(Annesso-art. 9)
                               Art. 9. 
                  Legame con l'ambiente geografico 
 
    A) Informazioni sulla zona geografica. 
    1) Fattori naturali rilevanti  per  il  legame:  il  disciplinare
«Romagna» DOC tiene conto  delle  aree  di  insediamento  storiche  e
tradizionali della viti-vinicoltura romagnola, esaltando le  migliori
espressioni   dell'interazione   «vitigno/ambiente».   L'areale    di
coltivazione di  Sangiovese,  Albana,  Trebbiano  romagnolo,  Bombino
bianco e Terrano comprende parte dei territori  di  quattro  province
(Bologna,  Ravenna,   Forli-Cesena   e   Rimini),   con   particolare
riferimento  alla  collina,  e  si  possono  individuare   due   zone
principali ben distinte: una  pre-collinare,  che  si  estende  dalle
falde delle ultime formazioni collinari degli Appennini fino alla via
Emilia, comprendendo una  fascia  di  terreni  tendenzialmente  piani
appartenenti al Quaternario recente, e una zona nettamente  collinare
ascrivibile all'era Terziaria. Il periodo piu' attivo  dell'emersione
dei rilievi della Romagna e' infatti riferibile a Miocene  superiore,
Pliocene  e  Postpliocene.  L'Appennino   romagnolo   ha   un'origine
geologica comune e si  compone,  in  linea  generale,  di  formazioni
calcaree e  argillose.  La  formazione  geologica  che,  per  la  sua
estensione,   maggiormente   caratterizza   la    Romagna    e'    la
«Marnoso-arenacea», una fascia piu' o meno ampia  di  stratificazioni
successive e alternate di arenarie torbiditiche e marne.  Durante  il
periodo Messiniano, quando il Mediterraneo rimase isolato dall'oceano
Atlantico,  si  depositarono  rocce  evaporitiche  (gesso,  anidrite,
salgemma) che in Romagna sono ben visibili nella  «Vena  del  gesso».
Seguono poi le deposizioni del Pliocene, a dominante  argillosa,  che
si  presentano  spesso  con  la  tipica  morfologia   a   «calanchi»,
riscontrabile nelle valli basse. Da questa successione  di  rocce  e'
abbastanza naturale che siano  derivati,  per  effetto  dell'erosione
naturale e dell'intervento dell'uomo, terreni piu' o  meno  calcarei,
argillosi, misti e, dove sono intervenute azioni  di  dilavamento  ed
erosione chimica,  terreni  residuali  di  costituzione  diversa.  In
passato si distinguevano «terreni vergini o integrali», di formazione
recente e di composizione strettamente connessa alla roccia madre,  e
«terreni  residuali»,  decalcificati,  ferrettizzati,  antichi.   Tra
questi due Estremi si ponevano i «terreni parzialmente ferrettizzati»
(mezze savanelle)  e  le  «terre  rosse»  (savanelle),  completamente
decalcificate.  Recenti  studi  di  zonazione   hanno   permesso   di
approfondire la conoscenza dei suoli e valutare anche l'influenza  di
questi su alcuni dei vitigni principali. Partendo dalla s.s.  9,  via
Emilia, e risalendo verso monte, si  incontrano  dapprima  le  «terre
parzialmente decarbonatate della  pianura  pedemontana»,  a  pendenza
molto debole (0,2-1%), che si sono formate in  sedimenti  fluviali  a
tessitura media. Sono suoli molto profondi, con buona  disponibilita'
di  ossigeno,  elevata  capacita'  di  acqua  disponibile   e   buona
fertilita'  naturale;  da  scarsamente   a   moderatamente   calcarei
nell'orizzonte lavorato e con contenuti in calcare  decisamente  piu'
elevati negli orizzonti profondi. A seguire si incontrano  le  «terre
scarsamente calcaree del margine appenninico»,  costituite  da  suoli
formatisi in sedimenti argilloso-limosi deposti dai fiumi,  profondi,
a tessitura moderatamente fine  o  fine,  moderatamente  calcarei  in
superficie e molto calcarei negli orizzonti profondi. Possono  essere
soggetti a ristagno idrico. Le «terre limose  dei  terrazzi  antichi»
sono Estese  paleosuperfici,  pianeggianti  o  dolcemente  inclinate,
formate da sedimenti fluviali a varia tessitura, con  una  componente
superficiale talvolta di origine eolica. Sono terreni molto profondi,
a tessitura fine o media su fine, non calcarei, strutturalmente  poco
stabili e soggetti a ristagno idrico. Per conservare o migliorare  la
fertilita' fisico-idrologica necessitano di buoni apporti di sostanza
organica. Proseguendo verso i calanchi, tipicamente a quote  comprese
tra 130 e 380 m s.l.m., si  trovano  le  «terre  calcaree  del  basso
Appennino, localmente  associate  a  calanchi»,  suoli  che  si  sono
formati  in  rocce  prevalentemente  argillose   o   pelitiche,   con
intercalazioni sabbiose di  eta'  pliocenica,  e  si  presentano  con
profondita' variabile da  moderata  a  molto  profonda,  a  tessitura
media, da scarsamente a fortemente  calcarei.  Talora  sono  presenti
orizzonti con accumulo di carbonati di calcio e possono presentare il
substrato di roccia tenera (peliti) entro i 100  cm  di  profondita'.
