edilizia e tecnologie sanitarie, di cui all'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, hanno avuto ed hanno il compito di traghettare il patrimonio strutturale e tecnologico del SSN attualizzandolo rispetto ai nuovi principi di assistenza pubblica: riqualificazione dell'offerta attraverso la definizione di una rete differenziata di strutture, dall'alta specialita' all'ospedale di comunita', assistenza sul territorio, potenziamento del parco tecnologico. L'attuazione delle politiche del programma straordinario degli investimenti previsti dall'art. 20 della legge 67/1988 e' volta, quindi, a garantire l'adeguamento delle strutture edilizie e delle tecnologie impiegate nel Sistema Sanitario Nazionale alla nuova visione della Salute. La politica degli investimenti va considerata quale parte integrante delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, tenuto conto che la definizione dei livelli essenziali di assistenza si configura quale modello prestazionale obbligatorio e che le attivita' sanitarie e socio sanitarie devono essere esercitate in strutture idonee, con caratteristiche edilizie e tecnologiche minime che, allo stato, risultano quelle fissate dal D.P.R. 14 gennaio 1997. Il programma di investimenti, infatti, contribuisce al processo di razionalizzazione della rete ospedaliera e territoriale, finanziando interventi volti al miglioramento dell'offerta dei servizi, e quindi della dotazione strutturale e tecnologica, ricompresi in una programmazione sanitaria regionale. Dai dati delle piu' recenti rilevazioni sul patrimonio tecnologico del SSN, risulta che molte delle apparecchiature censite sono mal distribuite, e a volte sottoutilizzate rispetto alle loro potenzialita' intrinseche, sul territorio nazionale e presentano un'obsolescenza a rischio. Va rilevato che in questo settore ad alta tecnologia l'impegno di spesa si traduce sistematicamente in un risparmio notevole sui costi complessivi del settore sanitario, dal momento che diagnosi accurate e precoci consentono quasi sempre di ridurre in maniera rilevante i costi sanitari (e anche i costi sociali) della maggior parte delle patologie. Anche in questo settore vanno rispettati gli impegni assunti congiuntamente dallo Stato e dalle Regioni assunto il 23 marzo 2005, in cui e' previsto di destinare almeno una quota pari al 15% del finanziamento per l'ammodernamento tecnologico. In tema di ammodernamento tecnologico, un discorso a parte merita lo sviluppo dei sistemi informativi. Il primo punto che e' opportuno sottolineare e' che i sistemi informativi delle aziende sanitarie assolvono a una duplice funzione: 1. supportare i processi (amministrativi e sanitari) aumentandone il piu' possibile efficienza e qualita'; 2. registrare i dati fondamentali relativi ai processi stessi. E' necessario che entrambi gli obiettivi siano essere tenuti in opportuna considerazione in sede di selezione o implementazione dei sistemi informativi e che lo sviluppo dei sistemi informativi del livello aziendale del SSN, soprattutto laddove finanziato o co-finanziato dalle amministrazioni centrali, sia opportunamente indirizzato per consentire il contemporaneo raggiungimento sia degli obiettivi di supporto ai processi sia per gli obiettivi di valutazione. L'inserimento dei sistemi informativi nelle organizzazioni sanitarie deve essere accompagnato da un parallela riflessione sulle modalita' di funzionamento dei processi, in particolare in quei contesti (primo fra tutti il territorio e l'erogazione di servizi ai pazienti affetti da cronicita) in cui l'assenza di unitarieta' nel "luogo" in cui il processo si realizza e la sostanziale assenza di modelli organizzativi gia' pienamente consolidati e integrati (ad es. tra sanitario e sociale) rendono arduo pensare allo sviluppo di soluzioni informatiche indipendenti dall'organizzazione in cui debbono essere calati. Anche in questo caso si puo' portare un esempio, che e' quello della telemedicina. In generale e' quindi esigenza ormai inderogabile, quella di orientare tutti gli attori interessati, ad un'azione congiunta su sistemi informativi e reingegnerizzazione dei processi. In questo contesto appare opportuno che si apra uno specifico campo di collaborazione tra Ministero della Salute e Regioni che, nel pieno rispetto dell'autonomia delle singole Regioni stesse, consenta pero' di mettere in condivisione le singole esperienze sui diversi modelli organizzativi adottati, e di identificare le best practices esistenti. Tali best practices, possono essere condivise tra le Regioni (che rimangono comunque libere riguardo alla loro adozione) e possono fornire elementi di guida per le diverse iniziative, in particolare quelle per cui sono disponibili finanziamenti nazionali, volte a supportare lo sviluppo dei sistemi informativi. La valutazione delle tecnologie sanitarie - Health technology assessment - (HTA) ha l'obiettivo di informare coloro che devono prendere le decisioni sulla scelta di tecnologie, usando le migliori evidenze scientifiche sull'impatto e le implicazioni mediche, sociali, economiche ed etiche degli investimenti in sanita'. Tali metodologie sono indispensabili nella valutazione delle alte tecnologie, per gli alti costi e la difficile gestione connessi, al fine di consentirne una distribuzione razionale sul territorio, per evitare inutili sprechi (doppioni) o gravi carenze. E' ormai largamente diffusa anche in molti Paesi europei la consapevolezza che occorre effettuare la valutazione sistematica delle tecnologie sanitarie rispetto ai principali elementi che ne connotano l'utilizzo, e cioe' la tecnologia stessa, i pazienti, l'organizzazione e l'impatto economico ed e' necessario che anche in Italia si riconosca che l'HTA e' una priorita', ed e' necessario sviluppare la promozione dell'uso degli strumenti di HTA, mettendo in comune le conoscenze sul tema, gia' in parte presenti in alcune realta' regionali ed aziendali. La valutazione delle tecnologie sanitarie, intesa come insieme di metodi e strumenti per supportare le decisioni, si rivolge ai diversi livelli decisionali secondo modelli operativi differenziati, rivolti a fornire supporto a: 1. decisioni di politica sanitaria (adozione, diffusione e finanziamento di nuove tecnologie); 2. decisioni "manageriali" di investimento in nuove tecnologie a livello aziendale e per la promozione di un utilizzo appropriato delle tecnologie medesime tramite l'elaborazione di protocolli; 3. decisioni cliniche, per la diffusione di "modelli di governo (governance)" individuati da strutture centrali, e da adottare a livello organizzativo, quali la definizione e diffusione degli standard qualitativi e quantitativi. L'obiettivo principale da perseguire e' la creazione di una rete nazionale articolata a livello regionale ed aziendale, per consentire lo scambio effettivo di informazioni che possa fungere da supporto per le scelte di politica sanitaria, in relazione alla necessita' di avere a disposizione informazioni attendibili, tempestive, trasparenti e trasferibili sulle tecnologie sanitarie. Le attivita' di HTA devono essere in stretto legame con le azioni in corso a livello europeo, per consentire un effettivo scambio di esperienze tra i paesi europei, nel contesto del Gruppo di alto livello sulle cure sanitarie. A tale scopo potrebbero essere utilizzati finanziamenti della ricerca finalizzata ex art. 12 dedicati a: - sviluppo della ricerca "primaria" originale; - revisioni sistematiche e metaanalisi di studi gia' disponibili; - sostegno allo sviluppo di piattaforme tecnologiche ed informative per il supporto agli studi clinici, valutativi ed economici dell'impatto delle innovazioni sulle condizioni di salute e sui costi, quali ad esempio registri delle patologie e/o delle tecnologie, su base regionale o interregionale; - sviluppo della funzione di coordinamento (clearinghouse) delle attivita' di valutazione condotte a livello regionale (o interregionale) da parte degli organi tecnici centrali del SSN, quali l'Istituto Superiore di Sanita' e l'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali. 4.2. Il ruolo del cittadino e della societa' civile nelle scelte e nella gestione del Servizio sanitario nazionale. Obiettivo del piano e' favorire le varie forme di partecipazione del cittadino, in particolare attraverso il coinvolgimento dei pazienti e delle associazioni dei familiari. La partecipazione e' intesa in senso ampio, sia come diretta partecipazione del cittadino/paziente/utente alle scelte terapeutiche e assistenziali che lo riguardano, sia come partecipazione delle organizzazioni che esprimono la societa' civile e, in primo luogo, delle associazioni dei pazienti e delle loro famiglie alla determinazione delle politiche assistenziali, sia, infine, come valorizzazione del ruolo del terzo settore come una delle componenti cui affidare la erogazione di servizi socio sanitari con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale. Il SSN deve garantire la partecipazione dei cittadini quale vero e proprio strumento di pratica democratica esercitata dalla comunita' che finanzia un servizio destinato a soddisfare i suoi stessi bisogni di tutela della salute. In tal senso si esprimono i documenti dell'OMS e i numerosi documenti elaborati a livello europeo. Va pertanto previsto un ruolo attivo delle organizzazioni dei cittadini con riferimento agli organismi di tutela dei diritti, a quelli del terzo settore ed alle associazioni di categoria, di soggetti che si rivolgono al SSN, in modo da valorizzare esperienze, conoscenze e punti di vista destinate ad arricchire il processo decisionale, operativo e valutativo, anche tenuto conto del programma di azione della UE nel campo della salute e della tutela dei consumatori. La partecipazione nelle attivita' di programmazione e di valutazione. Vanno previste forme di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini nelle attivita' relative alla programmazione, al controllo ed alla valutazione dei servizi socio-sanitari sia a livello regionale che aziendale, che distrettuale. In tale ottica va valorizzato il ruolo degli organismi di partecipazione a partire dal Comitato Misto Consultivo. Per quanto riguarda la Carta dei Servizi, i contenuti in essa riportati, devono costituire un preciso impegno per l'Azienda Sanitaria nei confronti dei cittadini e fornire informazioni certe circa l'erogazione quali-quantitativa dei servizi destinati a questi ultimi. E' auspicabile che, per la redazione del suddetto documento a cura delle Aziende Sanitarie, le Regioni prevedano modalita' compilative omogenee. Si dovranno favorire forme di valutazione dei servizi in comune tra cittadini ed operatori del SSN, diffondendo metodiche partecipate di raccolta di informazioni, che dovranno costituire, una volta effettuata la valutazione partecipata, la base per realizzare percorsi ed interventi di miglioramento. Anche la Conferenza dei Servizi deve effettivamente costituire momento di confronto tra Azienda Sanitaria ed Organizzazioni dei Cittadini, garantendo a queste ultime adeguato spazio per poter esprimere valutazioni sull'andamento dei servizi e proposte per il loro miglioramento; anche per tale adempimento e' auspicabile l'individuazione, da parte delle Regioni, di modalita' omogenee per l'organizzazione, la pubblicizzazione e lo svolgimento della Conferenza dei Servizi. Dal consenso informato all'empowerment. Il cittadino deve essere il primo attore delle scelte che riguardano la sua salute. Perche' questo si realizzi occorre promuoverne la partecipazione attiva nei processi sanitari che lo coinvolgono. Questa azione e' richiamata anche nei documenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanita', come in numerosi documenti elaborati a livello Europeo e, in primo luogo, nella Convenzione europea sui diritti dell'uomo e la biomedicina, recepita in Italia con la legge 28 marzo 2001, n. 145. E' necessario pertanto implementare i processi di informazione e comunicazione tra cittadino ed operatore, finalizzati a migliorare il consenso informato, e tra cittadino ed istituzioni sanitarie (ad es. promuovendo l'ulteriore sviluppo della Carta dei Servizi, con la quale vengono esplicitati il livello di qualita' garantito nei servizi erogati e gli impegni assunti). E' inoltre necessario orientare i servizi offerti sui reali bisogni del cittadino/utente, fornire al cittadino gli strumenti adeguati per interloquire con l'istituzione/servizio affinche' sia messo nelle condizioni di esprimere le proprie volonta' sul processo di cura che lo riguarda e, successivamente, di esprimere la propria opinione e il livello di soddisfazione per i servizi erogati. E' dunque opportuno sperimentare strumenti e modalita' di partecipazione dei cittadini sugli indirizzi di politica sanitaria. Le azioni di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini devono essere finalizzate a rendere le persone consapevoli della propria situazione clinica, delle alternative terapeutiche possibili, del proprio diritto a scegliere consapevolmente e liberamente il proprio piano di cura assumendone le spettanti responsabilita'. Piu' in generale i cittadini devono essere resi consapevoli e responsabili della propria salute, anche in termini di promozione e prevenzione della stessa e in grado di collaborare con le strutture responsabili dello sviluppo della qualita' dei servizi per la salute. Lo scopo del coinvolgimento e' erogare cure efficaci ed appropriate sotto il profilo clinico ed etico e, nel contempo, garantire il massimo livello possibile di equita' nell'uso delle risorse. Cio' e' favorito dal processo di empowerment del paziente ed in modo diverso dei suoi familiari. I pazienti sono infatti resi "empowered" quando hanno la conoscenza, le abilita', le attitudini e la consapevolezza necessaria per influenzare il proprio e l'altrui comportamento, per migliorare la qualita' della propria vita. Per conseguire tale risultato, i servizi debbono accertare le aspettative e le priorita' dei pazienti; coinvolgere i pazienti nei propri piani di cura ed assistenza ed utilizzare, nel rispetto dei diritti e delle liberta' individuali, l'approccio della decisione condivisa, richiedere il loro feedback, anche sui servizi ed avviare conseguenti processi di miglioramento. L'empowerment subisce, tra l'altro, influenze legate alle caratteristiche demografiche, socio-culturali, economiche e relazionali dei pazienti: e' dunque sempre importante considerare tali aspetti e, in particolar modo, laddove ai servizi afferiscono persone provenienti da diverse aree geografiche e/o appartenenti a diverse etnie o culture. Dunque un elemento essenziale per sviluppare l'empowerment del paziente e' proprio il farlo partecipe del processo decisionale. E' infatti universalmente riconosciuto che quando l'utente partecipa al processo decisionale, anche la sua soddisfazione e' maggiore ed i risultati clinici migliorano poiche' accetta le decisioni prese e si attiene al trattamento deciso. Inoltre, il coinvolgimento dei familiari e delle associazioni di volontariato nei percorsi sanitari, consentendo la reciproca conoscenza e la collaborazione mirata - in forma sinergica con le attivita' portate avanti dal personale- aumenta l'efficacia e l'efficienza degli interventi. La valorizzazione dell'associazionismo dei pazienti e dei loro familiari. Nel corso del triennio di sviluppo del PSN sara' necessario adottare iniziative in grado di dare alle molteplici forme di associazionismo, che si sono sviluppate nel nostro Paese, voce e ruolo adeguati, anche in sintonia con il programma di azione comunitaria in tema di salute. In particolare le iniziative da assumere riguarderanno: l'aggiornamento del decreto del Ministro della salute 15 ottobre 1996, ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 e successive modificazioni, per la definizione, d'intesa con la Conferenza Stato- Regioni dei contenuti e delle modalita' di utilizzo degli indicatori di qualita' dei servizi e delle prestazioni sanitarie relativamente alla personalizzazione ed umanizzazione dell'assistenza, al diritto all'informazione, alle prestazioni alberghiere, nonche' la promozione degli interventi attuativi dei principi fondamentali desumibili dal medesimo articolo 14. Il ruolo del terzo settore. I soggetti del terzo settore sono costituiti dall'articolato universo di cooperative sociali, associazioni e fondazioni di diritto privato, societa' di mutuo soccorso, organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale. Le modifiche introdotte dal decreto legislativo 19 giugno 1999 n. 229 al decreto legislativo 502/1992 avevano riservato un ruolo del tutto peculiare alle istituzioni non lucrative nella realizzazione dei servizi sanitari e socio sanitari laddove nel disciplinare l'istituto dell'accreditamento viene puntualmente evidenziato lo "spazio" che a tali organismi deve essere riservato come ad uno dei tre componenti che caratterizzano, come principio fondamentale del sistema, il pluralismo erogativo (erogatori pubblici, erogatori privati profit ed erogatori privati non profit). Obiettivo del triennio di applicazione del PSN e' quello di recuperare il ritardo che in questo aspetto applicativo della riforma del 1999 si e' determinato in molte realta' regionali. Naturalmente e' importante che sia superata la teoria e la pratica del ricorso a tali soggetti come semplici esecutori di servizi appaltati, senza capacita' progettuale e imprenditoriale, mentre vanno evidenziati i principi della "reciprocita'" e dello "scambio". L'azione dei soggetti non profit produce, infatti, vantaggi reciproci per i cittadini e per l'istituzione, ed il volontariato e' un bene prezioso, per il quale si rendano indispensabili regole nazionali chiare. Agli Enti locali e alle Regioni e' affidato il compito di precisare, nel campo dei servizi socio sanitari, le forme attraverso cui conseguire un coinvolgimento ampio e rappresentativo del privato non profit nei vari territori di competenza. Va riconosciuto ed implementato, soprattutto in un Paese come il nostro che ha una antica tradizione in questo campo, il contributo di grande valore portato dal volontariato nella sua attiva collaborazione con le Istituzioni per il raggiungimento di rilevanti obiettivi di salute. La Croce Rossa Italiana, Ente di diritto pubblico, con i suoi dipendenti ed i suoi 250 mila volontari rappresenta una forza diffusa in modo capillare su tutto il territorio nazionale, in grado di rispondere tempestivamente ai bisogni che si possono manifestare. In particolare, la Croce Rossa Italiana svolge una funzione sinergica e complementare al Servizio sanitario nazionale nei settori della formazione alla persona, dei servizi sanitari di emergenza, sia individuale che collettiva in caso di maxi-emergenze, e dell'assistenza sanitaria e socio-sanitaria agli individui piu' fragili della nostra societa' (immigrati, anziani, malati cronici, malati terminali). Per quanto attiene alle patologie neoplastiche sono presenti nel nostro territorio varie ed importanti associazioni i cui interventi sono connotati da alti standard di qualita', come ad es. la lega italiana per la lotta ai tumori, ente di diritto pubblico, il cui raggio di azione va dalla promozione e raccolta fondi, alla prevenzione primaria tramite campagne di sensibilizzazione sulla prevenzione delle malattie tumorali, alla prevenzione secondaria, tramite effettuazione di visite preventive e di screening, all'assistenza ospedaliera e domiciliare ai malati oncologici. Per consentire al mondo del volontariato e del terzo settore di effettuare interventi non parcellizzati, ma sinergici e coordinati con le attivita' delle istituzioni potranno essere promosse soluzioni in grado di garantire alle imprese sociali la possibilita' di qualificare la loro presenza favorendone investimenti qualitativi di lungo periodo, coerentemente con le esigenze dei servizi caratterizzati da continuita' assistenziale e modalita' di presa in carico previste dai livelli essenziali di assistenza. Andranno favorite forme di sperimentazione che, in riferimento ai bisogni che richiedono competenze finalizzate a garantire la integrazione di diversi fattori produttivi per la erogazione di risposte con diverso grado di complessita' tecnica e professionale, possano prevedere specifiche forme di accreditamento che tengano conto della maggiore o minore continuita' di presenza dei soggetti candidati nei vari sistemi regionali dei servizi socio sanitari. 