(all. 1 - art. 1)
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        |             MINISTERO DELLA SANITA'              |
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        | SERVIZIO CENTRALE DELLA PROGRAMMAZIONE SANITARIA |
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        |            PIANO SANITARIO NAZIONALE             |
        |                   1994 - 1996                    |
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    |           1. - LA PROGRAMMAZIONE SANITARIA                |
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  Le prime disposizioni in ordine alla adozione del  Piano  sanitario
nazionale  sono  state  dettate  ormai 15 anni fa dalla legge 833/78;
cio' nonostante, da allora nessun documento di piano ha  superato  il
complesso  iter  previsto  per  la sua approvazione. Le cause possono
essere individuate in una pluralita' di fattori, riferibili sia  alla
complessita'  intrinseca  della  materia  (con la aggravante che ogni
intervento in materia sanitaria tocca una  delle  sfere  di  maggiore
sensibilita'  personale  e  sociale),  sia all'ingombro rappresentato
dalla scarsita' di risorse economiche a  fronte  di  una  domanda  di
prestazioni    in    continua    espansione   (con   le   inevitabili
conflittualita' tra i  diversi  soggetti  istituzionali  deputati  al
governo del sistema sanitario). Con ripetute disposizioni emanate nel
corso  degli  anni,  il  legislatore ha riproposto linee guida per la
stesura di norme di pianificazione sanitaria; ogni  volta,  pero',  i
documenti prodotti non hanno superato le prime fasi del procedimento.
  Le  uniche  norme  di  pianificazione  sanitaria  sin  qui emanate,
contenute nella legge 595/85  e  nella  piu'  recente  legge  412/91,
riguardano  solo l'organizzazione della rete ospedaliera:  previsioni
ancora oggi attuali, ma non del tutto  attuate,  in  particolare  per
quanto  riguarda  la  parte  di  carattere  precettivo  relativa alla
riconversione  delle  strutture   per   acuti   sottodimensionate   o
sottoutilizzate,   da   adibire   a   funzioni   riabilitative  o  di
lungodegenza.
  Le disposizioni emanate con la  legge  421/92  ed  i  provvedimenti
delegati,  nel  dettare  una  nuova normativa sui contenuti del Piano
sanitario nazionale,  hanno  modificato  anche  il  rapporto  tra  le
diverse  componenti  istituzionali,  in particolare tra lo Stato e le
Regioni, favorendo il superamento di molte delle passate difficolta'.
  Il Piano sanitario nazionale 1994-96 e' caratterizzato, quindi,  da
una  logica  di trasformazione, sia in generale, per le modificazioni
epocali che stanno vivendo i sistemi sanitari in tutto il mondo, sia,
in particolare, per la trasformazione legislativa ed organizzativa in
corso di attuazione  nell'ambito  del  Servizio  sanitario  nazionale
italiano.   Il  governo  della  transizione  richiede  flessibilita',
accompagnata da una ricerca continua degli obiettivi che si collocano
nel tempo e  che  devono  essere  raggiunti  attraverso  le  alleanze
sociali   piu'   ampie   possibile.   Un  sistema  sanitario  davvero
pluralistico,  che  veda  coinvolti  soggetti  diversi  al  fine   di
costruire  una  rete  di  supporto  ai  piu'  deboli,  deve essere in
continua evoluzione, in una dinamica di sperimentazioni e di verifica
dei risultati, di coinvolgimenti di soggetti sociali,    di  risposte
sempre piu' adeguate ai bisogni di chi soffre.
  Il piano sanitario nazionale 1994-96 deve quindi essere letto nella
prospettiva  di  una  civilta'  della  trasformazione, nella quale le
certezze sono rappresentate  solo  dal  metodo,  che  e'  soprattutto
rispetto della persona e tensione verso il raggiungimento del massimo
livello  di compatibilita' tra una domanda crescente -ma piu' matura-
ed  un'offerta  che  diviene  sempre  piu'  razionale.  La  struttura
legislativa  e  regolamentare  su  cui  poggia il sistema deve quindi
essere  collocata  nella  prospettiva  di  valorizzare   al   massimo
l'autonomia  di  tutti i livelli decisionali, nel tentativo di creare
la solidarieta' che  caratterizza  i  sistemi  maturi,  flessibili  e
mirati al raggiungimento di specifici obiettivi.
  L'ambito  normativo  entro  il  quale si colloca il Piano sanitario
nazionale e' definito dal Decreto legislativo 502/92, il quale  detta
un  modello  organico  di programmazione sanitaria caratterizzato dai
seguenti elementi :
    a. riferimento dell'attivita' programmatoria  agli  obiettivi  di
   tutela della salute, individuati a livello internazionale,
    b.  esplicazione  dei  vincoli,  costituiti dagli obiettivi della
   programmazione  socio-economica  nazionale  e  dalla  entita'  del
   finanziamento assicurato al Servizio sanitario nazionale;
    c.  definizione  precisa delle competenze centrali e regionali in
   materia di programmazione sanitaria, mediante l'attribuzione  alla
   programmazione  di  livello  centrale  della  specificazione degli
   obiettivi e dei livelli uniformi di  assistenza  e  l'attribuzione
   alle  Regioni  di tutte  le competenze in materia organizzatoria e
   gestionale.
  Il nuovo modello richiede la rapida e non invadente definizione  di
un quadro programmatorio centrale entro il quale trovino collocazione
non  piu'  formulazioni  standard  di  dimensionamento  della offerta
sradicate dalle peculiarita' e  contingenze  specifiche  dei  singoli
ambiti  regionali,  ma  l'indicazione  di  "obiettivi di civilta'" da
perseguire in  tutto  il  Paese,  accompagnata  dalla  strumentazione
necessaria  per  verificare  il  grado  di  avanzamento, misurato nel
tempo, raggiungibile con l'impiego di determinati livelli di risorse.
  Siffatta impostazione obbliga a guardare oltre il limite  triennale
di  validita'  del  Piano,  per  cogliere  quale sara' da qui al 2000
l'evoluzione della societa' italiana, il suo trend demografico ed  il
livello  di  domanda  prevedibile per il maggiore peso delle fasce di
eta' piu' elevate. Questa appare qualitativamente diversa  da  quella
espressa  dalle  fasce di popolazione giovanile e adulta (entrambe in
forte diminuzione relativa rispetto agli anziani)  e  si  esprime  in
necessita' di trattamento di patologie acute perecentualmente minori,
contro  una  espansione delle prestazioni socio-sanitarie collegate a
patologie croniche.
  Le  competenze  programmatorie  attribuite  allo  Stato,   che   si
estrinsecano   nel   Piano  sanitario  nazionale,  sono  orientate  a
definire:
    - gli obiettivi strategici del Servizio sanitario  nazionale,  il
   cui perseguimento garantisce, da un lato, la coerenza tra le linee
   di  indirizzo  della  programmazione  sanitaria  nazionale  e  gli
   orientamenti  programmatori  internazionali  e,   dall'altro,   la
   capacita'    di   rispondere   alle   modificazioni   del   quadro
   epidemiologico;
    - i livelli uniformi di assistenza sanitaria,  che  rappresentano
   il  contenuto  ordinario  delle  attivita' esercitate dal Servizio
   sanitario  nazionale,  in  quanto  esplicitano   l'insieme   delle
   prestazioni  alle  quali  il  Servizio  stesso  garantisce  uguali
   opportunita' di accesso per i cittadini;
    - un  sistema  di  verifica  del  conseguimento  degli  obiettivi
   definiti  e della congruita' delle risorse consumate rispetto alle
   attivita' erogate. Cio' richiede la disponibilita' di  un  sistema
   informativo  sanitario, che renda possibile la comunicazione fra i
   diversi livelli di responsabilita' del  S.S.N..  In  tale  ambito,
   assume  una  specifica  caratterizzazione  l'Agenzia per i servizi
   sanitari regionali prevista dal provvedimento di riordinamento del
   Ministero  della  Sanita',  quale  strumento   di   supporto   per
   l'attivita'    delle    Regioni,    nonche'    di   diffusione   e
   conseguentemente, di armonizzazione delle metodologie di  verifica
   e di controllo delle attivita' svolte.
  La  ridefinizione  del  ruolo  del  livello  centrale in termini di
disegno complessivo del  quadro  programmatico  e  di  individuazione
degli strumenti per la verifica, comporta il riconoscimento del ruolo
delle Regioni, titolari delle competenze relative alla organizzazione
dei   servizi  sanitari,  alla  allocazione  delle  risorse  ed  alla
attuazione dei controlli.
  Le Regioni, conseguentemente, definiscono:
    - i modelli organizzativi dei  servizi  sanitari,  tenendo  conto
   della  specifica tipologia della domanda presente nel territorio e
   delle modalita' per  migliorare  l'accessibilita'  ai  servizi  da
   parte dei cittadini;
    -  i  criteri  per  la distribuzione delle risorse tra le singole
   aziende,  tenendo  conto  delle  priorita'  definite  in  sede  di
   programmazione  sanitaria  nazionale e regionale, delle necessita'
   di riequilibrio territoriale, nonche' della esigenza di tendere al
   miglioramento dei livelli di efficienza gestionale  delle  aziende
   stesse e del sistema nel suo complesso;
    -  le  modalita'  per  l'attuazione  dei controlli sui livelli di
   efficacia e di  efficienza  conseguiti  dalle  singole  aziende  e
   dall'intero sistema regionale.
  La  chiara definizione delle competenze relative ai diversi livelli
di governo del Servizio Sanitario Nazionale  tiene  anche  conto  dei
nuovi scenari entro cui si realizza l'attivita' programmatoria.
  Il  progresso  tecnologico  e  la mutevolezza dei costumi inducono,
anche in periodi di tempo  relativamente  brevi,  trasformazioni  dei
sistemi,  e delle pratiche ad essi connessi, che devono essere tenuti
in conto nell'ambito di qualsiasi programmazione.  Il  riconoscimento
che  un sistema sanitario vitale e' in continuo progresso costituisce
anche la base politica sulla quale fondare i rapporti tra  i  diversi
livelli  istituzionali, le varie componenti responsabili del servizio
ed in particolare i rapporti tra gli utenti e gli operatori.
  Il pluralismo deve costituire  una  delle  strutture  fondanti  del
sistema  stesso,  che vede la dinamica di ruoli diversi in un sistema
dalle responsabilita' e  dai  compiti  fortemente  differenziati.  Il
pluralismo   comporta   un   elevato  grado  di  responsabilita'.  Il
riconoscere  una responsabilita' diffusa di gestione del SSN risponde
quindi non solo a criteri "umani", ma anche ad una logica di maggiore
efficienza nel sistema stesso. In questa prospettiva si colloca anche
il riconoscimento del ruolo della regione come momento fondante della
programmazione dei servizi sanitari.
  La valorizzazione  dei  poteri  intermedi  porta  alla  definizione
dell'aziendalizzazione  come  strumento  fondamentale  per gestire le
strutture sanitarie a livello territoriale.
La responsabilizzazione dei cittadini nei confronti  dei  benefici  e
dei   costi  che  i  sistemi  sanitari  comportano  richiede  che  la
diffusione delle conoscenze relative alla promozione di stili di vita
sani, alla efficacia dei trattamenti sanitari ed al adeguato  consumo
delle  risorse,  sia  realizzata attraverso un processo sistematico e
permanente di educazione alla salute.
  Il Piano sanitario nazionale si muove, quindi, in  una  logica  che
vede,   da  una  parte,  la  formulazione  di  obiettivi  generali  e
irrinunciabili di promozione della salute della  popolazione,  validi
per  tutto  il  territorio  nazionale  e,  dall'altra, la adozione di
metodologie di gestione finalizzate all'ottimizzazione  del  sistema,
adattate alle specificita' delle situazioni regionali.
  Un  piano  triennale  non  puo'  prevedere il raggiungimento di una
situazione a regime: le  trasformazioni  socio-demografiche,  da  una
parte,  e  quelle  legislative, dall'altra, impongono una transizione
cosi' accentuata che non puo' esaurirsi nello spazio di un  triennio.
Piu'  in  generale, e' necessario rendere permanente e sistematico il
processo di riordinamento  in  atto,  non  nei  fondamentali  aspetti
istituzionali,  ma  sotto l'aspetto della flessibilita' organizzativa
ed operativa delle strutture sanitarie. Cio', al fine di  far  fronte
alla  evoluzione  dei  quadri  patologici,  ai  nuovi  bisogni e alle
diverse  richieste  di  salute  dei  cittadini,  mantenendo  tuttavia
costante,  al  variare  dei  tipi di intervento adottati, l'obiettivo
irrinunciabile della qualita' della  vita.  La  ricerca  continua  di
nuovi  obiettivi di salute da raggiungere deve rappresentare lo scopo
perseguito ad ogni livello del SSN, cosi che, anche in una condizione
generale di risorse limitate e di razionalizzazione della  spesa,  si
possa  ottenere  una  compatibilita'  tra  rispetto  dei  bisogni -in
particolare di quelli piu'  gravi-  e  rispetto  della  funzionalita'
complessiva del sistema.
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    |    2. IL MODELLO DI CIVILTA' SANITARIA A CUI SI ISPIRA    |
    |         IL PIANO SANITARIO NAZIONALE 1994-1996            |
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  La  strategia  elaborata  dall'Ufficio  europeo dell'Organizzazione
mondiale della sanita' nell'ambito del programma "salute  per  tutti"
e' ispirata da sei temi principali:
  1)  l'equita' costituisce il presupposto della salute per tutti: il
suo perseguimento implica uguali opportunita' di accesso  ai  servizi
sanitari;
  2)  la  promozione  della  salute  e  la prevenzione delle malattie
costituiscono gli obiettivi strategici della  salute  per  tutti;  la
promozione di stili di vita positivi, la determinazione di condizioni
ambientali favorevoli per la salute, la gestione dei servizi sanitari
in  modo  da  erogare  un'  assistenza  di  elevata  qualita' in modo
efficiente ne costituiscono le modalita' di realizzazione;
  3) la partecipazione dei cittadini alla definizione delle priorita'
sanitarie rappresenta il presupposto necessario per il  perseguimento
della salute per tutti;
  4)   diversi   settori   della   societa'   devono  collaborare  al
perseguimento della salute per tutti, poiche' sui livelli  di  salute
della   popolazione  influiscono  fattori  anche  diversi  da  quelli
propriamente sanitari;
  5) un sistema sanitario armonico e' fondato su un adeguato sviluppo
della medicina  di  base,  di  facile  accessibilita'  e  di  elevata
qualita';
  6)  un  crescente  numero  di problemi sanitari trascende i confini
nazionali   e   richiede   un   elevato   livello   di   cooperazione
internazionale.
  La  possibilita'  per  il  nostro  Paese  di  adeguarsi al contesto
internazionale e di rispondere agli  impegni  assunti  in  tale  sede
dipende  dalla  capacita'  di destinare le risorse disponibili per il
funzionamento del Servizio sanitario nazionale  al  perseguimento  di
obiettivi   esplicitamente   definiti  e  misurabili  in  termini  di
miglioramento delle condizioni di salute della popolazione.
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    |                      2.A. Obiettivi                       |
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  I nuovi scenari sociali,  in  cui  si  collocano  la  difesa  e  la
promozione  della  salute,  obbligano  a  ripensare l'orientamento di
fondo della  politica  sanitaria.  La  prima  caratteristica  di  una
prospettiva   "contemporanea"   e'  quella  di  presentarsi  come  un
orizzonte di risorse limitate. Non esiste piu' il sogno utopistico di
uno Stato che si proponga di rispondere a tutti i bisogni  di  salute
dei  cittadini; in sanita' sara' sempre piu' pesante la divaricazione
tra domanda e offerta, perche' la societa'  invecchia  ed  e'  sempre
piu'  affetta  da  malattie  degenerative.    Questi  cambiamenti  di
scenario impongono la dura necessita' di fare  delle  scelte,  sia  a
livello  macro  sia  a  livello microeconomico, al fine di riuscire a
massimizzare i benefici ottenibili dalle risorse disponibili.
  La necessita'  di  ripensare  a  fondo  il  profilo  stesso  di  un
programma  sanitario  per il Paese si presenta come una straordinaria
opportunita'  per  ridefinire  il  progetto  di  civilta',   che   e'
l'obiettivo di una politica della salute.  Per anni si e' pensato che
la  promozione  della  salute  richiedesse solo nuovi investimenti in
tecnologie,  strutture  e  personale  sanitario,  nella  fiducia   di
ottenere  solo  da  tale  impegno  un  migliore  livello  di  salute.
L'inversione di rotta cui il momento attuale costringe,  punta  a  un
miglioramento che si sviluppa sotto il segno della qualita', piu' che
della quantita'. La pressione della scarsita' delle risorse orienta a
immaginare  un  servizio alla salute che accetti in senso positivo la
sfida dell'autolimitazione.
  Per questo fine  e'  necessario  indicare  delle  priorita',  senza
irrigidimenti  ideologici,  alla ricerca di un consenso il piu' ampio
possibile. La razionalizzazione  da  introdurre  nella  progettazione
sanitaria puo' diventare una scuola di democrazia partecipativa.
  Le  esigenze di equita' inducono maggiore attenzione per i soggetti
che hanno bisogno di maggior tutela.  Tra  questi  vanno  considerate
anche  le  generazioni  future, che hanno il diritto a poter disporre
delle stesse opportunita' di  salute  e  di  assistenza  senza  dover
essere onerate dai pesi economici accumulati dalle costose cure della
salute   che   si   sono   concesse   le   generazioni  precedenti  e
dall'inquinamento  ambientale   connesso   con   uno   sviluppo   non
controllato.
  In  questa prospettiva si profila un nuovo senso di responsabilita'
verso la propria salute. Tale responsabilita' include una  educazione
sanitaria  in  senso  ampio,  che' dovrebbe tradursi in stili di vita
appropriati e far considerare gli effetti pedagogici  che  discendono
dalla stessa.
  L'esigenza  di  una  vera  educazione  alla  salute  richiama nuove
opportunita' di scambio tra professonisti sanitari  e  cittadini,  in
una   prospettiva   di  responsabilita'  condivise.     La  legittima
preoccupazione  di  contenere  i   costi   -che   dovra'   riguardare
soprattutto  gli  sprechi e le irrazionalita', non potendo il sistema
sanitario beneficiare di significative riduzioni dei costi  associate
al  progresso  tecnologico,  che notoriamente tende piuttosto a farli
crescere- pur essendo un problema nuovo e  potenzialmente  capace  di
trasformare  la  pratica  della  medicina,  non costituisce ancora il
"cambiamento di paradigma" di cui i sistemi  sanitari  moderni  hanno
bisogno. La grande innovazione e' data piuttosto dalla partecipazione
del  paziente  al  processo  decisionale.  Un  filo  diretto  lega le
strategie di riduzione del costo della salute e  l'esigenza  che  tra
operatori della salute e cittadini si instauri una vera comunicazione
finalizzata a raggiungere una composizione soddisfacente di interessi
divergenti;  anche  quando  a  dialogare  siano  una persona malata e
coloro che si prendono cura della sua salute.