Infine si arriva in prossimita'  della  formazione  Marnoso-arenacea,
che ha dato origine alle «terre  calcaree  del  basso  Appennino  con
versanti a franapoggio e reggipoggio». Le quote sono tipicamente  tra
110 e 430 m s.l.m. Sono suoli moderatamente ripidi, da  moderatamente
a  molto  profondi,  a  tessitura  media,  calcarei  e  che   possono
presentare il substrato roccioso entro i 100 cm di  profondita'.  Nel
basso Appennino romagnolo, l'unita' geologica  maggiormente  diffusa,
dall'Imolese al Forlivese, e' la formazione  delle  argille  azzurre,
mentre passando al Cesenate tendono a prevalere  i  terreni  calcarei
riconducibili alla formazione Marnoso-arenacea,  che  poi  tendono  a
diminuire sul territorio riminese, dove la viticoltura si sviluppa in
modo particolare sulle «terre calcaree del basso Appennino riminese»,
che comprendono suoli formati in rocce  prevalentemente  argillose  o
pelitiche, con intercalazioni sabbiose di eta' pliocenica (formazione
delle argille  azzurre  e  formazione  delle  arenarie  di  Borello).
Un'area marginale delle viticoltura si trova sulle «terre  dei  Gessi
del basso Appennino riminese», con suoli che si sono formati in rocce
stratificate di marne gessose e tripolacee. Altra formazione degna di
menzione e' la «Vena dello Spungone» che caratterizza in  particolare
il Forlivese, anche se parte dal Faentino-Brisighellese per  arrivare
fino a Bertinoro, una delle aree di elezione dell'Albana. Per  quanto
riguarda il clima, partendo dalla via Emilia con sommatorie  termiche
intorno ai 2000- 2200 gradi giorno (indice  di  Winkler),  si  arriva
intorno  al  1400-1600  gradi  giorno  delle  aree  piu'  alte  della
viticoltura. 
    2) Fattori umani rilevanti per il legame: la vite e il vino hanno
sempre  giocato  ruoli  economici,  sociali,  politici  e  ideologici
fondamentali nella storia di molti paesi e, come noto, la  storia  e'
in grado di modellare persone e paesaggi. E cio' e' vero anche per la
Romagna, un'area i cui confini geografici sono  stati  dibattuti  per
secoli senza mai arrivare ad una definizione unanime,  ma  che  trova
nel carattere della sua gente un filo conduttore comune. Lucio  Gambi
scrisse che la «romagnolita', e' in primo luogo  uno  stato  d'animo,
un'isola del sentimento, un modo di vedere e di comportarsi» e  forse
e' proprio per questo che la Romagna e' stata piu'  spesso  definita,
non  con  limiti  fisici  o  amministrativi   bensi'   attraverso   i
comportamenti umani, come quell'area in cui, chiedendo da bere, viene
spontaneamente offerto vino e non acqua. Indubbiamente si  tratta  di
un retaggio legato alla particolare situazione del passato,  per  cui
le acque erano spesso non potabili e il vino  svolgeva  un'importante
azione disinfettante. La storia e la letteratura classica ci  parlano
spesso di  una  Romagna  particolarmente  produttiva,  senza  negare,
pero', produzioni di eccellenza: i vini di Cesena in epoca  Romana  e
anche successiva, l'Albana di Bertinoro, come pure la  «rosseggiante»
Cagnina senza dimenticare il Pagadebito  gentile.  A  seguire  alcune
informazioni sulla diffusione  e  l'impiego  dei  principali  vitigni
tradizionali della Romagna, contemplati dal presente Disciplinare. 