4.3. Le politiche per la qualificazione delle risorse umane del SSN. Professioni sanitarie: fabbisogni e formazione di base La stima del fabbisogno del personale sanitario presuppone principalmente una valutazione da parte delle istituzioni che sono responsabili a pieno titolo dell'organizzazione delle aziende del Servizio sanitario nazionale, cioe' le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Tuttavia, non va trascurata la fondamentale azione di impulso e coordinamento per una omogeneizzazione delle politiche in materia che il Ministero gia' esercita e dovra' continuare ad esercitare in modo ancor piu' incisivo, assumendo le necessarie iniziative finalizzate alla realizzazione di specifici accordi Stato-Regioni. Nell'ambito del procedimento non va trascurata la preziosa collaborazione che la legge prevede debba essere offerta dagli enti pubblici e privati e dagli Ordini professionali e dai Collegi interessati, anche alla luce della legge approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati il 24 gennaio 2006 "Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali. Per quanto concerne il fabbisogno del personale del Servizio sanitario nazionale, va sottolineata l'opportunita' che Ministero e Regioni operino al fine di effettuare stime corrette in funzione delle esigenze delle strutture sanitarie e del mercato del lavoro che le stesse offrono, mentre compito successivo del Ministero dell'Istruzione, Universita' e Ricerca e' quello della programmazione degli accessi ai corsi di diploma di laurea, alle scuole di formazione specialistica ed ai corsi di diploma universitario. E' necessario quindi che si creino sinergie positive perche' i fabbisogni trovino corrispondenza nel correlato modo del lavoro. A tale scopo e' indispensabile pervenire ad una programmazione non piu' annuale ma almeno triennale del fabbisogno del personale sanitario tenendo conto di quanto previsto dal comma 2, dell'articolo 6-ter del citato d.lgs. n. 502/92 e successive modificazioni, in termini di: - obiettivi e livelli essenziali di assistenza indicati dal Piano sanitario nazionale e da quelli regionali; - modelli organizzativi dei servizi; - offerta di lavoro; - domanda di lavoro, considerando il personale in corso di formazione e il personale gia' formato, non ancora immesso nell'attivita' lavorativa. In quest'ottica andranno sicuramente privilegiate, per il soddisfacimento dei bisogni del cittadini utente, quelle professionalita' delle quali l'assistenza al malato avverte una particolare carenza, causa di disservizi e di un impegno suppletivo da parte degli operatori presenti in servizio. Anche in questo caso e' necessario procedere all'individuazione corretta dei fabbisogni da effettuarsi con criteri analoghi a quelli delle suddette professioni sanitarie. Uno degli aspetti rilevanti della formazione e' infatti quello della formazione specialistica, per la quale vanno assunte iniziative per offrire allo specializzando una formazione teorico pratica di alta qualita' coerente e compatibile con i livelli essenziali di assistenza che gli stessi devono concorrere a realizzare. In tal senso si e' anche espresso il Consiglio Superiore di Sanita', che ha affermato che: "l'obiettivo preminente della, formazione professionale specialistica sia inequivocabilmente quello di fornire ai futuri specialisti competenze congrue e coerenti con le esigenze del Servizio sanitario nazionale, sia a livello di strutture sanitarie che di territorio. A tal fine, per la definizione e l'elencazione delle discipline, si preveda un sistema di flessibilita' e di aggiornamento, che consenta un pronto adeguamento della parte didattico-formativa all'evoluzione clinica, allo sviluppo scientifico, al progresso tecnologico nonche' alle reali prospettive di esercizio professionale che si potranno modificare o sviluppare all'interno del S.S.N." Nell'ambito del procedimento dei fabbisogni e della formazione di base degli operatori sanitari trova collocazione anche l'argomento delle "medicine e delle pratiche non convenzionali" che sicuramente verra' sviluppato nel corso dei prossimi anni. Non vi e' dubbio, infatti, che esigenze di garanzia della salute del cittadino, il quale deve contare sulla formazione e sull'affidabilita' dei professionisti cui si rivolge, impongano allo Stato di prendere in considerazione le medicine e le pratiche c.d. "alternative" dal punto di vista della loro validita' scientifica e della qualificazione di chi eroga le prestazioni, quale fenomeno spesso occulto da rendere trasparente e controllato. Educazione continua in medicina. L'istituzione dell'Educazione Continua in Medicina ha rappresentato una scelta finalizzata soprattutto al miglioramento dell'assistenza sanitaria e della qualita' delle prestazioni erogate ai cittadini. Da questa motivazione e' derivata come naturale conseguenza il principio dell'obbligatorieta' dell'aggiornamento e della formazione permanente, nonche' l'estensione della stessa a tutti gli operatori sanitari e non solo ai medici. Gli obiettivi che la Formazione continua propone sono sinteticamente: - mantenimento della motivazione alla professione di tutti gli operatori sanitari; - adeguamento della capacita' professionale dei singoli al loro livello di maturazione; - adeguamento al rapido progresso delle conoscenze e delle tecnologie sanitarie; - miglioramento continuo dell'organizzazione, del rendimento e dell'economia dell'intero sistema sanitario. La formazione deve essere considerata come la possibilita' di aumentare la capacita' di risposta ai bisogni del cittadino, in modo da poter assicurare, in una prospettiva di continuo miglioramento il ragionato passaggio, fondamentale in ogni nuova organizzazione, tra passato e futuro, innovando avendo sempre riguardo alle esperienze acquisite. La formazione in sanita' e', quindi, un percorso obbligato, in quanto collegato alla crescita professionale degli operatori, diretto a sviluppare un'importante azione di adeguamento delle capacita' e competenze alle esigenze della collettivita'. Sotto questo profilo tutti i provvedimenti che riguardano la formazione costituiscono un investimento finalizzato alla valorizzazione del capitale umano del quale accresce la disponibilita' ad operare con alti livelli di motivazione. Al di la' delle difficolta' di carattere oggettivo legate alla gestione del sistema e del relativo dispendio di energie, il settore deve confrontarsi con tutta una serie di criticita' fra cui si segnalano l'assenza di una adeguata razionalizzazione dei fondi, il metodo di contabilizzazione e la mancanza di un efficiente monitoraggio delle spese. In questo contesto andranno affrontati e risolti in modo espresso e senza ambiguita' gli aspetti relativi ai rapporti tra provider pubblici e privati e sponsorizzazioni all'ECM. In questo quadro e' necessario un impegno per addivenire ad una puntuale disciplina delle sponsorizzazioni e prefigurare le fattispecie che danno luogo al conflitto d'interessi. La sperimentazione finora eseguita ha fornito indicazioni preziose alla luce delle quali e' possibile adottare provvedimenti per semplificare il sistema e renderlo ancora piu' trasparente. Il ruolo riconosciuto alle Regioni nelle predette intese non e' solo coerente con l'attuale assetto costituzionale, ma permette una migliore penetrazione del programma di formazione continua sul territorio, dove peraltro la necessaria e dovuta partecipazione degli Ordini e dei Collegi professionali garantisce l'uniformita' nella qualita' dei programmi. Il Piano Nazionale dell'Aggiornamento, come affermato nell'Intesa Stato-Regioni, di cui all'intesa del 23 marzo 2005, costituisce il presupposto necessario "per l'individuazione degli strumenti condivisi per il contenimento della dinamica dei costi, il miglioramento qualitativo dei servizi e la riduzione della spesa inappropriata, nel rispetto del principio della uniforme ed appropriata erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) sul territorio nazionale, di cui al d.P. C.M 29 novembre 2001 e successive modifiche ed integrazioni". Si tratta, quindi, di ripensare l'assetto istituzionale ed organizzativo dell'Educazione Continua in Medicina, per fissare con chiarezza il riparto di competenze tra Stato e Regioni in tema di aggiornamento professionale successivo alla formazione di base, in modo tale che nei prossimi anni il processo di educazione continua in medicina una volta portato a regime, risponda a criteri di efficienza ed adeguatezza. 4.4. La promozione del Governo clinico e la qualita' nel Servizio sanitario nazionale compresa la tematica delle liste di attesa. In tutti i paesi sviluppati gli ultimi anni hanno visto una crescita enorme della domanda di prestazioni sanitarie e quindi lo svilupparsi di politiche tese a razionalizzare al massimo le strategie di offerta. Ma anche queste iniziative si mostrano insufficienti nel lungo periodo se non affiancate da una corretta politica di governo della domanda che trovi il suo fulcro nella appropriatezza delle prestazioni erogate. La traduzione operativa di questi concetti si colloca sostanzialmente nello sviluppo di un reale governo clinico che veda i professionisti direttamente coinvolti e responsabilizzati. Il governo clinico (o governo della qualita' clinica) e' il "cuore" delle organizzazioni sanitarie nell'ospedale: il controllo dei costi e degli aspetti finanziari dovrebbe essere, almeno per larga parte, conseguenza del suo esercizio, giacche' non e' sensato porsi un obiettivo di efficienza se non vi e' innanzitutto garanzia di qualita'. Il Governo clinico (GC) - Clinical Governance - e' uno strumento per il miglioramento della qualita' delle cure per i pazienti e per lo sviluppo delle capacita' complessive e dei capitali del SSN, che ha lo scopo di mantenere standard elevati e migliorare le performance professionali del personale, favorendo lo sviluppo dell'eccellenza clinica e rappresenta lo sviluppo di riflessioni sul tema della qualita' sul quale da anni molte organizzazioni stanno lavorando e tra queste l'Organizzazione Mondiale della Sanita' (The principles of quality assurance, 1983). L'obiettivo fondamentale dei programmi di miglioramento della qualita' e' che ogni paziente riceva quella prestazione che produca il miglior esito possibile in base alle conoscenze disponibili, che comporti il minor rischio di danni conseguenti al trattamento con il minor consumo di risorse, e con la massima soddisfazione per il paziente. Da cio' deriva la definizione delle caratteristiche di un sistema sanitario ideale a cui tendere: sicurezza, efficacia, centralita' del paziente, tempestivita' delle prestazioni, efficienza ed equita'. Pertanto, il miglioramento della qualita' richiede un approccio di sistema in un modello di sviluppo complessivo che comprenda i pazienti, i professionisti e l'organizzazione: la logica sottostante a tale nuovo concetto e' quella della programmazione, gestione e valutazione del "sistema" in forma mirata all'erogazione di prestazioni cliniche per la tutela della salute della popolazione. La politica di attuazione del governo clinico richiede quindi un approccio di "sistema" e va realizzata tramite l'integrazione di numerosi determinanti tra di loro interconnessi e complementari, tra i quali vi sono la formazione continua, la gestione del rischio clinico, l'audit, la medicina basata sull'Evidenza (EBM ed EBHC), le linee guida cliniche e i percorsi assistenziali, la gestione dei Reclami e dei contenziosi, la comunicazione e gestione della documentazione, la ricerca e lo sviluppo, la valutazione degli esiti, la collaborazione multidisciplinare, il coinvolgimento dei pazienti, l'informazione corretta e trasparente e la gestione del personale. E' in questa sistematica attenzione alla qualita' dell'assistenza che il governo clinico offre, prima di tutto agli stessi operatori, la possibilita' di valutare l'efficacia e l'appropriatezza clinica delle prestazioni erogate. Un elemento determinante per il successo del governo clinico e' la modalita' con cui viene esercitato il diritto di conoscenza ed accesso. In relazione ai sistemi di partecipazione e alla diversita' dei modelli organizzativi regionali e delle aziende sanitarie, deve intervenire un modello di comunicazione multiculturale specialmente nei settori della prevenzione o la' dove e' necessario che il messaggio di salute sia pienamente e immediatamente compreso (ad es.: nel campo dell'emergenza). A questo si legano anche le opportune indagini su percezione, priorita', gradimento e soddisfazione. Le azioni previste devono promuovere il coinvolgimento dei cittadini nei progetti di miglioramento, la loro partecipazione relativamente ai meccanismi di informazione, di consenso informato, per favorire il loro coinvolgimento nel processo terapeutico. Altro aspetto fondamentale e' quello della gestione del rischio clinico a salvaguardia e tutela della sicurezza dei pazienti e del personale. In stretta relazione a cio' e' necessario che le attivita' di audit clinico siano effettivamente integrate nella missione aziendale, abbandonando la logica elitaria che li ha finora accompagnati. Un ulteriore elemento che deve caratterizzare l'innovazione legata al governo clinico e' la partecipazione a progetti di ricerca e l'introduzione sperimentale ed a regime delle innovazioni prodotte da ricerche. Il personale deve essere direttamente ed effettivamente coinvolto nelle scelte cliniche ed organizzative e deve ricevere informazione e comunicazione sistematiche. E' anche necessario prevedere la progettazione dei percorsi di carriera, per favorire la reale integrazione degli operatori, che deve comprendere una necessaria attivita' di valutazione e feedback delle performance, anche individuale. L'elemento fondamentale e' rappresentato dalla formazione continua mirata (interna ed esterna): specialistica, organizzativa, per lo sviluppo della qualita'. Va individuata una esplicita finalita' valutativa per il professionista che puo' diventare uno strumento utile alla reale implementazione del governo clinico nel sistema delle aziende. Oggi e' messa particolare attenzione ai meccanismi di selezione e di scelta dei ruoli dirigenziali e di responsabilita' dei professionisti, molta meno attenzione e' invece affidata alla valutazione dell'operato degli stessi. I risultati di salute conseguiti possono rappresentare una delle linee del profilo di valutazione del professionista. In sostanza, il perseguimento della efficacia clinica richiede forme di valutazione e controllo delle prestazioni erogate, oltre il mero aspetto quantitativo nel rispetto, tra l'altro, di un nuovo paradigma della medicina per il quale il ragionamento fisiopatologico non e' piu' sufficiente per garantire un risultato positivo di salute. Il processo valutativo, per essere sensibile e specifico nella misura del fenomeno osservato, deve rimodularsi in funzione della dimensione organizzativa che l'Azienda tendera' ad assumere. Un altro elemento portante e' la gestione e lo sviluppo della organizzazione, che svolga attivita' di programmazione e budgeting, la diffusione di un sistema informativo che consenta la valutazione dei processi e dei prodotti, la gestione clinica del paziente (patient file) e la valutazione degli esiti (outcome), sulla base di standard nazionali ed internazionali. Infine devono essere promosse azioni di ricerca organizzativa. Un elemento trasversale rispetto agli elementi portanti del governo clinico e' la comunicazione, che deve prevedere idonei strumenti quali bollettini, informazioni e rapporti con i mass media, pubblicazioni, forum e convegni. In ultima analisi appare evidente che lo strumento del governo clinico non puo' essere finalizzato solo a dare risposta ad una emergenza finanziaria e, quindi, essere ristretto ad una programmazione di budgeting e di sviluppo del sistema informativo che garantisca che le risorse disponibili siano impiegate nelle attivita' piu' utili per i cittadini ma deve essere esteso al governo di tutte quelle attivita' che ci permettono di raggiungere obiettivi di qualita' delle prestazioni e di appropriatezza. Nel triennio di vigenza del Piano saranno individuate le modalita' operative per realizzare la strategia, gli ambiti di miglioramento, le modalita' condivise per attuare il governo clinico. L'attuazione di prassi di governo clinico non solo a livello ospedaliero, ma anche a livello territoriale permettera' un aumento della qualita' ed accessibilita' delle cure offerte ai cittadini. Le liste di attesa. Il fenomeno delle liste di attesa e' presente in tutti gli Stati dove insiste un servizio sanitario che offra un livello di assistenza avanzato, qualunque sia il modello organizzativo adottato. La complessita' del problema, sia per l'impatto organizzativo sul sistema sanitario nazionale che per le conseguenze sulla definizione dei diritti dei cittadini in materia di livelli di assistenza garantiti, richiede un impegno comune di Governo e Regioni, nella consapevolezza che non esistono soluzioni semplici e univoche, ma vanno poste in essere azioni complesse ed articolate. E necessario condividere un percorso per il governo delle liste di attesa finalizzato a garantire un appropriato accesso dei cittadini ai servizi sanitari, percorso che tenga conto della applicazione di rigorosi criteri sia di appropriatezza che di urgenza delle prestazioni e che garantisca la trasparenza del sistema a tutti i livelli. Sara' necessario generalizzare la dotazione regionale di sistemi di prenotazione in rete (CUP), nonche' prevedere l'uso sistematico delle classi di priorita' per governare l'accesso alle prestazioni, ed individuare delle tipologie di prestazioni, ad esempio quelle di urgenza o quelle oncologiche, per le quali i tempi devono essere certi ed uguali su tutto il territorio nazionale. La gestione delle liste di attesa puo' trovare piu' facile soluzione se si individuano strumenti e modi di collaborazione di tutti gli attori del sistema, sia quelli operanti sul versante prescrittivo sia quelli di tutela del cittadino. La promozione di linee guida: il sistema nazionale Linee Guida. Con il decreto del Ministro della salute 30 giugno 2004 e' stato istituito il Sistema nazionale