(all. 1 - art. 1)
                        Testo della circolare

CRITERI ORIENTATIVI PER LA SCELTA TRA DELITTI E CONTRAVVENZIONI E PER
LA FORMULAZIONE DELLE FATTISPECIE PENALI.

                              Premessa


Con  la  circolare  della  Presidenza  del  Consiglio dei Ministri 19
dicembre  1983  (in  Gazzetta  Ufficiale  n.  22 del 23 gennaio 1984,
supplemento  ordinario) sono stati indicati i criteri orientativi per
la scelta fra sanzioni penali e sanzioni amministrative, prospettando
cosi'  i  termini di un'alternativa fondamentale nella qualificazione
dell'illecito.

Una  volta  che  l'opzione si' sia orientata in favore della sanzione
penale,  e' necessario individuare i termini di una scelta ulteriore,
fra  "delitto"  e "contravvenzione". Non v'e' dubbio che si tratti di
una  scelta  assai  significativa,  dato  che  delitti, da un lato, e
contravvenzioni,   dall'altro,   soggiacciono   ad   una   disciplina
sostanziale  (e  in  parte  anche processuale) peculiare, e producono
effetti di diversa intensita'.

La  prima parte della presente circolare e' per l'appunto dedicata ai
criteri  utilizzabili in sede di qualificazione specifica del reato e
di previsione del relativo trattamento sanzionatorio.

La  seconda parte della circolare contiene criteri orientativi per la
formulazione  delle  fattispecie penali. S'intende in tal modo venire
incontro  ad  un'esigenza di correttezza, di chiarezza e - nei limiti
del possibile - di semplicita' di' formulazione dei testi legislativi
sempre  piu'  vivamente  avvertita da tutti i settori degli operatori
giuridici,  e  finanche dall'opinione pubblica. Il rispetto di canoni
di corretta formulazione della fattispecie, imposti in materia penale
da principi di rango costituzionale (riserva di legge, tassativita' e
determinatezza  della  legge penale: art. 25, commi 2 e 3, e art. 13,
comma 2, della Costituzione), e' raccomandabile anche con riferimento
all'illecito  punito  con  sanzioni  amministrative,  ove  si pongono
analoghe esigenze (I).

                               Parte I

   CRITERI ORIENTATIVI PER LA SCELTA TRA DELITTO E CONTRAVVENZIONE

1.   L'art.  39  del  codice  penale  stabilisce  che  i  delitti  si
distinguono  dalle  contravvenzioni  "secondo la diversa specie delle
pene  per  essi rispettivamente stabilite" (2). Adottando il criterio
formale  della  specie  di  pena comminata, il legislatore del '30 ha
inteso  ovviare  agli  inconvenienti manifestatisi durante la vigenza
del  codice precedente, quando il criterio di distinzione era rimesso
all'interprete.   E'  chiaro  tuttavia  che  la  scelta  affidata  al
legislatore  non  puo'  essere  ne'  casuale  ne' arbitraria, ma deve
piuttosto  risultare  adeguata  ai contenuti ed alla struttura propri
dell'illecito  contravvenzionale  e  delittuoso, secondo l'esperienza
normativa  maturata  nel  processo  storico  di  formazione delle due
categorie e secondo la disciplina per ciascuna di esse stabilita.

Sulla  base dell'evoluzione legislativa e dei profili fondamentali di
disciplina  delle  due  categorie  di reati, si deve escludere che il
criterio di distinzione possa essere ridotto ad un mero apprezzamento
quantitativo,  nel  senso  che le contravvenzioni coprirebbero l'area
degli  illeciti  penali  minori  e meno gravi, i delitti quella degli
illeciti penali maggiori e piu' gravi.

Un  tal  modo  di  intendere  la  distinzione  risulterebbe del tutto
parziale   e   incompleto,   in   base  alle  seguenti,  fondamentali
considerazioni:

a)  in termini di pena, la contravvenzione se e' vero che puo' essere
assai  meno  grave del delitto (essendo l'ammenda la piu' tenue delle
sanzioni  penali  previste  nel  nostro  ordinamento),  puo' tuttavia
risultare  piu'  grave  (la  pena  dell'arresto  e'  certo assai piu'
incisiva  della multa). In pratica, la contravvenzione scende piu' in
basso  del  delitto,  e  non  giunge  mai  ai  suoi  vertici, ma puo'
attingere livelli mediani piu' consistenti;

b)  in  termini di regime giuridico, la contravvenzione, se presenta,
da  un  lato, elementi di disciplina apparentemente ispirati all'idea
di una minore gravita' (ad es. l'esclusione dal tentativo; il ricorso
di  una  peculiare  causa  estintiva  quale  l'oblazione (3) nei casi
previsti  dagli  articoli  162  e  162-bis  c.p.), risulta dall'altro
imputabile  indifferentemente  a  titolo di dolo o di colpa (art. 42,
ultimo  comma, c.p.), secondo un criterio di indifferenza che sarebbe
inspiegabile  nella  prospettiva di una minore gravita' dell'illecito
contravvenzionale. In effetti, la punibilita' anche a titolo di colpa
implica  un'estensione della tutela, come si constata chiaramente nei
delitti  (4),  ma  una  tale  estensione  non  ha  senso alcuno se si
ipotizza  che  la  contravvenzione costituisca, indefettibilmente, un
reato  minore  rispetto al delitto. Logica vorrebbe che il reato meno
grave non fosse piu' estensivamente punibile del reato piu' grave.


2.  In  realta',  e'  pur vero che nell'area delle contravvenzioni si
rinvengono  illeciti  che  si  qualificano  soltanto  per  una minore
gravita' rispetto alle fattispecie delittuose; tuttavia la disciplina
caratteristica  delle contravvenzioni e' particolarmente giustificata
per  gli  illeciti  contraddistinti  da una specifica peculiarita' di
contenuto.


Questa  peculiarita'  puo'  assumere  due  aspetti  diversi.  Tra  le
disposizioni     normative    che    configurano    le    fattispecie
contravvenzionali si possono, infatti, enucleare:


a)  norme  di carattere preventivo-cautelare che codificano regole di
prudenza,  di  diligenza,  di perizia, volte alla tutela anticipata e
indiretta  di  beni  giuridici di primaria importanza, quali la vita,
l'integrita' fisica, l'incolumita' (5);


b) norme concernenti la disciplina di attivita' soggette ad un potere
amministrativo,  in  vista del perseguimento di uno scopo di pubblico
interesse  (6). La circostanza che si tratta di attivita' soggetta ad
un  potere amministrativo puo' emergere da vari indici: la necessita'
di  un  provvedimento abilitativo della pubblica amministrazione o di
una  denuncia alla medesima (7); il fatto che la condotta presupponga
una   richiesta,   un  ordine  od  una  prescrizione  della  pubblica
amministrazione  (8); oppure l'organizzazione di un pubblico servizio
al quale il privato e' tenuto a rivolgersi (9).


Si  prendano ora in considerazione le accennate caratteristiche della
disciplina  contravvenzionale.  In primo luogo, la indifferenza circa
l'elemento  psicologico  con  cui la condotta e' stata commessa (art.
42,  ultimo  comma,  c.p.)  e'  perfettamente  giustificata sia nelle
contravvenzioni  di  carattere  preventivo-cautelare,  sia  in quelle
concernenti  attivita'  soggette  ad  un potere amministrativo. Nelle
prime, in quanto trattandosi di regole volte a disciplinare attivita'
o  situazioni  pericolose,  la  loro  inosservanza  e'  in  linea  di
principio   ugualmente   significativa,   sia   che   dipenda  da  un
comportamento doloso, sia che derivi da colpa. Nelle seconde, poiche'
l'illiceita'   dipende   dalle  valutazioni  operate  dalla  pubblica
amministrazione,    risultano    insignificanti    le    peculiarita'
dell'atteggiamento  personale  con  cui  tali  valutazioni sono state
contrastate  o  frustrate,  trattandosi di un atteggia-mento comunque
rimproverabile (10).


In secondo luogo, l'esclusione della responsabilita' per il tentativo
(art.  56 c.p.), nelle contravvenzioni prevenzionistico-cautelari, e'
coerente  con  la  loro  intrinseca  natura  di reati di pericolo: le
cautele  prescritte  sono  infatti  di  per  se' "strumentali" per la
salvaguardia   di   determinati   interessi,   sicche'   un'ulteriore
anticipazione    di    tutela   non   sarebbe   giustificata.   Nelle
contravvenzioni   concernenti   attivita'   soggette   ad  un  potere
amministrativo,  l'irrilevanza  del tentativo si spiega invece per il
fatto che la tutela penale e' strettamente correlata all'ambito della
competenza  della  pubblica  amministrazione;  e  quest'ultima non si
riferisce  mai  al  compimento di atti diretti a realizzare una certa
condotta,  ma  sempre  e  solo  alla  sua effettiva realizzazione: la
concessione   edilizia,   ad   es.,   e'   richiesta   per  procedere
effettivamente  alla  trasformazione  urbanistica,  e  non  certo per
svolgere  un'attivita' soltanto idonea e diretta in modo non equivoco
a  realizzarla,  ipotesi - quest'ultima - che, di per se', si sottrae
ai poteri di intervento della pubblica amministrazione.


Infine,  l'applicabilita'  alle  sole  contravvenzioni della speciale
causa  di  estinzione  costituita  dalla  oblazione  (articoli  162 e
162-bis  c.p.) corrisponde, ancora una volta, alle caratteristiche di
illeciti  che, essendo strettamente correlati a poteri amministrativi
di  controllo  e  di  gestione  di determinate attivita', ben possono
ammettere quella sorta di composizione transattiva in cui consistono,
in  varia  guisa  e  secondo  varie  modalita',  le  diverse forme di
oblazione previste.


3.  Da  quanto  osservato a proposito della disciplina generale delle
contravvenzioni  discende  che la qualificazione contravvenzionale e'
opportunamente   riferibile   a   tutti   gli   illeciti   di  natura
prevenzionistico-cautelare  o  correlati alla disciplina di attivita'
soggette ad un potere amministrativo.


Ma  tale indicazione di massima non puo' tuttavia essere applicata in
modo  automatico,  ne'  dal  punto  di  vista  delle sue implicazioni
positive  (nel senso cioe' che tutti gli illeciti di questo contenuto
debbano  necessariamente  e meccanicamente mantenersi nell'area delle
contravvenzioni),  ne'  dal  punto  di  vista  delle sue implicazioni
negative  (nel  senso  cioe'  che  gli  illeciti  penali  di  diverso
contenuto debbano tutti transitare nell'area dei delitti).


