(all. 1 - art. 1)
DIRETTIVE TECNICHE PER L'INDIVIDUAZIONE E LA PERIMETRAZIONE, DA PARTE
   DELLE REGIONI DELLE AREE A RISCHIO IDROGEOLOGICO.
1. PREMESSE.
   Il decreto-legge 12  novembre  1996,  convertito  dalla  legge  31
dicembre  1996  n.  677  stabilisce  all'art.  1,  comma  1,  che "Il
Ministero dell'interno e per il coordinamento della protezione civile
individua, sentite le regioni interessate, i territori dei  comuni  o
parte di essi maggiormente danneggiati".
   Al  titolo  II,  art.  4,  comma  2,  stabilisce  che  nei  comuni
individuati nelle ordinanze  del  Ministero  dell'interno  e  per  il
coordinamento  della protezione civile n. 2449 del 25 giugno 1996 per
le province di Lucca e Massa Carrara e n. 2451 del 27 giugno  per  le
province di Udine e Pordenone dove siano andati distrutti immobili ad
uso abitativo sia abitativo sia "vietato procedere alla ricostruzione
degli immobili distrutti nelle aree a rischio idrogeologico che sulla
base  di  direttive  tecniche  impartite  dal  Ministero  dei  lavori
pubblici,  d'intesa  con  il  Ministero  dell'ambiente   e   con   il
Dipartimento  della  protezione  civile, avvalendosi del Dipartimento
per i  servizi  tecnici  nazionali,  dovranno  essere  individuate  e
perimetrate  dalle  regioni territorialmente competenti entro novanta
giorni dalla data di adozione delle predette direttive tecniche".
   Nel prosieguo e' stabilito anche che "Nelle stesse aree e'  fatto,
altresi',  divieto di nuovi insediamenti, anche produttivi, fino alla
realizzazione degli interventi strutturali di messa in sicurezza".
   Al comma 2-bis, dispone "Entro trenta giorni dalle  perimetrazioni
delle aree a rischio .. i comuni .. provvedono a individuare d'intesa
con le regioni, le aree per la ricostruzione delle unita' immobiliari
distrutte o da demolire come previsto al comma 9 ..".
   Al  comma  9 del medesimo art. 4, la legge dispone altresi' che "I
presidenti delle regioni, perimetrate le aree a rischio idrogeologico
ai sensi del comma  2,  provvedono,  entro  i  successivi  sei  mesi,
all'individuazione  e  demolizione  degli  immobili  a  qualsiasi uso
adibiti, che costituiscano ostacolo al regolare deflusso delle  acque
..".
   La  legge  n.  677/96  stabilisce  dunque  il  principio che nella
gestione di una calamita' sia  necessario  affrontare  una  serie  di
problematiche che possono cosi' riassumersi:
    1)  individuazione  dei  danni  e  concessione  di finanziamenti,
provvidenze e contributi (art. 1, comma 1, e art. 4, comma 1;
    2) emanazione di provvedimenti tesi ad evitare il perpetuarsi  di
azioni  che  l'evento  calamitoso  ha  dimostrato in contrasto con il
regime  dei  corsi  d'acqua  o  con  la   stabilita'   dei   versanti
(ricostruzione   di   immobili,   e  l'ulteriore  compromissione  del
territorio (nuovi insediamenti), (art. 4, comma 2);
    3) conoscenza del fenomeno al  fine  da  un  lato  di  permettere
l'eliminazione  di  alcune  delle  cause  che  ne hanno aggravato gli
effetti  (demolizione  di  immobili  che  costituiscono  ostacolo  al
regolare  deflusso  delle  acque  art.  4,  comma 9), e dall'altro di
programmare la disciplina del territorio al fine di individuare  aree
"sicure" per i nuovi insediamenti (art. 4, comma 2-bis).
   Il  rischio  idrogeologico  infatti  e' una grandezza che mette in
relazione la pericolosita' intesa come caratteristica  intrinseca  di
un  territorio  che  lo  rende  vulnerabile  a  fenomeni  di dissesto
(alluvioni, frane) e  la  presenza  sul  territorio  di  insediamenti
urbani,   industriali,   infrastrutture,   beni  storici,  artistici,
ambientali, ecc.