    Terrano - La  dominazione  bizantina  potrebbe  essere  stata  il
momento in cui il Refosco d'Istria o Terrano d'Istria si  e'  diffuso
in Romagna. Sta di fatto che, in tempi storici, ha dato origine ad un
vino molto apprezzato chiamato  «Cagnina»,  riconosciuto  a  DOC  con
decreto del Presidente della Repubblica 17  marzo  1988  (Cagnina  di
Romagna).  Riferisce  Giovanni  Manzoni  che  la  Cagnina  e'  un'uva
probabilmente originaria della Jugoslavia,  «tenuta  in  gran  pregio
sebbene anticamente fosse  piccola  di  grappolo  e  di  acini  radi.
Coltivata in Romagna gia' nel 1200 in alcune piane del Cesenate,  del
Forlivese e del  Ravennate,  fu  poi  limitata  solamente  a  qualche
modesto vigneto, come lo e' ancora oggi, per  la  sua  scarsa  resa».
Diversi  gli  scritti  e  i  componimenti  poetici  tra  Ottocento  e
Novecento che attestano la diffusione e l'apprezzamento della Cagnina
in Romagna. Bombino bianco. Localmente detto Pagadebito  gentile,  da
cui il nome del vino. L'origine del vitigno non e' nota, ma si tratta
di varieta' diffusa lungo tutta la fascia  adriatica  della  Penisola
con nomi diversi nelle varie regioni, ma che richiamano spesso la sua
capacita' produttiva. Secondo Hohnerlein-Buchinger l'etimo sarebbe da
«produce tanto da pagare i  debiti»,  in  realta'  la  produttivita',
specie in collina,  non  e'  elevatissima  ma  costante  negli  anni;
infatti si tratta di varieta' rustica e con sottogemme fertili, tanto
che se una gelata tardiva puo' compromettere gravemente la produzione
della maggior  parte  degli  altri  vitigni,  con  il  Pagadebito  e'
comunque garantita una buona produzione. Nell'area  di  Bertinoro  un
tempo si facevano  vigneti  misti  di  Albana  gentile  e  Pagadebiti
proprio per compensare una eventuale  carenza  produttiva  del  primo
vitigno. La prima citazione scritta di un «Pagadebito bianco» tra  le
viti «de' contorni di  Rimino»  e'  dell'Acerbi  e  risale  al  1825.
Nell'ambito della mostra ampelografica tenutasi a Forli' nel 1876  si
ebbe la possibilita' di confrontare tra loro grappoli  di  Pagadebito
provenienti da diversi  areali  e  si  convenne  che  «Il  Pagadebito
gentile di Forli', di Bertinoro, e di Predappio  si  differenzia  dal
Pagadebito verdone per gli acini  piu'  sferici,  meno  grossi,  meno
verdi  e  piu'  dolci».  Storicamente  e'  stata   riconosciuta   una
particolare e pregevole tradizione  di  coltivazione  del  Pagadebito
nell'areale di Bertinoro, messa in evidenza  anche  nel  Disciplinare
della DOC «Pagadebit di Romagna» accolto con decreto  del  Presidente
della Repubblica 17 marzo 1988. 
