Testo della circolare CRITERI ORIENTATIVI PER LA SCELTA TRA DELITTI E CONTRAVVENZIONI E PER LA FORMULAZIONE DELLE FATTISPECIE PENALI. Premessa Con la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 19 dicembre 1983 (in Gazzetta Ufficiale n. 22 del 23 gennaio 1984, supplemento ordinario) sono stati indicati i criteri orientativi per la scelta fra sanzioni penali e sanzioni amministrative, prospettando cosi' i termini di un'alternativa fondamentale nella qualificazione dell'illecito. Una volta che l'opzione si' sia orientata in favore della sanzione penale, e' necessario individuare i termini di una scelta ulteriore, fra "delitto" e "contravvenzione". Non v'e' dubbio che si tratti di una scelta assai significativa, dato che delitti, da un lato, e contravvenzioni, dall'altro, soggiacciono ad una disciplina sostanziale (e in parte anche processuale) peculiare, e producono effetti di diversa intensita'. La prima parte della presente circolare e' per l'appunto dedicata ai criteri utilizzabili in sede di qualificazione specifica del reato e di previsione del relativo trattamento sanzionatorio. La seconda parte della circolare contiene criteri orientativi per la formulazione delle fattispecie penali. S'intende in tal modo venire incontro ad un'esigenza di correttezza, di chiarezza e - nei limiti del possibile - di semplicita' di' formulazione dei testi legislativi sempre piu' vivamente avvertita da tutti i settori degli operatori giuridici, e finanche dall'opinione pubblica. Il rispetto di canoni di corretta formulazione della fattispecie, imposti in materia penale da principi di rango costituzionale (riserva di legge, tassativita' e determinatezza della legge penale: art. 25, commi 2 e 3, e art. 13, comma 2, della Costituzione), e' raccomandabile anche con riferimento all'illecito punito con sanzioni amministrative, ove si pongono analoghe esigenze (I). Parte I CRITERI ORIENTATIVI PER LA SCELTA TRA DELITTO E CONTRAVVENZIONE 1. L'art. 39 del codice penale stabilisce che i delitti si distinguono dalle contravvenzioni "secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite" (2). Adottando il criterio formale della specie di pena comminata, il legislatore del '30 ha inteso ovviare agli inconvenienti manifestatisi durante la vigenza del codice precedente, quando il criterio di distinzione era rimesso all'interprete. E' chiaro tuttavia che la scelta affidata al legislatore non puo' essere ne' casuale ne' arbitraria, ma deve piuttosto risultare adeguata ai contenuti ed alla struttura propri dell'illecito contravvenzionale e delittuoso, secondo l'esperienza normativa maturata nel processo storico di formazione delle due categorie e secondo la disciplina per ciascuna di esse stabilita. Sulla base dell'evoluzione legislativa e dei profili fondamentali di disciplina delle due categorie di reati, si deve escludere che il criterio di distinzione possa essere ridotto ad un mero apprezzamento quantitativo, nel senso che le contravvenzioni coprirebbero l'area degli illeciti penali minori e meno gravi, i delitti quella degli illeciti penali maggiori e piu' gravi. Un tal modo di intendere la distinzione risulterebbe del tutto parziale e incompleto, in base alle seguenti, fondamentali considerazioni: a) in termini di pena, la contravvenzione se e' vero che puo' essere assai meno grave del delitto (essendo l'ammenda la piu' tenue delle sanzioni penali previste nel nostro ordinamento), puo' tuttavia risultare piu' grave (la pena dell'arresto e' certo assai piu' incisiva della multa). In pratica, la contravvenzione scende piu' in basso del delitto, e non giunge mai ai suoi vertici, ma puo' attingere livelli mediani piu' consistenti; b) in termini di regime giuridico, la contravvenzione, se presenta, da un lato, elementi di disciplina apparentemente ispirati all'idea di una minore gravita' (ad es. l'esclusione dal tentativo; il ricorso di una peculiare causa estintiva quale l'oblazione (3) nei casi previsti dagli articoli 162 e 162-bis c.p.), risulta dall'altro imputabile indifferentemente a titolo di dolo o di colpa (art. 42, ultimo comma, c.p.), secondo un criterio di indifferenza che sarebbe inspiegabile nella prospettiva di una minore gravita' dell'illecito contravvenzionale. In effetti, la punibilita' anche a titolo di colpa implica un'estensione della tutela, come si constata chiaramente nei delitti (4), ma una tale estensione non ha senso alcuno se si ipotizza che la contravvenzione costituisca, indefettibilmente, un reato minore rispetto al delitto. Logica vorrebbe che il reato meno grave non fosse piu' estensivamente punibile del reato piu' grave. 2. In realta', e' pur vero che nell'area delle contravvenzioni si rinvengono illeciti che si qualificano soltanto per una minore gravita' rispetto alle fattispecie delittuose; tuttavia la disciplina caratteristica delle contravvenzioni e' particolarmente giustificata per gli illeciti contraddistinti da una specifica peculiarita' di contenuto. Questa peculiarita' puo' assumere due aspetti diversi. Tra le disposizioni normative che configurano le fattispecie contravvenzionali si possono, infatti, enucleare: a) norme di carattere preventivo-cautelare che codificano regole di prudenza, di diligenza, di perizia, volte alla tutela anticipata e indiretta di beni giuridici di primaria importanza, quali la vita, l'integrita' fisica, l'incolumita' (5); b) norme concernenti la disciplina di attivita' soggette ad un potere amministrativo, in vista del perseguimento di uno scopo di pubblico interesse (6). La circostanza che si tratta di attivita' soggetta ad un potere amministrativo puo' emergere da vari indici: la necessita' di un provvedimento abilitativo della pubblica amministrazione o di una denuncia alla medesima (7); il fatto che la condotta presupponga una richiesta, un ordine od una prescrizione della pubblica amministrazione (8); oppure l'organizzazione di un pubblico servizio al quale il privato e' tenuto a rivolgersi (9). Si prendano ora in considerazione le accennate caratteristiche della disciplina contravvenzionale. In primo luogo, la indifferenza circa l'elemento psicologico con cui la condotta e' stata commessa (art. 42, ultimo comma, c.p.) e' perfettamente giustificata sia nelle contravvenzioni di carattere preventivo-cautelare, sia in quelle concernenti attivita' soggette ad un potere amministrativo. Nelle prime, in quanto trattandosi di regole volte a disciplinare attivita' o situazioni pericolose, la loro inosservanza e' in linea di principio ugualmente significativa, sia che dipenda da un comportamento doloso, sia che derivi da colpa. Nelle seconde, poiche' l'illiceita' dipende dalle valutazioni operate dalla pubblica amministrazione, risultano insignificanti le peculiarita' dell'atteggiamento personale con cui tali valutazioni sono state contrastate o frustrate, trattandosi di un atteggia-mento comunque rimproverabile (10). In secondo luogo, l'esclusione della responsabilita' per il tentativo (art. 56 c.p.), nelle contravvenzioni prevenzionistico-cautelari, e' coerente con la loro intrinseca natura di reati di pericolo: le cautele prescritte sono infatti di per se' "strumentali" per la salvaguardia di determinati interessi, sicche' un'ulteriore anticipazione di tutela non sarebbe giustificata. Nelle contravvenzioni concernenti attivita' soggette ad un potere amministrativo, l'irrilevanza del tentativo si spiega invece per il fatto che la tutela penale e' strettamente correlata all'ambito della competenza della pubblica amministrazione; e quest'ultima non si riferisce mai al compimento di atti diretti a realizzare una certa condotta, ma sempre e solo alla sua effettiva realizzazione: la concessione edilizia, ad es., e' richiesta per procedere effettivamente alla trasformazione urbanistica, e non certo per svolgere un'attivita' soltanto idonea e diretta in modo non equivoco a realizzarla, ipotesi - quest'ultima - che, di per se', si sottrae ai poteri di intervento della pubblica amministrazione. Infine, l'applicabilita' alle sole contravvenzioni della speciale causa di estinzione costituita dalla oblazione (articoli 162 e 162-bis c.p.) corrisponde, ancora una volta, alle caratteristiche di illeciti che, essendo strettamente correlati a poteri amministrativi di controllo e di gestione di determinate attivita', ben possono ammettere quella sorta di composizione transattiva in cui consistono, in varia guisa e secondo varie modalita', le diverse forme di oblazione previste. 