(all. 1 - art. 1) (parte 2)
edilizia  e  tecnologie sanitarie, di cui all'articolo 20 della legge
11  marzo 1988, n. 67, hanno avuto ed hanno il compito di traghettare
il  patrimonio  strutturale  e  tecnologico  del  SSN attualizzandolo
rispetto  ai  nuovi principi di assistenza pubblica: riqualificazione
dell'offerta  attraverso  la definizione di una rete differenziata di
strutture,   dall'alta   specialita'   all'ospedale   di   comunita',
assistenza sul territorio, potenziamento del parco tecnologico.

   L'attuazione  delle  politiche  del  programma straordinario degli
investimenti  previsti  dall'art.  20  della  legge 67/1988 e' volta,
quindi,  a  garantire  l'adeguamento delle strutture edilizie e delle
tecnologie  impiegate  nel  Sistema  Sanitario  Nazionale  alla nuova
visione della Salute.

   La   politica   degli  investimenti  va  considerata  quale  parte
integrante  delle  risorse  destinate  al  finanziamento del Servizio
sanitario  nazionale,  tenuto  conto  che  la definizione dei livelli
essenziali  di  assistenza  si  configura quale modello prestazionale
obbligatorio  e  che  le attivita' sanitarie e socio sanitarie devono
essere esercitate in strutture idonee, con caratteristiche edilizie e
tecnologiche  minime  che,  allo  stato, risultano quelle fissate dal
D.P.R. 14 gennaio 1997.

   Il programma di investimenti, infatti, contribuisce al processo di
razionalizzazione  della rete ospedaliera e territoriale, finanziando
interventi  volti al miglioramento dell'offerta dei servizi, e quindi
della   dotazione   strutturale  e  tecnologica,  ricompresi  in  una
programmazione sanitaria regionale.

   Dai dati delle piu' recenti rilevazioni sul patrimonio tecnologico
del  SSN,  risulta  che  molte delle apparecchiature censite sono mal
distribuite,   e   a   volte   sottoutilizzate   rispetto  alle  loro
potenzialita'  intrinseche,  sul  territorio  nazionale  e presentano
un'obsolescenza  a rischio. Va rilevato che in questo settore ad alta
tecnologia  l'impegno  di  spesa  si  traduce  sistematicamente in un
risparmio  notevole  sui costi complessivi del settore sanitario, dal
momento  che  diagnosi  accurate e precoci consentono quasi sempre di
ridurre  in  maniera  rilevante  i  costi  sanitari  (e anche i costi
sociali) della maggior parte delle patologie.

   Anche  in  questo  settore  vanno  rispettati  gli impegni assunti
congiuntamente  dallo Stato e dalle Regioni assunto il 23 marzo 2005,
in  cui  e'  previsto  di  destinare almeno una quota pari al 15% del
finanziamento per l'ammodernamento tecnologico.

   In  tema di ammodernamento tecnologico, un discorso a parte merita
lo  sviluppo dei sistemi informativi. Il primo punto che e' opportuno
sottolineare  e'  che  i  sistemi informativi delle aziende sanitarie
assolvono a una duplice funzione:

    1. supportare i processi (amministrativi e sanitari) aumentandone
il piu' possibile efficienza e qualita';
    2. registrare i dati fondamentali relativi ai processi stessi.

   E'  necessario  che  entrambi gli obiettivi siano essere tenuti in
opportuna  considerazione  in sede di selezione o implementazione dei
sistemi  informativi  e  che  lo sviluppo dei sistemi informativi del
livello   aziendale   del   SSN,  soprattutto  laddove  finanziato  o
co-finanziato  dalle  amministrazioni  centrali,  sia  opportunamente
indirizzato  per consentire il contemporaneo raggiungimento sia degli
obiettivi   di   supporto  ai  processi  sia  per  gli  obiettivi  di
valutazione.

   L'inserimento   dei   sistemi   informativi  nelle  organizzazioni
sanitarie  deve essere accompagnato da un parallela riflessione sulle
modalita'  di  funzionamento  dei  processi,  in  particolare in quei
contesti  (primo fra tutti il territorio e l'erogazione di servizi ai
pazienti  affetti  da  cronicita) in cui l'assenza di unitarieta' nel
"luogo"  in  cui  il processo si realizza e la sostanziale assenza di
modelli organizzativi gia' pienamente consolidati e integrati (ad es.
tra  sanitario  e  sociale)  rendono  arduo  pensare allo sviluppo di
soluzioni   informatiche   indipendenti  dall'organizzazione  in  cui
debbono essere calati.

   Anche  in  questo  caso  si puo' portare un esempio, che e' quello
della telemedicina.

   In  generale  e'  quindi  esigenza  ormai  inderogabile, quella di
orientare  tutti  gli  attori  interessati, ad un'azione congiunta su
sistemi  informativi  e  reingegnerizzazione  dei processi. In questo
contesto  appare  opportuno  che  si  apra  uno  specifico  campo  di
collaborazione  tra  Ministero  della Salute e Regioni che, nel pieno
rispetto  dell'autonomia delle singole Regioni stesse, consenta pero'
di  mettere in condivisione le singole esperienze sui diversi modelli
organizzativi   adottati,   e   di  identificare  le  best  practices
esistenti.  Tali  best  practices,  possono  essere  condivise tra le
Regioni (che rimangono comunque libere riguardo alla loro adozione) e
possono  fornire  elementi  di  guida  per  le diverse iniziative, in
particolare  quelle per cui sono disponibili finanziamenti nazionali,
volte a supportare lo sviluppo dei sistemi informativi.

   La  valutazione  delle  tecnologie  sanitarie  - Health technology
assessment  -  (HTA)  ha  l'obiettivo  di informare coloro che devono
prendere  le decisioni sulla scelta di tecnologie, usando le migliori
evidenze   scientifiche   sull'impatto  e  le  implicazioni  mediche,
sociali,  economiche  ed  etiche  degli investimenti in sanita'. Tali
metodologie   sono   indispensabili   nella  valutazione  delle  alte
tecnologie,  per  gli alti costi e la difficile gestione connessi, al
fine  di  consentirne una distribuzione razionale sul territorio, per
evitare inutili sprechi (doppioni) o gravi carenze.

   E'  ormai  largamente  diffusa  anche  in  molti  Paesi europei la
consapevolezza  che  occorre  effettuare  la  valutazione sistematica
delle  tecnologie  sanitarie  rispetto  ai principali elementi che ne
connotano  l'utilizzo,  e  cioe'  la  tecnologia  stessa, i pazienti,
l'organizzazione  e l'impatto economico ed e' necessario che anche in
Italia  si  riconosca  che  l'HTA  e' una priorita', ed e' necessario
sviluppare la promozione dell'uso degli strumenti di HTA, mettendo in
comune  le  conoscenze  sul  tema,  gia'  in parte presenti in alcune
realta' regionali ed aziendali.

   La  valutazione delle tecnologie sanitarie, intesa come insieme di
metodi e strumenti per supportare le decisioni, si rivolge ai diversi
livelli  decisionali secondo modelli operativi differenziati, rivolti
a fornire supporto a:

    1.  decisioni  di  politica  sanitaria  (adozione,  diffusione  e
finanziamento di nuove tecnologie);
    2.  decisioni "manageriali" di investimento in nuove tecnologie a
livello  aziendale  e  per  la  promozione di un utilizzo appropriato
delle tecnologie medesime tramite l'elaborazione di protocolli;
    3.  decisioni  cliniche, per la diffusione di "modelli di governo
(governance)"  individuati  da  strutture  centrali,  e da adottare a
livello  organizzativo,  quali  la  definizione  e  diffusione  degli
standard qualitativi e quantitativi.

   L'obiettivo  principale  da perseguire e' la creazione di una rete
nazionale articolata a livello regionale ed aziendale, per consentire
lo  scambio  effettivo  di informazioni che possa fungere da supporto
per  le scelte di politica sanitaria, in relazione alla necessita' di
avere    a   disposizione   informazioni   attendibili,   tempestive,
trasparenti e trasferibili sulle tecnologie sanitarie.

   Le  attivita' di HTA devono essere in stretto legame con le azioni
in  corso  a  livello europeo, per consentire un effettivo scambio di
esperienze  tra  i  paesi  europei,  nel  contesto del Gruppo di alto
livello sulle cure sanitarie.

   A  tale  scopo  potrebbero  essere  utilizzati finanziamenti della
ricerca finalizzata ex art. 12 dedicati a:

    - sviluppo della ricerca "primaria" originale;
    - revisioni sistematiche e metaanalisi di studi gia' disponibili;
    - sostegno   allo   sviluppo   di   piattaforme  tecnologiche  ed
informative  per  il  supporto  agli  studi  clinici,  valutativi  ed
economici dell'impatto delle innovazioni sulle condizioni di salute e
sui  costi,  quali  ad  esempio  registri  delle  patologie e/o delle
tecnologie, su base regionale o interregionale;
    - sviluppo  della funzione di coordinamento (clearinghouse) delle
attivita'   di   valutazione   condotte   a   livello   regionale  (o
interregionale) da parte degli organi tecnici centrali del SSN, quali
l'Istituto  Superiore  di  Sanita' e l'Agenzia per i Servizi Sanitari
Regionali.


   4.2. Il ruolo del cittadino e della societa' civile nelle scelte e
nella gestione del Servizio sanitario nazionale.

   Obiettivo  del  piano e' favorire le varie forme di partecipazione
del  cittadino,  in  particolare  attraverso  il  coinvolgimento  dei
pazienti e delle associazioni dei familiari.

   La  partecipazione  e'  intesa  in  senso  ampio, sia come diretta
partecipazione del cittadino/paziente/utente alle scelte terapeutiche
e  assistenziali  che  lo  riguardano,  sia come partecipazione delle
organizzazioni  che  esprimono  la societa' civile e, in primo luogo,
delle   associazioni   dei   pazienti  e  delle  loro  famiglie  alla
determinazione  delle  politiche  assistenziali,  sia,  infine,  come
valorizzazione  del ruolo del terzo settore come una delle componenti
cui  affidare  la  erogazione  di  servizi socio sanitari con oneri a
carico del Servizio sanitario nazionale.

   Il SSN deve garantire la partecipazione dei cittadini quale vero e
proprio  strumento  di pratica democratica esercitata dalla comunita'
che finanzia un servizio destinato a soddisfare i suoi stessi bisogni
di  tutela  della  salute.  In  tal  senso  si  esprimono i documenti
dell'OMS e i numerosi documenti elaborati a livello europeo.

   Va  pertanto  previsto  un  ruolo  attivo delle organizzazioni dei
cittadini  con  riferimento  agli  organismi di tutela dei diritti, a
quelli  del  terzo  settore  ed  alle  associazioni  di categoria, di
soggetti  che si rivolgono al SSN, in modo da valorizzare esperienze,
conoscenze  e  punti  di  vista  destinate  ad arricchire il processo
decisionale, operativo e valutativo, anche tenuto conto del programma
di  azione  della  UE  nel  campo  della  salute  e  della tutela dei
consumatori.


   La   partecipazione   nelle   attivita'  di  programmazione  e  di
valutazione.

   Vanno  previste  forme  di partecipazione delle organizzazioni dei
cittadini  nelle attivita' relative alla programmazione, al controllo
ed   alla  valutazione  dei  servizi  socio-sanitari  sia  a  livello
regionale   che  aziendale,  che  distrettuale.  In  tale  ottica  va
valorizzato  il ruolo degli organismi di partecipazione a partire dal
Comitato Misto Consultivo.

   Per  quanto  riguarda  la  Carta  dei Servizi, i contenuti in essa
riportati,   devono  costituire  un  preciso  impegno  per  l'Azienda
Sanitaria  nei  confronti  dei cittadini e fornire informazioni certe
circa  l'erogazione quali-quantitativa dei servizi destinati a questi
ultimi. E' auspicabile che, per la redazione del suddetto documento a
cura   delle   Aziende  Sanitarie,  le  Regioni  prevedano  modalita'
compilative omogenee.

   Si  dovranno  favorire  forme di valutazione dei servizi in comune
tra cittadini ed operatori del SSN, diffondendo metodiche partecipate
di  raccolta  di  informazioni,  che  dovranno  costituire, una volta
effettuata   la  valutazione  partecipata,  la  base  per  realizzare
percorsi ed interventi di miglioramento.

   Anche  la  Conferenza  dei  Servizi deve effettivamente costituire
momento  di  confronto  tra  Azienda  Sanitaria ed Organizzazioni dei
Cittadini,  garantendo  a  queste  ultime  adeguato  spazio per poter
esprimere  valutazioni  sull'andamento  dei servizi e proposte per il
loro   miglioramento;  anche  per  tale  adempimento  e'  auspicabile
l'individuazione,  da  parte delle Regioni, di modalita' omogenee per
l'organizzazione,   la   pubblicizzazione   e  lo  svolgimento  della
Conferenza dei Servizi.


   Dal consenso informato all'empowerment.

   Il  cittadino  deve  essere  il  primo  attore  delle  scelte  che
riguardano   la  sua  salute.  Perche'  questo  si  realizzi  occorre
promuoverne  la  partecipazione  attiva  nei processi sanitari che lo
coinvolgono.   Questa   azione  e'  richiamata  anche  nei  documenti
dell'Organizzazione   Mondiale   della   Sanita',  come  in  numerosi
documenti  elaborati  a  livello  Europeo  e,  in  primo luogo, nella
Convenzione  europea sui diritti dell'uomo e la biomedicina, recepita
in Italia con la legge 28 marzo 2001, n. 145.

   E'  necessario  pertanto implementare i processi di informazione e
comunicazione tra cittadino ed operatore, finalizzati a migliorare il
consenso  informato, e tra cittadino ed istituzioni sanitarie (ad es.
promuovendo  l'ulteriore  sviluppo  della  Carta  dei Servizi, con la
quale  vengono  esplicitati  il  livello  di  qualita'  garantito nei
servizi  erogati  e  gli  impegni  assunti).  E'  inoltre  necessario
orientare  i  servizi offerti sui reali bisogni del cittadino/utente,
fornire  al  cittadino  gli  strumenti  adeguati per interloquire con
l'istituzione/servizio   affinche'  sia  messo  nelle  condizioni  di
esprimere le proprie volonta' sul processo di cura che lo riguarda e,
successivamente,  di  esprimere  la  propria opinione e il livello di
soddisfazione per i servizi erogati. E' dunque opportuno sperimentare
strumenti e modalita' di partecipazione dei cittadini sugli indirizzi
di politica sanitaria.

   Le  azioni di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini devono
essere  finalizzate  a  rendere  le persone consapevoli della propria
situazione  clinica,  delle  alternative  terapeutiche possibili, del
proprio  diritto a scegliere consapevolmente e liberamente il proprio
piano  di  cura  assumendone  le  spettanti  responsabilita'. Piu' in
generale  i  cittadini  devono essere resi consapevoli e responsabili
della  propria  salute,  anche in termini di promozione e prevenzione
della  stessa e in grado di collaborare con le strutture responsabili
dello sviluppo della qualita' dei servizi per la salute.

   Lo   scopo   del   coinvolgimento  e'  erogare  cure  efficaci  ed
appropriate  sotto  il  profilo  clinico  ed  etico  e, nel contempo,
garantire  il  massimo  livello  possibile  di equita' nell'uso delle
risorse. Cio' e' favorito dal processo di empowerment del paziente ed
in modo diverso dei suoi familiari.

   I   pazienti   sono  infatti  resi  "empowered"  quando  hanno  la
conoscenza, le abilita', le attitudini e la consapevolezza necessaria
per  influenzare  il proprio e l'altrui comportamento, per migliorare
la  qualita'  della  propria  vita.  Per conseguire tale risultato, i
servizi debbono accertare le aspettative e le priorita' dei pazienti;
coinvolgere  i  pazienti  nei  propri  piani di cura ed assistenza ed
utilizzare,  nel  rispetto  dei diritti e delle liberta' individuali,
l'approccio  della  decisione condivisa, richiedere il loro feedback,
anche sui servizi ed avviare conseguenti processi di miglioramento.

   L'empowerment   subisce,   tra   l'altro,  influenze  legate  alle
caratteristiche    demografiche,    socio-culturali,   economiche   e
relazionali  dei  pazienti:  e'  dunque sempre importante considerare
tali  aspetti  e,  in particolar modo, laddove ai servizi afferiscono
persone  provenienti  da  diverse aree geografiche e/o appartenenti a
diverse etnie o culture.

   Dunque  un  elemento  essenziale  per sviluppare l'empowerment del
paziente  e'  proprio il farlo partecipe del processo decisionale. E'
infatti  universalmente riconosciuto che quando l'utente partecipa al
processo  decisionale,  anche  la  sua soddisfazione e' maggiore ed i
risultati  clinici migliorano poiche' accetta le decisioni prese e si
attiene   al  trattamento  deciso.  Inoltre,  il  coinvolgimento  dei
familiari e delle associazioni di volontariato nei percorsi sanitari,
consentendo  la  reciproca conoscenza e la collaborazione mirata - in
forma  sinergica  con  le  attivita'  portate  avanti  dal personale-
aumenta l'efficacia e l'efficienza degli interventi.


   La  valorizzazione  dell'associazionismo  dei  pazienti e dei loro
familiari.

   Nel  corso  del  triennio  di  sviluppo  del  PSN sara' necessario
adottare  iniziative  in  grado  di  dare  alle  molteplici  forme di
associazionismo,  che  si  sono  sviluppate  nel nostro Paese, voce e
ruolo  adeguati,  anche  in  sintonia  con  il  programma  di  azione
comunitaria in tema di salute.

   In   particolare   le   iniziative   da   assumere  riguarderanno:
l'aggiornamento  del  decreto  del  Ministro  della salute 15 ottobre
1996,  ai  sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 30 dicembre
1992  n. 502 e successive modificazioni, per la definizione, d'intesa
con  la  Conferenza Stato- Regioni dei contenuti e delle modalita' di
utilizzo degli indicatori di qualita' dei servizi e delle prestazioni
sanitarie   relativamente  alla  personalizzazione  ed  umanizzazione
dell'assistenza,   al   diritto  all'informazione,  alle  prestazioni
alberghiere,  nonche'  la  promozione  degli interventi attuativi dei
principi fondamentali desumibili dal medesimo articolo 14.


   Il ruolo del terzo settore.

   I  soggetti  del  terzo  settore  sono  costituiti dall'articolato
universo di cooperative sociali, associazioni e fondazioni di diritto
privato, societa' di mutuo soccorso, organizzazioni di volontariato e
associazioni di promozione sociale.

   Le  modifiche introdotte dal decreto legislativo 19 giugno 1999 n.
229  al  decreto  legislativo 502/1992 avevano riservato un ruolo del
tutto  peculiare  alle  istituzioni non lucrative nella realizzazione
dei  servizi  sanitari  e  socio  sanitari  laddove  nel disciplinare
l'istituto  dell'accreditamento  viene  puntualmente  evidenziato  lo
"spazio"  che  a tali organismi deve essere riservato come ad uno dei
tre  componenti  che  caratterizzano, come principio fondamentale del
sistema,  il  pluralismo  erogativo  (erogatori  pubblici,  erogatori
privati profit ed erogatori privati non profit).

   Obiettivo  del  triennio  di  applicazione  del  PSN  e' quello di
recuperare il ritardo che in questo aspetto applicativo della riforma
del  1999  si e' determinato in molte realta' regionali. Naturalmente
e'  importante  che sia superata la teoria e la pratica del ricorso a
tali  soggetti  come  semplici  esecutori di servizi appaltati, senza
capacita'  progettuale  e imprenditoriale, mentre vanno evidenziati i
principi   della  "reciprocita'"  e  dello  "scambio".  L'azione  dei
soggetti  non  profit  produce,  infatti,  vantaggi  reciproci  per i
cittadini  e  per  l'istituzione,  ed  il  volontariato  e'  un  bene
prezioso,  per  il  quale  si rendano indispensabili regole nazionali
chiare.  Agli  Enti  locali  e alle Regioni e' affidato il compito di
precisare,  nel campo dei servizi socio sanitari, le forme attraverso
cui  conseguire un coinvolgimento ampio e rappresentativo del privato
non profit nei vari territori di competenza.

   Va  riconosciuto  ed implementato, soprattutto in un Paese come il
nostro che ha una antica tradizione in questo campo, il contributo di
grande   valore   portato   dal   volontariato   nella   sua   attiva
collaborazione  con le Istituzioni per il raggiungimento di rilevanti
obiettivi  di  salute.  La  Croce  Rossa  Italiana,  Ente  di diritto
pubblico,  con  i  suoi  dipendenti  ed  i  suoi  250  mila volontari
rappresenta   una  forza  diffusa  in  modo  capillare  su  tutto  il
territorio  nazionale,  in  grado  di  rispondere  tempestivamente ai
bisogni  che  si  possono manifestare. In particolare, la Croce Rossa
Italiana  svolge  una  funzione sinergica e complementare al Servizio
sanitario  nazionale  nei  settori della formazione alla persona, dei
servizi sanitari di emergenza, sia individuale che collettiva in caso
di maxi-emergenze, e dell'assistenza sanitaria e socio-sanitaria agli
individui  piu'  fragili  della  nostra societa' (immigrati, anziani,
malati  cronici, malati terminali). Per quanto attiene alle patologie
neoplastiche  sono presenti nel nostro territorio varie ed importanti
associazioni  i  cui  interventi  sono  connotati da alti standard di
qualita',  come  ad es. la lega italiana per la lotta ai tumori, ente
di  diritto  pubblico,  il cui raggio di azione va dalla promozione e
raccolta   fondi,  alla  prevenzione  primaria  tramite  campagne  di
sensibilizzazione  sulla  prevenzione  delle  malattie tumorali, alla
prevenzione  secondaria, tramite effettuazione di visite preventive e
di  screening,  all'assistenza  ospedaliera  e  domiciliare ai malati
oncologici.