    Sangiovese - La zona di diffusione principale del  Sangiovese  si
colloca tra Romagna e Toscana ed e' in questi due  territori  che  da
tempi storici si sono venuti a delineare vari biotipi, ma soprattutto
vini differenti, frutto dell'interazione  specifica  e  peculiare  di
territori diversi con questo vitigno. Nello studio della storia di un
vino si fa spesso riferimento ai miti e alle religioni dei popoli, ma
non  bisogna  trascurare   un   altro   elemento   fondamentale,   la
«tipicita'»,  poiche'  essa  passa  attraverso  il   territorio,   la
metodologia di produzione e il  contesto  temporale  e  sociale.  Per
quanto riguarda il Sangiovese la prima attestazione scritta della sua
coltivazione  in  territorio  Toscano  risale  alla  fine  del   1500
(Soderini), ma Cosimo Villifranchi nella seconda meta' del Settecento
parla di  un  «San  Gioveto  romano»  coltivato  in  particolare  nel
Faentino. E'  conservato  all'Archivio  di  Stato  di  Faenza  l'atto
notarile del 1672 che cita in podere Fontanella di Pagnano, comune di
Casola Valsenio, «tre filari di  Sangiovese».  Per  alcuni  linguisti
assunse in Appennino tosco-romagnolo  il  nome  «Sangue  dei  gioghi»
cioe' dei monti, contratto in dialetto locale in  «sanzves».  Secondo
Beppe  Sangiorgi,  le  prime  citazioni  del  Sangiovese  in  Romagna
riguardano l'area faentina imolese. Tra Settecento e  Ottocento  sono
poi numerosi i poemi e ditirambi che lodano questo vino. Nel 1839, il
conte Gallesio giunse a Forli', da  Firenze,  percorrendo  la  strada
aperta dal granduca Pietro Leopoldo lungo il corso del fiume  Montone
ed ebbe modo di descrivere i vigneti  incontrati  nel  percorso:  «le
vigne ... sono tutte a ceppi bassi attaccati ad un picciolo palo come
in Francia, le uve che vi si coltivano sono per la maggior  parte  il
Sangiovese di  Romagna».  Nei  vecchi  testi,  quindi,  viene  spesso
identificato un Sangiovese coltivato in Romagna  con  caratteristiche
sue proprie che lo fanno distinguere da  quelli  coltivati  in  altre
aree, ma soprattutto va  rimarcato  come  fosse  diverso  l'approccio
enologico al vitigno rispetto alla Toscana: in Romagna si  vinificava
in purezza, mentre in Toscana si trattava piu' spesso di uvaggi (come
il  ben  noto  Chianti)  o  di  tagli  con  altri   vitigni.   Questa
caratteristica  e'  stata  contemplata  nel  Disciplinare   «Romagna»
Sangiovese: l'uso della menzione geografica aggiuntiva per i vini  di
Sangiovese e' subordinata all'utilizzo di almeno il 95%  di  uve  del
vitigno.  La  DOC  «Sangiovese  di  Romagna»,  confluita  nella   DOC
«Romagna», fu istituita con decreto del Presidente della Repubblica 9
luglio 1967. Trebbiano romagnolo. I «Trebbiani» sono una famiglia  di
vitigni molto antichi che hanno trovato alcune zone di  elezione  che
gli hanno tributato la seconda parte del nome:  Trebbiano  romagnolo,
piuttosto che toscano, modenese, abruzzese, per citarne  alcuni.  Nel
Trecento il Trebbiano veniva annoverato tra i  vini  «di  lusso»  del
medioevo, mentre  in  tempi  piu'  recenti  appare  un'immagine  piu'
differenziata del Trebbiano, che viene considerato anche un  vino  di
carattere semplice. Lo citano il Soderini nel Cinquecento, il  Trinci
Settecento e tra la fine  dell'Ottocento  e  l'inizio  del  Novecento
diversi autori cercano di mettere ordine tra le diverse  tipologie  e
sinonimie. In Romagna si coltivava in prevalenza il  Trebbiano  della
fiamma, cosi' detto perche' i grappoli esposti al sole  prendono  una
colorazione giallo-rossastra.  Nel  Molon  (1906)  si  legge  che  il
vitigno era coltivato soprattutto nelle province di Forli' e Ravenna,
meno nel Cesenate,  dove  prevaleva  l'Albana  e  si  riporta  quanto
affermato da Pasqualini e  Pasqui  in  merito  all'apprezzamento  del
Trebbiano nei filari di pianura, nonostante  l'elevata  umidita'.  La
sua vasta diffusione e' dovuta alla capacita' di adattarsi alle  piu'
diverse tipologie di terreno e condizioni climatiche,  alla  costante
produttivita' ed alle caratteristiche del vino: gradevole, corretto e
facilmente  commerciabile.  Con  il  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 31 agosto  1973  viene  istituita  la  DOC  «Trebbiano  di
Romagna», che ricomprende un'area  di  coltivazione  che  si  estende
dalla collina verso quelle aree di pianura dove i terreni  sono  piu'
argillosi o argilloso-sabbiosi. Vini amabili, frizzanti  e  spumanti.