  In questa prospettiva logica "il piu'" -nel senso di  interventismo
terapeutico,  di innovazione tecnologica e di investimento economico-
non coincide sempre con "il meglio". Anzi, i problemi piu' acuti  dei
nostri  giorni sembrano provenire piu' dall'eccesso che dalla carenza
(si vedano le situazioni etichettate come "accanimento terapeutico" e
le richieste  di  limiti  all'interventismo  medico,  in  nome  della
volonta'  soggettiva di conservare la dignita' umana anche nella fase
terminale  della  vita).  Se  "il  piu'"  non  equivale  al   meglio,
analogamente,  "il  meno"  non corrisponde necessariamente al peggio:
molti pazienti riceveranno benefici se la  pressione  esercitata  dal
contenimento  dei  costi  limitera'  gli  interventi  non  necessari,
ridurra' i danni iatrogeni e puntera' piu' sulla qualita' della cura,
che equivale spesso a un prezzo minore.
  Paradossalmente, le  richieste  piu'  vive  di  rinnovamento  della
pratica   medica   attuale  in  termini  umanistici  -dalla  medicina
palliativa alle cure domiciliari- sono relativamente a minor costo ed
a piu' alta gratificazione del  malato.  L'attenzione  alla  qualita'
delle  cure,  correlata  all'interesse per la qualita' della vita, si
rivela  cosi  pagante  non  solo  in  termini  umanitari,  ma   anche
economici.
  Queste   considerazioni  sono  maggiormente  significative  in  uno
scenario che vede un allargamento fortissimo delle patologie croniche
e  invalidanti,  particolarmente   degli   anziani.   Nonostante   il
miglioramento  complessivo delle condizioni di salute, che ha portato
all'aumento  della  "durata  di  vita  attesa alla nascita" anche nei
gruppi di popolazione di eta' avanzata, e nonostante il miglioramento
complessivo delle condizioni di salute, vi e'  una  quota  di  vecchi
destinata  ad  una  condizione  di  cronicita'  sostanzialmente senza
possibili    e    prevedibili    rimedi.    Il     fenomeno     della
"rettangolarizzazione"  della curva di sopravvivenza media, che aveva
affascinato  demografi  e  medici,  non  consente  di  rilevare   una
compressione  del periodo di vita "in dipendenza", mentre all'aumento
della durata di vita corrisponde un  aumento  proporzionale  e  forse
superiore del numero di anziani non autosufficienti.
  Si  registra,  inoltre,  una tendenza naturale del malato cronico a
perdere  l'autosufficienza.   Nel   futuro   giocheranno   un   ruolo
particolarmente  incisivo  le demenze, le malattie cardiorespiratorie
croniche, le malattie  cerebrovascolari  ed  in  genere  le  malattie
degenerative (neurologiche, osteoarticolari, degli organi di senso) e
-sebbene  meno  incisive dal punto di vista quantitativo- le malattie
croniche del  giovane  e  dell'adulto,  in  particolare  le  malattie
psichiatriche  che  non  rispondono  ai  trattamenti  terapeutici, le
lesioni cerebrali irreversibili, le malattie neuromuscolari croniche.
Il  problema  centrale  e'  quello  del  finanziamento  dei   servizi
all'ammalato  cronico.   La risposta a questo interrogativo e' ancora
molto difficile: appare, pero', irresponsabile non porsi il  problema
e lasciarlo crescere senza ipotizzare prospettive di soluzione. Vi e'
il  rischio  concreto  che  l'eta'  cronologica  costituisca il solo,
arbitrario criterio per limitare l'assistenza sanitaria.
  In  questa  prospettiva  e'  veramente  una  scelta   di   civilta'
ipotizzare un sistema di integrazione socio-sanitaria che permetta di
dare   risposte   qualificate   a   costi   relativamente  contenuti,
coinvolgendo nei progetti assistenziali diverse componenti della rete
formale ed informale che  si  stende  attorno  all'ammalato  cronico.
Anche  se non e' compito di un sistema sanitario nazionale provvedere
alla stimolazione di generosita' e competenze diffuse, l'apertura del
sistema  stesso  al  contatto  e  alla  dinamica  con  altre  realta'
costituisce  una  testimonianza molto significativa e la premessa per
un progresso reale.
  Nello scenario complessivamente in modificazione dei sistemi per la
difesa della salute si e' assistito ad una progressiva trasformazione
del ruolo del cittadino. La coincidenza tra gli obiettivi  soggettivi
dei  pazienti  e le capacita' della medicina si e' realizzata in modo
armonioso nella storia recente, durante lo sviluppo che la sanita' ha
conosciuto negli anni '40 e '50, quando  le  malattie  paradigmatiche
erano le affezioni infettive. L'azione medica si trovava circoscritta
entro parametri ben definiti: le conoscenze cliniche, la volonta' del
paziente  di  ricevere il trattamento e l'intervento appropriato (che
si puo' definire, seppur relativamente, di  basso  costo  e  di  alta
efficacia).  Lo  scenario  recente  vede  invece come predominanti le
malattie cardiovascolari, il  cancro,  le  affezioni  degenerative  e
croniche;  rispetto  alle quali i parametri tradizionali sono rimessi
in discussione e la precaria armonia e' compromessa:  non  esiste  un
consenso sugli interventi medici migliori; non e' piu evidente che il
paziente  voglia ricevere ogni trattamento possibile, e forse neppure
il trattamento standard;  l'equazione  tra  costi  ed  efficacia  dei
trattamenti e' sbilanciata a favore dei primi.
  La  civilta'  sanitaria di un paese si misura anche dalla capacita'
di comprendere questi dilemmi e  queste  incertezze;  il  superamento
della  medicina  trionfante  -falsamente risolutiva del dolore umano-
costituisce un grande progresso, purche' i sistemi sanitari  sappiano
cogliere  il  contenuto  di sfida che puo' derivare da un cambiamento
che comporta meno certezze o  leggi  indiscutibili,  mentre  richiede
maggiore  partecipazione,  attenzione alle modalita' operative e alle
debolezze non  rimediabili  degli  assistiti.    In  quest'ottica  di
attenzione   ai   bisogni   nascosti,   gli  indicatori  di  civilta'
suggeriscono un'attenzione  particolare  agli  aspetti  preventivi  e
riabilitativi,   che   rappresentano   due   momenti  di  particolare
protezione verso  le  fragilita'  umane.  Nel  prossimo  triennio  le
Regioni  dovranno provvedere, nel rispetto delle singole peculiarita'
geografiche,  storiche  ed  organizzative,  alla  strutturazione   di
moderni  servizi  di  prevenzione  e di riabilitazione, superando una
visione purtroppo inveterata che tende a considerarle marginali.
  La  presenza  di  una  ricerca   scientifica   veramente   avanzata
rappresenta  il  punto  d'appoggio di un sistema sanitario che voglia
dirsi  moderno,  perche'  costituisce  il  modo  piu'  efficace   per
garantire il nuovo senza rotture e senza salti.
  Il P.S.N. per il triennio 1994-96 non si pone quindi nell'ottica di
costruire   per   le  persone  uno  stato  di  salute  come  definito
dall'O.M.S.   (condizioni   di   benessere    fisico,    psicologico,
relazionale),  che appartiene piu' all'area della felicita' umana che
non a quella della salute. Resta il grande tema  del  dolore  fisico,
centrale  rispetto  a  qualsiasi intervento, i cui confini tendono ad
essere molto incerti rispetto  alle  varie  attivita'  dell'uomo.  In
questa  logica  il  modello di civilta' sanitaria di un paese si puo'
misurare rispetto ad eventi specifici e concreti,  come  sono  alcuni
indicatori  di  morbosita'  e  di  mortalita'.  Si tratta di punti di
arrivo rigidi, non discutibili, attorno ai  quali  le  varie  realta'
locali  possono  costruire  un  sistema  secondo scelte e motivazioni
differenziate, in grado pero' di raggiungere risultati precisi.
  Uno  tra  gli  obiettivi  piu'   importanti   che   si   e'   posta
l'organizzazione   Mondiale   della  Sanita'  per  l'Europa  riguarda
l'aumento della vita attesa. L'Italia da questo  punto  di  vista  e'
collocata  in una posizione molto favorevole, sia per quanto riguarda
la speranza di vita alla nascita sia per quella in eta' avanzata  (75
anni ed oltre); e' pero' importante associare al concetto di speranza
di  vita  quello  di  speranza di vita attiva, indicatore piu' fedele
dello stato di salute della popolazione. Da questo punto di vista  il
fenomeno  mondiale  dell'espansione della morbilita' ha portato anche
in  Italia  ad  un  allargamento  del  numero   delle   persone   non
autosufficienti  in eta' avanzata. Costituisce indicatore di civilta'
il riuscire a ridurre la  percentuale  di  persone  dipendenti  e  la
fascia  tra  questi  di  coloro  che non sono in grado di restare nel
proprio domicilio. A questo proposito, il progetto obiettivo  anziani
indica   le   modalita'  concrete  attraverso  le  quali  organizzare
l'assistenza alla persona che invecchia.
  Un altro indicatore di civilta' sanitaria,  all'estremita'  opposta
della  scala  della  vita,  e'  rappresentato  dalla  riduzione della
mortalita' infantile: per l'O.M.S. entro il 2000  i  casi  in  Europa
dovrebbero   scendere  a  meno  di  20  ogni  mille  nati  vivi.  Pur
trovandoci, nel complesso, al disotto di questo valore, in Italia  vi
e'  ancora  una  fortissima variabilita' fra le Regioni, con tassi di
mortalita' molto  elevati  soprattutto  nelle  aree  del  sud  e  con
un'organizzazione  dell'assistenza  al  parto e al periodo post-parto
per  molti  aspetti  deficitaria.  Il   progetto   obiettivo   tutela
materno-infantile  risponde  ad  alcune di queste esigenze, ponendosi
soprattutto l'obiettivo di uniformare la qualita' e la quantita'  dei
servizi prestati nei primi giorni di vita.
  Dal  punto di vista di alcune patologie importanti, l'O.M.S. indica
che entro il 2000 nella regione europea la mortalita' per  cancro  in
soggetti  sotto  i  65  anni dovrebbe essere ridotta almeno  del 15%,
mentre dal 1970 il tasso di mortalita' per tumori maligni nel periodo
fino a 65 anni e' andato aumentando. Nell'ambito dei  diversi  tumori
di specifici sistemi ed apparati, si dovrebbe raggiungere, attraverso
interventi  di prevenzione, diagnosi precoce e terapia, entro la fine
del primo decennio del prossimo secolo, una riduzione simile a quella
indicata  dall'O.M.S.    Sempre  secondo  l'O.M.S./Europa,  anche  la
mortalita' per malattia dell'apparato circolatorio nelle persone fino
a  65 anni dovrebbe diminuire del 15% entro il 2000 . Da questo punto
di vista in Italia vi e' stata una forte riduzione del fenomeno negli
anni '70 e '80, anche se un piu' attento  controllo  dei  fattori  di
rischio potrebbe portare ad ulteriori risultati positivi.
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    | 2.B. Individuazione dei bisogni di salute e della domanda |
    |                   di prestazioni sanitarie                |
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  Negli  anni  recenti  in  Italia l'organizzazione dei servizi si e'
fondamentalmente  basata  sulle  scelte  operate  da  chi   governava
l'offerta, ritenendo di essere in grado di interpretare autonomamente
la  domanda.  E'  ben noto, d'altra parte, quanto sia complesso nella
moderna  struttura  dei  comportamenti   individuali   e   collettivi
identificare   i   bisogni  reali,  mettendo  in  luce  anche  quelli
inespressi e sapendo cogliere tra i  molti  quelli  realmente  legati
alle dinamiche di salute.
  In  questo  scenario si e' assistito ad un inseguimento irrazionale
tra offerta e domanda, determinato da  spinte  non  controllate,  che
alla  fine  hanno  provocato  un  aumento  dei  costi complessivi del
sistema sanitario. Partendo da questa realta', si  ritiene  opportuno
indicare alle Regioni l'esigenza di istituire, nel corso del triennio
1994-96,  gli  ossevatori  epidemiologici  regionali. Questi dovranno
costruire, per ogni area e per ogni settore della popolazione, quadri
completi del bisogno sanitario,  al  fine  di  offrire  un  punto  di
partenza  sul  quale  fondare  le  scelte per l'impiego delle risorse
disponibili. Gli Osservatori epidemiologici regionali  avranno  anche
il  compito  di  valutare  nel  tempo  l'efficacia  degli interventi,
costruendo modelli complessi per  interpretare  l'impatto  di  scelte
specifiche   sull'evoluzione   di   diversi   fattori  demografici  e
socio-economici. L'organizzazione degli osservatori dovra' rispondere
a precise caratteristiche tecnologiche, in collegamento dinamico  con
l'Agenzia  per i servizi sanitari regionali presso il Ministero della
sanita', sia per lo scambio di dati, sia per le possibili  azioni  di
supporto tecnico.
  Le  obiettive  difficolta'  di  disporre, nel breve periodo, di una
adeguata  conoscenza  dei  bisogni  sanitari  della  popolazione  non
devono, tuttavia, costituire un alibi alla mancata adozione di quegli
interventi  che  e' gia' possibile adottare, allo scopo di migliorare
le modalita' di erogazione delle prestazioni sanitarie:
  1)  la  semplificazione  delle  procedure  di  accesso  ai  servizi
sanitari;
  2)  il  miglioramento delle tipologie e dei tempi di risposta delle
strutture sanitarie.
  Per il primo punto soccorre, anche in via analogica, il riferimento
alle disposizioni ex legge  7.8.1990,  n.241,  con  la  finalita'  di
rivedere la impostazione dei servizi amministrativi a contatto con il
pubblico,   migliorare  il  sistema  di  informazione  ai  cittadini,
qualificare sempre di piu'  la  professionalita'  degli  operatori  a
contatto con il paziente.
  Riguardo  al  secondo  punto,  garantire a tutti i cittadini uguali
opportunita' di accesso alle attivita' ed alle prestazioni  sanitarie
rappresenta   un  obiettivo  strategico  per  il  Servizio  sanitario
nazionale, coerente con  il  dettato  costituzionale,  relativo  alla
tutela  della  salute  quale  diritto  fondamentale del cittadino. La
definizione  dei  livelli   uniformi   di   assistenza,   in   quanto
individuazione  dell'insieme  di  attivita'  e  di prestazioni che il
Servizio sanitario nazionale  si  impegna  ad  erogare  a  fronte  di
corrispondenti  condizioni  di  bisogno,  rappresenta una sostanziale
garanzia in tale senso.
  Per migliorare le condizioni di accesso alle prestazioni  sanitarie
e', tuttavia, necessario intervenire anche attraverso:
    -  la  riduzione  degli squilibri territoriali nella dotazione di
   servizi  sanitari,   che   determinano   il   sottodimensionamento
   dell'offerta in alcune aree del Paese;
    -   l'incremento   dell'efficienza   operativa  dei  servizi  per
   migliorarne la capacita' produttiva;
    - l'orientamento della domanda di prestazioni  sulla  base  dell'
   adeguatezza della risposta nei riguardi del bisogno da soddisfare.
  Gli  obiettivi che possono essere conseguiti nell'arco del triennio
di validita' del Piano sanitario nazionale sono i seguenti:
   1. forte riduzione  della  mobilita'  ospedaliera  inter-regionale
relativamente  alle  attivita'  erogate  dalle  divisioni ospedaliere
delle "discipline di base",  come  individuate  al  sensi  del.  D.M.
13.09.88.
  Le  Regioni dovranno porre in atto sistemi idonei ad individuare le
sedi e le dimensioni della mobilita' interregionale,  analizzando  le
caratteristiche  della  offerta  di  servizi  in termini di tipologia
delle prestazioni, facendo anche ricorso ad indicatori  che  misurino
l'accesso ai servizi;
  2.  riduzione  del  ricorso  alle strutture ospedaliere estere, con
particolare  riferimento  alla  mobilita'  conseguente  all'eccessiva
entita'  dei  tempi  di  attesa  per  l'accesso ad analoghe strutture
ospedaliere nel nostro Paese;
  3. riduzione dei tempi di attesa per le attivita' ambulatoriali;  a
tale  riguardo  i valori di riferimento proposti devono essere intesi
quali linee di tendenza:
    - per le indagini di laboratorio:  esecuzione  entro  quarantotto
   ore,  fatti  salvi esami che per ragioni tecniche vengono eseguiti
   con periodicita' programmata e le situazioni di urgenza;
    -  per  la  diagnostica  per  immagini: salvo urgenze, esecuzione
   entro cinque giorni;
    - per le visite  specialistiche  e  la  diagnostica  strumentale:
   salvo urgenze, esecuzione entro sette giorni;
  4.  potenziamento  delle attivita' ospedaliere erogate in regime di
day-hospital. Questa modalita' di erogazione  si  caratterizza  anche
per  una  migliore accettabilita' da parte degli utenti, in quanto e'
compatibile con abitudini di vita meno dipendenti dall'organizzazione
ospedaliera.
  Con  il  D.P.R.  20/10/92  sono  gia'  stati  forniti   appropriati
indirizzi  per la attivazione di posti di assistenza in regime diurno
negli ospedali. L'esigenza di graduare nel  tempo  tale  applicazione
puo'   trovare   risposta   affrontando  in  modo  organico  le  aree
monotematiche, con priorita' per quelle individuate in  ogni  Regione
come  le  piu' rilevanti.  L'obiettivo nel triennio e' di trasferire,
in ambito regionale, il 10% dei ricoveri ospedalieri in trattamento a
ciclo diurno.
  5. Assistenza Ospedaliera a Domicilio. In  questo  campo  e'  utile
procedere  a  delle  sperimentazioni,  al fine di approdare a modelli
organizzativi validati in ambito regionale in modo da consentire,  in
linea tendenziale, il trasferimento alla ospedalizzazione domiciliare
di una quota di ricoveri ospedalieri approssimata al 3%.
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    |         2.C. Impiego razionale delle risorse              |
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  Un  utilizzo inefficiente delle risorse costituisce una diminuzione
della  possibilita'  di  dare  risposta  ad  una  quota  del  bisogno
sanitario  tanto  piu'  consistente  quanto  piu'  ampia e' l'area di
inefficienza.  Considerato   l'ormai   consolidato   orientamento   a
contenere  il  volume  di risorse pubbliche destinate alla assistenza
sanitaria,  la  razionalizzazione  della  spesa  assume  rilievo   di
obiettivo strategico del Servizio sanitario nazionale.
  La  natura  aziendale delle strutture responsabili della produzione
ed erogazione dei servizi sanitari ed il nuovo  stato  giuridico  del
personale  del  Servizio  sanitario  nazionale  -cui si accompagna la
consapevolezza della necessita' di  costruire  un  nuovo  modello  di
relazioni  sindacali-  rappresentano condizioni ormai acquisite, tali
da consentire agli organi  delle  Unita'  sanitarie  locali  e  delle
aziende  ospedaliere  di  scommettere  sul  proprio ruolo, disponendo
degli stessi poteri e strumenti consentiti alle analoghe  figure  del
settore privato.
