nel caso di matrimonio di un cittadino italiano
con  uno straniero o con apolide, sono state gia' in passato proposte
modifiche da apportare alla vigente legge. Si potrebbe prevedere:
      a) che  il  matrimonio  debba  essere  validamente esistente al
momento del giuramento da parte del cittadino straniero o apolide che
acquista la cittadinanza;
      b) che  il  periodo di residenza legale in Italia, previsto dal
citato  art.  5,  sia  prolungato  di  almeno  un anno dalla data del
matrimonio e che si protragga fino alla prestazione del giuramento di
cui all'art. 10 della legge n. 91/92.
   Casi di riconoscimento ai sensi della legge 14112/2000, n. 379
   Rilevanti  risultano  anche  le  richieste di riconoscimento della
cittadinanza  italiana  ai  sensi  della  legge  14/12/2000  n.  379,
concernente  "Disposizioni  per  il riconoscimento della cittadinanza
italiana alle persone nate e gia' residenti nei territori appartenuti
all'Impero Austro-Ungarico e ai loro discendenti":
   Le  predette  richieste,  attualmente circa 2.000, presumibilmente
destinate  ad  aumentare,  presentate  ai  Comuni  ed  alle Autorita'
consolari   di  competenza,  vengono  esaminate  da  una  Commissione
Interministeriale  che  esprime il preventivo avviso in base al quale
il Ministero dell'interno si pronuncia sull'eventuale riconoscimento.


            4.9 Iniziative per migliorare la comprensione
                    con le diverse fedi religiose

   Secondo  i principi di laicita' dello Stato, questo si pone in una
posizione  di  non  ingerenza  di  fronte alle confessioni religiose,
quanto  a partecipazione ed organizzazione delle stesse, senza essere
estraneo   ed  indifferente,  tuttavia,  alle  garanzie  dei  diritti
inviolabili  dell'essere  umano, che debbono spettare agli aderenti a
tutte le confessioni.
   Vanno  osservati, al riguardo, i principi contenuti negli articoli
3, 8 e 19 della Costituzione che concernono: l'uguaglianza di tutti i
cittadini  senza  distinzione  di  religione;  la pari liberta' delle
confessioni  religiose  che  hanno  diritto  di  organizzarsi secondo
propri  statuti e i cui rapporti con lo Stato sono regolati per legge
sulla  base  di  `intese';  il diritto di tutti - quindi non solo dei
cittadini,  ma  anche  degli stranieri di professare la propria fede,
farne  propaganda  ed  esercitare  il  relativo  culto, a condizione,
tuttavia, che si tratti di riti non contrari al buon costume.
   Grazie  al  ruolo  che  la  Chiesa cattolica ha sempre rivestito e
riveste nella cultura storico-religiosa del nostro Paese, alla stessa
-   come   noto   -   e'   conferito  un  particolare  riconoscimento
costituzionale: l'art. 7 della Costituzione prevede, infatti, che `Lo
Stato  e  la  Chiesa  cattolica  sono,  ciascuno  nel proprio ordine,
indipendenti  e  sovrani'  ed  i  relativi rapporti sono regolati con
speciali norme di natura pattizia(il Trattato e il Concordato).
   Per  quanto  riguarda  le  altre confessioni, lo Stato ha, finora,
stipulato le `intese' di cui al citato art. 8 della Costituzione con:
la  Tavola Valdese, l'Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7°
Giorno,  le Assemblee di Dio in Italia, l'Unione Cristiana Evangelica
Battista d'Italia, la Chiesa Evangelica Luterana in Italia e l'Unione
delle Comunita' Ebraiche italiane.
   E'   auspicabile  l'estensione  di  tali  intese  anche  ad  altre
religioni,  che operano di fatto sul nostro territorio, alle quali si
applica   tuttora  la  vecchia  normativa  (1929  -1930)  sui  `culti
ammessi'.  Occorre  aggiungere  che  un disegno di legge, in corso di
esame  (A.C.  2531),  si propone di realizzare la compiuta attuazione
delle  garanzie  costituzionali  riguardanti  i diritti individuali e
collettivi  in materia di liberta' religiosa, raccordandole anche con
le normative internazionali in materia.