3. Da quanto osservato a proposito della disciplina generale delle contravvenzioni discende che la qualificazione contravvenzionale e' opportunamente riferibile a tutti gli illeciti di natura prevenzionistico-cautelare o correlati alla disciplina di attivita' soggette ad un potere amministrativo. Ma tale indicazione di massima non puo' tuttavia essere applicata in modo automatico, ne' dal punto di vista delle sue implicazioni positive (nel senso cioe' che tutti gli illeciti di questo contenuto debbano necessariamente e meccanicamente mantenersi nell'area delle contravvenzioni), ne' dal punto di vista delle sue implicazioni negative (nel senso cioe' che gli illeciti penali di diverso contenuto debbano tutti transitare nell'area dei delitti). In ogni caso e' necessario procedere anche ad una valutazione in termini alla gravita' dell'illecito e di sufficienza dell'intervento repressivo (11), in base alle considerazioni che seguono: 3.1. Per quanto riguarda gli illeciti di natura preventivo-cautelare, la repressione penale (12) dovra', in linea di principio, corrispondere al modello della qualificazione contravvenzionale. Trattandosi tuttavia di reati di pericolo, non e' escluso che il rango dell'interesse tutelato e la gravita' dell'offesa inducano a ritenere inadeguato il trattamento punitivo dipendente da tale qualificazione. Se un'analoga esigenza si prospetta anche in termini di sussidiarieta', e cioe' se l'apparato sanzionatorio contravvenzionale si presenta del tutto insufficiente ad assicurare un efficace controllo sociale, pur se utilizzato nelle sue massime virtualita' espansive, potra' farsi ricorso alla qualificazione delittuosa, la quale, come si e' detto (par. 1), puo' determinare conseguenze molto piu' incisive di quella contravvenzionale. In pratica, perche' il ricorso alla figura del delitto appaia giustificato sara' necessario: a) in positivo, che l'interesse tutelato assuma carattere primario e che il pericolo espresso dalla inosservanza sia concreto: b) in negativo, che l'apparato sanzionatorio contravvenzionale sia inidoneo ad assicurare una repressione efficace. In ogni caso, qualora si ritenga indispensabile utilizzare la figura delittuosa, e' opportuno prevedere la punibilita' del fatto anche a titolo di colpa, sia pure con adeguate diversificazioni sanzionatorie: poiche' la norma sanzionata e' pur sempre di natura cautelare, la sua violazione e' infatti in linea di principio insensibile alle peculiarita' dell'atteggiamento psicologico (13). 3.2. Del pari mediante il ricorso alla qualificazione contravvenzionale dovra' in linea di principio sanzionarsi ogni condotta la cui illiceita' dipenda: a) dal difetto di un provvedimento abilitante della pubblica amministrazione; b) dal contrasto con un ordine, una prescrizione o una richiesta della pubblica amministrazione; c) dalla violazione di un obbligo di denunzia o di comunicazione alla pubblica amministrazione, concernente attivita' sottoposte al suo controllo; d) dalla violazione di un obbligo di registrazione, di documentazione di attivita' parimenti sottoposte al suo controllo, o di altre prescrizioni strumentali. Anche per queste ipotesi non puo' escludersi in assoluto l'opportunita', o la necessita', di ricorrere, anziche' alla qualificazione contravvenzionale, a quella delittuosa; eventualita' che, del resto, gia' si verifica per numerose fattispecie incriminatrici (ad es. in materia di armi e di stupefacenti), se pure in modo ed in misura non sempre conformi alle esigenze di una corretta normazione penale. A tale proposito giovera' tener presente che natura di delitto potra' essere piu' convenientemente riconosciuta alle attivita' criminose rispetto alle quali il provvedimento abilitante non assuma una funzione puramente regolativa, ma piuttosto una funzione sostanzialmente scriminante. Occorre distinguere cioe' tra le ipotesi in cui l'autorizzazione, la concessione etc. servano a regolamentare comportamenti intrinsecamente conformi alle esigenze del traffico giuridico o, addirittura, socialmente necessari (ad es. costruzioni; apertura di pubblici esercizi etc.), e le ipotesi nelle quali il provvedimento abilitativo svolga invece la funzione di rendere eccezionalmente lecite condotte che, di per se', risultano normalmente lesive di interessi pubblici (ad es. commercio di sostanze stupefacenti). Nel primo caso si tratta di attivita' il cui carattere offensivo dipende solo ed esclusivamente dalla circostanza che, non essendo state previamente sottoposte al vaglio della pubblica amministrazione, possono risultare disfunzionali rispetto agli interessi pubblici sottesi alle esigenze di regolamentazione. Nel secondo caso si tratta invece di attivita' il cui carattere offensivo e', per cosi' dire, in re ipsa, e l'intervento della pubblica amministrazione corrisponde alla necessita' di individuarne ed isolarne talune che, per le loro caratteristiche e per gli scopi che perseguono, possono essere ammesse, a fronte di un normale divieto di realizzarle. La differenza puo' ben essere esemplificala dal raffronto tra la costruzione senza concessione e il commercio non autorizzato di sostanze stupefacenti: l'attivita' edificatoria corrisponde ad un'esigenza sociale primaria ed indefettibile che proprio in quanto tale deve tuttavia soggiacere ad una congrua valutazione preventiva; il commercio di stupefacenti e' sempre e comunque un'attivita' pericolosa per la tutela della salute pubblica, della vita e dell'incolumita' personale, e puo' essere eccezionalmente permesso soltanto in talune specifiche ipotesi in cui il rischio sia rigorosamente bandito. Per le attivita' di questo secondo tipo la qualificazione in termini delittuosi potra' dunque essere adottata ogni qualvolta, per la natura dell'interesse minacciato e la gravita' del pericolo espresso sia necessario ricorrere a strumenti sanzionatori di particolare severita'. Anche in questo caso dovra' essere valutata l'opportunita' di prevedere espressamente la punibilita' a titolo di colpa, a meno che non si tratti di condotte tali da non poter essere praticamente concepite che nella forma di realizzazione dolosa. 4. Corollario dei criteri di scelta in precedenza indicati e che, in linea di principio, non appare opportuno che la qualificazione contravvenzionale continui ad essere attribuita ad ipotesi criminose diverse da quelle rientranti nei due tipi individuati, e in particolare a quelle ipotesi che si caratterizzino semplicemente per essere illeciti "minori" rispetto ai delitti. Queste ultime fattispecie, invero, sono state in tale forma inserite giustificatamente nel sistema, per difetto di ogni possibile alternativa, fino a quando nel nostro ordinamento non e' stato ridato spazio alla violazione amministrativa (legge 24 novembre 1981, n. 689). L'area delle contravvenzioni e' servita infatti da ricettacolo di ogni illecito variamente "minore". Ora, pero', in presenza di illeciti minori, diversi da quelli "naturalmente" contravvenzionali, l'opzione dovrebbe essere tra violazione amministrativa e delitto. L'utilizzazione della qualificazione contravvenzionale, in questa ipotesi, dovra' pertanto essere, se non del tutto bandita, considerata in termini di assoluta eccezionalita', e riservata a quei soli casi in cui l'esigenza di un controllo coercitivo penale sia certa ed indiscutibile, ma non sia peraltro giustificato, in termini di sussidiarieta', il ricorso alla figura del delitto. 5. Una volta determinata la scelta della figura dell'illecito, delittuosa o contravvenzionale, e' assolutamente sconsigliabile prevedere una fattispecie-base contravvenzionale e fattispecie aggravate delittuose (14) o, all'inverso, una fattispecie-base delittuosa e fattispecie attenuate di natura contravvenzionale. Tale tecnica, oltre a nsultare intrinsecamente incongrua ed a suscitare perplessita' interpretative circa la qualificazione stessa del reato-base (15), da' luogo a risultati pratici quanto meno discutibili allorche' si profili un concorso eterogeneo di circostanze (16), e la conseguente necessita' di procedere al giudizio di comparazione (art. 69 c.p.). Potrebbe in effetti accadere che, ferma (probabilmente) restando la qualificazione ad es. delittuosa dipendente dal ricorso dell'aggravante speciale, in caso di ritenuta prevalenza, o equivalenza, di un'attenuante comune, si debba in realta' applicare la pena contravvenzionale dell'ipotesi-base. 6. Operata la scelta in favore della qualificazione contravvenzionale o di quella delittuosa, si tratta di prevedere un adeguato trattamento sanzionatorio. A tale proposito, in termini di pena principale, si profilano le seguenti alternative, comuni (pur nel variare della specie di pena) sia ai delitti che alle contravvenzioni: a) previsione della sola pena pecuniaria: ammenda (per le contravvenzioni); multa (per i delitti); b) previsione della pena pecuniaria alternativa a quella detentiva: ammenda o arresto (per le contravvenzioni); multa o reclusione (per i delitti); c) previsione della sola pena detentiva: arresto (per le contravvenzioni); reclusione (per i delitti); d) previsione della pena detentiva congiunta a quella pecuniaria: arresto e ammenda (per le contravvenzioni); reclusione e multa (per i delitti). La scelta non potra' che ispirarsi, in linea di principio, alla valutazione in termini di gravita' dell'illecito e di necessita' di un determinato trattamento repressivo, integrata tuttavia da alcune considerazioni specifiche che sembra opportuno esplicitare. 6.1. In termini distributivi, dovra' porsi la massima attenzione ad evitare disparita' di trattamento (per eccesso o per difetto) rispetto ad ipotesi di reato comparabili, per relativa omogeneita' di contenuto offensivo, con quella da sanzionare. Le sperequazioni punitive, per quanto sottratte - secondo l'orientamento della Corte costituzionale - alla valutazione in termini di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, salvo il caso di patenti violazioni del canone di ragionevolezza, incidono negativamente sulla funzione di prevenzione generale, perche' denunciano casualita' ed eccentricita' dell'incriminazione. 