In  ogni  caso  e'  necessario  procedere anche ad una valutazione in
termini  alla gravita' dell'illecito e di sufficienza dell'intervento
repressivo (11), in base alle considerazioni che seguono:


3.1. Per quanto riguarda gli illeciti di natura preventivo-cautelare,
la   repressione   penale   (12)   dovra',  in  linea  di  principio,
corrispondere  al  modello  della  qualificazione  contravvenzionale.
Trattandosi  tuttavia  di  reati  di  pericolo, non e' escluso che il
rango  dell'interesse  tutelato  e la gravita' dell'offesa inducano a
ritenere  inadeguato  il  trattamento  punitivo  dipendente  da  tale
qualificazione.  Se un'analoga esigenza si prospetta anche in termini
di    sussidiarieta',    e    cioe'   se   l'apparato   sanzionatorio
contravvenzionale  si  presenta del tutto insufficiente ad assicurare
un  efficace  controllo  sociale, pur se utilizzato nelle sue massime
virtualita'  espansive,  potra'  farsi  ricorso  alla  qualificazione
delittuosa,  la  quale,  come  si e' detto (par. 1), puo' determinare
conseguenze molto piu' incisive di quella contravvenzionale.

In  pratica,  perche'  il  ricorso  alla  figura  del  delitto appaia
giustificato sara' necessario:

a)  in positivo, che l'interesse tutelato assuma carattere primario e
che il pericolo espresso dalla inosservanza sia concreto:

b)  in  negativo,  che l'apparato sanzionatorio contravvenzionale sia
inidoneo ad assicurare una repressione efficace.

In  ogni caso, qualora si ritenga indispensabile utilizzare la figura
delittuosa,  e'  opportuno prevedere la punibilita' del fatto anche a
titolo   di   colpa,   sia   pure   con   adeguate   diversificazioni
sanzionatorie:  poiche'  la  norma sanzionata e' pur sempre di natura
cautelare,  la  sua  violazione  e'  infatti  in  linea  di principio
insensibile alle peculiarita' dell'atteggiamento psicologico (13).

3.2.    Del    pari   mediante   il   ricorso   alla   qualificazione
contravvenzionale  dovra'  in  linea  di  principio  sanzionarsi ogni
condotta la cui illiceita' dipenda:

a)   dal  difetto  di  un  provvedimento  abilitante  della  pubblica
amministrazione;


b)  dal  contrasto  con  un  ordine, una prescrizione o una richiesta
della pubblica amministrazione;


c) dalla violazione di un obbligo di denunzia o di comunicazione alla
pubblica  amministrazione,  concernente  attivita'  sottoposte al suo
controllo;


d) dalla violazione di un obbligo di registrazione, di documentazione
di  attivita'  parimenti  sottoposte  al  suo  controllo,  o di altre
prescrizioni strumentali.


Anche   per   queste   ipotesi   non   puo'  escludersi  in  assoluto
l'opportunita',   o   la  necessita',  di  ricorrere,  anziche'  alla
qualificazione  contravvenzionale,  a quella delittuosa; eventualita'
che,   del   resto,   gia'   si  verifica  per  numerose  fattispecie
incriminatrici (ad es. in materia di armi e di stupefacenti), se pure
in  modo  ed  in  misura  non  sempre  conformi  alle esigenze di una
corretta normazione penale.


A tale proposito giovera' tener presente che natura di delitto potra'
essere  piu'  convenientemente  riconosciuta alle attivita' criminose
rispetto  alle  quali  il  provvedimento  abilitante  non  assuma una
funzione    puramente   regolativa,   ma   piuttosto   una   funzione
sostanzialmente scriminante. Occorre distinguere cioe' tra le ipotesi
in  cui l'autorizzazione, la concessione etc. servano a regolamentare
comportamenti  intrinsecamente  conformi  alle  esigenze del traffico
giuridico  o, addirittura, socialmente necessari (ad es. costruzioni;
apertura  di  pubblici  esercizi  etc.),  e le ipotesi nelle quali il
provvedimento  abilitativo  svolga  invece  la  funzione  di  rendere
eccezionalmente   lecite   condotte   che,   di  per  se',  risultano
normalmente  lesive  di  interessi  pubblici  (ad  es.  commercio  di
sostanze stupefacenti).


Nel  primo  caso  si  tratta  di attivita' il cui carattere offensivo
dipende  solo  ed  esclusivamente  dalla circostanza che, non essendo
state    previamente    sottoposte    al    vaglio   della   pubblica
amministrazione,   possono   risultare  disfunzionali  rispetto  agli
interessi  pubblici  sottesi  alle  esigenze di regolamentazione. Nel
secondo caso si tratta invece di attivita' il cui carattere offensivo
e',  per  cosi'  dire,  in  re  ipsa,  e  l'intervento della pubblica
amministrazione   corrisponde  alla  necessita'  di  individuarne  ed
isolarne  talune che, per le loro caratteristiche e per gli scopi che
perseguono, possono essere ammesse, a fronte di un normale divieto di
realizzarle.


La  differenza  puo'  ben  essere  esemplificala dal raffronto tra la
costruzione  senza  concessione  e  il  commercio  non autorizzato di
sostanze   stupefacenti:   l'attivita'  edificatoria  corrisponde  ad
un'esigenza  sociale  primaria ed indefettibile che proprio in quanto
tale  deve tuttavia soggiacere ad una congrua valutazione preventiva;
il  commercio  di  stupefacenti  e'  sempre  e  comunque un'attivita'
pericolosa  per  la  tutela  della  salute  pubblica,  della  vita  e
dell'incolumita'  personale,  e  puo' essere eccezionalmente permesso
soltanto   in  talune  specifiche  ipotesi  in  cui  il  rischio  sia
rigorosamente bandito.


Per  le attivita' di questo secondo tipo la qualificazione in termini
delittuosi  potra'  dunque  essere  adottata  ogni  qualvolta, per la
natura  dell'interesse minacciato e la gravita' del pericolo espresso
sia  necessario  ricorrere  a  strumenti  sanzionatori di particolare
severita'. Anche in questo caso dovra' essere valutata l'opportunita'
di  prevedere  espressamente la punibilita' a titolo di colpa, a meno
che  non  si tratti di condotte tali da non poter essere praticamente
concepite che nella forma di realizzazione dolosa.

4.  Corollario dei criteri di scelta in precedenza indicati e che, in
linea  di  principio,  non  appare  opportuno  che  la qualificazione
contravvenzionale  continui ad essere attribuita ad ipotesi criminose
diverse   da  quelle  rientranti  nei  due  tipi  individuati,  e  in
particolare  a quelle ipotesi che si caratterizzino semplicemente per
essere illeciti "minori" rispetto ai delitti.

Queste  ultime fattispecie, invero, sono state in tale forma inserite
giustificatamente   nel   sistema,  per  difetto  di  ogni  possibile
alternativa, fino a quando nel nostro ordinamento non e' stato ridato
spazio  alla  violazione  amministrativa  (legge 24 novembre 1981, n.
689).  L'area delle contravvenzioni e' servita infatti da ricettacolo
di  ogni  illecito  variamente  "minore".  Ora, pero', in presenza di
illeciti  minori, diversi da quelli "naturalmente" contravvenzionali,
l'opzione  dovrebbe  essere  tra violazione amministrativa e delitto.
L'utilizzazione  della  qualificazione  contravvenzionale,  in questa
ipotesi,   dovra'   pertanto   essere,  se  non  del  tutto  bandita,
considerata in termini di assoluta eccezionalita', e riservata a quei
soli  casi  in  cui  l'esigenza di un controllo coercitivo penale sia
certa  ed indiscutibile, ma non sia peraltro giustificato, in termini
di sussidiarieta', il ricorso alla figura del delitto.

5.  Una  volta  determinata  la  scelta  della  figura dell'illecito,
delittuosa   o  contravvenzionale,  e'  assolutamente  sconsigliabile
prevedere   una   fattispecie-base  contravvenzionale  e  fattispecie
aggravate   delittuose  (14)  o,  all'inverso,  una  fattispecie-base
delittuosa  e fattispecie attenuate di natura contravvenzionale. Tale
tecnica,  oltre  a  nsultare intrinsecamente incongrua ed a suscitare
perplessita'   interpretative  circa  la  qualificazione  stessa  del
reato-base   (15),   da'   luogo  a  risultati  pratici  quanto  meno
discutibili   allorche'   si   profili   un  concorso  eterogeneo  di
circostanze  (16),  e  la  conseguente  necessita'  di  procedere  al
giudizio di comparazione (art. 69 c.p.). Potrebbe in effetti accadere
che,   ferma   (probabilmente)  restando  la  qualificazione  ad  es.
delittuosa  dipendente  dal ricorso dell'aggravante speciale, in caso
di  ritenuta  prevalenza,  o equivalenza, di un'attenuante comune, si
debba    in    realta'    applicare    la    pena   contravvenzionale
dell'ipotesi-base.

6. Operata la scelta in favore della qualificazione contravvenzionale
o   di   quella  delittuosa,  si  tratta  di  prevedere  un  adeguato
trattamento sanzionatorio.

A  tale  proposito,  in  termini  di pena principale, si profilano le
seguenti  alternative,  comuni (pur nel variare della specie di pena)
sia ai delitti che alle contravvenzioni:

a)   previsione   della   sola   pena  pecuniaria:  ammenda  (per  le
contravvenzioni); multa (per i delitti);

b)  previsione  della pena pecuniaria alternativa a quella detentiva:
ammenda o arresto (per le contravvenzioni); multa o reclusione (per i
delitti);

c)   previsione   della   sola   pena   detentiva:  arresto  (per  le
contravvenzioni); reclusione (per i delitti);

d)  previsione  della  pena  detentiva congiunta a quella pecuniaria:
arresto e ammenda (per le contravvenzioni); reclusione e multa (per i
delitti).

La  scelta  non  potra'  che  ispirarsi,  in linea di principio, alla
valutazione  in  termini di gravita' dell'illecito e di necessita' di
un  determinato  trattamento repressivo, integrata tuttavia da alcune
considerazioni specifiche che sembra opportuno esplicitare.

6.1.  In  termini distributivi, dovra' porsi la massima attenzione ad
evitare  disparita'  di  trattamento  (per  eccesso  o  per  difetto)
rispetto ad ipotesi di reato comparabili, per relativa omogeneita' di
contenuto  offensivo,  con  quella  da  sanzionare.  Le sperequazioni
punitive,  per  quanto sottratte - secondo l'orientamento della Corte
costituzionale   -   alla  valutazione  in  termini  di  legittimita'
costituzionale ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, salvo il caso
di   patenti   violazioni  del  canone  di  ragionevolezza,  incidono
negativamente   sulla   funzione  di  prevenzione  generale,  perche'
denunciano casualita' ed eccentricita' dell'incriminazione.

6.2.  Per  quanto  riguarda  la  scelta  in  favore  della  sola pena
pecuniaria,  quando si riferisca a delitti (multa), risulta del tutto
positiva,  ed anzi da incrementare ben oltre gli angusti limiti entro
i  quali  si  e' finora mantenuta. La diffidenza storica verso questo
tipo  di  sanzione, riservata un tempo ad ipotesi di minima gravita',
appare   oggi   assai   meno  plausibile.  Gli  interventi  normativi
succedutisi   in   questi   ultimi   anni  hanno  infatti  potenziato
l'adeguamento   della   sanzione   alle   condizioni  economiche  del
condannato (17), riducendo le sperequazioni per eccesso o per difetto
ed  i rischi di conversione (che, d'altronde, non si opera piu' nella
pena detentiva di specie corrispondente, ma in liberta' controllata o
in lavoro sostitutivo) (18).