   Resta  basilare,  in ogni caso, il citato principio costituzionale
che  prevede  il  diritto  di  tutti  e  quindi anche degli stranieri
presenti  nel  nostro  Paese  -  di professare la propria fede, farne
propaganda  ed  esercitare  il relativo culto, con l'unica condizione
che non si tratti di riti contrari al buon costume.
   A  tale  condizione,  dunque, tutte le confessioni religiose dagli
stranieri  possono  essere  professate  liberamente. Il loro concreto
impatto  sul  nostro  territorio,  tuttavia,  non  si presenta sempre
semplice,  specie  per  quei  culti  che  si  accompagnano  ad  usi e
tradizioni molto diversi e distanti dai nostri e che spesso suscitano
forti diffidenze nelle popolazioni locali.
   Un'adeguata  informazione  e  conoscenza  dei  culti  che  si sono
diffusi  con  le  recenti immigrazioni appare, percio' essenziale per
migliorare  la comprensione delle diverse fedi religiose presenti nel
nostro Paese.
   Tali   confessioni   possono   avere   voce  anche  attraverso  la
partecipazione  dei vari organismi e associazioni che rappresentano i
cittadini    extracomunitari    nei    Consigli    territoriali   per
l'immigrazione,   allo   scopo   di  agevolare  l'integrazione  degli
stranieri regolari nel nostro Paese.
   I  Consigli territoriali per l'immigrazione - previsti dall'art. 3
del  T.U.  -  rappresentano,  infatti,  le  sedi  locali di analisi e
confronto  delle  problematiche  degli immigrati e di riferimento per
tutti  i  soggetti  che  agiscono  ai  fini  dell'integrazione  degli
stranieri   sul   nostro   territorio.  Anche  le  problematiche  che
riguardano  gli aspetti religiosi della vita degli stranieri possono,
quindi,  esservi  discusse e approfondite, allo scopo di agevolare la
conoscenza  e  la  comprensione  delle  diverse  fedi  religiose, che
debbono  essere, in ogni caso, praticate nel rispetto delle leggi del
nostro Paese.
   Si  ritiene, pertanto, che vada conferito sempre maggiore impulso,
attraverso  detti  Consigli  - ed in ogni altra sede opportuna - alle
iniziative di informazione e sensibilizzazione su tale delicato tema,
che  rappresenta  sicuramente uno degli aspetti di maggior rilievo ed
importanza riguardanti la convivenza e l'integrazione degli stranieri
in Italia.
   Il   Ministero  dell'interno  ha  proposto  il  tema  del  dialogo
inter-religioso  anche  in  sede  comunitaria, realizzando durante il
semestre   di   Presidenza   un'importante  Conferenza  dei  Ministri
dell'interno  dell'Unione  allargata ai nuovi Stati membri e ai Paesi
candidati.  Da  questa iniziativa e' scaturito l'impegno dell'Unione,
contenuto   in   un'apposita   Dichiarazione  adottata  dai  Ministri
dell'interno  e  sancita  dai Capi di Stato e di Governo, ad assumere
ogni possibile iniziativa per favorire il dialogo tra le diverse fedi
religiose,   con   particolare   riguardo   alle   tre   grandi  fedi
monoteistiche.


                         4.10) Informazione

   Nell'ambito   delle   misure  tese  a  favorire  le  politiche  di
integrazione   degli   immigrati   residenti   nel  nostro  paese  di
fondamentale  importanza  appare l'attivita' di comunicazione rivolta
alla  popolazione straniera, finalizzata ad una puntuale informazione
su diritti e doveri in materia di immigrazione.
   Con l'entrata in vigore della nuova legge n. 189/2002 che modifica
il  T.U.  in  materia  di  immigrazione  (D.L. n. 286/98), sono state
introdotte  nuove  norme  sulle  modalita' di ingresso e soggiorno in
Italia  da  parte  dei  cittadini  extracomunitari.  Tali cambiamenti
dovrebbero  essere  accompagnati  da  puntuali  campagne informative,
aventi  come  destinatari  i  cittadini  non  comunitari,  al fine di
favorire  la  conoscenza  di  diritti  e doveri e l'accessibilita' ai
servizi pubblici.