6.2. Per quanto riguarda la scelta in favore della sola pena pecuniaria, quando si riferisca a delitti (multa), risulta del tutto positiva, ed anzi da incrementare ben oltre gli angusti limiti entro i quali si e' finora mantenuta. La diffidenza storica verso questo tipo di sanzione, riservata un tempo ad ipotesi di minima gravita', appare oggi assai meno plausibile. Gli interventi normativi succedutisi in questi ultimi anni hanno infatti potenziato l'adeguamento della sanzione alle condizioni economiche del condannato (17), riducendo le sperequazioni per eccesso o per difetto ed i rischi di conversione (che, d'altronde, non si opera piu' nella pena detentiva di specie corrispondente, ma in liberta' controllata o in lavoro sostitutivo) (18). I vantaggi della pena pecuniaria rispetto alla pena detentiva risultano pertanto esaltati, e corrispondentemente ridotta deve essere l'area a quest'ultima riservata, identificabile nelle sole ipotesi in cui la gravita' dell'illecito sia particolarmente elevata, ed assolutamente indispensabile appaia il ricorso alla detenzione. Nel caso delle contravvenzioni, occorre tuttavia tenere presente che la comminatoria della sola pena dell'ammenda implica il diritto di oblazione da parte del reo, con la conseguente estinzione del reato (art. 162 c.p.). Si tratta di un'eventualita' perfettamente funzionale ad un sistema in cui la qualificazione contravvenzionale doveva anche supplire alla mancanza di una figura di illecito amministrativo generale. La facolta' di oblazione corrispondeva cosi' alle ridottissime esigenze punitive di violazioni collocate al livello piu' basso. Attualmente, data la disponibilita' di una qualificazione in termini di violazione amministrativa, l'idea di una minima gravita' dell'illecito risulta in patente contraddizione con la sua persistente qualificazione penale. La prevenzione di contravvenzioni punibili con la sola pena dell'ammenda deve pertanto essere esclusa, a meno che non si ritenga di negare espressamente l'applicabilita' dell'art. 162 c.p., assoggettando la contravvenzione al diverso tipo di oblazione prevista dall'art. 162-bis c.p. (19), la quale e' subordinata all'assenza di determinate condizioni ostative e puo' essere concessa o rifiutata dal giudice "avuto riguardo alla gravita' del fatto". 6.3. Ben poco plausibile (e pertanto da sconsigliare) appare infine la comminatoria congiunta di una pena detentiva e di pena pecuniaria, che corrisponde ad un'idea estremamente antiquata della pena pecuniaria, concepita quale "supporto ancillare" della pena detentiva nei reati determinati da intento di lucro (20) o lesivi di interessi patrimoniali. In realta', l'aggiunta della pena pecuniaria a quella detentiva risulta inutile sotto il profilo della prevenzione generale (essendo la forza intimidatoria del precetto interamente assorbita dalla pena detentiva) e dannosa sotto quello della prevenzione speciale (in quanto, stante l'attuale disciplina dell'art. 163 c.p., sulla sospensione condizionale della pena, la presenza della pena pecuniaria puo' determinare il superamento dei limiti di pena per la concedibiiita' di detto beneficio, e la necessita' di eseguire la detenzione, anche in ipotesi in cui questa necessita' risulti del tutto insussistente). Parte II CRITERI ORIENTATIVI PER LA FORMULAZIONE DELLE FATTISPECIE PENALI Capo I Criteri concernenti la forma esteriore culla disposizione 1. I criteri orientativi concernenti la forma esteriore della disposizione possono essere suddivisi in due categorie, a seconda che riguurdino: a) l'espressione verbale e sintattica della disposizione; b) l'articolazione, distribuzione e collocazione delle disposizioni. 2. Alla prima categoria sono riconducibili tre indicazioni generali. La prima indicazione generale consiste nell'ovvia raccomandazione di fare un uso linguisticamente corretto delle parole (1), soprattutto nell'ipotesi in cui siano impiegati od impiegabili termini "tecnici". S'intendono per tali non solo quelli oggetto di definizioni legislative o di uso legislativo consolidato, ma anche quelli di significato pacifico in dottrina e giurisprudenza. E' pertanto da evitare tanto l'uso di espressioni che, pur essendo dotate di un preciso significato tecnico, vengono invece utilizzate nella loro accezione "laica" (2), quanto, al contrario, l'uso di espressioni "laiche" - anche se spesso piu' sintetiche - quando esistono termini tecnici per designare lo stesso contenuto concettuale (3). La seconda indicazione riguarda le cosiddette rubriche, premesse al testo degli articoli. E' opportuno raccomandarne l'uso generalizzato in quanto esse possono consentire una piu' agevole e rapida individuazione delle disposizioni, facilitandone la ricerca soprattutto quando si tratti di provvedimenti legislativi composti di articoli numerosi e non raggruppati in "capi" o "sezioni" (v. infra, 3.2.). E' chiaro peraltro che i vantaggi che in questa direzione possono offrire le rubriche sono proporzionali alla loro capacita' espressiva del contenuto dell'articolo al quale sono premesse (4). La terza indicazione riguarda l'opportunita' di formulare le disposizioni mediante "periodi" brevi e soprattutto senza la presenza di "incisi" o subordinate troppo numerose. D'altra parte, dovrebbe essere evitato quanto piu' possibile l'inserimento di piu' periodi nello stesso comma. Siffatta tecnica di formulazione dovrebbe essere riservata alle ipotesi di stretta interdipendenza tra contenuti normativi reciprocamente complementari. 3. La seconda categoria di criteri relativi alla forma esteriore delle disposizioni comprende le indicazioni concernenti la loro articolazione, distribuzione e collocazione. 3.1. E' sempre piu' frequente l'eventualita' di articoli composti da un elevato numero di commi. E' questo un fenomeno da scoraggiare per l'indubbia difficolta' e disorientamento che produce nella ricerca della singola disposizione e per la connessa sensazione di disagevole dominio della materia. In via preliminare, il raggruppamento di numerose disposizioni in un unico articolo presuppone una compiutezza logica e normativa della materia disciplinata. In ogni caso, e' raccomandabile che le disposizioni descriventi i comportamenti oggetto dei precetti penali, contenenti cioe' le fattispecie incriminatrici, non siano affastellate con nugoli di disposizioni "accessorie" (es. circostanze, conseguenze sanzionatorie ulteriori, prescrizione, ecc.). Quando la regolamentazione relativa ad una determinata fattispecie criminosa venga ad impegnare numerose disposizioni, e' opportuno articolare la disciplina in modo che almeno il precetto fondamentale, eventualmente insieme alle fattispecie circostanzianti, sia contenuto in un articolo a se' stante. 3.2. I correttivi prospettabili allorche' si profili comunque l'eventualita' di numerose disposizioni unitariamente raggruppabili in unico articolo tuttavia eccessivamente prolisso, sono due. Quello, minimale, costituito dalla numerazione progressiva dei commi; quello, piu' radicale, di frazionare la regolamentazione in piu' articoli. Il pnmo accorgimento, ormai in via di generale accoglimento tra i criteri di redazione di atti normativi (5), non deve pero' favorire una piu' frequente rinuncia a ricorrere al secondo correttivo, costituito dal frazionamento in piu' articoli, che e' invero soluzione particolarmente raccomandabile. All'evidente rischio implicito in questa soluzione di una eccessiva "polverizzazione" della disciplina, si puo' rimediare mediante un'accorta utilizzazione delle rubriche premesse ai singoli articoli e degli intitolati di "Capi" o "Sezioni" corrispondenti a gruppi di articoli. A quest'ultimo proposito giova ricordare che il "Capo" costituisce l'insostituibile unita' di raggruppamento degli articoli, nel senso che da un lato la "Sezione" puo' essere utilizzata solo come unita' di raggruppamento interna al "Capo", dall'altro il "Titolo" puo' essere utilizzato solo come unita' di raggruppamento di "Capi". 3.3. Accorgimenti particolari sono raccomandabili nell'utilizzazione di norme definitorie. Esse possono essere correttamente inserite all'interno di un articolo contenente altre disposizioni alla duplice condizione che il testo dell'articolo non diventi eccessivamente prolisso e che vi sia la necessaria stretta pertinenza tra la norma definitoria e il restante contenuto normativo dell'articolo. Diversamente, la collocazione delle norme definitorie deve obbedire al criterio della stretta contiguita' rispetto alle disposizioni cui le prime si riferiscono. E' altresi' opportuno che nella rubrica dell'articolo che le contiene sia evidenziata la natura definitoria della norma ivi collocata. 3.4. In ogni caso deve essere evitato che norme destinate ad integrare la disciplina di determinati settori normativi siano introdotte con provvedimenti legislativi concernenti settori tutt'affatto diversi (c.d. norme "intruse")(6). La presenza della norma "intrusa" dovrebbe comunque essere quanto meno segnalata dalla rubrica dell'articolo che la contiene e dallo stesso titolo della legge. 