   Per  consentire  al  mondo del volontariato e del terzo settore di
effettuare  interventi  non  parcellizzati, ma sinergici e coordinati
con le attivita' delle istituzioni potranno essere promosse soluzioni
in  grado  di  garantire  alle  imprese  sociali  la  possibilita' di
qualificare  la loro presenza favorendone investimenti qualitativi di
lungo   periodo,   coerentemente   con   le   esigenze   dei  servizi
caratterizzati  da  continuita' assistenziale e modalita' di presa in
carico previste dai livelli essenziali di assistenza.

   Andranno  favorite forme di sperimentazione che, in riferimento ai
bisogni   che   richiedono  competenze  finalizzate  a  garantire  la
integrazione  di  diversi  fattori  produttivi  per  la erogazione di
risposte  con  diverso grado di complessita' tecnica e professionale,
possano  prevedere  specifiche  forme  di  accreditamento che tengano
conto  della  maggiore  o minore continuita' di presenza dei soggetti
candidati nei vari sistemi regionali dei servizi socio sanitari.



   4.3.  Le  politiche  per la qualificazione delle risorse umane del
SSN.


   Professioni sanitarie: fabbisogni e formazione di base

   La   stima  del  fabbisogno  del  personale  sanitario  presuppone
principalmente  una  valutazione  da parte delle istituzioni che sono
responsabili  a  pieno  titolo  dell'organizzazione delle aziende del
Servizio sanitario nazionale, cioe' le Regioni e le Province autonome
di  Trento  e  Bolzano.  Tuttavia,  non va trascurata la fondamentale
azione  di  impulso  e  coordinamento  per una omogeneizzazione delle
politiche  in  materia  che  il  Ministero  gia'  esercita  e  dovra'
continuare  ad  esercitare  in modo ancor piu' incisivo, assumendo le
necessarie  iniziative  finalizzate  alla  realizzazione di specifici
accordi Stato-Regioni. Nell'ambito del procedimento non va trascurata
la  preziosa collaborazione che la legge prevede debba essere offerta
dagli  enti  pubblici  e  privati  e dagli Ordini professionali e dai
Collegi  interessati,  anche  alla  luce della legge approvata in via
definitiva dalla Camera dei deputati il 24 gennaio 2006 "Disposizioni
in  materia  di  professioni  sanitarie  infermieristiche, ostetrica,
riabilitative,  tecnico-sanitarie  e  della  prevenzione  e delega al
governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali.

   Per  quanto  concerne  il  fabbisogno  del  personale del Servizio
sanitario  nazionale,  va sottolineata l'opportunita' che Ministero e
Regioni  operino  al  fine  di  effettuare stime corrette in funzione
delle esigenze delle strutture sanitarie e del mercato del lavoro che
le   stesse   offrono,   mentre   compito  successivo  del  Ministero
dell'Istruzione, Universita' e Ricerca e' quello della programmazione
degli  accessi  ai  corsi  di  diploma  di  laurea,  alle  scuole  di
formazione  specialistica  ed  ai  corsi di diploma universitario. E'
necessario   quindi   che  si  creino  sinergie  positive  perche'  i
fabbisogni trovino corrispondenza nel correlato modo del lavoro.

   A tale scopo e' indispensabile pervenire ad una programmazione non
piu'  annuale  ma  almeno  triennale  del  fabbisogno  del  personale
sanitario tenendo conto di quanto previsto dal comma 2, dell'articolo
6-ter  del  citato  d.lgs.  n.  502/92 e successive modificazioni, in
termini di:

    - obiettivi e livelli essenziali di assistenza indicati dal Piano
sanitario nazionale e da quelli regionali;
    - modelli organizzativi dei servizi;
    - offerta di lavoro;
    - domanda  di  lavoro,  considerando  il  personale  in  corso di
formazione   e   il   personale  gia'  formato,  non  ancora  immesso
nell'attivita' lavorativa.

   In   quest'ottica   andranno   sicuramente  privilegiate,  per  il
soddisfacimento    dei   bisogni   del   cittadini   utente,   quelle
professionalita'  delle  quali  l'assistenza  al  malato  avverte una
particolare  carenza,  causa di disservizi e di un impegno suppletivo
da parte degli operatori presenti in servizio.

   Anche  in  questo  caso e' necessario procedere all'individuazione
corretta  dei fabbisogni da effettuarsi con criteri analoghi a quelli
delle  suddette  professioni  sanitarie.  Uno degli aspetti rilevanti
della  formazione  e'  infatti quello della formazione specialistica,
per la quale vanno assunte iniziative per offrire allo specializzando
una   formazione   teorico   pratica  di  alta  qualita'  coerente  e
compatibile  con  i  livelli  essenziali di assistenza che gli stessi
devono concorrere a realizzare.

   In  tal  senso  si  e'  anche  espresso  il Consiglio Superiore di
Sanita', che ha affermato che:

    "l'obiettivo    preminente    della,   formazione   professionale
specialistica  sia  inequivocabilmente  quello  di  fornire ai futuri
specialisti  competenze  congrue  e  coerenti  con  le  esigenze  del
Servizio  sanitario  nazionale,  sia a livello di strutture sanitarie
che  di  territorio.  A  tal fine, per la definizione e l'elencazione
delle  discipline,  si  preveda  un  sistema  di  flessibilita'  e di
aggiornamento,   che  consenta  un  pronto  adeguamento  della  parte
didattico-formativa    all'evoluzione    clinica,    allo    sviluppo
scientifico,  al progresso tecnologico nonche' alle reali prospettive
di  esercizio  professionale  che si potranno modificare o sviluppare
all'interno del S.S.N."

   Nell'ambito  del procedimento dei fabbisogni e della formazione di
base  degli  operatori  sanitari trova collocazione anche l'argomento
delle  "medicine  e delle pratiche non convenzionali" che sicuramente
verra' sviluppato nel corso dei prossimi anni.

   Non  vi  e' dubbio, infatti, che esigenze di garanzia della salute
del   cittadino,   il   quale   deve   contare   sulla  formazione  e
sull'affidabilita'  dei professionisti cui si rivolge, impongano allo
Stato  di  prendere  in considerazione le medicine e le pratiche c.d.
"alternative"  dal  punto di vista della loro validita' scientifica e
della  qualificazione  di  chi  eroga  le prestazioni, quale fenomeno
spesso occulto da rendere trasparente e controllato.


   Educazione continua in medicina.

   L'istituzione    dell'Educazione    Continua    in   Medicina   ha
rappresentato  una  scelta  finalizzata  soprattutto al miglioramento
dell'assistenza  sanitaria e della qualita' delle prestazioni erogate
ai  cittadini.  Da  questa  motivazione  e'  derivata  come  naturale
conseguenza  il  principio  dell'obbligatorieta' dell'aggiornamento e
della  formazione  permanente,  nonche'  l'estensione  della stessa a
tutti gli operatori sanitari e non solo ai medici.

   Gli   obiettivi   che   la   Formazione   continua   propone  sono
sinteticamente:

    - mantenimento  della  motivazione  alla professione di tutti gli
operatori  sanitari;  - adeguamento della capacita' professionale dei
singoli  al  loro  livello  di  maturazione;  - adeguamento al rapido
progresso    delle   conoscenze   e   delle   tecnologie   sanitarie;
 - miglioramento   continuo  dell'organizzazione,  del  rendimento  e
dell'economia dell'intero sistema sanitario.

   La  formazione  deve  essere  considerata  come la possibilita' di
aumentare  la capacita' di risposta ai bisogni del cittadino, in modo
da  poter assicurare, in una prospettiva di continuo miglioramento il
ragionato  passaggio,  fondamentale in ogni nuova organizzazione, tra
passato  e  futuro,  innovando avendo sempre riguardo alle esperienze
acquisite.   La   formazione  in  sanita'  e',  quindi,  un  percorso
obbligato,  in  quanto  collegato  alla  crescita professionale degli
operatori,  diretto  a sviluppare un'importante azione di adeguamento
delle capacita' e competenze alle esigenze della collettivita'.

   Sotto  questo  profilo  tutti  i  provvedimenti  che riguardano la
formazione    costituiscono    un   investimento   finalizzato   alla
valorizzazione   del   capitale   umano   del   quale   accresce   la
disponibilita' ad operare con alti livelli di motivazione.

   Al  di  la'  delle  difficolta' di carattere oggettivo legate alla
gestione  del sistema e del relativo dispendio di energie, il settore
deve  confrontarsi  con  tutta  una  serie  di  criticita' fra cui si
segnalano  l'assenza  di una adeguata razionalizzazione dei fondi, il
metodo   di   contabilizzazione   e  la  mancanza  di  un  efficiente
monitoraggio  delle  spese.  In questo contesto andranno affrontati e
risolti  in  modo espresso e senza ambiguita' gli aspetti relativi ai
rapporti tra provider pubblici e privati e sponsorizzazioni all'ECM.

   In  questo  quadro  e' necessario un impegno per addivenire ad una
puntuale   disciplina   delle   sponsorizzazioni   e  prefigurare  le
fattispecie   che   danno   luogo   al   conflitto   d'interessi.  La
sperimentazione  finora eseguita ha fornito indicazioni preziose alla
luce delle quali e' possibile adottare provvedimenti per semplificare
il  sistema e renderlo ancora piu' trasparente. Il ruolo riconosciuto
alle Regioni nelle predette intese non e' solo coerente con l'attuale
assetto  costituzionale,  ma  permette  una migliore penetrazione del
programma  di  formazione  continua  sul territorio, dove peraltro la
necessaria  e  dovuta  partecipazione  degli  Ordini  e  dei  Collegi
professionali garantisce l'uniformita' nella qualita' dei programmi.

   Il  Piano Nazionale dell'Aggiornamento, come affermato nell'Intesa
Stato-Regioni,  di  cui  all'intesa del 23 marzo 2005, costituisce il
presupposto   necessario   "per   l'individuazione   degli  strumenti
condivisi   per   il   contenimento  della  dinamica  dei  costi,  il
miglioramento  qualitativo  dei  servizi  e  la riduzione della spesa
inappropriata,   nel   rispetto   del  principio  della  uniforme  ed
appropriata erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) sul
territorio  nazionale,  di  cui  al  d.P.  C.M  29  novembre  2001  e
successive modifiche ed integrazioni".

   Si   tratta,  quindi,  di  ripensare  l'assetto  istituzionale  ed
organizzativo  dell'Educazione  Continua in Medicina, per fissare con
chiarezza  il  riparto  di  competenze tra Stato e Regioni in tema di
aggiornamento  professionale  successivo  alla formazione di base, in
modo tale che nei prossimi anni il processo di educazione continua in
medicina una volta portato a regime, risponda a criteri di efficienza
ed adeguatezza.


   4.4.  La promozione del Governo clinico e la qualita' nel Servizio
sanitario nazionale compresa la tematica delle liste di attesa.

   In  tutti  i  paesi  sviluppati  gli  ultimi  anni hanno visto una
crescita  enorme  della  domanda di prestazioni sanitarie e quindi lo
svilupparsi   di  politiche  tese  a  razionalizzare  al  massimo  le
strategie   di  offerta.  Ma  anche  queste  iniziative  si  mostrano
insufficienti  nel  lungo  periodo  se non affiancate da una corretta
politica  di  governo  della  domanda  che  trovi il suo fulcro nella
appropriatezza delle prestazioni erogate.

   La   traduzione   operativa   di   questi   concetti   si  colloca
sostanzialmente nello sviluppo di un reale governo clinico che veda i
professionisti direttamente coinvolti e responsabilizzati.

   Il  governo  clinico  (o  governo  della  qualita'  clinica) e' il
"cuore"  delle  organizzazioni  sanitarie nell'ospedale: il controllo
dei  costi  e  degli  aspetti  finanziari dovrebbe essere, almeno per
larga  parte,  conseguenza del suo esercizio, giacche' non e' sensato
porsi  un  obiettivo di efficienza se non vi e' innanzitutto garanzia
di qualita'.

   Il  Governo  clinico (GC) - Clinical Governance - e' uno strumento
per  il  miglioramento della qualita' delle cure per i pazienti e per
lo  sviluppo  delle capacita' complessive e dei capitali del SSN, che
ha lo scopo di mantenere standard elevati e migliorare le performance
professionali  del  personale,  favorendo lo sviluppo dell'eccellenza
clinica  e  rappresenta  lo  sviluppo  di  riflessioni sul tema della
qualita'  sul  quale  da anni molte organizzazioni stanno lavorando e
tra queste l'Organizzazione Mondiale della Sanita' (The principles of
quality assurance, 1983).

   L'obiettivo  fondamentale  dei  programmi  di  miglioramento della
qualita'  e'  che ogni paziente riceva quella prestazione che produca
il  miglior  esito possibile in base alle conoscenze disponibili, che
comporti  il minor rischio di danni conseguenti al trattamento con il
minor  consumo  di  risorse,  e  con  la massima soddisfazione per il
paziente.  Da  cio' deriva la definizione delle caratteristiche di un
sistema   sanitario  ideale  a  cui  tendere:  sicurezza,  efficacia,
centralita' del paziente, tempestivita' delle prestazioni, efficienza
ed  equita'.  Pertanto,  il  miglioramento della qualita' richiede un
approccio  di  sistema  in  un  modello  di  sviluppo complessivo che
comprenda  i pazienti, i professionisti e l'organizzazione: la logica
sottostante  a  tale  nuovo  concetto e' quella della programmazione,
gestione  e  valutazione del "sistema" in forma mirata all'erogazione
di prestazioni cliniche per la tutela della salute della popolazione.

   La  politica  di attuazione del governo clinico richiede quindi un
approccio  di  "sistema"  e  va  realizzata tramite l'integrazione di
numerosi  determinanti tra di loro interconnessi e complementari, tra
i  quali  vi  sono  la  formazione  continua, la gestione del rischio
clinico,  l'audit, la medicina basata sull'Evidenza (EBM ed EBHC), le
linee  guida  cliniche  e  i  percorsi assistenziali, la gestione dei
Reclami   e  dei  contenziosi,  la  comunicazione  e  gestione  della
documentazione, la ricerca e lo sviluppo, la valutazione degli esiti,
la  collaborazione multidisciplinare, il coinvolgimento dei pazienti,
l'informazione corretta e trasparente e la gestione del personale. E'
in questa sistematica attenzione alla qualita' dell'assistenza che il
governo  clinico  offre,  prima  di  tutto  agli stessi operatori, la
possibilita' di valutare l'efficacia e l'appropriatezza clinica delle
prestazioni erogate.

   Un elemento determinante per il successo del governo clinico e' la
modalita'  con  cui  viene  esercitato  il  diritto  di conoscenza ed
accesso.  In relazione ai sistemi di partecipazione e alla diversita'
dei  modelli  organizzativi regionali e delle aziende sanitarie, deve
intervenire  un  modello di comunicazione multiculturale specialmente
nei  settori  della  prevenzione  o  la'  dove  e'  necessario che il
messaggio di salute sia pienamente e immediatamente compreso (ad es.:
nel campo dell'emergenza).

   A  questo  si  legano  anche  le opportune indagini su percezione,
priorita',  gradimento  e  soddisfazione.  Le  azioni previste devono
promuovere   il   coinvolgimento   dei   cittadini  nei  progetti  di
miglioramento,  la loro partecipazione relativamente ai meccanismi di
informazione,   di   consenso   informato,   per   favorire  il  loro
coinvolgimento nel processo terapeutico.

   Altro  aspetto  fondamentale  e' quello della gestione del rischio
clinico  a  salvaguardia  e tutela della sicurezza dei pazienti e del
personale. In stretta relazione a cio' e' necessario che le attivita'
di  audit  clinico  siano  effettivamente  integrate  nella  missione
aziendale,   abbandonando   la  logica  elitaria  che  li  ha  finora
accompagnati.   Un   ulteriore   elemento   che  deve  caratterizzare
l'innovazione  legata  al  governo  clinico  e'  la  partecipazione a
progetti  di  ricerca e l'introduzione sperimentale ed a regime delle
innovazioni prodotte da ricerche.

   Il  personale deve essere direttamente ed effettivamente coinvolto
nelle scelte cliniche ed organizzative e deve ricevere informazione e
comunicazione   sistematiche.   E'   anche  necessario  prevedere  la
progettazione  dei  percorsi  di  carriera,  per  favorire  la  reale
integrazione  degli  operatori,  che  deve comprendere una necessaria
attivita'   di   valutazione  e  feedback  delle  performance,  anche
individuale.   L'elemento   fondamentale   e'   rappresentato   dalla
formazione  continua  mirata  (interna  ed  esterna):  specialistica,
organizzativa,  per  lo  sviluppo  della qualita'. Va individuata una
esplicita   finalita'  valutativa  per  il  professionista  che  puo'
diventare  uno strumento utile alla reale implementazione del governo
clinico   nel  sistema  delle  aziende.  Oggi  e'  messa  particolare
attenzione   ai  meccanismi  di  selezione  e  di  scelta  dei  ruoli
dirigenziali  e  di  responsabilita'  dei  professionisti, molta meno
attenzione  e'  invece  affidata  alla valutazione dell'operato degli
stessi.  I  risultati  di salute conseguiti possono rappresentare una
delle linee del profilo di valutazione del professionista.

   In  sostanza,  il  perseguimento  della efficacia clinica richiede
forme  di valutazione e controllo delle prestazioni erogate, oltre il
mero  aspetto  quantitativo  nel  rispetto,  tra l'altro, di un nuovo
paradigma della medicina per il quale il ragionamento fisiopatologico
non  e'  piu'  sufficiente  per  garantire  un  risultato positivo di
salute.  Il  processo  valutativo,  per  essere sensibile e specifico
nella  misura  del  fenomeno  osservato, deve rimodularsi in funzione
della dimensione organizzativa che l'Azienda tendera' ad assumere.

   Un  altro  elemento  portante  e'  la gestione e lo sviluppo della
organizzazione,  che  svolga attivita' di programmazione e budgeting,
la  diffusione  di un sistema informativo che consenta la valutazione
dei  processi  e  dei  prodotti,  la  gestione  clinica  del paziente
(patient  file) e la valutazione degli esiti (outcome), sulla base di
standard  nazionali  ed internazionali. Infine devono essere promosse
azioni  di  ricerca  organizzativa.  Un elemento trasversale rispetto
agli  elementi  portanti del governo clinico e' la comunicazione, che
deve  prevedere  idonei  strumenti  quali  bollettini, informazioni e
rapporti con i mass media, pubblicazioni, forum e convegni.

   In  ultima  analisi  appare  evidente che lo strumento del governo
clinico  non  puo'  essere  finalizzato  solo  a dare risposta ad una
emergenza   finanziaria   e,   quindi,   essere   ristretto   ad  una
programmazione di budgeting e di sviluppo del sistema informativo che
garantisca che le risorse disponibili siano impiegate nelle attivita'
piu'  utili per i cittadini ma deve essere esteso al governo di tutte
quelle  attivita'  che  ci  permettono  di  raggiungere  obiettivi di
qualita' delle prestazioni e di appropriatezza.

   Nel triennio di vigenza del Piano saranno individuate le modalita'
operative  per  realizzare la strategia, gli ambiti di miglioramento,
le  modalita'  condivise per attuare il governo clinico. L'attuazione
di prassi di governo clinico non solo a livello ospedaliero, ma anche
a  livello  territoriale  permettera'  un  aumento  della qualita' ed
accessibilita' delle cure offerte ai cittadini.


   Le liste di attesa.

   Il  fenomeno  delle liste di attesa e' presente in tutti gli Stati
dove insiste un servizio sanitario che offra un livello di assistenza
avanzato,   qualunque  sia  il  modello  organizzativo  adottato.  La
complessita'  del  problema,  sia  per  l'impatto  organizzativo  sul
sistema  sanitario nazionale che per le conseguenze sulla definizione
dei  diritti  dei  cittadini  in  materia  di  livelli  di assistenza
garantiti,  richiede  un  impegno  comune di Governo e Regioni, nella
consapevolezza  che  non  esistono  soluzioni semplici e univoche, ma
vanno  poste  in  essere azioni complesse ed articolate. E necessario
condividere  un  percorso  per  il  governo  delle  liste  di  attesa
finalizzato  a  garantire  un  appropriato  accesso  dei cittadini ai
servizi  sanitari,  percorso  che  tenga  conto della applicazione di
rigorosi   criteri   sia  di  appropriatezza  che  di  urgenza  delle
prestazioni  e  che  garantisca  la trasparenza del sistema a tutti i
livelli.  Sara'  necessario  generalizzare  la dotazione regionale di
sistemi  di  prenotazione  in  rete  (CUP),  nonche'  prevedere l'uso
sistematico  delle  classi  di priorita' per governare l'accesso alle
prestazioni,  ed  individuare  delle  tipologie  di  prestazioni,  ad
esempio  quelle di urgenza o quelle oncologiche, per le quali i tempi
devono essere certi ed uguali su tutto il territorio nazionale.

   La  gestione  delle  liste  di  attesa  puo'  trovare  piu' facile
soluzione  se  si  individuano  strumenti e modi di collaborazione di
tutti  gli  attori  del  sistema,  sia  quelli  operanti sul versante
prescrittivo sia quelli di tutela del cittadino.


   La promozione di linee guida: il sistema nazionale Linee Guida.

