Art. 6. Legame con l'ambiente Le peculiarita' del Pomodorino del Piennolo del Vesuvio sono la elevata consistenza della buccia, la forza di attaccatura al peduncolo, l'alta concentrazione di zuccheri, acidi e altri solidi solubili che lo rendono un prodotto a lunga conservazione durante la quale nessuna delle sue qualita' organolettiche subisce alterazioni. Tali peculiarita' sono profondamente legate ai fattori pedoclimatici tipici dell'area geografica in cui il pomodorino e' coltivato dove i suoli, di origine vulcanica, sono costituiti da materiale piroclastico originato dagli eventi eruttivi del complesso vulcanico Somma-Vesuvio. La morfologia dei suoli, quindi, e' quella tipica che si riscontra lungo le pendici del cono vesuviano ed e' caratterizzata da tessitura sabbiosa, che rende i terreni molto sciolti e drenati. I suoli hanno mediamente una reazione neutra o sub-alcalina ed una buona dotazione in macro e micro elementi assimilabili, collocati lungo le pendici acclivi del complesso vulcanico, sono stati oggetto di terrazzamenti ed hanno una giacitura pianeggiante o leggermente acclive. Il clima, nel corso della stagione colturale, e' prevalentemente asciutto, con discreta ventosita' elevate temperature massime, ampie escursioni termiche fra notte e giorno ed elevati livelli di insolazione. Cio' contribuisce ad un naturale controllo delle malattie parassitarie, in particolare di quelle crittogamiche. L'incidenza ambientale e' tale che gli stessi ecotipi di pomodoro, se coltivati fuori area tipica, forniscono frutti con qualita' sensibilmente diversi rispetto a quelli oggetto di tutela. Il pomodorino, conservato al piennolo o in conserva, rappresenta una delle produzioni piu' antiche e tipiche dell'area vesuviana. Le prime testimonianze documentate, e tecnicamente dettagliate, sulla presenza e sull'uso del pomodorino nel comprensorio Vesuviano risalgono alle pubblicazioni dei professori Palmieri, De Rosa e Cozzolino, della Regia scuola superiore di agricoltura di Portici (Napoli), rispettivamente del 1885, 1902 e 1916. Nei secoli scorsi la coltivazione di questo tipo di pomodoro si era affermata sia per le ridotte esigenze colturali che per l'idoneita' alla lunga conservazione nei mesi invernali, in virtu' della consistenza della buccia, della forza di attaccatura al peduncolo e dell'alto contenuto in solidi solubili. L'antica diffusione di questa tipologia di pomodoro conservato era infatti legata alla necessita' di dover disporre nei mesi invernali di pomodoro allo stato fresco per poter adeguatamente guarnire le preparazioni domestiche da sempre molto diffuse nel napoletano, fra cui pizze e primi piatti, che richiedevano intensita' di gusto e di fragranze. Come sempre accadeva per gli ortaggi d'uso familiare, i contadini sceglievano i frutti che reputavano piu' adatti e ne prelevavano il seme, che andava a costituire il materiale di riproduzione per l'anno successivo. Cosi' nella prima meta' del '900 erano gia' conosciuti e diffusi i pomodorini «Fiaschella», «Lampadina», «Principe Borghese», «Re Umberto» e «Patanara» da cui sono derivati gli attuali ecotipi. Il fattore umano, esplicatosi nella messa a punto di un metodo di coltivazione e di conservazione ben calibrato e tipico della zona, unito al particolare quadro ambientale dell'area vesuviana, frutto dell'ottimale insolazione, del clima asciutto e soprattutto della straordinaria natura piroclastica dei suoli, hanno portato ad un prodotto unico nel suo genere, per pregio organolettico e serbevolezza, quale e' quello che ancora oggi si coltiva e si conserva. Le famiglie vesuviane, infine, sono solite preparare la tradizionale e secolare conserva tipica detta «a pacchetelle», caratterizzata da un processo di lavorazione manuale, fortemente legato al territorio vesuviano, che si e' tramandato nel tempo e che ancora oggi si svolge utilizzando il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio non pelato, tagliato longitudinalmente in meta' o in spicchi (o «filetti») e conservato in vaso di vetro.