La  presenza  in  Romagna  di  vitigni  tipicamente   a   maturazione
medio-tardiva o tardiva (Trebbiano, Pagadebiti)  faceva  si'  che  il
sopraggiungere  del  freddo  invernale  bloccasse  la   fermentazione
lasciando nei vini residui zuccherini piu' o meno importanti. Da  qui
l'uso di bere vini dolci o amabili nel  periodo  autunno-invernale  e
vini  frizzanti  e  spumanti  nell'estate  successiva  la  vendemmia.
Infatti i vini con residuo zuccherino, una volta messi in  bottiglia,
riprendevano a fermentare con l'arrivo dei  primi  caldi,  originando
una frizzantatura naturale. Vi era quindi una tradizione, se si vuole
involontaria, di spumanti e frizzanti, che  con  l'accrescersi  delle
conoscenze enologiche e' stata  perfezionata:  l'uso  del  freddo  in
cantina consente di preservare profumi e aromi  e  l'uso  di  lieviti
selezionati consente di ottimizzare le fermentazioni. 
    B)  Informazioni  sulla  qualita'  o  sulle  caratteristiche  del
prodotto essenzialmente o  esclusivamente  attribuibili  all'ambiente
geografico: i diversi tipi di suolo che si incontrano negli areali di
coltivazione della DOC Romagna, dalle argille evolute  di  Predappio,
alle sabbie molasse del Messiniano tra il Faentino e il Forlivese, al
calcare di Bertinoro  o  ancora  alle  arenarie  e  alle  argille  di
Brisighella, non possono non influenzare le note sensoriali dei  vini
su di essi prodotti. In particolare, il Sangiovese in  purezza  tende
ad acquisire caratteri distintivi ben  percepibili  a  seconda  delle
aree di coltivazione delle uve e gia'  all'inizio  del  Novecento  il
dott. Savelli, sulla base delle numerose analisi chimiche  effettuate
nel suo laboratorio, aveva Suddiviso i  vini  di  Sangiovese  in  tre
gruppi:  «uno  speciale  Sangiovese  in  alcune   localita'   dell'ex
circondario di Forli' (Predappio e Civitella); un tipo, molto  vicino
al  precedente  per  caratteri  chimici  ed  organolettici,  prodotto
nell'ex circondario di Cesena; un tipo, diverso dai  due  precedenti,
prodotto nell'ex circondario di Rimini». Le differenze (minore  grado
alcolico, minore estratto, maggiore acidita' ed  in  particolare  una
maggiore sapidita' del Sangiovese di Rimini) derivavano dal fatto che
nel  Riminese  l'uva  Sangiovese  veniva  vinificata  con  una  certa
quantita' di Trebbiano, tradizione che si e' ormai  persa,  anche  se
rimangono alcuni di questi tratti distintivi. Altra  nota  importante
per la coltivazione del Sangiovese e'  relativa  al  clima:  per  una
corretta maturazione occorre privilegiare altitudini  medio-basse  ed
esposizioni nei quadranti da Sud a Ovest, onde conseguire un perfetto
soddisfacimento delle sue esigenze termiche (1800-2000 gradi giorno).
Per rendere merito delle differenze tra i vini di Sangiovese ottenuti
in situazioni pedo-climatiche differenti,  per  quei  produttori  che
intendono massimizzare l'interazione vitigno/ambiente,  nel  rispetto
di una tradizione  tipicamente  romagnola  che  vuole  il  Sangiovese
vinificato  sostanzialmente  da  solo,  sono  state  identificate  le
«sottozone»  che  possono  fregiarsi  di  una   menzione   geografica
aggiuntiva  rispetto  a  «Romagna  DOC   Sangiovese».   L'interazione
«vitigno-ambiente-uomo», per il Sangiovese, verra' meglio specificata
al punto C). I vini ottenuti con la varieta' Terrano si presentano in
genere  abbastanza  freschi,  profumati  e  con  un   certo   residuo
zuccherino, come vuole la tradizione, anche se qualche viticoltore ha
cercato di potenziarne la struttura, come richiedeva il  mercato  del
2000. Anche per quanto riguarda i vini bianchi, la varieta' di  suoli
e di situazioni meso-climatiche riscontrabili  sul  territorio  della
Denominazione «Romagna», consentono di ottenere tipologie differenti:
da vini piu' freschi a prevalente componente floreale,  magari  anche
frizzanti o spumanti, a vini bianchi piu' strutturati, con sentori di
frutta matura e talora aromi terziari  derivati  dalla  vinificazione
e/o affinamento in legno. 