   Con  il  decreto del Ministro della salute 30 giugno 2004 e' stato
istituito  il  Sistema nazionale linee guida (SNLG) a cui partecipano
le  istituzioni  centrali,  le Regioni e le societa' scientifiche. Il
SNLG   definisce   priorita'  condivise  privilegiando  le  tematiche
associate  in primo luogo a variabilita' nella pratica clinica, liste
d'attesa   significative,   appropriatezza   diagnostico-terapeutica,
obiettivi  individuati  dal  Piano  sanitario  nazionale.  Il Sistema
nazionale   linee   guida   riconosce  il  ruolo  delle  linee  guida
nell'aggiornamento   professionale  e  nella  formazione  continua  e
promuove  un  sito  web  di  aggiornamento professionale dedicato che
possa consentire l'acquisizione di crediti ECM.

   La  necessita'  di  istituire il SNLG e' nata dalla consapevolezza
sempre  piu'  presente  della  necessita'  di  erogare  cure di buona
qualita'  ed  evidente  based  in un contesto di risorse limitato. In
questo contesto assumono particolare rilevanza le Linee Guida (LG), i
Protocolli  Diagnostico  Terapeutici ed i Percorsi di Cura, strumenti
che,  nel  loro  insieme, rappresentano l'elaborazione sistematica di
indicazioni  basate  sulle  evidenze  disponibili,  secondo  standard
raccomandati,  nel  rispetto  del  principio  di  appropriatezza, con
l'obiettivo  di  assistere  i  clinici  ed  i  pazienti  nel prendere
decisioni,  migliorare  la qualita' delle cure sanitarie e ridurre la
variabilita' nella pratica clinica e negli outcomes.

   Una  delle  vie  per  incoraggiare l'aderenza alle LG e' quello di
inserire  le  raccomandazioni e gli standards nella cartella clinica:
il  sistema  delle  "care patways" prevede di incorporare le LG nelle
cartelle cliniche in maniera che agiscono come suggerimento immediato
per  il  clinico. La verifica del grado di adesione delle LG ritenute
importanti  per  raggiungere  i  migliori  esiti  e'  un  processo di
valutazione  di  qualita'  che lega la pratica clinica agli outcomes,
anche   tramite   l'adeguamento   dei   sistemi   informativi  ed  il
raggiungimento di consenso su come misurare la qualita' delle cure.


   Il rischio clinico e la sicurezza dei pazienti.

   Sulla  gestione  del rischio clinico esistono iniziative regionali
da  valorizzare e generalizzare che assumono come obiettivo quello di
coniugare  il tradizionale punto di vista "assicurativo" tipico della
responsabilita'  dei  professionisti  a  quello  piu'  generale della
"sicurezza  del  paziente"  che  attiene  ai  livelli di qualita' del
sistema  dei  servizi  e  che  ha  pertanto  un impatto diretto sulle
capacita'  di  offerta  dei  livelli  di  assistenza.  Negli ospedali
italiani  si  cominciano  a sperimentare e a diffondere Unita' per la
gestione del rischio.

   Il  rischio clinico e' la probabilita' che un paziente sia vittima
di  un  evento  avverso,  cioe'  subisca un qualsiasi danno o disagio
imputabile,   anche  se  in  modo  involontario,  alle  cure  mediche
prestate,  che causa un peggioramento delle condizioni di salute o la
morte.

   Una  gestione efficace del rischio clinico presuppone che tutto il
personale  sia  consapevole  del  problema,  che  sia incoraggiata la
segnalazione  degli eventi e che si presti attenzione ai reclami e al
punto  di  vista  dei  pazienti. Le strategie di gestione del rischio
clinico     devono     utilizzare     un     approccio    pro-attivo,
multi-disciplinare,  di  sistema,  e  devono  prevedere  attivita' di
formazione e monitoraggio degli eventi avversi.

   La  formazione, che deve prevedere un livello nazionale, regionale
ed  aziendale,  deve consentire a tutti gli operatori di acquisire la
consapevolezza  del  problema  del  rischio  clinico, per favorire la
cultura   della  sicurezza  che  considera  l'errore  come  fonte  di
apprendimento    e   come   fenomeno   organizzativo,   evitando   la
colpevolizzazione del singolo.

   Le  attivita'  di  monitoraggio, devono essere condotte secondo un
criterio  graduato  di  gravita'  di  eventi,  prevedendo  che  i tre
livelli,  nazionale,  regionale  ed  aziendale, possano promuovere le
rispettive  azioni,  secondo  un disegno coerente e praticabile. Deve
essere attivato un monitoraggio degli eventi sentinella, cioe' quegli
eventi  avversi  di  particolare  gravita',  indicativi  di  un serio
malfunzionamento  del  sistema,  che  causano  morte o gravi danni al
paziente  e  che determinano una perdita di fiducia dei cittadini nei
confronti  del  Servizio  Sanitario.  L'efficace gestione del rischio
clinico portera' oltre ad importanti risultati di carattere sanitario
anche rilevanti risvolti economici.


   4.5. L'aziendalizzazione e l'evoluzione del servizio sanitario.

   Il  tema del completamento del processo di aziendalizzazione viene
affrontato evidenziando l'esigenza di incrementare l'efficienza delle
aziende  sanitarie.  I  cambiamenti  avvenuti negli anni 90 e i primi
anni  del  2000  nell'assetto  e  nell'organizzazione delle strutture
sanitarie  hanno  costituito quello che e' stato definito processo di
aziendalizzazione.

   Con   l'aziendalizzazione   e'   stato  riconosciuta  la  primaria
rilevanza  per  il sistema sanitario ai fini del raggiungimento della
propria  missione, dei processi di acquisizione, di combinazione e di
allocazione  delle risorse disponibili, meglio garantiti, appunto, da
una gestione dei servizi di tipo aziendale.

   Queste  motivazioni  che  hanno portato ad individuare nel modello
aziendale  quello  piu'  efficiente  ed  efficace per la gestione dei
servizi  sanitari  sono  tutt'ora valide, ma a quasi 15 anni dal varo
della  riforma  del  1992,  occorre  fare un bilancio del processo di
aziendalizzazione per proporre correttivi sulla base delle esperienze
fatta.

   Nella  sua fase di avvio l'elemento di forte discontinuita' con il
passato,  individuabile  dalla  adozione  di  tecniche e impostazioni
manageriali, ha costituito una oggettiva spinta all'innovazione ed al
cambiamento ed e' stato arricchito da una specifica sensibilizzazione
culturale.

   Oggi la spinta si e' in parte esaurita, per cui occorre promuovere
iniziative    specifiche    per   il   rilancio   del   processo   di
aziendalizzazione, dal momento che vi sono ancora margini cospicui di
miglioramento  nell'utilizzazione  delle  risorse. L'analisi dei soli
dati  relativi all'assistenza ospedaliera mostra come la variabilita'
interregionale  ed  interaziendale nella produzione di prestazioni di
ricovero   ospedaliero   sia  molto  ampia,  evidenziando  accanto  a
situazioni  di  inefficienza  legate  a  o  motivi  strutturali (reti
ospedaliere  incongrue)  anche  situazioni  legate  prevalentemente a
incapacita'   delle   direzioni  aziendali  nell'adottare  misure  di
razionalizzazione  dell'organizzazione  e dell'acquisizione di beni e
servizi.

   E'  necessario,  inoltre, cominciare a fare una riflessione, sulla
base dell'evoluzione che il modello aziendalistico sta registrando in
diverse  regioni,  sulla  possibilita'  di  prevedere  meccanismi che
rendano  il  sistema  piu'  flessibile e piu' permeabile alle istanze
politiche e sociali emergenti sul territorio.

   La  struttura  aziendale,  con  cio' che di fortemente positivo ha
recato   e  reca  sul  versante  della  organizzazione  dell'offerta,
soprattutto  ospedaliera,  ha  presentato due sostanziali criticita':
una   tendenza   alla  autosufficienza  produttiva,  che  produce  se
esasperata,  alla  lunga,  inefficienze  e inutile concorrenza, e una
sostanziale  autoreferenzialita'  rispetto  ai  bisogni  di  crescita
dell'organizzazione  e  delle  categorie  professionali coinvolte con
poche   relazioni   con  i  cittadini,  singoli  o  rappresentati,  e
soprattutto   con   le   politiche   locali  correlate  al  tema  dei
determinanti di salute.

   Per questo motivo in diverse regioni si sono sviluppate da un lato
politiche  di  programmazione interaziendale (cosiddette Aree vaste o
quadranti  ecc.)  per  lo sviluppo in rete dei presidi ospedalieri, e
dall'altro  politiche  di  coinvolgimento,  soprattutto per i servizi
territoriali e preventivi, delle realta' locali e dei cittadini.

   Nel  triennio  di  vigenza del PSN si svolgera' una riflessione in
materia,  per  valutare,  avvalorare  ed  indirizzare queste linee di
sviluppo,  cosi'  come  per  gettare  le  basi  per un loro confronto
finalizzato   nel   medio  periodo  a  verificare  l'opportunita'  di
eventuali modifiche migliorative del sistema.

   Le iniziative da promuovere riguardano tre ambiti tematici:

    - il   consolidamento   della   adozione   degli   strumenti  del
management;
    - la  ridefinizione degli ambiti territoriali e le altre forme di
reingegnerizzazione istituzionale;
    - il rapporto con le tematiche del governo clinico.

   In  linea  generale  e'  necessario evidenziare come oggi piu' che
investire  ancora  sulla  progettazione  di  nuovi strumenti e' utile
invece  implementare  definitivamente  quelli  gia'  disponibili.  Le
priorita' da seguire possono cosi' essere individuate:

    - promuovere  la  qualita' (appropriatezza, comfort, economia...)
del servizio fornito e correlarla al risultato, in base alle evidenze
sulla efficacia clinica e sulla efficienza operativa dei servizi;
    - fare  in  modo  che  l'organizzazione  aziendale e le dinamiche
interne   del  suo  funzionamento  siano  ben  chiare,  valutabili  e
verificabili  per  tutti  quelli  che operano al suo interno, per gli
utenti  e per quanti sono chiamati a svolgere funzioni di governo, di
indirizzo, di valutazione o di controllo;
    - combattere  i  fenomeni  di "dissonanza organizzativa" (dire un
cosa ma farne altre);
    - fare in modo che i risultati attesi siano conseguiti mantenendo
l'unitarieta' dell'azione aziendale;
    - incentivare  e  formalizzare le modalita' con cui le competenze
professionali    possono    contribuire    al   miglioramento   della
programmazione, della organizzazione e della produzione dei servizi;
    - promuovere  l'innovazione organizzativa puntando sullo sviluppo
e  sul  rendimento  del  capitale  professionale  e  dell'innovazione
tecnologica;
    - modulare   le   priorita'   di   applicazione  (programmazione,
organizzazione,  gestione  risorse  umane,  sistema  di  decisione  e
controllo,  acquisizioni)  in  base alla specifica situazione locale,
promuovendo  sistematicamente  da  parte  delle  aziende sanitarie le
iniziative  in  grado  di  aumentare  la  capacita'  di produzione di
servizi  a  parita'  di  risorse  impiegate (efficienza tecnica) e la
capacita'   di  produrre  attivita'  e  prestazioni  a  costi  minori
(efficienza economica);
    - ottimizzare  la  funzione  acquisti  di beni e servizi, tenendo
conto  della  complessita'  del  mercato dei beni sanitari, la rapida
obsolescenza   che   caratterizza   molti  prodotti  e  procedure,  i
consistenti fenomeni di asimmetria della domanda e dell'offerta.


   4.6. Le sperimentazioni gestionali.

   Con  la  legge  30  dicembre 1991, n. 412 (finanziaria 1992) si e'
dato  avvio  alle  sperimentazioni  gestionali,  per  sviluppare  nel
Servizio   sanitario  nazionale  la  collaborazione  tra  pubblico  e
privato,  con  l'obiettivo di far confluire verso le iniziative e gli
interventi  di  attuazione  degli  obiettivi  strategici del Servizio
sanitario  nazionale  risorse  finanziarie  e  competenze integrative
rispetto  a  quelle gia' presenti nell'ambito del settore pubblico. I
progetti  di  sperimentazione  gestionale,  da realizzarsi attraverso
convenzioni  tra  Enti  del  Servizio  sanitario nazionale e soggetti
privati  dovevano definire, a livello aziendale, modelli di gestione,
anche  in deroga alle norme vigenti, con lo scopo di realizzare opere
(edilizie  o  tecnologiche)  o  di  svolgere  in  forma  integrata la
gestione  di  un servizio con particolare attenzione al miglioramento
continuo   della   qualita'   in   condizioni   di   efficienza.   Le
sperimentazioni  si sono sviluppate nell'ottica della ricerca di piu'
efficienti  modelli  di  governo  della  spesa  sanitaria,  avendo ad
oggetto sia modalita' di pagamento e di remunerazione dei servizi sia
il  coinvolgimento,  nella  fornitura  di  servizi  e prestazioni, di
soggetti erogatori diversi da quelli istituzionali.

   L'analisi  condotta  dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali
nel  settembre  2003  ha  individuato  le  cinque  aree ritenute piu'
critiche, per il coinvolgimento del privato:

    1.   l'opportunita'  che  il  pubblico  mantenga  la  maggioranza
assoluta  delle  quote  di azioni delle societa' miste costituite col
privato;
    2. la necessita' di incrementare oltre i tre anni la durata delle
sperimentazioni,  per  consentire  la  corretta  valorizzazione degli
investimenti;
    3.  la  opportunita'  di  normative regionali che definiscano con
chiarezza  le procedure di selezione del partner privato, evitando le
rigidita' dei capitolati di gara;
    4.  la  necessita'  di norme e strutture che disciplinino in modo
chiaro  le  posizione del personale nel caso di partecipazione ad una
societa' mista;
    5.  il  chiarimento  sulle  limitazioni  che la societa' mista, a
capitale  pubblico maggioritario, incontra nell'operativita' nel caso
in cui essa venga considerata organismo pubblico.

   Non  esiste  ad  oggi  una  precisa  definizione  normativa  delle
collaborazioni  pubblico-privato,  ne'  a  livello  nazionale,  ne' a
livello comunitario.

   Solo  nell'aprile  del 2004, la Commissione europea e' intervenuta
sul  tema,  dedicandovi una specifica pubblicazione, nota come "Libro
verde  relativo  ai  partenariati  pubblico  privati  ed  al  diritto
comunitario  degli  appalti  pubblici  e  delle concessioni". In tale
contesto  "il  termine  partenariato pubblico privato si riferisce in
generale  a  forme  di  cooperazione tra le autorita' pubbliche ed il
mondo  delle  imprese  che  mirano  a  garantire il finanziamento, la
costruzione,  il  rinnovamento,  la  gestione o la manutenzione di un
'infrastruttura o la fornitura di un servizio."

   D'altro  canto,  l'11 febbraio 2004 Eurostat, l'ufficio statistico
delle   Comunita'   europee,   con   la   decisione   "Treatment   of
public-private   partnerships",   ha   indicato   i  criteri  per  il
trattamento  contabile,  nei conti nazionali, di specifiche tipologie
di PPP.

   La  decisione  riguarda  il  caso  di  contratti  a lungo termine,
conclusi  tra  la  Pubblica  Amministrazione  e un partner privato in
settori  di attivita' dove il Governo e' fortemente coinvolto, per la
realizzazione  di  una  infrastruttura  in  grado  di erogare servizi
secondo parametri quantitativi e qualitativi stabiliti.

   La decisione si applica nei casi in cui lo Stato sia il principale
acquisitore  dei  beni e servizi forniti dall'infrastruttura, sia che
la  domanda  sia  originata  dalla stessa parte pubblica che da terze
parti.  E'  questo  il  caso, ad esempio, di servizi pubblici come la
sanita'.

   In   considerazione  dei  cambiamenti  demografici  in  atto,  che
comportera'  un  aumento  della  cronicita',  e  conseguentemente del
fabbisogno  di servizi territoriali, la partenership pubblico/privato
potra',  nei  prossimi  anni  giocare un ruolo significativo. Infatti
l'assistenza  sanitaria  territoriale  dovra'  essere  organizzata  e
spesso  reingegnerizzata  e  l'assistenza  ospedaliera  dovra' essere
funzionalmente e tecnologicamente riqualificata.

   La disponibilita' del privato, in termini di capacita' innovativa,
nella   organizzazione   dei  processi  e  la  collegata  innovazione
tecnologica,  nonche' di finanziamento delle strutture sanitarie puo'
essere  colta  mettendo  a punto le corrette modalita' di interazione
tra  pubblico  e  privato,  con la garanzia che il mondo pubblico sia
l'unico   garante   verso   il   cittadino   del   conseguimento  del
bilanciamento  ottimale  in  termini  di  costi-qualita'  dei servizi
sanitari erogati.



   4.7. La politica del farmaco ed i dispositivi medici.


   La politica del farmaco.

   Si  tratta di sviluppare il tema di una razionalizzazione di tutta
la  filiera  dalla produzione, alla distribuzione, alla prescrizione,
al consumo.

   In  tale  contesto  il principio su cui si fonda la definizione di
una  nuova politica del farmaco e l'assunzione ad esso sotteso e' che
il  sistema  salute  oltre  a  costituire per il cittadino un diritto
costituzionale,  puo'  diventare  sistema  di sviluppo per il Paese e
settore in cui favorire gli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S):
in   altri   termini   il   farmaco   non   puo'  essere  considerato
esclusivamente  come  fattore  di  spesa  ma anche e soprattutto come
elemento di sviluppo e di promozione della innovativita'.

   Per  realizzare  tale obiettivo e' necessario garantire un assetto
istituzionale  e normativo che favorisca i processi di R&S nel nostro
Paese, in modo da evitarne una dimensione esclusivamente di mercato.

   Tutto  cio'  esige  una programmazione di medio-lungo periodo (3-5
anni),   tesa   ad   impedire  che  vengano  introdotti  nel  sistema
cambiamenti  non  programmati  e improvvise discontinuita'. Pertanto,
gli obiettivi strategici individuati e le azioni che sara' necessario
porre  in  essere  per  realizzare  una  nuova  politica del farmaco,
secondo i principi sopra definiti, possono essere cosi' riassunti:


   1.   Garantire   il   mantenimento  dell'unitarieta'  del  Sistema
farmaceutico.

   L'unitarieta'  del sistema farmaceutico viene garantita attraverso
il  Prontuario  Farmaceutico  Nazionale  (PFN)  che  deve  assicurare
attraverso i medicinali di fascia A l'accesso uniforme ed omogeneo su
tutto  il  territorio  nazionale  ai  farmaci  innovativi, ai farmaci
orfani  e  a  tutti  i  farmaci  essenziali  per il trattamento delle
patologie  gravi,  acute, croniche nell'ambito dei livelli essenziali
di       assistenza       (LEA).       Va       inoltre       attuata
l'implementazione/omogeneizzazione, a livello istituzionale, di tutte
quelle  forme  di  dispensazione  del  farmaco previste dalla vigente
normativa e finalizzate alla razionalizzazione e qualificazione della
spesa  farmaceutica  e  sottolineata  la  priorita'  del monitoraggio
dell'appropriatezza dell'assistenza farmaceutica erogata.


   2.  Assicurare  il  governo della spesa e il rispetto del tetto di
spesa programmato.

   L'AIFA  provvedera' al governo della spesa e al rispetto del tetto
di  spesa  programmato  attraverso  i  meccanismi  di  autorizzazione
all'immissione  in  commercio  (AIC)  secondo  i criteri di qualita',
efficacia,  sicurezza, di costo beneficio e di convenienza economica,
mediante   l'aggiornamento   periodico  del  Prontuario  Farmaceutico
Nazionale  (PFN)  e attraverso le procedure di ripiano della spesa in
caso  di  sfondamento, secondo quanto previsto dal comma 5, dell'art.
48, della legge 24 novembre 2003, n. 326.


   3. Garantire una programmazione di medio-lungo periodo.

   Fino  ad  oggi  e'  venuta  a mancare una capacita' complessiva di
governo  del  sistema,  nel rapporto tra domanda ed offerta e cio' ha
richiesto nel tempo l'adozione di numerosi provvedimenti di ripiano a
valle,  in  assenza  di una capacita' di regolazione programmatoria a
monte. L'adozione, anche in via sperimentale, di un nuovo sistema dei
prezzi   che   preveda   la   negoziazione   dell'intero  portafoglio
dell'Azienda e non del singolo prodotto, al netto delle nuove entita'
chimiche  e  di  un meccanismo automatico di ripiano, con un tasso di
incremento  della spesa sostenibile e programmato, puo' costituire lo
strumento  attraverso  cui realizzare una programmazione triennale di
settore.


   4. Promuovere gli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S).

   La  promozione  degli  investimenti in R&S puo' essere incentivata
attraverso  il "Premium Price", ovvero il riconoscimento di un premio
di prezzo (separato e aggiuntivo rispetto al premio di rimborso), per
i   farmaci  innovativi  che  sono  stati  realizzati  dalle  Aziende
attraverso  investimenti nel nostro Paese in termini di: insediamento
o  potenziamento  dei  siti  di  produzione,  assunzione di personale
qualificato  nei  settori  della  ricerca  e  conduzione  di ricerche
cliniche  innovative  di  Fase  I  e  II.  A  tal  fine,  su proposta
dell'Agenzia  Italiana  del  Farmaco,  il  Ministro  della  salute di
concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  finanze  individua con
proprio  decreto  i  criteri per la successiva stipula da parte della
agenzia  stessa  di  accordi  di  programma  con  le  singole aziende
farmaceutiche,  con  cui  siano determinati le attivita' e i piani di
interventi da realizzare da parte di ciascuna azienda.


   5. Promuovere ricerche cliniche no-profit.

   L'AIFA promuovera' ricerche cliniche, specie di tipo comparativo e
su  aree  strategiche, finalizzate a dimostrare il valore terapeutico
aggiuntivo  (VTA)  di  farmaci  e  strategie terapeutiche. A tal fine
sara'  realizzata una rete informatica e culturale dei Comitati Etici
locali    e   sara'   potenziato   l'Osservatorio   Nazionale   sulle
Sperimentazioni Cliniche (OSSC).

