(all. 1 - art. 1)
ATTO DI INTESA DELLA CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO
   STATO, LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO  E  DI  BOLZANO
   PER LA DEFINIZIONE DEL "PROGETTO-OBIETTIVO AIDS 1994-1996".
  La  Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e  di  Bolzano  nella  seduta  del  25
novembre 1993 ha approvato, con alcune osservazioni, l'Atto di intesa
per   la   definizione   del   "Progetto-obiettivo  AIDS  1994-1996",
presentato dal Ministero della sanita', in data 6  ottobre  1993.  Si
riporta di seguito il relativo testo, con le modifiche conseguenti al
recepimento di dette osservazioni:
PERCHE' UN PROGETTO OBIETTIVO.
  Un  organico  programma  di  lotta  contro  l'infezione da HIV/AIDS
assume di necessita' tutte le caratteristiche proprie di  quello  che
la  legge 23 ottobre 1985, n. 595, definisce come progetto-obiettivo,
vale a dire "un  impegno  operativo  idoneo  a  fungere  da  polo  di
aggregazione  di  attivita'  molteplici  delle  strutture  sanitarie,
integrate dai servizi socio-assistenziali, al fine di  perseguire  la
tutela socio-sanitaria dei soggetti destinatari del progetto".
  E'  noto  infatti  che  l'infezione  da  HIV/AIDS e' un problema di
sanita' pubblica emergente con risvolti di carattere sociale, morale,
psicologico che  si  intrecciano  con  quelli  biologici,  clinici  e
assistenziali determinando una situazione di particolare complessita'
sia sul piano generale che individuale.
  In  relazione a queste considerazioni, in Italia e' stata approvata
una apposita legge in materia (legge  5  giugno  1990,  n.  135).  Un
progetto-obiettivo finalizzato alla "Lotta all'AIDS" e' stato inoltre
approvato,  a stralcio del Piano sanitario nazionale 1990-1992 con le
risoluzioni  della  commissione  affari  sociali  della  Camera   dei
deputati  in  data 21 marzo 1990 e della commissione igiene e sanita'
del Senato in data 16 maggio 1990. Tali strumenti hanno consentito di
pianificare e di avviare un  insieme  articolato  di  iniziative  che
riguardano  tanto  gli ambiti della prevenzione e dell'assistenza che
quelli della ricerca e della formazione degli operatori.
  Si tratta ora di aggiornare la strategia di intervento  complessiva
tenendo  conto  dei  mutamenti  delle  conoscenze intervenute e delle
nuove risultanze epidemiologiche.
  In via preliminare si  deve  evidenziare  che  per  gli  interventi
relativi  alla  lotta  all'AIDS,  come per la tossicodipendenza, sono
state  previste  dal  legislatore  risorse  finanziarie   specifiche,
nell'ambito  di  una  disciplina  particolare  che  ha  espressamente
disposto la periodica revisione dei programmi di intervento  ai  fini
di  adeguarli  alle  esigenze  che  via  via  si manifestano. Da cio'
consegue che, nei limiti di quelle disponibilita' finanziarie e degli
indirizzi fissati  dalla  legge,  l'adeguamento  dei  programmi  alle
esigenze sopravvenute possa essere effettuato mediante strumenti a se
stanti,   distinti   rispetto   al   piano   sanitario  nazionale,  e
precisamente  mediante  la  periodica  presentazione  delle  relative
proposte  alle competenti commissioni affari sociali della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica ai fini della formulazione dei
conseguenti indirizzi.
  Si deve sottolineare, al riguardo, che l'art. 1 della legge n.  135
del   1990,   riguardante   il   programma   di   costruzione   e  la
ristrutturazione dei reparti di ricovero per malattie  infettive,  la
realizzazione  di  spazi  per  le  attivita'  di  ospedale  diurno  e
l'istituzione  o  il  potenziamento  dei laboratori di microbiologia,
virologia e immunologia nonche' di altri  reparti  individuati  dalle
regioni  perche'  impegnati  nell'assistenza  dei  casi  di  AIDS per
oggettive e  documentate  condizioni  epidemiologiche,  espressamente
prevede  l'aggiornamento  degli  interventi  stabilendo  che le opere
vengano realizzate secondo le  indicazioni  che  periodicamente  sono
date  dalla Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS, sentita
la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato e le regioni, in
relazione alle previsioni epidemiologiche e alle conseguenti esigenze
assistenziali.
CONOSCENZE E PREVISIONI EPIDEMIOLOGICHE: LA DOMANDA.
  L'Organizzazione mondiale della sanita'  stima  che  all'inizio  di
maggio  1993  si  siano  gia' verificati nel mondo oltre 3 milioni di
casi di AIDS ed almeno 14 milioni di casi di infezione da HIV.
  Nella sola Europa le stime indicano in circa 150.000 il numero  dei
casi di AIDS, di cui 20.000 in Italia.
  Piu'  difficile  risulta  la  stima  del  numero  di  soggetti  con
infezione da HIV. Anche in Italia, per descrivere le  dimensioni  del
fenomeno delle infezioni HIV e dell'AIDS, vengono utilizzate stime di
incidenza  e  prevalenza, sia prodotte da sistemi di sorveglianza che
ottenute utilizzando studi analitici e modelli matematici.
  Sulla base delle conoscenze disponibili  e'  possibile  stimare  un
tempo  mediano  di  incubazione tra infezione ed AIDS superiore ai 12
anni; tale intervallo e' fortemente dipendente dall'eta'  al  momento
della sieroconversione.
  Il  livello di accuratezza e di precisione delle stime di incidenza
e prevalenza di AIDS,  sia  per  quanto  riguarda  lo  stato  attuale
dell'epidemia  (1993)  che le previsioni a breve termine (1995), sono
da considerare ormai molto affidabili.
                        A) STATO DELL'EPIDEMIA
a) Incidenza di AIDS.
  Dai dati del sistema di sorveglianza, tenendo conto del ritardo  di
notifica,  nel  1993 risulta che si verificano in Italia almeno 1.900
nuovi casi di AIDS ogni sei  mesi,  corrispondenti  ad  un  tasso  di
incidenza   di   3.4/100.000  abitanti,  di  cui  circa  400  femmine
(1.2/100.000) e 1500  maschi  (5.6/100.000).  I  casi  di  AIDS  sono
concentrati  nella  fascia d'eta' 20-39 anni e l'incidenza di AIDS ha
notevole variabilita' geografica.
b) Prevalenza di AIDS.
  Dai dati del sistema di sorveglianza,  integrati  con  i  risultati
degli  studi  di  follow-up  attivo  per  le  stime  di sopravvivenza
(sopravvivenza mediana in AIDS circa quindici mesi), deriva una stima
di prevalenza di circa 7.400-7.800 persone con AIDS viventi alla fine
del II trimestre 1993. La stima appare molto affidabile.
c) Incidenza di infezioni HIV.
  La stima minima ottenuta dai sistemi di sorveglianza  e'  di  circa
9.500  nuove  diagnosi  di  infezione HIV/anno, di cui circa 2.900 in
donne (a fine 1992).
  I modelli matematici integrati stimano 14.500 nuovi casi  incidenti
nel  1992,  di  cui  7.000  circa  donne,  che,  secondo  i  modelli,
costituirebbero oltre il 40% delle nuove infezioni  verificatesi  nel
1992.
  Le conoscenze oggi disponibili permettono di affermare che il picco
di  incidenza  di  infezioni da HIV si e' verificato in Italia tra il
1986 ed il 1987, con valori stimati da modelli matematici dinamici  e
back-calculation  di  almeno 5.000 nuove infezioni a trimestre, quasi
esclusivamente tra i tossicodipendenti.
d) Prevalenza di infezioni HIV.
  Sulla base di studi osservazionali e' possibile stimare  in  almeno
67.500  il  numero  delle  persone con infezioni HIV diagnosticate in
Italia, di cui circa il 29% donne.
  Dai modelli matematici (basati su stime formulate  all'inizio  1991
di  circa  68.900  casi  prevalenti) si giunge a stimare circa 89.000
persone con infezione HIV viventi a fine 1992, di cui  circa  il  37%
maschi tossicodipendenti, il 25% maschi non tossicodipendenti, il 12%
femmine tossicodipendenti ed il 26% femmine non tossicodipendenti.
  La  quota  di  infezioni in maschi attribuibile a rapporti sessuali
con persone dello stesso sesso non sarebbe superiore al 9%.
                        B) PREVISIONI AL 1995
  Il breve intervallo di tempo scelto per le previsioni  consente  di
ritenere  che  si  tratta  di dati sufficientemente affidabili per la
pianificazione di interventi di  sanita'  pubblica,  soprattutto  per
quanto riguarda gli aspetti qualitativi della modalita' di diffusione
dell'epidemia,  importanti  per  la  definizione  delle  strategie di
prevenzione  e  le  stime  quantitative  della  prevalenza  di  AIDS,
cruciali  per  la  definizione  dei bisogni di assistenza, diagnosi e
cura.
 a) Incidenza di AIDS.
  Si prevede che nel 1995 si dovrebbero  verificare  ogni  trimestre,
con  gli  attuali  criteri  di definizione di caso, circa 1.800 nuovi
casi di AIDS contro i circa 1.000 nuovi casi di AIDS a trimestre  del
1993,  praticamente  un raddoppio dell'incidenza stimata per il 1993.
La modifica di definizione di caso attuata dal 1 luglio 1993, secondo
gli accordi intercorsi in  sede  europea,  potrebbe  determinare  una
anticipazione  della diagnosi e un conseguente aumento del numero dei
casi definiti come AIDS.
  In base alle conoscenze sulla storia  naturale  della  malattia  e'
possibile affermare che almeno il 95% dei casi di AIDS al 1995 non e'
prevenibile,  poiche'  derivera'  da persone che hanno gia' contratto
l'infezione. In  altre  parole  gli  interventi  di  prevenzione  che
saranno  attuati - peraltro assolutamente indispensabili - saranno in
grado di ridurre l'incidenza di infezioni nel breve periodo e  quindi
i  casi  di AIDS nel medio e lungo periodo, ma non potranno ridurre i
bisogni assistenziali nel breve periodo.
b) Prevalenza di AIDS.
  Dai dati dei sistemi di sorveglianza,  integrati  con  i  risultati
degli  studi di follow-up attivo per le stime di sopravvivenza, e dai
modelli matematici, deriva una  previsione  di  prevalenza  di  circa
10.000-12.000  persone  con  AIDS  viventi  nel  1995. Soprattutto il
bisogno di assistenza ospedaliera per persone con  AIDS  raddoppiera'
rispetto  al  1993  e  non  sara'  in  alcun  modo  influenzato dagli
interventi di prevenzione.
  Occorre  inoltre  tener  conto  che,  malgrado  le  previsioni  del
presente  progetto  volutamente  si limitino al 1995, per ottimizzare
precisione e validita', per quanto riguarda la prevalenza di AIDS  si
puo' affermare con sufficiente affidabilita' che il numero massimo di
persone  con AIDS viventi non sara' raggiunto prima del 2000, anno in
cui  vi  potrebbero  essere  circa 17.000 persone con AIDS viventi in
Italia.
c) Incidenza di infezioni HIV.
  Le previsioni di incidenza  di  infezioni  HIV  al  1995  dipendono
fortemente    dalle   conoscenze   disponibili   sulla   trasmissione
dell'infezione per ciascuna modalita', da  parametri  comportamentali
(tassi   di   acquisizione   di  nuovi  partner  sessuali,  tassi  di
acquisizione di partner, di scambio di siringhe) nei  diversi  gruppi
di  popolazione,  modalita' di interazione tra popolazione generale e
tossicodipendenti nei comportamenti sessuali, incidenza e  prevalenza
di tossicodipendenza.
  Le   analisi   di   sensibilita'  dei  modelli  matematici  mettono
particolarmente in  risalto  la  dipendenza  delle  previsioni  dalle
assunzioni sulle probabilita' di trasmissione nei rapporti sessuali.
  Sulla  base  delle  conoscenze  disponibili e' possibile ipotizzare
che:
   in termini di frequenza,  l'incidenza  di  infezioni  da  HIV  sta
diminuendo  tra i tossicodipendenti, probabilmente per la progressiva
riduzione della proporzione di tossicodipendenti con comportamenti ad
alto rischio, sia per un parziale cambiamento dei  comportamenti  che
per   l'esaurimento   dei   sottogruppi   ad  alto  rischio  a  causa
dell'infezione;
   in termini  di  frequenza,  l'incidenza  di  infezioni  HIV  nella
popolazione generale sta aumentando sensibilmente, in particolare tra
le donne;
   nella  popolazione  di tossicodipendenti maschi, oltre l'85% delle
nuove infezioni da HIV viene determinato  dall'uso  in  comune  delle
siringhe,  mentre  tra le donne tossicodipendenti almeno il 35% delle
nuove infezioni e' determinato da trasmissione sessuale;
   nella popolazione generale almeno il 60% delle nuove infezioni tra
gli  uomini  e'  attribuibile  a  rapporti  sessuali  con  prostitute
tossicodipendenti,  mentre  tra  le  donne  almeno  l'80% delle nuove
infezioni deriva da rapporti con partner  sessuali  tossicodipendenti
(o  ex tossicodipendenti). In altre parole la maggioranza delle nuove
infezioni nella popolazione generale sara', determinata  da  rapporti
sessuali  con  tossicodipendenti  o ex tossicodipendenti. Solo il 20%
circa delle nuove infezioni tra i  maschi  e  tra  le  donne  sarebbe
legato a rapporti sessuali con persone non tossicodipendenti.
  Le  simulazioni  da  modelli  matematici  dimostrano  che in Italia
sarebbe difficilmente  prevedibile  una  epidemia  auto-sostenuta  da
rapporti  sessuali  nella popolazione generale, nella quale viceversa
la diffusione dell'epidemia e'  ancora  in  gran  parte  condizionata
dalla    interazione    con    persone   tossicodipendenti   o   gia'
tossicodipendenti.
d) Prevalenza di infezioni HIV.
  Le previsioni di prevalenza di  infezione  HIV  sono  relativamente
affidabili   per   quanto   riguarda  la  proporzione  di  prevalenza
determinata dalla incidenza attuale. Su tale base si  stima  che  nel
1993  siano presenti in Italia 89.000 infetti da HIV (di cui circa il
37% maschi tossicodipendenti, il 25% maschi non tossicodipendenti, il
12%   femmine   tossicodipendenti   ed    il    26%    femmine    non
tossicodipendenti) e che nel 1995 saranno 109.000.
  Un'ipotesi  di  distribuzione per sesso e modalita' di acquisizione
dell'infezione, la cui validita' dovra' essere confermata nel  tempo,
indica  che  di tali casi circa il 28% potrebbe verificarsi in maschi
tossicodipendenti, il 29% in maschi non tossicodipendenti soprattutto
attraverso  rapporti   sessuali   promiscui,   il   9%   in   femmine
tossicodipendenti ed il 34% in femmine non tossicodipendenti.
  Le  previsioni  di incidenza e prevalenza di infezioni HIV al 1995,
in particolare per quanto  riguarda  la  popolazione  generale  e  le
donne,  pur rappresentando la miglior approssimazione possibile sulla
base  delle   conoscenze   scientifiche   oggi   disponibili,   vanno
considerate  come  estremamente  dipendenti da conoscenze a validita'
limitate  sui  comportamenti  sessuali  della  popolazione  e   sulle
probabilita' di trasmissione dell'infezione per contatto sessuale.
  Una migliore definizione dei livelli di infezione nella popolazione
potra'  essere ottenuta con l'applicazione su larga scala di indagini
di prevalenza, che sara' facilitata  dalla  prossima  attuazione  del
decreto  sulle rilevazioni epidemiologiche e statistiche condotte con
modalita' che siano tali da non  consentire  l'identificazione  della
persona, di cui al comma 2 dell'art. 5 della legge n. 135 del 1990.
e) Patologie associate o condizionate dall'infezione da HIV.
  Tra  le  malattie  la  cui insorgenza e' favorita dall'infezione da
HIV, la tubercolosi si caratterizza per il fatto  di  essere  l'unica
infezione  aerodiffusa  a  potersi  trasmettere anche ai soggetti non
immunodepressi. Studi in corso nel nostro  Paese  hanno  permesso  di
stimare una incidenza di malattia tubercolare del 2,2% per anno tra i
soggetti   con   infezione  da  HIV;  applicando  questa  stima  alla
popolazione prevalente di soggetti con infezione da HIV presente oggi
nel  nostro  Paese  (89.000  persone)  e'  possibile  ipotizzare   il
verificarsi  ogni  anno  di  circa  1900 casi di malattia tubercolare
legata all'infezione da HIV. Questo fatto potrebbe contribuire ad una
ripresa del contagio tubercolare, soprattutto nella  popolazione  che
ha  contatti  con  soggetti  con  infezione da HIV e con soggetti con
malattia tubercolare provenienti  da  zone  di  endemia  tubercolare.
Inoltre  la contemporanea presenza nei reparti di degenza di soggetti
capaci  di  diffondere  il  contagio  tubercolare  (i  soggetti   con
infezione  da  HIV  e  tubercolosi  attiva)  e  di pazienti altamente
suscettibili al contagio (tra cui in  particolare  il  complesso  dei
pazienti  con  infezione  da  HIV/AIDS)  puo' favorire la comparsa di
epidemie nosocomiali. Tali episodi si sono gia' verificati  anche  in
Italia  ed  hanno  coinvolto,  in qualche caso, anche il personale di
assistenza.
  Le linee-guida messe a punto recentemente negli Stati Uniti dai CDC
per prevenire la diffusione nosocomiale della  tubercolosi  prevedono
che  le  strutture  siano  costituite  da  stanze  a 1 e 2 letti, con
pressione  negativa  e  dotate  di  6  ricambi  d'aria  l'ora,  senza
ricircolo  dell'aria,  misure  d'altronde gia' previste nel programma
italiano relativo alla ristrutturazione dei reparti  di  degenza  per
malattie infettive.
  La Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS ha affrontato i
diversi  problemi  determinati  dalla  tubercolosi,  con  particolare
riguardo agli aspetti preventivi e di sanita'  pubblica  ed  emanera'
specifiche linee-guida.
f) Patologie correlate all'AIDS.
  Le   malattie  a  trasmissione  sessuale  (MTS)  sono  strettamente
correlate  all'epidemia  di  AIDS.  I  soggetti  con  MTS  ulcerative
costituiscono   un   gruppo  ad  aumentato  rischio  di  acquisizione
dell'infezione da HIV. Per affrontare globalmente il  problema  delle
MTS  e'  necessario  ridefinire  le  modalita'  di approccio a questa
patologia, con il coinvolgimento e la  collaborazione  tra  tutte  le
figure professionali e di tutti i servizi interessati.
                             PREVENZIONE
  La   prevenzione,   l'informazione,   l'educazione   continuano   a
rappresentare le armi piu' efficaci nella lotta contro  l'AIDS,  come
confermato dal recente documento (1993) della Organizzazione mondiale
della  sanita'  "La  strategia  mondiale di lotta contro l'AIDS", che
ridefinisce il programma gia' messo a punto nel 1987, alla luce delle
nuove conoscenze ed esigenze.
  E'  importante  che  non  si  determinino   grandi   soluzioni   di
continuita' nell'impegno per la prevenzione dell'AIDS.
  La  continuita'  e' da considerare, come e' stato evidenziato anche
da risoluzioni degli organismi di sanita' pubblica sovranazionali, un
elemento fondamentale per l'efficacia della prevenzione.
  In  rapporto  alle  conoscenze  oggi   disponibili   sull'andamento
dell'epidemia  e'  pero'  necessario definire specifici ed aggiornati
programmi di prevenzione che devono tener conto essenzialmente  della
condizione   personale  dei  soggetti  interessati.  Nell'area  della
prevenzione devono rientrare i seguenti interventi:
a) Programmi di riduzione del danno nei tossicodipendenti.
  I programmi hanno l'obiettivo di ridurre l'incidenza  di  infezioni
trasmissibili per via ematica e sessuale nei tossicodipendenti, oltre
a  ridurre  l'incidenza  e  la  letalita' associata all'assunzione di
stupefacenti.
  La realizzazione di tali programmi dovrebbe passare attraverso:
   il contatto dei tossicodipendenti  che  non  accedono  ai  servizi
mediante appositi programmi "da strada", con distribuzione di presidi
che  rendano  meno  pericolose  le  conseguenze  dei  comportamenti a
rischio;
   il  potenziamento  dei  programmi  di  mantenimento  con   farmaci
sostitutivi, anche per cercare di facilitare l'utilizzazione dei SERT
da parte dei tossicodipendenti.
b) Programmi di riduzione del danno nell'area della
  prostituzione.
  Questi  programmi  hanno  l'obiettivo  di  ridurre  l'incidenza  di
infezioni trasmissibili per via ematica  e  sessuale,  attraverso  la
riduzione  sia  dei  comportamenti associati ai danni, che dei rischi
associati a tali comportamenti.
 c) Programmi integrati di informazione ed educazione sessuale.
  I programmi hanno l'obiettivo di ridurre l'incidenza  di  infezioni
trasmissibili per via ematica e sessuale nella popolazione giovanile.
La realizzazione di tali programmi dovrebbe essere basata su:
   concentrazione  degli  sforzi  per  raggiungere  i giovani di eta'
inferiore ai 16 anni, cioe' gli  adolescenti  che  non  hanno  ancora
iniziato l'attivita' sessuale;
   inserimento   delle   informazioni  finalizzate  alla  prevenzione
all'interno di attivita' informative ed educative positive che  siano
incentrate   sull'educazione   alla   salute,   quindi   anche  sulla
sessualita' e non sulla malattia;
   affidamento   agli   insegnanti   opportunamente  preparati  delle
attivita'  educative  ed  informative,  in  collaborazione   con   le
strutture sanitarie;
   estensione  dei  programmi  di  prevenzione anche ai giovani della
scuola dell'obbligo, sia essa pubblica che privata;
   contatto  dei  giovani  che  non  frequentano  la  scuola  e   che
rappresentano  un  gruppo ad altissimo rischio, attraverso "unita' da
strada" o programmi nei luoghi di aggregazione,  compresi  quelli  in
cui vengono effettuate le pratiche sportive.
d) Programmi di informazione.
  I  programmi  di  informazione per la popolazione generale anche se
hanno  una  priorita'  inferiore  a  quella  degli  anni  precedenti,
continuano  ad  avere  l'obiettivo  di mantenere elevata l'attenzione
dell'opinione pubblica sui problemi  dell'epidemia  e  sui  possibili
interventi  di  prevenzione,  cosi'  come  richiede la gia' ricordata
strategia di  lotta  all'AIDS  della  Organizzazione  mondiale  della
sanita'.
  Le iniziative di informazione debbono essere organicamente inserite
in  programmi  locali di intervento e riguardare anche la prevenzione
della tubercolosi collegata all'AIDS.
  Gli  interventi  di  prevenzione  dovranno   prevedere   anche   la
promozione  del  test per la ricerca degli anticorpi anti-HIV, sempre
offerto  con  il  counseling  pre  e  post-test   e   garantendo   la
possibilita'  di  eseguire l'accertamento con il consenso ed anche in
forma anonima. Per soggetti che si trovino in determinate  situazioni
(ad esempio le donne in eta' fertile, le gravide, i detenuti, ecc.) o
abbiano   comportamenti   a  rischio,  dovranno  essere  identificate
appropriate modalita' per l'offerta attiva e  l'esecuzione  del  test
nei  luoghi  in  cui  tali  soggetti  vengono a trovarsi (consultori,
carceri, ecc.).
                    GLI INTERVENTI ASSISTENZIALI
  Il gia' ricordato documento di  aggiornamento  della  strategia  di
lotta all'AIDS della Organizzazione mondiale della sanita' sottolinea
che  "man  mano  che  compariranno  nelle persone infette dapprima le
malattie legate all'HIV e poi l'AIDS (una progressione che  comprende
un  periodo  di  circa 10 anni a partire dall'infezione primaria), la
credibilita' dei programmi di lotta contro l'AIDS sara'  sempre  piu'
giudicata  dal  grado  di  assistenza  che  sara'  offerto  da questi
programmi".
  Nel corso degli  anni,  con  il  diffondersi  dell'infezione  nella
popolazione   e   la   progressione   degli  infetti  verso  la  fase
sintomatica, i bisogni  assistenziali  per  i  malati  di  AIDS  sono
notevolmente aumentati. Negli ultimi anni, parallelamente al crescere
del  numero  dei  casi  ed  alla  standardizzazione  delle  procedure
diagnostiche, la durata della degenza dei  casi  di  AIDS  nei  Paesi
occidentali, incluso il nostro, si e' ridotta.
  L'impatto  sulle  strutture assistenziali non e' stato uniforme nel
Paese ma e' stato condizionato da un lato dalla prevalenza di infetti
e dall'altro dalla disponibilita' di strutture.
  La strategia assistenziale italiana si e' basata e  si  basa  sulla
scelta  di  alcuni  reparti  ospedalieri  come particolarmente idonei
all'assistenza dei malati di AIDS per la  specifica  professionalita'
ed  esperienza  degli operatori soprattutto di quelli per le malattie
infettive ma anche per l'immunologia clinica,  l'onco-ematologia,  la
medicina  generale. Accanto a questi, per particolari fasce di eta' o
per  peculiari  momenti  assistenziali,  si  collocano  i  reparti di
pediatria, ostetricia e ginecologia, rianimazione.
  L'analisi delle caratteristiche  epidemiologiche  della  diffusione
dell'infezione  da  HIV  in  Italia  continua  ad  evidenziare che il
maggior numero di casi di AIDS  e'  concentrato  in  quattro  regioni
(Lombardia,  Lazio,  Emilia-Romagna  e Liguria), seguite da Piemonte,
Toscana e Veneto. Nonostante una progressiva crescita dei casi  nelle
regioni  a piu' bassa incidenza, l'impatto dei malati e degli infetti
differisce significativamente a seconda delle regioni,  almeno  nella
presente fase dell'epidemia.
  A  differenza  del  passato  sono oggi disponibili in Italia alcuni
strumenti per valutare l'utilizzazione  delle  strutture  ospedaliere
per  i malati di AIDS, il che costituisce una base piu' solida per la
programmazione degli interventi.
  L'analisi della distribuzione dei casi per provincia  di  residenza
mostra  la  tendenza  alla  concentrazione  dei  casi  in grandi aree
urbane, con differenze anche importanti tra le diverse zone, tendenza
confermata anche dall'analisi dei casi per provincia di segnalazione.
Questo tipo di analisi e' piu' utile  ai  fini  della  programmazione
sanitaria  in  quanto  consente  di  effettuare  una valutazione piu'
diretta dei bisogni assistenziali, nella realta' in  cui  i  pazienti
vivono e risente meno dell'offerta di strutture.
  L'indagine  condotta dal "Centro per le attivita' assistenziali per
i pazienti affetti da HIV", promosso dal Ministero della sanita',  ha
consentito  di  conoscere, grazie ad una copertura di oltre l'80% dei
reparti  di  ricovero  sull'intero  territorio   nazionale   e   alla
standardizzazione  della  raccolta  dei dati, la reale situazione del
settore.
  I dati relativi all'elaborazione dei primi  78  centri  (che  hanno
assistito  il  62% del totale dei casi di AIDS in Italia) indicano, a
conferma di quanto riscontrato in precedenti rilevazioni,  che  oltre
il  53%  dei posti letto non sono idonei per il ricovero dei pazienti
con patologia infettiva; questo fatto da' ragione del basso indice di
utilizzazione dei posti letto (53,8%).
  Solo il 52% delle strutture dispone di un laboratorio di virologia.
  I pazienti con AIDS rappresentano il 39% del totale dei degenti  ed
il  16%  di essi e' costituito da soggetti HIV positivi-non AIDS, con
ampie variabilita' sia tra le regioni che all'interno di queste,  tra
centro  e  centro.  Per  ogni  paziente con AIDS vengono assistiti in
media circa 3 pazienti HIV positivi.
  La quota di pazienti con infezione da HIV che riceve un trattamento
antivirale contro l'HIV e' di circa il 25% e circa il 5% dei pazienti
ricoverati e' affetto da tubercolosi.
  Nonostante il miglioramento delle conoscenze in  tema  di  AIDS  da
parte  della  popolazione in circa il 14% dei casi il primo riscontro
di positivita' e' stato contestuale alla diagnosi di AIDS.
  La  gravita'  delle  condizioni   generali   ed   il   livello   di
autosufficienza   dei   pazienti  influiscono  in  modo  determinante
sull'impegno assistenziale per i soggetti sieropositivi. Oltre il 15%
dei pazienti versa in uno stato di grave incapacita' mentale e  circa
il  7%  di  essi  e' vicino alla vita vegetativa. Circa un quarto dei
pazienti, sulla base dell'indice di Karnofsky, e'  in  uno  stato  di
grave carenza di autosufficienza.
  Circa l'8% dei pazienti giudicato clinicamente dimissibile non puo'
essere dimesso per la mancanza di strutture alternative.
Sopravvivenza e durata dell'ospedalizzazione per i pazienti con AIDS.
  La sopravvivenza dei casi di AIDS dal momento della diagnosi e' uno
degli  indici  piu'  utili  per  valutare  l'effetto degli interventi
diagnostici e terapeutici.
  I diversi studi condotti  nei  Paesi  occidentali,  pubblicati  nel
corso  degli ultimi anni, concordano che nell'adulto la sopravvivenza
mediana dalla diagnosi e' inferiore ai sedici mesi.
  Gli studi oggi disponibili (AN.CO. e C.U.R.A.) concordano  altresi'
nell'evidenziare  che  circa  il 20% del periodo di sopravvivenza dei
pazienti con AIDS e' trascorso in ospedale. Esperienze rilevanti  per
dimensioni  ed  area  geografica  ad  alta  prevalenza  di  infezione
indicano inoltre l'esigenza  di  garantire  una  adeguata  assistenza
domiciliare  agli  ammalati di AIDS per circa 90-100 giorni all'anno;
cio' comporterebbe la possibilita' di assistere nel corso di un  anno
tre-quattro  pazienti  per  ogni posto di assistenza extraospedaliera
disponibile.
                    INDICAZIONI DI PROGRAMMAZIONE
  Partendo dall'aggiornata stima dei casi di AIDS attesi nel triennio
1993-1995 ed  ipotizzando  un  bisogno  di  degenza  ospedaliera  che
riguardi  il  20%  del  periodo di durata in vita di ogni ammalato di
AIDS, con un tasso di occupazione (in presenza di  strutture  idonee)
del  75%,  e'  possibile  ricalcolare  con  sufficiente precisione il
numero dei letti necessari nei prossimi anni. Accanto ai casi di AIDS
sono da assistere in regime di degenza ordinaria anche  soggetti  con
infezione  da  HIV sintomatica, ma non ancora AIDS. Sempre sulla base
degli studi disponibili e' possibile valutare i bisogni assistenziali
di posti letto per HIV-positivi non AIDS in circa il  20%  di  quelli
per i casi di AIDS.
  Partendo da tali elementi di fatto si puo' stimare che nel 1993 per
la  sola  assistenza dei soggetti con patologia da HIV sono necessari
circa 2500 posti letto idonei  (oggi  vi  e'  la  disponibilita',  in
stanze ad uno o due letti, di circa mille posti) e che all'inizio del
1995  saranno necessari per gli stessi gruppi di pazienti non meno di
3350 letti.
  La distribuzione di tali letti sul  territorio  nazionale  dovrebbe
tener  conto,  in  larga  misura, della distribuzione percentuale dei
casi  di  AIDS  per  regione;  all'interno  delle   singole   regioni
dovrebbero  essere privilegiate le aree metropolitane e quelle urbane
maggiormente colpite.
  Accanto alle strutture  per  adulti  va,  poi,  riservata  in  ogni
regione  una  quota  di  letti,  da  ubicare  in strutture ad elevata
specializzazione, per l'assistenza ai bambini sieropositivi.
  L'indagine condotta su 22 centri pediatrici maggiormente  impegnati
nell'assistenza  a minori sieropositivi, dal "Centro per le attivita'
assistenziali per i pazienti  affetti  da  HIV",  ha  evidenziato  la
presenza di una media di 80 pazienti in follow-up per centro, con una
media  di  22  bambini  ricoverati  al giorno per malattie da HIV. Va
ricordato che nel caso dei nati da madre sieropositiva e'  necessario
che  vengano  seguiti  in follow-up tutti i bambini, anche quelli non
infetti.
  La stessa  indagine  ha  mostrato  la  necessita'  del  trattamento
domiciliare  per  il  63%  dei  bambini  con  malattia da HIV, contro
un'offerta di assistenza che attualmente copre solo il 27% dei  casi,
probabilmente con livelli assistenziali non adeguati alle esigenze.
  Nella   evoluzione  epidemiologica,  i  casi  di  AIDS  pediatrici,
(soggetti di eta' inferiore ai 13  anni),  rappresentano  attualmente
circa  il  2% del totale; sono pero' assai rilevanti i problemi posti
dalla  infezione  da  HIV  in  questa  eta',  anche  per  la  diversa
evoluzione   e   gravita'  che  la  patologia  assume  in  una  parte
consistente dei casi. Inoltre, costituiscono motivo di  impegno,  sul
piano  assistenziale, anche i casi (qualche migliaio) di bambini nati
da madre sieropositiva, negativizzati con il tempo.
  Sui futuri bisogni in questo ambito assistenziale grava  il  dubbio
che  alla  possibile  minore  frequenza  di  infezione nelle gestanti
sieropositive tossicodipendenti possa  fare  riscontro  una  crescita
dovuta    alla   estensione   dell'infezione   tra   le   donne   non
tossicodipendenti infettate per via sessuale.
  E' necessario sottolineare come la politica sanitaria  al  riguardo
sia  sempre  stata  basata  sul  principio che l'AIDS non rappresenta
l'unica patologia infettiva che comporta la necessita'  di  ricovero,
che le malattie infettive classiche non sono scomparse, che spesso si
presentano  in forme nuove e piu' gravi e che, infine, nuove malattie
infettive si presentano all'osservazione.
  E' stato calcolato che per le necessita'  assistenziali  che  dette
malattie determinano in Italia siano indispensabili non meno di 2.500
letti  distribuiti  in modo sostanzialmente omogeneo in rapporto alla
popolazione. E', infatti, possibile un contenimento  del  complessivo
numero di posti letto necessari, entro il suddetto limite, sempre che
siano  disponibili  strutture idonee sul piano funzionale e si adotti
una politica piu' oculata, volta  alla  riduzione  dei  ricoveri  non
essenziali.
  Considerato,  cosi',  che in talune realta' locali esistono reparti
di malattie  infettive  che  finora  non  hanno  accolto,  anche  per
particolari  situazioni  organizzative,  i  malati  di AIDS e che per
converso nei reparti di malattie infettive vengono spesso  ricoverati
pazienti  che  potrebbero  essere  efficacemente  trattati  in  altri
reparti o presso gli ambulatori o nelle strutture di "day  hospital",
si  e' dell'avviso che, ricorrendo ad idonee misure correttive mirate
alla  razionalizzazione  degli  interventi  e  al  contenimento   dei
fabbisogni  entro  le  esigenze oggettive, la dotazione complessiva a
regime,   nel   periodo   di   sviluppo   dell'epidemia   preso    in
considerazione,  possa  essere  determinata in 5.835 posti letto, cui
vanno aggiunti 1.165 posti di "day hospital".
  Nella distribuzione territoriale  di  tale  complessiva  dotazione,
tenendo  conto  dei  vari  elementi  in precedenza evidenziati, si e'
dell'avviso che per il 40% almeno dei posti si debba tener conto  del
numero  dei  casi di AIDS nelle diverse regioni e per il restante 60%
della distribuzione della popolazione.
  Va osservato che, in ogni caso, si tratta di strutture utilizzabili
in modo indifferenziato per ogni  malattia,  sopratutto  a  carattere
infettivo,  ma anche per quelle caratterizzate da altre condizioni di
suscettibilita' dei pazienti alle infezioni per le piu' diverse cause
e, quindi, idonee ad un  proficuo  impiego  anche  quando  i  bisogni
assistenziali  per  le  persone  ammalate  di  AIDS dovessero, con il
tempo, diminuire.
=====================================================================
Regione          P.L.   Day hospital   Totale    P.L. 1990      Diff.
_____________________________________________________________________
Piemonte         435          87         522        596       -  74
Val d'Aosta       12           2          14         14          -
Lombardia       1246         249        1495       1405          90
Provincia auto-   36           7          43         57       -  14
 noma di Bolzano
Provincia auto-   43           9          52         58       -   6
 noma di Trento
Veneto           413          83         496        584       -  88
Friuli-Venezia    92          18         110        152       -  42
 Giulia
Liguria          236          47         283        269          14
Emilia-Romagna   477          95         572        568           4
Toscana          364          73         437        490       -  53
Umbria            65          13          78        103       -  25
Marche           127          25         152        188       -  36
Lazio            625         125         750        750          -
Abruzzo           92          18         110        158       -  48
Molise            21           4          25         41       -  16
Campania         431          86         517        725       - 208
Puglia           330          66         396        512       - 116
Basilicata        44           9          53         76       -  23
Calabria         148          30         178        266       -  88
Sicilia          416          83         499        656       - 157
Sardegna         182          36         218        232       -  14
             ______________________________________________________
    Totale. . . 5835        1165        7000       7900       - 900
  E' appena il caso di sottolineare che l'ipotizzato contenimento del
numero dei posti letto  da  realizzare  mediante  ristrutturazioni  o
nuove  costruzioni  (dedotti  i posti letto - circa 1.000 - che fanno
parte di strutture  gia'  idonee)  individua  la  soglia  minima  del
fabbisogno,  senza  tener  conto  delle  integrazioni  che potrebbero
essere  realizzate  dalle  regioni  con  risorse  diverse  da  quelle
previste  dalla  legge  n.  135 del 1990 in rapporto alle particolari
esigenze epidemiologiche locali nel campo delle malattie infettive, e
alla complessiva condizione delle strutture assistenziali.
  Cio' che si reputa di dover evidenziare e' che,  nell'attuale  fase
di  preliminare  svolgimento  delle  attivita' di carattere meramente
progettuale delle opere che furono individuate con  la  deliberazione
del  CIPE  del  3  agosto  1990,  la  ridefinizione  del programma di
interventi,  con  le  stime   aggiornate   del   fabbisogno,   appare
operativamente  possibile  e  insieme doverosa, per tener conto delle
generali  condizioni  di  difficolta'  finanziarie   in   cui   versa
attualmente il nostro Paese.
  L'adeguamento   qualitativo   e  quantitativo  delle  strutture  di
ricovero,  nonche'  la  realizzazione  dei  posti  di  trattamento  a
domicilio,   sarebbero   provvedimenti   insufficienti   qualora  gli
strumenti che debbono consentire la  precisione  e  la  tempestivita'
delle  attivita'  diagnostiche  non  venissero parimenti adeguati. Si
ritiene indispensabile, percio', che venga rapidamente realizzato  il
programma  che  gia'  contempla  gli interventi di potenziamento o di
istituzione dei laboratori di microbiologia, virologia e  immunologia
e della diagnostica per immagini ad alta tecnologia.
  In   attenta   considerazione   dovranno  anche  essere  tenute  le
necessita' dei servizi di anatomia ed istologia  patologica,  il  cui
contributo  e'  apparso  rilevante  nel  miglioramento della qualita'
diagnostica nel settore delle infezioni da HIV negli ultimi anni.
  Per quanto concerne il personale, e'  da  ribadire  la  necessita',
nell'ambito  delle  apposite  risorse  assegnate,  di  garantire  una
copertura degli  organici  che  sia  piena  nei  reparti  ospedalieri
ubicati  nelle grandi aree urbane e, comunque, nelle strutture con il
maggior numero di casi di AIDS. Nelle altre situazioni, il  grado  di
copertura  degli  organici  dovra'  essere  proporzionale all'impegno
assistenziale nei confronti dei malati di AIDS.
Il modello assistenziale basato sulla continuita'.
  Il  protrarsi  negli  anni  dell'infezione  da  HIV  fino  all'AIDS
conclamato  determina l'esigenza di una continuita' assistenziale che
vede  avvicendarsi  per  il  paziente  interventi  di  assistenza   a
domicilio,  prestazioni  ambulatoriali e di "day hospital" e ricoveri
ospedalieri.
  In tale modello assistenziale, che la Commissione nazionale per  la
lotta  contro  l'AIDS  ebbe  ad  evidenziare  gia'  con  i suoi primi
documenti  approvati  nel  1988,  le  istituzioni  pubbliche  ed   il
volontariato,  dovrebbero poter garantire un'assistenza tempestiva ed
appropriata   attraverso   puntuali   forme   di   coordinamento    e
integrazione.
  Nel  complesso,  le strutture alle quali e' demandato il compito di
garantire la continuita' assistenziale secondo le valutazioni  finora
effettuate, sono le seguenti:
   5.835 posti letto ospedalieri di degenza ordinaria;
   1.165 posti letto equivalenti di day hospital;
   1.050   posti  presso  il  domicilio  del  malato,  gestiti  dagli
ospedali;
   525  posti  presso  il   domicilio   del   malato,   gestiti   dal
volontariato;
   525 posti presso residenze collettive o case alloggio, gestiti dal
volontariato ed altre organizzazioni assistenziali.
  L'indagine  innanzi  richiamata,  effettuata  dal  "Centro  per  le
attivita' assistenziali per i pazienti affetti da HIV",  ha  permesso
di  evidenziare  che  i  ricoveri  ospedalieri oggetto di rilevazione
erano motivati da esigenze assistenziali in circa l'89% dei  pazienti
HIV positivi e nell'82% di quelli HIV negativi.
  La richiesta di assistenza alle strutture di "day hospital" risulta
provenire  per  il  5%  da pazienti HIV negativi, per circa il 56% da
affetti da AIDS e per circa il 40% da pazienti con infezione  da  HIV
negli  altri  stadi.  Al  contrario  i  pazienti  trattati  in regime
ambulatoriale sono per circa il 20% HIV negativi, per il 35%  affetti
da  AIDS  mentre per circa il 45% si tratta di pazienti sieropositivi
negli altri stadi.
  In sintesi le strutture di "day hospital" sono quasi  completamente
saturate  da  pazienti HIV positivi, mentre gli ambulatori permettono
in prevalenza  di  garantire  l'assistenza  ai  malati  con  malattie
infettive classiche.
  Tuttavia,  alla fine del 1992, sempre secondo l'indagine citata, le
strutture di "day hospital" risultano formalmente attivate  solo  nel
32%  degli ospedali; nel 13,3% dei casi non sono state attivate e nel
restante 54% sono state attivate di fatto e non formalmente.
  Le strutture  di  "day  hospital"  dispongono  di  stanze  separate
rispetto a quelle destinate alla degenza solo nel 39,1% dei casi.
Il trattamento a domicilio.
  Alla  fine  del  1992  su  2100 posti per i trattamenti a domicilio
previsti dalla legge n. 135 del 1990, ne  risultavano  attivati  solo
219  presso  il domicilio del paziente e 214 in residenze collettive,
pari  al  20,6%  di  quelli  previsti.  Le  regioni  preannunciavano,
peraltro,  la  programmata  attivazione  di altri 920 posti presso il
domicilio  del  paziente  e  151  presso  residenze  collettive.  Nel
complesso   si   prevedeva   che   nel   1993  vi  sarebbe  stata  la
disponibilita' di 1.389 posti pari al 66% di  quelli  indicati  dalla
legge.
  Quello  del trattamento a domicilio rimane, quindi, uno dei settori
nei quali  continuano  a  registrarsi  difficolta'  e  ritardi  nella
realizzazione degli interventi previsti dalla legge. Tra i fattori di
difficolta'  viene  segnalata  dalle  regioni  la inadeguatezza delle
risorse disponibili, sia con riferimento ai costi assistenziali per i
casi non infrequenti di soggetti  non  autosufficienti,  sia  tenendo
conto  dell'impegno  operativo  delle  strutture  ospedaliere  cui e'
demandata l'attivita' diretta di assistenza in  una  parte  rilevante
dei  casi.  Altro elemento di difficolta' e' quello determinato dalla
incertezza circa la politica futura sui trattamenti domiciliari.
  E' pertanto necessaria una attenta rideterminazione  del  programma
generale  di  interventi  per  il trattamento a domicilio in rapporto
alle  pressanti  esigenze  assistenziali  che  si   sono   venute   a
determinare,  a  motivo del ritardo nella realizzazione del programma
di adeguamento delle strutture di ricovero, ma  anche  e  soprattutto
per  l'affermarsi  di  un  nuovo  modello assistenziale che considera
fondamentale l'assistenza a livello domiciliare con l'appoggio  e  la
guida  centrale  degli ospedali, per assicurare alle persone con AIDS
una condizione di vita quanto piu' possibile vicino alla  normalita'.
In  conseguenza  i posti di trattamento domiciliare dovrebbero essere
incrementati nelle regioni che hanno un maggior numero di persone con
AIDS da assistere.
  A tal fine potrebbe essere destinata la quota  di  minor  spesa  di
ammortamento che si viene a determinare con l'ipotizzato contenimento
del numero dei posti letto da costruire e ristrutturare (900 posti).
  Alle  strutture  ospedaliere deve essere demandato anche il compito
di   verificare   la   qualita'   dell'assistenza    fornita    dalle
organizzazioni di volontariato.
  Tra  i  problemi ancora non completamente portati a soluzione vi e'
quello relativo alla difficolta'  di  far  attuare  agli  infermieri,
fuori dall'ambito ospedaliero, le terapie endovenose ed infusionali e
altre procedure assistenziali, in assenza del medico.
  In  considerazione  delle  particolari necessita' che si presentano
nelle  aree  metropolitane  si  ritiene  opportuno  che  le   regioni
provvedano,  se  lo ritengono utile, ad identificare appositi servizi
per i trattamenti a domicilio ai quali demandare sia le  funzioni  di
coordinamento  delle attivita' dei medici ed infermieri che quelle di
verifica dell'ammissione dei  pazienti  al  trattamento,  nonche'  il
controllo  sull'attivita' del volontariato coinvolto nell'assistenza,
oltre che la gestione dei flussi informativi.
Il decentramento coordinato.
  La  diffusione  dell'infezione  nella  popolazione, la richiesta di
informazione  e  formazione  da  parte  di  soggetti  a  rischio   di
infezione,  l'anticipazione  del  momento  in  cui viene formulata la
diagnosi di AIDS rispetto  all'originaria  definizione  di  caso,  il
cambiamento degli indirizzi clinici e terapeutici, con il conseguente
aumento  dei casi sottoposti a trattamenti antivirali o a pratiche di
profilassi primaria e secondaria, rendono  impossibile  continuare  a
gestire  l'intera  problematica  con un modello che faccia prevalente
riferimento agli ospedali e in particolare, ai  reparti  di  malattie
infettive.
  Al  contrario,  sul  modello  di quanto e' avvenuto in altri Paesi,
sembra utile che da un lato  si  attivi  un  maggiore  coinvolgimento
delle  strutture  cliniche  di  altre  specialita' che hanno un ruolo
rilevante nella  gestione  dei  soggetti  con  infezione  da  HIV  e,
dall'altro  si  promuova  un'apertura  dei centri clinici di II e III
livello, ferma restando la loro funzione centrale nel  coordinamento,
verso  la  comunita'  esterna. E' necessario, infatti, realizzare una
gestione della problematica AIDS che  utilizzi  anche  l'apporto  dei
medici  e  pediatri di base (ed e' per questo che per essi sono stati
svolti e verranno svolti appositi corsi di formazione) nonche' quello
delle varie strutture appartenenti al primo livello, nell'ambito  del
sistema  di collaborazione definito nell'atto di intesa Stato-regioni
del 7 novembre 1991.
  E' essenziale che le  strutture  infettivologiche  e  quelle  delle
altre  specialita'  che  sono maggiormente impegnate, secondo i piani
regionali, nell'assistenza ai malati  di  AIDS,  si  aprano  verso  i
servizi   e   le   strutture  di  I  e  II  livello,  sia  intra  che
extraospedalieri,  secondo  un  decentramento   che   dovra'   essere
formalmente    coordinato   e   regolamentato   nella   linea   della
organizzazione  dipartimentale.  In  tal  modo  sara'  consentito  ai
pazienti  di  fruire  dei servizi assistenziali a seconda dei bisogni
del momento e  di  condurre  cosi  una  vita  quanto  piu'  possibile
normale;  al  tempo  stesso  potranno essere contenute le esigenze di
degenza  ospedaliera   ordinaria,   mentre   assumeranno   un   ruolo
determinante  le  prestazioni  ospedaliere  a  ciclo  diurno e quelle
ambulatoriali.
                  LA PROTEZIONE DAL CONTAGIO DA HIV
                   PER GLI OPERATORI ED I PAZIENTI
  La  trasmissione  dell'HIV  in  ambito  sanitario   puo'   avvenire
attraverso le seguenti modalita':
   1) trasfusione di sangue o emoderivati infetti;
   2)  trapianto  di  organi, midollo e altri tessuti o inseminazione
artificiale da soggetti infetti;
   3) l'utilizzo di presidi ed apparecchiature contaminate;
   4) da paziente infetto  ad  operatore  a  seguito  di  esposizioni
accidentali durante l'attivita' lavorativa;
   5)  da  operatore  infetto  al  paziente  durante  l'esecuzione di
procedure invasive.
  In Italia sono state adottate, a partire dal 1985,  misure  per  la
prevenzione   della   trasmissione   dell'infezione   attraverso   la
trasfusione di sangue, l'infusione di emoderivati, il trapianto o  di
organi e tessuti.
  Tali  misure  hanno  permesso  di  ridurre  al  minimo  il  rischio
associato alle pratiche anziriportate. E' necessario pero' continuare
ad ampliare i programmi di controllo di qualita'  della  diagnosi  di
infezione da HIV su sangue.
  Il decreto ministeriale 28 settembre 1990 ha stabilito, in materia,
norme  di  comportamento  per  gli  operatori  sanitari  al  fine  di
prevenire  la  trasmissione  dell'infezione   e   di   contenere   la
circolazione  del  virus  in  ambito assistenziale. Tuttavia, come si
evince  da  indagini  condotte,  non  risulta  che   le   precauzioni
universali  siano  entrate  nella  routine assistenziale di tutti gli
ospedali.
  Le raccomandazioni emanate nel 1990 necessitano, altresi',  di  una
revisione  anche alla luce degli episodi, verificatisi all'estero, di
trasmissione dell'infezione da HIV da operatore infetto a paziente ed
a seguito di procedure diagnostiche.
                           IL VOLONTARIATO
  Il  volontariato  continua  ad  avere  un  ruolo  rilevante   nella
prevenzione  e  nella  lotta  contro  l'AIDS. E', percio', necessario
continuare  a  sostenere  la  collaborazione  da  parte  delle  varie
associazioni  con  particolare  riguardo  a  quelle  che  operano nei
trattamenti a domicilio, nei gruppi di auto-aiuto, nelle attivita' di
prevenzione verso i tossicodipendenti e nel mondo della scuola e  del
lavoro.
  Occorre  inoltre  una  specifica  disciplina  che, nel quadro delle
normative vigenti e di concerto  con  il  Dipartimento  degli  affari
sociali  della  Presidenza  del  Consiglio  dei Ministri, consenta la
piena utilizzazione dell'opera dei volontari in  aiuto  alle  persone
con infezione da HIV che si rivolgono ai servizi ospedalieri.
                    L'AGGIORNAMENTO DEL PERSONALE
  L'aggiornamento  del  personale dei reparti di malattie infettive e
degli altri reparti assimilati, come anche del personale appartenente
ad altre strutture che si trovano a  gestire  procedure  e  materiali
biologici nell'ambito delle infezioni da HIV, e' essenziale.
  Tuttavia  e'  necessario passare ad una fase in cui la formazione e
l'aggiornamento diventano parte centrale e determinante di  specifici
progetti  orientati  al reale raggiungimento di obiettivi prefissati,
modificando opportunamente in tal senso la disciplina di cui all'art.
1, lettera d), della legge 5 giugno 1990, n. 135.
  Le  attivita'  di  formazione  centrale  attraverso  i   piani   di
formazione  dell'Istituto superiore di sanita' andrebbero concentrate
in futuro sulla conduzione di corsi per formatori destinati ai medici
di medicina  generale,  ai  pediatri  di  base,  ad  altre  categorie
sanitarie,  agli operatori del volontariato, oltre a corsi, sempre ad
elevato contenuto tecnico-scientifico ed organizzativo, diretti verso
categorie delle quali si ravvisasse l'esigenza di una formazione o un
aggiornamento specifico.
  Andrebbe previsto che il personale  delle  strutture  operanti  nel
Servizio  sanitario  nazionale,  e  quello  delle  Universita', possa
partecipare alle attivita' di formazione, sia in qualita' di  docente
che di discente, in posizione di comando o distacco.
  Andrebbero  annoverate  tra le attivita' di formazione anche quelle
svolte attraverso le borse di studio  annualmente  messe  a  concorso
dall'Istituto superiore di sanita'.
                  IL COORDINAMENTO DELLE ATTIVITA'
  Il  coordinamento  delle  attivita'  e' effettuato con l'intervento
della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS  la  quale  e'
tenuta,  ai sensi di quanto previsto dall'art. 1 della legge n. 135 a
dare periodicamente, in  relazione  alle  previsioni  epidemiologiche
indicazioni  sulle  esigenze  assistenziali,  sentita  la  Conferenza
permanente per i rapporti fra lo Stato, le  regioni,  e  le  province
autonome.  E'  allo studio la integrazione della predetta Commissione
con rappresentanti delle regioni.
  A livello locale e' emersa  la  necessita'  di  dare  impulso  alla
funzione    di   coordinamento   delle   attivita'   di   formazione,
informazione, prevenzione e verifica della qualita'  dell'assistenza,
nonche' di gestione dei flussi informativi, affidate, secondo i piani
regionali,  ai centri di riferimento di cui all'art. 9 della legge n.
135 del 1990.
                             LA RICERCA
  La ricerca costituisce uno dei punti  di  massima  rilevanza  nella
lotta  contro  l'AIDS.  Lo  sforzo  messo  in atto con il progetto di
ricerca dell'Istituto superiore di sanita',  grazie  all'adozione  di
precisi  meccanismi di selezione e di finanziamento, ha consentito ai
ricercatori  italiani  di  conseguire  importanti   risultati,   come
testimonia il grande numero di pubblicazioni prodotte.
  Occorre,  comunque,  che  vengano stabiliti criteri e parametri che
consentano di valutare la produttivita' della ricerca in  termini  di
acquisizione di significative conoscenze scientifiche.
  E',  altresi',  necessario  che i programmi, di cui va garantita la
continuita', coprano anche gli  aspetti  di  sanita'  pubblica  e  di
ricerca applicata sulle problematiche dell'AIDS.
  Da   ultimo,  ma  non  certo  per  l'importanza,  e'  da  ricordare
l'imperativo di combattere la discriminazione e  la  stigmatizzazione
delle  persone  infette da HIV o con AIDS, come riafferma, nel citato
recente documento, l'Organizzazione mondiale  della  sanita'  e  come
gia' stabilito in modo puntuale, nella legge n. 135 del 1990".