3.5. L'ultima indicazione concerne l'ipotesi molto frequente in cui una organica disciplina extrapenale sia corredata di norme penali in funzione sanzionatoria e rafforzativa. In linea di principio, le disposizioni penali possono essere collocate distribuendole nel "corpo" dei vari articoli in cui sono formulati gli specifici precetti che le prime corredano di sanzione penale, ovvero possono essere raggruppate in uno o piu articoli finali (c.d. clausole sanzionatorie finali) (7). Quest'ultima tecnica, pero', richiede che si presti molta attenzione alla esattezza dei rinvii (interni alla stessa legge), evitando altresi' "rinvii in blocco" (v. infra, par. 7.1) che implicano il rischio elevato di un appiattimento della risposta sanzionatoria per fatti sostanzialmente eterogenei e di diverso disvalore (8). Capo II Criteri concernenti l'individuazione del contenuto non-nativo 4. I criteri orientativi di carattere contenutistico sono diretti ad agevolare una formulazione delle disposizioni penali che consenta una soddisfacente individuazione del contenuto normativo. La loro inosservanza e' all'origine dei piu' gravi inconvenienti nell'interpretazione e applicazione delle leggi, come l'impossibilita' o difficolta' di "afferrare" il contenuto normativo, gli scoordinamenti, contraddizioni o antinomie tra norme o istituti tra di loro interferenti, le lacune di disciplina. Purtroppo non esiste un univoco rapporto di effetto a causa - neppure sul piano puramente statistico - tra siffatti gravi inconvenienti e specifiche tecniche di formulazione del testo della disposizione. Cosi' che sarebbe illusorio credere di eliminare radicalmente quegli inconvenienti formulando raccomandazioni sul non uso, o un diverso uso, di determinate tecniche di formulazione della disposizione. Ed invero, come l'inafferrabilita' del contenuto normativo puo' derivare da un mero errore nella formulazione verbale o sintattica della disposizione (9), cosi' lo scoordinamento o contraddizione tra norme o istituti interferenti puo' derivare da un'incompleta ricognizione della preesistente e connessa disciplina (10), cosi' come infine una lacuna puo' derivare da semplice dimenticanza (11). Tuttavia, cio' non esclude che siano proponibili taluni criteri orientativi sufficientemente specifici e potenzialmente idonei a ridurre le difficolta' di interpretazione e applicazione delle norme penali. 5. Il primo criterio orientativo prospettabile e' quello di evitare, nella formulazione della fattispecie penale, l'impiego di espressioni indeterminate. Il legislatore penale ha il dovere di procedere al momento della creazione della norma, ad una precisa determinazione della fattispecie legale, affinche' risulti tassativamente stabilito cio' che e' generalmente lecito e cio' che e' penalmente illecito (nullum crimen sine lege poenali scripta et strida). Il principio di tassativita' (o sufficiente determinatezza della fattispecie penale), pur non essendo espressamente sancito nella nostra Costituzione (a differenza che in altri Paesi), puo' ritenersi un implicito corollario dei principi di riserva di legge e di irretroattivita' posti dall'art. 25, comma secondo, della Costituzione. La funzione garantista di questa disposizione costituzionale sarebbe infatti frustrata se, per la indeterminatezza della fattispecie, non fosse possibile stabilire a priori cio' che e' vietato e cio' che e' permesso. L'indeterminatezza puo' verificarsi a causa di' eccessiva onnicomprensivita' della realta' rappresentata ovvero di insufficiente capacita' di rappresentare la realta' stessa. Espressioni del primo tipo sono quelle caratterizzate da un grado di estensione tale da designare realta' tra loro profondamente diverse o addirittura eterogenee quanto a disvalore (12). Con la conseguenza di rendere necessarie operazioni interpretative dirette a meglio delimitare il contenuto normativo della disposizione senza pero' che siano offerte sufficienti indicazioni da parte del segno linguistico. Espressioni del secondo tipo sono quelle che soffrono di una carenza di conoscenze relative alla realta' designata, cosi' da impedirne una rigorosa concettualizzazione (13); ovvero quelle che mutuano espressioni linguistiche da linguaggi caratteristici di aree conoscitive in cui non sussistono analoghe esigenze di determinatezza come ad esempio linguaggi sociologici od economico-politici (14); oppure infine le espressioni valutative, anche di uso comune e corrente, allorche' i parametri cui esse rimandano per l'individuazione della realta' rappresentata non presentino un sufficiente grado di uniformita' o consolidamento (15). 5.1. Un caso non infrequente di indeterminatezza della fattispecie penale dipende dall'uso di espressioni "quantitative", quando il parametro al quale occorre riferirsi per accertare la sussistenza o meno dell'elemento quantitativo, non solo non e' espresso dalla legge, ma non e' neppure ricavabile in via di interpretazione, in particolare a causa della "estraneita'" o "lontananza" tra l'elemento quantitativo medesimo e ratio legis (16). Cosi' che, in sede applicativa, si apre la scelta tra piu' parametri di quantificazione tutti diversi. Si tratta dunque di ipotesi di legiferazione "apparente", che vanno evitate mediante determinazione legislativa dei parametri di quantificazione, peraltro da esprimere non necessariamente in forma numerica. 5.2. Uno strumento capace di attenuare le insufficienze di determinatezza e' costituito dalle definizioni legislative, di cui hanno fatto uso taluni codici e progetti europei. Tuttavia, l'uso di definizioni deve essere assai cauto nella legislazione penale. Infatti, da un lato, essendo esse costituite di parole, non e' escluso che riproducano motivi di ulteriori incertezze derivanti dalla necessita' della loro interpretazione; dall'altro, rischiano di irrigidire eccessivamente una disciplina non suscettibile di analogia e - alla lunga - di introdurre elementi di eccessiva "formalizzazione" del linguaggio legislativo penale. Tali definizioni possono rivelarsi invece opportune la' dove il segno linguistico (da definire) designi un'estensione concettuale con un margine di incertezza cosi' ampio da creare disorientamenti giurisprudenziali (17); oppure allorquando la realta' storico-sociale offra, piu' numerosi e rilevanti che per l'innanzi, casi di incerta qualificazione alla stregua della legge esistente, cosi' da rendere necessaria una "presa di posizione" del legislatore al riguardo (18). 6. Particolare attenzione e cautela meritano i casi in cui si formuli un elenco di diverse previsioni (es.: piu' condotte criminose) raggruppate in un'unica disposizione (tecnica elencativa). In questi casi occorre chiedersi se la norma penale debba applicarsi tante volte quante sono le ipotesi concretamente realizzate o invece una sola volta, qualunque sia il numero di realizzazioni. Occorre cioe' fornire chiari elementi all'interprete sul punto se l'elencazione riflette una pluralita' di contenuti normativi autonomi (caso delle c.d. disposizioni a piu' norme) ovvero un unico contenuto normativo (caso delle c.d. norme a piu' fattispecie) (19). Quando piu' previsioni sono contenute in una sola proposizione (20), l'elencazione va, di regola, intesa come espressione di norma a piu' fattispecie. Il problema rimane aperto, invece, quando le norme sono collocate in commi, lettere o numeri distinti. E' opportuno, in quest'ultima ipotesi, che il legislatore adotti formulazioni idonee ad esprimere la propria volonta', come per esempio, l'utilizzazione di rubriche indicative della pluralita' di norme ovvero l'impiego di articoli diversi. 6.1. All'interno delle elencazioni utilizzate per la formulazione di norme dal contenuto sostanzialmente unitario, occorre distinguere tra elencazioni tassative ed elencazioni esemplificative. L'elencazione tassativa non pone problemi di ordine applicativo, ma puo' creare il periodo di lacune (21). Pericolo tanto piu' elevato quanto piu' generica e' la ratio che sorregge la formulazione dell'elenco e, quindi, piu' debole la sua forza unificante rispetto alla eterogeneita' - sotto altri e prevalenti punti di vista - dei dati da inserire nell'elenco, che possono quindi piu' facilmente sfuggire alla percezione del legislatore. Pertanto, se dal punto di vista della correttezza tecnica di formulazione non esistono controindicazioni all'impiego della elencazione tassativa, tutttavia occorrera' che il legislatore valuti attentamente la completezza dell'elencazione stessa. 6.2. L'elencazione e' esemplificativa quando l'interprete e' autorizzato a ricavare il contenuto normativo mediante gli elementi inseriti nell'elenco, ma oltre di essi. Si tratta di tecnica di formulazione estremamente delicata, che puo' tuttavia rivelarsi corretta ed utile a condizione che sia utilizzata non in forma pura ma esplicativa. L'esemplificazione puo' dirsi "pura" quando il testo legislativo non contiene una espressione concettuale sintetica della realta' analiticamente ma incompletamente rappresentata dall'elencazione e, quindi, l'interprete e' chiamato a individuarla autonomamente (22). L'esemplificazione puo' dirsi "esplicativa" quando la disposizione contiene una espressione concettuale sintetica della realta' rappresentata dall'elencazione, cosi' che quest'ultima costituisce un mezzo di ausilio per la migliore individuazione di un contenuto normativo gia' interamente espresso nella disposizione legislativa (23). 