   Solo la conoscenza del livello di rischio, legato alla  dimensione
del fenomeno all'uso del territorio e ai tempi di ritorno dell'evento
atteso,  permette  di  programmare  gli  interventi strutturali e non
strutturali  che  in  relazione  a  tale   livello   di   rischio   e
conseguentemente  alla  sua  accettabilita'  o meno potranno spaziare
dalla delocalizzazione, alla  realizzazione  di  opere  di  messa  in
sicurezza  alla imposizione di idonei accorgimenti tecnici in fase di
costruzione alla predisposizione di piani di emergenza.
   Il rischio ( R ) e' quindi  il  prodotto  della  vulnerabilita'  o
pericolosita'  (  V  ) del territorio intesa come probabilita' che un
certo fenomeno si verifichi in un determinato intervallo di tempo  in
un  territorio  circoscritto  e  individuabile mediante studi, per la
vulnerabilita' e valore degli elementi a rischio ( E  )  intesi  come
insieme   di   grandezze   economiche   e  sociali  rappresentate  da
popolazione, infrastrutture, attivita' economiche, beni culturali  ed
ambientali ecc.
   L'espressione quindi
                              R = E x V
R = rischio o danno atteso
E = elementi a rischio (cose e persone)
V = pericolosita' del territorio.
   La  determinazione del livello di rischio idrogeologico presuppone
laconoscenza dei parametri idrologici, geomorfologici, topografici ed
urbanistici  connessi  e  la  esecuzione  di  studi  e   elaborazioni
grafiche,  i  cui  tempi di realizzazione possono essere in contrasto
con il punto 2) cio' con la necessita' quantomeno di  non  aggravvare
la situazione di rischio attuale.
   Per quanto sopra le direttive che seguono sono volte: da un lato a
consentire  la  delimitazione in tempi rapidi delle aree per le quali
il  rischio  idrogeologico  e'  manifesto  e  che  quindi   sono   da
assoggettare   a   misura   di  salvaguardia;  dall'altro  a  fornire
l'approccio metodologico per procedere  ad  un  affinamento  di  tale
delimitazione rapportandola ai livelli di rischio al fine, da un lato
di  progettare le opere strutturali di messa in sicurezza, dall'altro
di differenziare gli interventi non strutturali (vincoli), supportare
le attivita' di cui al citato comma 9 (demolizioni) e  permettere  la
localizzazione dei nuovi insediamenti.
   Si  puo'  quindi  delineare  un procedimento che si articola nelle
seguenti fasi:
    1) Perimetrazione delle aree a  rischio  idrogeologico  entro  90
giorni   dall'entrata   in   vigore   della  presente  direttiva  con
imposizione ope legis di vincoli di inedificabilita'.
    2)  Individuazione   e   realizzazione   dei   primi   interventi
strutturali  di  messa  in sicurezza e contestuale introduzione di un
sistema vincolistico piu' puntuale, a  seguito  di  specifici  studi,
attraverso  l'adozione  di specifiche misure di salvaguardia ai sensi
dell'art. 17, comma 6-ter, della legge n. 183/1989 che tengono  conto
della diversa gradazione del rischio idrogeologico.
    3)  Adozione di piani stralcio ai sensi dell'art.17, comma 6-bis,
della legge n. 183/1989.
1. PERIMETRAZIONE AI SENSI DELL'ART. 4, COMMA 2.
   1.1. "Le aree dei comuni di cui al comma 1 dell'art. 4 della legge
677/96  da considerarsi a rischio idrogeologico nelle quali, ai sensi
del  comma  2  del  medesimo  articolo,  e'  vietato  procedere  alla
ricostruzione  degli immobili danneggiati, nonche' alla realizzazione
di nuovi insediamenti, anche produttivi, fino alla messa in sicurezza
sono individuate tenendo conto  del  rischio  di  esondazione  e  del
rischio di frana, cosi' come definiti ai successivi punti 2.1 e 2.2 e
degli   elementi   desumibili   da   altri  fenomeni  di  esondazione
intervenuti nelle aree stesse.
