(Allegato)
                                                             Allegato 
 
Piano  nazionale  per  la  prevenzione  del  rischio   autolesivo   e
  suicidario nei servizi residenziali minorili del  Dipartimento  per
  la giustizia minorile e di comunita'. 
 
    § 1 Premessa. 
    La prevenzione del rischio autolesivo e suicidario dei  minorenni
e giovani adulti sottoposti alla privazione della liberta' personale,
assume un particolare rilievo anche  alla  luce  di  quanto  previsto
dall'allegato A del DPCM 01.04.2008 circa «l'adozione di procedure di
accoglienza che consentano di attenuare  gli  effetti  potenzialmente
traumatici della  privazione  della  liberta',  ed  esecuzione  degli
interventi necessari a  prevenire  atti  di  autolesionismo»  nonche'
«l'attivazione di  specifici  programmi  mirati  alla  riduzione  del
rischio di suicidio». 
    Quanto sopra, tra l'altro, appare coerente con  i  contenuti  del
documento dell'O.M.S. «Prevenzione del suicidio nelle carceri» (2007)
ove nello specifico paragrafo dedicato all'area minorile afferma  che
«l'esperienza  dell'incarcerazione  puo'  risultare   particolarmente
difficile per i giovani ristretti che vengono separati dalla famiglia
e dagli amici. I giovani  detenuti  con  problematiche  emotive  sono
molto  dipendenti  da  relazioni  supportive  con  il  personale  del
carcere. Quindi, la separazione e l'isolamento dei  giovani  detenuti
puo' portare ad un incremento del  rischio  di  atti  suicidari,  che
possono avvenire in qualsiasi momento della detenzione». 
    Con  il  successivo  Accordo  sulle  «Linee  di   indirizzo   per
l'assistenza  sanitaria  ai  minorenni  sottoposti  a   provvedimenti
dell'Autorita' Giudiziaria» del 26  novembre  2009,  sottoscritto  in
sede di Conferenza Stato Regioni,  si  sottolinea  la  necessita'  di
integrazione tra gli interventi  sanitari,  sociali  ed  educativi  e
quindi di un programma per la presa  in  carico  multidisciplinare  a
partire dalla prima fase di ingresso nel  circuito  penale,  per  una
valutazione complessiva del minorenne che consenta di evidenziare  le
sue caratteristiche e i suoi bisogni «assistenziali». 
    Nel 2012 la Conferenza Unificata sanciva l'Accordo sul  documento
relativo  a  «Linee  di  indirizzo  per  la  riduzione  del   rischio
autolesivo e suicidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni
sottoposti a provvedimento penale» (Repertorio Atti n.5/C.U.), con il
quale  si  prevedeva  l'attivazione   di   programmi   operativi   da
sperimentare in ogni regione e in almeno  un  istituto  penitenziario
per adulti ed in uno per minorenni. 
    L'attuazione  di  tale  ultimo  Accordo  e'  stata   oggetto   di
monitoraggio, realizzato nell'ambito delle attivita'  del  Tavolo  di
Consultazione Permanente per la sanita' penitenziaria. Tale attivita'
ha evidenziato come la sperimentazione non sia  stata  realizzata  in
modo uniforme. Sussistono,  infatti,  realta'  dove  non  sono  stati
definiti i Programmi operativi, ma vengono adottate prassi  operative
condivise  tra  l'Amministrazione  della  Giustizia  ed  il  Servizio
Sanitario. 
    Il  monitoraggio,  quindi,  ha  messo  in  luce  una  difformita'
dell'attuazione dell'Accordo, sia nei  contenuti  dei  programmi  che
nell'articolazione  degli  stessi,  soprattutto  in  relazione   alle
procedure operative. 
    Tra gli elementi osservati si  evidenziano:  una  difficolta'  di
comunicazione interprofessionale; la presenza  di  nuovi  fattori  di
rischio che richiedono un presidio di attenzione e, da  un  punto  di
vista   epidemiologico,   una   significativa   incidenza   di   atti
identificabili  come  autolesivi  piuttosto  che  come  tentativi  di
suicidio. A tal proposito,  coerentemente  con  quanto  indicato  nel
citato documento dell'O.M.S. (2007), si evidenzia che i comportamenti
e  le  scelte  autolesive  e  suicidarie  sono   prevalentemente   da
inquadrare come eventi derivanti dalle comuni condizioni  di  vita  e
non necessariamente da condizioni di patologia, rispetto ai quali  il
Servizio Sanitario e l'Amministrazione della Giustizia Minorile e  di
Comunita', concorrono in  tutte  le  fasi  degli  interventi  per  le
rispettive competenze. Purtuttavia, sebbene  le  condotte  autolesive
e/o suicidarie, come sottolineato, non sono necessariamente correlate
a condizioni psicopatologiche, sono elevati i casi in cui il soggetto
con tendenze autolesive e /o suicidarie  e'  anche  portatore  di  un
disagio psichico  o  di  una  patologia  psichiatrica.  E'  risultata
altresi' poco sviluppata e incostante l'attivita' di monitoraggio del
fenomeno e conseguentemente quelle  di  valutazione  delle  modalita'
operative. 
    Tanto premesso, risulta  evidente  e  necessario  ridefinire  e/o
definire i protocolli operativi locali in modo che ogni  IPM,  CPA  e
Comunita' Pubblica adotti specifiche prassi  operative,  integrate  e
interistituzionali,  di  valutazione  e  monitoraggio   del   rischio
autolesivo e/o suicidario. 
    Il Piano accentua l'esigenza, fin dal primo momento dell'ingresso
del  minore  nel  circuito  penale,  di  un   intervento   supportivo
multidisciplinare e interistituzionale al fine di ridurre la messa in
atto di  comportamenti  autolesivi  o  chiaramente  auto-soppressivi.