  Non  si dispone di una aggiornata mappa delle aree di diseconomia e
di spreco redatta con criteri  scientifici;  tuttavia,  e'  possibile
individuarne  con  buona approssimazione alcune che frequentemente si
riscontrano nell'ambito del Servizio sanitario nazionale:
- abuso nelle esenzioni dal sistema di compartecipazione alla spesa;
    - tendenziale iperconsumo di farmaci;
    -  eccessiva  facilita'  di   prescrizione   e   ripetizione   di
   prestazioni diagnostiche;
    -  frequente  ricorso  improprio  al  ricovero  ospedaliero,  per
   patologie piu' efficacemente trattabili secondo altre modalita';
    -  tendenziale  sotto-utilizzo  di  strutture  diagnostiche  e di
   strutture operatorie di alta specializzazione, cui sono  associati
   elevati costi fissi;
    -  tendenza  ad  implementare  tecnologie  ad alto costo, sia per
   attivita' diagnostiche sia per attivita' terapeutiche, in  maniera
   non   sempre   appropriata   dal   punto  di  vista  del  rapporto
   costi-benefici e dello sfruttamento delle economie di scala;
    - sotto-utilizzo delle risorse  pubbliche,  con  conseguentemente
   oneroso   trasferimento   delle   risposte   al   settore  privato
   convenzionato;
    -  sovrapposizioni  non  integrate  di  iniziative  sanitarie   e
   socio-assistenziali a disabili e anziani;
    -  approvvigionamento  di  beni  e  servizi non sempre conforme a
   criteri di economicita' ed efficacia;
    - impiego irrazionale del personale di tutte le professionalita',
   non opportunamente  utilizzato  o  non  collocato  nelle  aree  di
   effettivo bisogno, come conseguenza di carente programmazione o di
   anacronistiche rigidita' operative.
  Appare  necessaria,  al riguardo, l'individuazione degli interventi
correttivi  da  adottare  a  livello  locale  e  regionale,  con   il
conseguente  monitoraggio  della applicazione e dell'efficacia, anche
tramite l'analisi di appropriati indicatori.  In questa  prospettiva,
a  titolo  esemplificativo vengono identificati alcuni criteri per un
corretto utilizzo delle attrezzature  disponibili  all'interno  delle
strutture ospedaliere:
Attivita' di emergenza (diagnostiche e terapeutiche):
  devono funzionare 7 giorni su 7, 24 ore su 24;
Attivita'  di  routine  (diagnostiche,  terapeutiche e riabilitative,
anche in Day Hospital):
  I servizi vanno garantiti 6 giorni su 7 e debbono funzionare almeno
5 giorni su doppio turno.
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    |      3. I LIVELLI UNIFORMI DI ASSISTENZA SANITARIA        |
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  La definizione di livelli uniformi di assistenza sanitaria,  intesi
come  l'insieme  delle  attivita'  e  delle prestazioni sanitarie che
debbono essere erogate dal S.S.N., e' materia  che  risente  piu'  di
altre  della  transizione  da  un  sistema  centralistico  ad  uno  a
responsabilita' condivise tra Stato e Regioni.
  Da un lato appare marcata la finalita' di  garantire  ai  cittadini
uguali opportunita' di accesso e assicurare il soddisfacimento di una
soglia  minima  di domanda di prestazioni sanitarie. Per altro verso,
la indicazione dei  livelli  si  cala  in  contesti  regionali  molto
diversi  per  cultura,  caratteristiche  socio-economiche,  dotazioni
strutturali, competenze  tecnico-scientifiche,  capacita'  gestionali
nel settore sanitario.
  Le  stesse  Regioni  sono inoltre titolate ad integrare con proprie
risorse aggiuntive  i  livelli,  definendo  i  modelli  organizzativi
mediante i quali la domanda di prestazioni puo' essere soddisfatta.
  Compete  al  Piano  sanitario nazionale indicare i macro-livelli di
assistenza sanitaria uniforme  e  gli  obiettivi  da  conseguire  per
ognuno di essi in termini di aree di domanda sanitaria da soddisfare.
  La   funzione  programmatoria  regionale  dovra'  poi  definire  le
modalita' organizzative per il perseguimento degli obiettivi  secondo
l'ordine  di  priorita'  definito dal Piano sanitario nazionale ed in
funzione delle specifiche esigenze del territorio, e  distribuire  le
risorse in relazione alle modalita' organizzative adottate.
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    | 3.A. ASSISTENZA SANITARIA COLLETTIVA IN AMBIENTE DI VITA  |
    |                       E DI LAVORO                         |
    |___________________________________________________________|
  1.  Obiettivo  del  livello e' quello di promuovere la salute della
popolazione nel suo complesso mediante la profilassi  delle  malattie
infettive  e  diffusive; il controllo dei fattori di rischio presenti
nel territorio; il controllo dei fattori  di  rischio  collettivi  ed
individuali   presenti  negli  ambienti  di  vita  e  di  lavoro;  la
profilassi  veterinaria  necessaria  per  la  tutela  del  patrimonio
zootecnico dalle malattie infettive e diffusive e per la tutela della
popolazione   umana   dalle  antropozoonosi  e  per  la  salvaguardia
dell'ambiente, anche utilizzando il modello animale  quale  strumento
di  sorveglianza;  il controllo degli alimenti e delle bevande sia di
origine animale che vegetale, nei momenti di produzione, lavorazione,
deposito, trasporto e distribuzione degli stessi.
  2. Il livello e' realizzato attraverso il complesso delle attivita'
e prestazioni di prevenzione collettiva di seguito elencate:
    a) Profilassi delle malattie infettive e diffusive:
  - vaccinazioni  secondo  la  normativa  vigente  e  nell'ambito  di
interventi  e campagne di prevenzione collettiva autorizzati con atti
formali dalle regioni;
  - interventi di profilassi internazionale;
  -  controllo  delle  malattie  infettive  ed eventuale bonifica dei
focolai.
    b)  Tutela  della  collettivita'  dai  rischi  sanitari  connessi
all'inquinamento ambientale:
  - controllo dell'inquinamento atmosferico e acustico;
  -  controllo  sugli  impianti  di  smaltimento  dei  rifiuti solidi
urbani;
  - controllo  sulla  detenzione  e  sullo  smaltimento  dei  rifiuti
speciali, tossici e nocivi;
  - controllo sulla qualita' delle acque destinate al consumo umano;
  - controllo sulle piscine pubbliche o di uso pubblico;
  - controllo sulle acque di balneazione;
  - controllo degli scarichi civili, produttivi e sanitari.
    c)  Tutela  della collettivita' e dei singoli dai rischi sanitari
connessi agli ambienti di vita e di lavoro:
  - attivita' di accertamento, vigilanza e controllo dei  fattori  di
rischio negli ambienti di vita;
  -  attivita'  di accertamento, vigilanza e controllo dei fattori di
rischio negli ambienti di lavoro,
  - controllo sul commercio ,la vendita e l'impiego dei fitofarmaci e
dei presidi sanitari;
  - controllo sulle attivita' agricole, forestali e della pesca;
  - controllo della salute dei lavoratori;
  - promozione della salute dei minori in ambiente scolare;
  - certificazioni sanitarie, ai fini preventivi e  di  tutela  della
salute pubblica;
  - espletamento dei compiti di polizia mortuaria.
   d) Sanita' pubblica veterinaria:
  -  controllo  dell'  igiene  degli  allevamenti  e delle produzioni
zootecniche;
  -  sorveglianza  epidemiologica  e   profilassi   ai   fini   della
eradicazione  delle  malattie  infettive, ed in particolare di quelle
esotiche;
  -  vigilanza  e  lotta  al  randagismo  per  il   controllo   della
popolazione  canina,  soprattutto  ai  fini  della  prevenzione della
echinococcosi/idatidosi;
  - vigilanza sulla utilizzazione degli animali da esperimento;
  - vigilanza e controllo sulla preparazione,  commercializzazione  e
impiego dei mangimi e degli integratori per mangimi.
   e) Tutela igienico-sanitaria degli alimenti:
  nel rispetto della normativa nazionale e regionale vigente, secondo
la programmazione sanitaria regionale:
  -   controllo  igienico-sanitario  nei  settori  della  produzione,
trasformazione,   conservazione,   commercializzazione,    trasporto,
depositi,  distribuzione  e  somministrazione  degli alimenti e delle
bevande,   con   verifica   dell'adeguamento   delle   strutture   di
macellazione alle normative comunitarie;
  -  ricerca  di  residui  di  farmaci  o sostanze farmacologicamente
attive e di contaminanti ambientali negli alimenti;
  - controllo sulla produzione e sul commercio dei prodotti dietetici
e degli alimenti della prima infanzia;
  -  campionamento  ed  esecuzione dei controlli analitici secondo la
tipologia degli alimenti e delle bevande.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |            3.B. ASSISTENZA SANITARIA DI BASE              |
    |___________________________________________________________|
  1. Obiettivo della  assistenza  sanitaria  di  base  e'  quello  di
promuovere  la  salute,  mediante  attivita' di educazione sanitaria,
medicina preventiva individuale, diagnosi, cura e  riabilitazione  di
primo livello e di pronto intervento.
  2.  Il  livello  di  assistenza  sanitaria  di base si articola nei
livelli analitici di seguito elencati:
   2.1. Il livello di Medicina  generale,  costituito  dal  complesso
delle seguenti attivita' e prestazioni:
  - visita medica generica e pediatrica, ambulatoriale e domiciliare,
anche  con  carattere  di urgenza, con rilascio, quando richiesto, di
certificazioni  mediche   obbligatorie   ai   sensi   della   vigente
legislazione;
 -  eventuali  prescrizioni  di farmaci, di prestazioni di assistenza
integrativa, di diagnostica strumentale e di laboratorio e  di  altre
prestazioni specialistiche in regime ambulatoriale, proposta di invio
a cure termali;
  - richiesta di visite specialistiche, anche per eventuale consulto,
ai fini del rispetto della continuita' terapeutica;
  -  proposta  di  ricovero  in  strutture  di degenza, anche a ciclo
diurno;
  -  partecipazione  alla  definizione  e  gestione  del   piano   di
trattamento  individuale  domiciliare  in pazienti non deambulanti ed
anziani.
   2.2. Il  livello  di  Assistenza  Farmaceutica,  costituito  dalle
seguenti attivita':
  -  erogazione dei farmaci, nel rispetto della normativa nazionale e
regionale vigente;
   2.3. Il livello di Assistenza territoriale domiciliare, costituito
dal trattamento individuale domiciliare a pazienti non deambulanti  e
anziani.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |     3.C. ASSISTENZA SPECIALISTICA SEMIRESIDENZIALE E      |
    |                      TERRITORIALE                         |
    |___________________________________________________________|
  1.   Obiettivo   del  livello  e'  accertare  e  trattare  in  sede
ambulatoriale, domiciliare e semiresidenziale le condizioni morbose e
le inabilita' mediante interventi specialistici di tipo  diagnostico,
terapeutico  e  riabilitativo  in  favore dei cittadini, ivi compresi
quelli volti alla tutela della salute materno-infantile, nonche' alla
prevenzione, diagnosi e terapia del disagio psichico e degli stati di
tossicodipendenza.
  2. Il livello si articola nei livelli di seguito elencati:
   2.1. livello di assistenza specialistica, realizzato attraverso il
complesso delle seguenti attivita' e prestazioni:
  - visite, prestazioni specialistiche e di diagnostica strumentale e
di  laboratorio,  nonche'   le   altre   prestazioni   previste   dal
nomenclatore delle prestazioni specialistiche;
  - attivita' di consultorio materno-infantile.
   2.2.  livello  di  assistenza  ai  tossicodipendenti costituito da
visite,   prestazioni   specialistiche   diagnostico-terapeutiche   e
riabilitative    erogate    mediante   i   S.E.R.T.   e   in   regime
semiresidenziale.
   2.3. livello di assistenza  psichiatrica  territoriale  costituito
dal  complesso  degli  interventi  specialistici  erogati  mediante i
servizi territoriali psichiatrici.
   2.4. livello di assistenza riabilitativa  territoriale  costituito
dal complesso delle attivita' di seguito elencate:
  -  prestazioni  di  cui all'art. 26, comma 1, della legge 833/78 in
regime ambulatoriale e semiresidenziale anche a favore di anziani;
  - assistenza protesica attraverso  la  fornitura  delle  protesi  e
degli  ausili  tecnici  inclusi  nel Nomenclatore delle protesi con i
limiti e con le modalita' previste dalla normativa vigente;
  -  prestazioni   idrotermali,   limitatamente   al   solo   aspetto
terapeutico,  con  i  limiti  e le modalita' previste dalla normativa
vigente.
   2.5. assistenza integrativa realizzata mediante la erogazione  dei
prodotti  dietetici  e  dei  presidi  sanitari,  con  i  limiti  e le
modalita' previsti dalla normativa vigente.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |                   3.D. ASSISTENZA OSPEDALIERA             |
    |___________________________________________________________|
  1. Obiettivo della assistenza ospedaliera e' quello di garantire  a
tutti   i   soggetti  assistiti  dal  S.S.N.  l'accesso  ai  ricoveri
ospedalieri   necessari   per   trattare:   condizioni    patologiche
indifferibili  che  necessitino di interventi diagnostico-terapeutici
di emergenza o di urgenza, patologie acute non  gestibili  in  ambito
ambulatoriale  e/o  domiciliare,  nonche'  condizioni  patologiche di
lunga durata che richiedano  un  trattamento  diagnostico-terapeutico
non erogabile in forma extraospedaliera.
  Il   livello  uniforme  di  assistenza  ospedaliera  e'  realizzato
attraverso l'insieme di prestazioni e attivita' di seguito elencato:
  -  visite  mediche,  assistenza  infermieristica  ed  ogni  atto  e
procedura  diagnostica,  terapeutica  e  riabilitativa  necessari per
risolvere i problemi di salute del paziente degente e compatibili con
il livello di dotazione tecnologica delle singole strutture;
  - interventi di soccorso nei confronti di malati o  infortunati  in
situazioni  di  urgenza od emergenza medica ed eventuale trasporto in
ospedale, anche coordinato da centrale operativa collegata al sistema
del numero telefonico unico 118;
  L'assistenza ospedaliera e' erogata secondo le  seguenti  modalita'
di accesso:
  - in forma di ricovero di urgenza ed emergenza;
  -  in  forma di ricovero ordinario programmato anche a ciclo diurno
(day-hospital);
  - in forma di ospedalizzazione domiciliare;
  - in trattamento sanitario obbligatorio, attuato nei casi e con  le
modalita' espressamente previste dalle leggi dello Stato.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |     3.E. ASSISTENZA SANITARIA RESIDENZIALE A NON          |
    |      AUTOSUFFICIENTI E LUNGODEGENTI STABILIZZATI          |
    |___________________________________________________________|
  1.  Obiettivo  del  livello  e'  promuovere,  mediante  trattamenti
sanitari  in  regime  residenziale,  il  recupero  di  autonomia  dei
soggetti  non autosufficienti, il recupero e il reinserimento sociale
dei soggetti dipendenti da sostanze stupefacenti o psicotrope,  degli
anziani,   nonche'   la   prevenzione   dell'aggravamento  del  danno
funzionale per le patologie croniche.
  2.  Il  livello  si  articola  nei  livelli  analitici  di  seguito
elencati:
   2.1.   livello   di  assistenza  psichiatrica  residua  realizzato
attraverso:
  -  visite  mediche,  assistenza  infermieristica  ed  ogni  atto  e
procedura diagnostica, terapeutica in favore di pazienti psichiatrici
degenti negli ospedali psichiatrici.
   2.2.  livello  di  assistenza residenziale agli anziani realizzato
attraverso:
  - assistenza sanitaria di base  ad  anziani  degenti  in  strutture
residenziali.
   2.3.  livello  di  assistenza residenziale ai tossicodipendenti in
comunita' terapeutiche realizzato attraverso:
  -  assistenza  sanitaria  riabilitativa  a   tossicodipendenti   in
comunita' terapeutiche.
   2.4.  livello  di  assistenza  residenziale  ai  disabili psichici
erogato attraverso:
  - assistenza sanitaria  di  base  a  disabili  psichici  in  regime
residenziale.
   2.5. livello di assistenza residenziale ai disabili fisici erogato
attraverso:
  -  assistenza  sanitaria  di  base  a  disabili  fisici  in  regime
residenziale.
   2.6 livello di assistenza  riabilitativa  residenziale  ex  art.26
della legge 833/78 erogato attraverso:
  -   assistenza   riabilitativa   ai  disabili  fisici,  psichici  e
sensoriali  in  regime  residenziale  presso   appositi   centri   di
riabilitazione.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |       3.F.   ATTIVITA' DI SUPPORTO ALLA ORGANIZZAZIONE    |
    |                     ASSISTENZIALE                         |
    |___________________________________________________________|
    L'erogazione  delle  prestazioni  ed  attivita'  contemplate  dai
livelli di assistenza presuppone l'organizzazione di servizi generali
e  di  management,  compresi  quelli  relativi   alla   raccolta   ed
elaborazione dei dati per ogni livello assistenziale.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |              4. LE PRIORITA' DI INTERVENTO                |
    |___________________________________________________________|
  Questo  capitolo  evidenzia  alcune  caratteristiche  attraverso le
quali  si  esplicano  diverse  attivita'   del   Servizio   sanitario
nazionale.
  In    particolare,    vengono    riportate   indicazioni   generali
relativamente alla organizzazione  dei  due  sistemi  fondamentali  a
livello territoriale: i distretti -cioe' l'organismo responsabile per
la  erogazione  dell'assistenza continuativa nel corso della vita dei
cittadini ed al quale e' demandata la responsabilita'  di  gestire  i
servizi  di  base-  e  l'emergenza  -cioe'  la  rete  organizzata sul
territorio  per  assicurare  ai  cittadini  modalita'  efficienti  in
risposta ai bisogni sanitari acuti-. In entrambi i casi, si tratta di
ambiti   nei   quali   l'aspetto  organizzativo  ha  un  ruolo  molto
importante,  anche  rispetto  a  quello  tecnico-clinico,  e  che  si
caratterizzano  per  la  forte  integrazione  di  sistema  e  la alta
disponibilita' al controllo di efficacia ed efficienza. E'  collocata
in  questo  capitolo  anche  una  sottolineatura  delle  attivita' di
riabilitazione, al fine di riproporne l'importanza e l'attualita'.