7. Molto frequentemente la formulazione di una norma avviene mediante il richiamo ad altre disposizioni, contenute nello stesso o in diverso atto normativo (rinvio c.d. interno nel primo caso e c.d. esterno nel secondo caso). Si tratta della tecnica di formulazione fonte delle maggiori difficolta' ed inconvenienti in sede di individuzione dell'effettivo contenuto normativo della disposizione in tal modo formulata. Cosi' che occorre la massima cautela da parte del legislatore, che, non potendone fare a meno, si accinga ad utilizzare una tale tecnica. 7.1. Giova innanzitutto segnalare alcune tecniche di rinvio particolarmente infelici, e quindi da evitare il piu' possibile: a) rilevanti rischi per la corretta individuazione del contenuto normativo sono insiti nel c.d. rinvio generico: si fa richiamo un gruppo di norme complessivamente individuate, ma questa individuazione avviene a mezzo di espressioni non tecniche, e pertanto necessariamente imprecise (24). Occorre, invece, che le disposizioni richiamate siano indicate con i loro estremi; b) le esigenze di disciplina possono rendere necessario il richiamo di un gruppo anche vasto di disposizioni normative (da individuarsi con modalita' tecniche, e non genericamente, come si e' detto): c.d. rinvio in blocco. Occorre, in questo caso, verificare se tale rinvio sia assolutamente necessario, ovvero se tra le numerose disposizioni richiamate individuabili quelle alle quali il rinvio va limitato. Gli inconvenienti del rinvio in blocco sono di duplice ordine. In primo luogo, con la tecnica del rinvio in blocco viene a soffrire l'"evidenza", la immediata conoscibilita' della norma, che, soprattutto quando configura un precetto penale, dovrebbe avere come principale obiettivo la sua immediata comprensibilita'. In secondo luogo, possono verificarsi inconvenienti sul piano della stessa ricostruzione della fattispecie penale. Il rinvio in blocco, infatti, non sempre seleziona tra le norme richiamate quelle che siano effettivamente, da un punto di vista meramente logico oppure anche valutativo, consentanee alla struttura o alla ratio della norma richiamante (25). Pertanto, in siffatti ipotesi, l'opera di selezione all'interno delle norme richiamate deve essere effettuata dall'interprete, risultando in pratica carente di contenuto significativo la clausola di rinvio in blocco utilizzata dalla norma richiamante. Gli inconvenienti possono essere evitati individuando singolarmente per mezzo dei loro estremi le norme nchiamate o addirittura formulando interamente la fattispecie nella norma richiamante, ovvero possono essere attenuati piu' semplicemente utilizzando espressioni capaci di individuare con sufficiente esattezza le categorie di norme alle quali si intenda effettuare il richiamo; c) occorre, infine, evitare il rinvio "a catena", che si ha quando si richiama una disposizione che, a sua volta, rinvia ad altra disposizione. Esso, anche se non impedisce necessariamente l'esatta individuazione del contenuto normativo, costringe l'interprete ad una defatigante "rincorsa" di disposizioni, in stridente contrasto con le esigenze di conoscibilita' delle norme (26). 7.2. Al di la' dei tipi di rinvio da evitare, occorre essere consapevoli che e' la tecnica di rinvio in se' a presentare diversi inconvenienti, sul piano sia della conoscibilita' della norma, sia della individuazione del contenuto normativo. Sotto quest'ultimo aspetto, va tenuto presente che il rinvio ad altra disposizione non solo recepisce il testo della disposizione richiamata come esso risulta a seguito di tutte le eventuali successive modificazioni ed integrazioni intervenute antecedentemente alla disciplina che opera il rinvio, ma altresi', in linea di principio si adegua automaticamente alle modifiche che la disposizione richiamata subisca in epoca successiva (27). Di conseguenza, una fattispecie penale che sia descritta facendo rinvio ad altre disposizioni e' suscettibile di variare imprevedibilmente in conseguenza delle modifiche che subisca la disposizione richiamata, le quali vengono normalmente operate in considerazione delle peculiari esigenze della disciplina d'origine, mentre non e' facile che si tenga anche conto delle successive disposizioni che a quella disciplina hanno fatto rinvio. Il rischio di adeguamenti automatici inconsapevoli che puo' subire, nel corso del tempo, la norma di rinvio induce a concludere, in linea generale, per l'inopportunita' della tecnica di rinvio soprattutto nella descrizione degli elementi della fattispecie criminosa. 7.3. Le osservazioni fatte nel precedente paragrafo danno conto, altresi', della inutilita' della formula con la quale il rinvio viene esteso alle "successive modificazioni" ed eventuali integrazioni dell'atto normativo richiamato principaliter. Caratteristica del rinvio e' quella di richiamare la disciplina vigente come risultante appunto dalle modificazioni ed integrazioni successivamente intervenute. Ma l'uso della formula qui considerata, tenendo a diventare di stile, oltre che inutile, puo' risultare errato o dannoso. Cosi' ad esempio quando - nonostante il richiamo di stile alle successive modificazioni - queste ultime non vi siano state, oppure quando non tutte le "successive modificazioni" si rivelino coerenti e conciliabili con il testo, il sistema o lo spirito dello stesso atto normativo che le richiama (28). O infine, quando, pur esistendo delle successive modificazioni, il legislatore abbia casualmente omesso di richiamarle, perche' in questo caso l'interprete potrebbe essere indotto a ritenere che il rinvio si limiti eccezionalmente ai contenuti normativi risultanti dal testo originario delle disposizioni richiamate. L'eliminazione della formula di rinvio alle "successive modificazioni" non esclude la necessita' di accertare, nel momento in cui si redige il rinvio, se la disposizione richiamata abbia o meno subito modifiche, sia per la ovvia consapevolezza sul disposto normativo che viene richiamato, sia per l'osservanza dell'art. 8 della legge 11 dicembre 1984, n. 839, secondo cui "quando una legge ovvero un decreto o altro atto normativo contenga rinvii numerosi o comunque complessi a preesistenti disposizioni normative, Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero per i decreti e gli altri atti, il Ministro competente per materia trasmette, unitamente alla legge o all'atto da pubblicare, il testo delle norme alle quali e' operato il rinvio. Queste norme sono pubblicate, per informazione, nella Gazzetta Ufficiale unitamente alla legge, al decreto o all'atto normativo" (29). E ovvio, infatti, che la Gazzetta Ufficiale debba pubblicare il testo della norma alla quale e' operato il rinvio come risultante a seguito di tutte le modifiche intervenute sino all'approvazione della disposizione richiamante. 7.4. In materia penale, si suole distinguere il rinvio quoad poenam da quello quoad factum, i quali hanno conseguenze profondamente diverse. Nel contesto dell'invito a ridurre il piu' possibile il ricorso alla tecnica del rinvio, va sottolineata la necessita' - qualora a questa tecnica si debba fare ricorso - di utilizzare espressioni capaci di indicare in modo univoco se il rinvio sia solo alla pena o anche al fatto e, in secondo luogo, che il legislatore faccia un uso consapevole di tali formule in vista degli effetti che intende perseguire (30). Il rinvio quoad poenam puo essere chiaramente formulato mediante la dizione: "e' punito con la pena prevista dall'articolo ...". In siffatta ipotesi, peraltro, il rinvio e' facilmente sostituibile con la indicazione diretta e completa della pena comminata con vantaggi di chiarezza e di certezza normativa, in quanto, come si e' detto (par. 7.2), la fattispecie cosi formulata non viene a risentire di tutte le successive vicende legislative subite dall'articolo al quale si sarebbe fatto il richiamo. Il rinvio quoad factum puo' essere formulato in modo chiaro con l'espressione: "... Si applicano le disposizioni dell'articolo (o degli articoli) ..." (31). Siffatto tipo di rinvio comporta che la fattispecie configurata dalla disposizione che opera il rinvio deve essere integrata con quella richiamata; e questa integrazione e' sovente fonte di incertezze interpretative (32). Esigenze di certezza consigliano, pertanto, di procedere ad una riformulazione del precetto, evitando anche in questo caso il ricorso alla tecnica del rinvio, pur se l'operazione e' meno facile di quella consigliata in relazione al rinvio quoad poenam. Una esigenza di semplificazione di redazione testuale puo' rendere opportuno il rinvio solo quando si tratta di estendere la complessiva disciplina (e non solo, quindi, quella della pena principale) dettata per una o piu fattispecie ad altra figura criminosa rispetto alla quale essa si ritenga congruente. Fermo il presupposto di una compiuta ed autonoma formulazione del fatto tipico, a tale risultato si puo' giungere utilizzando una formula del tipo "si applicano le disposizioni degli articoli ...", con l'indicazione degli articoli in cui e' contenuta la disciplina della fattispecie di riferimento; oppure piu' sinteticamente una formula del tipo "si osserva la disciplina stabilita per il reato previsto dall'articolo ...". 