   La  specificita'  della  ricerca sui farmaci promossa dall'AIFA e'
quella    di    favorire,    nell'ottica    della    trasparenza    e
dell'indipendenza,  tutte  quelle  ricerche  finalizzate ad acquisire
conoscenze   innovative   relativamente   al  profilo  di  efficacia,
sicurezza,   impatto  sulla  salute  pubblica  dei  farmaci  e  degli
interventi    terapeutici    in   quelle   aree   che,   nell'attuale
organizzazione  della  ricerca  sui  farmaci,  appaiono  destinate  a
rimanere  marginali per il mercato, ma rilevanti ed essenziali per la
salute del cittadino.

   6.  Favorire  l'internazionalizzazione del sistema e consentire un
piu' rapido accesso ai farmaci innovativi.

   L'AIFA si impegna a semplificare e ridurre i tempi delle procedure
registrative   per   il   perfezionamento  delle  procedure  relative
all'autorizzazione  all'immissione  in  commercio  di nuovi farmaci a
carico  del  SSN,  in  modo  trasparente  e  verificabile, al fine di
garantire ai cittadini un accesso piu' rapido ai farmaci innovativi e
ai  medicinali  orfani  registrati  in  Europa.  Da  tale processo di
semplificazione delle procedure e di riduzione dei tempi di AIC ci si
attende  un  corrispondente  incremento  delle domande da parte delle
Aziende  affinche' l'Italia guidi il processo registrativo in Europa,
come  paese  di riferimento nelle procedure di mutuo riconoscimento e
come rapporteur nelle procedure centralizzate.


   7. Garantire un impiego sicuro ed appropriato dei farmaci.

   L'ALFA  promuove  programmi  di Farmacovigilanza attiva e studi di
sicurezza post commercializzazione di intesa con le Regioni e secondo
piani  di  formazione  e ricerca con i Medici di Medicina Generale, i
Pediatri di libera scelta, le Societa' Scientifiche e le Universita'.
Tali  studi  saranno  orientati a verificare la trasferibilita' nella
pratica   di   medicina   generale   dei  risultati  originati  dalle
sperimentazioni   cliniche  pre-marketing  e  gli  esiti  nella  fase
post-marketing  (outcome research). Anche i farmaci di fascia C vanno
assoggettati   al   regime  di  codifica  e  di  lettura  ottica  per
verificarne l'utilizzo anche ai fini dell'appropriatezza.


   8.  Contribuire  ad  assicurare  maggiore  eticita' al mercato dei
farmaci.

   Una  maggiore  trasparenza ed eticita' al mercato farmaceutico, in
particolare  nel settore della informazione scientifica, dei convegni
e  dei  congressi  promossi  dalle Aziende farmaceutiche, richiede la
revisione della legge 30 dicembre 1992, n. 541.

   L'AIFA   deve   assicurare,   inoltre,  l'implementazione  di  una
informazione pubblica e indipendente, al fine di favorire un corretto
uso  dei farmaci, di orientare il processo delle scelte terapeutiche,
di  promuovere  l'appropriatezza  delle  prescrizioni, riequilibrando
l'attuale   condizione  di  asimmetria  tra  informazione  privata  e
informazione pubblica.

   L'AIFA  garantira',  infine,  il  proprio contributo istituzionale
all'aggiornamento  degli  operatori  sanitari in ambito farmacologico
attraverso  le  attivita' editoriali, lo svolgimento come provider di
programmi   di   formazione   a   distanza   (FAD),   la  gestione  e
l'implementazione dei contenuti del proprio sito internet.


   9. Coinvolgere i cittadini attraverso la Comunicazione.

   La  implementazione  di una nuova politica sul farmaco richiede il
coinvolgimento  dei  cittadini  per ricostituire un rapporto di piena
fiducia affinche' sia percepito e riconosciuto il ruolo del Ministero
della  Salute  e  dell'AIFA  a  difesa  e  a tutela dei bisogni e dei
diritti del cittadino in ambito farmaceutico e sanitario.

   L'AIFA  promuovera'  Campagne  di  informazione e comunicazione ai
cittadini  sul corretto impiego dei farmaci; assicurera' attraverso i
Medici  e  i  Farmacisti  la diffusione delle liste di trasparenza di
farmaci  di fascia C sottoposti a prescrizione medica e implementera'
campagne  specifiche  per  la  promozione dei farmaci equivalenti, al
fine  di  liberare preziose risorse destinate ad offrire ai cittadini
una  sempre  maggiore  disponibilita'  per  i  farmaci innovativi. In
questo senso e' importante ricordare che i farmacisti possono dare un
rilevante  contributo professionale all'ottimizzazione delle risorse,
favorendo  il  ricorso  a  medicinali  che, nell'ambito di una stessa
categoria  terapeutica,  sono meno costosi e il ruolo che le farmacie
possono svolgere ampliando le attivita' di monitoraggio dei consumi e
della spesa.


   I Dispositivi medici.

   Questa  linea  tematica si riferisce al complesso delle iniziative
che occorrera' sviluppare sulla tematica dei dispositivi medici.

   La  diffusione  e  l'uso sempre piu' esteso nelle diverse pratiche
sanitarie  di  dispositivi  medici  dovra'  comportare  una crescente
attenzione da parte del Sistema Sanitario.

   Nel  triennio  andranno  pianificati  interventi  mirati ad alcuni
obiettivi fondamentali:

    a)  conoscenza sempre piu' completa ed aggiornata delle tipologie
di  dispositivi  medici  presenti  sul  mercato italiano e delle loro
caratteristiche tecniche ed economiche;
    b) promozione della ricerca scientifica in questo campo;
    c)   miglioramento  della  capacita'  di  risposta  ad  eventuali
segnalazioni   di   incidenti  o  di  anomalie  di  funzionamento  di
dispositivi medici e attivazione di un sistema di vigilanza;
    d) attenzione alla qualita' dei prodotti sul mercato, soprattutto
in  arrivo  dal mercato extracomunitario, anche attraverso costanti e
fattivi contatti con le altre autorita' competenti.

   In questa situazione nel corso del triennio, andranno attivate, in
accordo  con  le  Regioni  misure  volte  a garantire la sicurezza, e
l'appropriatezza d'uso dei dispositivi medici, in particolar modo:

    - l'istituzione  di una database nazionale dei dispositivi medici
in vendita nel nostro Paese, contenente le caratteristiche essenziali
(comprese biocompatibilta' e sicurezza) degli stessi;
    - la  valutazione  del  rapporto  costo-beneficio,  finalizzata a
definire il Repertorio dei dispositivi medici rimborsati dal Servizio
sanitario nazionale;
    - la  realizzazione  di un monitoraggio specifico sulla spesa dei
dispositivi medici.



    5. GLI OBIETTIVI DI SALUTE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE.


   5.1. La salute nelle prime fasi di vita, infanzia e adolescenza.

   Negli  ultimi anni si e' delineata una nuova dinamica demografica,
con   una  trasformazione  delle  caratteristiche  del  comportamento
riproduttivo delle coppie, che ha comportato una riduzione del numero
delle  nascite.  L'innalzamento  dell'eta' media al parto delinea una
tendenza a posticipare l'inizio della vita riproduttiva ma, in parte,
anche un recupero di fecondita' in eta' matura.

   Dai  dati  ISTAT si rileva che il tasso di natalita' in Italia nel
2004  e'  del  9,7  per 1000 abitanti, in particolare nel Mezzogiorno
d'Italia  pari al 10,1 per mille, mentre nel Nord e nel Centro Italia
rispettivamente al 9,5 e 9,4 per mille.

   Malgrado i progressi realizzati negli ultimi anni, non sono ancora
stati raggiunti gli obiettivi indicati dal precedente Piano sanitario
nazionale  2003-2005,  che faceva proprie molte delle indicazioni del
Progetto  obiettivo  materno-infantile  del Piano sanitario nazionale
1998-2000, i cui standard relativi al numero minimo di parti anno per
struttura,  al  bacino  di  utenza  per unita' operativa di pediatria
risultano ancora validi e del quale andrebbe monitorata l'attuazione.

   Nella  mortalita'  infantile,  in  costante diminuzione permangono
purtroppo  notevoli  diseguaglianze  fra  le  Regioni del Nord-Centro
Italia  e  quelle  al  Sud  del  paese. La mortalita' neonatale, piu'
elevata nelle Regioni del Sud, e' responsabile della maggior parte di
tale  mortalita'.  L'incidenza  dei  neonati  di  basso  peso  si  e'
dimezzata  nel corso dell'ultimo trentennio e' ha raggiunto il valore
medio   europeo   (6%),  persiste  pero'  un  gradiente  tra  Regioni
meridionali  e settentrionali. Devono, pertanto, essere migliorate le
cure  perinatali  riducendo le diseguaglianze nei tassi di mortalita'
neonatale   nelle  Regioni  del  Sud  del  paese,  legate  a  fattori
socioeconomici,  quali  i  piu'  elevati  livelli  di  poverta'  e la
scolarita'  piu' bassa, ma anche a fattori organizzativi e gestionali
quali  ad  esempio:  la  carenza  delle  strutture  consultoriali, la
mancata  concentrazione delle gravidanze a rischio, l'incompleta o la
mancata  attivazione del sistema di trasporto assistito del neonato e
la    mancanza    di    una   guardia   attiva   medico-ostetrica   e
pediatrico-neonatologica, 24 ore su 24 in una percentuale elevata dei
troppi punti nascita del nostro paese.

   Per   quanto   riguarda  la  mortalita'  infantile,  la  patologia
perinatale  (55%),  in particolare la prematurita' e le malformazioni
congenite  (30%) costituiscono l'85% circa della mortalita' nel primo
anno di vita. Tra il primo mese ed il primo anno di vita, la sindrome
della  morte  improvvisa  del  lattante  costituisce, ancora oggi nei
paesi industrializzati, la prima causa di morte, essa ha un'incidenza
che  puo'  essere  stimata  tra  lo  0,5  e  l'1%  dei  lattanti. Per
affrontare  questa rilevante problematica e' stata emanata la recente
legge  2  febbraio  2006, n. 31 "Disciplina del riscontro diagnostico
sulle  vittime  della  sindrome  della  morte improvvisa del lattante
(SIDS)  e di morte inaspettata del feto" che prevede l'individuazione
del  centro  deputato  a  elaborare  il  protocollo  diagnostico,  le
modalita'  di  individuazione e di autorizzazione dei centri chiamati
ad  effettuare  il  riscontro autoptico, la promozione di campagne di
sensibilizzazione   e  di  prevenzione  per  garantire  una  corretta
informazione  sulle  problematiche  connesse  alla  SIDS e ai casi di
morte  del feto senza causa apparente, la predisposizione di appositi
programmi  di ricerca multidisciplinari che comprendano lo studio dei
casi   sul   piano  anamnestico,  clinico,  laboratoristico,  anatomo
patologico,   istologico,   l'emanazione   di   linee  guida  per  la
prevenzione della SIDS.

   Nella fascia di eta' da 1 a 14 anni la mortalita' ha presentato un
considerevole  declino,  la  prima causa e' rappresentata dalle cause
violente  (traumatismi  e  avvelenamenti)  con il 4,3 per 100.000, al
secondo  posto i tumori con il 4,0, non si rilevano grosse differenze
fra  Nord  e  Sud  del  paese.  Tuttavia,  se  esaminiamo il tasso di
mortalita'  in eta' adolescenziale e nei giovani adulti (15-24 anni),
appaiono  evidenti  le  differenze fra Nord, Centro e Sud, con valori
piu'  bassi  nelle  aree  meridionali.  Queste differenze sono legate
soprattutto ai traumatismi: 39 per 100.000 al Nord, rispetto a valori
di  24  per 100.000 delle Regioni meridionali. Gli incidenti stradali
rappresentano il 57% delle morti legate a traumatismi, il rischio nel
maschio appare triplicato rispetto alla popolazione femminile.

   L'incidenza  dei tumori in eta' infantile ed adolescenziale sembra
presentare  un  trend  in  aumento dell'1% circa all'anno. Dati molto
buoni  vengono  dalla  sopravvivenza  a  5  anni  dalla  diagnosi che
attualmente  e'  pari  a oltre il 70% per tutti i tumori infantili in
Italia ed in Europa.

   L'obesita'  ha  una  significativa  prevalenza, il 36% dei bambini
italiani  a  9  anni  e'  sovrappeso,  di  questi  il  12%  e' obeso,
percentuali superiori ai valori medi europei. La prevalenza dell'asma
nei  bambini  e'  pari al 9,3% e al 10,3% tra gli adolescenti, questa
patologia  non  sembra  essere  aumentata,  mentre si e' osservato un
incremento   della  prevalenza  di  rinite  allergica  e  eczema.  La
prevenzione  di queste due condizioni morbose cosi' frequenti, legate
a   problematiche  ambientali  (inquinamento  e  fumo  passivo)  e  a
comportamenti alimentari e stili di vita non corretti deve costituire
uno  degli obiettivi piu' importanti di politica sanitaria nel nostro
Paese.

   Uno  dei  problemi  piu' critici, strettamente connesso con quello
delle  patologie  croniche,  e' quello della disabilita', intesa come
difficolta'  grave ad espletare almeno una delle attivita' della vita
quotidiana,  anche  se  i  dati  non  consentono  ancora  di definire
esattamente  il  fenomeno,  si  puo'  calcolare  che  i  portatori di
disabilita' sono circa il 16-20% della popolazione scolastica. Questi
soggetti sono affetti prevalentemente da problematiche neuropsichiche
o  comportamentali  gravi,  che richiedono un forte impegno a livello
sanitario  e  sociale,  un  sostegno  alla  famiglia ed alla scuola e
necessitano  sovente  di  una  integrazione  di  competenze a livello
multidisciplinare  che  occorre  garantire. Una situazione che sembra
poi  emergere con sempre maggiore drammaticita' nella nostra societa'
e'  quella  dell'abuso  e  del  maltrattamento  in  eta' infantile ed
adolescenziale.

   In  Italia  il tasso di gravidanze in eta' adolescenziale e' fra i
piu'  bassi  in  Europa ed e' in continua diminuzione, meno del 2% di
tutte  le  nascite avviene in donne di eta' inferiore ai 20 anni. Sul
territorio  la  mancanza  di  una  vera  continuita' assistenziale ha
determinato,  anche  in  ambito pediatrico, un continuo aumento degli
accessi in Pronto soccorso, sia generale che pediatrico, il 90% degli
accessi  e'  imputabile  ai codici bianchi o verdi, che in gran parte
potrebbero essere valutati e risolti in un contesto extraospedaliero.

   La   rete   ospedaliera   pediatrica,   malgrado  i  tentativi  di
razionalizzazione,  appare ancora ipertrofica rispetto ad altri paesi
europei. 11 numero dei punti nascita e' ancora molto elevato, ha meno
di  500  parti  all'anno  che dovrebbe essere considerato lo standard
minimo.  Alcune  Regioni  non  hanno ancora attivato il trasporto del
neonato  in  emergenza,  altre  lo  hanno fatto in modo incompleto. I
tassi  di  ospedalizzazione sono ancora doppi rispetto ad altri Paesi
europei,  pur  con  grandi  differenze a livello regionale. L'analisi
delle  prime  10  cause  di  ricovero,  per  DRG,  mette  in evidenza
patologie  ad elevato rischio di inappropriatezza. Inoltre per quanto
attiene all'assistenza ospedaliera occorre rispettare la peculiarita'
dell'eta'  pediatrica  destinando  spazi  adeguati  a questi pazienti
(area  pediatrica)  che  tengano  conto  anche  dell'esigenze proprie
dell'eta'  adolescenziale  e  formare  in  tal  senso  gli  operatori
sanitari.   Occorre  inoltre  valorizzare  il  ruolo  degli  ospedali
pediatrici  e  dei Centri regionali per l'assistenza al bambino, come
punti di riferimento per le patologie complesse.

   La  day  surgery  in  eta'  pediatrica  stenta  ad  affermarsi, La
mobilita'  interregionale  e',  anche in eta' pediatrica, un fenomeno
rilevante.  La valutazione della sua entita' e' importante ai fini di
correggere  le potenziali diseguaglianze nell'erogazione dei servizi.
Tale  migrazione  puo'  essere  motivata  dalla mancanza o inadeguata
allocazione  o  organizzazione  dei  Centri  di  alta specialita', da
esigenze familiari, ma anche da una non corretta informazione.

   Gli obiettivi da raggiungere nel triennio sono:

    - miglioramento         dell'assistenza        ostetrica        e
pediatrico/neonatologica  nel periodo perinatale, anche nel quadro di
una  umanizzazione  dell'evento  nascita  che deve prevedere il parto
indolore,  l'allattamento  materno  precoce  ed il rooming-in tenendo
conto  anche degli altri standard definiti dall'OMS e dall'UNICEF per
gli   "Ospedali   amici  dei  bambini",  colmando  le  diseguaglianze
esistenti  fra  le Regioni italiane, al fine di ridurre la mortalita'
neonatale  in  primo  luogo  nelle  Regioni  dove  e'  piu'  elevata,
ottimizzando  il  numero dei reparti pediatrici e dei punti nascita e
assicurando  la  concentrazione  delle  gravidanze  a  rischio  e  il
servizio  di  trasporto  in  emergenza del neonato e delle gestanti a
rischio;
    - la  riduzione  del  ricorso  al taglio cesareo, raggiungendo il
valore  del  20%,  in  linea con i valori medi europei, attraverso la
definizione  di Linee guida nazionali per una corretta indicazione al
parto   per   taglio   cesareo,  l'attivazione  di  idonee  politiche
tariffarie per scoraggiarne il ricorso improprio;
    - promuovere  campagne  di  informazione  rivolte alle gestanti e
alle puerpere, anche attraverso i corsi di preparazione al parto ed i
servizi  consultoriali,  per la promozione dell'allattamento al seno,
il corretto trasporto in auto del bambino, la prevenzione delle morti
in  culla  del  lattante,  la  promozione  delle vaccinazioni e della
lettura  ad  alta  voce. Deve essere prevenuto il disagio psicologico
dopo la gravidanza ed il parto;
    - educare  i  giovani alla promozione della salute, all'attivita'
motoria,  ai  comportamenti  e stili di vita adeguati nel campo delle
abitudini  alimentari, alla prevenzione delle malattie a trasmissione
sessuale  compresa  l'infezione  da  HIV,  della  tossicodipendenza e
dell'alcolismo,   alla  procreazione  responsabile,  sollecitando  il
contributo  della  scuola, attivando anche interventi, in particolare
nei consultori familiari e negli spazi destinati agli adolescenti, di
prevenzione  e  di  lotta ai maltrattamenti, abusi e sfruttamento dei
minori e alla prevenzione degli incidenti stradali e domestici;
    - prevenire  la  patologia  andrologica  e ginecologica nell'eta'
evolutiva;
    - controllare  e  diminuire  il  sovrappeso  e  l'obesita'  nelle
giovani generazioni tramite interventi che devono riguardare non solo
la casa e la famiglia (ma anche la scuola e la citta) e infine i mass
media  e  gli organismi di controllo che devono diffondere la cultura
dei  cibi  salutari  (frutta  e  verdura) e combattere la pubblicita'
alimentare ingannevole;
    - riorganizzare i Servizi di emergenza-urgenza pediatrica;
    - ridurre i ricoveri inappropriati in eta' pediatrica;
    - migliorare   l'assistenza   ai  pazienti  affetti  da  sindromi
malformative congenite;
    - definire                  appropriati                  percorsi
diagnostici-terapeutici-riabilitativi  per  le  patologie  congenite,
ereditarie  e  le malattie rare, mediante una migliore organizzazione
dei  Centri  di riferimento a valenza regionale o interregionale e la
realizzazione di reti assistenziali;
    - migliorare  l'assistenza  ai bambini e agli adolescenti affetti
da  patologie  croniche mediante lo sviluppo di modelli integrati tra
Centri specialistici, ospedali, attivita' assistenziali territoriali,
quali  l'assistenza psicologica e sociale, la scuola, le associazioni
dei malati e il privato no profit;
    - valutare  con  attenzione  e contrastare il fenomeno del doping
che  sembra  interessare  sempre  di  piu'  anche  i giovanissimi che
praticano   lo   sport   a   livello  dilettantistico  e  amatoriale,
coinvolgendo    le   famiglie,   le   istituzioni   scolastiche,   le
organizzazioni  sportive  e  le  strutture  del  SSN. Cio' al fine di
acquisire una piu' approfondita conoscenza dell'entita' del fenomeno,
coinvolgendo  le  strutture  del SSN, le organizzazioni sportive e le
istituzioni  scolastiche,  al fine di sviluppare un efficace piano di
prevenzione  e lotta al doping, elaborando le strategie da adottare e
le azioni da intraprendere.



   5.2.   Le  grandi  patologie:  tumori,  malattie  cardiovascolari,
diabete e malattie respiratorie.


   I tumori.

   La   lotta  ai  tumori  si  realizza  in  primo  luogo  attraverso
interventi finalizzati alla prevenzione sia primaria che secondaria e
a  questo  proposito  negli  anni  di  vigenza  del  precedente Piano
sanitario nazionale sono state realizzate importanti iniziative nella
lotta  al  fumo. Per la prevenzione nell'ambiente di vita e di lavoro
sono   stati  realizzati  gli  interventi  previsti  dalla  normativa
nazionale,  regionale  e  comunitaria  di settore. Sono stati inoltre
finanziati con le risorse vincolate al raggiungimento degli obiettivi
di  PSN  gli  screening  oncologici per la prevenzione del tumore del
collo  dell'utero,  della  mammella  e del colon retto ed in corso di
attuazione il Piano Nazionale di prevenzione, del quale gli screening
oncologici costituiscono una linea operativa.