  Dello stesso segno, anche se non  direttamente  a  contatto  con  i
bisogni sanitari della popolazione, sono le problematiche legate alle
sperimentazioni   gestionali  ed  ai  sistemi  di  valutazione  e  di
controllo  delle  attivita'  prestate.  Per  questi   si   forniscono
indicazioni   metodologiche  finalizzate  a  suggerire  comportamenti
moderni e razionali ed orientate a diffonderne la adozione,  che  non
si  sovrappongono  alle  scelte  operative  concrete,  di  competenza
regionale. La loro accettazione all'interno  del  Servizio  sanitario
nazionale  comporta una razionalizzazione in termini organizzativi ed
un  risparmio  in  termini  economici;  i  Piani  sanitari  regionali
dovrebbero  quindi  accogliere queste indicazioni come ossatura sulla
quale costruire i diversi sottosistemi. I  contenuti  prioritari  del
PSN  sono  un'occasione  per  dare  concreta  applicazione  ad alcune
novita' che il piano assume come elementi qualificanti e che di  esso
costituiscono  obiettivo irrinunciabile.  Si tratta di "modi diversi"
di affrontare l'assistenza sanitaria, che nel loro insieme concorrono
ad accrescere la qualita' tecnico-scientifica delle prestazioni  e  a
fornire  ai  cittadini  risposte piu' efficaci all'interno di servizi
piu' efficienti, piu' umani  e  personalizzati,  meno  burocratici  e
formalisti, piu' attenti ai risultati da conseguire.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |          4.A. Distretto sanitario di base                 |
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  Il  Distretto  Sanitario di Base (DSB) rappresenta un'articolazione
organizzativo-funzionale  della  USL  finalizzata  a  realizzare   un
elevato  livello di integrazione tra i diversi servizi che erogano le
prestazioni sanitarie e tra questi e i  servizi  socio-assistenziali,
in  modo  da  consentire  una  riposta  coordinata  e continuativa ai
bisogni sanitari  della  popolazione.  I  nuovi,  piu'  ampi,  ambiti
territoriali delle USL rendono l'istituzione dei distretti un momento
indispensabile   per   una  razionale  strutturazione  del  servizio.
L'integrazione tra i diversi servizi, il supporto fornito  al  medico
di  famiglia, la conseguente possibilita' di adottare o di potenziare
forme di assistenza integrative  rispetto  all'attivita'  ospedaliera
possono  consentire una sensibile riduzione della domanda di ricoveri
ospedalieri, con conseguenti minori costi umani ed economici.
  Il perseguimento di una  efficace  integrazione  fra  le  attivita'
distrettuali,  l'attivita'  del  medico  di  famiglia,  le  attivita'
poli-ambulatoriali  e  specialistiche,  e   l'attivita'   ospedaliera
consente:
    -   la   continuita'  dell'assistenza  nell'ambito  dello  stesso
   episodio di malattia, indipendentemente  dai  diversi  luoghi  del
   trattamento,  riconducendo alla responsabilita' del medico di base
   le decisioni diagnostico-terapeutiche effettuate al di fuori degli
   eventuali episodi di degenza ospedaliera;
    - la tempestivita' dell'invio del paziente  all'ospedale,  quando
   appropriato,  fattore  determinante  rispetto  alla  efficacia del
   trattamento ospedaliero ed alla entita' del consumo di risorse  ad
   esso associato;
    -   un   efficace  filtro  alla  domanda  impropria  di  ricoveri
   ospedalieri;
    - l'attivazione di  modalita'  di  comunicazione  tra  i  diversi
   servizi  e  i  diversi professionisti che agiscono nell'ambito del
   S.S.N., tali da non costringere  l'utente  a  fungere  da  veicolo
   delle  informazioni necessarie per supportare la definizione delle
   scelte assistenziali.
  Il DSB dovra' rispondere alle seguenti caratteristiche:
    - flessibilita' nell'organizzazione, che deve adeguarsi ai  reali
   bisogni   di   intervento   e  non  riflettere  il  consolidamento
   dell'attivita' precedente;
    - metodo di lavoro interdisciplinare, finalizzato ad una ottimale
   utilizzazione   delle   risorse   disponibili,    attraverso    la
   integrazione  delle  competenze  provenienti  dai  diversi Servizi
   della USL;
    - orientamento delle attivita' per progetti e/o per problemi;
    - valorizzazione della funzione-chiave dei medici di  famiglia  e
   raccordo  delle  attivita'  dei  medici tra di loro e con le altre
   strutture  sanitarie  e  sociali,  allo  scopo  di  garantire   la
   continuita' di trattamento ai singoli utenti, la razionalizzazione
   dell'accesso  alle strutture ospedaliere e la responsabilizzazione
   nei riguardi della spesa.
  Il DSB e' l'ambito dove si realizza l'integrazione socio-sanitaria;
e' una "area sistema" all'interno della quale debbono incontrarsi con
coerenza le caratteristiche fortemente omogenee di alcune particolari
"condizioni" della struttura di bisogni, che costituisce  la  domanda
sociale,  e  le  modalita'  obbligate di intervento con le quali tali
condizioni  umane  vanno  affrontate,  per  garantirsi  efficacia  ed
efficienza.   In   questo  senso  l'integrazione  socio-sanitaria  va
prioritariamente  riconosciuta  nella   domanda   e   successivamente
realizzata   nei  sistemi  d'offerta,  superando  il  tradizionale  e
deleterio settorialismo.
  La struttura dei bisogni che costituiscono gran parte  dell'attuale
domanda   di   salute   (eta'  geriatrica;  relazione  madre-bambino;
disabilita',  che  per  effetto  del  contesto  sociale  rischia   di
trasformarsi   in   handicap;  malattia  mentale;  tossicodipendenza)
evidenzia la necessita' che la tutela della salute sia organizzata in
modo tale da garantire le seguenti caratteristiche:
  1) compresenza dei tre momenti specifici di intervento  (sanitario,
socio-sanitario integrato, assistenziale);
  2) forte valorizzazione del momento preventivo e riabilitativo;
  3) interdisciplinarieta' degli approcci;
  4)   permanenza   nel   tempo   degli   interventi  (sostegno  alla
cronicita');
  5) particolarita' del rapporto  terapeuta-utente:    evoluzione  da
paziente a soggetto attivo;
  6)  incidenza  del  ricorso  al  privato  sociale  (in  molti  casi
totalmente sostitutivo dell'intervento diretto del S.S.N.).
  L'offerta  di  servizi  socio-sanitari  integrati,  finalizzata   a
soddisfare questa "area sistema" di bisogni, deve essere programmata,
organizzata  e  costituita  come un progetto unitario, coinvolgendo i
due diversi  referenti  istituzionali  degli  interventi  sanitari  e
sociali (il comune associato in USL ed il comune singolo). E' inoltre
necessario  garantire  la  complementarieta'  delle  tre diverse reti
d'offerta  (servizi  residenziali,   territoriali   e   domiciliari),
assicurando   la   sinergia   tra  livelli  d'intervento  di  base  e
specialistici  e  integrando  tutte  le  risorse   disponibili,   sia
finanziarie sia umane.
  L'attuazione  dei  distretti  seguira'  evidentemente  strade molto
differenziate, in dipendenza della  localizzazione  (rurale,  urbana,
metropolitana);   spettera'  alla  dirigenza  delle  USL  trovare  le
modalita' piu' adatte per l'istituzione  del  servizio  nel  rispetto
delle singole realta'.
  Le  tipologie  di  attivita'  che  trovano un'ideale collocazione a
livello di D.S.B. sono:
  1. il supporto all'attivita' del medico di famiglia
  2. l'assistenza domiciliare integrata  (A.D.I.),  per  l'erogazione
coordinata    e    continuativa    di    prestazioni    sanitarie   e
socio-assistenziali da parte di diverse figure professionali fra loro
funzionalmente integrate. L'A.D.I.  puo' rappresentare  una  risposta
assistenziale   efficace  ed  efficiente  nei  confronti  di  persone
disabili in conseguenza di forme morbose acute o croniche, cosi' come
di  pazienti  che  necessitino  di  trattamenti  palliativi,  purche'
tecnicamente  trattabili  a domicilio. L'A.D.I. si caratterizza quale
modalita' di integrazione e coordinamento di attivita' di  prevalente
livello territoriale, compresa l'assistenza alle famiglie finalizzata
ad evitare il ricovero;
  3.  le  attivita'  di  ospedalizzazione domiciliare, per consentire
l'erogazione di  trattamenti  che  richiedano  la  disponibilita'  di
competenze   professionali  di  livello  ospedaliero,  ma  che  siano
tecnicamente erogabili al domicilio del paziente;
  4. la gestione coordinata degli accessi ai servizi, attraverso:
    - la disponibilita' presso la sede del distretto dell'interfaccia
   con il centro unificato di prenotazione (CUP);
    -  la  possibilita'  per  l'utente  di  espletare  le   procedure
   amministrative a livello decentrato;
    -  la disponibilita' decentrata di punti di prelievo per indagini
   chimico-cliniche;
    - la disponibilita' di sportelli per  fornire  informazioni  agli
   utenti.
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    |          4.B. Strutture e attivita' di emergenza          |
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  In  tema  di  organizzazione   delle strutture e delle attivita' di
emergenza  sanitaria,  vi  e'  l'esigenza  di  salvaguardare   alcuni
requisiti   di   uniformita'   in   tutto   il   Paese,   poiche'  il
soddisfacimento della domanda in questa area  di  bisogni  deve  fare
riferimento  ad una rete nazionale di servizi capaci di dare risposte
univoche ed omogenee, anche in relazione  ai  collegamenti  con  vari
organi  e  strutture  dello  Stato.  Il  DPR  27  marzo 1992 "Atto di
indirizzo e coordinamento alle  Regioni  per  la  determinazione  dei
livelli  di  assistenza  sanitaria  di emergenza" definisce le grandi
linee per la organizzazione dei servizi di pertinenza, individuando i
seguenti punti fondamentali:
    * sistema di allarme;
    * interventi sul territorio;
    * risposta organizzativa.
  Il presente Piano sanitario  nazionale  indica  alcuni  presupposti
irrinunciabili,  in  base  ai quali entro il triennio 1994-96 debbono
essere perseguiti i seguenti obiettivi:
  1) predisposizione di un sistema di allarme sanitario, mediante  la
realizzazione della rete regionale di Centrali Operative (organizzate
di  norma su base provinciale, fatte salve le esigenze di particolari
aree  metropolitane)  tra  loro  coordinate  e  collegate  al  numero
telefonico  nazionale "118", alle quali affluiscano tutte le chiamate
di  intervento  di  emergenza  sanitaria.    Dette  centrali  debbono
rispondere  a  requisiti tecnologici, strutturali ed organizzativi di
elevato grado di autonomia funzionale e con precise qualificazioni  e
responsabilizzazioni di personale medico e non medico;
  2)  disponibilita'  di  idonei  mezzi  di  trasporto  per  soccorso
sanitario, anche mediante il coinvolgimento delle  Organizzazioni  di
Volontariato, con la garanzia di qualificata presenza medica a bordo,
ove richiesto;
  3)  realizzazione  di  un  sistema  di  accettazione e di emergenza
sanitaria secondo due diversi livelli di  complessita',  in  funzione
delle   specifiche   esigenze  locali,  mediante  la  individuazione,
nell'ambito della riorganizzazione della rete ospedaliera  regionale,
degli  ospedali  sede  di  Pronto  Soccorso  (di  primo livello) e di
Dipartimento  di  Emergenza  (di   secondo   livello)   e   la   loro
organizzazione   ed   attivazione,  tali  da  garantire  l'erogazione
tempestiva  e  di  elevato  livello  qualitativo   degli   interventi
diagnostico-terapeutici necessari.
  In  particolare,  i  Servizi  di Pronto Soccorso, da distribuire in
maniera sufficientemente diffusa  nel  territorio  regionale,  devono
essere   localizzati   in  ospedali  dotati  di  servizi  di  base  e
specialistici  in  grado  di   assicurare   il   primo   accertamento
diagnostico,   strumentale  e  di  laboratorio,  il  controllo  delle
funzioni vitali e gli interventi necessari alla  stabilizzazione  del
paziente,   le  attivita'  diagnostiche  e  terapeutiche  di  urgenza
compatibili con le specialita'  disponibili,  un  adeguato  trasporto
protetto, ove richiesto.
  I  Dipartimenti  di  Emergenza,  da  distribuire selettivamente nel
territorio, devono, inoltre, poter garantire nell'arco delle  24  ore
"gli   interventi   diagnostico-terapeutici   di   emergenza  medici,
chirurgici, ortopedici, ostetrici e pediatrici, l'osservazione  breve
e  l'assistenza cardiologica e rianimatoria" e devono pertanto essere
collocati soltanto presso sedi ospedaliere dotate delle competenze  e
delle strutture adeguate ad affrontare le tematiche piu' complesse;
  4)  regolamentazione  puntuale dei compiti, delle responsabilita' e
degli obblighi di formazione ed aggiornamento del personale, mediante
idonea,  normativa  dipartimentale  che,  nella  salvaguardia   delle
autonomie  cliniche degli specialisti delle varie discipline chiamati
ad intervenire nei momenti dell'emergenza, preveda  un  coordinamento
dotato di reali poteri.
  Strettamente collegati con una adeguata rete di presidi predisposti
per  una qualificata e coordinata risposta alla domanda in emergenza,
vi e' la organizzazione delle Rianimazioni e  Terapie  Intensive.  La
rete  dei  presidi  di  Rianimazione  e  Terapia  Intensiva  e',  nel
complesso del territorio nazionale, ancora  inadeguata.  Su  di  essi
pesano  sovente  richieste  di  prestazioni  improprie,  che  rendono
problematico   l'accoglimento   dei   soggetti   aventi    necessita'
indilazionabili.  Trattasi  peraltro  di  prestazioni  improprie  per
quanto attiene la funzione rianimatoria in senso stretto, prestazioni
comunque non eseguibili presso le degenze ordinarie  e  abbisognevoli
di apposita struttura di accoglienza e trattamento.
  Viene  indicata  l'esigenza  di uniformare nel periodo 1994-1996 il
numero dei posti attivi di  Rianimazione  e  Terapia  Intensiva  alla
media  europea  (passaggio  dal  2%  al  3%  del totale dei letti per
acuti), con articolazione differenziata inizialmente  su  almeno  due
livelli, di cui definire le caratteristiche attraverso idoneo decreto
ministeriale.
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    |              4.C. Attivita' di riabilitazione               |
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  Le  attivita'  di  riabilitazione  sono finalizzate a consentire il
massimo recupero possibile delle funzioni lese in seguito  ad  eventi
patogeni   prevenendo   le   menomazioni   secondarie  e  curando  le
disabilita' al fine di contenere ed evitare l'handicap  e  consentire
alla persona disabile la migliore qualita' della vita e l'inserimento
psico-sociale.
   I due aspetti critici di tali attivita' sono rappresentati da:
    - la necessita' che le attivita' riabilitative intervengano nella
   prima  fase  della  malattia  a  rischio  di  disabilita',  quando
   maggiore e' il potenziale di recupero;
    - la graduazione degli interventi riabilitativi, sia  in  termini
   di  strutture  eroganti, che di tipologia delle attivita' erogate,
   sulla base del tipo di menomazione  e  disabilita'  evidenziate  e
   della fase di malattia in cui si interviene.
   La   molteplicita'  degli  aspetti  connessi  alla  riabilitazione
richiede una definizione di due ambiti generali:
    - attivita' riabilitativa  generica,  orientata  ad  eliminare  o
   contenere  qualunque  forma  di  disabilita';  cosi'  intesa, ogni
   attivita' sanitaria  e'  anche  attivita'  di  riabilitazione,  in
   quanto  ogni  intervento  -sia  esso  preventivo  o  diagnostico o
   terapeutico- ha come obiettivo l'evitare o il ridurre  il  rischio
   che si determinino menomazioni permanenti all'individuo;
    -     attivita'     riabilitativa    specifica,    caratterizzata
   dall'insostituibile  ricorso  a  tecniche,   mezzi   e   operatori
   finalizzati  alla  soluzione di problemi medico-riabilitativi piu'
   complessi.
   Il   presupposto   necessario  alla  realizzazione  di  interventi
riabilitativi  efficaci  specifici  consiste  nella  definizione  dei
diversi   livelli   di  intervento,  che  si  caratterizzano  per  la
complessita' dell'assistenza richiesta:
  a) interventi  di  primo  livello,  che  comprendono  le  attivita'
finalizzate   a   mantenere   il  paziente  al  piu'  alto  grado  di
autosufficienza  possibile.  Queste  attivita'  trovano  collocazione
ideale  nell'ambito  dell'assistenza  domiciliare  integrata  o nelle
strutture  residenziali  di   natura   socio-assistenziale   e   sono
preferibilmente coordinate dal medico di famiglia, il quale collabora
con  specifiche  professionalita'  individuate sulla base dei bisogni
del singolo paziente e definite nell'ambito di un esplicito piano  di
trattamento;
  b)  interventi  di  secondo  livello,  che comprendono le attivita'
tendenti a ridurre le conseguenze delle menomazioni  che  l'individuo
ha  riportato  in  seguito  ad  un  evento  patologico per malattia o
trauma. Queste attivita' trovano la loro  collocazione  idonea  nelle
strutture   ospedaliere,   nella   fase   acuta   della   malattia  e
dell'intensivita'  del  trattamento  riabilitativo  e  in  quelle  di
lungodegenza o ambulatoriali, nella fase post-acuta;
  c)  interventi  di  terzo  livello,  che  comprendono  le attivita'
rivolte  a  ridurre  quanto  piu'  e'  possibile  le  conseguenze  di
specifiche  e  gravi  menomazioni  causate  da  eventi patologici per
malattia o trauma. Queste attivita' trovano  idonea  collocazione  in
apposite  strutture  ove sono erogate da servizi di alta specialita',
quali  quelli  per  la   neuroriabilitazione,   le   unita'   spinali
dipartimentali unipolari, etc.
  L'obiettivo  primario che le Regioni devono perseguire nell'arco di
vigenza   del   P.S.N.   1994-1996   relativamente   all'area   della
riabilitazione  consiste  nella  organizzazione di una rete regionale
integrata di servizi, articolata sulla base dei seguenti criteri:
  1. individuazione delle strutture in cui devono essere attivati e/o
riorganizzati i servizi di  riabilitazione  di  secondo  e  di  terzo
livello;
  2.  l'erogazione  dei  trattamenti riabilitativi in fase post-acuta
deve  ordinariamente   realizzarsi   in   regime   non   ospedaliero:
domiciliare, ambulatoriale, semi-residenziale, residenziale a seconda
del  tipo  di  danno  e  del  livello di auto-sufficienza residua del
paziente;
  3. la conduzione dei servizi ai  vari  livelli  deve  avvenire  con
criteri   di   unitarieta'   e  continuita',  all'interno  di  ambiti
territoriali ben definiti per quanto attiene in particolare al  primo
ed   al  secondo  livello,  rimanendo  il  terzo  livello  a  valenza
sovrazonale.
  La   rilevanza   in   termini   epidemiologici   delle    patologie
cardio-vascolari   induce   a  sottolineare  l'urgenza  di  riservare
particolari attenzioni alle attivita' di  riabilitazione  dirette  al
recupero  funzionale  dei  pazienti  cardiopatici. A tal fine risulta
essenziale lo sviluppo di idonee modalita' di  coordinamento  fra  le
strutture  ospedaliere dedicate alla riabilitazione e le strutture di
diagnosi e cura di tipo cardiologico. Le attivita' di riabilitazione,
in  generale,  ma  in  maniera  particolare  quelle  finalizzate   al
trattamento  dei  pazienti  cardiopatici,  richiedono che i risultati
conseguiti siano consolidati nella gestione del  paziente  successiva
al  trattamento riabilitativo. Pertanto, la collaborazione del medico
di famiglia con le strutture di riabilitazione deve trovare modalita'
di realizzazione funzionali al raggiungimento di questo obiettivo.