   Nelle more della elaborazione dei  dati  ai  fini  della  puntuale
individuazione  -  che  sara'  effettuata dalle autorita' di bacino e
dalle regioni ai sensi dell'art. 17,  comma  6-bis,  della  legge  n.
183/89  - si provvedera' alla perimetrazione delle aree sulla base di
rilievi di campagna e, se disponibili, di rilievi aerofotogrammetrici
relativi alle esondazioni ed ai fenomeni  di  dissesto  idrogeologico
verificatisi  a  seguito  dell'evento  calamitoso  del  giugno  1996,
nonche' di altri elementi conoscitivi derivanti da strumentazioni  di
piano e da norme di salvaguardia vigenti".
   1.2.  La  relativa  delimitazione e' riportata sulla carta tecnica
regionale  (almeno  a  scala  1:5.000,  ove  non  siano   disponibili
cartografie di maggior dettaglio per le aree urbanizzate).
   1.3.  Nelle aree a rischio idraulico i progetti di lavori pubblici
necessari  per  la  manutenzione  ordinaria,   straordinaria   e   di
adeguamento   di   infrastrutture,  attrezzature,  impianti  e  opere
idrauliche  esistenti,  nonche'  quelli  di  manutenzione  ordinaria,
straordinaria,  di  restauro e risanamento conservativo autorizzabili
in deroga al vincolo suindicato, saranno sottoposti  all'approvazione
della  autorita' competente alla vigilanza sul corso d'acqua, ai fini
idraulici ai sensi dell'art. 57 del testo unico n.  523/904,  che  ne
verifichera'  la compatibilita' con il buon regime del corso d'acqua,
e con gli indirizzi del redigendo piano di bacino in riferimento allo
smaltimento delle portate attese.
   1.4. A questo scopo detti progetti saranno integrati da  studi  di
compatibilita'  idraulica  sia  in relazione alla capacita' di invaso
delle aree interessate sia in riferimento al deflusso delle piene  ai
sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 37.
2. RIDEFINIZIONE DEI VINCOLI.
   L'autorita' di bacino e la regione, per i bacini regionali ove non
siano   ancora   operativi   gli   organi   di   bacino,  nelle  more
dell'approvazione del piano di bacino o di piani stralcio relativi al
rischio idrogeologico di cui all'art. 17,  comma  6-ter  della  legge
183/89,  qualora siano stati realizzati gli interventi strutturali di
messa in sicurezza o modifiche degli strumenti urbanistici, e dove lo
permetta l'avanzamento  degli  studi  di  cui  ai  punti  successivi,
possono rimuovere i divieti di cui al comma 2 dell'art. 4 della legge
677/96,  con  la  contestuale  adozione  di misure di salvaguardia ai
sensi dell'art. 17, comma 6-bis,  della  legge  n.  183/89,  volte  a
rapportare  i  vincoli  al  rischio  ed  ad  inibire  opere, lavori o
attivita' antropiche specificatamente definiti.
 2.1. Area a rischio idraulico.
   Dovranno  essere  eseguiti  studi  di  carattere  idrogeologico  o
analisi  statistiche  volte ad individuare i prevedibili valori della
portata al colmo di piena con almeno tre tempi di ritorno:  T1  =  30
anni,   T2   =  200  anni,  T3  =  500  anni  che  si  assumono  come
corrispondenti  ad un'alta, una moderata ed una bassa probabilita' di
inondazione.
   I risultati di tali studi e la  conoscenza  topografica  a  grande
scala  delle  aree  di  esondazione e delle sezioni del corso d'acqua
consentira' la trasformazione delle portate di piena  di  riferimento
in  livelli  idrici  attesi e la delimitazione delle aree con diverse
probabilita' di inondazione.
   Le predette elaborazioni permetteranno,  fra  l'altro,  di  meglio
definire   gli   interventi   strutturali   e   non   strutturali  da
intraprendere.
   Nelle zone ad alto rischio di esondazione (T1 = 30  anni),  andra'
imposto  o  confermato  il  vincolo  di  inedificabilita'  o  avviati
interventi di protezione o  di  delocalizzazione  degli  insediamenti
esistenti anche ai sensi dell'art. 4, comma 9, della legge n. 677/96.