Infatti, accanto all'esigenza e alla necessita' del controllo sociale
e della sorveglianza, la restrizione, ancor piu' in ambito  minorile,
deve caratterizzarsi quale intervento di sostegno e supporto  per  la
specifica fase che il minore e/o giovane adulto si  trova  a  vivere.
Appare evidente, quindi, che tale  concezione  del  rapporto  con  il
minore ristretto obbliga ciascuna  amministrazione,  penitenziaria  e
sanitaria,  a  confrontarsi,  formarsi  e  riflettere,   per   meglio
addivenire a delle azioni  preventive  realmente  efficaci.  L'equipe
multidisciplinare  e  interistituzionale,  dovra'   agire   in   modo
integrato coinvolgendo, quando possibile,  «anche  i  familiari  e  i
compagni detenuti». In tale ottica di sostegno  si  situa,  altresi',
anche la raccomandazione  affinche'  venga  evitato  «ogni  forma  di
isolamento del soggetto a rischio» che  risulta,  di  per  se',  come
evidenziato in letteratura, un ulteriore fattore di rischio. 
    Un intervento di sistema sul tema della prevenzione  del  rischio
suicidario deve  inevitabilmente  essere  calibrato  sulla  specifica
realta'  locale  in  funzione   di   diverse   variabili:   tipologia
dell'utenza  presente  (patologie,  posizioni  giuridiche,  tempi  di
permanenza,  etnia,  genere,  condizioni  socio  culturali,  ecc.)  e
contesto ambientale. 
    In ogni caso  sara'  importante  che  il  sistema,  inteso  nella
globalita', anche grazie alla  individuazione  di  referenti  per  la
specifica linea di attivita', sviluppi capacita'  di  intercettare  e
trattare con tempestivita' stati di dis-agio, sofferenza psicologica,
disturbo  psichico  o  altri  tipi  di   fragilita',   attivando   un
coordinamento  funzionale,  integrato  e  interistituzionale,   delle
diverse  figure  professionali  presenti,  a  prescindere  dal   loro
rapporto di dipendenza istituzionale  con  l'obiettivo  di  porre  in
essere misure di contenimento del rischio autolesivo e/o suicidario e
pervenire ad una reale diminuzione dell'incidenza  dei  comportamenti
autolesivi e dei suicidi dei minorenni privati della liberta'. 
    Momento centrale del citato piano e' la fase di  valutazione  del
rischio, il cui scopo e' quello di pervenire tempestivamente  ad  una
visione congiunta,  multidisciplinare  e  interistituzionale.  A  tal
fine, saranno definiti o ridefiniti i protocolli operativi locali, in
modo che quest'ultima prenda  in  considerazione  anche  gli  aspetti
socio-familiari,  culturali  e  di  provenienza  dei   minori/giovani
adulti, comprensivi di strumenti standardizzati al fine di ridurre al
minimo l'elemento valutativo soggettivo. 
    Altro elemento determinante  per  la  proficua  applicazione  del
Piano sara' la formazione congiunta del personale al fine di  fornire
agli operatori strumenti utili sia  all'intercettazione  dei  segnali
critici  che  alla  corretta  interpretazione   degli   eventi,   per
un'adeguata gestione dell'intervento conseguente all'evento stesso. 
    Il presente Piano, quindi, intende  consolidare  il  processo  di
integrazione tra i Servizi Minorili ed i Servizi  del  S.S.N.,  cosi'
come contemplato dall'Allegato A del DPCM 01 aprile 2008 e dall'esito
delle sperimentazioni realizzate in sede territoriale negli II.PP.MM,
previste dall'Accordo della Conferenza Unificata del 19 gennaio 2012,
delineando l'assetto generale di un modello operativo e organizzativo
condiviso tra  le  Amministrazione  della  Giustizia  Minorile  e  di
Comunita' e quella Sanitaria. 
    Il  Piano  sostiene,  altresi',  l'attuazione   di   un   modello
interistituzionale, nel  quale  gli  interventi  di  prevenzione  del
rischio autolesivo  e  suicidario  siano  sempre  piu'  orientati  al
sostegno ed al supporto  individualizzato  ai  fini  della  presa  in
carico dell'adolescente. Appare evidente, pertanto, che  al  fine  di
pervenire ad un efficace intervento  preventivo,  risulta  necessario
che il personale tutto, che a vario  titolo  entra  in  contatto  col
minorenne o giovane adulto privato della liberta', previa adeguata  e
specifica formazione, valorizzi la relazione, per  meglio  accogliere
il disorientamento, il disagio, la sofferenza e l'angoscia  che  sono
alla base di agiti autolesivi o piu' francamente auto-soppressivi. 
    Ogni azione prevista dal  Piano  verra'  espletata  nel  rispetto
della normativa a tutela della privacy  dell'individuo  (D.  lgs.  30
giugno 2003 n. 196). 
    § 2 I comportamenti autolesivi e suicidari  nel  contesto  penale
minorile. 
    I  fenomeni  autolesivi   e   suicidari   presentano   molteplici
complessita' e necessitano di analisi e interventi  multidisciplinari
e interistituzionali che considerino in maniera  globale  la  persona
sotto i vari aspetti intrapsichici e relazionali. 
    Appare   necessario,   preliminarmente,   evidenziare   che    la
prevenzione del rischio autolesivo e/o suicidario non opera  seguendo
logiche  deterministiche,  bensi'  prognostico-probabilistiche   allo
scopo di identificare i fattori di rischio, al fine di pervenire alla
loro  rimozione  e  attivando  nell'individuo  e  nel   contesto   di
appartenenza alcuni consequenziali fattori protettivi. 