  Sono  del  pari  da  programmare  iniziative organiche regionali di
riabilitazione in ambito  pneumologico,  in  particolare  per  quanto
riguarda  le  insufficienze  respiratorie  croniche,  alle  quali  e'
possibile assicurare miglioramenti  significativi  con  l'ausilio  di
tecnologie utilizzabili anche in sede domiciliare.
  L'area  delle  disabilita'  motorie secondarie a danni neurologici,
ortopedici e reumatologici, che rappresenta uno dei piu'  classici  e
consolidati  settori  di  intervento  della  riabilitazione, e' anche
quella che sicuramente va tutelata  con  il  piu'  elevato  grado  di
ragionevole  periferizzazione  dei  servizi,  essendovi  coinvolti in
numero assai rilevante anche soggetti  che  per  la  irreversibilita'
delle  menomazioni  necessitano  di  precoci interventi riabilitativi
anche di periodici e sistematici  trattamenti,  effettuabili  per  lo
piu'  in  strutture  di  per  se'  non  sempre  e non necessariamente
complesse, ma con l'esigenza di apporti professionali particolarmente
qualificati ed aggiornati.
  Per quanto riguarda la riabilitazione delle menomazioni  di  natura
ortopedica, finalizzata al ripristino della funzionalita' di segmenti
dell'apparato  locomotore  sui  quali si e' intervenuti con metodiche
chirurgiche e/o protesiche, deve essere garantita la precocita' della
instaurazione dei trattamenti riabilitativi, mentre l'esigenza di  un
raccordo   con   l'area  specialistica  che  ha  promosso  la  scelta
terapeutica pongono l'opportunita' di una collocazione dei servizi di
pertinenza per la fase dell'immediato post-intervento in modo tale da
facilitare il rapporto con  le  Unita'  Operative  piu'  direttamente
interessate.
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    |            4.D. Sperimentazioni Gestionali                |
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  L'articolo 4, comma 6, della legge 412/91 prevede  che,  in  deroga
alla  normativa  vigente, sono consentite sperimentazioni gestionali,
ivi comprese quelle  riguardanti  le  modalita'  di  pagamento  e  di
remunerazione  dei  servizi.  Lo  stesso  articolo  pone  come  unica
condizione che le sperimentazioni avvengano nel rispetto dei  livelli
uniformi di assistenza e dei rispettivi finanziamenti.
  L'esigenza    di   nuove   sperimentazioni   e'   stimolata   anche
dall'introduzione del "finanziamento a prestazione", che  rappresenta
un cambiamento sostanziale non soltanto in senso strettamente tecnico
(modalita'  di  valutazione delle tariffe e di previsione e controllo
della spesa), ma anche dal punto di vista  culturale,  in  quanto  il
pagare  il  servizio  fornito,  a differenza dal finanziare i fattori
produttivi, induce  comportamenti  e  sottintende  responsabilita'  e
autonomie   gestionali.   A   cio'   si  aggiunge  la  necessita'  di
identificare  meccanismi  che  garantiscano  la  regolazione  ed   il
contenimento   della   spesa,   soprattutto   nella   prima  fase  di
introduzione  del  sistema,  nella  quale  probabilmente  non   sara'
possibile  il  pieno  coinvolgimento  del  medico di famiglia secondo
quanto indicato dal D.L.  502/92 all'articolo 8, comma 1.
  La  normativa  sulle  sperimentazioni  e'   ripresa   nel   decreto
legislativo  502/92 il quale rimette alla Conferenza Stato Regioni la
competenza in materia, sia in termini di identificazione degli ambiti
applicativi  sia  in  materia  di  definizione  delle  modalita'   di
attuazione,   richiedendo   la   motivazione   delle   scelte   e  la
evidenziazione delle ragioni di convenienza e di miglioramento  della
qualita'  dell'assistenza.  Lo stesso decreto prevede la costituzione
di un fondo sul bilancio del Ministero della sanita' per promuovere e
finanziare, tra l'altro, ricerche  e  sperimentazioni  attinenti  gli
aspetti  gestionali,  la valutazione dei servizi e le tematiche della
comunicazione e dei rapporti con i cittadini.
  All'interno di questo quadro  normativo  nazionale  diventa  quindi
rilevante che le diverse Regioni e le singole U.S.L., in virtu' della
loro specificita', esprimano capacita' di proposta, attivando momenti
di  riformulazione  degli interventi in modelli organizzativi sino ad
oggi non sperimentati.
  Le  maggiori  sollecitazioni  che  discendono   dal   "cambiamento"
dell'assetto  istituzionale ed organizzativo coinvolgono, da un lato,
i comportamenti professionali degli operatori del Servizio  sanitario
nazionale   e,   dall'altro,   i  modelli  organizzativi  adottabili,
attualmente in genere orientati  prevalentemente  all'adempimento  di
compiti   piuttosto   che   al   perseguimento  di  obiettivi  ed  al
raggiungimento di risultati.
  Per garantire il raggiungimento dei risultati  previsti  dal  Piano
sanitario   e'   necessario  investire  risorse  nella  formazione  e
l'aggiornamento degli operatori, da un  lato,  e,  dall'altro,  nella
sperimentazione di modelli organizzativi innovativi.
  Affinche' possa offrire utili indicazioni, una sperimentazione deve
interessare un numero significativo di aziende sia per tipologia, sia
per  dislocazione  sull'intero territorio nazionale.  Appare pertanto
congrua la  individuazione  di  9  aziende  U.S.L.  e/o  ospedaliere,
rappresentative  di  diverse  dimensioni  e localizzazioni regionali,
nelle quali attivare le sperimentazioni gestionali. A tal  fine,  nel
triennio  di  validita' del presente Piano, saranno concordati con il
Ministero della sanita' e le Regioni interessate appositi modelli nei
quali siano specificate le ragioni di convenienza,  di  miglioramento
della  qualita'  dell'assistenza  e  gli  elementi di garanzia a loro
supporto. La Conferenza permanente per i rapporti tra  lo  Stato,  le
Regioni e le Province autonome avra' la responsabilita' di provvedere
ad  una  verifica  annuale dei risultati conseguiti, tanto in termini
economici quanto in  termini  di  qualita'  dei  servizi  erogati.  A
conclusione  della  sperimentazione,  sulla  base  della  valutazione
complessiva  dei  risultati  ottenuti,  il  Governo  e   le   Regioni
decideranno  in  merito  alle  conseguenze  operative da trarre dalle
esperienze sperimentali.
  Appare inoltre opportuna la promozione di ulteriori sperimentazioni
infraregionali rivolte alla responsabilizzazione dei centri di spesa,
ed in particolare del medico di famiglia e dei dirigenti ospedalieri,
distribuendo le risorse in base a budget predeterminati e  collegando
il    riconoscimento    di    forme   di   incentivazione   economica
all'ottenimento dei risultati gestionali previsti.
  Nell'ambito della sperimentazione  gestionale  deve  anche  trovare
spazio:
  1)   la  individuazione  di  nuove,  piu'  efficaci,  modalita'  di
partecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini;
  2) la introduzione di metodologie orientate  ad  una  umanizzazione
dell'atto  medico  e  ad  un  razionale utilizzo delle risorse, anche
attraverso il ricorso a nuove modalita' operative. Sono opportune,  a
tale proposito, sperimentazioni mirate su aspetti specifici, quali ad
esempio gli interventi di chirurgia ambulatoriale e di breve degenza,
gia'  largamente  sperimentate  in  altri paesi per una pluralita' di
patologie chirurgiche.
  Le sedi sperimentali risultano  particolarmente  idonee,  peraltro,
anche  ai  fini  della formazione degli operatori coinvolti sia negli
aspetti medico-clinici sia in quelli economico-gestionali.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |   4.E. Sistemi di valutazione e controllo delle attivita' |
    |                       sanitarie                           |
    |___________________________________________________________|
  La rilevanza sociale delle attivita' erogate dal Servizio sanitario
nazionale  e  l'entita'  delle  risorse  occorrenti   comportano   la
necessita'  di valutare in maniera sistematica l'attivita' svolta, al
fine di verificare se i benefici conseguiti siano  congruenti  con  i
costi   sostenuti  e,  quindi,  se  gli  sforzi  volti  a  migliorare
l'efficienza e la efficacia del servizio offerto  all'utente  abbiano
raggiunto i risultati desiderati.
  Al  fine  di  ottenere  un  sistema  di  valutazione  in  grado  di
soddisfare questa esigenza e' necessario  costituire  un  insieme  di
indicatori  in  grado  di rilevare i diversi fenomeni da tenere sotto
osservazione. Questo sistema deve fornire contestualmente ai  diversi
livelli   decisionali  in  cui  si  articola  il  Servizio  sanitario
nazionale la possibilita' di auto-valutazione rispetto agli obiettivi
da  conseguire  e  rispetto  alle  risorse  consumate,  tenendo conto
dell'autonomia regionale e rispettando le specificita' locali.
  Gli indicatori rappresentano delle informazioni selezionate in modo
accurato, che aiutano a misurare, in relazione a determinati  criteri
prioritari,  i cambiamenti avvenuti nei fenomeni osservati e, quindi,
permettono di monitorare aspetti specifici, della politica sanitaria.
Il  sistema  di  indicatori,  quindi,  deve  essere  finalizzato   ad
assistere i processi decisionali:
    -  a livello locale, evidenziando le aree critiche, da sottoporre
   ad ulteriori analisi specifiche e orientando  l'identificazione  e
   l'attuazione di eventuali provvedimenti correttivi;
    -  a  livello  regionale  e centrale, consentendo la verifica dei
   criteri adottati  per  orientare  la  programmazione  sanitaria  e
   l'allocazione delle risorse.
  Al  fine  di consentire lo scambio di informazioni e la valutazione
comparativa delle diverse situazioni,  dovra'  rilevarsi  un  insieme
minimo  di  informazioni  comune  a tutte le realta' regionali, ferma
restando la piena autonomia delle Regioni di integrarlo con ulteriori
fabbisogni informativi specifici per le singole realta'.
  Il contenuto di questo insieme di informazioni definito sulla  base
dei seguenti criteri principali:
    -  compatibilita'  con il modello di erogazione delle prestazioni
   previsto dalla formulazione dei  livelli  uniformi  di  assistenza
   sanitaria.  All'interno  di  questi  sono  individuate  delle aree
   relativamente  omogenee  di  offerta  sanitaria,  quali   funzioni
   assistenziali da monitorare attraverso il sistema di indicatori;
    -  definizione,  all'interno di ciascuna area omogenea, di gruppi
   di indicatori finalizzati a consentire la  rappresentazione  degli
   aspetti  individuati  quali  principali oggetti della valutazione,
   ossia:
      - domanda/accessibilita' alle prestazioni;
      - risorse impiegate nel processo di  produzione  ed  erogazione
     delle prestazioni;
      - attivita' svolte;
      - risultati ottenuti.
      - qualita' delle prestazioni
  Coerentemente  a  tali  criteri,  in  attuazione di quanto previsto
dall'articolo 10 del Decreto legislativo 502/92, verra' sviluppato  a
livello centrale un sistema di indicatori finalizzato alla verifica e
valutazione delle attivita' svolte nell'ambito del Servizio sanitario
nazionale,  ai suoi diversi livelli. La individuazione ed istituzione
del sistema di indicatori deve costituire, infatti, il frutto di  una
azione condivisa tra Stato e Regioni, da formalizzare con un apposito
decreto  ministeriale  e l'emanazione di linee di guida in osservanza
delle quali i livelli decentrati  possano  procedere  alle  opportune
verifiche   di   qualita',   anche   avvalendosi   degli  Osservatori
epidemiologici regionali.
     __________________________________________________________
    |                                                          |
    |    5. I PROGETTI-OBIETTIVO E LE AZIONI PROGRAMMATE       |
    |__________________________________________________________|
  L'articolo  2  della legge 595/85, definisce "progetto-obiettivo un
impegno operativo, idoneo  a  fungere  da  polo  di  aggregazione  di
attivita'  molteplici delle strutture sanitarie, integrate da servizi
socio-assistenziali, al fine di perseguire la tutela  socio-sanitaria
dei soggetti destinatari del progetto".
  Secondo  lo  stesso  articolo,  "si definisce azione programmata un
impegno operativo in uno specifico settore  sanitario  in  cui  debba
confluire  l'attivita'  di  piu'  servizi sanitari, le cui competenze
sono da considerarsi  interdipendenti  rispetto  al  fine  proposto".
Queste   disposizioni,   nell'un  caso  e  nell'altro  realizzano  il
superamento della separazione tra interventi.
  Il  progetto-obiettivo  si  distingue  dall'azione  programmata  in
quanto  postula  il  coinvolgimento trasversale ed intersettoriale di
altre  amministrazioni  su  un'azione   di   tutela   che   travalica
l'esclusivo  ambito sanitario.  L'assunzione di un progetto-obiettivo
tra gli impegni prioritari del piano  sanitario  nazionale  o  di  un
piano  sanitario  regionale impegna il governo centrale o regionale a
mobilitare, con sinergismo di  azioni,  tutte  le  componenti,  anche
quelle  non  sanitarie, che possono concorrere a fornire una risposta
esauriente ai bisogni.
  Le  problematiche  connesse  alle  azioni   programmate   sono   di
prevalente  interesse  sanitario,  perche'  riguardano  patologie  ed
interventi che investono  direttamente  e  in  modo  preponderante  i
servizi di assistenza sanitaria e che hanno nell'ospedale un punto di
riferimento organizzativo rilevante.
  I  programmi  di  piano  implicano,  a  livello  locale,  una forte
integrazione distrettuale, ponendosi il progetto-obiettivo e l'azione
programmata come  occasioni  concrete  e  immediate  per  promuovere,
sperimentare  e  dibattere le modalita' di integrazione funzionale ed
operativa di tutte  le  figure  professionali  e  dei  vari  tipi  di
servizi, sanitari e non.
  Per quanto riguarda il finanziamento dei progetti-obiettivo e delle
azioni  programmate,  va  sottolineato  che  le indicazioni del Piano
sanitario nazionale individuano  aspetti  della  ordinaria  attivita'
istituzionale  che  ricevono  particolare  attenzione e comportano il
coordinamento funzionale di tutti i servizi e i  presidi  interessati
al  perseguimento  dell'obiettivo. Quindi gli interventi previsti dai
progetti-obiettivo e dalle azioni  programmate  sono  da  considerare
all'interno   dei   livelli   predetermiati   di   assistenza  e  del
corrispondente volume di risorse.
  In questo caso la riclassificazione del bilancio di previsione  per
programmi  e  obiettivi  non  costituisce soltanto una espressione di
programmazione delle attivita', ma rappresenta un impegno  vincolante
nell'uso delle risorse.
  Nell'ambito   del   PSN   particolare   rilevanza  assumono  alcune
problematiche di salute, non solo per la loro  ampia  diffusione  nel
paese,  ma  anche  perche'  caratterizzate da situazioni per le quali
interventi  mirati  e  coordinati  possono  consentire  di   ottenere
risultati  notevoli  anche in una situazione generale di scarsita' di
risorse. In questa logica, vengono individuati  progetti-obiettivo  a
rilevanza nazionale sostenuti per il triennio da risorse finanziarie,
predefinite,  eventualmente  integrabili  da  altre  rese disponibili
dalla finanza regionale e locale.
  Nel triennio 1994/1996, i  progetti-obiettivo  attivabili  in  modo
uniforme sul territorio nazionale sono: "La tutela materno-infantile"
e  "La  tutela  della salute degli anziani". Si tratta di due periodi
della vita caratterizzati da  elevata  fragilita'  e  da  una  grande
sensibilita'  agli  eventi vitali ed alla correttezza degli eventuali
interventi sanitari.
  Si rileva  inoltre  l'opportunita'  di  emanare,  nel  corso  dello
svolgimento  dei  Progetti-obiettivo  ed  alla  luce delle esperienze
maturatesi, apposite linee guida contenenti indirizzi  alle  Regioni.
Inoltre, nell'arco di validita' del Piano sanitario nazionale possono
essere  emanati  ulteriori  indirizzi  alle  Regioni  su patologie di
rilevante interesse clinico e sociale.
  Alla programmazione regionale a riservato il compito di individuare
le azioni programmate attivabili sul proprio territorio in  relazione
alle specifiche esigenze locali.
  Tra  le  aree  di  intervento  prioritario, benche' non assumano la
rilevanza di azioni programmate, sono comprese:
  1. la predisposizione di una rete di servizi  integrati  (sanitari,
sociali,  assistenziali) finalizzati al recupero, alla riabilitazione
ed al reinserimento sociale dei disabili, in applicazione della legge
quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale  e  i  diritti  delle
persone handicappate (legge 104/1992);
  2.   la  completa  applicazione  della  normativa  sulle  attivita'
trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la
produzione di plasmaderivati gia' oggetto di disposizioni a carattere
precettivo contenute nella legge 107/1990;
  3.  la  completa  attuazione  della  normativa  sulla  prevenzione,
l'assistenza  e  la cura delle patologie diabetiche di cui alla legge
115/87, in particolare attivando  un  sistema  integrato  fondato  su
attivita'  di primo e di secondo livello, diffuse sul territorio e su
servizi di diabetologia nelle strutture ospedaliere per le casistiche
piu' complesse;
  4. la tutela della salute nei luoghi di lavoro,  dando  sistematica
ed  organica  attuazione  a  quanto  previsto nei livelli uniformi di
assistenza sanitaria;
  5. la sanita' pubblica veterinaria, la quale opera in  un  contesto
normativo  che  le  fa  carico,  da un lato, di incidere nel comparto
agro-industriale quale elemento di tutela delle produzioni  nazionali
nel  mercato  e, dall'altro, di costituire un filtro protettivo per i
cittadini-consumatori, garantendo loro la salubrita'  degli  alimenti
di  origine  animale, il controllo delle zoonosi e, piu' in generale,
un corretto rapporto uomo-animale-ambiente. Inoltre, il mercato unico
europeo e l'armonizzazione delle  politiche  comunitarie,  anche  per
quanto  concerne gli aspetti sanitari inerenti la commercializzazione
degli animali e dei prodotti dagli stessi derivati, costituiscono  un
elemento  di  novita'  di  cui la programmazione regionale deve tener
conto nella organizzazione delle attivita' territoriali.
  Fatta salva, quindi, la competenza della  programmazione  regionale
nella individuazione delle azioni programmate, a livello nazionale si
prevede  che  nel  corso  del  triennio  1994-96  saranno promosse le
seguenti azioni:
    - Prevenzione e cura delle malattie oncologiche
    - Trapianti d'organo
    - Assistenza ai pazienti nefropatici cronici.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |             5.A. La tutela materno infantile              |
    |___________________________________________________________|
  Negli  ultimi  decenni,  si  sono  verificati  con ritmo accelerato
fenomeni di ordine demografico e  sanitario  (denatalita',  riduzione
drastica  della  patologia malnutrizionale e di quella acuta grave da
malattie infettive, soprattutto  respiratorie  e  gastrointestinali);
nello  stesso  tempo,  compaiono  ai  primi  posti  della mortalita',
accanto  alle  cause  perinatali,  altre  cause  tra  le   quali   le
malformazioni,   i   traumi,   i  tumori,  le  malattie  del  sistema
cardio-circolatorio.