   La  figura  del  mediatore  culturale  potrebbe  svolgere, in tale
ambito,  un ruolo importante allo scopo di ridurre le distanze fra le
istituzioni   del   Paese   ospitante  e  la  popolazione  immigrata,
interagendo  con essi. Tra gli ambiti di intervento inediti nei quali
coinvolgere  mediatori culturali, le Direzioni provinciali del lavoro
potrebbero rappresentare uno spazio strategico di informazione capace
di rispondere alle esigenze dell'utenza immigrata.
   Nell'ambito  di questi come di altri settori di riferimento per il
lavoratore straniero e per le comunita' immigrate sarebbe auspicabile
da  parte  dell'Amministrazione  centrale,  degli enti locali e delle
associazioni  datoriali,  la promozione di strategie di comunicazione
multilingue  dirette  al pubblico immigrato, eventualmente supportate
da  mediatori culturali, e veicolate attraverso vecchi e nuovi media,
postazioni  informatiche  multimediali, eventi fieristici, manifesti,
materiali   informativi   relativi  alla  disciplina  in  materia  di
immigrazione (leggi, decreti, circolari, direttive, ecc.), ai diritti
e  doveri dei cittadini, alle procedure per avere documenti personali
o per avere accesso ad una serie a servizi pubblici.
   Nel  quadro  delle  iniziative  dirette  a favorire il processo di
integrazione della popolazione immigrata nel nostro Paese, e' nato il
progetto  "Civis  -  verso  una societa' multirazziale", promosso dal
Ministero    dell'interno    in    collaborazione   con   la   R.A.I.
Radiotelevisione   italiana,   nell'ambito  del  Programma  Operativo
Nazionale  "Sicurezza  per  lo  sviluppo  del  Mezzogiorno  d'Italia"
finanziato sui fondi strutturali europei 2000-2006.
   L'iniziativa  in  oggetto  e' stata ammessa a finanziamento per un
importo  complessivo  di  euro  5.893.806 (comprensivo di I.V.A), che
grava  sul  fondo  di  rotazione  per  l'attuazione  delle  politiche
comunitarie previste dalla legge 183/87.
   Tale  iniziativa,  di durata triennale - in corso di realizzazione
dal 2001, si struttura attraverso due diverse linee di azione, mirate
a   promuovere   un   corretto   processo   di   integrazione   e  di
socializzazione  degli immigrati. 11 progetto si propone, inoltre, di
sensibilizzare    i    cittadini   italiani   affinche',   attraverso
un'informazione   corretta   sull'attivita'   svolta   dal  Ministero
dell'interno,   orientata   da  un  lato  a  contenere  i  flussi  di
immigrazione  clandestina  e  dall'altro a garantire all'immigrazione
regolare  adeguate  condizioni di vita, possano comprendere il quadro
complesso  del fenomeno immigrazione ed acquisire una nuova coscienza
della societa' multietnica. La prima linea di azione si e' concretata
nella   distribuzione,  a  30  Prefetture  del  Meridione  -  per  la
successiva  diffusione  agli  stranieri  immigrati  -,  di  materiali
informativi  multimediali  (audiocassette,  videocassette,  fascicoli
monografici  a  stampa),  realizzati  nelle 'lingue dei piu' popolosi
gruppi  etnici  presenti  sul  nostro  territorio  (arabo,  albanese,
filippino,  inglese,  francese,  spagnolo,  russo, cinese) nonche' in
italiano, sui temi:
      • "Le leggi, le istituzioni, i servizi";
      • "La casa, il lavoro";
      • 'La scuola, la cultura".
   La  seconda  linea  di  azione  si  sviluppa  in  una  campagna di
informazione   mirata   alla   positiva   collocazione  della  figura
dell'immigrato   regolare   in   termini   lavorativi,   economici  e
demografici,   allo   scopo  di  trasmettere  un'immagine  del  mondo
dell'immigrazione    che   permetta   ai   cittadini   di   acquisire
un'informazione corretta ed equilibrata sulla societa' multirazziale.
   A   tale   scopo  e'  stata  realizzata,  insieme  alla  R.A.I.  -
Radiotelevisione  Italiana,  una  serie  di  inserimenti tematici, in
varie  trasmissioni  televisive,  relativi  a  storie di integrazione
riuscita,    a   problemi   connessi   alla   situazione   abitativa,
all'assistenza sanitaria, all'inserimento scolastico degli stranieri,
nonche',  al  delicato  tema della "tratta ". Alcuni inserimenti sono
stati inoltre dedicati al tema dell'informazione per l'integrazione e
la sicurezza.