    Attualmente, l'utenza penale minorile abbraccia l'arco della vita
che va dai 14  ai  25  anni  (ex  L.117/2012).  Dal  punto  di  vista
epidemiologico  va  rilevato  che,  diversamente  dalla   popolazione
detenuta adulta, quella minorile si  caratterizza  per  una  maggiore
frequenza di agiti autolesivi. 
    I minorenni e giovani adulti, che  fanno  ingresso  nel  circuito
penale, attraversano la peculiare e delicata fase adolescenziale  che
puo' essere caratterizzata, tra l'altro, da comportamenti  oppositivi
e  provocatori  ove  la  sfida  del   limite   e   la   trasgressione
rappresentano  una  fisiologica  modalita'  di  strutturazione  della
propria identita' in divenire.  L'adolescente,  quindi,  si  trova  a
vivere una modalita' di funzionamento psichico  caratterizzato  dalla
oscillazione tra il bisogno di dipendenza infantile e quello, invece,
di differenziazione ed autonomia che lo traghettera', poi, nel  mondo
adulto. 
    E' bene precisare che quando oggi si parla di adolescenza  si  fa
riferimento ad una fascia di eta' molto piu'  ampia  di  un  tempo  e
cio',  come   e'   noto,   e'   determinato   anche   dai   mutamenti
socio-culturali in atto. 
    La  privazione  della  liberta'   ma   soprattutto   l'esperienza
detentiva, seppur extrema ratio nel nostro sistema,  rappresenta  per
questi soggetti, un'esperienza forte e molto impegnativa dal punto di
vista emotivo. La carcerazione, per ogni individuo ed ancor piu'  per
un minorenne o giovane adulto, si caratterizza  come  esperienza  che
coincide con la perdita della liberta' individuale  e  della  propria
autonomia  nonche'  con  la  frattura   della   propria   continuita'
esistenziale, attraverso la sottrazione del soggetto al normale corso
della propria vita e alla sua rete affettiva e relazionale. 
    L'impatto psicologico dell'arresto e della carcerazione, la paura
dell'abbandono e della riprovazione da  parte  dei  familiari  e  del
contesto di appartenenza, lo stress quotidiano della vita  ristretta,
sono tutti elementi che inducono una particolare fragilita'  cui  non
sempre la fisiologica  resilienza  pone  un  argine.  Ed  e'  proprio
nell'immediatezza  dell'ingresso  nel  circuito  restrittivo   o   in
occasione di cambiamenti significativi delle condizioni detentive  o,
comunque,  limitative  della  liberta',  che  si  rileva  un  rischio
maggiore di condotte autolesive e/o suicidarie. Infatti, anche misure
meno afflittive come ad esempio  il  collocamento  in  comunita',  in
quanto  limitative   della   liberta'   personale,   possono   essere
considerate fattori di rischio  predisponenti  alla  elicitazione  di
agiti autolesivi e suicidari. 
    Relativamente   al   complesso    fenomeno    dell'autolesionismo
giovanile, e' giusto rilevare che  esso  puo'  assumere  innumerevoli
manifestazioni       con       fini        talvolta        unicamente
esibitivi/manipolativi/provocatori,   ma   altrettanto   spesso   con
l'obiettivo di scaricare, sul corpo e con il corpo, profonde  angosce
destrutturanti,  non   elaborabili   altrimenti.   Ovviamente,   tali
modalita',  in  situazioni  estreme  possono  pervenire   ad   agiti'
autolesivi autodiretti come espressione di negazione del se'. In ogni
caso, anche gli agiti interpretabili quali  modalita'  esibitive  e/o
manipolative/provocatorie, vanno, comunque, letti all'interno di  una
cornice  comunicativa  di  disagio  e/o  di  collasso  della  propria
capacita' autocontenitiva, e, pertanto, in sintesi, di difficolta' ad
intravedere e praticare altre modalita'  di  relazione/comunicazione,
maggiormente efficaci e funzionali. 
    Va altresi' evidenziato che  il  suddetto  fenomeno  puo'  essere
influenzato  da  fattori  correlati  alle  culture   dei   paesi   di
provenienza  e  dall'elevato  stress  vissuto  durante   l'esperienza
migratoria. Appare pertanto evidente la necessita' di una sempre piu'
elevata e qualificata attenzione nei confronti del rischio autolesivo
e suicidario nei servizi minorili, anche in considerazione del  fatto
che il fenomeno presenta un andamento in progressivo aumento,  ed  e'
di primaria importanza la conoscenza esatta ed il riconoscimento,  da
parte di tutti gli operatori che a vario titolo entrano  in  contatto
con i minorenni e giovani/adulti in carico ai servizi  minorili,  dei
fattori predisponenti al rischio e dei fattori scatenanti che portano
dall'ideazione all'atto violento auto-diretto. 
    Parimenti  fondamentale  appare  il  rafforzamento  dei   fattori
protettivi  che  possono  contribuire  anche  ad  un  aumento   della
resilienza e dell'autostima. 
    Per dare sistematicita' agli interventi in  materia,  quindi,  e'
fondamentale   l'adozione   di   procedure   formali   integrate   ed
interistituzionali che  agevolino  l'identificazione  e  la  gestione
delle situazioni a rischio, comunque di forte valenza comunicativa. 
    § 3 La struttura organizzativa: livelli di attuazione del  Piano,
funzioni e compiti. 