  L'indicatore  spia  dello   stato   dei   servizi   di   protezione
materno-infantile,  che e' il tasso di mortalita' perinatale, era del
17,5 per mille nel 1980 e continua a diminuire: ha  raggiunto  l'11,0
nel  1989,  il  10,4  nel  1990,  il  10,5  nel  1991.  Nonostante  i
decrementi, le differenze geografiche  permangono:  la  regione  piu'
sfavorita  e'  la  Calabria (17,2 per mille), quella piu' favorita il
Trentino Alto Adige (5,8 per mille).
  Obiettivo del progetto-obiettivo e',  pertanto,  la  riduzione  del
tasso  di  mortalita' perinatale almeno al 10 per mille nelle regioni
al di sopra di tale valore.
  La strategia di intervento.
  La strategia riguarda la  realizzazione  di  una  serie  di  misure
dirette a realizzare:
  -  la  prevenzione  e  l'educazione  sanitaria,  sia attraverso gli
interventi sulla collettivita',  sia  nell'approccio  individuale  al
singolo soggetto;
  - interventi educativi in raccordo con le istituzioni scolastiche e
con  le  altre  istituzioni  che,  a  vario  titolo,  sono  coinvolte
nell'area dell' infanzia e dell' eta' evolutiva
  - la promozione della procreazione cosciente e responsabile e della
tutela della gravidanza a rischio;
  - la prevenzione ed il controllo delle patologie genetiche;
  -   l'umanizzazione   dei   servizi   sanitari,   a    salvaguardia
dell'integrita'  psichica  del  minore  e della madre e degli aspetti
relazionali  nella  famiglia,  anche  mediante  la  promozione  della
ospedalizzazione domiciliare e del day hospital;
  - il funzionamento dei servizi in emergenza-urgenza nell'arco delle
24 ore;
  -  il  funzionamento  di servizi in grado di garantire globalita' e
continuita'  di  cura  per  le   emergenti   patologie   croniche   e
disabilitanti, idoneamente distribuiti sul territorio nazionale;
  -  l'adeguamento  della  distribuzione  territoriale dei servizi di
nefrologia e dialisi pediatrica, di oncoematologia pediatrica  e  per
il  trapianto  di  midollo  osseo,  di  cardiologia e cardiochirurgia
infantile,  di   endocrinologia   e   diabetologia   pediatrica,   di
mucoviscidosi e malattie respiratorie croniche, di malattie genetiche
e  metaboliche  pediatriche,  di terapia intensiva e subintensiva, di
epatologia pediatrica medica e chirurgica, ivi compresi  i  trapianti
d'organo, delle unita' per grandi ustionati in eta' pediatrica;
  -  la  facilitazione  dell'accesso  alle prestazioni diagnostiche e
terapeutiche ad elevata tecnologia.
  Gli interventi da compiere nel  triennio  di  validita'  del  Piano
riguardano:
  l'individuazione   di   un'area  per  l'assistenza  pediatrica  con
caratteristiche  strutturali  e  logistiche  adeguate  alle  esigenze
psico-fisiche  proprie  dell'  eta'  evolutiva  e  con  personale con
competenza e formazione di tipo pediatrico, in  stretta  connessione,
sia  in  ambito  ospedaliero  che  extraospedaliero, con le strutture
ostetriche e i servizi di assistenza alla gestante;
  -    l'istituzione    e/o    l'attivazione     del     Dipartimento
materno-infantile per l'integrazione degli aspetti sanitari e sociali
ed  il  coordinamento  delle  attivita' proprie di ciascuna delle sue
componenti;
  -  la  qualificazione  e  la  razionalizzazione   delle   strutture
pediatriche ed ostetriche di ricovero localizzate in grandi ospedali,
policlinici  universitari,  istituti  di  ricovero e cura a carattere
scientifico,  mediante  la  riconversione  in  complessi   pediatrici
polispecialistici,    secondo    modelli    organizzativi   di   tipo
dipartimentale,  il  potenziamento  dei   servizi   ambulatoriali   e
semiresidenziali  (day  hospital,  day surgery e centri dedicati alla
riabilitazione),  l'individuazione  di  centri   regionali   per   le
gravidanze a rischio;
  -  la de-ospedalizzazione delle attivita' ostetriche e pediatriche,
mediante il potenziamento della rete consultoriale,  della  pediatria
di  comunita'  e  di  libera scelta; la riconversione delle strutture
pediatriche  ed  ostetriche  di  ricovero   con   bassi   indici   di
utilizzazione  in  servizi di assistenza diurna, di riabilitazione ed
ambulatoriali;
  - il  potenziamento  dei  servizi  per  la  tutela  delle  funzioni
neuropsichiatriche e della vita di relazione;
  -   l'integrazione   funzionale   delle  competenze  specialistiche
presenti    ai    vari    livelli     (territoriale,     ospedaliero,
polispecialistico)  per l'assistenza ai soggetti affetti da patologie
croniche e disabilitanti;
  - la razionalizzazione  dell'assistenza  al  neonato,  comprendente
l'adeguata   distribuzione   territoriale   dei  servizi  di  terapia
intensiva  e  subintensiva  e  l'organizzazione  del   trasporto   di
emergenza per il neonato;
  -  il  potenziamento  e  la adeguata distribuzione territoriale dei
servizi  per  la  prevenzione  e  l'individuazione  delle   patologie
genetiche e l'identificazione dei centri di riferimento regionali;
  - l'istituzione presso l'Istituto Superiore di Sanita', a decorrere
dal  1994,  dei  registri epidemiologici nazionali cui confluiscano i
dati  raccolti  dai  registri  regionali,  con   priorita'   per   le
malformazioni   congenite,   i   tumori   infantili  e  le  leucemie,
l'insufficienza renale cronica, l'immunodeficienza,  l'ipotiroidismo,
la fenilchetonuria;
  -  svolgimento  di campagne nazionali di informazione per la tutela
della gravidanza e la promozione della salute in eta' evolutiva;
  - generalizzazione delle  vaccinazioni  antimorbillo,  antirosolia,
antiparotite, antipertosse;
  -  predisposizione  di  un  protocollo  tecnico-scientifico  per  i
monitoraggio della gravidanza e una cartella unica per  il  controllo
della medesima;
  -   promozione   dello  screening  delle  piu'  rilevanti  malattie
infettive in gravidanza;
  - adeguamento qualitativo e quantitativo della rete dei consultori,
con particolare riguardo alle attivita' di consulenza genetica;
  - attivazione o potenziamento dei servizi di assistenza domiciliare
integrata  (ADI)  in  favore delle famiglie con handicappati gravi in
eta' da 0 a 14 anni;
  - identificazione e potenziamento delle  strutture  destinate  alla
prevenzione,    diagnosi,    trattamento   e   riabilitazione   delle
disabilita', attivando o potenziando, in particolare,  i  servizi  di
riabilitazione infantile destinati a pazienti in eta' 0-14 anni;
  -  organizzazione  dell'assistenza ospedaliera d'urgenza garantendo
la  possibilita'  di  accesso  all'assistenza  pediatrica  di  pronto
soccorso  nell'arco  delle 24 ore ed il collegamento funzionale con i
presidi di alta specialita' per l'emergenza pediatrica.
     ___________________________________________________________
    |                                                           |
    |      5.B. La tutela della salute degli anziani            |
    | __________________________________________________________|
  Il  Parlamento  ha  gia'  approvato   il   30   gennaio   1992   il
Progetto-obiettivo per la Tutela della salute degli anziani, il quale
evidenziava  sia gli aspetti epidemiologici sia quelli organizzativi.
Il  presente  Piano  sanitario  nazionale  recepisce  le  indicazioni
contenute,  considerato  che  il  triennio  di  validita'  del  Piano
coincide con l'ultimo triennio di validita' del Progetto.
  Obiettivo  del  progetto  e'  quello  di  definire  modalita'   per
rispondere  ai  bisogni  individuali  degli  anziani nel quadro delle
risorse finanziarie disponibili  e  per  promuovere  e  facilitare  a
livello  locale  l'integrazione  dei  servizi  socio-assistenziali  e
sanitari,  utilizzando  una  "risposta  unitaria  e   globale",   con
particolare attenzione alle persone non autosufficienti.
  Il  progetto-obiettivo  recepisce  il  concetto  che scopo precipuo
dell'assistenza  all'anziano  e'  il  mantenimento  e   il   recupero
dell'autosufficienza,  la cui perdita, secondo la classificazione IDH
dell'OMS (1980), e' dovuta alla compromissione concomitante  di  piu'
fattori,  quali  il deficit organico, il disagio psico-affettivo e lo
svantaggio sociale.
  E' pertanto necessario  un  approccio  globale  ed  integrato  alla
persona, che identifichi le diverse componenti della compromissione e
consenta  la formazione di programmi di intervento individualizzati e
continuativi.
  Integrazione,  flessibilita'  e  continuita'   sono   pertanto   le
caratteristiche qualificanti dei servizi a favore degli anziani.
  Gli interventi da compiere:
  1. Interventi prioritari per gli anziani non autosufficienti:
  istituire  le  Unita'  di  valutazione  geriatriche (UVG) presso le
divisioni di geriatria attualmente esistenti e, in fase sperimentale,
in alcune U.S.L.;
  attivare o potenziare i servizi di Assistenza domiciliare integrata
(ADI) in modo da assistere, entro il 1996, almeno il 2% degli anziani
ultrasessantacinquenni  non  ospitati   in   RSA,   che   siano   non
autosufficienti,  parzialmente  autosufficienti  o a grave rischio di
invalidita';
  attivare in via sperimentale, e  gradualmente,  la  Spedalizzazione
domiciliare nel 10% dei casi spedalizzabili a regime;
  attivare centri diurni di riabilitazione.
  2.    Interventi    di   carattere   generale   per   gli   anziani
ultrasessantacinquenni:
  - promuovere a livello nazionale  e  regionale,  mediante  apposite
iniziative  e  procedure  di  carattere  legislativo,  misure  atte a
favorire la permanenza degli anziani in famiglia;
  -  promuovere,  con  l'adozione  delle  piu'  opportune  iniziative
legislative, misure particolari in favore delle famiglie con presenza
di  anziani  non  autosufficienti  che vengono trattenuti in famiglia
benche' posseggano i requisiti per l'accoglimento in RSA;
  - attivare misure di controllo  sulla  qualita'  della  vita  degli
anziani istituzionalizzati;
  -  promuovere  la  nomina  di  un  tutore esterno, a garanzia della
gestione dei beni dell'anziano istituzionalizzato;
  - adottare sistemi nazionali uniformi per la valutazione del  grado
di  autosufficienza  degli  anziani, nonche' altri modelli di analisi
dei bisogni e delle risposte  piu'  opportune  di  tipo  sanitario  e
socio-assistenziale;
  -  attivare  osservatori  permanenti  esterni  al  SSN  su  aspetti
funzionali, economici e  di  qualita'  dell'assistenza  erogata  agli
anziani, con l'obbligo di produrre annualmente un rapporto.
  Ad  integrazione  di  quanto sopra riportato, previsto dal Progetto
obiettivo  gia'  approvato  dal  Parlamento,  si  ritiene   opportuno
indicare l'importanza di alcune aree di intervento:
  -  formazione  degli  operatori  a  vari  livelli,  con particolare
riferimento  alle  problematiche   dell'anziano   cronico   e/o   non
autosufficiente.  Da  questo punto di vista e' estremamente rilevante
la diffusione di una  cultura  che  sappia  motivare  gli  addetti  a
valorizzare le potenzialita' residue;
  - interventi curativi e riabilitativi domiciliari, in regime di day
hospital  o  presso  centri  diurni.  Gli  anziani ammalati, compresi
quelli colpiti da cronicita' e da non autosufficienza, devono  essere
curati  senza  limiti di durata nelle sedi piu' opportune, ricordando
che la valorizzazione del domicilio come luogo  primario  delle  cure
costituisce   non   solo  una  scelta  umanamente  significativa,  ma
soprattutto una modalita' terapeutica spesso irrinunciabile;
  - creazione di reti  di  servizi  tra  loro  fortemente  integrati,
afferenti  al  sistema  sanitario  e a quello socio-assistenziale, in
grado  di  assumere,  anche  mediante  l'uso   delle   piu'   moderne
tecnologie,  la  responsabilita'  di  gestire i problemi dell'anziano
fragile,  sotto  il  coordinamento  delle   unita'   di   valutazione
geriatrica.
  Per  la  attuazione  di  quanto previsto dal Progetto-obiettivo, il
Ministero della sanita' ha emanato nell'agosto  1992  apposite  linee
guida.
  Sono  state, inoltre, distribuite alle Regioni le risorse destinate
alle  attivita'   di   assistenza   domiciliare   agli   anziani   e,
parallelamente,  e'  stato  attivato a livello centrale un sistema di
monitoraggio degli interventi adottati a livello regionale e  locale,
finalizzato a verificare periodicamente i risultati ottenuti.
  Al fine di predisporre le indicazioni relative alla assistenza agli
anziani   da   inserire   nel   prossimo  Piano  sanitario  nazionale
(1997-1999), entro  la  fine  del  primo  biennio  di  validita'  del
presente   Piano   sanitario  (1995)  dovra'  essere  effettuata  una
valutazione complessiva dei risultati conseguiti  con  la  attuazione
del Progetto-obiettivo.
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    |                                                           |
    |5.C. Azioni programmate in materia di trattamento di alcune|
    |                  patologie emergenti                      |
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    |                                                           |
    |   5.C.1. Prevenzione e cura delle malattie oncologiche    |
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  La  mortalita'  per  cancro  e'  in  continuo aumento: se l'attuale
progressione dovesse continuare, nel  2000  un  italiano  su  tre  si
ammalera' di cancro in un momento della sua vita.
  Nel 1991 nel nostro Paese sono stati rilevati circa 153.000 decessi
per  tumore.  Si  e'  stimato  che  nel 1993 vi saranno oltre 160.000
decessi e che i casi di incidenti (nuovi casi diagnosticati)  saranno
oltre 270.000 con 770.000 casi prevalenti (persone vive portatrici di
tumore).
  Dai dati ISTAT relativi al 1989 si desume che i ricoveri per tumore
in quell'anno sono stati circa 800.000  con una degenza media di 16,2
giorni  per paziente, comportando quindi circa 12.960.000 giornate di
degenza con circa il 10% dei ricoveri al nord, il 9% al centro  e  il
15% al sud.
  Esiste  la  possibilita' di avviare interventi di prevenzione per i
tumori   che   risultano   correlati   a   fattori    ambientali    e
comportamentali.
  Allo stato attuale, tenuta presente l'efficacia degli interventi di
prevenzione primaria e secondaria, nonche' una migliore utilizzazione
delle  terapie  disponibili,  si  potra'  ottenere  una riduzione del
15-20% della mortalita' da neoplasie.
  La strategia
  La strategia riguarda la  realizzazione  di  una  serie  di  misure
dirette a realizzare:
  - costituzione di una Commissione nazionale per l'oncologia;
  - potenziamento dell'attivita' di osservazione epidemiologica;
  - iniziative di prevenzione primaria e di educazione sanitaria;
  -  interventi  per  la  diagnosi  precoce delle neoplasie a maggior
diffusione;
  - potenziamento e riorganizzazione delle strutture oncologiche;
  -   incentivazione   di   attivita'   di   ricerca   oncologica   e
biotecnologica;
  - formazione e l'aggiornamento del personale,
Gli interventi da compiere.
  -  elaborazione  di  linee  guida  per  la  prevenzione  da  rischi
ambientali e comportamentali con interventi di  informazione  per  la
popolazione  in  collaborazione  con  la  Lega  italiana per la lotta
contro i tumori prevedendo specifiche azioni  legislative  contro  il
fumo di tabacco;
  -  rilevamento e raccolta dei dati sulla incidenza di malattia e di
mortalita' tramite gli osservatori epidemiologici regionali con messa
a punto di mappe di rischio oncogeno in collaborazione con i  servizi
di medicina del lavoro e igiene pubblica delle U.S.L. e gli IZS;
  -  interventi  di prevenzione secondaria delle neoplasie di maggior
rilievo sociale e per cui e' dimostrata  l'efficacia  dell'intervento
(programma   nazionale  di  screening  per  neoplasie  della  cervice
uterina, mammella e colon-retto);
  - migliore valutazione della qualita'  della  diagnosi,  terapia  e
riabilitazione con l'adozione di specifici protocolli;
  -  elaborazione  e diffusione di protocolli diagnostico-terapeutici
per  le  patologie  neoplastiche  a  maggiore  diffusione   (polmone,
mammella, colon-retto, prostata, linfomi e leucemie, utero e ovaio);
  -  completamento  dell' istituzione dei registri tumori su tutto il
territorio nazionale;
  -  attivazione  di  Osservatori  di  nocivita'  ambientale  con  la
collaborazione  dei Servizi di Prevenzione delle USL e degli Istituti
Zooprofilattici Sperimentali (I.Z.S.);
  -  potenziamento  dei  servizi  di  base  realizzando  una  fattiva
collaborazione dei medici di medicina generale;
  -  definizione delle attivita' che devono essere svolte dai servizi
socio-sanitari   specialistici   (poliambulatori    per    consulenze
specialistiche) e loro distribuzione territoriale;
  - iniziative filtro di assistenza domiciliare e di ospedalizzazione
a  domicilio  (ivi  comprese  competenze  di riabilitazione e terapia
antalgica);
  - servizi ospedalieri integrati medico-chirurgici con  un  Servizio
di oncologia medica;
  -  costituzione di poli oncologici per svolgere attivita' integrata
interdisciplinare, il cui nucleo essenziale deve essere costituito da
radioterapia, chirurgia  ed  oncologia  medica.  Tali  poli  dovranno
garantire  anche  prestazioni  di  terapia  antalgica,  attivita'  di
riabilitazione oncologica, nonche' assistenza qualificata  ai  malati
terminali.  Potranno  essere  costituiti  in  seno al polo oncologico
centri  per  specifiche   patologie   neoplastiche,   garantendo   la
collaborazione dei necessari servizi diagnostici;
  -  incentivazione, con appositi finanziamenti, di centri di ricerca
per studi di oncologia sperimentale;
  - verifica delle strutture oncologiche, della loro utilizzazione  e
del loro funzionamento;
  -  formazione e aggiornamento dei medici, degli odontoiatri e degli
infermieri e verifica periodica dei livelli di apprendimento.