   Le  azioni  da  completare  nel campo della prevenzione dei tumori
sono:

    - interventi  di  informazione  e  di  educazione  sulla lotta ai
principali agenti causali e sui comportamenti positivi per ridurre il
rischio;
    - informazione  e  comunicazione  sulla  validita' della diagnosi
precoce,  integrando  nelle attivita' dei medici di medicina generale
attivita' utili alla riduzione di alcuni tumori (ad es. melanomi);
    - attivare  programmi  intersettoriali  di  riduzione del rischio
ambientale (ad es. incentivazione del trasporto su rotaia o del mezzo
pubblico nelle aree ad alta densita' di traffico).

   Per  quanto  attiene  alla diagnosi precoce e' necessario ottenere
nell'esecuzione  degli  screening  una  copertura  quanto piu' totale
della  "popolazione  bersaglio", superando le differenze nell'accesso
legate  ai  determinanti  sociali  anche  tramite  il  sistema  della
chiamata diretta.

   Devono  essere  superati  gli  squilibri territoriali nell'offerta
degli  screening efficaci, come stabilito dal Parlamento con la legge
26 maggio 2004, n. 138 art. 2-bis.

   Vanno  garantiti  i  controlli  di  qualita'  su tutte le fasi del
processo  diagnostico  e  sulla  dotazione  tecnologica (obsolescenza
tecnologica) al fine di evitare falsi negativi. E' necessario inoltre
garantire  alle  persone  risultate  positive  al  test  di screening
l'attuazione di percorsi assistenziali in tempi consoni alla gravita'
della  sospetta diagnosi. A tale proposito nella gestione delle liste
di attesa e' necessario che si tenga conto della sospetta diagnosi di
neoplasia per l'attivazione di percorsi differenziati.

   Per  quanto  riguarda  la  fase  terapeutica,  di  follow  up e di
riabilitazione occorre sia promuovere la qualificazione dei servizi e
delle  unita'  operative  presenti  sul  territorio, migliorandone la
qualita'  e  l'accessibilita', valorizzando l'utilizzo di linee guida
nazionali   ed   internazionali   e   di  protocolli  condivisi,  sia
concentrare l'offerta ospedaliera di alta specialita' in strutture di
altissima specializzazione, dislocate strategicamente sul territorio,
dotate  delle  piu' moderne tecnologie (ad es. in tema di diagnostica
per  immagine  e  di  radioterapia),  che  siano  parte  di  una rete
integrata con ospedali di livello locale e strutture territoriali per
la  presa  in  carico  del  paziente,  la  realizzazione  di percorsi
sanitari  appropriati  in  un  contesto  di  continuita'  delle cure.
L'offerta  dei servizi per la terapia delle patologie neoplastiche ed
in   particolare   della   radioterapia   deve   essere   distribuita
omogeneamente  sul  territorio  e  devono  essere attivati sistemi di
valutazione della qualita' e degli esiti.

   Lo  sviluppo degli indirizzi coordinati in oncologia sara' incluso
nell'apposito Piano Oncologico Nazionale.

   Per  quanto  attiene alla fase terminale e al controllo del dolore
si rinvia ai rispettivi paragrafi.


   Malattie cardiovascolari.

   Le  malattie cardiovascolari costituiscono uno dei piu' importanti
problemi  di  sanita'  pubblica,  e  in Italia rappresentano la prima
causa  di morte e la principale causa di inabilita' nella popolazione
anziana.

   Anche  nel  campo  delle malattie cardiovascolari l'intervento del
SSN  deve  essere in primo luogo rivolto alla prevenzione. Per questo
lo  Stato  e  le Regioni hanno concordato di attivare nell'ambito del
programma del Piano Nazionale di prevenzione, da attuarsi nel periodo
2005-2008,  il  Programma  di prevenzione cardiovascolare che prevede
quattro distinte iniziative:

    1) la diffusione della carta del rischio a gruppi di soggetti;
    2) la prevenzione dell'obesita' nelle donne in eta' fertile e nel
bambino;
    3)  la  prevenzione  attiva delle complicanze del diabete di tipo
mellito, attuando tecniche di gestione integrata della malattia;
    4)  la  prevenzione  delle  recidive  nei soggetti che gia' hanno
avuto accidenti cardiovascolari, cosicche' questi non si ripetano.

   Vanno  inoltre  promosse  azioni  di  informazione e comunicazione
sull'importanza  dell'adozione di stili di vita sani, di una corretta
alimentazione,    della    riduzione   della   pressione   arteriosa,
dell'abolizione  del fumo, del controllo della glicemia, dei lipidi e
del peso corporeo.

   E'  necessario  procedere  all'individuazione precoce dei soggetti
affetti  da cardiopatia per prevenirne l'aggravarsi e il manifestarsi
di  eventi  acuti.  La gestione delle liste di attesa deve permettere
percorsi   differenziati,   in   caso  di  sospetto  diagnostico,  su
indicazione  del  Medico di medicina generale dell'eventuale urgenza.
In  presenza della patologia il paziente deve essere trattato secondo
protocolli e linee guida condivise.

   Per  la  gestione  della fase acuta della malattia, in particolare
nell'infarto  miocardio  acuto,  occorre  che il sistema di emergenza
urgenza   sia   organizzato   per   intervenire  in  modo  rapido  ed
appropriato,  per la diagnosi preospedaliera, l'eventuale trattamento
trombolitico,  l'accompagnamento del paziente con rischi piu' elevati
alla struttura ospedaliera piu' idonea.

   Per  la  gestione  dei  pazienti  cronici  va realizzata una forte
integrazione  tra  territorio  ospedale  per  attivare  interventi di
prevenzione di ulteriori eventi acuti, garantire la continuita' delle
cure, monitorare il paziente, ridurre le recidive e i ricoveri, anche
mediante    l'elaborazione    di   percorsi   diagnostico-terapeutici
condivisi. In questo campo e' valido l'utilizzo degli strumenti della
teleassistenza  e  del  telesoccorso  che  consentono di monitorare i
pazienti  presso il proprio domicilio, con l'invio per via telematica
di   ecg   e  di  analisi,  che  consentono  di  effettuare  diagnosi
differenziali  e  di prevenire ricoveri impropri e spesso non graditi
dai pazienti.


   Diabete.

   Il  diabete  mellito  costituisce  un  importante  problema per la
sanita'  dei paesi industrializzati per l'incremento della frequenza,
legata  all'aumento  della vita media e all'adozione di stili di vita
insalubri  (scorrette  abitudini  alimentari, scarsa attivita' fisica
con  incremento dell'obesita). Esistono due forma di diabete mellito:
il  diabete  di  tipo  1,  infanto-giovanile,  dipendente  da carenza
primaria  di  insulina,  a  genesi  autoimmune, la cui prevalenza nel
nostro Paese e' di 0,4-1 caso per mille abitanti e il diabete di tipo
2,   cosiddetto   dell'adulto,   spesso   associato   a   sovrappeso,
dislipidemia  ed  ipertensione,  la  cui prevalenza e' di circa 2,7-3
casi  per  cento abitanti. Entrambe le forme della malattia diabetica
sono caratterizzate dall'insorgenza di numerose e gravi complicanze a
carico  di  vari  organi  e apparati, che incidono pesantemente sulla
qualita'  della vita dei pazienti e sul Servizio sanitario nazionale,
ma   che   possono   essere   prevenute   da  un  corretto  controllo
glicometabolico.

   Le    malattie   cardiovascolari   rappresentano   la   principale
complicanza  del  diabete  di  tipo 2. Se il diabete si accompagna ad
ipertensione  arteriosa,  dislipidemia  e obesita' (oppure anche solo
sovrappeso,  quando  questo  sia di tipo "viscerale") si configura la
sindrome   metabolica  caratterizzata  da  ulteriore  incremento  del
rischio cardiovascolare. La retinopatia diabetica, piu' frequente nel
diabete  di  tipo  1 e' un importante causa di cecita', la nefropatia
diabetica  e' la terza causa di ricorso alla dialisi; le vasculopatie
e  neuropatie  periferiche  causano  lesioni trofiche alle estremita'
inferiori  che  a  volte  esitano  in  amputazioni  (prima  causa  di
amputazione).

   Studi  clinici  condotti  in  questi ultimi anni hanno evidenziato
come  l'incremento  dell'incidenza del diabete di tipo 2 possa essere
contrastata   dall'attuazione   di   stili  di  vita  salutari  e  di
un'alimentazione corretta.

   Uno  stretto  controllo dell'equilibrio metabolico, e, soprattutto
nel   diabete   di   tipo   2,   degli  altri  parametri  di  rischio
cardiovascolare  noti  (fumo,  peso  corporeo,  pressione  arteriosa,
lipidi  plasmatici)  riduce  il  rischio  di complicanze nel paziente
diabetico.   Il  paziente  quindi  si  deve  sottoporre  con  cadenza
stabilita  ad  una  serie  di  accertamenti  per  il  controllo della
malattia   e   per   la   diagnosi  precoce  delle  complicanze.  Per
incrementare   l'adesione  del  paziente  ai  protocolli  diagnostici
terapeutici  lo  Stato  e le Regioni hanno concordato sull'attuazione
del   Piano   Nazionale   di  Prevenzione  che  prevede  tra  l'altro
l'iscrizione   dei   pazienti   diabetici   in  appositi  registri  e
l'integrazione  in  rete  delle  strutture territoriali deputate alla
prevenzione e alla gestione del paziente diabetico.


   Le malattie respiratorie.

   Le  malattie  respiratorie costituiscono la terza causa di morte e
di   queste   la   BPCO  (broncopneumopatia  cronica  ostruttiva)  e'
responsabile  di circa il 50% dei decessi ed il sesso piu' colpito e'
quello  maschile.  Anche  la  lotta  alle  malattie  respiratorie  si
realizza  in  primo  luogo  attraverso  interventi  finalizzati  alla
prevenzione  sia  primaria che secondaria, come la lotta al fumo e la
lotta agli inquinanti presenti negli ambienti di vita e di lavoro.

   Le  azioni  da compiere nel campo della prevenzione delle malattie
respiratorie sono:

    - attivazione  di  programmi  intersettoriali  di  riduzione  del
rischio ambientale e professionale;
    - interventi  di  informazione  e  di  educazione  sulla lotta ai
principali agenti causali e sui comportamenti positivi per ridurre il
rischio;
    - informazione, comunicazione, promozione della diagnosi precoce,
con   il  coinvolgimento  nelle  attivita'  dei  medici  di  medicina
generale;
    - prevenzione ed il trattamento della disabilita'.

   Estremamente  importante  e' la diagnosi precoce che nella maggior
parte  dei casi puo' essere eseguita con la spirometria, nei soggetti
fumatori  per  individuare  la  patologia cronica in fase iniziale ed
impedire  la  progressione della patologia respiratoria verso livelli
di patologia piu' severi.

   Per  quanto  riguarda  la  fase  terapeutica,  di  follow  up e di
riabilitazione  occorre  promuovere  la  qualificazione dei servizi e
delle  unita'  operative  presenti  sul  territorio, migliorandone la
qualita'  e  l'accessibilita', valorizzando l'utilizzo di linee guida
nazionali  ed  internazionali e di protocolli condivisi e concentrare
l'offerta  ospedaliera  di alta specialita' in strutture dotate delle
piu'   moderne   tecnologie  (ad  es.  laboratori  di  fisiopatologia
respiratoria,   di   valutazione   delle  patologie  sonno-correlate,
endoscopia  toracica, oncologia toracica, unita' di terapia intensiva
respiratoria,   allergologia  respiratoria).  Tali  strutture  devono
essere  inserite  in  un  sistema  di  rete  comprendente  ospedale e
territorio  che  faciliti  l'individuazione  e l'utilizzo di percorsi
diagnostico-terapeutici-riabilitativi     adeguati.     A     livello
territoriale   deve   essere  implementata  l'assistenza  domiciliare
integrata,  in  particolare  per  i pazienti affetti da insufficienza
respiratoria  grave,  con  disponibilita'  al domicilio del paziente,
dove  necessario,  degli  strumenti  di  monitoraggio  della funzione
respiratoria,   anche   in  modalita'  telematica.  I  pazienti  e  i
familiari, devono essere formati a conoscere le caratteristiche della
malattia, a seguire/far seguire correttamente la terapia prescritta e
a reagire prontamente in caso di riacutizzazione.

   Per  quanto  riguarda  l'offerta  ospedaliera si ricorda, inoltre,
l'efficacia  delle  unita'  di  terapia  intensiva respiratoria nella
gestione completa del paziente respiratorio critico, con possibilita'
di  attuare  terapia  intensiva  respiratoria non-invasiva e notevole
miglioramento   della  qualita'  di  vita,  possibilita'  di  ridurre
l'occupazione  di  posti letto in reparti di rianimazione e riduzione
dei costi di gestione del paziente con insufficienza respiratoria.


   5.3. La non autosufficienza: anziani e disabili

   La  non  autosufficienza e' una grande problematica assistenziale,
che  tendera'  ad assorbire crescenti risorse nell'ambito dei servizi
sanitari   e   socio-sanitari.   E'  pertanto,  fondamentale  attuare
sistematici   interventi   di   prevenzione  primaria,  secondaria  e
terziaria, tramite interventi in grado di affrontare la molteplicita'
dei fattori che concorrono a determinare e ad aggravare la situazione
di  non  autosufficienza,  Altrettanto  basilare  e' il rafforzamento
delle  reti  assistenziali,  con  una  forte integrazione dei servizi
sanitari e sociali.


   Gli Anziani.

   Il   possibile  incremento  delle  disabilita'  e  delle  malattie
croniche causato dall'invecchiamento della popolazione e' funzione di
vari  fattori,  tra  loro  contrastanti,  gli  uni legati al naturale
deterioramento  fisico,  gli altri alla validita' degli interventi di
prevenzione  e  al  miglioramento delle condizioni di vita gia' nelle
eta'  precedenti.  I possibili scenari che al momento attuale possono
prevedersi  presentano  caratteri  discordanti:  a)  incremento degli
anziani  non  autosufficienti proporzionale all'incremento del numero
di  anziani  con forte crescita in numeri assoluti, b) incremento del
numero  assoluto di anziani non autosufficienti piu' contenuto grazie
al  miglioramento  delle  condizioni  di  vita,  dei  progressi della
medicina, delle attivita' di prevenzione.

   Infatti gia' oggi si registra un innalzamento ad eta' piu' elevate
delle  problematiche piu' importanti (perdita di autonomia, riduzione
della  mobilita', decadimento cognitivo) connesse con l'eta' anziana.
In  ogni  caso  il mutato assetto demografico impone un'accelerazione
nell'attuazione  delle  scelte di politica sanitaria in questo campo.
Agli  effetti  dell'invecchiamento  della  popolazione  si  sommano i
cambiamenti  nelle  struttura  familiare  che  hanno  portato  ad una
drastica diminuzione del ruolo tutelare della famiglia, che, li' dove
e'  presente,  si trova appesantita dalla difficolta' di affrontare a
volte  da  sola  problematiche  complesse  alle  quali  non sempre e'
preparata  e  che  richiedono  grande  dispendio  di tempo, energie e
risorse, soprattutto in presenza di "anziani fragili".

   Con  tale  termini  si  intendono anziani limitati nelle attivita'
quotidiane  per  effetto  di  pluripatologie, ritardo nei processi di
guarigione e recupero funzionale.

   Negli  anziani, accanto ai problemi di carattere sanitario, spesso
sono  presenti  problemi  di  carattere  economico. L'incidenza della
poverta'  e'  superiore alla media (13,9%) tra le famiglie con almeno
un  componente di oltre 65 anni di eta' e raggiunge il valore massimo
quando  i  componenti  anziani  sono  due  o piu' (16,7%). Il disagio
relativo  e'  piu'  evidente  nelle Regioni del Sud, dove l'incidenza
media e' pari al 21,3% ma le coppie povere con persona di riferimento
di oltre 65 anni sono il 28,2% e gli anziani poveri e soli il 25,7%.

   Partendo   dall'esperienza   di   questi  anni  e  dall'esperienza
internazionale,  che sta individuando quale priorita' in tutta Europa
un      incremento      delle      cure      domiciliari     rispetto
all'istituzionalizzazione,  l'obiettivo  prioritario che il SSN vuole
perseguire  in  tutto  il territorio e' la garanzia per l'anziano non
autosufficiente  della  permanenza  al  proprio domicilio, laddove le
condizioni sanitarie, sociali, abitative e di solidarieta' sociale lo
rendano  appropriato.  Conseguentemente  e'  necessario  lavorare  in
collaborazione  con  le  istituzioni e i gruppi formali ed informali,
che  concorrono  all'assistenza per l'ottimizzazione degli interventi
di  propria competenza, per un miglioramento delle componenti di cura
e di assistenza al fine di ampliare le condizioni di appropriatezza.

   Occorre,  in  tal senso, agire essenzialmente sull'implementazione
dell'integrazione   funzionale  tra  le  varie  componenti  sanitarie
ospedaliere e territoriali e tra i servizi sanitari e sociali, con le
modalita' previste dall'attuale normativa (Piani attuativi locali che
recepiscono  le indicazioni dei Piani di zona, e che costituiscono la
base  degli  accordi  di  programma tra i Comuni e le ASL, e il Piano
delle attivita' territoriali, articolazione dell'accordo di programma
etc),   per   il   raggiungimento  di  obiettivi  comuni  tramite  la
concertazione degli interventi e la condivisione delle risorse.

   Occorre, inoltre:

    - riorganizzare   la   rete  dei  servizi  sanitari,  potenziando
l'assistenza   territoriale   e   l'integrazione   con   il  sociale,
avvalendosi   anche   del  privato,  disponibile  a  progettare  e  a
realizzare   vere  reti  assistenziali  con  supporti  tecnologici  e
pacchetti di servizi;
    - garantire   il   livello   di   assistenza   agli  anziani  non
autosufficienti  su  tutto  il  territorio  nazionale,  ancorando  la
definizione   del   livello   all'individuazione   di   standard   di
prestazioni, di processo e di esito, anche ai fini di una valutazione
della sua effettiva erogazione;
    - promuovere  la  ricerca biomedica e clinica sull'invecchiamento
ed   in   particolare   sulle  relazioni  esistenti  tra  fragilita',
patologia,   comorbilita',  menomazioni  e  disabilita'  geriatriche,
promuovendo  inoltre  il  coordinamento delle ricerche gerontologiche
attraverso una maggiore cooperazione tra i paesi europei;
    - procedere  alla  realizzazione di una sorgente di finanziamento
adeguata al rischio della non autosufficienza.


   I Disabili.

   Nell'analizzare  gli  interventi  e  le  politiche  da attuare per
l'integrazione dei servizi di cura per le persone diversamente abili,
non   si  puo'  prescindere  dal  contributo  fortemente  innovativo,
apportato   dalla   riflessione   internazionale   in  questo  campo,
concretizzatosi    nella    "Classificazione    internazionale    del
funzionamento,  disabilita' e salute (ICF)". L'approccio, che e' alla
base dell'ICF, amplia grandemente il campo di azione degli interventi
da  porre  in  essere  per  una piu' piena integrazione delle persone
affette  da  disabilita',  mettendo  in  risalto  la  responsabilita'
condivisa  delle varie istituzioni (istruzione, sanita', lavoro, enti
locali,  etc) per il miglior inserimento o reinserimento nel contesto
familiare, lavorativo, relazionale e sociale di questi pazienti.

   In  questa  visione  e' ribadita la centralita' dell'individuo nei
processi  assistenziali  e  sanitari,  cui  devono essere garantiti i
Livelli  Essenziali  di  Assistenza, eliminando le disuguaglianze che
ancora   caratterizzano  l'accesso  ai  servizi.  Conseguente  e'  la
necessita'  (piu'  volte ribadita in documenti del livello centrale e
regionale)  che  i servizi e gli operatori si attivino per rispondere
in  maniera  coordinata e continuativa alla molteplicita' dei bisogni
espressi,  in  un sistema di interrelazioni che costituiscono la rete
integrata  per le disabilita'. L'approccio da seguire per il paziente
con   disabilita'   e',  quindi,  il  coordinamento  delle  attivita'
multiprofessionali   e  multidisciplinari,  che  analizzi  tutti  gli
aspetti  della  persona  in  relazione ai bisogni causati dall'evento
lesivo    per    la   successiva   elaborazione   di   un   programma
individualizzato  di  riabilitazione,  rieducazione  e  reinserimento
sociale  alla  cui  definizione partecipa attivamente il paziente con
disabilita'  e  la  sua  famiglia. Nel progetto individuale i diversi
interventi  sono  integrati e i diversi operatori riconoscono il loro
apporto  professionale,  per  quanto  autonomo,  facente parte di una
strategia  piu'  ampia  finalizzata  al  raggiungimento  di obiettivi
comuni.

   L'impegno del Servizio sanitario nazionale in primo luogo e' volto
a  garantire  che  l'intervento riabilitativo sia precoce per ridurre
gli esiti invalidanti degli eventi lesivi, facilitando il recupero di
competenze  funzionali  e/o lo sviluppo di competenze sostitutive Per
tale scopo vanno sviluppati anche in questo settore gli strumenti del
governo   clinico   e   della  valutazione  della  qualita',  tramite
indicatori  di  struttura,  di  processo  e  di  esito, implementando
l'utilizzo  di  linee  guida  cliniche  e  di percorsi assistenziali,
fondati sui principi della medicina basata sulle evidenze.