I  vantaggi  della  pena  pecuniaria  rispetto  alla  pena  detentiva
risultano  pertanto  esaltati,  e  corrispondentemente  ridotta  deve
essere  l'area  a  quest'ultima  riservata, identificabile nelle sole
ipotesi in cui la gravita' dell'illecito sia particolarmente elevata,
ed assolutamente indispensabile appaia il ricorso alla detenzione.

Nel  caso delle contravvenzioni, occorre tuttavia tenere presente che
la  comminatoria  della  sola pena dell'ammenda implica il diritto di
oblazione  da  parte del reo, con la conseguente estinzione del reato
(art.   162   c.p.).   Si  tratta  di  un'eventualita'  perfettamente
funzionale  ad  un sistema in cui la qualificazione contravvenzionale
doveva  anche  supplire  alla  mancanza  di  una  figura  di illecito
amministrativo generale. La facolta' di oblazione corrispondeva cosi'
alle  ridottissime  esigenze  punitive  di  violazioni  collocate  al
livello  piu'  basso.  Attualmente,  data  la  disponibilita'  di una
qualificazione in termini di violazione amministrativa, l'idea di una
minima  gravita'  dell'illecito risulta in patente contraddizione con
la sua persistente qualificazione penale.

La   prevenzione   di  contravvenzioni  punibili  con  la  sola  pena
dell'ammenda  deve pertanto essere esclusa, a meno che non si ritenga
di   negare   espressamente   l'applicabilita'  dell'art.  162  c.p.,
assoggettando   la  contravvenzione  al  diverso  tipo  di  oblazione
prevista  dall'art.  162-bis  c.p.  (19),  la  quale  e'  subordinata
all'assenza di determinate condizioni ostative e puo' essere concessa
o rifiutata dal giudice "avuto riguardo alla gravita' del fatto".

6.3.  Ben  poco plausibile (e pertanto da sconsigliare) appare infine
la comminatoria congiunta di una pena detentiva e di pena pecuniaria,
che   corrisponde   ad  un'idea  estremamente  antiquata  della  pena
pecuniaria, concepita quale "supporto ancillare" della pena detentiva
nei  reati determinati da intento di lucro (20) o lesivi di interessi
patrimoniali.

In  realta',  l'aggiunta  della  pena  pecuniaria  a quella detentiva
risulta  inutile sotto il profilo della prevenzione generale (essendo
la  forza intimidatoria del precetto interamente assorbita dalla pena
detentiva)  e  dannosa  sotto  quello  della prevenzione speciale (in
quanto,   stante  l'attuale  disciplina  dell'art.  163  c.p.,  sulla
sospensione   condizionale   della   pena,  la  presenza  della  pena
pecuniaria  puo' determinare il superamento dei limiti di pena per la
concedibiiita'  di  detto  beneficio,  e la necessita' di eseguire la
detenzione,  anche  in  ipotesi  in cui questa necessita' risulti del
tutto insussistente).

                              Parte II


                         CRITERI ORIENTATIVI

            PER LA FORMULAZIONE DELLE FATTISPECIE PENALI


                               Capo I

                         Criteri concernenti

                la forma esteriore culla disposizione


1.  I  criteri  orientativi  concernenti  la  forma  esteriore  della
disposizione possono essere suddivisi in due categorie, a seconda che
riguurdino:

   a) l'espressione verbale e sintattica della disposizione;

   b)    l'articolazione,    distribuzione   e   collocazione   delle
   disposizioni.

   2.   Alla  prima  categoria  sono  riconducibili  tre  indicazioni
   generali.

   La  prima indicazione generale consiste nell'ovvia raccomandazione
   di  fare  un  uso  linguisticamente  corretto  delle  parole  (1),
   soprattutto  nell'ipotesi  in  cui  siano impiegati od impiegabili
   termini "tecnici". S'intendono per tali non solo quelli oggetto di
   definizioni legislative o di uso legislativo consolidato, ma anche
   quelli di significato pacifico in dottrina e giurisprudenza.

   E' pertanto da evitare tanto l'uso di espressioni che, pur essendo
   dotate   di   un   preciso  significato  tecnico,  vengono  invece
   utilizzate nella loro accezione "laica" (2), quanto, al contrario,
   l'uso  di espressioni "laiche" - anche se spesso piu' sintetiche -
   quando  esistono termini tecnici per designare lo stesso contenuto
   concettuale (3).

   La  seconda  indicazione riguarda le cosiddette rubriche, premesse
   al   testo   degli  articoli.  E'  opportuno  raccomandarne  l'uso
   generalizzato in quanto esse possono consentire una piu' agevole e
   rapida individuazione delle disposizioni, facilitandone la ricerca
   soprattutto quando si tratti di provvedimenti legislativi composti
   di  articoli  numerosi e non raggruppati in "capi" o "sezioni" (v.
   infra, 3.2.).

   E'  chiaro peraltro che i vantaggi che in questa direzione possono
   offrire   le  rubriche  sono  proporzionali  alla  loro  capacita'
   espressiva del contenuto dell'articolo al quale sono premesse (4).

   La  terza  indicazione  riguarda  l'opportunita'  di  formulare le
   disposizioni  mediante  "periodi"  brevi  e  soprattutto  senza la
   presenza di "incisi" o subordinate troppo numerose. D'altra parte,
   dovrebbe  essere  evitato  quanto  piu' possibile l'inserimento di
   piu'  periodi nello stesso comma. Siffatta tecnica di formulazione
   dovrebbe  essere riservata alle ipotesi di stretta interdipendenza
   tra contenuti normativi reciprocamente complementari.

   3.  La  seconda categoria di criteri relativi alla forma esteriore
   delle  disposizioni  comprende  le indicazioni concernenti la loro
   articolazione, distribuzione e collocazione.

   3.1.  E' sempre piu' frequente l'eventualita' di articoli composti
   da   un  elevato  numero  di  commi.  E'  questo  un  fenomeno  da
   scoraggiare  per  l'indubbia  difficolta'  e  disorientamento  che
   produce nella ricerca della singola disposizione e per la connessa
   sensazione di disagevole dominio della materia.

   In  via preliminare, il raggruppamento di numerose disposizioni in
   un  unico  articolo  presuppone una compiutezza logica e normativa
   della materia disciplinata.

   In  ogni caso, e' raccomandabile che le disposizioni descriventi i
   comportamenti  oggetto  dei  precetti  penali, contenenti cioe' le
   fattispecie  incriminatrici,  non siano affastellate con nugoli di
   disposizioni    "accessorie"    (es.    circostanze,   conseguenze
   sanzionatorie    ulteriori,   prescrizione,   ecc.).   Quando   la
   regolamentazione relativa ad una determinata fattispecie criminosa
   venga  ad impegnare numerose disposizioni, e' opportuno articolare
   la  disciplina  in  modo  che  almeno  il  precetto  fondamentale,
   eventualmente   insieme   alle  fattispecie  circostanzianti,  sia
   contenuto in un articolo a se' stante.

   3.2.  I  correttivi  prospettabili  allorche'  si profili comunque
   l'eventualita'     di    numerose    disposizioni    unitariamente
   raggruppabili  in unico articolo tuttavia eccessivamente prolisso,
   sono   due.   Quello,   minimale,   costituito  dalla  numerazione
   progressiva  dei  commi;  quello,  piu' radicale, di frazionare la
   regolamentazione  in piu' articoli. Il pnmo accorgimento, ormai in
   via  di  generale  accoglimento tra i criteri di redazione di atti
   normativi (5), non deve pero' favorire una piu' frequente rinuncia
   a ricorrere al secondo correttivo, costituito dal frazionamento in
   piu'   articoli,   che   e'   invero   soluzione   particolarmente
   raccomandabile.

   All'evidente   rischio   implicito  in  questa  soluzione  di  una
   eccessiva  "polverizzazione"  della  disciplina, si puo' rimediare
   mediante  un'accorta  utilizzazione  delle  rubriche  premesse  ai
   singoli   articoli  e  degli  intitolati  di  "Capi"  o  "Sezioni"
   corrispondenti a gruppi di articoli.

   A quest'ultimo proposito giova ricordare che il "Capo" costituisce
   l'insostituibile  unita'  di  raggruppamento  degli  articoli, nel
   senso che da un lato la "Sezione" puo' essere utilizzata solo come
   unita' di raggruppamento interna al "Capo", dall'altro il "Titolo"
   puo'  essere  utilizzato  solo  come  unita'  di raggruppamento di
   "Capi".

   3.3.      Accorgimenti     particolari     sono     raccomandabili
   nell'utilizzazione  di  norme  definitorie.  Esse  possono  essere
   correttamente inserite all'interno di un articolo contenente altre
   disposizioni  alla  duplice  condizione che il testo dell'articolo
   non  diventi  eccessivamente  prolisso  e che vi sia la necessaria
   stretta   pertinenza  tra  la  norma  definitoria  e  il  restante
   contenuto normativo dell'articolo.

   Diversamente,   la   collocazione  delle  norme  definitorie  deve
   obbedire  al  criterio  della  stretta  contiguita'  rispetto alle
   disposizioni  cui  le  prime si riferiscono. E' altresi' opportuno
   che nella rubrica dell'articolo che le contiene sia evidenziata la
   natura definitoria della norma ivi collocata.

   3.4.  In  ogni  caso  deve  essere  evitato che norme destinate ad
   integrare  la  disciplina  di  determinati settori normativi siano
   introdotte   con  provvedimenti  legislativi  concernenti  settori
   tutt'affatto  diversi (c.d. norme "intruse")(6). La presenza della
   norma  "intrusa"  dovrebbe  comunque  essere quanto meno segnalata
   dalla  rubrica dell'articolo che la contiene e dallo stesso titolo
   della legge.

   3.5.  L'ultima  indicazione  concerne l'ipotesi molto frequente in
   cui  una  organica  disciplina  extrapenale sia corredata di norme
   penali  in  funzione  sanzionatoria  e  rafforzativa.  In linea di
   principio,   le   disposizioni  penali  possono  essere  collocate
   distribuendole nel "corpo" dei vari articoli in cui sono formulati
   gli  specifici precetti che le prime corredano di sanzione penale,
   ovvero  possono  essere  raggruppate  in uno o piu articoli finali
   (c.d.  clausole  sanzionatorie  finali) (7). Quest'ultima tecnica,
   pero',  richiede che si presti molta attenzione alla esattezza dei
   rinvii  (interni  alla stessa legge), evitando altresi' "rinvii in
   blocco"  (v.  infra, par. 7.1) che implicano il rischio elevato di
   un   appiattimento   della   risposta   sanzionatoria   per  fatti
   sostanzialmente eterogenei e di diverso disvalore (8).