                  4.11) Lotta alle discriminazioni

   Su  questo  fronte,  il  Dipartimento  per le pari opportunita' e'
intervenuto,  di  recente,  per  integrare, in modo significativo, il
quadro normativo di riferimento.
   Si   segnala,   infatti,   che  e'  stata  recepita,  con  decreto
legislativo  9 luglio 2003, n°215, la direttiva 2000/43/CE, che attua
il   principio   della   parita'   di   trattamento  fra  le  persone
indipendentemente  dalla razza e dall'origine etnica, in un ambito di
applicazione  dai  confini  estesi comprendenti il settore pubblico e
privato,  lo  svolgimento  del  rapporto  di  lavoro,  la  protezione
sociale, l'assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l'istruzione
e  l'accesso a beni e servizi. Il decreto fa, inoltre, salve tutte le
disposizioni  vigenti inerenti le condizioni di ingresso, soggiorno e
accesso   all'occupazione,   all'assistenza  e  alla  previdenza  dei
cittadini  nei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato
e  le  disposizioni  che  prevedono  differenze di trattamento basate
sulla nazionalita'.
   Il  decreto  offre  una  precisa  definizione  di  discriminazione
diretta   e   indiretta,   prevede   la   giustificazione  di  alcune
discriminazioni, disciplina i meccanismi di tutela giurisdizionale da
attivare  anche attraverso associazioni ed enti, iscritti in appositi
elenchi, cui e' stata riconosciuta la legittimazione ad agire.
   Il   provvedimento   garantisce   alla   persona   vittima  di  un
comportamento  discriminatorio  una  tutela  giurisdizionale  ampia e
completa, consentendole di esperire o l'azione disciplinata dall'art.
44 del testo unico dell'immigrazione o il tentativo di conciliazione.
Nel  caso di accoglimento del ricorso il soggetto discriminato potra'
ottenere  il  risarcimento  del  danno  anche  non  patrimoniale,  la
cessazione  del  comportamento  discriminatorio, nonche' la rimozione
degli effetti ad esso collegati.
   Rispondendo   alle  sollecitazioni  del  diritto  comunitario,  il
decreto,  inoltre,  istituisce  presso  il  Dipartimento  per le pari
opportunita' l'Ufficio per la promozione della parita' di trattamento
e   la   rimozione   delle  discriminazioni  fondate  sulla  razza  o
sull'origine etnica, quale presidio di riferimento per il controllo e
la  garanzia  della  parita' di trattamento e dell'operativita' degli
strumenti di tutela.
   A  questa  nuova  struttura  sono  affidati  compiti  specifici di
assistenza   alle   vittime   di   comportamenti  discriminatori  nei
procedimenti  intrapresi  da queste ultime sia in sede amministrativa
che  giurisdizionale;  di promozione di azioni di sensibilizzazione e
campagne  di  comunicazione;  di  incentivazione  di studi, ricerche,
corsi  di  formazione e scambi di esperienze, anche in collaborazione
con le associazioni e organizzazioni che operano nel settore.
   Il decreto legislativo in esame prevede, inoltre, sia istituito un
albo  cui  possono iscriversi le associazioni che hanno un'esperienza
consolidata nella materia della lotta alle discriminazioni.


                     4.12) Mediazione culturale

   Negli  ultimi  anni  i  mediatori  culturali hanno svolto un ruolo
importante  per la facilitazione dei processi di integrazione sociale
e  culturale  degli  immigrati  soggiornanti in Italia. Questa figura
professionale  dovra'  sempre  di  piu'  favorire  il  rapporto tra i
cittadini  stranieri  e  le  istituzioni pubbliche. La loro presenza,
dall'accoglienza  agli  sbarchi, al supporto agli operatori italiani,
alla   funzione   di   orientamento   e   informazione  sui  diritti,
all'attivita'  di  educazione interculturale e sostegno nei confronti
di  alunni  stranieri  o  dei pazienti stranieri, comporta competenze
diversificate  rispetto  ai  diversi  contesti.  Se nel settore della
pubblica  sicurezza  e  della  giustizia  il  mediatore accompagna lo
straniero nelle procedure che legittimano la sua presenza regolare in
Italia o che sanzionano la violazione di determinate norme, in ambito
sociale,  sanitario, scolastico, il mediatore facilita il processo di
integrazione  dello  straniero, agendo come facilitatore nei rapporti
con  le  istituzioni e come agente di pari opportunita', mediatore di
squilibri nell'accesso ai servizi.