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    |          5.C.2. I trapianti d'organo e di tessuto         |
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  In tutte le Regioni italiane si registrano liste di attesa  per  il
trattamento  di  patologie  incompatibili con la sopravvivenza.   Tra
queste spicca l'attesa per trapianti di organo. Solo  considerando  i
pazienti nefropatici, dei circa 30.000 in dialisi in Italia, si stima
che  circa  10.000  siano  in  attesa  di  trapianto renale; la lista
d'attesa aumenta negli anni, perche' gli interventi  sono  ampiamente
insufficienti  a soddisfare ii fabbisogno: nel 1991, ad esempio, sono
stati trapiantati con organi da cadavere 581 pazienti (meno  del  10%
della  lista  d'attesa).  Il problema e' ancora piu' drammatico per i
pazienti in attesa di trapianto di cuore e  di  fegato,  i  quali,  a
differenza  dei  pazienti  affetti da insufficienza renale, non hanno
terapie alternative al trapianto. La  sopravvivenza  a  24  mesi  dei
pazienti  in  lista  per  trapianto cardiaco e' del 34%, ma una quota
rilevante decede entro i primi sei mesi  d'attesa.  Anche  in  questo
caso,  il  numero  di trapianti e' inadeguato ed il divario tra lista
d'attesa e  trapiantati  aumenta  progressivamente.  I  dati  per  il
trapianto  epatico sono altrettanto gravi: il numero di interventi in
Italia nel 1991 e' stato di  157  con  un  fabbisogno  annuo  stimato
attorno  a 400 malati. La sopravvivenza in lista d'attesa e' del 35%.
Vi sono soprattutto categorie di pazienti  "critici"  (bambini  molto
piccoli,  pazienti  in  attesa di trapianto di polmone o in attesa di
ritrapianto,  pazienti  affetti  da  epatite  fulminante  o  pazienti
immunizzati)  per  i  quali  il  tempo  in  attesa e' particolarmente
drammatico.
  La strategia
  I  lunghi  tempi  d'attesa   per   trapianto   comportano   elevata
mortalita',  scadente  qualita'  di  vita  e,  nel  caso dei pazienti
renali, prolungate e costose  terapie  sostitutive.    Verra'  quindi
adottato  un  Piano  nazionale  per  il reperimento e il trapianto di
organi, attraverso l'emanazione di un apposito decreto  ministeriale,
che  consenta  la  riduzione  dei  programmi  multiregionali  a  tre,
ciascuno  con  il  proprio  Centro  interregionale  di   riferimento,
coordinati da un Centro nazionale di coordinamento tecnico, attivo 24
ore  su  24,  che  operi  come  controllore  della  gestione  e della
qualita'. Esso svolge, oltre  ai  compiti  del  Centro  nazionale  di
riferimento stabiliti dal D.P.R. 409/77, le seguenti funzioni:
    -  definisce protocolli di lavoro (trattamento donatore, prelievo
   organi, assegnazioni organi) assieme alle Unita' Operative;
    - centralizza le liste di attesa per tutti gli organi;
    - riceve dai Centri interregionali di riferimento le segnalazioni
   dei pazienti urgenti (ritrapiantati, epatiti fulminanti,  bambini,
   immunizzati);
    - riceve dai Centri interregionali di riferimento le segnalazioni
   dei potenziali donatori d'organo;
    -  assegna  prioritariamente  gli  organi  per  le  urgenze e, in
   assenza di queste, verifica che l'assegnazione da parte dei Centri
   interregionali di riferimento avvenga secondo i protocolli;
    - mantiene i contatti con i Centri di coordinamento stranieri;
    -  imposta  campagne  nazionali  di educazione dei medici e della
   popolazione.
  I Centri di riferimento interregionali sono non  piu'  di  tre;  le
Regioni in piena autonomia si aggregano tra loro a questo fine.
  Come  definito dalla Legge 644 del 1975, i Centri interregionali di
riferimento hanno, tra gli altri,  i  seguenti  compiti:  gestire  le
liste  d'attesa;  ricevere  le  segnalazioni dei potenziali donatori;
effettuare   indagini   immunologiche   pre-trapianto;    certificare
l'idoneita'  del donatore per l'assenza di rischio di trasmissione di
infezioni  da  HIV  e  virus  dell'epatite;  assegnare  gli   organi;
organizzare  il prelievo, il trapianto ed il trasporto; raccogliere i
dati relativi al ricevente, al donatore ed al trapianto;  gestire  un
programma di miglioramento della qualita'. I Centri interregionali di
riferimento   rappresentano   di   fatto   le   strutture   operative
responsabili di questa attivita' nei territori regionali e, pertanto,
in grado di sopperire alle carenze che a livello locale ostacolano il
reperimento degli organi. I Centri di riferimento hanno  la  facolta'
di   individuare   e   addestrare  in  modo  specifico  i  cosiddetti
"Transplant Coordinators", rianimatori che hanno il compito  di  fare
da  supporto  nell'identificare i potenziali donatori, nell'impostare
il trattamento, organizzare il prelievo,  tenere  i  rapporti  con  i
familiari,  nonche'  con  il Centro di riferimento e risolvere i vari
problemi  organizzativi  che  il  reperimento   degli   organi   puo'
determinare.
  Gli interventi da compiere
  Nel  corso del triennio 1994-1996 dovra' essere istituita una serie
di aree di collaborazione tra reparti ospedalieri,  identificando  un
ospedale   di   riferimento   dotato  di  neurochirurgia  e  relativa
rianimazione. Dovranno, altresi', essere istituite Commissioni Medico
Legali al servizio di una area, piuttosto che di un singolo ospedale,
in modo tale da contenerne i costi.  Le  Regioni  dovranno,  inoltre,
investire  nella  formazione  del  personale,  specie di quello delle
rianimazioni, e mettere in atto interventi finalizzati a sostenere la
motivazione del personale.
  I Centri di trapianto autorizzati, selezionati  in  funzione  della
disponibilita'  degli  organi  e  della  qualita'  delle prestazioni,
dovrebbero eseguire piu' tipi di trapianto in modo da concentrare  le
esperienze   e   da  utilizzare  al  meglio  i  servizi  di  supporto
(laboratori,    radiologia,     terapia     intensiva,     consulenza
specialistica). L'autorizzazione deve avere una durata definita ed il
suo   rinnovo   essere   vincolato  al  raggiungimento  di  standards
predefiniti.
  La qualita' dei pochi trapianti eseguiti in Italia  e'  decisamente
buona,  con una sopravvivenza a tre anni dell'80% per il trapianto di
rene, e rispettivamente del 78 e del 73% del paziente trapiantato  di
cuore  e  di  fegato;  l'Italia  pero' e' in ultima posizione con 5,5
prelievi per milione di abitanti contro ai 18  dell'Eurotrasaplant  e
ai 22 della Spagna.
  Pertanto e' necessario:
  -  promuovere,  potenziare e diffondere le attivita' di prelievo da
cadavere,
  -    razionalizzare,    completare,   ottimizzare   la   rete   dei
centritrapianto su tutto il territorio nazionale,
  - verificare e valutare l'attivita' -
  -  svolgere  iniziative  di  formazione  e  di  aggiornamento   del
personale  delle  rianimazioni,  terapie intensive e pronto soccorso,
nonche' dei medici di base.
  -   promuovere   campagne   di   educazione   sanitaria   volte   a
sensibilizzare la popolazione verso la donazione degli organi
  Saranno  resi  operativi  presso  l'Istituto Superiore di Sanita'il
Centro nazionale di riferimento e la Consulta tecnica  permanente  di
cui  all'art.  14 della legge 644/75 e all'art. 13 del DPR 409/77 con
il compito di coordinamento a livello  centrale  per  lo  sviluppo  e
l'ottimizzazione  dell'attivita'  di  prelievo  e  di  trapianto.  Su
proposta della Consulta, il Centro nazionale  di  riferimento  svolge
anche  funzioni di coordinamento, a livello centrale, per lo sviluppo
e l'ottimizzazione dell'attivita' di  prelievo  e  di  trapianto.  Le
regioni stabiliscono accordi di collaborazione tra i propri centri di
riferimento, finalizzati al conseguimento di un maggior coordinamento
delle  attivita'  di prelievo e trapianto di organi e tessuti in area
piu' ampia  per  favorire  lo  sviluppo  e  la  qualificazione  degli
interventi.
  Un  Piano  analogo a quello relativo al trapianto degli organi deve
essere previsto anche per il  coordinamento,  il  reperimento  ed  il
trapianto  di  tessuti  da  cadavere,  quali  la  cornea, l'osso e le
valvole cardiache.
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    |     5.C.3. Assistenza ai pazienti nefropatici cronici     |
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  Ogni anno oltre 5.000 cittadini italiani  iniziano  un  trattamento
dialitico  cronico.  Alla  data  del  31 dicembre 1991 risultavano in
trattamento  34.824  pazienti:  6.339   con   un   trapianto   renale
funzionante  e  28.485 in dialisi, dei quali, il 10.3% in trattamento
dialitico domiciliare e il 12.2%  in centri ad assistenza limitata.
  La dotazione di posti di dialisi risultava al 31 dicembre 1990 pari
a 145 per milione di abitanti, con un ampio range di  variazione  tra
le  diverse Regioni, compreso tra un minimo di 102.3 ed un massimo di
249.6 per milione di abitanti.
  A tale  varieta'  di  dotazione  strutturale  corrisponde  un'ampia
variabilita'   nell'utilizzo  delle  strutture:  il  tasso  medio  di
utilizzazione nelle strutture pubbliche e' di 3.21 pazienti per posto
di dialisi, con un range compreso fra 1.96 e 3.74.
  Le uscite dal programma di dialisi sono risultate pari al 9.5%   in
seguito  a  mortalita',  mentre  il trapianto renale incide ancora in
maniera marginale: i trapianti di rene eseguiti in Italia  nel  corso
del  1991  sono stati 581, cui si aggiungono 312 trapianti effettuati
all'estero.
  Ne consegue un  incremento  annuo  del  fabbisogno  di  trattamenti
dialitici pari a 1.700/1.800 pazienti.
  Ampiamente  variabile  tra le diverse Regioni e' la proporzione dei
trattamenti dialitici che sono erogati  in  strutture  private:  alla
media nazionale del 27.4% corrispondono proporzioni pari a 1.9% nelle
Regioni  del Nord e a 56.7% nelle Regioni del Sud, con valori massimi
che si registrano in Campania (87.3%) e in Sicilia (79.2%).
  Strategia di intervento.
  Gli  interventi  previsti  si  ispirano  al  criterio di erogare la
miglior  assistenza  possibile  al  livello  attuale  dello  sviluppo
tecnologico e al minor costo fininziario e sociale.
  Conseguentemente, gli obiettivi individuati in via prioritaria sono
i seguenti:
  -  promozione  della attivita' di prevenzione e di diagnosi precoce
delle nefropatie;
  - diffusione delle consulenze nefropatiche e  degli  ambulatori  di
nefrologia nel territorio;
  - diffusione delle unita' operative di nefrologia;
  -  organizzazione della rete regionale integrata dei servizi per il
trattamento dialitico;
  -  collegamento  funzionale  delle  strutture  ambulatoriali  e  di
dialisi  alle  unita'  ospedaliere  di  nefrologia,  quali  unita' di
riferimento e valutazione per ogni bacino di utenza;
  - potenziamento delle attivita' di trapianto renale.
  3. Interventi da compiere.
  3.1. Attivare una rete di  unita'  operative  e  di  ambulatori  di
nefrologia.
  3.2.  Coinvolgere  i  servizi  di  base in attivita' di rilevazione
delle situazioni a rischio,  con  particolare  riferimento  a  quelle
ereditarie  ed  a  quelle  connesse con l'esposizione occupazionale a
sostanze   nefrotossiche,   anche   allo   scopo    di    controllare
periodicamente i soggetti a rischio, al fine di diagnosticare in fase
precoce le patologie nefrologiche.
  3.3. Organizzare la rete dei servizi dialitici su quattro livelli:
  -   centri   ospedalieri  ad  elevata  assistenza,  finalizzati  al
trattamento dialitico dei pazienti di particolare complessita',  alla
dialisi  contumaciale  per  i  pazienti  AgB  e/o  AgC positivi e HIV
positivi, all'addestramento dei pazienti alla dialisi  autogestita  e
domiciliare,  all'addestramento  e  all'aggiornamento  del  personale
medico e infermieristico anche delle sedi periferiche e ad assistenza
limitata;
  - strutture  di  dialisi  decentrate  in  altre  sedi  ospedaliere,
funzionalmente  aggregate  alle  unita'  operative  di  nefrologia di
riferimento;
  - strutture di  dialisi  ad  assistenza  limitata,  finalizzate  al
trattamento   di   pazienti   addestrati  all'autogestione,  che  non
richiedano la presenza costante di personale medico; queste strutture
al termine del triennio dovrebbero trattare il 15%  dei pazienti;
  -  attivita'  di  dialisi  domiciliare  -sia   extra-corporea   sia
peritoneale-, con l'obiettivo, al termine del triennio, di trattare a
domicilio il 15% dei pazienti.
  Per  quanto  riguarda il personale per l'attivita' dialitica, vanno
fissati  degli  standard  collegati  al  numero   dei   pazienti   in
trattamento  e  non  al  numero  di posti dialisi, tenedo conto delle
attivita'  extramurarie  (dialisi  decentrata,  assistenza  limitata,
domiciliare)  e delle particolari esigenze della dialisi contumaciale
e per acuti.
  3.4.  Realizzare  -quale  complemento  necessario  alla  assistenza
dialitica  prestata  nei  presidi ospedalieri e nei centri dialisi ad
assistenza limitata- un servizio di trasporto dal domicilio al centro
e viceversa per i pazienti non autosufficienti e prevedere  forme  di
rimborso spese per coloro che possono usufruire di mezzi propri.
  3.5. Tenuto conto che i pazienti in trattamento dialitico che hanno
superato  i  65  anni  di eta' rappresentano oltre il 40% del totale,
istituire,  nell'ambito  della   programmazione   regionale,   presso
Residenze sanitarie assistenziali, Centri di dialisi extra-corporea e
peritoneale,  nonche' servizi di day-hospital per pazienti in dialisi
peritoneale  periodica  domiciliare,  funzionalmente  aggregati  alla
Unita' operativa di nefrologia di riferimento.
  3.6.  Attivare  campagne  di  informazione  e  di sensibilizzazione
relativamente alla rilevanza del prelievo di  organi  da  cadavere  a
scopo  di  trapianto.  Incentivare  la  partecipazione dei servizi di
rianimazione al programma di trapianto.
  3.7. Razionalizzare, completare e potenziare la rete dei servizi di
trapianto renale.
  3.8.  Svolgere  iniziative  di  formazione   e   di   agqiornamento
professionale  per gli operatori dei servizi di nefrologia, dialisi e
trapianto renale.
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    |    6. LE ESIGENZE PRIORITARIE PER LA RICERCA SANITARIA    |
    |___________________________________________________________|
  Nell'ambito degli obiettivi specifici per raggiungere la condizione
di "salute per tutti nell'anno 2000", l'O.M.S.   pone la  ricerca  al
centro  delle  strategie  di  politica sanitaria. Il S.S.N.   intende
conformarsi a questa scelta e dare nell'ambito delle proprie funzioni
un grande impulso alla ricerca, soprattutto per fruire delle ricadute
in termini di innovazione.
  Il S.S.N. riconosce l'autonomia dei diversi  centri  di  ricerca  a
livello  universitario,  del  Consiglio Nazionale delle Ricerche e di
altri  organismi  pubblici  o  privati.    Spetta  pero'  al   S.S.N.
esercitare  un  ruolo  di  indirizzo,  perche' l'insieme degli sforzi
possa aiutare a raggiungere gli obiettivi in questo Piano. Da  questo
punto  di vista i progetti finalizzati del C.N.R. hanno costituito un
tentativo di grande significato, sebbene si ravvisi l'opportunita' di
un loro piu' determinato collegamento con i grandi temi della  salute
nel nostro paese.
  Il  S.S.N.  afferma  il  proprio  interesse anche per la ricerca di
base, che pur non rappresentando uno specifico  settore  d'intervento
del   sistema   stesso,  e'  un'area  trainante  poiche'  crea  nuove
prospettive  culturali,  fornisce  nuovi  strumenti  ed  induce   gli
operatori  ad  accettare  l'innovazione come metodo anche all'interno
delle strutture sanitarie.
  Il S.S.N. esercita direttamente attivita' di ricerca attraverso  le
proprie  strutture, l'ISS, l'ISPESL, nonche' gli Istituti di Ricovero
e  Cura  a  carattere  scientifico,  gli   Istituti   Zooprofilattici
Sperimentali e i centri di ricerca per l'erogazione delle prestazioni
sanitarie  d'alta  specialita'  e  per  ricerche  sulle  tecnologie e
biotecnologie sanitarie. Con questi strumenti vengono privilegiati in
particolare i grandi temi che riguardano le modalita' per  mettere  a
disposizione  del  pubblico  un  sistema moderno, organizzato secondo
regole gestionali avanzate. A questo  fine  una  parte  preponderante
degli  investimenti  dovra' essere dedicata alla sperimentazione, con
particolare riguardo alle modalita' innovative  per  l'organizzazione
dei  servizi,  attraverso  sistemi a rete, caratterizzati da un forte
supporto telematico e da livelli integrati di automazione.
  La  sperimentazione deve accompagnarsi ad una notevole capacita' di
valutazione della qualita' del servizio, attraverso la messa a  punto
di tecnologie di rilevazione sensibili e specifiche.  All'interno dei
servizi  viene  data  una  particolare  attenzione all'organizzazione
dell'assistenza alle "nuove" patologie (malattia di Alzheimer,  AIDS,
acc.)  e  all'impiego delle nuove tecnologie diagnostico-terapeutiche
(ad es.  imaging cerebrale, trapianti, ecc.).
  Il S.S.N. privilegia ricerche volte a:
  a) perfezionare le conoscenze sull'epidemiologia e sui  fattori  di
rischio    delle   malattie   ad   elevato   tasso   di   mortalita',
particolarmente  invalidanti,  ad  elevata   ereditarieta'   e/o   ad
eziopatogenesi sconosciuta;
  b) caratterizzare le condizioni (habitat, ambiente di lavoro, ecc.)
ad  elevato  rischio  per  la  salute  dei  cittadini,  con specifica
attenzione alla identificazione di condizioni di danno preclinico, la
cui rilevazione permetterebbe interventi mirati e precoci;
  c)  indicare  le  modalita'  per  fornire  adeguate   risposte   ai
cittadini,  con  particolare  riguardo  a  coloro che sono affetti da
malattie croniche. Le dinamiche biologiche, cliniche, psicologiche  e
relazionali  della  cronicita'  rappresentano un aspetto di interesse
centrale, per la rilevanza dinamica dei fenomeni, per  il  carico  di
sofferenza   che   accompagna  queste  malattie  e  per  la  relativa
trascuratezza che le ha caratterizzate anche negli anni piu' recenti;
  d) supportare ambiti della sofferenza del  cittadino  ammalato  che
potrebbero  essere definiti orfani, in quanto poco studiati sul piano
fisiopatologico e terapeutico, in conseguenza della  loro  rarita'  e
quindi  della scarsa rilevanza rispetto ad interessi commerciali o di
prestigio;
  e) misurare l'efficienza  e  l'efficacia  dei  servizi,  attraverso
specifiche  metodologie,  con particolare riguardo alle modalita' con
le quali il cittadino recepisce soggettivamente il servizio stesso;
  f) sostenere il  progresso  tecnologico  (sia  in  ambito  clinico-
farmaceutico   che  clinico-diagnostico,  fisico  e  meccanico),  con
particolare riguardo all'innovazione di cui si possa  prevedere  una.
forte ricaduta sull'insieme dei S.S.N.
  g)  individuare  modelli  organizzativi e gestionali innovativi per
l'erogazione delle attivita' del S.S.N.