   Alla  dimissione  dell'ospedale il paziente entra nella dimensione
riabilitativa  territoriale:  per garantire la continuita' delle cure
soprattutto  nel  delicato  passaggio  dall'ospedale  al territorio e
dalle strutture territoriali al domicilio, e' necessario promuovere e
potenziare  il  coordinamento  delle strutture e dei servizi sanitari
che  entrano  a  far  parte  della  rete di riabilitazione in modo da
consentire  la  presa  in  carico globale del paziente, l'unitarieta'
degli  interventi,  il  facile  passaggio  da un nodo all'altro della
rete.

   A  questo riguardo vanno previsti percorsi assistenziali anche per
la  fase  di  cronicita',  dimensionando  i nodi della rete a livello
regionale  e  locale,  secondo  l'epidemiologia  del  territorio.  E'
auspicabile che, per migliorare l'integrazione e la comunicazione, si
utilizzino   terminologie  comuni  per  individuare  i  bisogni,  gli
obiettivi  e  i  risultati  degli  interventi.  A  tale proposito, in
considerazione  del  grande  sviluppo  in  termini di organizzazione,
tecnologie,   ricerca,   bisogni   informativi  che  il  mondo  della
riabilitazione  ha  avuto  in  questi  anni, occorre procedere ad una
rielaborazione  delle  linee  guida  ministeriali per le attivita' di
riabilitazione, gia' approvate con un Accordo Stato-Regioni nell'anno
1998.

   Occorre  inoltre  provvedere  ad un aggiornamento del nomenclatore
dei  presidi  protesici ed ortesici, al fine di adeguare la lista dei
dispositivi  erogabili  e  meglio  ricollegare l'assistenza protesica
alla piu' generale assistenza riabilitativa.

   L'integrazione  territoriale  prevede il coinvolgimento della rete
assistenziale e di solidarieta' sociale. Importante infatti nel campo
della  disabilita'  e'  il  contributo  che puo' essere apportato dal
volontariato  e  dal privato no profit, per la peculiarita' di queste
associazioni  di  rispondere  in  modo  flessibile  ed  articolato ai
bisogni   anche   non  codificati  dei  pazienti.  E'  inoltre  molto
importante  l'apporto delle associazioni di familiari e dei gruppi di
auto-aiuto, il cui contributo va ricercato e riconosciuto.

   Il  programma  individualizzato  di riabilitazione deve prevedere,
inoltre,  interventi  finalizzati  alla formazione professionale e al
reinserimento  o  inserimento  scolastico.  Vanno, pertanto, promossi
incontri  congiunti  tra gli operatori sociosanitari e scolastici per
definire  percorsi di integrazione e di orientamento scolastico e con
i  centri di formazione professionale per l'inserimento nel mondo del
lavoro. L'esercizio del diritto all'istruzione e al lavoro costruisce
infatti  il  primo passo verso quella piena integrazione sociale, che
insieme  al  raggiungimento e al mantenimento della massima autonomia
costituisce  l'obiettivo a cui tutti gli interventi di riabilitazione
sono finalizzati.

   A  questo proposito, in favore dei disabili gravi, in sinergia con
i  servizi  sociali,  e'  opportuno promuovere la realizzazione delle
condizioni  che permettano una vita quanto piu' indipendente, che non
deve  essere  necessariamente  legata  al  venir  meno  del  supporto
familiare (il cosiddetto "dopo di noi"), ma puo' essere preparata con
la partecipazione propositiva della famiglia. E' possibile ipotizzare
soluzioni  abitative  in  residenze  di  piccole  dimensioni che, pur
promuovendo  l'autonomia,  mantengano  il  paziente  in  un  contesto
relazionale favorevole.


   5.4 La tutela della salute mentale.

   Nel  nostro Paese, le precedenti azioni programmatiche in terna di
salute   mentale  hanno  portato  al  consolidamento  di  un  modello
organizzativo  dipartimentale,  ed  alla individuazione di una prassi
operativa   mirata  a  intervenire  attivamente  e  direttamente  nel
territorio   (domicilio,   scuola,   luoghi   di   lavoro  ecc.),  in
collaborazione  con  le associazioni dei familiari e di volontariato,
con  i medici di medicina generale e con gli altri servizi sanitari e
sociali.

   La  distribuzione quantitativa di tutti i servizi dei DSM soddisfa
gli standard tendenziali nazionali, con valori superiori per i Centri
di  salute  mentale,  i  Centri  Diurni  e  le Strutture residenziali
(pubbliche   e   private   convenzionate),   mentre  disomogenea  sul
territorio  appare  la dotazione di risorse umane messe in campo e la
qualita'  degli  interventi  fra  le  varie  Regioni e all'interno di
ciascuna regione.

   Per  quanto  attiene  alle attivita' dei Centri di salute mentale,
responsabili  per  la  presa  in carico e la continuita' terapeutica,
sono evidenziabili le seguenti criticita':

    a) scarsa conoscenza nella popolazione dell'esistenza dei servizi
di  cura,  delle malattie mentali in generale e delle possibilita' di
trattamento;
    b) forte rischio per molti servizi di non soddisfare le richieste
di   cura,  sia  per  carenze  organizzative  sia  per  scarsita'  di
personale;
    c)   difficolta'   nella   presa   in  carico  di  pazienti  "non
consenzienti" e "non collaboranti";
    d)   interruzioni   non   concordate  del  programma  terapeutico
riabilitativo;
    e) primo contatto tardivo di pazienti "gravi" che, in molti casi,
arrivano  ai  servizi  gia'  con  una  storia  di  "cronicita'",  con
consequenziale diminuzione delle potenzialita' di recupero.

   Un  altro punto critico riguarda le strutture residenziali, per le
quali  non  tutte  le  Regioni  hanno  emanato  criteri  formali  per
l'accreditamento e per le attivita' che in esse debbono svolgersi, in
rapporto alla tipologia di pazienti.

   Altri punti di criticita' sono:

    - difforme  diffusione  nei  DSM  della cultura della valutazione
della qualita';
    - carente attenzione ai problemi di salute mentale nelle carceri;
    - mancanza  di  un  Sistema  informativo  nazionale,  in grado di
documentare  le  attivita'  e  le prestazioni fornite dai servizi, in
rapporto   ai   bisogni  dei  pazienti.  Disporre  di  tali  dati  e'
fondamentale   per   le   conoscenze   epidemiologiche   e   per   la
programmazione degli interventi futuri.

   A  fronte  di  problematiche  tuttora aperte riguardanti l'accesso
all'assistenza   a   favore   dei  pazienti  psichiatrici,  e'  stata
recentemente   istituita,   presso  il  Ministero  della  salute,  la
Commissione   nazionale   per   la   salute   mentale  che  opera  in
coordinamento con la Consulta nazionale per la salute mentale.

   Nel  contempo  la  Commissione  igiene  e  sanita'  del Senato, ha
avviato   un'indagine   conoscitiva   sullo   stato   dell'assistenza
psichiatrica  in  Italia e sull'attuazione dei progetti-obiettivo per
la tutela della salute mentale.

   Tale  indagine,  a  partire dalla legge 13 maggio 1978 n. 180, che
perseguiva   gli  obiettivi  di  tutelare  i  diritti  del  paziente;
favorirne  il  recupero sociale e promuovere un modello assistenziale
allargato   sul   territorio,   si   colloca   in  un  mutato  quadro
istituzionale  e  normativo,  che  affida  alle  Regioni  la gestione
dell'assistenza per la salute mentale.


   Gli obiettivi da raggiungere:

    - implementare  la  qualita'  dei  CSM  e  la  loro  capacita' di
rispondere  alla  domanda  di  trattamento  per i differenti disturbi
mentali,  contrastando  la  stigmatizzazione  e riducendo le liste di
attesa,  razionalizzando  le  modalita'  di  presa in carico, creando
percorsi  differenziati per tipologie pazienti, adottando linee guida
e procedure di consenso, basati su prove di efficacia;
    - migliorare  l'adesione  alle  cure  e  la capacita' di presa in
carico dei pazienti "non collaboranti";
    - attivare  programmi  di  individuazione  precoce  delle psicosi
schizofreniche;
    - migliorare  le capacita' di risposta alle richieste di cura per
i  disturbi  dell'umore (con particolare riferimento alla depressione
in  tutte  le fasce di eta) e i disturbi del comportamento alimentare
(con particolare riferimento alla anoressia);
    - accreditare  le strutture residenziali, connotandone la valenza
terapeutico-socioriabilitativa;
    - implementare  i  protocolli  di  collaborazione fra servizi per
adulti  e  servizi per l'eta' evolutiva, per garantire la continuita'
terapeutica  nel  trattamento  dei  disturbi  mentali dell'infanzia e
dell'adolescenza;
    - attivare  e implementare interventi nelle carceri in favore dei
detenuti  con  disturbi mentali. Garantire assistenza e reinserimento
sociale ai pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari
(OPG), con particolare riferimento ai dimessi;
    - implementare  i programmi di lotta allo stigma e al pregiudizio
nei confronti delle patologie mentali;
    - realizzare  il  Sistema  Informativo  Nazionale  per  la Salute
Mentale.


   5.5. Le dipendenze connesse a particolari stili di vita.

   Questa linea di azione e' finalizzata a contrastare le conseguenze
di  stili  di  vita  fortemente  condizionati  da specifiche forme di
dipendenza,  che  costituiscono  rilevanti  fattori di rischio per la
salute.

   In  particolare si fa riferimento al fumo di tabacco, all'abuso di
alcol e all'utilizzo di sostanze stupefacenti.


   Fumo di Tabacco.

   La  diffusione  dell'abitudine  al  fumo  e'  ancora  troppo alta,
soprattutto  tra  i  giovanissimi, tra le donne, specie tra quelle in
eta'  fertile ed in gravidanza, con conseguente rischio per la salute
anche  del  nascituro.  Il  fumo in gravidanza e' causa di basso peso
alla   nascita,   di  conseguenze  per  lo  sviluppo  della  funzione
respiratoria  e di una quota significativa delle cosiddette "morti in
culla".  Negli ultimi anni e' aumentato il numero delle donne affette
da  patologie  fumo  correlate, quali il cancro polmonare o l'infarto
del miocardio.

   Il  numero  dei  fumatori  che  smette  e'  ancora  troppo basso e
riferito  a soggetti in eta' adulta che in molti casi gia' presentano
delle patologie connesse al tabagismo.

   L'esposizione,   specie   nei  luoghi  di  lavoro  e  in  ambiente
domestico,  al  fumo  passivo  oltre  ad  essere  corresponsabile  di
patologie  respiratorie  dell'infanzia  (ad  es.  asma bronchiale) e'
causa  di  aumentato  rischio  di  tumore  polmonare e di infarto del
miocardio.


   Gli obiettivi da raggiungere:

    - prevenire   l'iniziazione   al   fumo   dei   giovani,  tramite
l'attivazione  di  interventi  integrati  di  educazione  alla salute
rivolti  ai  ragazzi  in eta' scolare (scuola media inferiore e primi
anni della scuola media superiore);
    - favorire la disassuefazione dal fumo, tramite il contributo dei
MMG,  i  Centri Antifumo gia' operanti, l'attivazione presso le ASL o
le Aziende ospedaliere di funzioni dedicate;
    - favorire   la   sospensione  del  fumo  in  gravidanza  tramite
interventi  di informazione, educazione, organizzazione di sistemi di
assistenza  per  le donne che fumano in gravidanza e le donne in eta'
fertile nell'ambito delle strutture operanti nel settore;
    - proteggere i non fumatori dall'esposizione al fumo passivo.

   Per  perseguire  quest'ultimo  obiettivo  dovranno essere promosse
azioni  di sostegno e di monitoraggio all'applicazione della legge 16
gennaio   2003,   n.   3,   attraverso   una   costante   azione   di
informazione-educazione  da  parte  delle  strutture competenti delle
Aziende Sanitarie, quali i Dipartimenti di Prevenzione, accompagnate,
specie  sui  luoghi  di  lavoro,  da  interventi educativi rivolti ai
fumatori  per  favorire  l'adozione  di  comportamenti non nocivi nei
confronti  dei  non  fumatori  e promuovere la disassuefazione, anche
attraverso l'offerta privilegiata di supporto.


   L'abuso di alcol.

   In  questi  ultimi anni si sono consolidate le politiche sanitarie
del  nostro  Paese  in  campo  alcologico,  come  e' rilevabile dalla
Relazione  che il Ministro della Salute ha recentemente presentato al
Parlamento - ai sensi dell'art. 8 della legge 30 marzo 2001, n. 125 -
per  illustrare  gli  interventi  attivati,  a  livello  nazionale  e
regionale,  nell'anno  2004.  In  Italia  gia'  nel  Piano  sanitario
nazionale 2003-2005 la riduzione dei danni sanitari e sociali causati
dall'alcol  e'  stata  riconosciuta  come  uno  dei  piu'  importanti
obiettivi   di   salute   pubblica,  soprattutto  in  relazione  alla
protezione della salute delle giovani generazioni.

   Il  Ministero della Salute ha elaborato nel Dicembre 2004 un Piano
nazionale  Alcol  e  Salute,  inserito nel programma di attivita' del
Centro  per  il  Controllo  delle Malattie (CCM), quale strumento per
favorire  azioni  di  ampio  respiro  per la prevenzione dei problemi
alcolcorrelati in tutto il territorio nazionale.

   Il  consolidamento  delle  politiche del nostro Paese riflette del
resto  gli  orientamenti  delle politiche alcologiche della U.E., che
hanno  avuto,  negli ultimi anni, un forte impulso con l'inserimento,
nel nuovo Programma di azione comunitario di sanita' pubblica per gli
anni  2003-2008,  delle  problematiche sanitarie connesse con l'uso e
abuso di alcol.

   Anche  in  ambito  regionale appare evidente la maturazione di una
nuova cultura istituzionale in campo alcologico, che ha indotto molte
Regioni   a   rafforzare   il  sistema  di  misure  programmatiche  e
organizzative,  con  particolare  attenzione  al  mondo  giovanile  e
scolastico.  Le  attivita' di monitoraggio del Ministero della Salute
consentono  di  affermare  che  in tutte le Regioni, si e' ampliato e
qualificato   il   sistema   dei  servizi  territoriali  preposti  al
trattamento  e  alla riabilitazione della dipendenza da alcol. Sempre
piu'  capillare  appare  la  capacita' di collaborazione tra servizio
pubblico  ed  enti e associazioni di volontariato e auto-mutuo aiuto,
di cui si sta affermando un peculiare ruolo sia nella prevenzione che
nella riabilitazione.

   Nonostante  i  progressi  rilevabili  nel  sistema  di  servizi  e
interventi  del  SSN, permangono alcuni preoccupanti fenomeni nonche'
difficolta'  e  carenze  in  relazione  ai  quali  appare  importante
intervenire con strumenti di piano particolarmente mirati:

    - aumento   della   popolazione  complessiva  dei  consumatori  e
conseguente  maggiore  esposizione  della  popolazione  al rischio di
danni  sociali  e  sanitari correlati, in particolare dei consumatori
appartenenti a categorie socio-demografiche particolarmente a rischio
di danno alcolcorrelato quali le donne e i giovani;
    - aumento dei comportamenti di consumo a rischio, quali i consumi
fuori  pasto,  consumi  eccedentari  e  ubriacature,  in  particolare
nell'ambito  della  popolazione giovanile di entrambi i sessi e nella
popolazione femminile;
    - difficolta'  di  garantire,  soprattutto  in  alcuni territori,
percorsi  terapeutici adeguati ai bisogni dell'utenza con problemi di
alcoldipendenza conclamata.


   Gli obiettivi da raggiungere:

    1.  Particolarmente  importante  sembra oggi per il nostro Paese,
sopratutto  in relazione alla protezione sanitaria dei piu' giovani e
delle  donne, l'adozione di politiche e azioni che intervengano sulla
percezione culturale del bere, al fine di rendere evidenti le diverse
implicazioni   di   rischio   connesse   ai   diversi  comportamenti,
trasmettendo in proposito univoci e adeguati orientamenti.
    2.  Appare  inoltre  importante  accrescere  la  disponibilita' e
l'accessibilita'  di  efficaci  trattamenti,  nei  servizi pubblici o
accreditati,   per   i   soggetti  con  consumi  dannosi  e  per  gli
alcoldipendenti   conclamati,   nonche'   sorvegliare  l'efficacia  e
l'efficienza degli interventi.


   Le tossicodipendenze.

   Il  Consiglio Europeo, nel dicembre 2004 ha approvato la strategia
dell'UE  in  materia  di  droga (2005-2012), che fissa il quadro, gli
obiettivi   e  le  priorita'  per  due  piani  d'azione  quadriennali
consecutivi  che verranno proposti dalla Commissione. L'attivita' del
Gruppo Orizzontale Droga (Bruxelles) si e' incentrata prevalentemente
sulla   elaborazione   e   adozione   della  predetta  strategia.  La
"strategia"   si   basa   essenzialmente  su  un  apporto  integrato,
multidisciplinare  ed  equilibrato  tra  riduzione  della  domanda  e
riduzione  dell'offerta di droga. Il piano d'azione 2005-2008 dell'UE
in materia di lotta alla droga (Gazzetta Ufficiale dell'UE 8.7.2005 C
168/1)  mette  in evidenza anche una serie di temi trasversali, quali
la  cooperazione  internazionale,  la  ricerca,  l'informazione  e la
valutazione.

   Nel  nostro  Paese l'offerta dei servizi assistenziali attualmente
disponibili nel settore delle tossicodipendenze consiste in:

    - Servizi pubblici per le tossicodipendenze (SerT): 541;
    - Strutture     socio-riabilitative     (dato    del    Ministero
dell'Interno): 1.230.

   Le criticita' riscontrate sono principalmente legate a:

    - difficolta'   nel   garantire   la  continuita'  terapeutica  e
riabilitativa;

    - mancanza  di  conoscenze  scientifiche  validate sui protocolli
terapeutici relativi ai consumi di cannabis, cocaina e metamfetamine.
Le  nuove  droghe  rappresentano  un  problema  aperto  in  quanto  i
consumatori   non   si   ritengono  tossicodipendenti  nell'accezione
classica del termine;
    - difficolta'   nell'affrontare   la  comorbilita'  psichiatrica,
riguardante  soprattutto i pazienti "cronici" (generalmente assuntori
di eroina);
    - limitatezza  delle  informazioni fornite dal flusso informativo
nazionale, attualmente limitato all'attivita' dei servizi pubblici;
   difficolta'  nell'attuazione di processi diagnostico-terapeutici e
riabilitativi efficaci nei tossicodipendenti detenuti.


   Gli obiettivi da raggiungere:

    1.  accrescere  le conoscenza professionali basate sull'evidenza,
al  fine  di  adottare  risposte adeguate all'utenza (nuove strategie
terapeutiche  e  protocolli  terapeutici  condivisi)  con particolare
riferimento a nuovi consumi e comorbilita' psichiatrica;
    2.  attivare  ed  implementare strategie di prevenzione primaria,
secondaria e terziaria;
    3.  attuare una revisione dei flussi informativi nazionali a fini
epidemiologici e programmatici.

   Nel  raggiungimento  degli  obiettivi  occorrera' fare riferimento
alle modifiche normative introdotte con la legge 1° febbraio 2006, n.
49,  con  la  quale  sono  state  introdotte  nuove  disposizioni per
favorire  il  recupero dei tossicodipendenti recidivi, a modifica del
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.


   5.6. Il sostegno alle famiglie.

   La  tipologia  familiare prevalente e' stata fortemente modificata
dalla  contrazione  della  natalita',  dall'allungamento  della  vita
media,  dall'invecchiamento  della  popolazione,  dagli  orientamenti
preferenziali   delle   nuove  generazioni  per  soluzioni  abitative
distinte  da  quella dei genitori. In generale si e' ridotta la quota
delle  famiglie  con bambini in favore di quelle con anziani ma senza
bambini e di quelle senza anziani e bambini.

   Il  fenomeno  della  posticipazione dell'eta' del matrimonio e del
momento  in  cui  si  decide di avere figli fa aumentare il numero di
famiglie  in  cui sono presenti contemporaneamente bambini piccoli da
accudire  e  grandi  anziani  non autosufficienti, nell'ambito di una
coppia  in  cui  entrambi  lavorano.  Le esigenze di cura poste da un
numero  calante  di  bambini  avevano permesso di riequilibrare negli
anni  `90  il crescente carico gravante sulla eta' di mezzo a seguito
dell'invecchiamento  della popolazione, ma oggi, e negli anni futuri,
cio'  non  sara'  piu'  possibile,  in  quanto  non sono immaginabili
ulteriori  contrazioni nelle nascite, ma semmai degli aumenti, mentre
la tendenza all'invecchiamento si consolidera' sempre di piu'.

   Tutto  cio'  sta  generando  una  crescente  domanda di servizi di
sostegno, sempre piu' rilevante negli anni che ci aspettano.

   Accanto  a  queste  tendenze  vanno  poi tenuti presenti ulteriori
fattori legati a:

    - i fenomeni di instabilita' coniugale;
    - la  presenza  di  famiglie  a  basso  reddito in stato di grave
disagio socio economico;
    - la crisi delle competenze genitoriali.

   In    questa    situazione   e'   necessario   attuare   politiche
intersettoriali   di  sostegno  alla  famiglia  che  in  primo  luogo
riconoscano  il  ruolo  attivo della famiglia stessa nell'analisi del
bisogno,   nella   formulazione   di   proposte,   nella  valutazione
partecipata dei servizi ad essa rivolti, riconoscendo e sostenendo il
ruolo   dell'associazionismo   delle  famiglie  nelle  sedi  e  nelle
occasioni  decisionali (ad es. Piano di Zona) in cui vengono definiti
programmi e progetti in favore delle famiglie.