8. Considerazione a parte merita l'ipotesi in cui il rinvio venga effettuato non gia' ad una disposizione vigente, ma a disposizione di provvedimento futuro. In tal caso il rinvio e' ovviamente ineliminabile. Allorquando il rinvio e' a norme future e di rango inferiore alla legge, il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25, comma secondo, della Costituzione) impone che la fattispecie sia formulata in modo da escludere un contributo preponderante delle fonti sub-primarie nella individuazione del contenuto normativo. La Corte costituzionale - come noto - ha in proposito consolidato una giurisprudenza in base alla quale occorre e basta che sia contenuta in una fonte legislativa una "sufficiente specificazione dei presupposti, caratteri, contenuto e limiti dei provvedimenti dell'autorita' non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena" (33). Tale principio sembra adattarsi principalmente all'ipotesi in cui la norma penale rinvii ad un provvedimento amministrativo nel quale si concretizza di volta in volta il precetto. Ma si attaglia anche all'ipotesi in cui la norma penale intenda munire di sanzione indiscriminatamente - mediante un rinvio "in blocco" - tutti i precetti generali contenuti in una fonte regolamentare che detta norma richiama univocamente. Cio' sempre alla condizione naturalmente che anche i precetti regolamentari trovino "in una legge determinazioni sufficienti al soddisfacimento del principio di legalita'" (34), come di solito dovrebbero trovare quando siano contenuti in un regolamento esecutivo. Ipotesi diversa e difficilmente conciliabile col principio della riserva di legge, e quindi come tale da evitare, e' quella in cui la legge nel determinare la sanzione lasci tuttavia alla fonte subordinata l'individuazione di quali tra le infrazioni regolamentari dovranno essere assoggettate a pena. Sicuramente inconciliabile con la riserva di legge in materia penale sarebbe, infine, la riorma che, stabilita la specie della pena e i suoi limiti estremi, affidasse alla fonte regolamentare la scelta della misura edittale in rapporto ad ogni singola violazione sanzionata. Simili preclusioni sono agevolmente ricavabili dal principio affermato dalla Corte costituzionale, in base al quale "le leggi dello Stato (....) non possono rimettere ad altre autorita' di determinare in via normativa, a propria scelta, se sanzionare o no penalmente certe infrazioni, e se sanzionarle in una misura e con certe modalita', piuttosto che diversamente. La normazione sulle pene deve percio', considerarsi propria ed esclusiva della legislazione statale, la quale non puo' mai abdicarvi, neppure per aspetti marginali" (35). Note alla parte I: (1) La circolare della Presidenza del Consiglio gia' richiamata nel testo, oltre a contenere i criteri orientativi per la scelta tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, detta - nell'ultima parte (par. 4) - i c.d. canoni modali di previsione dell'illecito amministrativo punitivo, e cioe' alcune regole attinenti alla formulazione delle fattispecie di illecito amministrativo (ed alla determinazione della relativa sanzione). Queste regole vanno, integrate con quelle desumibili dalla seconda parte della presente circolare. (2) Si tratta dell'ergastolo della reclusione e della multa, per i delitti, e dell'arresto e dell'ammenda per le contravvenzioni (art. 17 c.p.). (3) L'art. 162 c.p. prevede il diritto dell'imputato ad ottenere la oblazione delle contravvenzioni punite con la sola ammenda; l'art. 162-bis c.p. (introdotto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689) prevede la possibilita' per il giudice, qualora non sussistano determinate condizioni ostative, di ammettere l'oblazione, e cioe' l'estinzione mediante il pagamento di una somma di denaro, delle contravvenzioni punite con arresto o ammenda. (4) L'ipotesi che un determinato delitto possa essere punito quando sia commesso (anziche' con dolo) con colpa, deve essere prevista espressamente dalla legge (art. 42, secondo comma c.p.). (5) Si possono ricordare, a mero titolo di esempio, diverse contravvenzioni del codice penale concernenti l'incolumita' pubblica (art. 673 e seguenti): le disposizioni in tema di prevenzione antinfortunistica e di igiene dell'attivita' lavorativa; le disposizioni sulla circolazione stradale; le disposizioni relative all'igiene degli alimenti; le disposizioni in tema di costruzione antisismiche, e cosi' via. (6) Sempre a titolo di esempio si possono citare le disposizioni in tema di stampa e stampati (articoli 662 e 664 c.p.), di attivita' commerciali, industriali, di pubblici spettacoli, di stranieri, e cosi' via. (7) Vedi ad es. gli articoli 665 (esercizi pubblici non autorizzati o vietati), 667 e 668 c.p. (rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive). (8) Vedi ad es. gli articoli 650, 651 e 652 c.p. (inosservanza di provvedimenti delle autorita'). (9) Vedi ad es. l'art. 731 c.p. (inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori). (10) Collegata con la punibilita' della contravvenzione anche a titolo di colpa e' la rilevanza riconosciuta nelle sole contravvenzioni ad una scusante particolare, la c.d. buona fede. Si tratta di una scusante (frutto di una secolare elaborazione giurisprudenziale), la quale si risolve in pratica nella rilevanza attribuita ad errori di diritto incolpevoli, perche' indotti da circostanze idonee a radicare nell'agente il positivo convincimento di tenere una condotta legittima (parere reso in qualsiasi forma dalla pubblica amministrazione interpellata dal privato; precedente assoluzione perche' il fatto non e' preveduto dalla legge come reato; tolleranza protratta dalla pubblica amministrazione rispetto a comportamenti portati a sua conoscenza). Questo atteggiamento giurisprudenziale appare particolarmente plausibile quando l'intreccio di disposizioni normative su cui si innesta la norma incriminatrice, e ch'essa in varia guisa recepisce o presuppone, sia tale da imporre una congrua valutazione della loro effettiva conoscibilita' in concreto da parte dell'agente. E fenomeni di questo tipo interessano constantemente sia le contravvenzioni di carattere preventivo-cautelare, sia quelle concernenti la disciplina di attivita' soggette ad un potere amministrativo. Nessuna giustificazione potrebbe, invece, invocarsi per l'applicazione della c.d. buona fede ad ipotesi contravvenzionali connotate, rispetto ai delitti, soltanto in termini di minore gravita'. (11) Sono operanti, quindi anche nella scelta tra delitti e contravvenzioni, il principio di proporzione (tra gravita' dell'illecito e trattamento sanzionatorio) ed il principio di sussidiarieta' (che porta a preferire l'intervento sanzionatorio meno dannoso per l'autore dell'illecito purche' esso sia sufficientemente efficace), i quali costituiscono i parametri fondamentali di scelta nell'opzione tra reato e violazione amministrativa (paragrafi 2 e 3 della circolare citata nella premessa e nella nota 1). (12) Si ribadisce che le considerazioni esposte in questo e nel paragrafo successivo presuppongono che, per i due tipi di illecito ai quali si fa riferimento si sia gia' scartata la scelta del trattamento sanzionatorio costituito dall'illecito amministrativo. (13) E' quanto accade, ad es., per la fattispecie delittuosa dell'art. 437 c.p. (rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro), in relazione alla quale e' prevista anche la forma colposa, sia pure non perfettamente coordinata a quella dolosa (art. 451 c.p.). (14) L'ipotesi indicata nel testo sembra ricorrere nell'art. 9, commi primo e secondo, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423,come modificati dall'art. 12 della legge 13 settembre 1982, n. 646, in tema di inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale: il comma primo punisce con l'arresto questa inosservanza, il comma secondo commina la reclusione quando la stessa inosservanza riguarda la sorveglianza speciale con l'obbligo o il divieto di soggiorno. (15) Secondo l'art.9 del regio decreto 28 maggio 1931, n. 601 (Disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale) "quando per il concorso di una o piu' circostanze la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria stabilita per il reato, per determinare se si tratta di delitto ovvero di contravvenzione non si ha riguardo alla pena ordinaria, ma a quella di specie diversa". Non e' chiaro se il riferimento alla pena di specie diversa valga comunque, o soltanto nell'ipotesi in cui ricorra in concreto la circostanza che ne fonda l'applicazione. Nel primo caso il reato sarebbe da considerare sempre quale risulta dalla pena comminata in relazione alla circostanza; nel secondo caso, ciascuna ipotesi (quella base o quella circostanziata) conserverebbe la qualificazione sua propria in base alla pena prevista. (16) Il concorso eterogeneo di circostanze si ha quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti. In