                                Capo II


                  Criteri concernenti l'individuazione

                        del contenuto non-nativo


   4.  I criteri orientativi di carattere contenutistico sono diretti
   ad  agevolare  una  formulazione  delle  disposizioni  penali  che
   consenta una soddisfacente individuazione del contenuto normativo.
   La  loro  inosservanza e' all'origine dei piu' gravi inconvenienti
   nell'interpretazione    e    applicazione    delle   leggi,   come
   l'impossibilita'   o   difficolta'  di  "afferrare"  il  contenuto
   normativo,  gli  scoordinamenti,  contraddizioni  o  antinomie tra
   norme   o   istituti  tra  di  loro  interferenti,  le  lacune  di
   disciplina.

   Purtroppo  non  esiste  un  univoco  rapporto di effetto a causa -
   neppure  sul  piano  puramente  statistico  -  tra  siffatti gravi
   inconvenienti  e  specifiche  tecniche  di  formulazione del testo
   della   disposizione.  Cosi'  che  sarebbe  illusorio  credere  di
   eliminare    radicalmente    quegli    inconvenienti    formulando
   raccomandazioni  sul  non  uso,  o  un diverso uso, di determinate
   tecniche di formulazione della disposizione.

   Ed  invero,  come  l'inafferrabilita' del contenuto normativo puo'
   derivare da un mero errore nella formulazione verbale o sintattica
   della  disposizione  (9), cosi' lo scoordinamento o contraddizione
   tra  norme  o istituti interferenti puo' derivare da un'incompleta
   ricognizione  della preesistente e connessa disciplina (10), cosi'
   come  infine  una  lacuna  puo'  derivare da semplice dimenticanza
   (11).

   Tuttavia,  cio'  non  esclude che siano proponibili taluni criteri
   orientativi  sufficientemente  specifici e potenzialmente idonei a
   ridurre  le  difficolta'  di  interpretazione e applicazione delle
   norme penali.

   5.  Il  primo  criterio  orientativo  prospettabile  e'  quello di
   evitare, nella formulazione della fattispecie penale, l'impiego di
   espressioni indeterminate.

   Il  legislatore  penale ha il dovere di procedere al momento della
   creazione   della  norma,  ad  una  precisa  determinazione  della
   fattispecie  legale,  affinche'  risulti  tassativamente stabilito
   cio'  che e' generalmente lecito e cio' che e' penalmente illecito
   (nullum  crimen sine lege poenali scripta et strida). Il principio
   di  tassativita'  (o  sufficiente determinatezza della fattispecie
   penale),  pur  non  essendo  espressamente  sancito  nella  nostra
   Costituzione  (a differenza che in altri Paesi), puo' ritenersi un
   implicito  corollario  dei  principi  di  riserva  di  legge  e di
   irretroattivita'   posti   dall'art.   25,  comma  secondo,  della
   Costituzione.   La  funzione  garantista  di  questa  disposizione
   costituzionale    sarebbe    infatti    frustrata   se,   per   la
   indeterminatezza  della fattispecie, non fosse possibile stabilire
   a priori cio' che e' vietato e cio' che e' permesso.

   L'indeterminatezza   puo'   verificarsi   a  causa  di'  eccessiva
   onnicomprensivita'   della   realta'   rappresentata   ovvero   di
   insufficiente capacita' di rappresentare la realta' stessa.

   Espressioni  del primo tipo sono quelle caratterizzate da un grado
   di  estensione  tale  da  designare realta' tra loro profondamente
   diverse  o  addirittura eterogenee quanto a disvalore (12). Con la
   conseguenza   di   rendere  necessarie  operazioni  interpretative
   dirette   a   meglio   delimitare  il  contenuto  normativo  della
   disposizione senza pero' che siano offerte sufficienti indicazioni
   da parte del segno linguistico.

   Espressioni  del  secondo  tipo  sono  quelle  che soffrono di una
   carenza  di  conoscenze  relative alla realta' designata, cosi' da
   impedirne una rigorosa concettualizzazione (13); ovvero quelle che
   mutuano  espressioni  linguistiche  da linguaggi caratteristici di
   aree  conoscitive  in  cui  non  sussistono  analoghe  esigenze di
   determinatezza   come   ad   esempio   linguaggi   sociologici  od
   economico-politici  (14); oppure infine le espressioni valutative,
   anche  di  uso  comune  e corrente, allorche' i parametri cui esse
   rimandano  per  l'individuazione  della  realta' rappresentata non
   presentino  un  sufficiente  grado di uniformita' o consolidamento
   (15).

   5.1. Un caso non infrequente di indeterminatezza della fattispecie
   penale  dipende  dall'uso di espressioni "quantitative", quando il
   parametro  al quale occorre riferirsi per accertare la sussistenza
   o  meno dell'elemento quantitativo, non solo non e' espresso dalla
   legge,  ma non e' neppure ricavabile in via di interpretazione, in
   particolare   a  causa  della  "estraneita'"  o  "lontananza"  tra
   l'elemento quantitativo medesimo e ratio legis (16). Cosi' che, in
   sede  applicativa,  si  apre  la  scelta  tra  piu'  parametri  di
   quantificazione  tutti  diversi.  Si  tratta  dunque di ipotesi di
   legiferazione    "apparente",    che    vanno   evitate   mediante
   determinazione   legislativa  dei  parametri  di  quantificazione,
   peraltro da esprimere non necessariamente in forma numerica.

   5.2.  Uno  strumento  capace  di  attenuare  le  insufficienze  di
   determinatezza e' costituito dalle definizioni legislative, di cui
   hanno  fatto uso taluni codici e progetti europei. Tuttavia, l'uso
   di  definizioni deve essere assai cauto nella legislazione penale.
   Infatti,  da  un  lato,  essendo esse costituite di parole, non e'
   escluso  che  riproducano motivi di ulteriori incertezze derivanti
   dalla necessita' della loro interpretazione; dall'altro, rischiano
   di  irrigidire  eccessivamente  una disciplina non suscettibile di
   analogia  e  -  alla  lunga  - di introdurre elementi di eccessiva
   "formalizzazione" del linguaggio legislativo penale.

   Tali  definizioni  possono  rivelarsi invece opportune la' dove il
   segno  linguistico (da definire) designi un'estensione concettuale
   con un margine di incertezza cosi' ampio da creare disorientamenti
   giurisprudenziali    (17);    oppure    allorquando   la   realta'
   storico-sociale   offra,   piu'   numerosi  e  rilevanti  che  per
   l'innanzi, casi di incerta qualificazione alla stregua della legge
   esistente,  cosi'  da  rendere necessaria una "presa di posizione"
   del legislatore al riguardo (18).

   6.  Particolare  attenzione  e  cautela  meritano i casi in cui si
   formuli  un  elenco  di  diverse  previsioni  (es.:  piu' condotte
   criminose)   raggruppate   in   un'unica   disposizione   (tecnica
   elencativa).  In  questi casi occorre chiedersi se la norma penale
   debba  applicarsi tante volte quante sono le ipotesi concretamente
   realizzate  o  invece  una  sola volta, qualunque sia il numero di
   realizzazioni.    Occorre    cioe'    fornire    chiari   elementi
   all'interprete  sul punto se l'elencazione riflette una pluralita'
   di  contenuti  normativi  autonomi (caso delle c.d. disposizioni a
   piu'  norme)  ovvero un unico contenuto normativo (caso delle c.d.
   norme a piu' fattispecie) (19).

   Quando  piu'  previsioni  sono  contenute in una sola proposizione
   (20),  l'elencazione  va,  di  regola,  intesa come espressione di
   norma  a  piu'  fattispecie.  Il  problema  rimane aperto, invece,
   quando  le  norme  sono  collocate  in  commi,  lettere  o  numeri
   distinti.   E'   opportuno,   in   quest'ultima  ipotesi,  che  il
   legislatore  adotti  formulazioni  idonee  ad esprimere la propria
   volonta', come per esempio, l'utilizzazione di rubriche indicative
   della pluralita' di norme ovvero l'impiego di articoli diversi.

   6.1.  All'interno delle elencazioni utilizzate per la formulazione
   di   norme   dal   contenuto   sostanzialmente  unitario,  occorre
   distinguere    tra    elencazioni    tassative    ed   elencazioni
   esemplificative.  L'elencazione  tassativa  non  pone  problemi di
   ordine  applicativo,  ma  puo'  creare  il periodo di lacune (21).
   Pericolo  tanto  piu' elevato quanto piu' generica e' la ratio che
   sorregge la formulazione dell'elenco e, quindi, piu' debole la sua
   forza  unificante  rispetto  alla  eterogeneita'  -  sotto altri e
   prevalenti  punti di vista - dei dati da inserire nell'elenco, che
   possono  quindi  piu'  facilmente  sfuggire  alla  percezione  del
   legislatore.  Pertanto,  se  dal  punto di vista della correttezza
   tecnica di formulazione non esistono controindicazioni all'impiego
   della   elencazione   tassativa,   tutttavia   occorrera'  che  il
   legislatore  valuti  attentamente  la completezza dell'elencazione
   stessa.

   6.2.  L'elencazione  e'  esemplificativa  quando  l'interprete  e'
   autorizzato   a  ricavare  il  contenuto  normativo  mediante  gli
   elementi  inseriti  nell'elenco,  ma  oltre  di essi. Si tratta di
   tecnica  di  formulazione estremamente delicata, che puo' tuttavia
   rivelarsi corretta ed utile a condizione che sia utilizzata non in
   forma  pura  ma  esplicativa. L'esemplificazione puo' dirsi "pura"
   quando   il   testo   legislativo  non  contiene  una  espressione
   concettuale    sintetica    della    realta'   analiticamente   ma
   incompletamente    rappresentata   dall'elencazione   e,   quindi,
   l'interprete e' chiamato a individuarla autonomamente (22).

   L'esemplificazione puo' dirsi "esplicativa" quando la disposizione
   contiene  una  espressione  concettuale  sintetica  della  realta'
   rappresentata dall'elencazione, cosi' che quest'ultima costituisce
   un mezzo di ausilio per la migliore individuazione di un contenuto
   normativo gia' interamente espresso nella disposizione legislativa
   (23).

   7.  Molto  frequentemente  la  formulazione  di  una norma avviene
   mediante il richiamo ad altre disposizioni, contenute nello stesso
   o  in diverso atto normativo (rinvio c.d. interno nel primo caso e
   c.d.  esterno  nel  secondo  caso).  Si  tratta  della  tecnica di
   formulazione  fonte delle maggiori difficolta' ed inconvenienti in
   sede  di  individuzione  dell'effettivo  contenuto normativo della
   disposizione  in  tal modo formulata. Cosi' che occorre la massima
   cautela  da parte del legislatore, che, non potendone fare a meno,
   si accinga ad utilizzare una tale tecnica.