   Per  le  zone  a  moderato rischio di esondazione (T2 = 200 anni),
andra'  regolamentato  il  loro  uso   che   dovra'   tenere   conto,
compatibilmente  con  la presenza di centri abitati, di salvaguardare
ed eventualmente ampliare le aree di naturale espansione al fine:  da
un  lato  di  mantenere  e  migliorare le condizioni di funzionalita'
idraulica del corso d'acqua in relazione alla capacita' di  invaso  e
laminazione  delle  piene  delle aree predette anche in rapporto agli
effetti sulla condizione di deflusso della rete idrografica di valle;
dall'altro di mantenere e migliorare le  caratteristiche  naturali  e
ambientali dei siti.
   In questo senso eventuali interventi potranno essere autorizzati a
condizione  che  gli  stessi  non  comportino  una  riduzione  o  una
parzializzazione  apprezzabile  della  capacita'  di  invaso   e   di
laminazione delle aree stesse.
   In  relazione  ai  livelli  idrici attesi tale scopo potra' essere
raggiunto  anche  attraverso  l'adozione  di   accorgimenti   tecnico
costruttivi.
   Il tempo di ritorno di 200 anni e' il medesimo posto a base per la
determinazione delle aree di espansione adiacenti all'alveo nel "Atto
di indirizzo e coordinamento concernente i metodi ed i criteri per lo
svolgimento  funzionale dei servizi di Polizia idraulica, di piena, e
di pronto intervento  idraulico"  all'esame  del  Comitato  nazionale
della difesa del suolo.
   Nelle  zone  a  bassa probabilita' di inondazione (T3 = 500 anni),
l'aumento del livello di sicurezza delle popolazioni verra'  affidato
alla   predisposizione   di  adeguati  piani  di  allertamento  e  di
interventi atti a mitigare l'effetto delle inondazioni.
2.2. Aree a rischio di frana.
   Alla delimitazione delle aree  nelle  quali  si  sono  attivati  o
riattivati  movimenti  franosi dovra' seguire uno studio di dettaglio
dei  fenomeni  stessi  al  fine  di  meglio  individuare   le   opere
strutturali  o  non  strutturali  per  la  messa  in  sicurezza delle
popolazioni.
   Tale  studio,  che  dovra'  riguardare   una   valutazione   sulla
stabilita'  dei  versanti  e  fornire le principali indicazioni sulla
geometria ed il meccanismo dei movimenti  franosi  e  sui  principali
elementi geomorfologici connessi con fenomeni di instabilita' in atto
o  potenziali,  verra'  realizzato  mediante  l'acquisizione  di dati
bibliografici, l'interpretazione di  foto  aeree  ed  il  rilevamento
diretto sul terreno.
   I  risultati  di  tali  studi e la conoscenza dell'attuale uso del
suolo  e  delle  previsioni  degli  strumenti   urbanistici   vigenti
permetteranno  di  regolamentare l'uso del territorio individuando le
aree per le quali non e' necessario  porre  limitazione  alle  scelte
urbanistiche,   quelle   in   cui   l'utilizzazione   dovra'   essere
condizionata a vincoli tecnico costruttivi, quelle inidonee  a  nuovi
insediamenti  o  ad ampliamento di quelli esistenti, quelle edificate
nelle  quali  e'   necessario   avviare   interventi   di   riassetto
territoriale   di   carattere   pubblico   a  tutela  del  patrimonio
insediativo esistente o quelle per  le  quali  avviare  procedure  di
delocalizzazione.
   Le aree a rischio di frana possono essere cosi' distinte:
    aree   nelle   quali  sono  presenti  frane  attive,  continue  o
stagionali e aree nelle quali sono presenti evidenze morfologiche  di
movimenti incipienti;
    aree nelle quali sono presenti frane quiescenti che si riattivano
con   tempi   pluriennali   e   nelle   quali  sono  presenti  indizi
geomorfologici  di  instabilita'  dei  versanti   che   indicano   la
possibilita' di frane di neoformazione;
    aree  nelle  quali  sono presenti soltanto frane stabilizzate non
piu' riattivabili a meno di nuovi interventi antropici e nelle quali,
se pure in presenza di condizioni geomorfologiche sfavorevoli, non vi
sia al momento indicazione di movimenti gravitativi.