tal caso il giudice effettua un giudizio di comparazione tra le stesse, dando prevalenza ed applicando le sole aggravanti e le sole attenuanti, ovvero considerando le une equivalenti alle altre ed irrogando pertanto la pena che avrebbe inflitto ove non si fossero state circostanze. (17) V. l'art. 133-bis c.p., introdotto dall'art. 100 della legge 24 novembre 1981, n. 689, secondo il quale il giudice, nel determinare l'ammontare della pena pecuniaria, deve tener conto "anche delle condizioni economiche del reo" (comma primo). V. inoltre l'art. 133-ter c.p., pure introdotto dall'art. 100 della legge citata, in tema di pagamento rateale della multa o dell'ammenda. (18) Cfr. gli articoli 102, 105, 107, 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689. (19) In tal senso l'art. 127 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ha stabilito l'applicabilita' dell'art. 162-bis ad una serie di contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda (in materia di disciplina degli alimenti per la prima infanzia e dei prodotti dietetici; di inquinamento atmosferico; di impiego pacifico dell'energia nucleare; di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di igiene del lavoro). (20) Cfr. art. 24, comma secondo, c.p. Note alla parte II (1) L'art. 58, comma terzo, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), si parla di "pena erogata", volendo evidentemente alludere alla "pena irrogata" dal giudice. (2) Gli articoli 77 e seguenti sempre della legge 24 novembre 1981, n. 689, parlano di "applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato", mentre com'e' noto nel linguaggio del c.p.p. la "richiesta" dell'imputato prende il nome di "istanza" (v. ad esempio articoli 80, 145, 305 e 372 c.p.p.). (3) Un esempio di norma in cui il legislatore ha fatto uso di un termine "laico" in modo del tutto improprio rispetto al fenomeno giuridico che intendeva designare, con gravi conseguenze inoltre sul piano della certezza, e' costituito dall'art. 26, comma primo, della legge 10 maggio 1976 n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento). Vi si legge infatti tra l'altro che "sono abrogate tutte le altre norme che, direttamente o indirettamente, disciplinano la materia degli scarichi in acque, sul suolo o nel sottosuolo e del conseguente inquinamento". Orbene, la nozione di una "disciplina indiretta", soprattutto con riferimento alle norme penali incriminatrici, e' del tutto estranea al fenomeno tecnico della sussumibilita' o meno di un'ipotesi particolare (di inquinamento) in una fattispecie astratta. (4) Di espressivita' evidentemente assai modesta sono le rubriche anteposte al testo degli articoli 71 e 72 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), che suonano rispettivamente "Attivita' illecite" e soprattutto - "Altre attivita' illecite". (5) V. in questo senso il paragrafo 2.4 della circolare Presidenza del Consiglio dei Ministri del 19 dicembre 1984 (in Gazzetta Ufficiale n. 35 del 27 dicembre 1984), che espressamente suggerisce che "ogni ufficio ministeriale, quando redige il testo di un disegno di legge ovvero di uno schema di decreto legislativo o di regolamento, provveda a numerare i commi che compongono un articolo, secondo le modalita' che risultano dai decreti-legge emanati nei tempi recenti". (6) Si veda ad esempio l'art. 5 della legge 31 luglio 1984, n. 400, che fornisce una definizione legislativa - prima inesistente - di "circostanza ad effetto speciale", destinata a riflettersi sull'intera complessa disciplina delle circostanze, inserendo detta definizione tra "nuove norme sulla competenza penale e sull'appello contro le sentenze del pretore". Cfr. anche la legge 4 giugno 1985, n. 281 (Disposizioni sull'ordinamento della Commissione nazionale per le societa' e la borsa; norme per l'identificazione dei soci delle societa' con azioni quotate in borsa e delle societa' per azioni esercenti il credito; norme di attuazione delle direttive CEE n. 79/279, n. 80/390 e n. 82/121 in materia di mercato dei valori mobiliari e disposizioni per la tutela del risparmio), il cui art. 25 sostituisce il secondo comma dell'art. 64 c.p.c. introducendo il reato di "colpa grave del consulente tecnico nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti". (7) Singolare e' che in una stessa legge, la legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), siano usate entrambe le tecniche. Da un Iato, infatti, le disposizioni penali, munite di un compiuto sistema sanzionatorio sono poste neiiart. 38 a chiusura della legge e con richiamo esplicito agli articoli precedenti per l'individuazione del precetto. Dall'altro, all'art. 33 la sanzione penale e' prevista nel corpo della disposizione sanzionatona, senza che peraltro vi fosse necessita' di differenziare le due situazioni, poiche' le sanzioni comminate dall'art. 33, comma dodicesimo, sono le stesse dell'art. 38, al quale in effeti il primo articolo rinvia. (8) Rinvio "in blocco" si ha quando si prevede una identica sanzione per tutte le violazioni alle disposizioni di una determinata legge. (9) Ad esempio, l'art. 24 della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patnmoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), contiene un richiamo all'art. 17 della stessa legge, che appare privo di un senso e che deve piuttosto intendersi effettuato all'art. 16 sempre della stessa legge. Anche l'art. 59, comma secondo, della legge 24 novembre 1981, n. 689, quando disciplina i precedenti ostativi alla sostituzione delle pene detentive brevi con le sanzioni sostitutive, contiene un riferimento al "fatto commesso nell'ultimo decennio", che e' in sostanza ininterpretabile. (10) Ancora la legge 24 novembre 1981, n. 689, non ha coordinato il nuovo art. 32-bis c.p., ove e' prevista la pena accessoria dell'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese senza indicazione della durata massima, con il nuovo art. 140 c.p. ove e' stabilito che la pena accessoria provvisoriamente applicata - ivi compresa l'interdizione di cui all'art. 32-bis c.p. - "non puo' avere durata superiore alla meta' della durata massima prevista dalla legge". (1l) V. ad esempio l'art. 59, comma secondo, lettera b), della legge 24 novembre 1981, n. 689, ove, tra le cause ostative alla irrogazione delle pene sostitutive e' stata prevista l'ipotesi di colui al quale sia stata revocata la concessione del regime di semiliberta', e non quella in cui sia stato revocato l'affidamento in prova al servizio sociale. (12) V. ad esempio l'art. 323 c.p. (Abuso di ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge) che, non contenendo precisi criteri di delimitazione del reato, ha reso possibili interpretazioni divergenti sulle condotte in esso rientranti. (13) Era questo il caso, ad esempio, del plagio (art. 603 c.p.), che parlava di "sottoposizione" di una persona al "potere" altrui, con conseguente "totale stato di soggezione", che la Corte costituzionale (sentenza 8 luglio 1981, n. 96) ha ritenuto incostituzionale per carenza di un "contenuto oggettivo e razionale". (14) Era questo il caso dell'espressione "eversione dell'ordine democratico" usata nelle leggi antiterrorismo antecedenti alla legge 29 maggio 1982, n. 304 (Misure per la difesa dell'ordinamento costituzionale), che in effetti all'art. 11 ha provveduto a sostituire quella nozione con quella di "ordinamento costituzionale". (15) A parte gli esempi forniti da concetti quali il "sentimento morale" o "l'ordine delle famiglie", si puo' ricordare il concetto di "manovre speculative" utilizzato nell'art. 501-bis c.p. (inserito con decreto-legge 15 ottobre 1976, n. 704, convertito in legge 27 novembre 1976, n. 787) in una accezione ovviamente non tecnica e comune, dotata piu' che altro di un significato emotivo. (16) Un esempio puo' essere costituito dalle indicazioni quantitative ("area di piccola estensione", "limitata entita' di volumi illegalmente realizzati", "limitate modifiche dei volumi esistenti") contenute nei recenti decreti di amnistia (art. 2, comma secondo, lettera c), n. 1, del decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1981, n. 744 e del decreto del Presidente della Repubblica 4 agosto 1978, n.413), per individuare le ipotesi criminose alle quali si estende la clemenza. Nonostante incidano semplicemente sul quantum e non sull'an della punibilita', non paiono in perfetta armonia con l'esigenza di determinatezza le fattispecie circostanziate differenziate rispetto a quella base in termini esclusivamente quantitativi di minore o - soprattutto - maggiore gravita': v. ad esempio l'art. 4, ultimo comma, del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516, (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), (fatti "di lievi entita'"); l'art. 116, comma primo, del regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736 (Disposizione sull'assegno bancario e sull'assegno circolare) ("nei casi piu' gravi"). (17) E' il caso ad esempio della definizione legislativa del fatto di "lottizzazione abusiva", recentemente fornita dall'art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive). (18) E' il famoso caso ad esempio della riconducibilita' delle energie aventi valore economico nella nozione di "cosa mobile" (art. 624, comma secondo, c.p.). (19) Nel caso di disposizione incriminatrice a piu' norme, la commissione di ciascuna delle condotte in essa previste da' luogo ad un reato, onde la realizzazione di piu' condotte concretizza un concorso di reati. Nell'ipotesi di norma a piu' fattispecie si ha, invece, un'unica norma incriminatrice, la quale e' applicabile una sola volta sia in caso di realizzazione di una soltanto, sia in caso di violazione di tutte le fattispecie ivi previste, trattandosi di semplici modalita' di previsione di un unico tipo di reato. (20) Come, per esempio, nell'art. 635 c.p., in cui si elencano piu' condotte, costituenti diverse modalita' del reato di danneggiamento. (21) V. ad esempio gli elenchi contenuti nell'art. 47, comma secondo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), concernente i reati esclusi dalle c.d. "misure alternative"; e nell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), concernente i reati esclusi dall'applicazione delle sanzioni sostitutive. (22) V. in particolare l'art. 121 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), contenente un precetto peraltro oggi depenalizzato, ove e' posto un obbligo di iscrizione in apposito registro a carico degli esercenti un lungo elenco di mestieri, chiuso dalla formula "mestieri analoghi". Similmente, l'art. 127 dello stesso regio decreto gia' citato elenca una serie di attivita' concernenti oggetti preziosi, chiudendo l'elencazione con la formula conclusiva "arti affini". (23) A questa tecnica esemplificativa e' riconducibile ad esempio la disposizione dell'art. 45 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza), ove e' detto che "sono considerate armi gli strumenti da punta e taglio, la cui destinazione naturale e' l'offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili". Nonostante la sua ambigua formulazione, puo' essere considerato quale esempio della medesima tecnica di formulazione anche l'ultimo comma dell'art. 416-bis c.p., in quanto la formula apparentemente analogica ivi contenuta venga invece intesa come specificativa, o meglio chiarificatrice, della definizione sintetica contenuta nel comma terzo dello stesso articolo. (24) Come esempio di rinvio generico puo' indicarsi la disposizione gia' citata nella nota 3, e cioe' l'art. 26, comma primo, della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), ove si dispone l'abrogazione espressa delle "norme che, direttamente o indirettamente, disciplinano la materia degli scarichi in acque, sul suolo o nel sottosuolo e del conseguente inquinamento". (25) V. ad esempio l'art. 20, comma primo, lettera a), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), (nel testo modificato dall'art. 3 del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146), ove e' punita "l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalita' esecutive previste dalla presente legge, dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni e integrazioni, in quanto applicabili, nonche' dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione". V. altresi' l'art. 2, comma ventiseiesimo, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, ove con un doppio rinvio e' stabilita la punibilita' dei contribuenti che "nelle ipotesi di cui al quarto comma dell'art. 41 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non provvedono alla regolarizzazione nei modi e nei termini ivi stabiliti", cioe' dalle varie norme costituenti il contenuto dell'art. 41 di detto decreto. V. anche l'art. 16 del decreto ministeriale 30 maggio 1973 (Norme speciali tecniche per l'esportazione delle melanzane), che dispone: "Le trasgressioni alle norme del presente decreto sono punite ai sensi del regio decreto-legge 20 dicembre 1937, n. 2213, convertito in legge 2 maggio 1938, n. 864 ...". Orbene a parte l'evidente rinvio (interno) in blocco (su cui v. retro il par. 3.4) alle "trasgressioni del presente decreto", che e' ricco di minutissime prescrizioni, il richiamato regio decreto-legge 20 dicembre 1937, n. 2213, conteneva originariamente ben quattro fattispecie penali, anche se in verita' il rinvio si deve ritenere effettuato alla sanzione comminata per le violazioni delle disposizioni emanate in virtu' dell'art. 3 del regio decreto-legge citato, il quale per l'appunto autorizza il Ministro all'emanazione della specifica disciplina tecnica. (26) Esempio limite di rinvio a catena e' quello contenuto nell'art. 6 del decreto-legge l° dicembre 1984, n. 795 (Misure amministrative e finanziarie in favore dei comuni ad alta tensione abitativa), ove tra i requisiti per chiedere l'assegnazione temporanea delle unita' immobiliari e' previsto quello "di cui all'art. 20, primo comma, lettera a), punto 3), della legge 5 agosto 1978, n. 457, come aggiornato dalla delibera CIPE del 12 giugno 1984, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 199 del 20 luglio 1984, determinato ai sensi dell'articolo 2, quattordicesimo comma, del decreto 23 gennaio 1982, n. 9, convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1982, n. 94, risultante da dichiarazione resa ai sensi dell'art. 24 della legge l aprile 1977, n. 114". (27) Estremamente significativa e' la situazione risultante a seguito della modifica introdotta dall'art. 5 della legge 31 luglio 1984, n. 400, al terzo comma dell'art. 63 c.p., che si riferiva alle circostanze per le quali la "legge stabilisce una pena diversa o ne determina la misura in modo indipendente". Numerose altre disposizioni del codice penale si richiamano alle "circostanze indicate nel secondo capoverso dell'art. 63": ma, essendo mutato ad opera del citato art. 5 della legge n. 400 del 1984 il contenuto di quel secondo capoverso, si pongono non semplici problemi interpretativi per armonizzare il nuovo contenuto della norma richiamata con quello delle norme richiamanti. (28) La Corte costituzionale, con sentenza 14 dicembre 1984, n. 292, ha avuto modo di sottolineare le incertezze cui puo' dare origine la formula del rinvio alle "successive modificazioni", dichiarandone nel caso specifico la incostituzionalita'. (29) La prassi applicativa della norma, in conformita' della circolare della Presidenza del Consiglio gia' citata nella nota 5, ha esteso l'applicazione dell'art. 8 della legge n. 839/1984 a tutte le disposizioni di rinvio, abbiano o meno esse le caratteristiche di "complessita'" previste da detta norma. (30) Cosi' ad esempio l'art. 2, commi 27 e 30, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, sembra contenere, almeno stando alla lettera, un rinvio quoad poenam all'art. 4 del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516), senza pero' che vi sia un'esauriente descrizione del fatto ("in caso di falsita' ..."). Per contro un rinvio quoad factum sembra contenuto ad esempio nell'art. 67 della legge 1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico o storico), nei confronti degli articoli 624 e 625 c.p. Tuttavia, data l'eterogeneita' dei fatti ivi contemplati e soprattutto la completezza della descrizione della fattispecie ivi descritta, il rinvio deve ritenersi quoad poenam, con conseguente inapplicabilita' ad esempio delle circostanze del furto. (31) Significato equivoco hanno, invece, le formule "... e' punito ai sensi dell'articolo ...", e "... e' punito a norma dell'articolo ...", potendo esse indicare sia un rinvio quoad poenam che un rinvio quoad factum. (32) V. ad esempio l'art. 28, comma quarto, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), ove la "condotta antisindacale" del datore di lavoro e' punita "ai sensi dell'art. 650 del codice penale", suscitando cosi' l'interrogativo se il requisito della "legalita'" del provvedimento, previsto nella fattispecie di cui all'art. 650 c.p. faccia parte anche dell'ipotesi criminosa prevista dall'art. 28 del c.d. statuto dei lavoratori. V. altresi' similmente l'art. 70, comma primo, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), ove un'omissione di attivita' informativa e' punita "ai sensi dell'art. 328 del codice penale". V. anche l'art. 93 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141 (Disposizioni per la difesa del risparmio e la disciplina della funzione creditizia), che, nel sanzionare gli articoli 38 e 65 dello stesso regio decreto-legge, attualmente richiama l'art. 2624 c.c. ("a norma dell'articolo 2624 del codice civile ..."). Potendo a prima vista far credere che, essendo fra l'altro il codice civile lex posterior, l'ambito applicativo dell'art. 93 del regio decreto-legge citato sia stato ridotto alle sole violazioni dell'art. 38 del regio decreto-legge citato, che in effetti sono le uniche cui a sua volta si riferisce l'art. 2624 c.c. (33) Per una recente conferma di tale orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale v. la sentenza 10 giugno 1982, n. 108. (34) In tal senso, la sentenza 5 marzo 1975, n. 58, che in effetti riguardava l'art. 1164 del codice della navigazione, ove e' punita - tra l'altro - l'inosservanza delle disposizioni di regolamento "relativamente all'uso del demanio marittimo e aeronautico ovvero delle zone portuali della navigazione interna". (35) Cosi' testualmente la sentenza 17 marzo 1966, n. 26.