   7.1.  Giova  innanzitutto  segnalare  alcune  tecniche  di  rinvio
   particolarmente infelici, e quindi da evitare il piu' possibile:

   a)  rilevanti  rischi per la corretta individuazione del contenuto
   normativo  sono insiti nel c.d. rinvio generico: si fa richiamo un
   gruppo   di   norme   complessivamente   individuate,   ma  questa
   individuazione  avviene  a  mezzo  di  espressioni non tecniche, e
   pertanto  necessariamente  imprecise (24). Occorre, invece, che le
   disposizioni richiamate siano indicate con i loro estremi;

   b)  le  esigenze  di  disciplina  possono  rendere  necessario  il
   richiamo  di  un  gruppo anche vasto di disposizioni normative (da
   individuarsi  con modalita' tecniche, e non genericamente, come si
   e'  detto):  c.d.  rinvio  in  blocco.  Occorre,  in  questo caso,
   verificare  se tale rinvio sia assolutamente necessario, ovvero se
   tra  le numerose disposizioni richiamate individuabili quelle alle
   quali  il  rinvio  va  limitato.  Gli  inconvenienti del rinvio in
   blocco  sono di duplice ordine. In primo luogo, con la tecnica del
   rinvio  in  blocco  viene  a  soffrire  l'"evidenza", la immediata
   conoscibilita'  della  norma, che, soprattutto quando configura un
   precetto  penale,  dovrebbe avere come principale obiettivo la sua
   immediata  comprensibilita'. In secondo luogo, possono verificarsi
   inconvenienti   sul   piano   della   stessa  ricostruzione  della
   fattispecie  penale.  Il  rinvio  in  blocco,  infatti, non sempre
   seleziona tra le norme richiamate quelle che siano effettivamente,
   da  un  punto  di  vista meramente logico oppure anche valutativo,
   consentanee  alla  struttura  o alla ratio della norma richiamante
   (25).   Pertanto,   in  siffatti  ipotesi,  l'opera  di  selezione
   all'interno   delle   norme   richiamate  deve  essere  effettuata
   dall'interprete,   risultando  in  pratica  carente  di  contenuto
   significativo  la  clausola  di  rinvio in blocco utilizzata dalla
   norma richiamante.

   Gli    inconvenienti    possono    essere   evitati   individuando
   singolarmente  per  mezzo  dei  loro  estremi le norme nchiamate o
   addirittura  formulando  interamente  la  fattispecie  nella norma
   richiamante,  ovvero  possono  essere attenuati piu' semplicemente
   utilizzando  espressioni  capaci  di  individuare  con sufficiente
   esattezza  le  categorie di norme alle quali si intenda effettuare
   il richiamo;

   c) occorre, infine, evitare il rinvio "a catena", che si ha quando
   si  richiama  una  disposizione  che, a sua volta, rinvia ad altra
   disposizione.   Esso,   anche  se  non  impedisce  necessariamente
   l'esatta   individuazione   del   contenuto  normativo,  costringe
   l'interprete  ad  una  defatigante  "rincorsa" di disposizioni, in
   stridente  contrasto con le esigenze di conoscibilita' delle norme
   (26).

   7.2.  Al  di  la'  dei  tipi  di rinvio da evitare, occorre essere
   consapevoli  che  e'  la  tecnica  di  rinvio  in se' a presentare
   diversi  inconvenienti,  sul  piano sia della conoscibilita' della
   norma, sia della individuazione del contenuto normativo.

   Sotto  quest'ultimo  aspetto,  va tenuto presente che il rinvio ad
   altra  disposizione non solo recepisce il testo della disposizione
   richiamata  come  esso  risulta  a  seguito  di tutte le eventuali
   successive     modificazioni     ed    integrazioni    intervenute
   antecedentemente alla disciplina che opera il rinvio, ma altresi',
   in linea di principio si adegua automaticamente alle modifiche che
   la  disposizione  richiamata  subisca in epoca successiva (27). Di
   conseguenza,  una  fattispecie  penale  che  sia descritta facendo
   rinvio   ad   altre   disposizioni   e'  suscettibile  di  variare
   imprevedibilmente  in  conseguenza  delle modifiche che subisca la
   disposizione  richiamata,  le quali vengono normalmente operate in
   considerazione   delle   peculiari   esigenze   della   disciplina
   d'origine,  mentre  non  e'  facile che si tenga anche conto delle
   successive  disposizioni  che  a  quella  disciplina  hanno  fatto
   rinvio.

   Il  rischio  di  adeguamenti  automatici  inconsapevoli  che  puo'
   subire,  nel  corso  del  tempo,  la  norma  di  rinvio  induce  a
   concludere,  in linea generale, per l'inopportunita' della tecnica
   di  rinvio  soprattutto  nella  descrizione  degli  elementi della
   fattispecie criminosa.

   7.3.  Le  osservazioni fatte nel precedente paragrafo danno conto,
   altresi',  della  inutilita'  della formula con la quale il rinvio
   viene   esteso   alle   "successive  modificazioni"  ed  eventuali
   integrazioni   dell'atto   normativo   richiamato   principaliter.
   Caratteristica  del  rinvio  e' quella di richiamare la disciplina
   vigente   come   risultante   appunto   dalle   modificazioni   ed
   integrazioni successivamente intervenute.

   Ma  l'uso  della  formula  qui considerata, tenendo a diventare di
   stile,  oltre  che inutile, puo' risultare errato o dannoso. Cosi'
   ad   esempio  quando  -  nonostante  il  richiamo  di  stile  alle
   successive  modificazioni  -  queste  ultime  non  vi siano state,
   oppure  quando non tutte le "successive modificazioni" si rivelino
   coerenti  e  conciliabili  con  il  testo, il sistema o lo spirito
   dello  stesso  atto  normativo  che  le  richiama  (28). O infine,
   quando,   pur   esistendo   delle   successive  modificazioni,  il
   legislatore  abbia  casualmente  omesso di richiamarle, perche' in
   questo caso l'interprete potrebbe essere indotto a ritenere che il
   rinvio si limiti eccezionalmente ai contenuti normativi risultanti
   dal testo originario delle disposizioni richiamate.

   L'eliminazione   della   formula   di   rinvio   alle  "successive
   modificazioni" non esclude la necessita' di accertare, nel momento
   in  cui si redige il rinvio, se la disposizione richiamata abbia o
   meno  subito  modifiche,  sia  per  la  ovvia  consapevolezza  sul
   disposto  normativo  che  viene  richiamato,  sia per l'osservanza
   dell'art.  8  della  legge  11  dicembre 1984, n. 839, secondo cui
   "quando  una  legge  ovvero  un  decreto  o  altro  atto normativo
   contenga  rinvii  numerosi  o  comunque  complessi  a preesistenti
   disposizioni  normative, Il Presidente del Consiglio dei Ministri,
   ovvero  per i decreti e gli altri atti, il Ministro competente per
   materia trasmette, unitamente alla legge o all'atto da pubblicare,
   il testo delle norme alle quali e' operato il rinvio. Queste norme
   sono   pubblicate,  per  informazione,  nella  Gazzetta  Ufficiale
   unitamente  alla  legge,  al decreto o all'atto normativo" (29). E
   ovvio,  infatti,  che  la  Gazzetta  Ufficiale debba pubblicare il
   testo  della norma alla quale e' operato il rinvio come risultante
   a  seguito di tutte le modifiche intervenute sino all'approvazione
   della disposizione richiamante.

   7.4.  In  materia  penale,  si  suole  distinguere il rinvio quoad
   poenam   da   quello  quoad  factum,  i  quali  hanno  conseguenze
   profondamente  diverse. Nel contesto dell'invito a ridurre il piu'
   possibile  il  ricorso alla tecnica del rinvio, va sottolineata la
   necessita'  -  qualora a questa tecnica si debba fare ricorso - di
   utilizzare  espressioni  capaci  di indicare in modo univoco se il
   rinvio  sia  solo  alla pena o anche al fatto e, in secondo luogo,
   che  il  legislatore  faccia un uso consapevole di tali formule in
   vista degli effetti che intende perseguire (30).

   Il  rinvio  quoad poenam puo essere chiaramente formulato mediante
   la dizione: "e' punito con la pena prevista dall'articolo ...". In
   siffatta  ipotesi,  peraltro, il rinvio e' facilmente sostituibile
   con  la  indicazione  diretta  e completa della pena comminata con
   vantaggi  di chiarezza e di certezza normativa, in quanto, come si
   e'  detto  (par.  7.2),  la fattispecie cosi formulata non viene a
   risentire  di  tutte  le  successive  vicende  legislative  subite
   dall'articolo al quale si sarebbe fatto il richiamo.

   Il  rinvio  quoad  factum puo' essere formulato in modo chiaro con
   l'espressione:  "... Si applicano le disposizioni dell'articolo (o
   degli articoli) ..." (31). Siffatto tipo di rinvio comporta che la
   fattispecie  configurata  dalla  disposizione  che opera il rinvio
   deve essere integrata con quella richiamata; e questa integrazione
   e'  sovente  fonte  di incertezze interpretative (32). Esigenze di
   certezza consigliano, pertanto, di procedere ad una riformulazione
   del  precetto,  evitando  anche  in  questo  caso  il ricorso alla
   tecnica  del  rinvio, pur se l'operazione e' meno facile di quella
   consigliata in relazione al rinvio quoad poenam.

   Una esigenza di semplificazione di redazione testuale puo' rendere
   opportuno  il  rinvio  solo  quando  si  tratta  di  estendere  la
   complessiva  disciplina  (e  non  solo,  quindi, quella della pena
   principale)  dettata  per  una  o  piu fattispecie ad altra figura
   criminosa rispetto alla quale essa si ritenga congruente. Fermo il
   presupposto  di  una  compiuta  ed autonoma formulazione del fatto
   tipico,  a tale risultato si puo' giungere utilizzando una formula
   del  tipo  "si  applicano le disposizioni degli articoli ...", con
   l'indicazione  degli  articoli  in  cui e' contenuta la disciplina
   della  fattispecie  di riferimento; oppure piu' sinteticamente una
   formula  del tipo "si osserva la disciplina stabilita per il reato
   previsto dall'articolo ...".

   8.  Considerazione a parte merita l'ipotesi in cui il rinvio venga
   effettuato non gia' ad una disposizione vigente, ma a disposizione
   di  provvedimento  futuro.  In  tal  caso  il rinvio e' ovviamente
   ineliminabile.

   Allorquando  il rinvio e' a norme future e di rango inferiore alla
   legge, il principio della riserva di legge in materia penale (art.
   25,  comma  secondo, della Costituzione) impone che la fattispecie
   sia  formulata  in  modo  da escludere un contributo preponderante
   delle   fonti  sub-primarie  nella  individuazione  del  contenuto
   normativo.

   La  Corte costituzionale - come noto - ha in proposito consolidato
   una  giurisprudenza  in  base  alla  quale occorre e basta che sia
   contenuta in una fonte legislativa una "sufficiente specificazione
   dei  presupposti,  caratteri, contenuto e limiti dei provvedimenti
   dell'autorita'  non legislativa, alla trasgressione dei quali deve
   seguire   la   pena"   (33).   Tale   principio  sembra  adattarsi
   principalmente  all'ipotesi  in  cui  la norma penale rinvii ad un
   provvedimento  amministrativo nel quale si concretizza di volta in
   volta  il  precetto.  Ma  si  attaglia anche all'ipotesi in cui la
   norma  penale  intenda  munire  di  sanzione indiscriminatamente -
   mediante  un  rinvio  "in  blocco"  -  tutti  i  precetti generali
   contenuti  in  una  fonte  regolamentare  che detta norma richiama
   univocamente. Cio' sempre alla condizione naturalmente che anche i
   precetti   regolamentari  trovino  "in  una  legge  determinazioni
   sufficienti  al  soddisfacimento del principio di legalita'" (34),
   come  di  solito  dovrebbero  trovare quando siano contenuti in un
   regolamento esecutivo.