  Il settore della ricerca sanitaria implica sistematici rapporti tra
le  strutture  di  ricerca  operanti  a  livello  nazionale  (I.S.S.;
I.S.P.E.S.L.; C.N.R.; etc.)
 e  le  strutture sanitarie e di ricerca presenti in ambito regionale
in un'ottica di continuo scambio  di  conoscenze  ed  esperienze.  Le
regioni  svolgono  un  ruolo importante nel facilitare tali contatti,
pur nella chiarezza delle specifiche  competenze  e  responsabilita'.
Gli  operatori  del S.S.N. di tutti i livelli devono partecipare alle
attivita' di ricerca con ruoli predominanti, garantendo che  il  loro
lavoro,  caratterizzato  da  un'ampia  disponibilita'  di  casistiche
cliniche, sia rivolto al raggiungimento di obiettivi significativi
  Da questo punto di vista e' importante  ricordare  che  la  ricerca
contemporanea  richiede  dimensioni  economiche  ed organizzative non
indifferenti, per cui solo volumi di lavoro  adeguati,  raggiungibili
attraverso la collaborazione di piu' gruppi, danno la garanzia che il
rapporto  costo-beneficio  dei  progetti  di ricerca sia nettamente a
favore del beneficio.
  Nel  campo  della  ricerca  sanitaria  l'Italia  presenta  punte di
livello qualitativo molto elevato ed aree di  notevole  arretratezza.
Pur   non   ritenendo   possibile   arrivare  ad  un'omogeneizzazione
attraverso interventi programmatori -nulla infatti piu' della ricerca
e' strettamente legato a condizioni  storico-culturali  difficilmente
controllabili-  e'  necessario  ricordare che un atteggiamento aperto
alla ricerca costituisce un punto di forza per tutto il S.S.N., anche
nelle  aree  piu'  depresse.    D'altra  parte   l'esperienza   delle
cattedrali   nel   deserto,   costosissime  sul  piano  economico  ed
assolutamente  irrilevanti  sul  piano  produttivo,   deve   impedire
qualsiasi aritificioso progetto che rischia di creare ancora peggiori
guasti.
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    |  7. GLI INDIRIZZI RELATIVI ALLA FORMAZIONE DEL PERSONALE  |
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  L'organizzazione  mondiale della sanita' individua nella formazione
e nell'aggiornamento del personale uno dei contributi fondamentali al
perseguimento del programma "salute per tutti".
  Nel nostro Paese si ritiene necessaria una integrazione sempre piu'
accentuata  tra  S.S.N.  e  sistemi   formativi.   Pur   riconoscendo
l'autonomia   dell'universita'   rispetto   ad   alcuni   compiti  di
impostazione  del  processo  di  formazione,  vi  e'   largo   spazio
nell'utilizzazione   di   conoscenze  teoriche  e  pratiche  presenti
all'interno del sistema sanitario. Il livello diffuso  di  conoscenze
raggiunto dagli operatori del S.S.N. e' ulteriormente valorizzato dal
concorso  alla  formazione  di  altro  personale, con un procedimento
attraverso il quale l'insegnamento rappresenta una  tappa  importante
anche dell'autoformazione.
  In  materia  di  formazione del personale, il triennio 1994-96 vede
l'Italia  impegnata  nel  recepimento  di  due  importanti  direttive
comunitarie  relative ai neo-laureati in medicina.  La prima riguarda
i medici indirizzati alla pratica della medicina  generale,  la  loro
formazione  di base ed il tirocinio teorico- pratico, propedeutico al
loro ingresso nel Servizio sanitario nazionale. La  seconda  riguarda
invece  gli  specializzandi, a proposito dei quali va sottolineato il
ruolo delle Regioni nella programmazione del fabbisogno, insieme  con
l'Universita'.    L'indirizzo  al  riguardo consiste nel tendere alla
progressiva  eliminazione  della  attuale  pletora  di  tipologie  di
specializzazioni,  concentrando le scelte sulle principali discipline
riconosciute a livello comunitario. Inoltre, disponendo  il  Servizio
sanitario   nazionale   di  strutture  e  di  personale  idonei  allo
svolgimento   di   attivita'   didattico-formativa   per   i   medici
specializzandi,    una    ulteriore    indicazione    consiste    nel
coinvolgimento, da parte delle Regioni, degli istituti di ricovero  e
del  personale  sanitario  ospedaliero  nel  processo formativo degli
specializzandi,  utilizzando  l'occasione   del   recepimento   della
direttiva  comunitaria, e della conseguente necessaria collaborazione
con l'Universita',  quale  positiva  opportunita'  di  impegno  e  di
crescita professionale.
  Una  ulteriore  novita'  in materia di formazione del personale che
puo' comportare un impatto notevole sul Servizio sanitario  nazionale
e' costituita dalla attivazione dei corsi per il rilascio dei diplomi
universitari.  Essendo  previste  diverse  figure  professionali  con
formazione   universitaria   breve  suscettibili  di  interessare  il
Servizio e di contribuire ad elevarne il livello di efficienza  e  di
qualita'   operativa,  il  fenomeno  merita  di  essere  seguito  con
attenzione nonche', ogni qualvolta risulti  possibile,  stimolato  ed
assecondato.  Quando il contenuto dei corsi si dimostri utile ai fini
dell'attivita'  svolta  nell'ambito  del   Servizio,   e'   opportuno
favorire,  a  livello  regionale  e  locale,  la  partecipazione  dei
dipendenti, cosi' da  accrescerne  la  preparazione  e  rendere  piu'
qualificato  il  loro  impegno professionale nella conduzione tecnica
dei servizi.
  L'aggiornamento   professionale   rappresenta   un   obiettivo   da
perseguire  con forte impegno nella dimensione regionale e locale, al
fine di far ulteriormente progredire il livello di  preparazione,  il
coinvolgimento   professionale   e   la   propensione   ad   assumere
responsabilita'  di  tutto  il  personale  dipendente  del   Servizio
sanitario nazionale.
  A  tale  riguardo,  nel triennio 1994-1996 la priorita' deve essere
data alle esigenze formative della dirigenza e dei  quadri  intermedi
di  tutti  i ruoli. La transizione da un sistema centralistico ad uno
nuovo  fondato  su  responsabilita'  distinte,  ma  coordinate,   tra
l'autorita'  centrale  ed  i  governi regionali, la adozione di nuovi
compiti   e   responsabilita'   gestionali,   il   passaggio    dalla
remunerazione  dei  fattori  di  produzione  alla  remunerazione  del
prodotto richiedono una autentica riconversione delle risorse  umane.
Nel  nostro  Paese operano centri qualificati dotati delle competenze
professionali, tecniche e tecnologiche in grado di  contribuire  alla
gestione di questo processo.
  Saranno  definite  linee  di  indirizzo  per l'accreditamento delle
iniziative da promuovere nell'ambito delle  attivita'  della  Agenzia
per  i servizi sanitari regionali istituita presso il Ministero della
sanita' al  fine  di  evitare  comportamenti  dispersivi,  orientando
invece il processo formativo a fornire al personale dirigente:
    -  un  approccio  alla  gestione  orientata  al raggiungimento di
   obiettivi piu' che alla esecuzione dei compiti;
    - una padronanza nella conduzione di strutture aziendali  fondata
   su criteri della gestione economica;
    - una competenza nell'impiego di risorse umane e strumentali e di
   metodologie   e  tecniche  organizzative  supportate  dalle  nuove
   tecnologie telematiche ed informatiche;
    - una capacita'di valutazione della qualita' dei servizi  resi  e
   dell'efficienza del sistema.
  Devono  considerarsi  destinatari delle attivita' di formazione per
il management tutti quegli operatori i  quali,  ai  vari  livelli  di
governo  della  sanita' pubblica, sono responsabili della adozione di
scelte  allocative.  Non  soltanto  i  responsabili  della  gestione,
quindi, ma anche i medici, che detengono enormi responsabilita' nelle
decisioni  relative  alla allocazione delle risorse, gli infermieri e
le altre professioni. In una prima fase di attivazione dei  programmi
di  formazione manageriale, appare comunque opportuno concentrare gli
sforzi sui  ruoli  dirigenziali,  legittimati  alla  formulazione  di
indicazioni e decisioni sulla allocazione delle risorse. Obiettivo di
piu'  lungo  periodo  deve  essere quello di inquadrare la formazione
manageriale in un'ottica di sviluppo del management a livello locale,
che  coinvolga  la  generalita'  delle  categorie professionali e dei
livelli decisionali operanti nell'ambito del Servizio.
  Operativamente,  la  strategia  per   la   formazione   manageriale
nell'ambito del Servizio sanitario nazionale deve essere orientata a:
    -  prevedere  una  programmazione a livello nazionale e regionale
   delle attivita' di  formazione  per  il  management,  al  fine  di
   adattare  l'offerta  di corsi ed attivita' formative al fabbisogno
   quantitativo e qualitativo specifico di ciascuna Regione;
  definire ed individuare, a livello nazionale, regionale  e  locale,
   le responsabilita' in materia di formazione manageriale;
    -  garantire  lo  svolgimento  di  corsi  mirati, finalizzati non
   esclusivamente alla diffusione di  conoscenze  di  natura  teorica
   quanto,   piuttosto,   allo   svolgimento   delle   attivita'   di
   insegnamento in contesti operativi concreti;
    - prevedere una  valutazione  costante,  a  livello  regionale  e
   locale, dei risultati delle attivita' di formazione;
    -  prevedere la collaborazione tra servizi sanitari e universita'
   nelle  fasi  di  definizione,  attuazione  e   valutazione   delle
   strategie formative.
  Una ulteriore indicazione in materia di aggiornamento professionale
riguarda   il  personale  volontario,  al  quale  indirizzare  idonee
iniziative di formazione ed aggiornamento al fine di ottimizzarne  il
contributo al buon funzionamento del Servizio sanitario nazionale.
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    |     8. I CRITERI DI FINANZIAMENTO E DI ACCREDITAMENTO     |
    |               DELLE ISTITUZIONI SANITARIE                 |
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  Il  decreto  legislativo  502/92 innova profondamente il modello di
erogazione  delle  prestazioni  nell'ambito  del  Servizio  sanitario
nazionale.  Da  un  lato,  e'  prevista  una  pluralita' dei soggetti
erogatori che possono operare all'interno del Servizio e tra i  quali
i  cittadini  hanno  piena  liberta'  di  scelta;  dall'altro,  viene
introdotto un sistema uniforme per il  pagamento  delle  prestazioni.
Con la sola esclusione dei medici di medicina generale e dei pediatri
di libera scelta, tutti i fornitori di prestazioni sanitarie verranno
remunerati  sulla  base di tariffe predeterminate,  fissate a livello
regionale secondo criteri generali stabiliti a  livello  nazionale  e
valide  su  tutto  il  territorio regionale, per tutti gli erogatori,
pubblici e privati, distinti per classe di appartenenza  in  funzione
di alcune caratteristiche individuate a livello nazionale.
  Il  passaggio  a  questo  nuovo  modello  di  finanziamento mira ad
introdurre anche all'interno del  Servizio  sanitario  nazionale  dei
meccanismi  di concorrenza tra i vari erogatori tali da consentire un
miglioramento del livello  di  efficienza  complessivo  nell'utilizzo
delle  risorse.   Obiettivo del sistema di finanziamento basato sulle
prestazioni, che remunera il prodotto fornito e non  piu'  i  fattori
produttivi  impiegati, e' infatti da un lato, quello di incentivare i
livelli di efficienza dei singoli produttori di prestazioni sanitarie
e, dall'altro, quello di tendere ad  un  miglioramento  generalizzato
dei  livelli  qualitativi  delle  prestazioni erogate. I fornitori di
prestazioni al Servizio sanitario nazionale,  tanto  quelli  pubblici
quanto  quelli  privati, verranno remunerati solo in proporzione alla
attivita'  effettivamente  svolta  a   beneficio   degli   assistiti.
Conseguentemente,  al  fine di riuscire a massimizzare il margine tra
tariffa e costo medio di produzione delle prestazioni, essi  dovranno
tendere  ad  ottimizzare  i  propri  processi  produttivi  e quindi a
minimizzare  i  costi  unitari,  pur  mantenendo  adeguati   standard
qualitativi.
  Se  questi  sono i vantaggi attesi dalla introduzione di tali nuove
"regole degli scambi" all'interno del Servizio  sanitario  nazionale,
non  vanno  tuttavia  sottovalutati  i  rischi ad esse associati, per
contrastare i quali e' fondamentale  attivare,  ai  vari  livelli  di
governo della sanita', adeguati meccanismi di controllo.
  Innanzitutto,  l'apertura  ad  uno  spettro  piu ampio di erogatori
rende  impellente   l'avviamento   di   appropriate   procedure   per
l'accreditamento   delle  singole  strutture  o  i  singoli  servizi,
pubblici e  privati,  che  vogliano  esercitare  attivita'  sanitaria
nell'ambito  del  Servizio  sanitario  nazionale.  La omologazione ad
esercitare puo' essere  acquisita  se  la  struttura  o  il  servizio
dispongono   effettivamente  di  dotazioni  strumentali,  tecniche  e
professionali corrispondenti a criteri definiti  in  sede  nazionale.
Si  dovra'  pertanto  provvedere,  a  livello  regionale, ad adottare
strumenti normativi con i quali si  prevedano  le  modalita'  per  la
richiesta  dell'accreditamento, la concessione, la eventuale revoca e
gli accertamenti periodici.
  In secondo luogo, saranno adottate, a livello regionale e di Unita'
sanitaria  locale  procedure  di  controllo  mirate   rispetto   agli
"incentivi    perversi"   tipicamente   associati   al   sistema   di
remunerazione a prestazione. In particolare, le  Regioni  assicuranno
la attivazione presso ciascuna Azienda sanitaria di specifici sistemi
di  controllo  finalizzati  a contrastare la tendenza, da parte degli
erogatori, a:
  1) moltiplicare le prestazioni (ad  esempio,  per  quanto  riguarda
l'assistenza   ospedaliera,  procedendo  a  dimissioni  anticipate  e
ri-ricoveri successivi);
  2)  selezionare  la  casistica  trattata  in  maniera  da   erogare
prevalentemente le prestazioni piu' remunerative;
  3) modificare la denominazione delle prestazioni erogate, etc.
  I  controlli  dovranno verificare, in particolare, aspetti quali la
correttezza della  compilazione  degli  strumenti  informativi  e  in
particolare della scheda di dimissione ospedaliera.
  A   livello   di   strutture  di  produzione  ed  erogazione  delle
prestazioni saranno attivati processi di controllo di gestione,  tali
da  consentire  di  disporre  delle  informazioni  e  delle procedure
analitiche dei processi produttivi interni necessarie a conoscere,  e
quindi a gestire, l'impatto della introduzione del  finanziamento  su
base  tariffaria  e,  piu' in generale, a supportare il perseguimento
della massimizzazione della efficienza interna.
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    |        9. FINANZIAMENTO LIVELLI DI ASSISTENZA             |
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  Il Piano Sanitario Nazionale, nell'indicare i livelli  uniformi  di
assistenza,  deve  anche  verificare  che  essi  siano rapportati "al
volume delle risorse a disposizione".
    detta prescrizione nasce dall'esigenza di:
  -  definire in maniera inequivoca quali attivita' sono finanziabili
a  carico  del  Fondo  sanitario  nazionale,   nel   rispetto   delle
compatibilita' economiche;
  -    garantire    alle    regioni    certezza   di   finanziamento,
responsabilizzandole per spese compiute in eccesso  al  finanziamento
capitario  per  cittadino residente, al netto della compensazione per
mobilita' sanitaria e  dell'eventuale  finanziamento  aggiuntivo  del
fondo di riequilibrio, ove spettante.
  E' da considerare, inoltre, che l' obbligo di legge e' di procedere
al  riparto  del  Fondo sanitario per quote capitarie ragguagliate ai
livelli uniformi di assistenza.
  Il nuovo criterio e' stato gia' utilizzato per la ripartizione  del
Fondo  sanitario  degli anni 1992 e 1993, stabilendo per quest'ultimo
anno i seguenti  parametri  capitari  di  finanziamento  dei  livelli
uniformi di assistenza:
   - prevenzione                              L.   78.350
   - assistenza sanitaria di base             L.  315.540
   - assistenza specialistica e
     semiresidenziale territoriale            L.  159.500
   - assistenza ospedaliera                   L.  819.430
   - assistenza residenziale sanitaria        L    85.570
   - attivita'di supporto                     L.   66.830
                                            _______________
                Quota capitaria              L. 1.525.220
   Detta quota capitaria risulta ragguagliata a livelli assistenziali
attestati,   in   misura   realistica,   su   livelli  medi,  con  la
considerazione che i parametri capitari di ciascun livello  non  sono
da  ricondurre  a  valori assoluti di riferimento ma a valori medi di
finanziamento.  Questi  possono  legittimamente  oscillare  in   modo
differenziato in rapporto ai diversi modelli organizzativi localmente
adottati  e  alla correlazione di complementarieta' e sostituibilita'
tra le diverse forme di intervento assistenziale.
  Per l' anno 1994,  tenendo  conto  delle  indicazione  della  legge
finanziaria  - che prevedono riduzioni di spesa per L. 5.415 miliardi
- e delle conseguenti ricadute sui livelli di  assistenza,  la  quota
capitaria puo' essere determinata in lire 1.495.000.
  Per  gli  anni  1995  e  1996,  il  fabbisogno  per  i  livelli  di
assistenza,   calcolato   con   criteri   proiettivi,   porta    alla
determinazione delle seguenti quote capitarie:
  -  1995             L. 1.532.400 (1.495.000 + 2,5%)
  -  1996             L. 1.563.000 (1.532.400 + 2,0%)
  Queste quote sono da ritenere valide solo in assenza di:
  -  rinnovi  contrattuali e di rapporti convenzionali o di eventuali
oneri aggiuntivi derivanti da ulteriori disposizioni legislative;
  -  possibili  effetti  positivi  conseguenti  all'attuazione  delle
indicazioni  di cui alla legge 412/91 e al decreto legislativo 502/92
che potranno  produrre  vantaggi  economici  a  misura  che  verranno
rimosse le cause di talune diseconomie di sistema.
  Le  stesse  quote capitarie potranno essere oggetto di revisione in
conseguenza del riflesso sul Fondo sanitario nazionale della  manovra
per il riequilibrio finanziario per gli anni 1995 e 1996.
  Le spese in conto capitale trovano copertura nelle previsioni della
legge  finanziaria  che  per  gli  anni  1993,  1994 e 1995 ammontano
rispettivamente a mld 300, 990 e 990;  risulta  altresi'  disponibile
per  le finalita' individuate dall'art. 20 della legge 67/88 l'intero
stanziamento del primo triennio secondo le previsioni della legge  di
bilancio   che   recano  lo  stanziamento  relativo  agli  oneri  per
l'ammortamento dei mutui, nel capitolo 7855 dello stato di previsione
del Ministero del Tesoro.