    C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi  di  cui
alla lettera A) e quelli di cui alla lettera B): a partire dagli anni
'70 il miglioramento della tecnica agronomica ed enologica  e'  stato
importante e la Romagna ha recepito bene  l'innovazione  del  settore
viti-vinicolo,  facendo  perno,  pero',  su  una   tradizione   ormai
consolidata.    Ne    sono    conseguiti    una     razionalizzazione
nell'allestimento e nella  gestione  degli  impianti  e  un  radicale
miglioramento delle strutture e delle tecniche enologiche in cantina.
Il risultato e' stato che anche nei vini della  tradizione  romagnola
si  e'  assistito  ad  un  importante   miglioramento   del   livello
qualitativo. Un altro cambiamento importante e' legato agli studi  di
zonazione viticola, che hanno contribuito ad una migliore definizione
degli ambienti pedo-climatici piu' idonei  per  i  vari  vitigni,  ma
soprattutto hanno  aumentato  la  sensibilita'  dei  viticoltori  nei
confronti della scelta varietale, portandoli a porsi in maniera  piu'
critica  di  fronte  a  questa  questione.  Per  quanto  riguarda  il
Sangiovese, l'esperienza e la perizia che  i  viti-vinicoltori  hanno
acquisito in relazione ai vari contesti  ambientali  e  culturali  ha
permesso di connotare in modo piu' preciso alcune produzioni  locali,
definendo quelle che sono definite  «sottozone».  Partendo  da  Ovest
verso Est si incontrano le seguenti aree tipiche  per  la  produzione
del Sangiovese: 
    Serra: storicamente e' indicato in  Romagna  come  un  territorio
molto  vocato.  Il  clima  e'  tendenzialmente  continentale  e  poco
mitigato dalla rilevante  distanza  dal  mare.  In  generale  i  vini
possiedono delicate note floreali e un frutto fresco, esaltati da una
corretta esposizione delle vigne; 
    Brisighella: comprensorio particolare anche  per  il  microclima,
che ha altresi' consentito il consolidarsi di una tradizione oleicola
importante. L'areale ricomprende anche i terreni prossimi  alla  vena
del gesso, oltre a suoli ricchi di arenarie e argilla, che consentono
di avere vini di buona  struttura,  eleganti,  con  note  floreali  e
fruttate spiccate e una buona freschezza; 
    Marzeno: in questo territorio  si  trova  un  primo  affioramento
importante della formazione dello «Spungone» che  si  intercala  alle
argille azzurre plio-pleistoceniche. Territorio aspro  e  forte,  che
imprime forza anche ai vini che qui si producono. Il fruttato tende a
prevalere decisamente sul floreale; 
    Modigliana:  qui  il  territorio  si   inasprisce   ulteriormente
consentendo di produrre vini dalla struttura decisa, potenti, austeri
e longevi; 
    Oriolo: una zona con un terreno particolare, caratterizzato dalla
presenza di sabbie gialle che spesso affiorano tra terreni  argillosi
o limoso-argillosi. A seconda dell'esposizione e della prevalenza  di
sabbia o argilla e' possibile ottenere vini di grande  struttura  che
acquisiscono la giusta morbidezza solo  dopo  un  certo  affinamento,
oppure vini fruttati e floreali piu' pronti e di buon equilibrio; 
    Castrocaro-Terra  del  Sole:  terre  della   cosiddetta   Romagna
Toscana, hanno risentito molto dell'influenza del  Granducato,  tanto
che la definizione dell'area deriva piu' dalla  storia  e  tradizione
locale che non da una differenza sostanziale  con  i  prodotti  della
limitrofa area di Oriolo; 
    Predappio: il Sangiovese di questo territorio ha sempre goduto di
una nomea importante  tramandata  dalla  tradizione  popolare  orale.