linee guida (SNLG) a cui partecipano le istituzioni centrali, le Regioni e le societa' scientifiche. Il SNLG definisce priorita' condivise privilegiando le tematiche associate in primo luogo a variabilita' nella pratica clinica, liste d'attesa significative, appropriatezza diagnostico-terapeutica, obiettivi individuati dal Piano sanitario nazionale. Il Sistema nazionale linee guida riconosce il ruolo delle linee guida nell'aggiornamento professionale e nella formazione continua e promuove un sito web di aggiornamento professionale dedicato che possa consentire l'acquisizione di crediti ECM. La necessita' di istituire il SNLG e' nata dalla consapevolezza sempre piu' presente della necessita' di erogare cure di buona qualita' ed evidente based in un contesto di risorse limitato. In questo contesto assumono particolare rilevanza le Linee Guida (LG), i Protocolli Diagnostico Terapeutici ed i Percorsi di Cura, strumenti che, nel loro insieme, rappresentano l'elaborazione sistematica di indicazioni basate sulle evidenze disponibili, secondo standard raccomandati, nel rispetto del principio di appropriatezza, con l'obiettivo di assistere i clinici ed i pazienti nel prendere decisioni, migliorare la qualita' delle cure sanitarie e ridurre la variabilita' nella pratica clinica e negli outcomes. Una delle vie per incoraggiare l'aderenza alle LG e' quello di inserire le raccomandazioni e gli standards nella cartella clinica: il sistema delle "care patways" prevede di incorporare le LG nelle cartelle cliniche in maniera che agiscono come suggerimento immediato per il clinico. La verifica del grado di adesione delle LG ritenute importanti per raggiungere i migliori esiti e' un processo di valutazione di qualita' che lega la pratica clinica agli outcomes, anche tramite l'adeguamento dei sistemi informativi ed il raggiungimento di consenso su come misurare la qualita' delle cure. Il rischio clinico e la sicurezza dei pazienti. Sulla gestione del rischio clinico esistono iniziative regionali da valorizzare e generalizzare che assumono come obiettivo quello di coniugare il tradizionale punto di vista "assicurativo" tipico della responsabilita' dei professionisti a quello piu' generale della "sicurezza del paziente" che attiene ai livelli di qualita' del sistema dei servizi e che ha pertanto un impatto diretto sulle capacita' di offerta dei livelli di assistenza. Negli ospedali italiani si cominciano a sperimentare e a diffondere Unita' per la gestione del rischio. Il rischio clinico e' la probabilita' che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioe' subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate, che causa un peggioramento delle condizioni di salute o la morte. Una gestione efficace del rischio clinico presuppone che tutto il personale sia consapevole del problema, che sia incoraggiata la segnalazione degli eventi e che si presti attenzione ai reclami e al punto di vista dei pazienti. Le strategie di gestione del rischio clinico devono utilizzare un approccio pro-attivo, multi-disciplinare, di sistema, e devono prevedere attivita' di formazione e monitoraggio degli eventi avversi. La formazione, che deve prevedere un livello nazionale, regionale ed aziendale, deve consentire a tutti gli operatori di acquisire la consapevolezza del problema del rischio clinico, per favorire la cultura della sicurezza che considera l'errore come fonte di apprendimento e come fenomeno organizzativo, evitando la colpevolizzazione del singolo. Le attivita' di monitoraggio, devono essere condotte secondo un criterio graduato di gravita' di eventi, prevedendo che i tre livelli, nazionale, regionale ed aziendale, possano promuovere le rispettive azioni, secondo un disegno coerente e praticabile. Deve essere attivato un monitoraggio degli eventi sentinella, cioe' quegli eventi avversi di particolare gravita', indicativi di un serio malfunzionamento del sistema, che causano morte o gravi danni al paziente e che determinano una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del Servizio Sanitario. L'efficace gestione del rischio clinico portera' oltre ad importanti risultati di carattere sanitario anche rilevanti risvolti economici. 4.5. L'aziendalizzazione e l'evoluzione del servizio sanitario. Il tema del completamento del processo di aziendalizzazione viene affrontato evidenziando l'esigenza di incrementare l'efficienza delle aziende sanitarie. I cambiamenti avvenuti negli anni 90 e i primi anni del 2000 nell'assetto e nell'organizzazione delle strutture sanitarie hanno costituito quello che e' stato definito processo di aziendalizzazione. Con l'aziendalizzazione e' stato riconosciuta la primaria rilevanza per il sistema sanitario ai fini del raggiungimento della propria missione, dei processi di acquisizione, di combinazione e di allocazione delle risorse disponibili, meglio garantiti, appunto, da una gestione dei servizi di tipo aziendale. Queste motivazioni che hanno portato ad individuare nel modello aziendale quello piu' efficiente ed efficace per la gestione dei servizi sanitari sono tutt'ora valide, ma a quasi 15 anni dal varo della riforma del 1992, occorre fare un bilancio del processo di aziendalizzazione per proporre correttivi sulla base delle esperienze fatta. Nella sua fase di avvio l'elemento di forte discontinuita' con il passato, individuabile dalla adozione di tecniche e impostazioni manageriali, ha costituito una oggettiva spinta all'innovazione ed al cambiamento ed e' stato arricchito da una specifica sensibilizzazione culturale. Oggi la spinta si e' in parte esaurita, per cui occorre promuovere iniziative specifiche per il rilancio del processo di aziendalizzazione, dal momento che vi sono ancora margini cospicui di miglioramento nell'utilizzazione delle risorse. L'analisi dei soli dati relativi all'assistenza ospedaliera mostra come la variabilita' interregionale ed interaziendale nella produzione di prestazioni di ricovero ospedaliero sia molto ampia, evidenziando accanto a situazioni di inefficienza legate a o motivi strutturali (reti ospedaliere incongrue) anche situazioni legate prevalentemente a incapacita' delle direzioni aziendali nell'adottare misure di razionalizzazione dell'organizzazione e dell'acquisizione di beni e servizi. E' necessario, inoltre, cominciare a fare una riflessione, sulla base dell'evoluzione che il modello aziendalistico sta registrando in diverse regioni, sulla possibilita' di prevedere meccanismi che rendano il sistema piu' flessibile e piu' permeabile alle istanze politiche e sociali emergenti sul territorio. La struttura aziendale, con cio' che di fortemente positivo ha recato e reca sul versante della organizzazione dell'offerta, soprattutto ospedaliera, ha presentato due sostanziali criticita': una tendenza alla autosufficienza produttiva, che produce se esasperata, alla lunga, inefficienze e inutile concorrenza, e una sostanziale autoreferenzialita' rispetto ai bisogni di crescita dell'organizzazione e delle categorie professionali coinvolte con poche relazioni con i cittadini, singoli o rappresentati, e soprattutto con le politiche locali correlate al tema dei determinanti di salute. Per questo motivo in diverse regioni si sono sviluppate da un lato politiche di programmazione interaziendale (cosiddette Aree vaste o quadranti ecc.) per lo sviluppo in rete dei presidi ospedalieri, e dall'altro politiche di coinvolgimento, soprattutto per i servizi territoriali e preventivi, delle realta' locali e dei cittadini. Nel triennio di vigenza del PSN si svolgera' una riflessione in materia, per valutare, avvalorare ed indirizzare queste linee di sviluppo, cosi' come per gettare le basi per un loro confronto finalizzato nel medio periodo a verificare l'opportunita' di eventuali modifiche migliorative del sistema. Le iniziative da promuovere riguardano tre ambiti tematici: - il consolidamento della adozione degli strumenti del management; - la ridefinizione degli ambiti territoriali e le altre forme di reingegnerizzazione istituzionale; - il rapporto con le tematiche del governo clinico. In linea generale e' necessario evidenziare come oggi piu' che investire ancora sulla progettazione di nuovi strumenti e' utile invece implementare definitivamente quelli gia' disponibili. Le priorita' da seguire possono cosi' essere individuate: - promuovere la qualita' (appropriatezza, comfort, economia...) del servizio fornito e correlarla al risultato, in base alle evidenze sulla efficacia clinica e sulla efficienza operativa dei servizi; - fare in modo che l'organizzazione aziendale e le dinamiche interne del suo funzionamento siano ben chiare, valutabili e verificabili per tutti quelli che operano al suo interno, per gli utenti e per quanti sono chiamati a svolgere funzioni di governo, di indirizzo, di valutazione o di controllo; - combattere i fenomeni di "dissonanza organizzativa" (dire un cosa ma farne altre); - fare in modo che i risultati attesi siano conseguiti mantenendo l'unitarieta' dell'azione aziendale; - incentivare e formalizzare le modalita' con cui le competenze professionali possono contribuire al miglioramento della programmazione, della organizzazione e della produzione dei servizi; - promuovere l'innovazione organizzativa puntando sullo sviluppo e sul rendimento del capitale professionale e dell'innovazione tecnologica; - modulare le priorita' di applicazione (programmazione, organizzazione, gestione risorse umane, sistema di decisione e controllo, acquisizioni) in base alla specifica situazione locale, promuovendo sistematicamente da parte delle aziende sanitarie le iniziative in grado di aumentare la capacita' di produzione di servizi a parita' di risorse impiegate (efficienza tecnica) e la capacita' di produrre attivita' e prestazioni a costi minori (efficienza economica); - ottimizzare la funzione acquisti di beni e servizi, tenendo conto della complessita' del mercato dei beni sanitari, la rapida obsolescenza che caratterizza molti prodotti e procedure, i consistenti fenomeni di asimmetria della domanda e dell'offerta. 4.6. Le sperimentazioni gestionali. Con la legge 30 dicembre 1991, n. 412 (finanziaria 1992) si e' dato avvio alle sperimentazioni gestionali, per sviluppare nel Servizio sanitario nazionale la collaborazione tra pubblico e privato, con l'obiettivo di far confluire verso le iniziative e gli interventi di attuazione degli obiettivi strategici del Servizio sanitario nazionale risorse finanziarie e competenze integrative rispetto a quelle gia' presenti nell'ambito del settore pubblico. I progetti di sperimentazione gestionale, da realizzarsi attraverso convenzioni tra Enti del Servizio sanitario nazionale e soggetti privati dovevano definire, a livello aziendale, modelli di gestione, anche in deroga alle norme vigenti, con lo scopo di realizzare opere (edilizie o tecnologiche) o di svolgere in forma integrata la gestione di un servizio con particolare attenzione al miglioramento continuo della qualita' in condizioni di efficienza. Le sperimentazioni si sono sviluppate nell'ottica della ricerca di piu' efficienti modelli di governo della spesa sanitaria, avendo ad oggetto sia modalita' di pagamento e di remunerazione dei servizi sia il coinvolgimento, nella fornitura di servizi e prestazioni, di soggetti erogatori diversi da quelli istituzionali. L'analisi condotta dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali nel settembre 2003 ha individuato le cinque aree ritenute piu' critiche, per il coinvolgimento del privato: 1. l'opportunita' che il pubblico mantenga la maggioranza assoluta delle quote di azioni delle societa' miste costituite col privato; 2. la necessita' di incrementare oltre i tre anni la durata delle sperimentazioni, per consentire la corretta valorizzazione degli investimenti; 3. la opportunita' di normative regionali che definiscano con chiarezza le procedure di selezione del partner privato, evitando le rigidita' dei capitolati di gara; 4. la necessita' di norme e strutture che disciplinino in modo chiaro le posizione del personale nel caso di partecipazione ad una societa' mista; 5. il chiarimento sulle limitazioni che la societa' mista, a capitale pubblico maggioritario, incontra nell'operativita' nel caso in cui essa venga considerata organismo pubblico. Non esiste ad oggi una precisa definizione normativa delle collaborazioni pubblico-privato, ne' a livello nazionale, ne' a livello comunitario. Solo nell'aprile del 2004, la Commissione europea e' intervenuta sul tema, dedicandovi una specifica pubblicazione, nota come "Libro verde relativo ai partenariati pubblico privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni". In tale contesto "il termine partenariato pubblico privato si riferisce in generale a forme di cooperazione tra le autorita' pubbliche ed il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un 'infrastruttura o la fornitura di un servizio." D'altro canto, l'11 febbraio 2004 Eurostat, l'ufficio statistico delle Comunita' europee, con la decisione "Treatment of public-private partnerships", ha indicato i criteri per il trattamento contabile, nei conti nazionali, di specifiche tipologie di PPP. La decisione riguarda il caso di contratti a lungo termine, conclusi tra la Pubblica Amministrazione e un partner privato in settori di attivita' dove il Governo e' fortemente coinvolto, per la realizzazione di una infrastruttura in grado di erogare servizi secondo parametri quantitativi e qualitativi stabiliti. La decisione si applica nei casi in cui lo Stato sia il principale acquisitore dei beni e servizi forniti dall'infrastruttura, sia che la domanda sia originata dalla stessa parte pubblica che da terze parti. E' questo il caso, ad esempio, di servizi pubblici come la sanita'. In considerazione dei cambiamenti demografici in atto, che comportera' un aumento della cronicita', e conseguentemente del fabbisogno di servizi territoriali, la partenership pubblico/privato potra', nei prossimi anni giocare un ruolo significativo. Infatti l'assistenza sanitaria territoriale dovra' essere organizzata e spesso reingegnerizzata e l'assistenza ospedaliera dovra' essere funzionalmente e tecnologicamente riqualificata. La disponibilita' del privato, in termini di capacita' innovativa, nella organizzazione dei processi e la collegata innovazione tecnologica, nonche' di finanziamento delle strutture sanitarie puo' essere colta mettendo a punto le corrette modalita' di interazione tra pubblico e privato, con la garanzia che il mondo pubblico sia l'unico garante verso il cittadino del conseguimento del bilanciamento ottimale in termini di costi-qualita' dei servizi sanitari erogati. 4.7. La politica del farmaco ed i dispositivi medici. La politica del farmaco. Si tratta di sviluppare il tema di una razionalizzazione di tutta la filiera dalla produzione, alla distribuzione, alla prescrizione, al consumo. In tale contesto il principio su cui si fonda la definizione di una nuova politica del farmaco e l'assunzione ad esso sotteso e' che il sistema salute oltre a costituire per il cittadino un diritto costituzionale, puo' diventare sistema di sviluppo per il Paese e settore in cui favorire gli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S): in altri termini il farmaco non puo' essere considerato esclusivamente come fattore di spesa ma anche e soprattutto come elemento di sviluppo e di promozione della innovativita'. Per realizzare tale obiettivo e' necessario garantire un assetto istituzionale e normativo che favorisca i processi di R&S nel nostro Paese, in modo da evitarne una dimensione esclusivamente di mercato. Tutto cio' esige una programmazione di medio-lungo periodo (3-5 anni), tesa ad impedire che vengano introdotti nel sistema cambiamenti non programmati e improvvise discontinuita'. Pertanto, gli obiettivi strategici individuati e le azioni che sara' necessario porre in essere per realizzare una nuova politica del farmaco, secondo i principi sopra definiti, possono essere cosi' riassunti: 1. Garantire il mantenimento dell'unitarieta' del Sistema farmaceutico. L'unitarieta' del sistema farmaceutico viene garantita attraverso il Prontuario Farmaceutico Nazionale (PFN) che deve assicurare attraverso i medicinali di fascia A l'accesso uniforme ed omogeneo su tutto il territorio nazionale ai farmaci innovativi, ai farmaci orfani e a tutti i farmaci essenziali per il trattamento delle patologie gravi, acute, croniche nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Va inoltre attuata l'implementazione/omogeneizzazione, a livello istituzionale, di tutte quelle forme di dispensazione del farmaco previste dalla vigente normativa e finalizzate alla razionalizzazione e qualificazione della spesa farmaceutica e sottolineata la priorita' del monitoraggio dell'appropriatezza dell'assistenza farmaceutica erogata. 2. Assicurare il governo della spesa e il rispetto del tetto di spesa programmato. L'AIFA provvedera' al governo della spesa e al rispetto del tetto di spesa programmato attraverso i meccanismi di autorizzazione all'immissione in commercio (AIC) secondo i criteri di qualita', efficacia, sicurezza, di costo beneficio e di convenienza economica, mediante l'aggiornamento periodico del Prontuario Farmaceutico Nazionale (PFN) e attraverso le procedure di ripiano della spesa in caso di sfondamento, secondo quanto previsto dal comma 5, dell'art. 48, della legge 24 novembre 2003, n. 326. 3. Garantire una programmazione di medio-lungo periodo. Fino ad oggi e' venuta a mancare una capacita' complessiva di governo del sistema, nel rapporto tra domanda ed offerta e cio' ha richiesto nel tempo l'adozione di numerosi provvedimenti di ripiano a valle, in assenza di una capacita' di regolazione programmatoria a monte. L'adozione, anche in via sperimentale, di un nuovo sistema dei prezzi che preveda la negoziazione dell'intero portafoglio dell'Azienda e non del singolo prodotto, al netto delle nuove entita' chimiche e di un meccanismo automatico di ripiano, con un tasso di incremento della spesa sostenibile e programmato, puo' costituire lo strumento attraverso cui realizzare una programmazione triennale di settore. 4. Promuovere gli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S). La promozione degli investimenti in R&S puo' essere incentivata attraverso il "Premium Price", ovvero il riconoscimento di un premio di prezzo (separato e aggiuntivo rispetto al premio di rimborso), per i farmaci innovativi che sono stati realizzati dalle Aziende attraverso investimenti nel nostro Paese in termini di: insediamento o potenziamento dei siti di produzione, assunzione di personale qualificato nei settori della ricerca e conduzione di ricerche cliniche innovative di Fase I e II. A tal fine, su proposta dell'Agenzia Italiana del Farmaco, il Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'economia e finanze individua con proprio decreto i criteri per la successiva stipula da parte della agenzia stessa di accordi di programma con le singole aziende farmaceutiche, con cui siano determinati le attivita' e i piani di interventi da realizzare da parte di ciascuna azienda. 