   Ipotesi  diversa  e difficilmente conciliabile col principio della
   riserva  di legge, e quindi come tale da evitare, e' quella in cui
   la  legge  nel  determinare  la sanzione lasci tuttavia alla fonte
   subordinata   l'individuazione   di   quali   tra   le  infrazioni
   regolamentari  dovranno  essere  assoggettate  a pena. Sicuramente
   inconciliabile  con la riserva di legge in materia penale sarebbe,
   infine,  la  riorma  che,  stabilita la specie della pena e i suoi
   limiti estremi, affidasse alla fonte regolamentare la scelta della
   misura edittale in rapporto ad ogni singola violazione sanzionata.

   Simili  preclusioni  sono  agevolmente  ricavabili  dal  principio
   affermato  dalla  Corte costituzionale, in base al quale "le leggi
   dello  Stato  (....)  non  possono rimettere ad altre autorita' di
   determinare in via normativa, a propria scelta, se sanzionare o no
   penalmente  certe infrazioni, e se sanzionarle in una misura e con
   certe  modalita',  piuttosto che diversamente. La normazione sulle
   pene   deve  percio',  considerarsi  propria  ed  esclusiva  della
   legislazione statale, la quale non puo' mai abdicarvi, neppure per
   aspetti marginali" (35).


   Note alla parte I:


   (1)  La  circolare  della Presidenza del Consiglio gia' richiamata
   nel  testo,  oltre a contenere i criteri orientativi per la scelta
   tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, detta - nell'ultima
   parte  (par. 4) - i c.d. canoni modali di previsione dell'illecito
   amministrativo  punitivo,  e  cioe'  alcune  regole attinenti alla
   formulazione delle fattispecie di illecito amministrativo (ed alla
   determinazione  della  relativa  sanzione).  Queste  regole vanno,
   integrate con quelle desumibili dalla seconda parte della presente
   circolare.

   (2) Si tratta dell'ergastolo della reclusione e della multa, per i
   delitti,  e  dell'arresto  e  dell'ammenda  per le contravvenzioni
   (art. 17 c.p.).

   (3)  L'art.  162 c.p. prevede il diritto dell'imputato ad ottenere
   la  oblazione  delle  contravvenzioni  punite con la sola ammenda;
   l'art.  162-bis  c.p. (introdotto dalla legge 24 novembre 1981, n.
   689)   prevede   la  possibilita'  per  il  giudice,  qualora  non
   sussistano   determinate   condizioni   ostative,   di   ammettere
   l'oblazione,  e  cioe'  l'estinzione  mediante il pagamento di una
   somma  di  denaro,  delle  contravvenzioni  punite  con  arresto o
   ammenda.

   (4)  L'ipotesi  che  un  determinato  delitto  possa essere punito
   quando  sia  commesso  (anziche'  con dolo) con colpa, deve essere
   prevista espressamente dalla legge (art. 42, secondo comma c.p.).

   (5)  Si  possono  ricordare,  a  mero  titolo  di esempio, diverse
   contravvenzioni   del   codice  penale  concernenti  l'incolumita'
   pubblica  (art.  673  e  seguenti):  le  disposizioni  in  tema di
   prevenzione   antinfortunistica   e   di   igiene   dell'attivita'
   lavorativa;   le  disposizioni  sulla  circolazione  stradale;  le
   disposizioni  relative  all'igiene degli alimenti; le disposizioni
   in tema di costruzione antisismiche, e cosi' via.

   (6)  Sempre  a titolo di esempio si possono citare le disposizioni
   in  tema  di  stampa  e  stampati  (articoli  662  e 664 c.p.), di
   attivita'  commerciali,  industriali,  di  pubblici spettacoli, di
   stranieri, e cosi' via.

   (7)   Vedi   ad  es.  gli  articoli  665  (esercizi  pubblici  non
   autorizzati  o vietati), 667 e 668 c.p. (rappresentazioni teatrali
   o cinematografiche abusive).

   (8)  Vedi ad es. gli articoli 650, 651 e 652 c.p. (inosservanza di
   provvedimenti delle autorita').

   (9)  Vedi  ad  es.  l'art.  731  c.p.  (inosservanza  dell'obbligo
   dell'istruzione elementare dei minori).

   (10)  Collegata  con  la punibilita' della contravvenzione anche a
   titolo   di   colpa   e'  la  rilevanza  riconosciuta  nelle  sole
   contravvenzioni ad una scusante particolare, la c.d. buona fede.

   Si  tratta  di  una  scusante (frutto di una secolare elaborazione
   giurisprudenziale), la quale si risolve in pratica nella rilevanza
   attribuita  ad  errori  di diritto incolpevoli, perche' indotti da
   circostanze    idonee   a   radicare   nell'agente   il   positivo
   convincimento  di  tenere  una  condotta legittima (parere reso in
   qualsiasi  forma  dalla  pubblica amministrazione interpellata dal
   privato;  precedente assoluzione perche' il fatto non e' preveduto
   dalla  legge  come  reato;  tolleranza  protratta  dalla  pubblica
   amministrazione   rispetto   a   comportamenti   portati   a   sua
   conoscenza).   Questo   atteggiamento   giurisprudenziale   appare
   particolarmente  plausibile  quando  l'intreccio  di  disposizioni
   normative  su cui si innesta la norma incriminatrice, e ch'essa in
   varia  guisa  recepisce  o  presuppone,  sia  tale  da imporre una
   congrua   valutazione   della  loro  effettiva  conoscibilita'  in
   concreto   da   parte  dell'agente.  E  fenomeni  di  questo  tipo
   interessano  constantemente  sia  le  contravvenzioni di carattere
   preventivo-cautelare,  sia  quelle  concernenti  la  disciplina di
   attivita' soggette ad un potere amministrativo.

   Nessuna    giustificazione   potrebbe,   invece,   invocarsi   per
   l'applicazione  della c.d. buona fede ad ipotesi contravvenzionali
   connotate,  rispetto  ai  delitti,  soltanto  in termini di minore
   gravita'.

   (11)  Sono  operanti,  quindi  anche  nella  scelta  tra delitti e
   contravvenzioni,   il   principio  di  proporzione  (tra  gravita'
   dell'illecito  e  trattamento  sanzionatorio)  ed  il principio di
   sussidiarieta'  (che  porta a preferire l'intervento sanzionatorio
   meno   dannoso   per   l'autore  dell'illecito  purche'  esso  sia
   sufficientemente  efficace),  i  quali  costituiscono  i parametri
   fondamentali   di  scelta  nell'opzione  tra  reato  e  violazione
   amministrativa  (paragrafi  2  e  3  della  circolare citata nella
   premessa e nella nota 1).

   (12)  Si  ribadisce  che le considerazioni esposte in questo e nel
   paragrafo successivo presuppongono che, per i due tipi di illecito
   ai  quali  si  fa  riferimento  si sia gia' scartata la scelta del
   trattamento sanzionatorio costituito dall'illecito amministrativo.

   (13)  E'  quanto  accade,  ad  es.,  per la fattispecie delittuosa
   dell'art.  437  c.p.  (rimozione  od  omissione  dolosa di cautele
   contro  infortuni sul lavoro), in relazione alla quale e' prevista
   anche  la  forma  colposa, sia pure non perfettamente coordinata a
   quella dolosa (art. 451 c.p.).

   (14)  L'ipotesi  indicata  nel testo sembra ricorrere nell'art. 9,
   commi  primo e secondo, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423,come
   modificati  dall'art. 12 della legge 13 settembre 1982, n. 646, in
   tema  di  inosservanza  degli  obblighi inerenti alla sorveglianza
   speciale:   il   comma   primo   punisce   con   l'arresto  questa
   inosservanza,  il  comma  secondo  commina la reclusione quando la
   stessa   inosservanza   riguarda   la  sorveglianza  speciale  con
   l'obbligo o il divieto di soggiorno.

   (15)  Secondo  l'art.9  del  regio  decreto 28 maggio 1931, n. 601
   (Disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale)
   "quando  per  il  concorso  di  una  o  piu'  circostanze la legge
   stabilisce   una  pena  di  specie  diversa  da  quella  ordinaria
   stabilita  per  il  reato, per determinare se si tratta di delitto
   ovvero  di contravvenzione non si ha riguardo alla pena ordinaria,
   ma  a  quella  di specie diversa". Non e' chiaro se il riferimento
   alla   pena   di   specie   diversa  valga  comunque,  o  soltanto
   nell'ipotesi  in  cui  ricorra  in  concreto la circostanza che ne
   fonda   l'applicazione.   Nel  primo  caso  il  reato  sarebbe  da
   considerare sempre quale risulta dalla pena comminata in relazione
   alla  circostanza; nel secondo caso, ciascuna ipotesi (quella base
   o  quella  circostanziata)  conserverebbe  la  qualificazione  sua
   propria in base alla pena prevista.

   (16) Il concorso eterogeneo di circostanze si ha quando concorrono
   insieme  circostanze  aggravanti  e circostanze attenuanti. In tal
   caso  il  giudice  effettua  un  giudizio  di  comparazione tra le
   stesse,  dando  prevalenza  ed  applicando le sole aggravanti e le
   sole attenuanti, ovvero considerando le une equivalenti alle altre
   ed  irrogando  pertanto  la  pena  che avrebbe inflitto ove non si
   fossero state circostanze.

   (17)  V. l'art. 133-bis c.p., introdotto dall'art. 100 della legge
   24  novembre  1981,  n.  689,  secondo  il  quale  il giudice, nel
   determinare  l'ammontare  della  pena pecuniaria, deve tener conto
   "anche  delle  condizioni  economiche  del  reo" (comma primo). V.
   inoltre  l'art.  133-ter c.p., pure introdotto dall'art. 100 della
   legge   citata,  in  tema  di  pagamento  rateale  della  multa  o
   dell'ammenda.

   (18)  Cfr. gli articoli 102, 105, 107, 108 della legge 24 novembre
   1981, n. 689.

   (19) In tal senso l'art. 127 della legge 24 novembre 1981, n. 689,
   ha  stabilito  l'applicabilita'  dell'art. 162-bis ad una serie di
   contravvenzioni  punite  con la sola pena dell'ammenda (in materia
   di  disciplina degli alimenti per la prima infanzia e dei prodotti
   dietetici;   di  inquinamento  atmosferico;  di  impiego  pacifico
   dell'energia nucleare; di prevenzione degli infortuni sul lavoro e
   di igiene del lavoro).

   (20) Cfr. art. 24, comma secondo, c.p.


   Note alla parte II


   (1)  L'art.  58, comma terzo, della legge 24 novembre 1981, n. 689
   (Modifiche al sistema penale), si parla di "pena erogata", volendo
   evidentemente alludere alla "pena irrogata" dal giudice.

   (2)  Gli  articoli  77  e  seguenti sempre della legge 24 novembre
   1981,  n. 689, parlano di "applicazione di sanzioni sostitutive su
   richiesta  dell'imputato",  mentre  com'e' noto nel linguaggio del
   c.p.p.  la  "richiesta"  dell'imputato prende il nome di "istanza"
   (v. ad esempio articoli 80, 145, 305 e 372 c.p.p.).

   (3)  Un  esempio di norma in cui il legislatore ha fatto uso di un
   termine  "laico"  in modo del tutto improprio rispetto al fenomeno
   giuridico  che  intendeva designare, con gravi conseguenze inoltre
   sul piano della certezza, e' costituito dall'art. 26, comma primo,
   della legge 10 maggio 1976 n. 319 (Norme per la tutela delle acque
   dall'inquinamento).  Vi  si  legge  infatti  tra l'altro che "sono
   abrogate  tutte le altre norme che, direttamente o indirettamente,
   disciplinano  la  materia degli scarichi in acque, sul suolo o nel
   sottosuolo  e del conseguente inquinamento". Orbene, la nozione di
   una "disciplina indiretta", soprattutto con riferimento alle norme
   penali  incriminatrici,  e' del tutto estranea al fenomeno tecnico
   della   sussumibilita'   o  meno  di  un'ipotesi  particolare  (di
   inquinamento) in una fattispecie astratta.

   (4)  Di espressivita' evidentemente assai modesta sono le rubriche
   anteposte  al testo degli articoli 71 e 72 della legge 22 dicembre
   1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope.
   Prevenzione,   cura   e   riabilitazione  dei  relativi  stati  di
   tossicodipendenza),   che   suonano   rispettivamente   "Attivita'
   illecite" e soprattutto - "Altre attivita' illecite".

   (5) V. in questo senso il paragrafo 2.4 della circolare Presidenza
   del  Consiglio  dei  Ministri  del  19  dicembre 1984 (in Gazzetta
   Ufficiale   n.   35  del  27  dicembre  1984),  che  espressamente
   suggerisce  che "ogni ufficio ministeriale, quando redige il testo
   di un disegno di legge ovvero di uno schema di decreto legislativo
   o  di  regolamento,  provveda a numerare i commi che compongono un
   articolo,  secondo  le  modalita'  che risultano dai decreti-legge
   emanati nei tempi recenti".

   (6)  Si  veda  ad  esempio l'art. 5 della legge 31 luglio 1984, n.
   400,  che fornisce una definizione legislativa - prima inesistente
   -  di  "circostanza  ad effetto speciale", destinata a riflettersi
   sull'intera  complessa  disciplina  delle  circostanze,  inserendo
   detta  definizione  tra  "nuove  norme  sulla  competenza penale e
   sull'appello contro le sentenze del pretore".

   Cfr.   anche   la  legge  4  giugno  1985,  n.  281  (Disposizioni
   sull'ordinamento  della Commissione nazionale per le societa' e la
   borsa;  norme  per  l'identificazione  dei soci delle societa' con
   azioni  quotate  in borsa e delle societa' per azioni esercenti il
   credito;  norme  di  attuazione  delle direttive CEE n. 79/279, n.
   80/390  e  n.  82/121 in materia di mercato dei valori mobiliari e
   disposizioni  per  la  tutela  del  risparmio),  il  cui  art.  25
   sostituisce  il  secondo comma dell'art. 64 c.p.c. introducendo il
   reato di "colpa grave del consulente tecnico nell'esecuzione degli
   atti che gli sono richiesti".

   (7) Singolare e' che in una stessa legge, la legge 20 maggio 1970,
   n.   300  (Norme  sulla  tutela  della  liberta'  e  dignita'  dei
   lavoratori,  della  liberta'  sindacale e dell'attivita' sindacale
   nei  luoghi  di  lavoro  e  norme  sul  collocamento), siano usate
   entrambe le tecniche. Da un Iato, infatti, le disposizioni penali,
   munite di un compiuto sistema sanzionatorio sono poste neiiart. 38
   a  chiusura  della  legge  e  con richiamo esplicito agli articoli
   precedenti per l'individuazione del precetto. Dall'altro, all'art.
   33  la  sanzione  penale  e' prevista nel corpo della disposizione
   sanzionatona,   senza   che   peraltro   vi  fosse  necessita'  di
   differenziare  le  due  situazioni,  poiche' le sanzioni comminate
   dall'art.  33,  comma  dodicesimo, sono le stesse dell'art. 38, al
   quale in effeti il primo articolo rinvia.

   (8)  Rinvio  "in  blocco"  si  ha  quando  si prevede una identica
   sanzione   per  tutte  le  violazioni  alle  disposizioni  di  una
   determinata legge.

   (9)  Ad  esempio,  l'art. 24 della legge 13 settembre 1982, n. 646
   (Disposizioni  in  materia  di  misure di prevenzione di carattere
   patnmoniale  ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423,
   10  febbraio  1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di
   una  commissione  parlamentare sul fenomeno della mafia), contiene
   un richiamo all'art. 17 della stessa legge, che appare privo di un
   senso  e  che  deve  piuttosto  intendersi  effettuato all'art. 16
   sempre della stessa legge.

   Anche  l'art.  59, comma secondo, della legge 24 novembre 1981, n.
   689,  quando  disciplina  i  precedenti ostativi alla sostituzione
   delle  pene  detentive brevi con le sanzioni sostitutive, contiene
   un riferimento al "fatto commesso nell'ultimo decennio", che e' in
   sostanza ininterpretabile.

   (10)  Ancora  la legge 24 novembre 1981, n. 689, non ha coordinato
   il  nuovo  art.  32-bis  c.p.,  ove e' prevista la pena accessoria
   dell'interdizione  temporanea dagli uffici direttivi delle persone
   giuridiche e delle imprese senza indicazione della durata massima,
   con il nuovo art. 140 c.p. ove e' stabilito che la pena accessoria
   provvisoriamente  applicata  -  ivi compresa l'interdizione di cui
   all'art. 32-bis c.p. - "non puo' avere durata superiore alla meta'
   della durata massima prevista dalla legge".

   (1l)  V.  ad  esempio  l'art. 59, comma secondo, lettera b), della
   legge  24  novembre  1981, n. 689, ove, tra le cause ostative alla
   irrogazione  delle pene sostitutive e' stata prevista l'ipotesi di
   colui  al  quale  sia  stata revocata la concessione del regime di
   semiliberta', e non quella in cui sia stato revocato l'affidamento
   in prova al servizio sociale.

   (12)  V.  ad esempio l'art. 323 c.p. (Abuso di ufficio in casi non
   preveduti  specificamente dalla legge) che, non contenendo precisi
   criteri   di   delimitazione   del   reato,   ha   reso  possibili
   interpretazioni divergenti sulle condotte in esso rientranti.

   (13)  Era  questo il caso, ad esempio, del plagio (art. 603 c.p.),
   che parlava di "sottoposizione" di una persona al "potere" altrui,
   con  conseguente  "totale  stato  di  soggezione",  che  la  Corte
   costituzionale  (sentenza  8  luglio  1981,  n.  96)  ha  ritenuto
   incostituzionale   per   carenza  di  un  "contenuto  oggettivo  e
   razionale".

   (14)  Era  questo  il caso dell'espressione "eversione dell'ordine
   democratico"  usata  nelle  leggi  antiterrorismo antecedenti alla
   legge   29   maggio   1982,   n.   304   (Misure   per  la  difesa
   dell'ordinamento  costituzionale),  che  in effetti all'art. 11 ha
   provveduto  a sostituire quella nozione con quella di "ordinamento
   costituzionale".

   (15)  A  parte gli esempi forniti da concetti quali il "sentimento
   morale" o "l'ordine delle famiglie", si puo' ricordare il concetto
   di   "manovre   speculative"  utilizzato  nell'art.  501-bis  c.p.
   (inserito con decreto-legge 15 ottobre 1976, n. 704, convertito in
   legge  27  novembre  1976, n. 787) in una accezione ovviamente non
   tecnica e comune, dotata piu' che altro di un significato emotivo.

   (16)   Un   esempio   puo'  essere  costituito  dalle  indicazioni
   quantitative  ("area  di piccola estensione", "limitata entita' di
   volumi  illegalmente  realizzati",  "limitate modifiche dei volumi
   esistenti")  contenute  nei  recenti  decreti di amnistia (art. 2,
   comma  secondo, lettera c), n. 1, del decreto del Presidente della
   Repubblica  18  dicembre 1981, n. 744 e del decreto del Presidente
   della Repubblica 4 agosto 1978, n.413), per individuare le ipotesi
   criminose alle quali si estende la clemenza.

   Nonostante  incidano semplicemente sul quantum e non sull'an della
   punibilita',  non  paiono  in  perfetta  armonia con l'esigenza di
   determinatezza   le   fattispecie   circostanziate   differenziate
   rispetto  a  quella base in termini esclusivamente quantitativi di
   minore  o  - soprattutto - maggiore gravita': v. ad esempio l'art.
   4,  ultimo  comma,  del  decreto-legge  10  luglio  1982,  n. 429,
   convertito  nella  legge  7  agosto  1982,  n.  516, (Norme per la
   repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul
   valore  aggiunto  e per agevolare la definizione delle pendenze in
   materia tributaria), (fatti "di lievi entita'"); l'art. 116, comma
   primo,  del  regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736 (Disposizione
   sull'assegno  bancario  e  sull'assegno circolare) ("nei casi piu'
   gravi").

   (17) E' il caso ad esempio della definizione legislativa del fatto
   di  "lottizzazione  abusiva",  recentemente  fornita  dall'art. 18
   della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
   dell'attivita'    urbanistico-edilizia,   sanzioni,   recupero   e
   sanatoria delle opere abusive).

   (18)  E'  il  famoso  caso ad esempio della riconducibilita' delle
   energie  aventi  valore  economico  nella nozione di "cosa mobile"
   (art.  624,  comma  secondo,  c.p.). (19) Nel caso di disposizione
   incriminatrice  a  piu'  norme,  la  commissione di ciascuna delle
   condotte  in  essa  previste  da'  luogo  ad  un  reato,  onde  la
   realizzazione  di  piu' condotte concretizza un concorso di reati.
   Nell'ipotesi  di  norma a piu' fattispecie si ha, invece, un'unica
   norma  incriminatrice,  la quale e' applicabile una sola volta sia
   in  caso  di  realizzazione  di  una  soltanto,  sia  in  caso  di
   violazione  di  tutte  le fattispecie ivi previste, trattandosi di
   semplici modalita' di previsione di un unico tipo di reato.

   (20)  Come,  per  esempio,  nell'art. 635 c.p., in cui si elencano
   piu'   condotte,   costituenti  diverse  modalita'  del  reato  di
   danneggiamento.

   (21)  V.  ad  esempio  gli  elenchi  contenuti nell'art. 47, comma
   secondo,   della   legge   26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
   sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione delle misure
   privative  e  limitative  della  liberta'),  concernente  i  reati
   esclusi  dalle  c.d.  "misure  alternative";  e nell'art. 60 della
   legge  24  novembre  1981,  n.  689 (Modifiche al sistema penale),
   concernente  i  reati  esclusi  dall'applicazione  delle  sanzioni
   sostitutive.

   (22)  V.  in  particolare  l'art.  121 del regio decreto 18 giugno
   1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica
   sicurezza),  contenente  un  precetto peraltro oggi depenalizzato,
   ove  e'  posto  un  obbligo  di  iscrizione in apposito registro a
   carico  degli  esercenti un lungo elenco di mestieri, chiuso dalla
   formula  "mestieri  analoghi". Similmente, l'art. 127 dello stesso
   regio   decreto   gia'   citato  elenca  una  serie  di  attivita'
   concernenti  oggetti  preziosi,  chiudendo  l'elencazione  con  la
   formula conclusiva "arti affini".

   (23)  A questa tecnica esemplificativa e' riconducibile ad esempio
   la  disposizione  dell'art. 45 del regio decreto 6 maggio 1940, n.
   635 (Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico
   18 giugno 1931, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza), ove e'
   detto  che "sono considerate armi gli strumenti da punta e taglio,
   la  cui  destinazione  naturale  e'  l'offesa  alla  persona, come
   pugnali, stiletti e simili".

   Nonostante  la  sua  ambigua formulazione, puo' essere considerato
   quale   esempio  della  medesima  tecnica  di  formulazione  anche
   l'ultimo  comma  dell'art.  416-bis  c.p.,  in  quanto  la formula
   apparentemente  analogica  ivi  contenuta venga invece intesa come
   specificativa,   o   meglio   chiarificatrice,  della  definizione
   sintetica contenuta nel comma terzo dello stesso articolo.

   (24)   Come   esempio   di   rinvio  generico  puo'  indicarsi  la
   disposizione  gia'  citata  nella nota 3, e cioe' l'art. 26, comma
   primo,  della  legge  10  maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela
   delle  acque  dall'inquinamento),  ove  si  dispone  l'abrogazione
   espressa   delle   "norme   che,  direttamente  o  indirettamente,
   disciplinano  la  materia degli scarichi in acque, sul suolo o nel
   sottosuolo e del conseguente inquinamento".

   (25) V. ad esempio l'art. 20, comma primo, lettera a), della legge
   28   febbraio   1985,   n.  47  (Norme  in  materia  di  controllo
   dell'attivita'    urbanistico-edilizia,   sanzioni,   recupero   e
   sanatoria  delle opere abusive), (nel testo modificato dall'art. 3
   del   decreto-legge  23  aprile  1985,  n.  146),  ove  e'  punita
   "l'inosservanza  delle  norme,  prescrizioni e modalita' esecutive
   previste  dalla  presente  legge,  dalla  legge 17 agosto 1942, n.
   1150,   e  successive  modificazioni  e  integrazioni,  in  quanto
   applicabili,  nonche'  dai  regolamenti  edilizi,  dagli strumenti
   urbanistici e dalla concessione".

   V.  altresi'  l'art.  2, comma ventiseiesimo, del decreto-legge 19
   dicembre  1984,  n.  853, ove con un doppio rinvio e' stabilita la
   punibilita'  dei  contribuenti che "nelle ipotesi di cui al quarto
   comma  dell'art. 41 del decreto del Presidente della Repubblica 26
   ottobre  1972,  n.  633,  non provvedono alla regolarizzazione nei
   modi  e  nei  termini  ivi  stabiliti",  cioe'  dalle  varie norme
   costituenti il contenuto dell'art. 41 di detto decreto.

   V.  anche l'art. 16 del decreto ministeriale 30 maggio 1973 (Norme
   speciali   tecniche   per  l'esportazione  delle  melanzane),  che
   dispone:  "Le  trasgressioni  alle norme del presente decreto sono
   punite ai sensi del regio decreto-legge 20 dicembre 1937, n. 2213,
   convertito  in  legge  2  maggio 1938, n. 864 ...". Orbene a parte
   l'evidente  rinvio  (interno)  in  blocco (su cui v. retro il par.
   3.4)  alle  "trasgressioni  del presente decreto", che e' ricco di
   minutissime  prescrizioni,  il  richiamato  regio decreto-legge 20
   dicembre  1937,  n.  2213,  conteneva  originariamente ben quattro
   fattispecie penali, anche se in verita' il rinvio si deve ritenere
   effettuato   alla  sanzione  comminata  per  le  violazioni  delle
   disposizioni emanate in virtu' dell'art. 3 del regio decreto-legge
   citato,   il   quale   per   l'appunto   autorizza   il   Ministro
   all'emanazione della specifica disciplina tecnica.

   (26)  Esempio  limite  di  rinvio  a  catena  e'  quello contenuto
   nell'art.  6  del  decreto-legge  l° dicembre 1984, n. 795 (Misure
   amministrative e finanziarie in favore dei comuni ad alta tensione
   abitativa),  ove  tra  i  requisiti  per  chiedere  l'assegnazione
   temporanea  delle  unita'  immobiliari  e' previsto quello "di cui
   all'art.  20,  primo  comma,  lettera  a), punto 3), della legge 5
   agosto  1978,  n.  457, come aggiornato dalla delibera CIPE del 12
   giugno  1984,  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale n. 199 del 20
   luglio 1984, determinato ai sensi dell'articolo 2, quattordicesimo
   comma,  del  decreto  23  gennaio  1982,  n.  9,  convertito,  con
   modificazioni,  nella  legge  25  marzo 1982, n. 94, risultante da
   dichiarazione  resa  ai  sensi  dell'art.  24 della legge l aprile
   1977, n. 114".

   (27)  Estremamente  significativa  e'  la  situazione risultante a
   seguito  della  modifica  introdotta  dall'art.  5  della legge 31
   luglio  1984,  n.  400,  al  terzo comma dell'art. 63 c.p., che si
   riferiva  alle  circostanze  per le quali la "legge stabilisce una
   pena  diversa  o  ne  determina  la  misura in modo indipendente".
   Numerose  altre  disposizioni del codice penale si richiamano alle
   "circostanze  indicate  nel  secondo  capoverso dell'art. 63": ma,
   essendo  mutato  ad opera del citato art. 5 della legge n. 400 del
   1984  il  contenuto  di  quel  secondo  capoverso,  si pongono non
   semplici   problemi   interpretativi   per  armonizzare  il  nuovo
   contenuto   della   norma   richiamata   con  quello  delle  norme
   richiamanti.

   (28)  La  Corte  costituzionale, con sentenza 14 dicembre 1984, n.
   292,  ha  avuto  modo  di sottolineare le incertezze cui puo' dare
   origine  la  formula  del  rinvio alle "successive modificazioni",
   dichiarandone nel caso specifico la incostituzionalita'.

   (29)  La  prassi  applicativa  della  norma,  in conformita' della
   circolare della Presidenza del Consiglio gia' citata nella nota 5,
   ha  esteso  l'applicazione  dell'art.  8 della legge n. 839/1984 a
   tutte   le   disposizioni  di  rinvio,  abbiano  o  meno  esse  le
   caratteristiche di "complessita'" previste da detta norma.

   (30)  Cosi'  ad esempio l'art. 2, commi 27 e 30, del decreto-legge
   19  dicembre  1984,  n.  853, sembra contenere, almeno stando alla
   lettera,  un  rinvio  quoad poenam all'art. 4 del decreto-legge 10
   luglio  1982,  n.  429  (convertito  nella legge 7 agosto 1982, n.
   516),  senza  pero' che vi sia un'esauriente descrizione del fatto
   ("in caso di falsita' ...").

   Per  contro  un  rinvio  quoad  factum sembra contenuto ad esempio
   nell'art.  67  della  legge  1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle
   cose  di  interesse  artistico  o  storico),  nei  confronti degli
   articoli  624  e 625 c.p. Tuttavia, data l'eterogeneita' dei fatti
   ivi  contemplati  e  soprattutto  la completezza della descrizione
   della  fattispecie  ivi  descritta, il rinvio deve ritenersi quoad
   poenam,   con   conseguente   inapplicabilita'  ad  esempio  delle
   circostanze del furto.

   (31) Significato equivoco hanno, invece, le formule "... e' punito
   ai   sensi   dell'articolo   ...",   e  "...  e'  punito  a  norma
   dell'articolo  ...",  potendo  esse  indicare  sia un rinvio quoad
   poenam che un rinvio quoad factum.

   (32)  V. ad esempio l'art. 28, comma quarto, della legge 20 maggio
   1970,  n.  300  (Norme sulla tutela della liberta' dei lavoratori,
   della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di
   lavoro  e norme sul collocamento), ove la "condotta antisindacale"
   del  datore di lavoro e' punita "ai sensi dell'art. 650 del codice
   penale",  suscitando  cosi'  l'interrogativo se il requisito della
   "legalita'"  del  provvedimento, previsto nella fattispecie di cui
   all'art.  650  c.p.  faccia  parte  anche  dell'ipotesi  criminosa
   prevista dall'art. 28 del c.d. statuto dei lavoratori.

   V.  altresi'  similmente  l'art.  70,  comma  primo, della legge 4
   maggio  1983,  n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento
   dei  minori),  ove un'omissione di attivita' informativa e' punita
   "ai sensi dell'art. 328 del codice penale".

   V.  anche l'art. 93 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375,
   convertito  nella  legge 7 marzo 1938, n. 141 (Disposizioni per la
   difesa  del  risparmio e la disciplina della funzione creditizia),
   che,  nel  sanzionare  gli  articoli  38  e  65 dello stesso regio
   decreto-legge,  attualmente  richiama  l'art.  2624 c.c. ("a norma
   dell'articolo  2624 del codice civile ..."). Potendo a prima vista
   far  credere  che,  essendo  fra  l'altro  il  codice  civile  lex
   posterior,   l'ambito   applicativo   dell'art.   93   del   regio
   decreto-legge  citato  sia  stato  ridotto  alle  sole  violazioni
   dell'art.  38  del regio decreto-legge citato, che in effetti sono
   le  uniche  cui a sua volta si riferisce l'art. 2624 c.c. (33) Per
   una  recente conferma di tale orientamento giurisprudenziale della
   Corte costituzionale v. la sentenza 10 giugno 1982, n. 108.

   (34) In tal senso, la sentenza 5 marzo 1975, n. 58, che in effetti
   riguardava l'art. 1164 del codice della navigazione, ove e' punita
   -  tra  l'altro - l'inosservanza delle disposizioni di regolamento
   "relativamente  all'uso del demanio marittimo e aeronautico ovvero
   delle zone portuali della navigazione interna".

   (35) Cosi' testualmente la sentenza 17 marzo 1966, n. 26.