Soprattutto dal biotipo locale ad acino allungato, si ottengono  vini
dal fruttato molto evidente e con tannini piuttosto duri e austeri; 
    Meldola: l'areale era gia' coltivato in epoca romana e da  allora
si e' evoluta e stratificata la tecnica agricola che ha portato  agli
attuali  risultati  anche  nel   settore   enologico.   L'esposizione
principale da  Nord-Ovest  a  Nord-Est  consente  di  avere  vini  di
Sangiovese fini e dal profilo aromatico fruttato; 
    Bertinoro: tradizionalmente territorio di Albana (che  qui  vanta
una  lunga  tradizione)  ha  scoperto  solo  recentemente  una  buona
vocazione  anche  per  il  Sangiovese,  che  presenta  una  struttura
importante che necessita di tempi di maturazione abbastanza lunghi; 
    Cesena: citati anche dagli autori  classici  latini,  i  vini  di
Cesena hanno sempre goduto di  una  chiara  fama.  Il  Sangiovese  su
queste colline riesce a ricomprendere in se' una struttura importante
ma mai  eccessiva  e  un  fruttato  di  ciliegia  matura  sempre  ben
percepibile. Struttura ed eleganza insieme; 
    San Vicinio: comprende l'area in cui si esprime al massimo  grado
la  formazione  Marnoso-arenacea  romagnola.  I   suoli   Celincordia
«Celincordia»   [CEL,   in   riferimento   alla   Carta   dei   suoli
dell'Emilia-Romagna, scala 1:250.000. Classificazione  Soil  Taxonomy
(Chiavi 1990): loamy, mixed, mesic  Typic  Ustochrepts.  Legenda  FAO
(1990): Haplic Calcisols)], specialmente ad altitudine  inferiore  ai
150-200  m  s.l.m.,  si  sono  rivelati  quelli  piu'   vocati   alla
coltivazione  del  Sangiovese,  che  fornisce  mosti  e  vini   molto
equilibrati, con un buon rapporto tra alcolicita' e  acidita'  e  una
tannicita' piuttosto dolce; 
    Longiano: i vini dell'area sono caldi e ricchi, con  un  fruttato
molto evidente e una buona struttura, che  puo'  essere  guidata  con
adeguati accorgimenti agronomici anche verso espressioni molto forti,
che pero' finiscono per penalizzare la naturale eleganza del connubio
tra il vitigno e il territorio. 
    Anche per gli altri  vitigni  l'interazione  col  suolo  porta  a
varianti interessanti  e  talora  particolarmente  significative.  La
predilezione del Bombino bianco,  come  del  resto  dell'Albana,  per
l'areale bertinorese e' sicuramente da mettere  in  relazione  con  i
terreni poveri e calcarei derivati dalla formazione  geologica  dello
Spungone, che proprio in quest'area presenta le sue «emergenze»  piu'
significative. I suoli riescono a contenere la  naturale  vigoria  di
questi vitigni, consentendo un miglior equilibrio vegeto-produttivo e
di conseguenza una piu' equilibrata composizione dei mosti; mentre il
calcare contribuisce alla maggiore finezza olfattiva  dei  vini.  Nei
terreni argillosi di pianura, che limitano naturalmente la vigoria  e
la produttivita' del Trebbiano romagnolo,  si  riescono  ad  ottenere
vini di buona struttura e con una buona finezza aromatica, nonostante
il vitigno sia normalmente definito «neutro». Vini di  Trebbiano  con
maggiore struttura si ottengono nei terreni piu' poveri  di  collina.
Buona finezza olfattiva anche per i vini ottenuti da uve coltivate su
terreni sabbiosi (Terrano e Trebbiano, ad esempio). Anche  le  Albane
tendono a differenziarsi sui vari tipi di suolo: vini  strutturati  e
con  sentori  di  miele  e  albicocca  essiccata  nei  terreni   piu'
argillosi, fruttato di albicocca piu' deciso nell'Imolese  e  sentori
piu' floreali nelle  Albane  del  Faentino.  La  tradizione  di  vini
frizzanti e spumanti ottenuta a partire dai vitigni bianchi romagnoli
e' stata molto migliorata grazie all'introduzione  del  freddo  e  di
altre tecnologie in cantina, senza dimenticare che  la  maggior  cura
nella produzione e nella scelta delle uve in campo ha fatto  comunque
la sua parte.