5. Promuovere ricerche cliniche no-profit. L'AIFA promuovera' ricerche cliniche, specie di tipo comparativo e su aree strategiche, finalizzate a dimostrare il valore terapeutico aggiuntivo (VTA) di farmaci e strategie terapeutiche. A tal fine sara' realizzata una rete informatica e culturale dei Comitati Etici locali e sara' potenziato l'Osservatorio Nazionale sulle Sperimentazioni Cliniche (OSSC). La specificita' della ricerca sui farmaci promossa dall'AIFA e' quella di favorire, nell'ottica della trasparenza e dell'indipendenza, tutte quelle ricerche finalizzate ad acquisire conoscenze innovative relativamente al profilo di efficacia, sicurezza, impatto sulla salute pubblica dei farmaci e degli interventi terapeutici in quelle aree che, nell'attuale organizzazione della ricerca sui farmaci, appaiono destinate a rimanere marginali per il mercato, ma rilevanti ed essenziali per la salute del cittadino. 6. Favorire l'internazionalizzazione del sistema e consentire un piu' rapido accesso ai farmaci innovativi. L'AIFA si impegna a semplificare e ridurre i tempi delle procedure registrative per il perfezionamento delle procedure relative all'autorizzazione all'immissione in commercio di nuovi farmaci a carico del SSN, in modo trasparente e verificabile, al fine di garantire ai cittadini un accesso piu' rapido ai farmaci innovativi e ai medicinali orfani registrati in Europa. Da tale processo di semplificazione delle procedure e di riduzione dei tempi di AIC ci si attende un corrispondente incremento delle domande da parte delle Aziende affinche' l'Italia guidi il processo registrativo in Europa, come paese di riferimento nelle procedure di mutuo riconoscimento e come rapporteur nelle procedure centralizzate. 7. Garantire un impiego sicuro ed appropriato dei farmaci. L'ALFA promuove programmi di Farmacovigilanza attiva e studi di sicurezza post commercializzazione di intesa con le Regioni e secondo piani di formazione e ricerca con i Medici di Medicina Generale, i Pediatri di libera scelta, le Societa' Scientifiche e le Universita'. Tali studi saranno orientati a verificare la trasferibilita' nella pratica di medicina generale dei risultati originati dalle sperimentazioni cliniche pre-marketing e gli esiti nella fase post-marketing (outcome research). Anche i farmaci di fascia C vanno assoggettati al regime di codifica e di lettura ottica per verificarne l'utilizzo anche ai fini dell'appropriatezza. 8. Contribuire ad assicurare maggiore eticita' al mercato dei farmaci. Una maggiore trasparenza ed eticita' al mercato farmaceutico, in particolare nel settore della informazione scientifica, dei convegni e dei congressi promossi dalle Aziende farmaceutiche, richiede la revisione della legge 30 dicembre 1992, n. 541. L'AIFA deve assicurare, inoltre, l'implementazione di una informazione pubblica e indipendente, al fine di favorire un corretto uso dei farmaci, di orientare il processo delle scelte terapeutiche, di promuovere l'appropriatezza delle prescrizioni, riequilibrando l'attuale condizione di asimmetria tra informazione privata e informazione pubblica. L'AIFA garantira', infine, il proprio contributo istituzionale all'aggiornamento degli operatori sanitari in ambito farmacologico attraverso le attivita' editoriali, lo svolgimento come provider di programmi di formazione a distanza (FAD), la gestione e l'implementazione dei contenuti del proprio sito internet. 9. Coinvolgere i cittadini attraverso la Comunicazione. La implementazione di una nuova politica sul farmaco richiede il coinvolgimento dei cittadini per ricostituire un rapporto di piena fiducia affinche' sia percepito e riconosciuto il ruolo del Ministero della Salute e dell'AIFA a difesa e a tutela dei bisogni e dei diritti del cittadino in ambito farmaceutico e sanitario. L'AIFA promuovera' Campagne di informazione e comunicazione ai cittadini sul corretto impiego dei farmaci; assicurera' attraverso i Medici e i Farmacisti la diffusione delle liste di trasparenza di farmaci di fascia C sottoposti a prescrizione medica e implementera' campagne specifiche per la promozione dei farmaci equivalenti, al fine di liberare preziose risorse destinate ad offrire ai cittadini una sempre maggiore disponibilita' per i farmaci innovativi. In questo senso e' importante ricordare che i farmacisti possono dare un rilevante contributo professionale all'ottimizzazione delle risorse, favorendo il ricorso a medicinali che, nell'ambito di una stessa categoria terapeutica, sono meno costosi e il ruolo che le farmacie possono svolgere ampliando le attivita' di monitoraggio dei consumi e della spesa. I Dispositivi medici. Questa linea tematica si riferisce al complesso delle iniziative che occorrera' sviluppare sulla tematica dei dispositivi medici. La diffusione e l'uso sempre piu' esteso nelle diverse pratiche sanitarie di dispositivi medici dovra' comportare una crescente attenzione da parte del Sistema Sanitario. Nel triennio andranno pianificati interventi mirati ad alcuni obiettivi fondamentali: a) conoscenza sempre piu' completa ed aggiornata delle tipologie di dispositivi medici presenti sul mercato italiano e delle loro caratteristiche tecniche ed economiche; b) promozione della ricerca scientifica in questo campo; c) miglioramento della capacita' di risposta ad eventuali segnalazioni di incidenti o di anomalie di funzionamento di dispositivi medici e attivazione di un sistema di vigilanza; d) attenzione alla qualita' dei prodotti sul mercato, soprattutto in arrivo dal mercato extracomunitario, anche attraverso costanti e fattivi contatti con le altre autorita' competenti. In questa situazione nel corso del triennio, andranno attivate, in accordo con le Regioni misure volte a garantire la sicurezza, e l'appropriatezza d'uso dei dispositivi medici, in particolar modo: - l'istituzione di una database nazionale dei dispositivi medici in vendita nel nostro Paese, contenente le caratteristiche essenziali (comprese biocompatibilta' e sicurezza) degli stessi; - la valutazione del rapporto costo-beneficio, finalizzata a definire il Repertorio dei dispositivi medici rimborsati dal Servizio sanitario nazionale; - la realizzazione di un monitoraggio specifico sulla spesa dei dispositivi medici. 5. GLI OBIETTIVI DI SALUTE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. 5.1. La salute nelle prime fasi di vita, infanzia e adolescenza. Negli ultimi anni si e' delineata una nuova dinamica demografica, con una trasformazione delle caratteristiche del comportamento riproduttivo delle coppie, che ha comportato una riduzione del numero delle nascite. L'innalzamento dell'eta' media al parto delinea una tendenza a posticipare l'inizio della vita riproduttiva ma, in parte, anche un recupero di fecondita' in eta' matura. Dai dati ISTAT si rileva che il tasso di natalita' in Italia nel 2004 e' del 9,7 per 1000 abitanti, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia pari al 10,1 per mille, mentre nel Nord e nel Centro Italia rispettivamente al 9,5 e 9,4 per mille. Malgrado i progressi realizzati negli ultimi anni, non sono ancora stati raggiunti gli obiettivi indicati dal precedente Piano sanitario nazionale 2003-2005, che faceva proprie molte delle indicazioni del Progetto obiettivo materno-infantile del Piano sanitario nazionale 1998-2000, i cui standard relativi al numero minimo di parti anno per struttura, al bacino di utenza per unita' operativa di pediatria risultano ancora validi e del quale andrebbe monitorata l'attuazione. Nella mortalita' infantile, in costante diminuzione permangono purtroppo notevoli diseguaglianze fra le Regioni del Nord-Centro Italia e quelle al Sud del paese. La mortalita' neonatale, piu' elevata nelle Regioni del Sud, e' responsabile della maggior parte di tale mortalita'. L'incidenza dei neonati di basso peso si e' dimezzata nel corso dell'ultimo trentennio e' ha raggiunto il valore medio europeo (6%), persiste pero' un gradiente tra Regioni meridionali e settentrionali. Devono, pertanto, essere migliorate le cure perinatali riducendo le diseguaglianze nei tassi di mortalita' neonatale nelle Regioni del Sud del paese, legate a fattori socioeconomici, quali i piu' elevati livelli di poverta' e la scolarita' piu' bassa, ma anche a fattori organizzativi e gestionali quali ad esempio: la carenza delle strutture consultoriali, la mancata concentrazione delle gravidanze a rischio, l'incompleta o la mancata attivazione del sistema di trasporto assistito del neonato e la mancanza di una guardia attiva medico-ostetrica e pediatrico-neonatologica, 24 ore su 24 in una percentuale elevata dei troppi punti nascita del nostro paese. Per quanto riguarda la mortalita' infantile, la patologia perinatale (55%), in particolare la prematurita' e le malformazioni congenite (30%) costituiscono l'85% circa della mortalita' nel primo anno di vita. Tra il primo mese ed il primo anno di vita, la sindrome della morte improvvisa del lattante costituisce, ancora oggi nei paesi industrializzati, la prima causa di morte, essa ha un'incidenza che puo' essere stimata tra lo 0,5 e l'1% dei lattanti. Per affrontare questa rilevante problematica e' stata emanata la recente legge 2 febbraio 2006, n. 31 "Disciplina del riscontro diagnostico sulle vittime della sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS) e di morte inaspettata del feto" che prevede l'individuazione del centro deputato a elaborare il protocollo diagnostico, le modalita' di individuazione e di autorizzazione dei centri chiamati ad effettuare il riscontro autoptico, la promozione di campagne di sensibilizzazione e di prevenzione per garantire una corretta informazione sulle problematiche connesse alla SIDS e ai casi di morte del feto senza causa apparente, la predisposizione di appositi programmi di ricerca multidisciplinari che comprendano lo studio dei casi sul piano anamnestico, clinico, laboratoristico, anatomo patologico, istologico, l'emanazione di linee guida per la prevenzione della SIDS. Nella fascia di eta' da 1 a 14 anni la mortalita' ha presentato un considerevole declino, la prima causa e' rappresentata dalle cause violente (traumatismi e avvelenamenti) con il 4,3 per 100.000, al secondo posto i tumori con il 4,0, non si rilevano grosse differenze fra Nord e Sud del paese. Tuttavia, se esaminiamo il tasso di mortalita' in eta' adolescenziale e nei giovani adulti (15-24 anni), appaiono evidenti le differenze fra Nord, Centro e Sud, con valori piu' bassi nelle aree meridionali. Queste differenze sono legate soprattutto ai traumatismi: 39 per 100.000 al Nord, rispetto a valori di 24 per 100.000 delle Regioni meridionali. Gli incidenti stradali rappresentano il 57% delle morti legate a traumatismi, il rischio nel maschio appare triplicato rispetto alla popolazione femminile. L'incidenza dei tumori in eta' infantile ed adolescenziale sembra presentare un trend in aumento dell'1% circa all'anno. Dati molto buoni vengono dalla sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi che attualmente e' pari a oltre il 70% per tutti i tumori infantili in Italia ed in Europa. L'obesita' ha una significativa prevalenza, il 36% dei bambini italiani a 9 anni e' sovrappeso, di questi il 12% e' obeso, percentuali superiori ai valori medi europei. La prevalenza dell'asma nei bambini e' pari al 9,3% e al 10,3% tra gli adolescenti, questa patologia non sembra essere aumentata, mentre si e' osservato un incremento della prevalenza di rinite allergica e eczema. La prevenzione di queste due condizioni morbose cosi' frequenti, legate a problematiche ambientali (inquinamento e fumo passivo) e a comportamenti alimentari e stili di vita non corretti deve costituire uno degli obiettivi piu' importanti di politica sanitaria nel nostro Paese. Uno dei problemi piu' critici, strettamente connesso con quello delle patologie croniche, e' quello della disabilita', intesa come difficolta' grave ad espletare almeno una delle attivita' della vita quotidiana, anche se i dati non consentono ancora di definire esattamente il fenomeno, si puo' calcolare che i portatori di disabilita' sono circa il 16-20% della popolazione scolastica. Questi soggetti sono affetti prevalentemente da problematiche neuropsichiche o comportamentali gravi, che richiedono un forte impegno a livello sanitario e sociale, un sostegno alla famiglia ed alla scuola e necessitano sovente di una integrazione di competenze a livello multidisciplinare che occorre garantire. Una situazione che sembra poi emergere con sempre maggiore drammaticita' nella nostra societa' e' quella dell'abuso e del maltrattamento in eta' infantile ed adolescenziale. In Italia il tasso di gravidanze in eta' adolescenziale e' fra i piu' bassi in Europa ed e' in continua diminuzione, meno del 2% di tutte le nascite avviene in donne di eta' inferiore ai 20 anni. Sul territorio la mancanza di una vera continuita' assistenziale ha determinato, anche in ambito pediatrico, un continuo aumento degli accessi in Pronto soccorso, sia generale che pediatrico, il 90% degli accessi e' imputabile ai codici bianchi o verdi, che in gran parte potrebbero essere valutati e risolti in un contesto extraospedaliero. La rete ospedaliera pediatrica, malgrado i tentativi di razionalizzazione, appare ancora ipertrofica rispetto ad altri paesi europei. 11 numero dei punti nascita e' ancora molto elevato, ha meno di 500 parti all'anno che dovrebbe essere considerato lo standard minimo. Alcune Regioni non hanno ancora attivato il trasporto del neonato in emergenza, altre lo hanno fatto in modo incompleto. I tassi di ospedalizzazione sono ancora doppi rispetto ad altri Paesi europei, pur con grandi differenze a livello regionale. L'analisi delle prime 10 cause di ricovero, per DRG, mette in evidenza patologie ad elevato rischio di inappropriatezza. Inoltre per quanto attiene all'assistenza ospedaliera occorre rispettare la peculiarita' dell'eta' pediatrica destinando spazi adeguati a questi pazienti (area pediatrica) che tengano conto anche dell'esigenze proprie dell'eta' adolescenziale e formare in tal senso gli operatori sanitari. Occorre inoltre valorizzare il ruolo degli ospedali pediatrici e dei Centri regionali per l'assistenza al bambino, come punti di riferimento per le patologie complesse. La day surgery in eta' pediatrica stenta ad affermarsi, La mobilita' interregionale e', anche in eta' pediatrica, un fenomeno rilevante. La valutazione della sua entita' e' importante ai fini di correggere le potenziali diseguaglianze nell'erogazione dei servizi. Tale migrazione puo' essere motivata dalla mancanza o inadeguata allocazione o organizzazione dei Centri di alta specialita', da esigenze familiari, ma anche da una non corretta informazione. Gli obiettivi da raggiungere nel triennio sono: - miglioramento dell'assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel periodo perinatale, anche nel quadro di una umanizzazione dell'evento nascita che deve prevedere il parto indolore, l'allattamento materno precoce ed il rooming-in tenendo conto anche degli altri standard definiti dall'OMS e dall'UNICEF per gli "Ospedali amici dei bambini", colmando le diseguaglianze esistenti fra le Regioni italiane, al fine di ridurre la mortalita' neonatale in primo luogo nelle Regioni dove e' piu' elevata, ottimizzando il numero dei reparti pediatrici e dei punti nascita e assicurando la concentrazione delle gravidanze a rischio e il servizio di trasporto in emergenza del neonato e delle gestanti a rischio; - la riduzione del ricorso al taglio cesareo, raggiungendo il valore del 20%, in linea con i valori medi europei, attraverso la definizione di Linee guida nazionali per una corretta indicazione al parto per taglio cesareo, l'attivazione di idonee politiche tariffarie per scoraggiarne il ricorso improprio; - promuovere campagne di informazione rivolte alle gestanti e alle puerpere, anche attraverso i corsi di preparazione al parto ed i servizi consultoriali, per la promozione dell'allattamento al seno, il corretto trasporto in auto del bambino, la prevenzione delle morti in culla del lattante, la promozione delle vaccinazioni e della lettura ad alta voce. Deve essere prevenuto il disagio psicologico dopo la gravidanza ed il parto; - educare i giovani alla promozione della salute, all'attivita' motoria, ai comportamenti e stili di vita adeguati nel campo delle abitudini alimentari, alla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale compresa l'infezione da HIV, della tossicodipendenza e dell'alcolismo, alla procreazione responsabile, sollecitando il contributo della scuola, attivando anche interventi, in particolare nei consultori familiari e negli spazi destinati agli adolescenti, di prevenzione e di lotta ai maltrattamenti, abusi e sfruttamento dei minori e alla prevenzione degli incidenti stradali e domestici; - prevenire la patologia andrologica e ginecologica nell'eta' evolutiva; - controllare e diminuire il sovrappeso e l'obesita' nelle giovani generazioni tramite interventi che devono riguardare non solo la casa e la famiglia (ma anche la scuola e la citta) e infine i mass media e gli organismi di controllo che devono diffondere la cultura dei cibi salutari (frutta e verdura) e combattere la pubblicita' alimentare ingannevole; - riorganizzare i Servizi di emergenza-urgenza pediatrica; - ridurre i ricoveri inappropriati in eta' pediatrica; - migliorare l'assistenza ai pazienti affetti da sindromi malformative congenite; - definire appropriati percorsi diagnostici-terapeutici-riabilitativi per le patologie congenite, ereditarie e le malattie rare, mediante una migliore organizzazione dei Centri di riferimento a valenza regionale o interregionale e la realizzazione di reti assistenziali; - migliorare l'assistenza ai bambini e agli adolescenti affetti da patologie croniche mediante lo sviluppo di modelli integrati tra Centri specialistici, ospedali, attivita' assistenziali territoriali, quali l'assistenza psicologica e sociale, la scuola, le associazioni dei malati e il privato no profit; - valutare con attenzione e contrastare il fenomeno del doping che sembra interessare sempre di piu' anche i giovanissimi che praticano lo sport a livello dilettantistico e amatoriale, coinvolgendo le famiglie, le istituzioni scolastiche, le organizzazioni sportive e le strutture del SSN. Cio' al fine di acquisire una piu' approfondita conoscenza dell'entita' del fenomeno, coinvolgendo le strutture del SSN, le organizzazioni sportive e le istituzioni scolastiche, al fine di sviluppare un efficace piano di prevenzione e lotta al doping, elaborando le strategie da adottare e le azioni da intraprendere. 5.2. Le grandi patologie: tumori, malattie cardiovascolari, diabete e malattie respiratorie. I tumori. La lotta ai tumori si realizza in primo luogo attraverso interventi finalizzati alla prevenzione sia primaria che secondaria e a questo proposito negli anni di vigenza del precedente Piano sanitario nazionale sono state realizzate importanti iniziative nella lotta al fumo. Per la prevenzione nell'ambiente di vita e di lavoro sono stati realizzati gli interventi previsti dalla normativa nazionale, regionale e comunitaria di settore. Sono stati inoltre finanziati con le risorse vincolate al raggiungimento degli obiettivi di PSN gli screening oncologici per la prevenzione del tumore del collo dell'utero, della mammella e del colon retto ed in corso di attuazione il Piano Nazionale di prevenzione, del quale gli screening oncologici costituiscono una linea operativa. Le azioni da completare nel campo della prevenzione dei tumori sono: - interventi di informazione e di educazione sulla lotta ai principali agenti causali e sui comportamenti positivi per ridurre il rischio; - informazione e comunicazione sulla validita' della diagnosi precoce, integrando nelle attivita' dei medici di medicina generale attivita' utili alla riduzione di alcuni tumori (ad es. melanomi); - attivare programmi intersettoriali di riduzione del rischio ambientale (ad es. incentivazione del trasporto su rotaia o del mezzo pubblico nelle aree ad alta densita' di traffico). Per quanto attiene alla diagnosi precoce e' necessario ottenere nell'esecuzione degli screening una copertura quanto piu' totale della "popolazione bersaglio", superando le differenze nell'accesso legate ai determinanti sociali anche tramite il sistema della chiamata diretta. Devono essere superati gli squilibri territoriali nell'offerta degli screening efficaci, come stabilito dal Parlamento con la legge 26 maggio 2004, n. 138 art. 2-bis. Vanno garantiti i controlli di qualita' su tutte le fasi del processo diagnostico e sulla dotazione tecnologica (obsolescenza tecnologica) al fine di evitare falsi negativi. E' necessario inoltre garantire alle persone risultate positive al test di screening l'attuazione di percorsi assistenziali in tempi consoni alla gravita' della sospetta diagnosi. A tale proposito nella gestione delle liste di attesa e' necessario che si tenga conto della sospetta diagnosi di neoplasia per l'attivazione di percorsi differenziati. Per quanto riguarda la fase terapeutica, di follow up e di riabilitazione occorre sia promuovere la qualificazione dei servizi e delle unita' operative presenti sul territorio, migliorandone la qualita' e l'accessibilita', valorizzando l'utilizzo di linee guida nazionali ed internazionali e di protocolli condivisi, sia concentrare l'offerta ospedaliera di alta specialita' in strutture di altissima specializzazione, dislocate strategicamente sul territorio, dotate delle piu' moderne tecnologie (ad es. in tema di diagnostica per immagine e di radioterapia), che siano parte di una rete integrata con ospedali di livello locale e strutture territoriali per la presa in carico del paziente, la realizzazione di percorsi sanitari appropriati in un contesto di continuita' delle cure. L'offerta dei servizi per la terapia delle patologie neoplastiche ed in particolare della radioterapia deve essere distribuita omogeneamente sul territorio e devono essere attivati sistemi di valutazione della qualita' e degli esiti. Lo sviluppo degli indirizzi coordinati in oncologia sara' incluso nell'apposito Piano Oncologico Nazionale. Per quanto attiene alla fase terminale e al controllo del dolore si rinvia ai rispettivi paragrafi. Malattie cardiovascolari. Le malattie cardiovascolari costituiscono uno dei piu' importanti problemi di sanita' pubblica, e in Italia rappresentano la prima causa di morte e la principale causa di inabilita' nella popolazione anziana. Anche nel campo delle malattie cardiovascolari l'intervento del SSN deve essere in primo luogo rivolto alla prevenzione. Per questo lo Stato e le Regioni hanno concordato di attivare nell'ambito del programma del Piano Nazionale di prevenzione, da attuarsi nel periodo 2005-2008, il Programma di prevenzione cardiovascolare che prevede quattro distinte iniziative: 1) la diffusione della carta del rischio a gruppi di soggetti; 2) la prevenzione dell'obesita' nelle donne in eta' fertile e nel bambino; 3) la prevenzione attiva delle complicanze del diabete di tipo mellito, attuando tecniche di gestione integrata della malattia; 4) la prevenzione delle recidive nei soggetti che gia' hanno avuto accidenti cardiovascolari, cosicche' questi non si ripetano. Vanno inoltre promosse azioni di informazione e comunicazione sull'importanza dell'adozione di stili di vita sani, di una corretta alimentazione, della riduzione della pressione arteriosa, dell'abolizione del fumo, del controllo della glicemia, dei lipidi e del peso corporeo. E' necessario procedere all'individuazione precoce dei soggetti affetti da cardiopatia per prevenirne l'aggravarsi e il manifestarsi di eventi acuti. La gestione delle liste di attesa deve permettere percorsi differenziati, in caso di sospetto diagnostico, su indicazione del Medico di medicina generale dell'eventuale urgenza. In presenza della patologia il paziente deve essere trattato secondo protocolli e linee guida condivise. Per la gestione della fase acuta della malattia, in particolare nell'infarto miocardio acuto, occorre che il sistema di emergenza urgenza sia organizzato per intervenire in modo rapido ed appropriato, per la diagnosi preospedaliera, l'eventuale trattamento trombolitico, l'accompagnamento del paziente con rischi piu' elevati alla struttura ospedaliera piu' idonea. Per la gestione dei pazienti cronici va realizzata una forte integrazione tra territorio ospedale per attivare interventi di prevenzione di ulteriori eventi acuti, garantire la continuita' delle cure, monitorare il paziente, ridurre le recidive e i ricoveri, anche mediante l'elaborazione di percorsi diagnostico-terapeutici condivisi. In questo campo e' valido l'utilizzo degli strumenti della teleassistenza e del telesoccorso che consentono di monitorare i pazienti presso il proprio domicilio, con l'invio per via telematica di ecg e di analisi, che consentono di effettuare diagnosi differenziali e di prevenire ricoveri impropri e spesso non graditi dai pazienti. Diabete. Il diabete mellito costituisce un importante problema per la sanita' dei paesi industrializzati per l'incremento della frequenza, legata all'aumento della vita media e all'adozione di stili di vita insalubri (scorrette abitudini alimentari, scarsa attivita' fisica con incremento dell'obesita). Esistono due forma di diabete mellito: il diabete di tipo 1, infanto-giovanile, dipendente da carenza primaria di insulina, a genesi autoimmune, la cui prevalenza nel nostro Paese e' di 0,4-1 caso per mille abitanti e il diabete di tipo 2, cosiddetto dell'adulto, spesso associato a sovrappeso, dislipidemia ed ipertensione, la cui prevalenza e' di circa 2,7-3 casi per cento abitanti. Entrambe le forme della malattia diabetica sono caratterizzate dall'insorgenza di numerose e gravi complicanze a carico di vari organi e apparati, che incidono pesantemente sulla qualita' della vita dei pazienti e sul Servizio sanitario nazionale, ma che possono essere prevenute da un corretto controllo glicometabolico. Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale complicanza del diabete di tipo 2. Se il diabete si accompagna ad ipertensione arteriosa, dislipidemia e obesita' (oppure anche solo sovrappeso, quando questo sia di tipo "viscerale") si configura la sindrome metabolica caratterizzata da ulteriore incremento del rischio cardiovascolare. La retinopatia diabetica, piu' frequente nel diabete di tipo 1 e' un importante causa di cecita', la nefropatia diabetica e' la terza causa di ricorso alla dialisi; le vasculopatie e neuropatie periferiche causano lesioni trofiche alle estremita' inferiori che a volte esitano in amputazioni (prima causa di amputazione). Studi clinici condotti in questi ultimi anni hanno evidenziato come l'incremento dell'incidenza del diabete di tipo 2 possa essere contrastata dall'attuazione di stili di vita salutari e di un'alimentazione corretta. Uno stretto controllo dell'equilibrio metabolico, e, soprattutto nel diabete di tipo 2, degli altri parametri di rischio cardiovascolare noti (fumo, peso corporeo, pressione arteriosa, lipidi plasmatici) riduce il rischio di complicanze nel paziente diabetico. Il paziente quindi si deve sottoporre con cadenza stabilita ad una serie di accertamenti per il controllo della malattia e per la diagnosi precoce delle complicanze. Per incrementare l'adesione del paziente ai protocolli diagnostici terapeutici lo Stato e le Regioni hanno concordato sull'attuazione del Piano Nazionale di Prevenzione che prevede tra l'altro l'iscrizione dei pazienti diabetici in appositi registri e l'integrazione in rete delle strutture territoriali deputate alla prevenzione e alla gestione del paziente diabetico. Le malattie respiratorie. Le malattie respiratorie costituiscono la terza causa di morte e di queste la BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e' responsabile di circa il 50% dei decessi ed il sesso piu' colpito e' quello maschile. Anche la lotta alle malattie respiratorie si realizza in primo luogo attraverso interventi finalizzati alla prevenzione sia primaria che secondaria, come la lotta al fumo e la lotta agli inquinanti presenti negli ambienti di vita e di lavoro. Le azioni da compiere nel campo della prevenzione delle malattie respiratorie sono: - attivazione di programmi intersettoriali di riduzione del rischio ambientale e professionale; - interventi di informazione e di educazione sulla lotta ai principali agenti causali e sui comportamenti positivi per ridurre il rischio; - informazione, comunicazione, promozione della diagnosi precoce, con il coinvolgimento nelle attivita' dei medici di medicina generale; - prevenzione ed il trattamento della disabilita'. Estremamente importante e' la diagnosi precoce che nella maggior parte dei casi puo' essere eseguita con la spirometria, nei soggetti fumatori per individuare la patologia cronica in fase iniziale ed impedire la progressione della patologia respiratoria verso livelli di patologia piu' severi. Per quanto riguarda la fase terapeutica, di follow up e di riabilitazione occorre promuovere la qualificazione dei servizi e delle unita' operative presenti sul territorio, migliorandone la qualita' e l'accessibilita', valorizzando l'utilizzo di linee guida nazionali ed internazionali e di protocolli condivisi e concentrare l'offerta ospedaliera di alta specialita' in strutture dotate delle piu' moderne tecnologie (ad es. laboratori di fisiopatologia respiratoria, di valutazione delle patologie sonno-correlate, endoscopia toracica, oncologia toracica, unita' di terapia intensiva respiratoria, allergologia respiratoria). Tali strutture devono essere inserite in un sistema di rete comprendente ospedale e territorio che faciliti l'individuazione e l'utilizzo di percorsi diagnostico-terapeutici-riabilitativi adeguati. A livello territoriale deve essere implementata l'assistenza domiciliare integrata, in particolare per i pazienti affetti da insufficienza respiratoria grave, con disponibilita' al domicilio del paziente, dove necessario, degli strumenti di monitoraggio della funzione respiratoria, anche in modalita' telematica. I pazienti e i familiari, devono essere formati a conoscere le caratteristiche della malattia, a seguire/far seguire correttamente la terapia prescritta e a reagire prontamente in caso di riacutizzazione. Per quanto riguarda l'offerta ospedaliera si ricorda, inoltre, l'efficacia delle unita' di terapia intensiva respiratoria nella gestione completa del paziente respiratorio critico, con possibilita' di attuare terapia intensiva respiratoria non-invasiva e notevole miglioramento della qualita' di vita, possibilita' di ridurre l'occupazione di posti letto in reparti di rianimazione e riduzione dei costi di gestione del paziente con insufficienza respiratoria. 5.3. La non autosufficienza: anziani e disabili La non autosufficienza e' una grande problematica assistenziale, che tendera' ad assorbire crescenti risorse nell'ambito dei servizi sanitari e socio-sanitari. E' pertanto, fondamentale attuare sistematici interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, tramite interventi in grado di affrontare la molteplicita' dei fattori che concorrono a determinare e ad aggravare la situazione di non autosufficienza, Altrettanto basilare e' il rafforzamento delle reti assistenziali, con una forte integrazione dei servizi sanitari e sociali. Gli Anziani. Il possibile incremento delle disabilita' e delle malattie croniche causato dall'invecchiamento della popolazione e' funzione di vari fattori, tra loro contrastanti, gli uni legati al naturale deterioramento fisico, gli altri alla validita' degli interventi di prevenzione e al miglioramento delle condizioni di vita gia' nelle eta' precedenti. I possibili scenari che al momento attuale possono prevedersi presentano caratteri discordanti: a) incremento degli anziani non autosufficienti proporzionale all'incremento del numero di anziani con forte crescita in numeri assoluti, b) incremento del numero assoluto di anziani non autosufficienti piu' contenuto grazie al miglioramento delle condizioni di vita, dei progressi della medicina, delle attivita' di prevenzione. Infatti gia' oggi si registra un innalzamento ad eta' piu' elevate delle problematiche piu' importanti (perdita di autonomia, riduzione della mobilita', decadimento cognitivo) connesse con l'eta' anziana. In ogni caso il mutato assetto demografico impone un'accelerazione nell'attuazione delle scelte di politica sanitaria in questo campo. Agli effetti dell'invecchiamento della popolazione si sommano i cambiamenti nelle struttura familiare che hanno portato ad una drastica diminuzione del ruolo tutelare della famiglia, che, li' dove e' presente, si trova appesantita dalla difficolta' di affrontare a volte da sola problematiche complesse alle quali non sempre e' preparata e che richiedono grande dispendio di tempo, energie e risorse, soprattutto in presenza di "anziani fragili". Con tale termini si intendono anziani limitati nelle attivita' quotidiane per effetto di pluripatologie, ritardo nei processi di guarigione e recupero funzionale. Negli anziani, accanto ai problemi di carattere sanitario, spesso sono presenti problemi di carattere economico. L'incidenza della poverta' e' superiore alla media (13,9%) tra le famiglie con almeno un componente di oltre 65 anni di eta' e raggiunge il valore massimo quando i componenti anziani sono due o piu' (16,7%). Il disagio relativo e' piu' evidente nelle Regioni del Sud, dove l'incidenza media e' pari al 21,3% ma le coppie povere con persona di riferimento di oltre 65 anni sono il 28,2% e gli anziani poveri e soli il 25,7%. Partendo dall'esperienza di questi anni e dall'esperienza internazionale, che sta individuando quale priorita' in tutta Europa un incremento delle cure domiciliari rispetto all'istituzionalizzazione, l'obiettivo prioritario che il SSN vuole perseguire in tutto il territorio e' la garanzia per l'anziano non autosufficiente della permanenza al proprio domicilio, laddove le condizioni sanitarie, sociali, abitative e di solidarieta' sociale lo rendano appropriato. Conseguentemente e' necessario lavorare in collaborazione con le istituzioni e i gruppi formali ed informali, che concorrono all'assistenza per l'ottimizzazione degli interventi di propria competenza, per un miglioramento delle componenti di cura e di assistenza al fine di ampliare le condizioni di appropriatezza. Occorre, in tal senso, agire essenzialmente sull'implementazione dell'integrazione funzionale tra le varie componenti sanitarie ospedaliere e territoriali e tra i servizi sanitari e sociali, con le modalita' previste dall'attuale normativa (Piani attuativi locali che recepiscono le indicazioni dei Piani di zona, e che costituiscono la base degli accordi di programma tra i Comuni e le ASL, e il Piano delle attivita' territoriali, articolazione dell'accordo di programma etc), per il raggiungimento di obiettivi comuni tramite la concertazione degli interventi e la condivisione delle risorse. Occorre, inoltre: - riorganizzare la rete dei servizi sanitari, potenziando l'assistenza territoriale e l'integrazione con il sociale, avvalendosi anche del privato, disponibile a progettare e a realizzare vere reti assistenziali con supporti tecnologici e pacchetti di servizi; - garantire il livello di assistenza agli anziani non autosufficienti su tutto il territorio nazionale, ancorando la definizione del livello all'individuazione di standard di prestazioni, di processo e di esito, anche ai fini di una valutazione della sua effettiva erogazione; - promuovere la ricerca biomedica e clinica sull'invecchiamento ed in particolare sulle relazioni esistenti tra fragilita', patologia, comorbilita', menomazioni e disabilita' geriatriche, promuovendo inoltre il coordinamento delle ricerche gerontologiche attraverso una maggiore cooperazione tra i paesi europei; - procedere alla realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al rischio della non autosufficienza. I Disabili. Nell'analizzare gli interventi e le politiche da attuare per l'integrazione dei servizi di cura per le persone diversamente abili, non si puo' prescindere dal contributo fortemente innovativo, apportato dalla riflessione internazionale in questo campo, concretizzatosi nella "Classificazione internazionale del funzionamento, disabilita' e salute (ICF)". L'approccio, che e' alla base dell'ICF, amplia grandemente il campo di azione degli interventi da porre in essere per una piu' piena integrazione delle persone affette da disabilita', mettendo in risalto la responsabilita' condivisa delle varie istituzioni (istruzione, sanita', lavoro, enti locali, etc) per il miglior inserimento o reinserimento nel contesto familiare, lavorativo, relazionale e sociale di questi pazienti. In questa visione e' ribadita la centralita' dell'individuo nei processi assistenziali e sanitari, cui devono essere garantiti i Livelli Essenziali di Assistenza, eliminando le disuguaglianze che ancora caratterizzano l'accesso ai servizi. Conseguente e' la necessita' (piu' volte ribadita in documenti del livello centrale e regionale) che i servizi e gli operatori si attivino per rispondere in maniera coordinata e continuativa alla molteplicita' dei bisogni espressi, in un sistema di interrelazioni che costituiscono la rete integrata per le disabilita'. L'approccio da seguire per il paziente con disabilita' e', quindi, il coordinamento delle attivita' multiprofessionali e multidisciplinari, che analizzi tutti gli aspetti della persona in relazione ai bisogni causati dall'evento lesivo per la successiva elaborazione di un programma individualizzato di riabilitazione, rieducazione e reinserimento sociale alla cui definizione partecipa attivamente il paziente con disabilita' e la sua famiglia. Nel progetto individuale i diversi interventi sono integrati e i diversi operatori riconoscono il loro apporto professionale, per quanto autonomo, facente parte di una strategia piu' ampia finalizzata al raggiungimento di obiettivi comuni. L'impegno del Servizio sanitario nazionale in primo luogo e' volto a garantire che l'intervento riabilitativo sia precoce per ridurre gli esiti invalidanti degli eventi lesivi, facilitando il recupero di competenze funzionali e/o lo sviluppo di competenze sostitutive Per tale scopo vanno sviluppati anche in questo settore gli strumenti del governo clinico e della valutazione della qualita', tramite indicatori di struttura, di processo e di esito, implementando l'utilizzo di linee guida cliniche e di percorsi assistenziali, fondati sui principi della medicina basata sulle evidenze. Alla dimissione dell'ospedale il paziente entra nella dimensione riabilitativa territoriale: per garantire la continuita' delle cure soprattutto nel delicato passaggio dall'ospedale al territorio e dalle strutture territoriali al domicilio, e' necessario promuovere e potenziare il coordinamento delle strutture e dei servizi sanitari che entrano a far parte della rete di riabilitazione in modo da consentire la presa in carico globale del paziente, l'unitarieta' degli interventi, il facile passaggio da un nodo all'altro della rete. A questo riguardo vanno previsti percorsi assistenziali anche per la fase di cronicita', dimensionando i nodi della rete a livello regionale e locale, secondo l'epidemiologia del territorio. E' auspicabile che, per migliorare l'integrazione e la comunicazione, si utilizzino terminologie comuni per individuare i bisogni, gli obiettivi e i risultati degli interventi. A tale proposito, in considerazione del grande sviluppo in termini di organizzazione, tecnologie, ricerca, bisogni informativi che il mondo della riabilitazione ha avuto in questi anni, occorre procedere ad una rielaborazione delle linee guida ministeriali per le attivita' di riabilitazione, gia' approvate con un Accordo Stato-Regioni nell'anno 1998. Occorre inoltre provvedere ad un aggiornamento del nomenclatore dei presidi protesici ed ortesici, al fine di adeguare la lista dei dispositivi erogabili e meglio ricollegare l'assistenza protesica alla piu' generale assistenza riabilitativa. L'integrazione territoriale prevede il coinvolgimento della rete assistenziale e di solidarieta' sociale. Importante infatti nel campo della disabilita' e' il contributo che puo' essere apportato dal volontariato e dal privato no profit, per la peculiarita' di queste associazioni di rispondere in modo flessibile ed articolato ai bisogni anche non codificati dei pazienti. E' inoltre molto importante l'apporto delle associazioni di familiari e dei gruppi di auto-aiuto, il cui contributo va ricercato e riconosciuto. Il programma individualizzato di riabilitazione deve prevedere, inoltre, interventi finalizzati alla formazione professionale e al reinserimento o inserimento scolastico. Vanno, pertanto, promossi incontri congiunti tra gli operatori sociosanitari e scolastici per definire percorsi di integrazione e di orientamento scolastico e con i centri di formazione professionale per l'inserimento nel mondo del lavoro. L'esercizio del diritto all'istruzione e al lavoro costruisce infatti il primo passo verso quella piena integrazione sociale, che insieme al raggiungimento e al mantenimento della massima autonomia costituisce l'obiettivo a cui tutti gli interventi di riabilitazione sono finalizzati. A questo proposito, in favore dei disabili gravi, in sinergia con i servizi sociali, e' opportuno promuovere la realizzazione delle condizioni che permettano una vita quanto piu' indipendente, che non deve essere necessariamente legata al venir meno del supporto familiare (il cosiddetto "dopo di noi"), ma puo' essere preparata con la partecipazione propositiva della famiglia. E' possibile ipotizzare soluzioni abitative in residenze di piccole dimensioni che, pur promuovendo l'autonomia, mantengano il paziente in un contesto relazionale favorevole. 5.4 La tutela della salute mentale. Nel nostro Paese, le precedenti azioni programmatiche in terna di salute mentale hanno portato al consolidamento di un modello organizzativo dipartimentale, ed alla individuazione di una prassi operativa mirata a intervenire attivamente e direttamente nel territorio (domicilio, scuola, luoghi di lavoro ecc.), in collaborazione con le associazioni dei familiari e di volontariato, con i medici di medicina generale e con gli altri servizi sanitari e sociali. La distribuzione quantitativa di tutti i servizi dei DSM soddisfa gli standard tendenziali nazionali, con valori superiori per i Centri di salute mentale, i Centri Diurni e le Strutture residenziali (pubbliche e private convenzionate), mentre disomogenea sul territorio appare la dotazione di risorse umane messe in campo e la qualita' degli interventi fra le varie Regioni e all'interno di ciascuna regione. Per quanto attiene alle attivita' dei Centri di salute mentale, responsabili per la presa in carico e la continuita' terapeutica, sono evidenziabili le seguenti criticita': a) scarsa conoscenza nella popolazione dell'esistenza dei servizi di cura, delle malattie mentali in generale e delle possibilita' di trattamento; b) forte rischio per molti servizi di non soddisfare le richieste di cura, sia per carenze organizzative sia per scarsita' di personale; c) difficolta' nella presa in carico di pazienti "non consenzienti" e "non collaboranti"; d) interruzioni non concordate del programma terapeutico riabilitativo; e) primo contatto tardivo di pazienti "gravi" che, in molti casi, arrivano ai servizi gia' con una storia di "cronicita'", con consequenziale diminuzione delle potenzialita' di recupero. Un altro punto critico riguarda le strutture residenziali, per le quali non tutte le Regioni hanno emanato criteri formali per l'accreditamento e per le attivita' che in esse debbono svolgersi, in rapporto alla tipologia di pazienti. Altri punti di criticita' sono: - difforme diffusione nei DSM della cultura della valutazione della qualita'; - carente attenzione ai problemi di salute mentale nelle carceri; - mancanza di un Sistema informativo nazionale, in grado di documentare le attivita' e le prestazioni fornite dai servizi, in rapporto ai bisogni dei pazienti. Disporre di tali dati e' fondamentale per le conoscenze epidemiologiche e per la programmazione degli interventi futuri. A fronte di problematiche tuttora aperte riguardanti l'accesso all'assistenza a favore dei pazienti psichiatrici, e' stata recentemente istituita, presso il Ministero della salute, la Commissione nazionale per la salute mentale che opera in coordinamento con la Consulta nazionale per la salute mentale. Nel contempo la Commissione igiene e sanita' del Senato, ha avviato un'indagine conoscitiva sullo stato dell'assistenza psichiatrica in Italia e sull'attuazione dei progetti-obiettivo per la tutela della salute mentale. Tale indagine, a partire dalla legge 13 maggio 1978 n. 180, che perseguiva gli obiettivi di tutelare i diritti del paziente; favorirne il recupero sociale e promuovere un modello assistenziale allargato sul territorio, si colloca in un mutato quadro istituzionale e normativo, che affida alle Regioni la gestione dell'assistenza per la salute mentale. Gli obiettivi da raggiungere: - implementare la qualita' dei CSM e la loro capacita' di rispondere alla domanda di trattamento per i differenti disturbi mentali, contrastando la stigmatizzazione e riducendo le liste di attesa, razionalizzando le modalita' di presa in carico, creando percorsi differenziati per tipologie pazienti, adottando linee guida e procedure di consenso, basati su prove di efficacia; - migliorare l'adesione alle cure e la capacita' di presa in carico dei pazienti "non collaboranti"; - attivare programmi di individuazione precoce delle psicosi schizofreniche; - migliorare le capacita' di risposta alle richieste di cura per i disturbi dell'umore (con particolare riferimento alla depressione in tutte le fasce di eta) e i disturbi del comportamento alimentare (con particolare riferimento alla anoressia); - accreditare le strutture residenziali, connotandone la valenza terapeutico-socioriabilitativa; - implementare i protocolli di collaborazione fra servizi per adulti e servizi per l'eta' evolutiva, per garantire la continuita' terapeutica nel trattamento dei disturbi mentali dell'infanzia e dell'adolescenza; - attivare e implementare interventi nelle carceri in favore dei detenuti con disturbi mentali. Garantire assistenza e reinserimento sociale ai pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), con particolare riferimento ai dimessi; - implementare i programmi di lotta allo stigma e al pregiudizio nei confronti delle patologie mentali; - realizzare il Sistema Informativo Nazionale per la Salute Mentale. 5.5. Le dipendenze connesse a particolari stili di vita. Questa linea di azione e' finalizzata a contrastare le conseguenze di stili di vita fortemente condizionati da specifiche forme di dipendenza, che costituiscono rilevanti fattori di rischio per la salute. In particolare si fa riferimento al fumo di tabacco, all'abuso di alcol e all'utilizzo di sostanze stupefacenti. Fumo di Tabacco. La diffusione dell'abitudine al fumo e' ancora troppo alta, soprattutto tra i giovanissimi, tra le donne, specie tra quelle in eta' fertile ed in gravidanza, con conseguente rischio per la salute anche del nascituro. Il fumo in gravidanza e' causa di basso peso alla nascita, di conseguenze per lo sviluppo della funzione respiratoria e di una quota significativa delle cosiddette "morti in culla". Negli ultimi anni e' aumentato il numero delle donne affette da patologie fumo correlate, quali il cancro polmonare o l'infarto del miocardio. Il numero dei fumatori che smette e' ancora troppo basso e riferito a soggetti in eta' adulta che in molti casi gia' presentano delle patologie connesse al tabagismo. L'esposizione, specie nei luoghi di lavoro e in ambiente domestico, al fumo passivo oltre ad essere corresponsabile di patologie respiratorie dell'infanzia (ad es. asma bronchiale) e' causa di aumentato rischio di tumore polmonare e di infarto del miocardio. Gli obiettivi da raggiungere: - prevenire l'iniziazione al fumo dei giovani, tramite l'attivazione di interventi integrati di educazione alla salute rivolti ai ragazzi in eta' scolare (scuola media inferiore e primi anni della scuola media superiore); - favorire la disassuefazione dal fumo, tramite il contributo dei MMG, i Centri Antifumo gia' operanti, l'attivazione presso le ASL o le Aziende ospedaliere di funzioni dedicate; - favorire la sospensione del fumo in gravidanza tramite interventi di informazione, educazione, organizzazione di sistemi di assistenza per le donne che fumano in gravidanza e le donne in eta' fertile nell'ambito delle strutture operanti nel settore; - proteggere i non fumatori dall'esposizione al fumo passivo. Per perseguire quest'ultimo obiettivo dovranno essere promosse azioni di sostegno e di monitoraggio all'applicazione della legge 16 gennaio 2003, n. 3, attraverso una costante azione di informazione-educazione da parte delle strutture competenti delle Aziende Sanitarie, quali i Dipartimenti di Prevenzione, accompagnate, specie sui luoghi di lavoro, da interventi educativi rivolti ai fumatori per favorire l'adozione di comportamenti non nocivi nei confronti dei non fumatori e promuovere la disassuefazione, anche attraverso l'offerta privilegiata di supporto. L'abuso di alcol. In questi ultimi anni si sono consolidate le politiche sanitarie del nostro Paese in campo alcologico, come e' rilevabile dalla Relazione che il Ministro della Salute ha recentemente presentato al Parlamento - ai sensi dell'art. 8 della legge 30 marzo 2001, n. 125 - per illustrare gli interventi attivati, a livello nazionale e regionale, nell'anno 2004. In Italia gia' nel Piano sanitario nazionale 2003-2005 la riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall'alcol e' stata riconosciuta come uno dei piu' importanti obiettivi di salute pubblica, soprattutto in relazione alla protezione della salute delle giovani generazioni. Il Ministero della Salute ha elaborato nel Dicembre 2004 un Piano nazionale Alcol e Salute, inserito nel programma di attivita' del Centro per il Controllo delle Malattie (CCM), quale strumento per favorire azioni di ampio respiro per la prevenzione dei problemi alcolcorrelati in tutto il territorio nazionale. Il consolidamento delle politiche del nostro Paese riflette del resto gli orientamenti delle politiche alcologiche della U.E., che hanno avuto, negli ultimi anni, un forte impulso con l'inserimento, nel nuovo Programma di azione comunitario di sanita' pubblica per gli anni 2003-2008, delle problematiche sanitarie connesse con l'uso e abuso di alcol. Anche in ambito regionale appare evidente la maturazione di una nuova cultura istituzionale in campo alcologico, che ha indotto molte Regioni a rafforzare il sistema di misure programmatiche e organizzative, con particolare attenzione al mondo giovanile e scolastico. Le attivita' di monitoraggio del Ministero della Salute consentono di affermare che in tutte le Regioni, si e' ampliato e qualificato il sistema dei servizi territoriali preposti al trattamento e alla riabilitazione della dipendenza da alcol. Sempre piu' capillare appare la capacita' di collaborazione tra servizio pubblico ed enti e associazioni di volontariato e auto-mutuo aiuto, di cui si sta affermando un peculiare ruolo sia nella prevenzione che nella riabilitazione. Nonostante i progressi rilevabili nel sistema di servizi e interventi del SSN, permangono alcuni preoccupanti fenomeni nonche' difficolta' e carenze in relazione ai quali appare importante intervenire con strumenti di piano particolarmente mirati: - aumento della popolazione complessiva dei consumatori e conseguente maggiore esposizione della popolazione al rischio di danni sociali e sanitari correlati, in particolare dei consumatori appartenenti a categorie socio-demografiche particolarmente a rischio di danno alcolcorrelato quali le donne e i giovani; - aumento dei comportamenti di consumo a rischio, quali i consumi fuori pasto, consumi eccedentari e ubriacature, in particolare nell'ambito della popolazione giovanile di entrambi i sessi e nella popolazione femminile; - difficolta' di garantire, soprattutto in alcuni territori, percorsi terapeutici adeguati ai bisogni dell'utenza con problemi di alcoldipendenza conclamata. Gli obiettivi da raggiungere: 1. Particolarmente importante sembra oggi per il nostro Paese, sopratutto in relazione alla protezione sanitaria dei piu' giovani e delle donne, l'adozione di politiche e azioni che intervengano sulla percezione culturale del bere, al fine di rendere evidenti le diverse implicazioni di rischio connesse ai diversi comportamenti, trasmettendo in proposito univoci e adeguati orientamenti. 2. Appare inoltre importante accrescere la disponibilita' e l'accessibilita' di efficaci trattamenti, nei servizi pubblici o accreditati, per i soggetti con consumi dannosi e per gli alcoldipendenti conclamati, nonche' sorvegliare l'efficacia e l'efficienza degli interventi. Le tossicodipendenze. Il Consiglio Europeo, nel dicembre 2004 ha approvato la strategia dell'UE in materia di droga (2005-2012), che fissa il quadro, gli obiettivi e le priorita' per due piani d'azione quadriennali consecutivi che verranno proposti dalla Commissione. L'attivita' del Gruppo Orizzontale Droga (Bruxelles) si e' incentrata prevalentemente sulla elaborazione e adozione della predetta strategia. La "strategia" si basa essenzialmente su un apporto integrato, multidisciplinare ed equilibrato tra riduzione della domanda e riduzione dell'offerta di droga. Il piano d'azione 2005-2008 dell'UE in materia di lotta alla droga (Gazzetta Ufficiale dell'UE 8.7.2005 C 168/1) mette in evidenza anche una serie di temi trasversali, quali la cooperazione internazionale, la ricerca, l'informazione e la valutazione. Nel nostro Paese l'offerta dei servizi assistenziali attualmente disponibili nel settore delle tossicodipendenze consiste in: - Servizi pubblici per le tossicodipendenze (SerT): 541; - Strutture socio-riabilitative (dato del Ministero dell'Interno): 1.230. Le criticita' riscontrate sono principalmente legate a: - difficolta' nel garantire la continuita' terapeutica e riabilitativa; - mancanza di conoscenze scientifiche validate sui protocolli terapeutici relativi ai consumi di cannabis, cocaina e metamfetamine. Le nuove droghe rappresentano un problema aperto in quanto i consumatori non si ritengono tossicodipendenti nell'accezione classica del termine; - difficolta' nell'affrontare la comorbilita' psichiatrica, riguardante soprattutto i pazienti "cronici" (generalmente assuntori di eroina); - limitatezza delle informazioni fornite dal flusso informativo nazionale, attualmente limitato all'attivita' dei servizi pubblici; difficolta' nell'attuazione di processi diagnostico-terapeutici e riabilitativi efficaci nei tossicodipendenti detenuti. Gli obiettivi da raggiungere: 1. accrescere le conoscenza professionali basate sull'evidenza, al fine di adottare risposte adeguate all'utenza (nuove strategie terapeutiche e protocolli terapeutici condivisi) con particolare riferimento a nuovi consumi e comorbilita' psichiatrica; 2. attivare ed implementare strategie di prevenzione primaria, secondaria e terziaria; 3. attuare una revisione dei flussi informativi nazionali a fini epidemiologici e programmatici. Nel raggiungimento degli obiettivi occorrera' fare riferimento alle modifiche normative introdotte con la legge 1° febbraio 2006, n. 49, con la quale sono state introdotte nuove disposizioni per favorire il recupero dei tossicodipendenti recidivi, a modifica del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. 5.6. Il sostegno alle famiglie. La tipologia familiare prevalente e' stata fortemente modificata dalla contrazione della natalita', dall'allungamento della vita media, dall'invecchiamento della popolazione, dagli orientamenti preferenziali delle nuove generazioni per soluzioni abitative distinte da quella dei genitori. In generale si e' ridotta la quota delle famiglie con bambini in favore di quelle con anziani ma senza bambini e di quelle senza anziani e bambini. Il fenomeno della posticipazione dell'eta' del matrimonio e del momento in cui si decide di avere figli fa aumentare il numero di famiglie in cui sono presenti contemporaneamente bambini piccoli da accudire e grandi anziani non autosufficienti, nell'ambito di una coppia in cui entrambi lavorano. Le esigenze di cura poste da un numero calante di bambini avevano permesso di riequilibrare negli anni `90 il crescente carico gravante sulla eta' di mezzo a seguito dell'invecchiamento della popolazione, ma oggi, e negli anni futuri, cio' non sara' piu' possibile, in quanto non sono immaginabili ulteriori contrazioni nelle nascite, ma semmai degli aumenti, mentre la tendenza all'invecchiamento si consolidera' sempre di piu'. Tutto cio' sta generando una crescente domanda di servizi di sostegno, sempre piu' rilevante negli anni che ci aspettano. Accanto a queste tendenze vanno poi tenuti presenti ulteriori fattori legati a: - i fenomeni di instabilita' coniugale; - la presenza di famiglie a basso reddito in stato di grave disagio socio economico; - la crisi delle competenze genitoriali. In questa situazione e' necessario attuare politiche intersettoriali di sostegno alla famiglia che in primo luogo riconoscano il ruolo attivo della famiglia stessa nell'analisi del bisogno, nella formulazione di proposte, nella valutazione partecipata dei servizi ad essa rivolti, riconoscendo e sostenendo il ruolo dell'associazionismo delle famiglie nelle sedi e nelle occasioni decisionali (ad es. Piano di Zona) in cui vengono definiti programmi e progetti in favore delle famiglie. Per quanto attiene agli interventi piu' specificatamente socio-sanitari occorre che il Servizio sanitario nazionale si faccia promotore in primo luogo di una cultura negli operatori sanitari e socio sanitari che valorizzi la famiglia e le associazioni di famiglie come partner dei servizi e di conseguenza consideri al momento della presa in carico del singolo paziente, il suo contesto familiare, la rete informale di solidarieta'. I gruppi di volontariato, di auto-aiuto, di buon vicinato possono svolgere infatti un ruolo di primo piano nella gestione di bisogni complessi e il contesto familiare e' una delle risorse principali dell'individuo che va adeguatamente promossa e supportata. Anche per questo scopo va prevista l'offerta di servizi di temporaneo sollievo come le RSA e i centri diurni per la gestione per periodi limitati di pazienti disabili, cronici ed anziani. In favore di famiglie in situazione di poverta' il Servizio sanitario nazionale, in collaborazione con le altre istituzioni competenti deve partecipare alla costruzione di reti integrate formate da: servizi comunali, servizi delle ASL, Centri per l'Impiego, terzo settore, altri soggetti, per l'analisi del bisogno e la gestione multiprofessionale degli interventi, in particolare, la sperimentazione e la realizzazione di progetti integrati sociosanitari per le famiglie povere con problemi di salute mentale, disabilita' e tossicodipendenza. Il consultorio, per il suo peculiare carattere multiprofessionale e multidisciplinare collabora con gli altri enti alla elaborazione e alla realizzazione di protocolli comuni tra le diverse istituzioni deputate al trattamento delle famiglie multiproblematiche e a formare piu' puntualmente gli operatori al riconoscimento delle situazioni di disagio e alle modalita' con cui affrontarle; collabora inoltre alle iniziative rivolte a promuovere e facilitare l'affidamento familiare e le adozioni e all'eventuale sostegno successivo alle famiglie. Il consultorio familiare e' infatti un importante strumento per l'attuazione di interventi finalizzati alla tutela della salute della donna, dell'eta' evolutiva, delle relazioni di coppia e familiari ed e' fortemente orientato alla prevenzione, informazione ed educazione sanitaria. In questo contesto tra le attivita' dei consultori familiari rivolte alla salute riproduttiva vanno attivati programmi specifici per la tutela della maternita', per la promozione dell'allattamento al seno, per la promozione di scelte genitoriali responsabili, anche informando sui metodi di controllo delle nascite, e per la prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza. Un altro ambito di intervento in materia di informazione e prevenzione e' quello finalizzato a promuovere la salute nelle fasce adolescenziali tramite interventi mirati (ad es. nelle scuole) o con l'offerta all'interno dei consultori di spazi e sportelli a cui gli adolescenti possono rivolgersi per ricevere informazioni e risposte ai problemi e ai quesiti propri dell'eta'. Infine la presenza sempre maggiore di stranieri sul nostro territorio rende opportuno formare gli operatori alla multiculturalita' e predisporre programmi mirati alle problematiche peculiari degli utenti stranieri (ad es. prevenzione delle mutilazioni genitali femminili, informazione sulla possibilita' di partorire in anonimato). In alcune realta' si sono attivati con buoni risultati anche Consultori per anziani finalizzati prioritariamente alla prevenzione delle patologie proprie dell'eta'. 5.7. Gli interventi in materia di salute degli immigrati e delle fasce sociali marginali. Uno dei problemi piu' rilevanti che l'attuazione di un sistema universalistico si trova oggi dinanzi e' la variabilita' della popolazione di riferimento a seguito dei processi di mobilita' intra ed extraeuropea che si vanno consolidando negli anni. E' noto che in alcune aree del paese la presenza straniera, regolarizzata e non, assume dimensioni di assoluto rilievo con un non indifferente apporto allo sviluppo economico ed assistenziale del paese. Nel triennio di vigenza del PSN si verifichera' l'effettiva assunzione a carico del sistema degli oneri conseguenti a questi processi, che non devono essere considerati con logiche residuali o marginali. La crescita quantitativa della popolazione reca con se' la conseguenza dell'affermarsi della multiculturalita' e multietnicita' della struttura sociale. Tale fenomeno modifica il modo di porsi della medicina nei confronti di culture diverse rispetto a quella nell'ambito della quale e' stata a lungo praticata. Al tempo stesso la multiculturalita' della domanda sanitaria induce oggi la necessita' nei presidi pubblici di adottare percorsi e pratiche adattati alle caratteristiche dell'utenza ed alla peculiarita' di usi e costumi di parti di essa, senza che cio' trovi a livello nazionale una definizione chiara in termini di obbligo del servizio e di diritto del cittadino. Il Piano sanitario nazionale analizza questo settore, di formulare indirizzi in materia e di definirne i principi di riferimento. Nonostante il livello di tutela previsto dalla normativa vigente, ed in particolare dagli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 e successive modificazioni, e gli sforzi congiunti delle istituzioni, delle associazioni di volontariato e delle organizzazioni no profit riscontriamo negli immigrati irregolari e nelle persone appartenenti a fasce sociali cosiddette "marginali" varie problematiche di natura sanitaria, tra le quali una maggiore incidenza di malattie infettive da imputarsi alle difficili condizioni di vita e ad una scarsa o assente cultura della prevenzione. Occorre pertanto, in tale ambito: - potenziare le attivita' di prevenzione per gli adolescenti e i giovani adulti stranieri attraverso un approccio trans-culturale e multidisciplinare; - promuovere studi di incidenza e prevalenza dell'infezione da HIV e delle piu' frequenti MST in gruppi dell'intera popolazione "target"; sperimentare sistemi di monitoraggio in grado di valutare l'andamento delle infezioni, il grado di conoscenza specifica della popolazione target; - valutare e promuovere capacita' professionali degli operatori sanitari che operano nelle aree geografiche a piu' alto afflusso di immigrati, prendere atto dei nodi critici che, all'interno del SSN, possono causare un ridotto accesso degli immigrati ai percorsi di prevenzione, diagnosi e cura dell'infezione da HIV/AIDS e di altre MST. Per quanto attiene alla copertura vaccinale sono stati raggiunti importanti obiettivi nelle popolazioni immigrate ed a quelle maggior rischio di esclusione sociale. Per quanto attiene al settore materno infantile occorre contrastare l'alto numero di interruzioni volontarie di gravidanza che si registrano nelle donne immigrate ed in tal senso si rendono necessari interventi finalizzati alla promozione della genitorialita' responsabile, attraverso la informazione e formazione alle scelte procreative. E' opportuno inoltre che gli operatori sanitari che operano nel settore materno infantile attivino interventi di informazione sulla possibilita' della gestante di partorire in anonimato e che anche le associazioni di immigrati, le associazioni di volontariato e del terzo settore attive in questo campo operino in tal senso. Vanno inoltre attivati interventi per impedire le mutilazioni genitali femminili gli operatori devono essere preparati al trattamento delle possibili complicanze di natura fisica e psicologica connesse con le stesse. Le politiche sanitarie finalizzate al raggiungimento di tali obiettivi devono necessariamente considerare l'eteroculturalita' e devono promuovere la formazione specifica in tale ambito degli operatori sanitari. In tale ambito ricordiamo la recente legge 9 gennaio 2006, n. 7 "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile" che detta le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all'integrita' della persona e alla salute delle donne e delle bambine. In particolare sono previsti programmi diretti a predisporre campagne informative, promuovere iniziative di sensibilizzazione, organizzare corsi di informazione per le donne infibulate in stato di gravidanza, promuovere appositi programmi di aggiornamento per gli insegnanti delle scuole dell'obbligo, promuovere il monitoraggio dei casi pregressi gia' noti, formulare linee guida per gli operatori sanitari e per le altre figure professionali che operano con le comunita' di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate tali pratiche. Per quanto riguarda l'assistenza ospedaliera sebbene non sia possibile estrapolare dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) i dati relativi agli infortuni sul lavoro, si puo' certamente affermare, che l'ambito occupazionale rappresenta, specie per gli immigrati maschi, una condizione ad alto rischio per la salute a causa delle condizioni lavorative pericolose e spesso scarsamente tutelate. Quindi e' auspicabile un'azione di prevenzione degli infortuni che coinvolga tutti gli attori sociali, sanitari ed economici. Una popolazione che presenta problematiche peculiari e' rappresentata dai Rom. Tra i problemi specifici che riguardano questa popolazione il piu' urgente e' certamente quello che riguarda le condizioni socio-ambientali in cui vive un numero ancora troppo alto di Rom. Le condizioni igienico-abitative sono state universalmente riconosciute come tra i principali determinanti di salute ed il loro miglioramento non puo' quindi che essere considerato come assolutamente prioritario. Il numero di Rom tossicodipendenti e' in continuo aumento e questa realta', gia' di per se' gravissima, diviene drammatica se si pensa alla giovane eta' dei soggetti coinvolti ed al fatto che prima del 1990 tale fenomeno quasi non esisteva. Sempre maggiore attenzione dovra' quindi essere posta su questo problema, soprattutto considerando la scarsa conoscenza reale di tale fenomeno in termini statistico-epidemiologici. Permane la difficolta' dei nomadi nell'acceso ai servizi sanitari; molti di essi infatti, pur essendo in regola con le norme sul permesso di soggiorno, non hanno effettuato la scelta del medico di base. In questo settore occorre lavorare in sinergia con le associazioni del privato sociale per rimuovere le barriere culturali e gli ostacoli organizzativi per l'accesso all'assistenza sanitaria e svolgere una intensa opera di educazione sanitaria in collaborazione con mediatori linguistico-culturali appartenenti alle loro comunita'. La varieta' e multidimensionalita' delle relazioni fra poverta' e stato di salute e' messa bene in evidenza dal caso estremo delle persone senza fissa dimora. Esso rivela l'ampiezza crescente del rischio di grave emarginazione sociale presente nelle nostre citta', che spesso e' in diretto collegamento con la presenza di flussi migratori. La condizione di senza fissa dimora nella letteratura internazionale si associa spesso a: - un'alta esposizione a fattori di rischio nocivi per la salute; - un'alta esposizione a traumi, incidenti e violenze; - un'alta prevalenza di malattie; - un insufficiente accesso all'assistenza sanitaria; - un'alta mortalita'. Le variabili socioeconomiche (istruzione, occupazione, reddito) sembrano molto importanti nel determinismo della condizione di SFD: sono i soggetti piu' deprivati ad incontrare piu' spesso questo destino. Lo stato di severa deprivazione materiale (dimora, esposizione agli agenti atmosferici, nutrizione) si somma alla scarsita' della rete relazionale (la ricchezza e il supporto dei rapporti familiari e sociali) e ai comportamenti nocivi per la salute (alcool, fumo e droghe) comportando un alto rischio di malattia e di morte prematura, che rendono urgente il potenziamento dell'attivita' di inclusione sia attraverso le strutture di accoglienza (dormitori, mense) che degli interventi di supporto e di riabilitazione psico-sociale. Tali interventi di contrasto della poverta' estrema vanno promossi soprattutto tenendo nei confronti delle persone che sono divenute senza fissa dimora da poco tempo, ovvero vivono in una condizione non ancora cronicizzata: poiche' l'intervento di inclusione si rivela piu' efficace. L'assistenza rivolta alle popolazioni immigrate ha rappresentato per il SSN un'occasione di crescita organizzativa e culturale. La presenza strutturale di intere famiglie immigrate ha permesso di modificare il modello di assistenza sanitaria proposto dal nostro SSN, rimodellando una offerta di servizi socio-sanitari diversificati e soprattutto a misura umana nei confronti di tutte le fasce di persone a rischio di emarginazione, anche grazie all'attivita' dei mediatori linguistico-culturali culturali formati ad hoc e/o appartenenti alle loro comunita'. Si sta, pertanto portando avanti un processo di attuazione di servizi socio-sanitari piu' attenti alle complesse problematiche delle persone con il rispetto delle diverse dignita' e culture, non solo straniere, ma anche dei diversi strati sociali degli italiani. 5.8. Il controllo delle malattie diffusive e la sorveglianza sindromica. Per essere pronti ad affrontare rapidamente eventi acuti che possano configurare un'emergenza di salute pubblica occorre implementare i sistemi di sorveglianza sindromica, integrando i diversi sistemi di sorveglianza esistenti. E' inoltre necessario mantenere e migliorare il controllo sulle malattie diffusive, anche attuando quanto gia' previsto dal Piano Nazionale Vaccini 2005-2007. Il controllo delle malattie infettive. Le piu' rilevanti criticita' che emergono nell'ambito del controllo delle malattie infettive sono: - una cultura che tende a sottovalutare il rischio legato ad esse ed alle loro conseguenze; - le malattie infettive, in particolare quelle prevenibili da vaccino, chiedono un approccio globale e non localistico per la loro prevenzione ed il loro controllo; - le maggiori facilita' e frequenza degli spostamenti di persone e merci da/per aree geografiche a rischio favorisce la rapida diffusione di patologie emergenti e riemergenti; - una elevata difformita' di copertura per le vaccinazioni di piu' recente introduzione nelle Regioni ed una disequita' nell'accesso alla prevenzione vaccinale che solleva la necessita' di una appropriata offerta delle vaccinazioni, sia obbligatorie che raccomandate, a tutte le fasce di popolazione previste dal Piano nazionale vaccini, indipendentemente dallo status socioeconomico, con lo specifico problema delle coperture vaccinali, anche per le vaccinazioni obbligatorie nelle popolazioni immigrate da paesi extracomunitari e nelle popolazioni Rom; - difficolta' e disomogeneita' nella gestione dei casi, in crescita, di rifiuto della pratica vaccinale, con necessita' di un approccio comunicativo verso i cittadini che tenda al consenso ed alla consapevolezza, piuttosto che allo storico concetto della obbligatorieta'. Gli obiettivi da raggiungere. Vengono riconfermati gli obiettivi di salute previsti dal Piano Nazionale Vaccini 2005-2007 (Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 3 marzo 2005, G.U. - serie generale - n. 86 del 14 aprile 2005) e la promozione delle pratiche vaccinali e' una delle tematiche affrontate dal Piano Nazionale della Prevenzione gia' ricordato nel paragrafo 3.4. Si rimanda pertanto a tali accordi relativamente agli obbiettivi complementari indicati nei due atti. Ulteriori obiettivi, da perseguire nel triennio sono: - la valutazione epidemiologica dei soggetti appartenenti alle categorie a rischio per patologia, cui offrire prioritariamente le vaccinazioni; - la rilevazione tempestiva dei casi di infezioni emergenti, riemergenti e da importazione; - la sorveglianza ed il controllo delle complicanze infettive legate all'assistenza sanitaria; - la partecipazione ai sistemi di sorveglianza internazionali per la rilevazione di eventi epidemici a rischio di diffusione nel nostro Paese. A questo proposito particolare rilevanza assume l'Accordo Stato-Regioni del 9 febbraio 2006 con cui e' stato approvato il "Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale" predisposto dal C.C.M. Il Piano, stilato secondo le indicazioni dell'OMS del 2005 che aggiorna e sostituisce il precedente Piano del 2002, rappresenta il riferimento nazionale in base al quale saranno adottati i Piani operativi regionali. L'obiettivo del piano e' rafforzare la preparazione alla pandemia a livello nazionale e locale, allo scopo di minimizzare il rischio di trasmissione, ridurne l'impatto, garantire informazioni aggiornate e tempestive attraverso alcune azioni chiave; - il miglioramento della diagnostica etiologica; - il monitoraggio della efficacia dei nuovi vaccini. Una particolare attenzione va infine posta sulla importanza della completezza e della gestione informatizzata delle anagrafi vaccinali, cosi' da poter valutare la necessita' e gli effetti delle campagne vaccinali, in atto e da implementare, e condividere criteri per la scelta dei nuovi vaccini fondati sull'EBP e su scelte che ne graduino la priorita', definire l'offerta essenziale del calendario vaccinale e dei vaccini per le categorie particolari, lasciando alle Regioni l'opzione e l'introduzione di altri preparati, in relazione a particolari condizioni epidemiologiche. La sorveglianza sindromica. Allo stato attuale, la capacita' di rilevazione tempestiva di eventi acuti singoli o epidemici, correlabili a emergenze di salute pubblica da determinanti naturali o dolosi, sembra inadeguata rispetto alla necessita' che tale funzione sia sufficientemente diffusa ed organizzata in tutto il territorio nazionale. Uno degli interventi per migliorare la capacita' di identificare le emergenze di salute pubblica e' l'attivazione di sistemi di sorveglianza sindromica che utilizzino dati prediagnostici tali da indicare gli stadi precoci di situazioni emergenziali. Questo tipo di sorveglianza integra, ma non sostituisce, il complesso dei molti sistemi di sorveglianza esistenti. La sorveglianza sindromica va attivata prioritariamente nei servizi assistenziali dell'emergenza, come ad esempio i Pronto Soccorso e i Centri Antiveleni. Tra gli obiettivi prioritari si segnalano: - la sperimentazione di un sistema informativo che permetta in tempo reale lo scambio delle informazioni tra i centri e la elaborazione dei segni prediagnostici (segni e sintomi) raccolti; - la confrontabilita' dei dati prediagnostici gia' esistenti, raccolti nei diversi servizi; - la rilevazione tempestivamente dei quadri sindromici a partire dai dati prediagnostici; - l'integrazione delle informazioni sui quadri sindromici con quelle provenienti da sistemi di sorveglianza gia' in uso. 5.9 La sicurezza alimentare e la nutrizione La nutrizione come prevenzione Negli anni si sono susseguite sempre piu' numerose evidenze scientifiche sulla responsabilita' di diete non corrette nell'incremento cospicuo dell'incidenza delle malattie croniche registrato in questi decenni, e sulla efficacia della riduzione dei fattori di rischi nel prevenire patologie legate all'alimentazione anche in eta' anziana o nel diminuire la possibilita' di recidive, in particolare delle malattie cardiovascolari. Si ricordano in particolare: - l'importanza fondamentale dell'uso di acido folico in gravidanza per la prevenzione di patologie congenite del tubo neurale ed il successivo allattamento seno; - il consumo di frutta, verdura, proteine vegetali ed alimenti a base di amidi preferibilmente non manipolati, grassi vegetali, ed il controllo del consumo totale e del peso corporeo, per la prevenzione delle patologie neoplastiche e cardiovascolari; - l'importanza della dieta nella prevenzione di alcune patologie (come nel caso del gozzo endemico e di altre patologie da carenza iodica) o nella limitazione dei danni alla salute (come nel caso della protezione dei soggetti malati di celiachia). La prevenzione