   Per   quanto   attiene   agli   interventi  piu'  specificatamente
socio-sanitari  occorre che il Servizio sanitario nazionale si faccia
promotore  in  primo  luogo di una cultura negli operatori sanitari e
socio  sanitari  che  valorizzi  la  famiglia  e  le  associazioni di
famiglie  come  partner  dei  servizi  e  di conseguenza consideri al
momento  della  presa in carico del singolo paziente, il suo contesto
familiare,   la   rete   informale   di  solidarieta'.  I  gruppi  di
volontariato,  di  auto-aiuto,  di  buon  vicinato  possono  svolgere
infatti un ruolo di primo piano nella gestione di bisogni complessi e
il  contesto familiare e' una delle risorse principali dell'individuo
che va adeguatamente promossa e supportata. Anche per questo scopo va
prevista  l'offerta di servizi di temporaneo sollievo come le RSA e i
centri  diurni  per  la  gestione  per  periodi  limitati di pazienti
disabili, cronici ed anziani.

   In  favore  di  famiglie  in  situazione  di  poverta' il Servizio
sanitario  nazionale,  in  collaborazione  con  le  altre istituzioni
competenti  deve  partecipare  alla  costruzione  di  reti  integrate
formate   da:   servizi  comunali,  servizi  delle  ASL,  Centri  per
l'Impiego, terzo settore, altri soggetti, per l'analisi del bisogno e
la  gestione  multiprofessionale degli interventi, in particolare, la
sperimentazione    e   la   realizzazione   di   progetti   integrati
sociosanitari  per le famiglie povere con problemi di salute mentale,
disabilita' e tossicodipendenza.

   Il  consultorio, per il suo peculiare carattere multiprofessionale
e  multidisciplinare collabora con gli altri enti alla elaborazione e
alla  realizzazione  di  protocolli comuni tra le diverse istituzioni
deputate al trattamento delle famiglie multiproblematiche e a formare
piu' puntualmente gli operatori al riconoscimento delle situazioni di
disagio  e alle modalita' con cui affrontarle; collabora inoltre alle
iniziative  rivolte a promuovere e facilitare l'affidamento familiare
e  le  adozioni e all'eventuale sostegno successivo alle famiglie. Il
consultorio   familiare   e'  infatti  un  importante  strumento  per
l'attuazione di interventi finalizzati alla tutela della salute della
donna,  dell'eta' evolutiva, delle relazioni di coppia e familiari ed
e'  fortemente orientato alla prevenzione, informazione ed educazione
sanitaria.  In  questo  contesto  tra  le  attivita'  dei  consultori
familiari  rivolte  alla salute riproduttiva vanno attivati programmi
specifici   per   la  tutela  della  maternita',  per  la  promozione
dell'allattamento  al  seno,  per la promozione di scelte genitoriali
responsabili, anche informando sui metodi di controllo delle nascite,
e per la prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza.

   Un  altro  ambito  di  intervento  in  materia  di  informazione e
prevenzione  e' quello finalizzato a promuovere la salute nelle fasce
adolescenziali  tramite interventi mirati (ad es. nelle scuole) o con
l'offerta  all'interno  dei consultori di spazi e sportelli a cui gli
adolescenti  possono  rivolgersi per ricevere informazioni e risposte
ai problemi e ai quesiti propri dell'eta'.

   Infine  la  presenza  sempre  maggiore  di  stranieri  sul  nostro
territorio    rende    opportuno    formare    gli   operatori   alla
multiculturalita'  e  predisporre programmi mirati alle problematiche
peculiari   degli   utenti   stranieri   (ad  es.  prevenzione  delle
mutilazioni  genitali  femminili,  informazione sulla possibilita' di
partorire in anonimato).

   In  alcune  realta'  si  sono  attivati  con buoni risultati anche
Consultori  per anziani finalizzati prioritariamente alla prevenzione
delle patologie proprie dell'eta'.


   5.7.  Gli  interventi in materia di salute degli immigrati e delle
fasce sociali marginali.

   Uno  dei  problemi  piu'  rilevanti che l'attuazione di un sistema
universalistico  si  trova  oggi  dinanzi  e'  la  variabilita' della
popolazione  di riferimento a seguito dei processi di mobilita' intra
ed  extraeuropea che si vanno consolidando negli anni. E' noto che in
alcune  aree  del  paese  la presenza straniera, regolarizzata e non,
assume dimensioni di assoluto rilievo con un non indifferente apporto
allo  sviluppo  economico ed assistenziale del paese. Nel triennio di
vigenza  del  PSN si verifichera' l'effettiva assunzione a carico del
sistema  degli  oneri  conseguenti  a questi processi, che non devono
essere considerati con logiche residuali o marginali.

   La  crescita  quantitativa  della  popolazione  reca  con  se'  la
conseguenza  dell'affermarsi della multiculturalita' e multietnicita'
della  struttura  sociale.  Tale  fenomeno  modifica il modo di porsi
della  medicina  nei  confronti  di culture diverse rispetto a quella
nell'ambito della quale e' stata a lungo praticata.

   Al  tempo  stesso  la  multiculturalita'  della  domanda sanitaria
induce oggi la necessita' nei presidi pubblici di adottare percorsi e
pratiche   adattati   alle   caratteristiche   dell'utenza   ed  alla
peculiarita'  di usi e costumi di parti di essa, senza che cio' trovi
a  livello nazionale una definizione chiara in termini di obbligo del
servizio  e  di  diritto  del cittadino. Il Piano sanitario nazionale
analizza  questo  settore,  di  formulare  indirizzi  in materia e di
definirne i principi di riferimento.

   Nonostante  il livello di tutela previsto dalla normativa vigente,
ed  in  particolare dagli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25
luglio 1998 n. 286 e successive modificazioni, e gli sforzi congiunti
delle   istituzioni,  delle  associazioni  di  volontariato  e  delle
organizzazioni  no  profit  riscontriamo negli immigrati irregolari e
nelle  persone  appartenenti  a  fasce sociali cosiddette "marginali"
varie  problematiche  di  natura sanitaria, tra le quali una maggiore
incidenza   di   malattie   infettive  da  imputarsi  alle  difficili
condizioni   di  vita  e  ad  una  scarsa  o  assente  cultura  della
prevenzione. Occorre pertanto, in tale ambito:

    - potenziare  le attivita' di prevenzione per gli adolescenti e i
giovani  adulti  stranieri  attraverso un approccio trans-culturale e
multidisciplinare;
    - promuovere  studi  di  incidenza e prevalenza dell'infezione da
HIV  e  delle  piu'  frequenti  MST in gruppi dell'intera popolazione
"target";  sperimentare  sistemi di monitoraggio in grado di valutare
l'andamento  delle  infezioni, il grado di conoscenza specifica della
popolazione target;
    - valutare  e  promuovere capacita' professionali degli operatori
sanitari  che  operano nelle aree geografiche a piu' alto afflusso di
immigrati,  prendere  atto dei nodi critici che, all'interno del SSN,
possono  causare  un  ridotto  accesso degli immigrati ai percorsi di
prevenzione,  diagnosi  e  cura dell'infezione da HIV/AIDS e di altre
MST.

   Per  quanto  attiene alla copertura vaccinale sono stati raggiunti
importanti  obiettivi nelle popolazioni immigrate ed a quelle maggior
rischio di esclusione sociale.

   Per   quanto   attiene   al   settore  materno  infantile  occorre
contrastare  l'alto  numero  di interruzioni volontarie di gravidanza
che  si  registrano  nelle donne immigrate ed in tal senso si rendono
necessari interventi finalizzati alla promozione della genitorialita'
responsabile,  attraverso  la  informazione  e formazione alle scelte
procreative.  E'  opportuno  inoltre  che  gli operatori sanitari che
operano   nel   settore  materno  infantile  attivino  interventi  di
informazione  sulla  possibilita'  della  gestante  di  partorire  in
anonimato  e  che anche le associazioni di immigrati, le associazioni
di volontariato e del terzo settore attive in questo campo operino in
tal   senso.  Vanno  inoltre  attivati  interventi  per  impedire  le
mutilazioni  genitali femminili gli operatori devono essere preparati
al  trattamento  delle  possibili  complicanze  di  natura  fisica  e
psicologica   connesse   con   le   stesse.  Le  politiche  sanitarie
finalizzate    al    raggiungimento    di   tali   obiettivi   devono
necessariamente  considerare  l'eteroculturalita' e devono promuovere
la  formazione  specifica in tale ambito degli operatori sanitari. In
tale  ambito  ricordiamo  la  recente  legge  9  gennaio  2006,  n. 7
"Disposizioni  concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche
di mutilazione genitale femminile" che detta le misure necessarie per
prevenire,   contrastare  e  reprimere  le  pratiche  di  mutilazione
genitale   femminile   quali   violazioni  dei  diritti  fondamentali
all'integrita'  della  persona  e  alla  salute  delle  donne e delle
bambine. In particolare sono previsti programmi diretti a predisporre
campagne  informative,  promuovere  iniziative  di sensibilizzazione,
organizzare corsi di informazione per le donne infibulate in stato di
gravidanza,  promuovere  appositi  programmi di aggiornamento per gli
insegnanti  delle scuole dell'obbligo, promuovere il monitoraggio dei
casi  pregressi  gia'  noti,  formulare linee guida per gli operatori
sanitari  e  per  le  altre  figure  professionali che operano con le
comunita' di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate tali
pratiche.

   Per  quanto  riguarda  l'assistenza  ospedaliera  sebbene  non sia
possibile  estrapolare dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) i
dati   relativi   agli  infortuni  sul  lavoro,  si  puo'  certamente
affermare,  che  l'ambito  occupazionale  rappresenta, specie per gli
immigrati  maschi,  una  condizione  ad  alto rischio per la salute a
causa  delle  condizioni  lavorative  pericolose e spesso scarsamente
tutelate.  Quindi  e'  auspicabile  un'azione  di  prevenzione  degli
infortuni  che  coinvolga  tutti  gli  attori  sociali,  sanitari  ed
economici.

   Una   popolazione   che   presenta   problematiche   peculiari  e'
rappresentata dai Rom. Tra i problemi specifici che riguardano questa
popolazione  il  piu'  urgente  e'  certamente quello che riguarda le
condizioni  socio-ambientali in cui vive un numero ancora troppo alto
di  Rom.  Le  condizioni igienico-abitative sono state universalmente
riconosciute  come tra i principali determinanti di salute ed il loro
miglioramento   non   puo'   quindi   che   essere  considerato  come
assolutamente  prioritario.  Il numero di Rom tossicodipendenti e' in
continuo  aumento  e  questa  realta',  gia'  di  per se' gravissima,
diviene  drammatica  se  si  pensa  alla  giovane  eta'  dei soggetti
coinvolti  ed  al  fatto  che  prima del 1990 tale fenomeno quasi non
esisteva.  Sempre  maggiore  attenzione dovra' quindi essere posta su
questo  problema, soprattutto considerando la scarsa conoscenza reale
di tale fenomeno in termini statistico-epidemiologici.

   Permane la difficolta' dei nomadi nell'acceso ai servizi sanitari;
molti  di  essi  infatti,  pur  essendo  in  regola  con le norme sul
permesso  di  soggiorno, non hanno effettuato la scelta del medico di
base.

   In questo settore occorre lavorare in sinergia con le associazioni
del  privato  sociale  per  rimuovere  le  barriere  culturali  e gli
ostacoli  organizzativi  per  l'accesso  all'assistenza  sanitaria  e
svolgere  una intensa opera di educazione sanitaria in collaborazione
con mediatori linguistico-culturali appartenenti alle loro comunita'.

   La  varieta' e multidimensionalita' delle relazioni fra poverta' e
stato  di  salute  e'  messa  bene in evidenza dal caso estremo delle
persone  senza  fissa  dimora.  Esso  rivela l'ampiezza crescente del
rischio  di grave emarginazione sociale presente nelle nostre citta',
che  spesso  e'  in  diretto  collegamento  con la presenza di flussi
migratori.  La  condizione  di  senza  fissa dimora nella letteratura
internazionale si associa spesso a:

    - un'alta esposizione a fattori di rischio nocivi per la salute;
    - un'alta esposizione a traumi, incidenti e violenze;
    - un'alta prevalenza di malattie;
    - un insufficiente accesso all'assistenza sanitaria;
    - un'alta mortalita'.

   Le  variabili  socioeconomiche  (istruzione, occupazione, reddito)
sembrano  molto  importanti nel determinismo della condizione di SFD:
sono  i  soggetti  piu'  deprivati  ad  incontrare piu' spesso questo
destino.   Lo   stato   di  severa  deprivazione  materiale  (dimora,
esposizione  agli  agenti  atmosferici,  nutrizione)  si  somma  alla
scarsita'  della  rete  relazionale  (la  ricchezza e il supporto dei
rapporti familiari e sociali) e ai comportamenti nocivi per la salute
(alcool,  fumo e droghe) comportando un alto rischio di malattia e di
morte  prematura, che rendono urgente il potenziamento dell'attivita'
di  inclusione sia attraverso le strutture di accoglienza (dormitori,
mense)   che   degli  interventi  di  supporto  e  di  riabilitazione
psico-sociale.  Tali  interventi  di contrasto della poverta' estrema
vanno  promossi  soprattutto  tenendo nei confronti delle persone che
sono  divenute senza fissa dimora da poco tempo, ovvero vivono in una
condizione   non   ancora   cronicizzata:   poiche'  l'intervento  di
inclusione si rivela piu' efficace.

   L'assistenza  rivolta  alle popolazioni immigrate ha rappresentato
per  il  SSN  un'occasione  di crescita organizzativa e culturale. La
presenza  strutturale  di  intere  famiglie  immigrate ha permesso di
modificare  il  modello  di  assistenza sanitaria proposto dal nostro
SSN, rimodellando una offerta di servizi socio-sanitari diversificati
e  soprattutto  a  misura  umana  nei  confronti di tutte le fasce di
persone  a  rischio  di emarginazione, anche grazie all'attivita' dei
mediatori   linguistico-culturali   culturali   formati  ad  hoc  e/o
appartenenti alle loro comunita'. Si sta, pertanto portando avanti un
processo  di  attuazione  di servizi socio-sanitari piu' attenti alle
complesse  problematiche  delle persone con il rispetto delle diverse
dignita'  e  culture, non solo straniere, ma anche dei diversi strati
sociali degli italiani.


   5.8.  Il  controllo  delle  malattie  diffusive  e la sorveglianza
sindromica.

   Per  essere  pronti  ad  affrontare  rapidamente  eventi acuti che
possano   configurare   un'emergenza   di   salute  pubblica  occorre
implementare  i  sistemi  di  sorveglianza  sindromica,  integrando i
diversi  sistemi  di  sorveglianza  esistenti.  E' inoltre necessario
mantenere  e  migliorare il controllo sulle malattie diffusive, anche
attuando quanto gia' previsto dal Piano Nazionale Vaccini 2005-2007.


   Il controllo delle malattie infettive.

   Le   piu'   rilevanti  criticita'  che  emergono  nell'ambito  del
controllo delle malattie infettive sono:

    - una cultura che tende a sottovalutare il rischio legato ad esse
ed alle loro conseguenze;
    - le  malattie  infettive,  in  particolare quelle prevenibili da
vaccino,  chiedono un approccio globale e non localistico per la loro
prevenzione ed il loro controllo;
    - le  maggiori facilita' e frequenza degli spostamenti di persone
e  merci  da/per  aree  geografiche  a  rischio  favorisce  la rapida
diffusione di patologie emergenti e riemergenti;
    - una  elevata  difformita'  di  copertura per le vaccinazioni di
piu'   recente   introduzione   nelle   Regioni   ed  una  disequita'
nell'accesso  alla prevenzione vaccinale che solleva la necessita' di
una  appropriata  offerta  delle  vaccinazioni,  sia obbligatorie che
raccomandate,  a  tutte  le  fasce  di popolazione previste dal Piano
nazionale vaccini, indipendentemente dallo status socioeconomico, con
lo  specifico  problema  delle  coperture  vaccinali,  anche  per  le
vaccinazioni   obbligatorie  nelle  popolazioni  immigrate  da  paesi
extracomunitari e nelle popolazioni Rom;
    - difficolta'  e  disomogeneita'  nella  gestione  dei  casi,  in
crescita,  di  rifiuto  della pratica vaccinale, con necessita' di un
approccio  comunicativo  verso  i  cittadini che tenda al consenso ed
alla  consapevolezza,  piuttosto  che  allo  storico  concetto  della
obbligatorieta'.


   Gli obiettivi da raggiungere.

   Vengono  riconfermati  gli  obiettivi di salute previsti dal Piano
Nazionale  Vaccini 2005-2007 (Accordo in Conferenza Stato-Regioni del
3  marzo 2005, G.U. - serie generale - n. 86 del 14 aprile 2005) e la
promozione delle pratiche vaccinali e' una delle tematiche affrontate
dal  Piano  Nazionale  della Prevenzione gia' ricordato nel paragrafo
3.4. Si rimanda pertanto a tali accordi relativamente agli obbiettivi
complementari   indicati   nei  due  atti.  Ulteriori  obiettivi,  da
perseguire nel triennio sono:

    - la  valutazione  epidemiologica  dei soggetti appartenenti alle
categorie  a  rischio  per patologia, cui offrire prioritariamente le
vaccinazioni;
    - la  rilevazione  tempestiva  dei  casi  di infezioni emergenti,
riemergenti e da importazione;
    - la  sorveglianza  ed  il  controllo delle complicanze infettive
legate all'assistenza sanitaria;
    - la partecipazione ai sistemi di sorveglianza internazionali per
la rilevazione di eventi epidemici a rischio di diffusione nel nostro
Paese.  A  questo  proposito  particolare  rilevanza assume l'Accordo
Stato-Regioni  del  9  febbraio  2006  con  cui e' stato approvato il
"Piano   nazionale   di  preparazione  e  risposta  ad  una  pandemia
influenzale"  predisposto  dal  C.C.M.  Il  Piano, stilato secondo le
indicazioni   dell'OMS   del  2005  che  aggiorna  e  sostituisce  il
precedente  Piano  del  2002, rappresenta il riferimento nazionale in
base   al   quale  saranno  adottati  i  Piani  operativi  regionali.
L'obiettivo  del  piano e' rafforzare la preparazione alla pandemia a
livello  nazionale  e locale, allo scopo di minimizzare il rischio di
trasmissione,  ridurne l'impatto, garantire informazioni aggiornate e
tempestive attraverso alcune azioni chiave;
    - il miglioramento della diagnostica etiologica;
    - il monitoraggio della efficacia dei nuovi vaccini.

   Una  particolare attenzione va infine posta sulla importanza della
completezza e della gestione informatizzata delle anagrafi vaccinali,
cosi'  da  poter  valutare la necessita' e gli effetti delle campagne
vaccinali,  in  atto  e da implementare, e condividere criteri per la
scelta dei nuovi vaccini fondati sull'EBP e su scelte che ne graduino
la  priorita', definire l'offerta essenziale del calendario vaccinale
e  dei  vaccini  per le categorie particolari, lasciando alle Regioni
l'opzione  e  l'introduzione  di  altri  preparati,  in  relazione  a
particolari condizioni epidemiologiche.


   La sorveglianza sindromica.

   Allo  stato  attuale,  la  capacita'  di rilevazione tempestiva di
eventi  acuti  singoli o epidemici, correlabili a emergenze di salute
pubblica   da  determinanti  naturali  o  dolosi,  sembra  inadeguata
rispetto  alla  necessita'  che  tale  funzione  sia sufficientemente
diffusa ed organizzata in tutto il territorio nazionale.

   Uno  degli  interventi per migliorare la capacita' di identificare
le  emergenze  di  salute  pubblica  e'  l'attivazione  di sistemi di
sorveglianza  sindromica  che  utilizzino dati prediagnostici tali da
indicare gli stadi precoci di situazioni emergenziali. Questo tipo di
sorveglianza  integra,  ma  non  sostituisce,  il complesso dei molti
sistemi di sorveglianza esistenti.

   La   sorveglianza  sindromica  va  attivata  prioritariamente  nei
servizi  assistenziali  dell'emergenza,  come  ad  esempio  i  Pronto
Soccorso  e  i  Centri  Antiveleni.  Tra  gli obiettivi prioritari si
segnalano:

    - la  sperimentazione  di  un sistema informativo che permetta in
tempo  reale  lo  scambio  delle  informazioni  tra  i  centri  e  la
elaborazione dei segni prediagnostici (segni e sintomi) raccolti;
    - la  confrontabilita'  dei  dati  prediagnostici gia' esistenti,
raccolti nei diversi servizi;
    - la  rilevazione tempestivamente dei quadri sindromici a partire
dai dati prediagnostici;
    - l'integrazione  delle  informazioni  sui  quadri sindromici con
quelle provenienti da sistemi di sorveglianza gia' in uso.



   5.9 La sicurezza alimentare e la nutrizione


   La nutrizione come prevenzione

   Negli  anni  si  sono  susseguite  sempre  piu'  numerose evidenze
scientifiche    sulla   responsabilita'   di   diete   non   corrette
nell'incremento   cospicuo  dell'incidenza  delle  malattie  croniche
registrato  in  questi decenni, e sulla efficacia della riduzione dei
fattori  di  rischi  nel prevenire patologie legate all'alimentazione
anche in eta' anziana o nel diminuire la possibilita' di recidive, in
particolare delle malattie cardiovascolari.

   Si ricordano in particolare:

    - l'importanza   fondamentale   dell'uso   di   acido  folico  in
gravidanza per la prevenzione di patologie congenite del tubo neurale
ed il successivo allattamento seno;
    - il  consumo di frutta, verdura, proteine vegetali ed alimenti a
base  di amidi preferibilmente non manipolati, grassi vegetali, ed il
controllo  del consumo totale e del peso corporeo, per la prevenzione
delle patologie neoplastiche e cardiovascolari;
    - l'importanza  della dieta nella prevenzione di alcune patologie
(come  nel  caso  del  gozzo endemico e di altre patologie da carenza
iodica)  o  nella  limitazione  dei  danni alla salute (come nel caso
della protezione dei soggetti malati di celiachia).