   Le  crescenti  esigenze  di  mediazione  culturale  da parte delle
amministrazioni   e   le   esperienze   realizzate  in  questi  anni,
suggeriscono  per il futuro l'adozione di modalita' diversificate per
la  collaborazione  del  mediatore,  dal  servizio  a  chiamata  alla
presenza fissa. La "convenzione a chiamata", cioe' tramite stipula di
convenzione  con  singoli  mediatori  o  associazioni  che attuano un
servizio   di   mediazione   linguistico-culturale  intervenendo  "su
chiamata"  dell'istituzione  in  caso  di  bisogno puo' rispondere ad
esigenze  contingenti e temporalmente limitate o a servizi con utenza
ridotta,  mentre  la  "presenza  fissa" potrebbe rispondere meglio ai
bisogni  delle questure, delle carceri e di ospedali di grandi citta'
dove la presenza di stranieri appartenenti a determinate nazionalita'
e'  elevata  e costante. Sotto questo profilo, l'azione dei mediatori
dovrebbe  essere  sostenuta  da  una  standardizzazione  dei percorsi
formativi    e    dal   riconoscimento   di   specifiche   competenze
professionali, da disciplinare a livello normativo nazionale.
   Un'esperienza  positiva  in  tal  senso  che puo' rappresentare un
modello  di riferimento, e' quella del "Programma operativo nazionale
per  la  Sicurezza  e  lo  Sviluppo  del  mezzogiorno d'Italia". Tale
iniziativa  prevede, nell'ambito di un rapporto di collaborazione con
le  Regioni  interessate,  la  costituzione  di una rete di mediatori
culturali   che  operino  all'interno  di  un  nucleo  di  interventi
finalizzati a circoscritti processi di accoglienza e di integrazione.


                Cap. 5) Richiedenti asilo e rifugiati

   Le    problematiche   dell'asilo   non   riguardano   direttamente
l'applicazione  del  testo  unico  sull'immigrazione  ma,  come  gia'
osservato,  hanno  una influenza sull'analisi dei movimenti migratori
in   quanto   spesso   i   flussi   d'immigrazione   economica  usano
strumentalmente  i canali della protezione internazionale e, inoltre,
investono direttamente le politiche dell'accoglienza.
   Il  numero  dei  richiedenti  asilo e' stato nel 2000 superiore ai
18.000 con una lieve flessione nel 2001 con 17.000 istanze; flessione
confermata  nel 2002 con un numero di domande intorno alle 15.000. La
tendenza  in  atto  appare  confermata anche dall'andamento del primo
semestre del 2003.
   Sono   gia'  state  evidenziate  le  problematiche  connesse  alla
particolare  lunghezza delle procedure di esame presso la Commissione
Centrale  per  il  riconoscimento  dello  status  di rifugiato. Tempi
lunghi dovuti al trend di crescita delle istanze di asilo, incremento
avvenuto  a  partire  dall'emanazione  della  legge  n.39/1990 (legge
Martelli)  che  ha  rimosso  la riserva geografica che aveva limitato
fino  ad allora ai soli europei la possibilita' di ottenere lo status
di rifugiato.
   La   lunghezza   dei   tempi  di  esame  provoca  conseguentemente
condizioni  di  accoglienza  inadeguate del richiedente asilo che non
puo'  provvedere  ai propri bisogni attraverso una regolare attivita'
lavorativa.  L'assistenza  prevista  dalla  legge  n.  39 del 1990 e'
infatti,  limitata  esclusivamente  all'erogazione  di  un contributo
economico  giornaliero  per  soli  45  giorni  a  fronte,  invece, di
procedure con tempi superiori agli 8 mesi.