    Gli  interventi  finalizzati   alla   prevenzione   del   rischio
autolesivo e suicidario nei servizi minorili residenziali prevedono i
seguenti livelli organizzativi: 
      il livello centrale, costituito  dal  Tavolo  di  Consultazione
permanente, che puo' avvalersi del contributo del Sottogruppo tecnico
minorile, e' deputato a: fornire ed aggiornare gli indirizzi generali
per gli interventi integrati di prevenzione e riduzione  del  rischio
autolesivo e/o suicidario; proporre gli  indirizzi  generali  per  la
formazione congiunta  (DGMC,  Ministero  della  Salute  e  Regioni  e
PP.AA.) del personale; monitorare e valutare  la  piena  applicazione
degli indirizzi di cui al presente documento; curare la  raccolta  ed
il monitoraggio dei  dati  trasmessi  sia  dal  Dipartimento  per  la
Giustizia Minorile e di Comunita' ove, a tal fine, si costituira' una
specifica Unita' organizzativa, sia  dalle  Regioni,  per  quanto  di
competenza; diffondere i dati raccolti, attraverso report periodici e
definire linee di indirizzo formative meglio calibrate sulla  realta'
emergente; 
      il livello regionale,  costituito  dall'Osservatorio  Regionale
Permanente sulla Sanita' Penitenziaria, che  potra'  avvalersi  anche
dell'ausilio di uno specifico sotto-gruppo per  l'area  minorile,  e'
finalizzato   alla:   individuazione   dei    referenti    regionali;
predisposizione  e  o  aggiornamento  di  un  modello  di  protocollo
operativo regionale per la prevenzione dei  comportamenti  autolesivi
e/o suicidari; declinazione degli specifici indirizzi formativi sulla
scorta  delle  indicazioni  del  livello  centrale;  verifica   della
definizione  e  sottoscrizione  dei  protocolli   operativi   locali;
aggiornamento  e  monitoraggio  degli  stessi  il  cui  esito   sara'
trasmesso a livello  centrale;  raccolta  e  trasmissione  a  livello
centrale dei dati epidemiologici e delle buone prassi locali; 
      il livello locale, costituito dalle  Direzioni  degli  Istituti
Penitenziari minorili (IPM), dei Centri di Prima Accoglienza (CPA)  e
delle  Comunita'  Pubbliche  dell'Amministrazione   della   Giustizia
nonche' dalle  Direzioni  delle  Aziende  Sanitarie  Locali  sul  cui
territorio insistono i suindicati servizi  minorili.  Ad  esso  viene
chiesto  di  redigere,  aggiornare,  implementare  e   monitorare   -
conformemente alle direttive del livello centrale e  regionale  -  il
Piano Locale di Prevenzione.  Individua,  inoltre,  i  referenti  per
l'attuazione del Piano per la prevenzione del rischio autolesivo  e/o
suicidario, per ciascuna Amministrazione; organizza e/o  facilita  la
formazione  congiunta,  di  tipo  interistituzionale,  del  personale
operante; comunica gli esiti al livello regionale. 
    Al fine di costituire una rete  efficace  ed  efficiente,  appare
opportuno che ciascuna  Amministrazione,  nell'ambito  della  propria
autonomia funzionale e organizzativa,  nel  rispetto  della  leale  e
piena  collaborazione  interistituzionale,   individui   un   proprio
referente, per la specifica linea di  attivita',  anche  al  fine  di
fronteggiare adeguatamente le  situazioni  critiche  che  verranno  a
determinarsi. 
    Pertanto, a livello locale, ciascuna  ASL  e  Servizio  Minorile,
individuera',  con  specifico  mandato  formale,  un  referente   per
l'attuazione del Piano per la prevenzione del rischio autolesivo  e/o
suicidario anche per strutturare una reale presa in carico  integrata
da parte dei Servizi Sanitari e Sociali territorialmente  competenti.
Ogni Regione e CGM, territorialmente competenti, nominera' un proprio
referente per la  specifica  linea  di  attivita',  nell'Osservatorio
Regionale permanente di Sanita'  Penitenziaria,  eventualmente  anche
attraverso la costituzione di uno specifico sottogruppo minorile. 
    I livelli regionali avranno cura: 
      - di trasmettere al Tavolo di Consultazione Permanente gli atti
relativi alla costituzione formale della rete, con i  nominativi  dei
referenti regionali e locali,  nonche'  le  eventuali  modifiche  che
avverranno nel tempo; 
      - di informare il Tavolo dell'avvio dei lavori  di  definizione
e/o ridefinizione dei piani di prevenzione regionali e locali. 
    Al fine di  semplificare  quanto  detto,  si  riporta  un  quadro
sinottico: 
 
              Parte di provvedimento in formato grafico
 
    § 4 I Piani Locali di Prevenzione. 
    Il Piano Nazionale, elaborato anche alla  luce  del  monitoraggio
effettuato dal  Tavolo  di  Consultazione  Permanente  sulla  Sanita'
Penitenziaria sui protocolli e le prassi operative attive presso  gli
IPM e i CPA in materia di  prevenzione  del  rischio  autolesivo  e/o
suicidario, fornisce le linee direttrici per la definizione dei Piani
regionali e locali di prevenzione, che  dovranno  essere  redatti  in
piena sintonia con le indicazioni del documento «La  prevenzione  del
suicidio nelle carceri» stilato dall'O.M.S. (2007). 
    Alla luce delle predette indicazioni di  carattere  generale,  le
regioni  -  con  il  necessario  coinvolgimento   degli   Osservatori
regionali di sanita' penitenziaria -  avranno  cura  di  avviare  una
analisi per una revisione dei protocolli locali gia'  attivati  -  se
non conformi al  Piano  -  o  provvederanno  alla  definizione  degli
stessi, laddove non siano ancora stati predisposti e sottoscritti. 
    Nell'elaborazione dei Piani Locali in materia di prevenzione  del
rischio autolesivo e/o suicidario, si avra' cura di porre  in  essere
il  massimo  coinvolgimento  di  tutti   gli   attori   del   sistema
penitenziario e sanitario, compresa la componente detenuta,  al  fine
di attivare una rete di attenzione e collaborazione multidisciplinare
e interistituzionale  il  piu'  possibile  estesa  e  capillare,  che
consenta una effettiva prevenzione dei rischi attraverso  la  precoce
rilevazione di eventuali segnali  di  allarme  riguardo  a  possibili
azioni autolesive e/o suicidarie. 