   La  prevenzione della obesita' e' prevista tra le azioni del piano
della  prevenzione  nazionale,  al quale si rimanda ed in aggiunta si
indicano  come  rilevanti,  accanto  alle  azioni  di  promozione dei
corretti stili di vita:

    - l'attuazione di politiche intersettoriali atte a riorientare la
produzione  alimentare  tramite  gli  incentivi  alla produzione e le
sovvenzioni,  regolamentare  in  modo  piu'  puntuale le informazioni
contenute   nelle   pubblicita',   e  nelle  etichette  dei  prodotti
alimentari,  agire  sui  prezzi  e  formulare standard per il consumo
degli alimenti;
    - coinvolgere maggiormente gli operatori sanitari (in particolare
i  medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, per la
peculiarita'  del  loro  ruolo)  perche' svolgano azioni concrete nel
campo della corretta informazione e dell'educazione sanitaria.

   Per  quanto  riguarda  particolari  patologie  legate a deficit di
elementi nutrizionali o a patologie anche di origine genetica, il cui
estrinsecarsi e' fortemente condizionato da fattori alimentari, vanno
promossi interventi a vari livelli istituzionali per la messa in atto
delle  necessarie  azioni  finalizzate  alla loro prevenzione. In tal
senso   ricordiamo   per  la  loro  importanza  le  due  recentissime
disposizioni  legislative  finalizzate  alla  prevenzione  del  gozzo
endemico  e  di  altre  patologie  da carenza iodica - legge 21 marzo
2005,  n.  55  e  alla  protezione dei soggetti malati di celiachia -
legge 4 luglio 2005, n. 123.


   La sicurezza alimentare.

   In  questi ultimi anni il settore alimentare e' stato coinvolto in
diverse  crisi  a  partire dalla BSE, fino ai casi piu' recenti della
contaminazione   di   prodotti  per  la  prima  infanzia,  che  hanno
evidenziato  la necessita' in primo luogo di rafforzare il sistema di
monitoraggio  e  di  controlli  sulle  diverse filiere produttive, ma
soprattutto  di poter disporre di informazioni e dati provenienti dal
territorio  secondo  un sistema di raccolta omogeneo che consenta una
corretta  valutazione  del  rischio.  La valutazione dei rischi nella
catena  alimentare,  anche  alla  luce delle espressioni di Organismi
internazionali (EFSA, OMS, etc.) dovra' essere alla base di qualsiasi
scelta   gestionale   per  l'adozione  di  interventi  a  tutela  dei
consumatori  e  cio'  non  puo'  non  avvenire  se non attraverso una
maggiore  valorizzazione  del  Comitato  Nazionale  per  la Sicurezza
alimentare (CNSA) da un lato e dall'altro attraverso il potenziamento
delle  strutture  di  gestione del rischio sia a livello centrale che
delle Regioni e Province autonome. Tale Comitato dovra':

    - garantire  i  rapporti con l'Autorita' Europea per la Sicurezza
Alimentare;
    - promuovere  e  coordinare  la definizione di metodi uniformi di
valutazione   del   rischio   alimentare,   proporre  metodi  per  la
pianificazione dei programmi di sorveglianza;
    - monitorare  le  attivita'  di  sorveglianza  nel  settore della
sicurezza alimentare.

   Dal  1°  gennaio  2006,  con  l'entrata  in piena applicazione dei
Regolamenti  Comunitari  che  costituiscono  il cosiddetto "Pacchetto
igiene",  lo  scenario  della legislazione in materia di produzione e
commercializzazione degli alimenti e delle bevande ha subito notevoli
cambiamenti. Infatti, finalmente, a livello comunitario, e quindi con
ripercussione  anche  sul  mercato  nazionale,  si  avra' la completa
armonizzazione della disciplina in materia di commercializzazione dei
prodotti  alimentari  con  un aumento della sicurezza "dal campo alla
tavola"  in  quanto  verra'  coinvolta  la  produzione  primaria  dei
prodotti.  Inoltre  a  livello nazionale l'Amministrazione sanitaria,
anche  a seguito della riorganizzazione di cui alla legge 30 novembre
2005,  n.  244, ha iniziato a promuovere anche mediante l'adozione di
specifiche  linee guida comportamenti uniformi a livello territoriale
per  la  gestione  e  l'armonizzazione  dei  controlli  su  aziende e
prodotti alimentari per rispondere a specifiche richieste dell'Unione
Europea  e dei Paesi Terzi verso i quali vengono esportati i prodotti
italiani.

   La  protezione  del  consumatore nei confronti di numerose zoonosi
alimentari  ("dalla  stalla alla tavola" con controlli lungo l'intera
filiera  produttiva, dall'animale vivo al prodotto alimentare venduto
al  dettaglio)  ha reso necessario un nuovo approccio alla materia. I
Regolamenti, a differenza della precedente normativa, privilegiano il
sistema dell'autocontrollo basato sui 7 principi dell'HACCP del Codex
alimentarius,  prevedendo,  quindi, una maggiore responsabilizzazione
degli  operatori  del  settore  alimentare  e  mangimistico, i quali,
tuttavia,  saranno  facilitati  nel  loro compito da una legislazione
alimentare   piu'  semplice  ed  armonizzata  per  tutti  i  prodotti
alimentari  sia  di  origine animale che vegetale, venendo a decadere
tutta  la  normativa  verticale  attualmente in vigore, il piu' delle
volte di non facile interpretazione.

   Con  particolare riferimento alla efficienza ed appropriatezza dei
sistemi  sanitari  regionali  di  prevenzione  primaria  per la parte
relativa   alla  sanita'  pubblica  veterinaria  e  all'igiene  degli
alimenti,  e'  necessario  realizzare un potenziamento del sistema di
auditing   allo   scopo   di   garantire   al   meglio  l'uniformita'
nell'applicazione della normativa vigente, di favorire la trasparenza
e   la  collaborazione  tra  pubbliche  amministrazioni,  nonche'  di
promuovere  una  maggiore  attenzione  da parte del governo sanitario
regionale  ed  accrescere  la  consapevolezza  sociale  sulle realta'
sanitarie   in   questa   materia.   Risulta,  altresi',  prioritaria
l'implementazione  di  un puntuale ed efficace flusso informativo dei
dati  epidemiologici  scaturiti  in  ambito regionale, al fine di una
corretta  analisi  del rischio, da effettuarsi in coordinamento con i
Centri di referenza nazionali interessati.


   Sistema  nazionale  di controllo ufficiale dei prodotti alimentari
di origine animale e vegetale.

   Sulla  base  dei  nuovi  orientamenti  comunitari  e  al  fine  di
assicurare  un sempre piu' elevato livello di protezione della salute
pubblica,  l'attuale  sistema  nazionale  di  controllo ufficiale dei
prodotti alimentari deve essere ridefinito rendendolo piu' efficace e
piu'   adeguato  agli  standard  europei,  attraverso  gli  opportuni
interventi  relativi  ai  principali  aspetti  dell'operativita', del
coordinamento, del personale e dell'accreditamento laboratori.

   Nella  programmazione  del controllo ufficiale assume carattere di
priorita'  l'attuazione  dei piani di controllo nazionali pluriennali
in   conformita'  agli  orientamenti  generali  elaborati  a  livello
comunitario,  al  fine di realizzare un approccio uniforme globale in
materia   di   controlli   ufficiali   sui  prodotti  alimentari.  In
considerazione  del  sistema  nazionale  di  controllo  ufficiale dei
prodotti  alimentari, che vede coinvolte numerose autorita' sanitarie
sia  a livello centrale che territoriale, e' necessario potenziare le
funzioni  di  coordinamento  del Ministero della salute e dei nodi di
sistema   per  poter  assicurare  interventi  uniformi  su  tutto  il
territorio  nazionale  da  parte  delle  diverse  strutture sanitarie
deputate  all'attivita'  di  controllo  ufficiale, nonche' interventi
immediati a seguito di attivazione del sistema di allerta.

   Il   rafforzamento  di  tale  coordinamento  si  rende,  altresi',
opportuno  per  poter  migliorare  la  cooperazione tra gli organismi
centrali  e territoriali, al fine di soddisfare gli impegni derivanti
dall'appartenenza dell'Italia alla Comunita' Europea, con riguardo in
particolare  ai  programmi  annuali coordinati comunitari sia di tipo
generale che specifico in materia di controllo ufficiale.

   Per  svolgere  in  maniera soddisfacente le attivita' di controllo
ufficiale  e'  necessario  poter disporre di un numero sufficiente di
personale  adeguatamente qualificato ed esperto, nonche' di strutture
ed attrezzature idonee, definendo gli standard minimi di operativita'
per garantire livelli adeguati ed omogenei di sicurezza alimentare su
tutto il territorio nazionale.

   Allo  scopo  di  garantire  la  libera  circolazione delle derrate
alimentari  e  per  rendere  affidabili  i  risultati  analitici  del
controllo   ufficiale,  compresi  quelli  relativi  alle  analisi  di
revisione,  si  rende  necessario  che  i  laboratori preposti a tali
attivita',  risultino  accreditati  uniformemente  alla norma europea
EN/ISO/IEC 17025 su "Criteri Generali sulla competenza dei laboratori
di  prova  e di taratura". Ai fini dell'ottimizzazione delle risorse,
particolare  attenzione  dovra'  essere rivolta all'individuazione di
laboratori   specializzati   e   accreditati  da  utilizzare  per  lo
svolgimento    di    controlli    analitici   ufficiali   di   natura
particolarmente complessa e costosi.


   Igiene dei prodotti di origine animale.

   Anche  per  quanto  riguarda  il settore degli alimenti di origine
animale, l'entrata in applicazione del "pacchetto"igiene" comportera'
nuovi  obblighi per gli operatori dei settori specifici e un notevole
impegno per le Autorita' sanitarie, sia nazionali che delle Regioni e
Province  autonome  e  delle  ASL,  in  ordine  alla  verifica  della
corrispondenza dei requisiti strutturali degli impianti e delle nuove
procedure basate sull'HACCP.

   Le  azioni,  che  dovranno  essere  svolte nel triennio 2006-2008,
saranno indirizzate:

    - alla predisposizione di linee guida relative all'attuazione del
Regolamento  n.  853/2004/CE  sull'igiene  dei prodotti alimentari di
origine animale rivolte agli operatori del settore alimentare ed agli
Organi  di  controllo  del  S.S.N.  (un  utile strumento operativo in
considerazione  anche  della  possibilita',  concessa dal Regolamento
stesso,  di  mantenere o adottare, nel rispetto dei principi generali
di  sicurezza  alimentare, disposizioni particolari per adattare alle
singole  realta'  nazionali  gli  obblighi imposti dalla legislazione
comunitaria  attraverso la concessioni di deroghe per alcuni prodotti
tradizionali);
    - ad  incoraggiare  e  valutare  la  predisposizione di "Guide di
buona  pratica"  sviluppate  dalle  Associazioni  dei  produttori  di
settore in consultazione con le Autorita' Competenti.


   Sicurezza degli alimenti di origine vegetale.

   Gli  alimenti  di  origine  vegetale  devono  essere sicuri sia da
contaminazioni  chimiche  (pesticidi,  metalli  pesanti, micotossine,
etc.),  che  per  gli  aspetti  microbiologici.  L'ottenimento  di un
prodotto  sicuro  e'  determinato  dall'attenzione e dalla cura poste
nell'intero   processo   relativo   all'alimento,   partendo  da  una
produzione  secondo  "Buone  Pratiche  Agricole",  una conservazione,
trasformazione  e  distribuzione  in  condizioni  igienico  sanitarie
ottimali.

   Spetta  all'Operatore  alimentare,  secondo  il  Regolamento  (CE)
852/2004  del  Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004,
la   responsabilita'   di  applicare  tutte  le  adeguate  misure  di
autocontrollo, previste ora anche nella produzione primaria in campo;
e'   questa   la   novita'  principale  alla  quale  dovranno  essere
sensibilizzati   tutti   i   soggetti   coinvolti.   Rimane   compito
dell'Autorita'  sanitaria verificare le misure di autocontrollo messe
in atto, nonche' esercitare direttamente il controllo ufficiale sugli
alimenti, sia di produzione comunitaria, che importati.

   In  considerazione  dell'esistenza di un mercato unico dell'Unione
europea, oggi estesa a 25 Paesi e dei crescenti scambi internazionali
si   vuole   rafforzare   il   controllo  ufficiale  all'importazione
attraverso gli Uffici di sanita' marittima ed aerea e di frontiera di
questo Ministero (USMAF).

   Parallelamente  a  quanto programmato per il territorio nazionale,
devono,  infatti, essere stabiliti Piani di controllo pluriennali per
realizzare  le  attivita'  di controllo ufficiale all'importazione da
Paesi Terzi, in conformita' agli orientamenti generali comunitari che
prevedono  l'identificazione delle priorita' di intervento in base ad
un'analisi  dei  rischi.  Per  la  realizzazione  dei piani stessi e'
necessario   operare   attraverso   un'attenta  programmazione  degli
interventi,  una  piu'  stretta  collaborazione  tra  gli  organi  di
controllo   e   rendere  disponibili  procedure  uniformi,  personale
adeguatamente formato e laboratori accreditati.



   5.10. La sanita' veterinaria.


   Sorveglianza epidemiologica sulle popolazioni animali e profilassi
delle malattie infettive.

   Per  potenziare  e  razionalizzare  gli strumenti di prevenzione e
lotta   alle   emergenza   zoo-sanitarie,  alle  malattie  animali  e
all'influenza  aviaria,  con il decreto-legge 1° ottobre 2005, n. 202
recante  misure  urgenti  per  la prevenzione dell'influenza aviaria,
convertito  in  legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge
30  novembre  2005, n. 244, l'Italia ha istituito il Centro nazionale
di  lotta  ed  emergenza  contro  le  malattie  animali  e  un  nuovo
Dipartimento  per la Sanita' Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la
Sicurezza   degli  Alimenti,  inoltre  ai  fini  della  lotta  contro
l'influenza  aviaria  si  e'  provveduto al potenziamento di tutte le
iniziative,   gia'   peraltro   avviate,  di  allerta  attraverso  la
rete-sentinella per prevenire i rischi per la salute umana in caso di
sviluppo di una pandemia influe nzale.

   La  attivita'  di sorveglianza, svolta anche nell'ambito dei piani
di   eradicazione,   che  ha  riguardato  patologie  importanti  come
salmonellosi,  West Nile Desease, BSE, Blue tongue, influenza aviaria
e  scrapie,  ha permesso di valutare l'andamento epidemiologico delle
singole  malattie  e,  quindi,  di  analizzare  e valutare il rischio
sanitario  sull'intero  territorio  nazionale  soddisfacendo  anche i
crediti  informativi  nei  confronti  degli  organismi internazionali
(OIE, EU, EFSA).

   Azioni fondamentali per il prossimo triennio saranno:

    - lo  sviluppo  di  siti  WEB  di informazione e notifica e di un
sistema  informativo  per  le malattie degli animali, che consenta la
redazione di report nazionali periodici sulla situazione in Italia;
    - la razionalizzazione delle attivita' di monitoraggio, controllo
ed  eradicazione sia per gli animali da affezione che per gli animali
da reddito.


   Tutela del benessere animale.

   La  tutela  del  benessere  degli  animali  da reddito costituisce
un'esigenza  di carattere etico sociale, in quanto a livello mondiale
si  e'  consolidato  negli ultimi quaranta anni il concetto che anche
gli   animali   utilizzati   dall'uomo,   per   le  proprie  esigenze
nutrizionali,  sono  esseri  senzienti  e  non "cose" e pertanto sono
individui portatori di diritti.

   Uno  degli  obiettivi prioritari da realizzare sara' quello mirato
alla   "formazione"   degli   operatori  (allevatori,  trasportatori,
macellatori),  affinche' tutti gli addetti del settore vengano edotti
sulla  nuova  normativa  e  sull'applicazione  di  buone  tecniche di
allevamento,   trasporto  e  macellazione  che,  istaurando  un  buon
rapporto  uomo-animale  non  sono  in contrasto con le esigenze della
produzione, ma coincidenti con queste.


   5.11. La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

   A  fronte  degli  importanti cambiamenti registrati nel sistema di
sicurezza,  e  a poco piu' di 10 anni di distanza dall'emanazione del
decreto  legislativo  19 settembre 1994 n. 626 e successive modifiche
ed  integrazioni,  l'implementazione della normativa prevenzionistica
nel  tessuto  produttivo  non  appare, tuttavia, ancora adeguatamente
compiuta:  risulta  ancora  circoscritto  ad  un  numero  limitato di
aziende   l'integrazione   tra   "processo"  produttivo  e  "processo
prevenzionistico  aziendale";  la  gestione  della  prevenzione tende
ancora ad essere concepita diffusamente come collaterale o aggiuntiva
alla gestione aziendale.

   La   frammentazione   produttiva   sempre   piu'   frequente   (le
microimprese,  ossia imprese fino a 9 addetti, rappresentano piu' del
90%  del tessuto produttivo nazionale), il progressivo instaurarsi di
forme  di  lavoro  flessibile,  che ovviamente comportano una maggior
difficolta' di processi di formazione ad aggiornamento professionale,
la  sempre  maggiore  numerosita'  di lavoratori stranieri nonche' la
persistenza  di  elevata  quantita'  di  fasce  di lavoro sommerso ed
irregolare  sono  fattori che attualmente contribuiscono ad aumentare
la difficolta' delle iniziative di prevenzione e tutela.

   Il   quadro   infortunistico   pur   registrando   un  progressivo
miglioramento  negli  ultimi  anni resta tuttavia grave per l'elevato
numero  di  infortuni  mortali, parte rilevante dei quali sono legati
alla  strada  ed  ai  mezzi  di  trasporto  o  avvengono nel percorso
casa-lavoro  e  viceversa  (infortuni  in itinere).Tuttora permangono
come  settori  lavorativi  a maggior rischio quello delle Costruzioni
seguito  dai  Trasporti  e  da  varie  attivita'  dell'industria  dei
metalli.    Va    inoltre    rimarcata   la   particolare   incidenza
infortunistica,  specie per la quota con conseguenze gravi e mortali,
nelle micro e piccole imprese.

   Riguardo  alle  malattie  professionali,  il  numero di denunce di
malattie legate al lavoro negli ultimi anni ha subito una progressiva
contrazione  ma,  in  controtendenza,  sono  in  aumento le neoplasie
professionali,   nonostante   l'ovvia   difficolta'  di  attribuzione
causale.  La  letteratura  scientifica  segnala, inoltre, la crescita
delle   patologie   cronico-degenerative   ad  eziopatogenesi  spesso
multifattoriale,  le  patologie  derivanti  dai  rischi psico-sociali
connessi  all'organizzazione  del  lavoro (stress, burn out, mobbing,
etc.),  quelle,  infine,  relativi  alle differenze di genere. I dati
nazionali  sono  sottostimati  e  non  riflettono  la  situazione  di
effettiva  incidenza  nel  nostro Paese delle malattie professionali,
senza  dimenticare  che  infortuni  e  malattie  conclamate  non sono
l'unico  aspetto,  per  quanto rilevante, delle possibili conseguenze
del lavoro sul benessere psico-fisico e morale delle persone.

   L'attivita' di prevenzione deve basarsi su due principali cardini:
il  sistema  informativo  finalizzato  all'individuazione dei bisogni
anche  sulla  base  di evidenze epidemiologiche e la programmazione e
pianificazione degli interventi.

   Deve   inoltre  essere  il  piu'  possibile  attuata  la  verifica
dell'efficacia  degli  interventi attraverso l'utilizzo di indicatori
non  soltanto di attivita', ma anche di processo e, ove possibile, di
risultato. Fondamentale e' infine la sinergia e la collaborazione tra
i numerosi soggetti istituzionali che concorrono alla prevenzione dei
rischi   e   dei   danni   da  lavoro,  evitando  la  duplicazione  e
sovrapposizione  di  competenze  e, al contrario, attivando azioni il
piu'  possibile congiunte ed integrate non solo tra le istituzioni ma
anche in accordo le parti sociali.

   Obiettivi da raggiungere:

    - migliorare  l'efficacia  degli  strumenti  di  integrazione tra
pubbliche  amministrazioni  a  partire dagli strumenti previsti dalle
attuali  normative (Commissione Consultiva Nazionale istituita presso
il  Ministero  del  Lavoro  ex  art.  26  d.lgs. 626/94 e Comitati di
Coordinamento previsti presso le Regioni ex art. 27 d.lgs. 626/94);
    - riordinare,  coordinare  e  semplificare  le  norme  vigenti in
materia  di  igiene  e  sicurezza del lavoro e definire un sistema di
criteri  per la verifica del raggiungimento dei Livelli Essenziali di
Assistenza nel settore della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
    - consolidare  il processo in corso, nell'ambito delle intese tra
i  principali  soggetti  istituzionali, di costruzione di un adeguato
Sistema informativo integrato;

   Per  quanto  si  riferisce  agli  infortuni,  si  rimanda al Piano
Nazionale della Prevenzione 2005-2007 ed alle successive linee guida.

   Relativamente  alle malattie professionali, in coerenza con quanto
indicato  dalla  raccomandazione  della  Commissione  2003/670/CE, le
strategie  da  adottare  per  facilitare  l'emersione delle "malattie
professionali perdute" e migliorare le conoscenze ai fini di una piu'
efficace   prevenzione   devono   essere  basate  sull'impegno  e  la
qualificazione  dei  sanitari coinvolti. Anche in questo campo appare
necessario  un  intervento  di  semplificazione  delle  norme e delle
procedure.