   La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha inteso intervenire per ridurre
i  tempi  di  esame  delle  istanze  di asilo sostituendo ad un unico
organo  centrale  competente  all'esame una articolazione di organi a
livello    provinciale    (le   Commissioni   territoriali   per   il
riconoscimento   dello   status  di  rifugiato).  Tale  articolazione
periferica,  unita  alla  realizzazione  di  strutture finalizzate ad
evitare  la  dispersione  sul  territorio  nazionale  dei richiedenti
asilo,  consentira'  di  procedere  alla valutazione delle situazione
personali   con   tempi  procedurali  pari  a  20  giorni  (procedure
semplificate)  ovvero  30  giorni  (procedure ordinarie). Le medesime
strutture,  denominate  centri di identificazione, garantiranno anche
l'accoglienza  della  maggior  parte di richiedenti asilo cioe' tutti
coloro che sono entrati nel territorio nazionale eludendo i controlli
di  frontiera  ovvero  quelli  fermati  in  condizione  di  soggiorno
irregolare.
   La  Commissione  Centrale  per  il  riconoscimento dello status di
rifugiato e' sostituita dalla Commissione nazionale per il diritto di
asilo. L'organo centrale e' chiamato a svolgere funzioni di indirizzo
e  coordinamento  delle  Commissioni  territoriali e sara' competente
alle  revoche dello status. Al fine predetto la Commissione Nazionale
potra'  sviluppare  nel  proprio ambito le analisi, studi e verifiche
sulla  situazione  dei  singoli  paesi di provenienza dei richiedenti
asilo.
   Tutto  il  sistema  previsto  dalla citata legge n. 189 ha trovato
applicazione  con il regolamento attuativo della normativa sull'asilo
introdotta dalla nuova disciplina.
   Con  l'attuazione  delle  nuove  norme trovera' soluzione l'annoso
problema  dell'accoglienza  dei  richiedenti  asilo che grava in gran
parte  sugli  enti  locali  chiamati  a  fornire assistenza, ai sensi
dell'art.  40  del  T.U.  n.  286/1998  agli  stranieri  regolarmente
soggiornanti in condizioni di bisogno.
   Per   sviluppare   le   iniziative   nel   settore,  il  Ministero
dell'interno,  grazie  alla  collaborazione  dell'Alto  Commissariato
delle   Nazioni  Unite  per  i  Rifugiati  (ACNUR)  e  l'Associazione
Nazionale  Comuni  Italiani  (ANCI) ha dato vita a partire dal 2001 -
coi  finanziamenti  della  quota  otto  per  mille  IRPEF e del Fondo
europeo  per  i  Rifugiati  -  ad  uno specifico programma denominato
"Programma Nazionale asilo". Tale programma ha dato vita, nell'ambito
delle  risorse  finanziarie disponibili, ad una rete di accoglienza a
livello locale estesa a tutto il territorio nazionale.
   La  legge  n.  189/2002  ha voluto riconoscere il ruolo della rete
cosi'  realizzata  istituendo,  presso  il Ministero dell'interno, un
apposito Fondo a sostegno delle attivita' svolte dagli enti locali in
favore  dei richiedenti asilo e dei rifugiati: il Fondo nazionale per
le politiche e i servizi dell'asilo.
   Per   il   coordinamento   di   tale  attivita'  e'  poi  prevista
l'istituzione  di una unita' organizzativa di stimolo e coordinamento
dell'attivita' degli enti locali in materia, il Servizio Centrale.
   La  prima ripartizione del Fondo, riservata dalla legge istitutiva
a favore delle iniziative in atto finanziate con il Fondo Europeo per
i  rifugiati,  e'  avvenuta  con decreto del Ministro dell'interno in
data 23 luglio 2003.
   Nel 2003, nonostante l'assenza del regolamento attuativo che, come
osservato, e' condizione per l'applicazione della nuova disciplina in
materia  di  asilo  prevista  dalla citata legge n. 189, si e' potuto
procedere  alla  ripartizione  del  Fondo  sulla base dell'articolo 3
dell'ordinanza  del  Presidente del Consiglio dei Ministri in data 23
maggio 2003, n. 3287.