    Relativamente  all'attivazione  di  una  rete  di  attenzione  ai
segnali ed alle richieste e di una collaborazione strutturata possono
distinguersi diverse aree operative: 
Area direttiva 
    Costituita da chi svolge le funzioni di governo della struttura e
a cui spettano le decisioni operative da intraprendere, in base  agli
elementi   di   conoscenza   che   la   rete   multidisciplinare    e
interistituzionale pone alla sua attenzione. 
Area dell'attenzione e del sostegno tecnico-clinico 
    Costituita da figure clinico-professionali che operano a  diretto
contatto con i detenuti e possono cogliere sintomi e/o  richieste  di
attenzione e cura: personale  sanitario  che  attivera',  secondo  le
specifiche professionalita', un  primo  sostegno  e  procedera'  alla
segnalazione    del    caso    alla    rete    multidisciplinare    e
interistituzionale. 
Area dell'attenzione e del sostegno tecnico-pedagogico 
    Costituita dal  personale  dell'area  pedagogica,  deputata  alle
relazioni educative significative con i minorenni  e  giovani  adulti
detenuti nonche' alla rilevazione ed al primo sostegno di  situazioni
di fragilita',  sofferenza  e/o  regressione  comportamentale.  Detto
personale   provvedera'   all'immediata   segnalazione   alla    rete
multidisciplinare/interstituzionale. 
Area dell'attenzione e del sostegno specialistico della sicurezza 
    Costituita dal personale di Polizia Penitenziaria  che,  in  piu'
costante e  continuativo  contatto  con  i  giovani  ristretti,  puo'
cogliere,  talvolta  piu'  tempestivamente,  eventuali   segnali   di
sofferenza  e  di  disagio  che  possono  evolvere  in  comportamenti
autolesivi e/o suicidari. I suddetti operatori,  oltre  ad  un  primo
sostegno, secondo la  specifica  professionalita',  avranno  cura  di
segnalare alla rete  multidisciplinare/interistituzionale  quanto  da
loro osservato. 
    Sono,   inoltre,   da    considerare    risorse    indispensabili
all'efficacia della rete multidisciplinare: 
      i volontari, i ministri di culto e gli  operatori  di  enti  ed
associazioni esterne che a vario titolo entrano  in  contatto  con  i
ragazzi, i quali possono intercettare casi di fragilita' e segnalarli
agli operatori sanitari e/o dell'Area tecnica; 
      i compagni alloggiati nella stessa stanza detentiva,  che  come
evidenziato   dall'OMS,   possono   raccogliere   manifestazioni   di
sofferenza ed allertare il personale penitenziario e/o sanitario. 
    Ogni    segnalazione    dovra'    pervenire    alla     Direzione
dell'Istituto/Servizio  che  provvedera'  all'immediata  convocazione
dell'equipe multidisciplinare ed interistituzionale per l'analisi del
caso  e  l'attivazione  di  un  programma  operativo.   L'attivazione
dell'equipe sara' immediatamente comunicata ai referenti  locali  per
il rischio autolesivo e suicidario sia  dell'area  penitenziaria  che
sanitaria. 
    Naturalmente, i Piani locali redatti dai CPA, dalle  Comunita'  e
dal competente Servizio Sanitario dovranno tener conto della  diversa
natura del contesto di riferimento.  Per  i  CPA  sara'  fondamentale
tener conto dei tempi limitati di permanenza del soggetto, oltre  che
della particolare condizione dei minorenni al  loro  primo  ingresso.
Per le Comunita' Ministeriali,  la  gestione  del  rischio,  pur  nel
rispetto dei principi indicati nel Piano, dovra' prevedere specifiche
modalita' calibrate sulla condizione di minor restrizione a cui  sono
sottoposti i minori e giovani adulti ospitati. 
    §  4.1  Indicazioni  operative  per  la  definizione  dei   Piani
operativi locali. 
    I  Piani  Locali  dovranno  prevedere  necessariamente,  ma   non
esclusivamente, un adeguato modello gestionale del  caso  a  rischio,
mediante: una valutazione  iniziale;  l'attivazione  della  presa  in
carico integrata; strumenti di rivalutazione in itinere dei  soggetti
a rischio autolesivo e/o suicidario e conseguente  ridefinizione  dei
programmi individualizzati; una chiara modalita' di  comunicazione  e
collaborazione della rete di attenzione e sostegno. 
Valutazione del rischio all'ingresso 
    Alla luce di quanto  contemplato  dall'Accordo  della  Conferenza
Unificata  del  19  gennaio  2012  e  considerati   gli   esiti   del
monitoraggio effettuato dal sottogruppo tecnico minorile  del  Tavolo
di  Consultazione  permanente  sulla  Sanita'  Penitenziaria,  appare
indispensabile che ogni IPM e CPA e Comunita' Pubblica  adottino  una
specifica   valutazione   individuale    del    rischio    autolesivo
e/o suicidiario, da espletarsi al massimo entro 24 ore  dall'ingresso
(dalla liberta', per trasferimento o altro) ed in itinere. Per i  CPA
il termine temporale dovra'  essere  necessariamente  piu'  breve  in
relazione alla permanenza del soggetto nel servizio.  L'attivita'  di
valutazione inziale, ampiamente articolata e  puntualmente  definita,
oltre agli aspetti psicologici, deve tenere in debita  considerazione
gli   aspetti    socio-familiari,    culturali    ed    etnici    dei
minorenni/giovani adulti, eventualmente, anche attraverso  l'utilizzo
di reattivi standardizzati, al fine di ridurre al minimo  il  fattore
soggettivo di  valutazione  del  rischio.  La  suddetta  valutazione,
ampiamente illustrata  dall'OMS  nel  documento  di  prevenzione  del
suicidio nelle carceri,  deve  intendersi  come  strumento  integrato
multidisciplinare e interistituzionale. I livelli di valutazione  del
rischio  dovranno  essere  stabiliti  anche  sulla  base  di  modelli
condivisi dalla letteratura scientifica. 
    Oltre  agli  indicatori  enunciati  dall'OMS   (fattori   comuni,
situazionali e psicosociali -  OMS  2007),  sono  stati  individuati,
attraverso  il  Monitoraggio  effettuato  dal   sottogruppo   tecnico
minorile del  Tavolo  Permanente,  altresi'  i  seguenti  fattori  di
rischio  che  dovranno   essere   presi   in   considerazione   nella
strutturazione del modello di valutazione iniziale e  nei  successivi
interventi sanitari e penitenziari: 
      disagio psichico; 
      stato  di  abuso   o   dipendenza   patologica   (ex   D.P.C.M.
12.01.2017); 
      la condizione di minore straniero non  accompagnato  (abbandono
forzato del  paese  di  origine,  essere  vissuti  in  situazioni  di
conflitto armato/guerra ecc.); 
      eventi critici familiari (abbandoni, separazioni, lutti); 
      violenze subite (maltrattamenti e abusi intesi sia  in  termini
di  trascuratezza,  incuria,  ipercura  e   abusi   psicologici   e/o
sessuali); 
      la presenza nel  funzionamento  psicologico  della  tendenza  a
comportamenti  antisociali,   eterolesivi   di   tipo   proattivo   e
premeditato. 
    Tale  strumento  sara'  utilizzato  all'interno  della  specifica
equipe  multidisciplinare  e  interistituzionale  per  definire   gli
opportuni interventi e sara' parte integrante del fascicolo personale
del detenuto. 
Segnalazione allarme e/o evento critico 
    Il  personale  che  opera  all'interno  della  struttura  ed   il
personale sanitario, rileveranno e riporteranno, attraverso  adeguate
procedure contemplate dal protocollo locale, le eventuali  condizioni
di fragilita' e sofferenza, identificabili come fattori di rischio  e
i  segnali  di  allarme  di  possibili  agiti  violenti  autodiretti.
Provvederanno, altresi', a segnalare gli eventi critici, sia in  fase
iniziale di ingresso che nel corso della permanenza  nella  struttura
minorile. Tale segnalazione sara' finalizzata, in caso di necessita',
all'attivazione dell'equipe multidisciplinare e interistituzionale. 
    Nei Piani di prevenzione locale sara'  posta  in  evidenza,  alla
rete di attenzione e sostegno degli  operatori  sopra  descritta,  la
necessita'  di  vigilare  i  seguenti  momenti/aspetti   della   vita
istituzionale: 
Colloqui e corrispondenza 
    L'assenza di  colloqui  visivi  e  telefonici,  nonche'  contatti
epistolari, con la famiglia o figure  di  riferimento  significative,
puo' essere considerato un fattore di rischio e pertanto va tenuto in
debita attenzione. Sara' necessario monitorare  anche  l'impatto  del
colloquio con il familiare sul minore e giovane adulto,  al  fine  di
rilevare eventuali criticita'  familiari.  Grande  importanza  assume
pertanto l'instaurazione di un buon livello  di  comunicazione  degli
operatori dell'Area tecnica con i familiari dei  detenuti,  ai  quali
vanno dedicati momenti specifici di ascolto. 
    Per i minorenni e i giovani adulti, per i quali non e'  possibile
effettuare i colloqui a causa della lontananza della famiglia,  sara'
indispensabile   garantire   diverse   e   soddisfacenti   forme   di
comunicazione quali ad esempio le video-chiamate. 
Processi e notifiche 
    Gli interventi  educativi  e  sanitari  non  possono  prescindere
dall'iter processuale che sta vivendo il minore/giovane adulto e  che
rende  indispensabile  un  costante  scambio  di  comunicazioni   tra
l'Ufficio Matricola, l'Area tecnica e l'Area Sanitaria. 
    Particolare  attenzione  da   parte   del   personale   dell'area
educativa, sanitaria e di sicurezza  sara'  posta  al  momento  della
notifica  degli  atti  giudiziari  a  forte  valenza   emotiva   che,
inevitabilmente, determinano una condizione di stress con  possibile,
consequenziale, agito autolesivo. 
    Il personale di scorta che accompagna  il  detenuto  all'udienza,
adeguatamente formato, riferira' all'educatore ed allo  psicologo  di
riferimento, se non presenti all'udienza,  le  eventuali  reazioni  e
comportamenti disfunzionali che  possono  costituire  un  segnale  di
allarme, offrendo nel contempo un primo intervento di sostegno  e  di
supporto. 
Dinamiche di gruppo 
    Tutte le aree operative (educativa,  sanitaria  e  di  sicurezza)
dovranno  porre  attenzione  alle  dinamiche  di  gruppo   segnalando
eventuali situazioni  di  allarme  al  fine  di  attivare  interventi
integrati e interprofessionali sia sul singolo che sul gruppo stesso.
Si segnala al riguardo che una condizione di rischio potrebbe  essere
identificata nelle dinamiche di  espulsione/prevaricazione/isolamento
da parte di altri detenuti. 
Dimissioni 
    Il momento della remissione in liberta' del  giovane  o  comunque
della modifica  della  misura  e'  particolarmente  delicato.  Appare
evidente che un adeguato programma di reinserimento sociale, in vista
dell'uscita, debba contemplare un potenziamento della  collaborazione
con l'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni, la presa in carico
da parte del Servizio sociale  territoriale  e,  ove  necessario,  da
parte dei  Servizi  Sanitari  territorialmente  competenti,  sia  del
soggetto interessato che della famiglia. 
    § 4.2 Anamnesi e gestione del soggetto a rischio. 
    Alla rilevazione della presenza  di  un  rischio  autolesivo  e/o
suicidario  deve  corrispondere  necessariamente  un   programma   di
gestione, oltre che trattamentale, del caso. 
    Le fasi del programma di gestione devono prevedere: 
      collocazione del soggetto nella stanza; 
      osservazione interprofessionale del soggetto; 
      verifica dell'eventuale possesso o  disponibilita'  di  oggetti
pericolosi; 
      interventi sanitari; 
      interventi educativi; 
      interventi di supporto da parte di peer supporter. 
    Appare indispensabile  declinare,  piu'  ampiamente,  alcuni  dei
suddetti aspetti. 
    In  ogni  caso  di  rilevazione  del   rischio   autolesivo   e/o
suicidario, sara' immediatamente  attivata  la  procedura  gestionale
integrata  prevista  nel  piano  locale  di   prevenzione,   con   le
indicazioni relative ai primi interventi di allocazione,  sostegno  e
controllo e all'individuazione delle figure professionali a tal  fine
preposte. 
    L'equipe  interdisciplinare  integrata,  composta  da   personale
educativo, sanitario e di sicurezza,  predisporra',  nel  piu'  breve
tempo possibile e comunque non oltre le 48 ore (il termine  temporale
dovra' essere valutato in  base  alla  permanenza  del  soggetto  nel
servizio), il piano di trattamento specifico che riduca il rischio di
agiti violenti autodiretti, lenendo il senso di sofferenza e  disagio
del soggetto. 
    Appare necessario sottolineare che,  attraverso  il  Monitoraggio
effettuato sulla base delle sperimentazioni  realizzate,  sono  stati
individuati una serie di elementi protettivi  che  contribuiscono  ad
arginare  i  fattori  stressogeni  e  quindi  a  ridurre  il  rischio
autolesivo. 
    L'equipe, pertanto, in  ogni  caso  di  rilevazione  del  rischio
autolesivo  e  suicidario  nel  definire  il  piano  di   trattamento
specifico, dovra' porre particolare attenzione ai seguenti aspetti: 
      all'instaurarsi di relazioni significative  con  gli  operatori
che hanno in carico il minore/giovane adulto  in  assenza  di  validi
legami familiari; 
      alla qualita' dell'integrazione nel gruppo dei pari; 
      alla   partecipazione   alle   attivita'   trattamentali,   sia
individuali che di gruppo e con l'incremento, laddove  possibile,  di
quelle sportive  nonche'  a  gruppi  esperienziali  con  tecniche  di
rilassamento utili alla gestione dei conflitti; 
      all'accesso  al  servizio  di  mediazione  culturale   e,   ove
possibile, di etnopsichiatria per i detenuti stranieri; 
      alla rapida attivazione dei  servizi  di  salute  mentale,  ove
necessario,  al  fine  di  ridurre  i  tempi  di  ruminazione   sulla
motivazione autolesiva e/o intenzionalita' anticonservativa; 
      all'accompagnamento al  culto,  laddove  emerge  un  sentimento
religioso; 
      al  collegamento  e  all'integrazione  con  la  rete  sanitaria
territoriale   ed    ospedaliera    territoriale    per    rispondere
tempestivamente  alle  esigenze  di  presa  in  carico  dei  soggetti
portatori di problematiche psichiche associate a rischio autolesivo e
suicidario; 
      alla consulenza e sostegno alle dinamiche familiari; 
      al controllo ambientale sotteso talvolta al gesto autolesivo. 
    Quanto fin qui evidenziato, debitamente  recepito  dalle  singole
realta'  Regionali,  sara'   declinato,   quindi,   negli   specifici
Protocolli Operativi Locali, con eventuali integrazioni, al  fine  di
meglio contestualizzare gli interventi. 
    § 5 Collocazione nella stanza detentiva. 
    Riguardo ai fattori di rischio autolesivo  e/o  suicidario  l'OMS
(2007) ha rilevato che «Esiste una forte  associazione  tra  suicidio
dei detenuti e  tipo  di  alloggio  assegnato.  Nello  specifico,  un
detenuto posto in isolamento, o sottoposto a  particolari  regimi  di
detenzione (specialmente in cella singola) e incapace di adattarvisi,
e' ad alto rischio di suicidio.» E ancora «l'alloggio in  isolamento,
seppure per ragioni necessarie, puo' comunque incrementare il livello
di rischio». 
    L'isolamento del detenuto a rischio autolesivo e/o  suicidario  e
la sua ubicazione in cella singola, con sorveglianza  a  vista,  deve
rappresentare una condizione straordinaria, salvo i casi in cui, come
indicato anche dall'OMS, il  soggetto  non  sia  isolato  per  motivi
giudiziari, sanitari o di tutela. 
    L'ubicazione in camere detentive ordinarie, in compagnia di altri
detenuti, consente alla persona a rischio, di trarre  benefici  dalla
presenza  e  sostegno   dei   compagni.   Allo   stesso   tempo,   la
partecipazione ad attivita' in comune o, ove questo  non  si  ritiene
opportuno, la realizzazione  di  attivita'  individualizzate,  potra'
contribuire ad attenuare condizioni di fragilita' e sofferenza. 
    § 6 Peer supporter. 
    L'esperienza ha dimostrato che spesso i compagni di  stanza  sono
coloro  che  per  primi  intervengono,  allertando  il  personale  di
sorveglianza ed evitando che gli agiti autolesivi possano esitare  in
veri  e  propri  tentati  suicidi.  Pertanto,  appare  indispensabile
valutare, con la dovuta attenzione, i detenuti da allocare in  stanza
con chi manifesta segnali di  allarme  rispetto  ad  eventuali  agiti
autolesivi  e/o  suicidari.  Sara'  l'equipe  interprofessionale   ed
interistituzionale a fornire  alla  Direzione  ed  al  Comandante  le
informazioni e le valutazioni utili ad individuare le persone  idonee
ad essere alloggiate  nella  stanza  con  il  giovane  a  rischio.  I
compagni, pertanto, rappresentano un'importante risorsa per  la  rete
di  attenzione  e  di  supporto.  Ad  essi  e'  auspicabile  che  sia
riservata, su base  volontaria,  la  possibilita'  di  partecipare  a
incontri formativi per lo  sviluppo  delle  capacita'  di  ascolto  e
collaborazione nei confronti dei soggetti a rischio. 
    § 7 Azioni immediate a seguito dell'evento. 
    Per fronteggiare l'evento critico e' indispensabile che  i  Piani
Operativi Locali prevedano una attenta codifica  delle  modalita'  di
comunicazione  dell'evento,  sia  all'interno  della  struttura   che
all'esterno, al fine di ridurre al minimo i tempi per un primo pronto
intervento. In  caso  di  tentato  suicidio  o  di  importanti  agiti
autolesivi, cosi'  come  espressamente  previsto  dall'OMS,  dovranno
essere disponibili e funzionanti le attrezzature per l'intervento  di
salvataggio/cura di emergenza. 
    In  tal  senso,   ogni   Servizio   residenziale   minorile   del
Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunita',  sara'  dotato
della presenza di un  defibrillatore  con  specifica  formazione  del
personale per il corretto e tempestivo utilizzo. 
    § 8 Debriefing post evento 
    Nei  Piani  locali  e'   necessario   prevedere   un   Debriefing
post-evento, allorquando si verifica un suicidio o  un  grave  evento
critico. L'equipe interprofessionale e interistituzionale, unitamente
ai referenti della prevenzione del Servizio  minorile  e  della  ASL,
dovra' avviare uno spazio di riflessione e rielaborazione finalizzato
a: indentificare i fattori di rischio e gli elementi  stressanti  che
possono  aver  portato  all'agito;  considerare   l'incidenza   delle
variabili  e   l'interazione   degli   interventi;   identificare   i
cambiamenti da attuare  per  migliorare  la  presa  in  carico  e  la
prevenzione degli agiti autolesivi o suicidari. Deve essere previsto,
altresi', uno spazio che consenta al personale coinvolto,  nel  pieno
rispetto della riservatezza, di  rielaborare  emotivamente  l'evento;
affrontare il senso di impotenza; programmare e realizzare  attivita'
di sostegno in  favore  dei  peer  supporter  ed  anche  degli  altri
detenuti. 
    § 9 Monitoraggio. 
    I livelli locale, regionale e centrale, ciascuno  nell'ambito  di
competenza, provvederanno  alla  rilevazione  dei  dati  relativi  al
fenomeno autolesivo e suicidario. 
    I dati raccolti a livello locale, verranno trasmessi, con cadenza
semestrale, per via gerarchica, al livello centrale che definira' una
griglia omogenea di rilevazione e individuera' modalita' uniformi  di
raccolta e analisi. 
    I Servizi Minorili avranno cura di  aggiornare  costantemente  la
Banca dati del Sistema Minorile, riguardo agli eventi  autolesivi  ed
ai  tentativi  di  suicidio  con  conseguente   miglioramento   della
conoscenza  del  caso,  anche  in  termini  di   agevolazione   degli
interventi operativi necessari a livello locale. 
    § 10 Formazione integrata. 
    Con il  D.P.C.M.  84/2015,  «Regolamento  di  organizzazione  del
Ministero della giustizia e riduzione  degli  uffici  dirigenziali  e
delle dotazioni organiche», la Direzione  Generale  della  Formazione
del Dipartimento  dell'Amministrazione  Penitenziaria  e'  competente
anche per la formazione del personale afferente al  Dipartimento  per
la Giustizia Minorile e di Comunita'. Pertanto,  nella  premessa  del
«Piano Nazionale per la prevenzione  delle  condotte  suicidarie  nel
sistema penitenziario per  adulti»  (Repertorio  Atti  n.  81/CU  del
27.07.2017) si afferma che quanto previsto  riguardo  la  formazione,
attiene anche al personale del DGMC, tenendo conto della specificita'
del  contesto  e  delle  esigenze  rappresentate  dall'utenza  penale
minorile. 
    Tra le aree oggetto di approfondimento, si riportano quelle  gia'
indicate nel succitato Piano Nazionale, ossia: 
      Struttura del Piano Nazionale per la Prevenzione delle Condotte
Suicidarie in Ambito Penitenziario. 
      Elementi fenomenologici del suicidio e degli eventi autolesivi. 
      Le indicazioni dell'O.M.S. 
      Modello operativo generale. 
      Laboratorio di progettazione. 
      Fattori ambientali,  psicologici  e  comportamentali  specifici
predisponenti ai comportamenti suicidari. 
      Benessere organizzativo e ricadute sugli operatori. 
      Temi inerenti strategie di comunicazione e relazione. 
    Vista la specificita' del contesto, la formazione  del  personale
minorile dovra' prevedere anche le seguenti tematiche: 
      Il comportamento autolesivo in adolescenza; 
      Elementi di etnopsichiatria e di antropologia culturale; 
      Autolesionismo e psicopatologia; 
    Tutto il personale costantemente a contatto con i  detenuti  deve
essere formato anche al primo soccorso ed alle fondamentali  tecniche
di rianimazione  cardio-polmonare,  nonche'  addestrato  all'utilizzo
delle attrezzature di emergenza collocate nell'Istituto/Servizio.