della obesita' e' prevista tra le azioni del piano della prevenzione nazionale, al quale si rimanda ed in aggiunta si indicano come rilevanti, accanto alle azioni di promozione dei corretti stili di vita: - l'attuazione di politiche intersettoriali atte a riorientare la produzione alimentare tramite gli incentivi alla produzione e le sovvenzioni, regolamentare in modo piu' puntuale le informazioni contenute nelle pubblicita', e nelle etichette dei prodotti alimentari, agire sui prezzi e formulare standard per il consumo degli alimenti; - coinvolgere maggiormente gli operatori sanitari (in particolare i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, per la peculiarita' del loro ruolo) perche' svolgano azioni concrete nel campo della corretta informazione e dell'educazione sanitaria. Per quanto riguarda particolari patologie legate a deficit di elementi nutrizionali o a patologie anche di origine genetica, il cui estrinsecarsi e' fortemente condizionato da fattori alimentari, vanno promossi interventi a vari livelli istituzionali per la messa in atto delle necessarie azioni finalizzate alla loro prevenzione. In tal senso ricordiamo per la loro importanza le due recentissime disposizioni legislative finalizzate alla prevenzione del gozzo endemico e di altre patologie da carenza iodica - legge 21 marzo 2005, n. 55 e alla protezione dei soggetti malati di celiachia - legge 4 luglio 2005, n. 123. La sicurezza alimentare. In questi ultimi anni il settore alimentare e' stato coinvolto in diverse crisi a partire dalla BSE, fino ai casi piu' recenti della contaminazione di prodotti per la prima infanzia, che hanno evidenziato la necessita' in primo luogo di rafforzare il sistema di monitoraggio e di controlli sulle diverse filiere produttive, ma soprattutto di poter disporre di informazioni e dati provenienti dal territorio secondo un sistema di raccolta omogeneo che consenta una corretta valutazione del rischio. La valutazione dei rischi nella catena alimentare, anche alla luce delle espressioni di Organismi internazionali (EFSA, OMS, etc.) dovra' essere alla base di qualsiasi scelta gestionale per l'adozione di interventi a tutela dei consumatori e cio' non puo' non avvenire se non attraverso una maggiore valorizzazione del Comitato Nazionale per la Sicurezza alimentare (CNSA) da un lato e dall'altro attraverso il potenziamento delle strutture di gestione del rischio sia a livello centrale che delle Regioni e Province autonome. Tale Comitato dovra': - garantire i rapporti con l'Autorita' Europea per la Sicurezza Alimentare; - promuovere e coordinare la definizione di metodi uniformi di valutazione del rischio alimentare, proporre metodi per la pianificazione dei programmi di sorveglianza; - monitorare le attivita' di sorveglianza nel settore della sicurezza alimentare. Dal 1° gennaio 2006, con l'entrata in piena applicazione dei Regolamenti Comunitari che costituiscono il cosiddetto "Pacchetto igiene", lo scenario della legislazione in materia di produzione e commercializzazione degli alimenti e delle bevande ha subito notevoli cambiamenti. Infatti, finalmente, a livello comunitario, e quindi con ripercussione anche sul mercato nazionale, si avra' la completa armonizzazione della disciplina in materia di commercializzazione dei prodotti alimentari con un aumento della sicurezza "dal campo alla tavola" in quanto verra' coinvolta la produzione primaria dei prodotti. Inoltre a livello nazionale l'Amministrazione sanitaria, anche a seguito della riorganizzazione di cui alla legge 30 novembre 2005, n. 244, ha iniziato a promuovere anche mediante l'adozione di specifiche linee guida comportamenti uniformi a livello territoriale per la gestione e l'armonizzazione dei controlli su aziende e prodotti alimentari per rispondere a specifiche richieste dell'Unione Europea e dei Paesi Terzi verso i quali vengono esportati i prodotti italiani. La protezione del consumatore nei confronti di numerose zoonosi alimentari ("dalla stalla alla tavola" con controlli lungo l'intera filiera produttiva, dall'animale vivo al prodotto alimentare venduto al dettaglio) ha reso necessario un nuovo approccio alla materia. I Regolamenti, a differenza della precedente normativa, privilegiano il sistema dell'autocontrollo basato sui 7 principi dell'HACCP del Codex alimentarius, prevedendo, quindi, una maggiore responsabilizzazione degli operatori del settore alimentare e mangimistico, i quali, tuttavia, saranno facilitati nel loro compito da una legislazione alimentare piu' semplice ed armonizzata per tutti i prodotti alimentari sia di origine animale che vegetale, venendo a decadere tutta la normativa verticale attualmente in vigore, il piu' delle volte di non facile interpretazione. Con particolare riferimento alla efficienza ed appropriatezza dei sistemi sanitari regionali di prevenzione primaria per la parte relativa alla sanita' pubblica veterinaria e all'igiene degli alimenti, e' necessario realizzare un potenziamento del sistema di auditing allo scopo di garantire al meglio l'uniformita' nell'applicazione della normativa vigente, di favorire la trasparenza e la collaborazione tra pubbliche amministrazioni, nonche' di promuovere una maggiore attenzione da parte del governo sanitario regionale ed accrescere la consapevolezza sociale sulle realta' sanitarie in questa materia. Risulta, altresi', prioritaria l'implementazione di un puntuale ed efficace flusso informativo dei dati epidemiologici scaturiti in ambito regionale, al fine di una corretta analisi del rischio, da effettuarsi in coordinamento con i Centri di referenza nazionali interessati. Sistema nazionale di controllo ufficiale dei prodotti alimentari di origine animale e vegetale. Sulla base dei nuovi orientamenti comunitari e al fine di assicurare un sempre piu' elevato livello di protezione della salute pubblica, l'attuale sistema nazionale di controllo ufficiale dei prodotti alimentari deve essere ridefinito rendendolo piu' efficace e piu' adeguato agli standard europei, attraverso gli opportuni interventi relativi ai principali aspetti dell'operativita', del coordinamento, del personale e dell'accreditamento laboratori. Nella programmazione del controllo ufficiale assume carattere di priorita' l'attuazione dei piani di controllo nazionali pluriennali in conformita' agli orientamenti generali elaborati a livello comunitario, al fine di realizzare un approccio uniforme globale in materia di controlli ufficiali sui prodotti alimentari. In considerazione del sistema nazionale di controllo ufficiale dei prodotti alimentari, che vede coinvolte numerose autorita' sanitarie sia a livello centrale che territoriale, e' necessario potenziare le funzioni di coordinamento del Ministero della salute e dei nodi di sistema per poter assicurare interventi uniformi su tutto il territorio nazionale da parte delle diverse strutture sanitarie deputate all'attivita' di controllo ufficiale, nonche' interventi immediati a seguito di attivazione del sistema di allerta. Il rafforzamento di tale coordinamento si rende, altresi', opportuno per poter migliorare la cooperazione tra gli organismi centrali e territoriali, al fine di soddisfare gli impegni derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunita' Europea, con riguardo in particolare ai programmi annuali coordinati comunitari sia di tipo generale che specifico in materia di controllo ufficiale. Per svolgere in maniera soddisfacente le attivita' di controllo ufficiale e' necessario poter disporre di un numero sufficiente di personale adeguatamente qualificato ed esperto, nonche' di strutture ed attrezzature idonee, definendo gli standard minimi di operativita' per garantire livelli adeguati ed omogenei di sicurezza alimentare su tutto il territorio nazionale. Allo scopo di garantire la libera circolazione delle derrate alimentari e per rendere affidabili i risultati analitici del controllo ufficiale, compresi quelli relativi alle analisi di revisione, si rende necessario che i laboratori preposti a tali attivita', risultino accreditati uniformemente alla norma europea EN/ISO/IEC 17025 su "Criteri Generali sulla competenza dei laboratori di prova e di taratura". Ai fini dell'ottimizzazione delle risorse, particolare attenzione dovra' essere rivolta all'individuazione di laboratori specializzati e accreditati da utilizzare per lo svolgimento di controlli analitici ufficiali di natura particolarmente complessa e costosi. Igiene dei prodotti di origine animale. Anche per quanto riguarda il settore degli alimenti di origine animale, l'entrata in applicazione del "pacchetto"igiene" comportera' nuovi obblighi per gli operatori dei settori specifici e un notevole impegno per le Autorita' sanitarie, sia nazionali che delle Regioni e Province autonome e delle ASL, in ordine alla verifica della corrispondenza dei requisiti strutturali degli impianti e delle nuove procedure basate sull'HACCP. Le azioni, che dovranno essere svolte nel triennio 2006-2008, saranno indirizzate: - alla predisposizione di linee guida relative all'attuazione del Regolamento n. 853/2004/CE sull'igiene dei prodotti alimentari di origine animale rivolte agli operatori del settore alimentare ed agli Organi di controllo del S.S.N. (un utile strumento operativo in considerazione anche della possibilita', concessa dal Regolamento stesso, di mantenere o adottare, nel rispetto dei principi generali di sicurezza alimentare, disposizioni particolari per adattare alle singole realta' nazionali gli obblighi imposti dalla legislazione comunitaria attraverso la concessioni di deroghe per alcuni prodotti tradizionali); - ad incoraggiare e valutare la predisposizione di "Guide di buona pratica" sviluppate dalle Associazioni dei produttori di settore in consultazione con le Autorita' Competenti. Sicurezza degli alimenti di origine vegetale. Gli alimenti di origine vegetale devono essere sicuri sia da contaminazioni chimiche (pesticidi, metalli pesanti, micotossine, etc.), che per gli aspetti microbiologici. L'ottenimento di un prodotto sicuro e' determinato dall'attenzione e dalla cura poste nell'intero processo relativo all'alimento, partendo da una produzione secondo "Buone Pratiche Agricole", una conservazione, trasformazione e distribuzione in condizioni igienico sanitarie ottimali. Spetta all'Operatore alimentare, secondo il Regolamento (CE) 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, la responsabilita' di applicare tutte le adeguate misure di autocontrollo, previste ora anche nella produzione primaria in campo; e' questa la novita' principale alla quale dovranno essere sensibilizzati tutti i soggetti coinvolti. Rimane compito dell'Autorita' sanitaria verificare le misure di autocontrollo messe in atto, nonche' esercitare direttamente il controllo ufficiale sugli alimenti, sia di produzione comunitaria, che importati. In considerazione dell'esistenza di un mercato unico dell'Unione europea, oggi estesa a 25 Paesi e dei crescenti scambi internazionali si vuole rafforzare il controllo ufficiale all'importazione attraverso gli Uffici di sanita' marittima ed aerea e di frontiera di questo Ministero (USMAF). Parallelamente a quanto programmato per il territorio nazionale, devono, infatti, essere stabiliti Piani di controllo pluriennali per realizzare le attivita' di controllo ufficiale all'importazione da Paesi Terzi, in conformita' agli orientamenti generali comunitari che prevedono l'identificazione delle priorita' di intervento in base ad un'analisi dei rischi. Per la realizzazione dei piani stessi e' necessario operare attraverso un'attenta programmazione degli interventi, una piu' stretta collaborazione tra gli organi di controllo e rendere disponibili procedure uniformi, personale adeguatamente formato e laboratori accreditati. 5.10. La sanita' veterinaria. Sorveglianza epidemiologica sulle popolazioni animali e profilassi delle malattie infettive. Per potenziare e razionalizzare gli strumenti di prevenzione e lotta alle emergenza zoo-sanitarie, alle malattie animali e all'influenza aviaria, con il decreto-legge 1° ottobre 2005, n. 202 recante misure urgenti per la prevenzione dell'influenza aviaria, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 30 novembre 2005, n. 244, l'Italia ha istituito il Centro nazionale di lotta ed emergenza contro le malattie animali e un nuovo Dipartimento per la Sanita' Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti, inoltre ai fini della lotta contro l'influenza aviaria si e' provveduto al potenziamento di tutte le iniziative, gia' peraltro avviate, di allerta attraverso la rete-sentinella per prevenire i rischi per la salute umana in caso di sviluppo di una pandemia influe nzale. La attivita' di sorveglianza, svolta anche nell'ambito dei piani di eradicazione, che ha riguardato patologie importanti come salmonellosi, West Nile Desease, BSE, Blue tongue, influenza aviaria e scrapie, ha permesso di valutare l'andamento epidemiologico delle singole malattie e, quindi, di analizzare e valutare il rischio sanitario sull'intero territorio nazionale soddisfacendo anche i crediti informativi nei confronti degli organismi internazionali (OIE, EU, EFSA). Azioni fondamentali per il prossimo triennio saranno: - lo sviluppo di siti WEB di informazione e notifica e di un sistema informativo per le malattie degli animali, che consenta la redazione di report nazionali periodici sulla situazione in Italia; - la razionalizzazione delle attivita' di monitoraggio, controllo ed eradicazione sia per gli animali da affezione che per gli animali da reddito. Tutela del benessere animale. La tutela del benessere degli animali da reddito costituisce un'esigenza di carattere etico sociale, in quanto a livello mondiale si e' consolidato negli ultimi quaranta anni il concetto che anche gli animali utilizzati dall'uomo, per le proprie esigenze nutrizionali, sono esseri senzienti e non "cose" e pertanto sono individui portatori di diritti. Uno degli obiettivi prioritari da realizzare sara' quello mirato alla "formazione" degli operatori (allevatori, trasportatori, macellatori), affinche' tutti gli addetti del settore vengano edotti sulla nuova normativa e sull'applicazione di buone tecniche di allevamento, trasporto e macellazione che, istaurando un buon rapporto uomo-animale non sono in contrasto con le esigenze della produzione, ma coincidenti con queste. 5.11. La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. A fronte degli importanti cambiamenti registrati nel sistema di sicurezza, e a poco piu' di 10 anni di distanza dall'emanazione del decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626 e successive modifiche ed integrazioni, l'implementazione della normativa prevenzionistica nel tessuto produttivo non appare, tuttavia, ancora adeguatamente compiuta: risulta ancora circoscritto ad un numero limitato di aziende l'integrazione tra "processo" produttivo e "processo prevenzionistico aziendale"; la gestione della prevenzione tende ancora ad essere concepita diffusamente come collaterale o aggiuntiva alla gestione aziendale. La frammentazione produttiva sempre piu' frequente (le microimprese, ossia imprese fino a 9 addetti, rappresentano piu' del 90% del tessuto produttivo nazionale), il progressivo instaurarsi di forme di lavoro flessibile, che ovviamente comportano una maggior difficolta' di processi di formazione ad aggiornamento professionale, la sempre maggiore numerosita' di lavoratori stranieri nonche' la persistenza di elevata quantita' di fasce di lavoro sommerso ed irregolare sono fattori che attualmente contribuiscono ad aumentare la difficolta' delle iniziative di prevenzione e tutela. Il quadro infortunistico pur registrando un progressivo miglioramento negli ultimi anni resta tuttavia grave per l'elevato numero di infortuni mortali, parte rilevante dei quali sono legati alla strada ed ai mezzi di trasporto o avvengono nel percorso casa-lavoro e viceversa (infortuni in itinere).Tuttora permangono come settori lavorativi a maggior rischio quello delle Costruzioni seguito dai Trasporti e da varie attivita' dell'industria dei metalli. Va inoltre rimarcata la particolare incidenza infortunistica, specie per la quota con conseguenze gravi e mortali, nelle micro e piccole imprese. Riguardo alle malattie professionali, il numero di denunce di malattie legate al lavoro negli ultimi anni ha subito una progressiva contrazione ma, in controtendenza, sono in aumento le neoplasie professionali, nonostante l'ovvia difficolta' di attribuzione causale. La letteratura scientifica segnala, inoltre, la crescita delle patologie cronico-degenerative ad eziopatogenesi spesso multifattoriale, le patologie derivanti dai rischi psico-sociali connessi all'organizzazione del lavoro (stress, burn out, mobbing, etc.), quelle, infine, relativi alle differenze di genere. I dati nazionali sono sottostimati e non riflettono la situazione di effettiva incidenza nel nostro Paese delle malattie professionali, senza dimenticare che infortuni e malattie conclamate non sono l'unico aspetto, per quanto rilevante, delle possibili conseguenze del lavoro sul benessere psico-fisico e morale delle persone. L'attivita' di prevenzione deve basarsi su due principali cardini: il sistema informativo finalizzato all'individuazione dei bisogni anche sulla base di evidenze epidemiologiche e la programmazione e pianificazione degli interventi. Deve inoltre essere il piu' possibile attuata la verifica dell'efficacia degli interventi attraverso l'utilizzo di indicatori non soltanto di attivita', ma anche di processo e, ove possibile, di risultato. Fondamentale e' infine la sinergia e la collaborazione tra i numerosi soggetti istituzionali che concorrono alla prevenzione dei rischi e dei danni da lavoro, evitando la duplicazione e sovrapposizione di competenze e, al contrario, attivando azioni il piu' possibile congiunte ed integrate non solo tra le istituzioni ma anche in accordo le parti sociali. Obiettivi da raggiungere: - migliorare l'efficacia degli strumenti di integrazione tra pubbliche amministrazioni a partire dagli strumenti previsti dalle attuali normative (Commissione Consultiva Nazionale istituita presso il Ministero del Lavoro ex art. 26 d.lgs. 626/94 e Comitati di Coordinamento previsti presso le Regioni ex art. 27 d.lgs. 626/94); - riordinare, coordinare e semplificare le norme vigenti in materia di igiene e sicurezza del lavoro e definire un sistema di criteri per la verifica del raggiungimento dei Livelli Essenziali di Assistenza nel settore della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; - consolidare il processo in corso, nell'ambito delle intese tra i principali soggetti istituzionali, di costruzione di un adeguato Sistema informativo integrato; Per quanto si riferisce agli infortuni, si rimanda al Piano Nazionale della Prevenzione 2005-2007 ed alle successive linee guida. Relativamente alle malattie professionali, in coerenza con quanto indicato dalla raccomandazione della Commissione 2003/670/CE, le strategie da adottare per facilitare l'emersione delle "malattie professionali perdute" e migliorare le conoscenze ai fini di una piu' efficace prevenzione devono essere basate sull'impegno e la qualificazione dei sanitari coinvolti. Anche in questo campo appare necessario un intervento di semplificazione delle norme e delle procedure.