   La dotazione del Fondo e' costituita, ai sensi dell'art. 1 septies
della   citata   legge   189,   dalle  risorse  iscritte  nell'unita'
previsionale  di  base  4.1.2.5  "Immigrati,  profughi  e  rifugiati"
capitolo   2359   del  Ministero  dell'interno  per  l'anno  2002,  e
corrispondenti  a  5,16  milioni di euro. La medesima disposizione fa
confluire,  inoltre, al Fondo anche le assegnazioni annuali del Fondo
europeo per i rifugiati, comprese quelle gia' attribuite per gli anni
2000,  2001  e 2002 ed in via di accreditamento al Fondo di rotazione
del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze.  Ulteriori  risorse
possono affluire sul Fondo attraverso contributi e donazioni disposti
da  soggetti pubblici o privati, anche internazionali ovvero da parte
di organismi dell'Unione europea.
   Per  l'anno  2003 non sono state effettuate assegnazioni sul Fondo
da parte del FER.
   In  attuazione  dell'art.  80,  comma  8,  della legge n. 289/2002
(legge  finanziaria 2003), e' stato inoltre assegnato un importo pari
a € 6.000.000,00.
   La  dotazione per l'esercizio finanziario 2003; del capitolo 2361,
e'  risultata  complessivamente  pari  a  €  11.160.000,00.  Di  tale
stanziamento € 8.956.521,99 sono stati assegnati agli enti locali.
   Sulla  rimanente  somma  e'  stata  finanziata  l'istituzione  del
Servizio  Centrale, affidato ai sensi del citato art. l sexies, comma
4,  all'Associazione  Nazionale  Comuni  Italiani attraverso apposita
convenzione siglata con il Ministero dell'interno.
   Con  l'istituzione  del  Servizio  Centrale  si  e' resa operativa
l'unita'  di  coordinamento  e  stimolo del sistema di protezione per
richiedenti  asilo  e  rifugiati  e sono stati dati supporto tecnico,
informazione  e  consulenza  agli  Enti  locali  che prestano servizi
finalizzati  all'accoglienza  di  tali categorie di stranieri e i cui
interventi  sono  stati  sostenuti  con  le risorse del Fondo. Con la
prima  ripartizione  delle risorse del Fondo sono stati finanziati 50
Comuni,  distribuiti  su  tutto  il  territorio  nazionale, che hanno
permesso  di  dare  assistenza  a  1995  beneficiari, tra richiedenti
asilo,  rifugiati  e stranieri in possesso di permesso per protezione
umanitaria.
   Nel settore gli obiettivi prioritari sono:
      a)-applicazione    della    legge    n.   189/2002   attraverso
l'istituzione  delle  Commissioni  territoriali,  la  costruzione dei
centri  di  identificazione  e  definizione  delle  linee  guida  per
l'indirizzo  dei servizi di assistenza e tutela dei richiedenti asilo
e  rifugiati  che  saranno  finanziati  dal  Fondo  Nazionale  per le
politiche e i servizi dell'asilo;
      b) armonizzazione della normativa nazionale a quella europea in
applicazione del Trattato dell'Unione europea;
      c) attuazione dell'articolo 10, comma 3, della Costituzione sul
diritto  di  asilo attraverso una legge organica in materia che tenga
conto dei principi di armonizzazione europea in via di elaborazione.
   In  merito  all'armonizzazione  europea  si  fa  presente  che nel
settore,  secondo i tempi stabiliti dal Trattato di Amsterdam, si sta
procedendo all'adozione di rilevanti atti normativi comunitari.
   In  particolare  sono  stati  gia'  approvati  il  regolamento che
stabilisce la competenza degli Stati membri per l'esame delle domande
di  asilo  (Regolamento  CE  n.  343/2003  del 18 febbraio 2003) e la
direttiva   recante   norme   minime   relative  all'accoglienza  dei
richiedenti asilo (Direttiva n. 9/2003/CE del 27 gennaio 2003).
   Per  il  completamento  del  quadro  della  medesima normativa, la
Presidenza  italiana  UE  e'  stata  chiamata  a  concludere l'esame,
secondo  il  Consiglio  europeo  di  Salonicco del giugno 2003, della
proposta  di direttiva sull'attribuzione a cittadini di Paesi terzi o
apolidi   della  qualifica  di  rifugiato  o  di  persona  altrimenti
bisognosa  di  protezione  internazionale  nonche'  norme  minime sul
contenuto  della  protezione  riconosciuta e la proposta di direttiva
sugli  standard  minimi  delle  procedure  negli  Stati membri per il
riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato.