(all. 2 - art. 1)
                                                           Allegato 2

           IL PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2005-2007
Premessa
L  Negli  ultimi  decenni  abbiamo assistito ad un aumento della vita
media ed ad una modifica delle cause di morte in Italia con l'aumento
considerevole  delle  malattie  cronico degenerative e dei tumori. La
crescente  incidenza delle malattie croniche e delle loro complicanze
fa  si'  che  il peso finanziario di queste patologie, che si scarica
sul  Servizio  Sanitario Nazionale, nell'arco di un decennio diverra'
insostenibile. Le patologie croniche sono in larga misura prevenibili
e  questo  giustifica  la  necessita'  di definire un piano nazionale
della  prevenzione. Tutti i paesi avanzati, proprio in considerazione
dei   costi  legati  alle  malattie  cronico-degenerative  si  stanno
attivando,  per  attuare riforme strutturali, sanitarie e di welfare,
tali da consentire che questa prevenzione abbia luogo (1).
La  Legge  finanziaria  2005  ha  previsto  tra  gli obiettivi che le
Regioni  devono  conseguire, al fine di ottenere il conguaglio del 5%
del  Fondo  Sanitario  Nazionale,  l'attivazione  del Piano Nazionale
della   Prevenzione   e   del   Piano   nazionale  della  formazione.
L'importanza  di  attivare un piano per la prevenzione era gia' stata
condivisa   dalle  Regioni  che  avevano  sottoscritto  l'accordo  di
Cernobbio  del  6/4/2004  sulle  priorita'  in sanita', tra queste la
prevenzione.   Gli   interventi  di  prevenzione,  sia  primaria  che
secondaria,  che  gli  interventi  di  educazione  e promozione della
salute in Italia, sono effettuati da diversi anni, ma le modalita' di
attivazione  di  tali interventi, anche di quelli la cui efficacia e'
documentata  scientificamente,  e'  stata  realizzata  in  modo molto
difforme  dalle singole Regioni. Inoltre alcuni mutamenti normativi e
l'evoluzione    tecnico-scientifica,    con    particolare   riguardo
all'affermarsi  della metodologia di Evidence Based Prevention, hanno
delineato  una  diversa  evoluzione, anche di tipo organizzativo, dei
Servizi  di Prevenzione. Cosi' oggi rileviamo che in Italia solo poco
piu'  della  meta'  dei  soggetti  nelle  fasce  di eta' a rischio si
sottopone  agli screening per la diagnosi precoce dei tumori del seno
e  dell'utero.  Quello  che  serve  e',  quindi, un coordinamento che
permetta di conseguire, in tutto il Paese uniformemente, obiettivi di
salute tali, da garantire che tutti i cittadini aventi titolo possano
accedere  ai  servizi di diagnosi precoce e di prevenzione e, quindi,
ottenere  un risparmio di vite umane e una riduzione delle patologie.
Pur  nel  rispetto  delle  peculiarita'  regionali,  vi  e'  comunque
l'esigenza  che  le diverse esperienze e scelte organizzative abbiano
un  momento  di  confronto  e coordinamento ed anche siano condivise,
relativamente  ai principali interventi e strategie preventive, fermo
restando  la  responsabilita'  da  parte  delle Regioni di procedere,
nell'ambito   della  propria  autonomia  organizzativa,  a  prevedere
specifici   progetti  sulla  base  delle  conoscenze  epidemiologiche
caratterizzanti le diverse realta' regionali.
Sul  piano  nazionale  della  prevenzione  si  concentrano,  inoltre,
risorse  mai  considerate  precedentemente,  derivabili  dalla  quota
vincolata  agli  obiettivi prioritari del piano sanitario nazionale e
da  altre  risorse  individuate dal Governo per interventi specifici,
quali quelle individuate dalla legge n. 13 8 del 2004.
Perche'  si  possano valutare gli effetti di un piano di prevenzione,
e'  necessario  che  lo stesso abbia un respiro almeno triennale, per
permettere  la  messa  a regime degli interventi. Per questo il piano
nazionale  della  prevenzione  va  disegnato,  per  essere fattibile,
prevedendo  accanto  agli  obiettivi  triennali una gradualita' degli
interventi  che porti a regime l'intero piano nel periodo considerato
e che individui le priorita' rispetto ai diversi campi di azione.
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          (1)   Con   la  comunicazione  COM/99/0347  "Una  strategia
          concertata  per  modernizzare  la  protezione  sociale", la
          Comnussione Europea ha individuato nel 1999 alcun obiettivi
          fondamentali,   tra   i  quali  quello  della  prevenzione,
          (promuovendo  misure  attive e non passive) e quello di una
          rete  di sicurezza sociale, suggerendo agli Stati Membri lo
          scambio  delle  esperienze  e  la  valutazione  periodica e
          sistematica  delle  politiche  attuate. Questi suggerimenti
          sono  stati  recepiti  nel 2000 dal Consiglio straordinario
          dei  Capi  di.  Stato  e  di  Governo  a Lisbona, che hanno
          indicato  tra gli obiettivi dell'Europa un migliore sistema
          di  welfare  come fattore di sviluppo e di coesione sociale
          in un contesto di crescente competitivita' internazionale.

2. Gli ambiti del Piano nazionale della prevenzione 2005-2007
Gli  ambiti  del  piano  nazionale  di  prevenzione  per  il triennio
2005-2007  sono  quelli  gia'  previsti nell'accordo di Cernobbio: la
prevenzione  della  patologia cardiovascolare, e la prevenzione delle
complicanze   del   diabete;  la  diagnosi  precoce  dei  tumori,  le
vaccinazioni;   a  tali  ambiti  va  aggiunta  la  prevenzione  degli
incidenti,  ivi  compresi  gli  incidenti domestici, per l'impatto in
termini  di  anni di vita persi e di invalidita'. Di ognuno di questi
temi  si  delineano  le  linee  strategiche  e  gli obiettivi attesi,
rimandando  l'elaborazione delle schede attuative al Centro nazionale
per la prevenzione e il controllo delle malattie
2.1) La prevenzione cardiovascolare.
Per  iniziare  il  programma  di  prevenzione cardiovascolare sono da
considerarsi quattro distinte iniziative:
1) la diffusione della carta del rischio a gruppi di soggetti,
2)  la  prevenzione  dell'obesita'  nelle donne in eta' fertile e nel
bambino;
3)  la  prevenzione  attiva  delle complicanze del diabete di tipo II
nell'adulto e nel bambino, aumentando la cornpliance del paziente,
4)  la  prevenzione  delle recidive nei soggetti che gia' hanno avuto
accidenti cardiovascolari, cosicche' questi non si ripetano.
2.1.1  Quale  strumento  estremamente  valido  per la definizione del
rischio cardiovascolare, si propone l'utilizzo della cosiddetta carta
del  rischio,  in  quanto consente di offrire al soggetto in esame la
conoscenza  delle  probabilita'  di  andare  incontro, nei successivi
dieci  anni,  a  un  incidente  cardiovascolare in base ai fattori di
rischio  che  caratterizzano la sua vita. La consapevolezza acquisita
del  possibile  aumento del rischio in misura considerevole induce il
soggetto in esame a chiedere consiglio al medico su come modificare i
propri  stili di vita, cosi' da abbassare il rischio, e questa e' una
occasione  estremamente  favorevole  per  consigliare  al soggetto in
esame su come comportarsi e tutelare meglio la propria salute.
L'Istituto Superiore di Sanita' ha definito i fattori di rischio e il
peso  di  ognuno  di  essi,  costruendo  la carta del rischio in base
all'esame  di una coorte italiana, evitando quindi di dover importare
dall'estero  e tipicamente dallo studio Franringharn questi elementi,
che  a  volte  non  si  adattano bene alla nostra gente. I fattori di
rischio  considerati  dalla  carta  sono  sei (eta', fumo di tabacco,
colesterolemia  totale  e  livello  di  HDL  colesterolo, i valori di
pressione   arteriosa   sistolica,   l'iperglicemia)   e  considerano
separatamente uomini e donne, soggetti diabetici e non diabetici .
Il  Centro  nazionale  per  la  prevenzione  e  la sorveglianza delle
malattie  individuera'  le  linee  operative per l'applicazione della
carta, che potra' prevedere, in fase di avvio, anche l'individuazione
di  eventuali  gruppi  target  specifici.  Sara' necessario prevedere
anche  una  formazione  specifica  e  l'attivazione  di un sistema di
registrazione  dei  dati, per la valutazione di efficacia e per studi
epidemiologici.  In  fase  di  elaborazione  delle  schede  attuative
saranno  anche  individuate  le modalita' per dare avvio al programma
nelle singole realta' regionali.
2.1.2  La  prevenzione  dell'obesita'  nelle  donne  in  eta' fertile
agevola  fortemente  la  prevenzione  del  diabete  di tipo II per la
stessa  donna,  ma  anche  la  prevenzione dello sviluppo del diabete
nell'eventuale  nuovo  nato.  E'  quindi  giustificato  un intervento
preventivo,  che  si  basa  su  semplici  elementi di prevenzione: lo
screening sistematico da parte del medico di famiglia, ma anche dalla
donna  su se stessa con indicatori di obesita', ricordando che per un
test  di  semplice  adozione si puo' fare ricorso a misure fortemente
indicative,  quali  quelle  dell'Indice  di Massa Corporea (BMI) e la
circonferenza addominale.
Questo approccio potra' permettere un'ampia attivita' di prevenzione,
ma  sopratutto  consentira'  di  mirare  l'intervento preventivo alle
persone realmente a rischio.
2.1.3  Per  quanto  riguarda  la prevenzione del diabete di tipo II e
delle  sue  complicanze  si tratta di un'iniziativa che e' perseguita
gia'  in  altri  Stati  e  tipicamente negli Stati Uniti dalla Kaiser
Permanente  in  California.  Si  tratta  innanzitutto  di  censire la
popolazione  affetta  da  diabete di tipo II, che in grande misura e'
inconsapevole di avere questa patologia.
Spesso  il diabete di tipo II si associa all'obesita' in una sindrome
chiamata  Diabesity  e,  quindi,  e'  soprattutto  a  questo  tipo di
popolazione   che  si  deve  rivolgere  l'attenzione.  Il  censimento
periodico  della popolazione consente anche di monitorare la crescita
dell'incidenza  di  questa  patologia  e di attivare dei programmi di
prevenzione  delle  complicanze. Sappiamo infatti che questi pazienti
inizialmente  collaborano  attivamente  con  il  medico,  ma poi, con
l'andare  del  tempo, la compliance alle indagini e alla terapia cala
in  maniera  pericolosa.  Importante  e'  la funzione di sostegno del
medico  che  gli  permette  di  tenere  sotto  controllo il gruppo di
pazienti e di coinvolgerli attivamente nel programma terapeutico.
Anche   in   questo   caso   la   comunicazione   medico-paziente   e
istituzione-paziente    e'    fondamentale.   Le   schede   attuative
individueranno le modalita' per dare avvio al programma nelle singole
realta'  regionali.  Va ricordato, infine, che il diabete dei bambini
sta  diventando  un problema anche in Italia e quindi il programma si
deve  estendere  anche  ai bambini e in particolare ai bambini obesi.
Come  si  puo'  notare  questo programma si integra facilmente con il
primo, perche' il diabete e' uno dei fattori di rischio inclusi nella
carta del rischio.
2.1.4 Il quarto oggetto della prevenzione cardiovascolare riguarda le
recidive  di  coloro  che  hanno gia' avuto un primo accidente, sia a
livello cardiaco, sia a livello cerebrale. In questi casi le societa'
scientifiche  raccomandano  un  trattamento adeguato, che consente di
ritardare o prevenire l'occorrenza di un secondo incidente.
2.2) Screening dei tumori.
Gli  screening  dei  tumori  validati sono oggetto di raccomandazione
Europea e sono tre:
1)screening del tumore del seno;
2)screening del cancro della cervice uterina;
3)screening del cancro del colon retto.
Per  ognuno  di  questi  screening e' necessario attivare programmi e
coordinare  le  azioni,  in  modo  da  sollecitare  in modo attivo la
popolazione alla partecipazione ai programmi di prevenzione.
Anche  in  questo  caso  la  figura  del  medico di famiglia e' molto
importante,   in  quanto  il  medico  di  famiglia  puo'  sollecitare
l'attenzione di queste persone e effettuare un adeguato counselling.
Fondamentale  elemento,  perche'  la  campagna  di  screening risulti
efficace, e' definire il percorso per i soggetti positivi, in modo da
evitare  perdite  di  tempo  e  tracciare dei percorsi prioritari per
questi  pazienti,  affinche'  risolvano  il  loro problema, arrivando
rapidamente ad una diagnosi certa.
Altro  punto  importante  e'  che gli screening vengano effettuati in
condizioni  nelle quali sono garantite la qualita' delle attrezzature
e delle procedure.
E'  compito  della  Regione  disegnare  questa  rete  dei  Centri  di
screening e valutare la qualita' e quantita' del loro lavoro.
La  comunicazione  istituzionale unica e centralizzata, infine, evita
di disperdere risorse in inutili campagne e in inutili pubblicazioni,
permette   di  rendere  molto  efficace  questa  comunicazione,  onde
raggiungere  tutta  la  popolazione  e  appoggiare la campagna che la
Regione effettua.
2.3) Prevenzione degli incidenti
Gli  incidenti  sono la prima causa di morte nei giovani. Nei giovani
la maggiore causa di morte e' legata agli incidenti stradali.
Per quanto riguarda gli anziani, sappiamo che gli incidenti domestici
sono cause prevenibili di disabilita' e di mortalita' molto rilevanti
come pure per i bambini.
La  problematica  degli  incidenti  domestici,  che colpiscono alcune
fasce  di  popolazione particolari, come bambini e anziani, assume un
rilievo  consistente  in termini sia di morbosita' che di mortalita'.
Benche'  tale fenomeno non sia completamente azzerabile, vi sono ampi
margini per intervenire e prevenirne una buona parte.
Una  prima  tipologia  di  interventi  riguarda  il  censimento degli
infortuni:  molta  parte  degli interventi avviati in diverse Regioni
hanno  attinto ai dati del Pronto Soccorso, tuttavia ulteriori sforzi
dovranno    essere   attuati   per   una   maggior   completezza   ed
approfondimento dei dati
La  comunicazione  istituzionale,  ovviamente,  avra'  il suo ruolo e
ancora  una  volta  la comunicazione dovra' essere centralizzata onde
evitare inutili dispersioni di risorse.
2.4) Piano delle vaccinazioni.
Le  coperture  vaccinali  raggiungono un risultato insoddisfacente in
alcune  Regioni, non raggiungendo i valori-soglia, specifici per ogni
malattia,   che   ne  garantirebbero  l'eliminazione.  Si  tratta  in
particolare  delle  vaccinazioni  raccomandate  per  i  bambini  e in
particolare la vaccinazione anti morbillosa, cosicche' ancora oggi in
Italia  il  morbillo e' una malattia che miete vittime e che comporta
patologia.
Fermo restando i contenuti del Piano Nazionale per l'eliminazione del
morbillo e della rosolia congenita di cui all'accordo Stato - Regioni
del  13  novembre 2003, e l'iter di aggiornamento del Piano nazionale
vaccini,  richiamato  dal  DPCM  29 novembre 2001, occorre richiamare
l'importanza  delle  anagrafi  vaccinali,  cosi' da poter valutare la
necessita'  e  gli  effetti  delle  campagne  vaccinali, in atto e da
implementare,  e  condividere criteri per la scelta dei nuovi vaccini
fondati  sull'EBP  e su scelte che ne graduino la priorita'; definire
l'offerta  essenziale  del  calendario vaccinale e dei vaccini per le
categorie   particolari,   lasciando   alle   Regione   l'opzione   e
l'introduzione   di  altri  preparati,  in  relazione  a  particolari
condizioni epidemiologiche.
Per  quanto riguarda gli anziani le vaccinazioni piu' importanti sono
quelle  antiinfluenzale  e  quella  anti pneumococcica, benche' - per
quanto riguarda quest'ultima - le piu' recenti revisioni sistematiche
ne  mettano  in  discussione  l'efficacia:  si  trattera', dunque, di
implementare nuove azioni che raccordino i dati epidemiologici con le
strategie. Anche qui vi e' una forte azione da svolgere d'accordo con
i  medici  di  medicina  generale e tramite la comunicazione di massa
centralizzata,  onde  evitare  che in Italia gran parte degli anziani
non si vaccini contro l'influenza e vada incontro a pesanti patologie
e mortalita' durante l'inverno.
3. D coordinamento del Piano
3.1)  Al  Centro  Nazionale  per la prevenzione ed il controllo delle
malattie (CCM), tra i cui compiti istitutivi prioritari, di cui al DM
1  °  luglio  2004,  e'  previsto il coordinamento con le Regioni dei
piani  di  sorveglianza  e  di  prevenzione  attiva,  sono affidati i
seguenti  compiti,  da  attuarsi  con  la  partecipazione diretta dei
propri comitati scientifico e tecnico per le specifiche competenze:
a)  traduzione delle linee generali di intervento sopra richiamate in
linee operative, prevedendo, con la partecipazione dei propri organi,
che   per   i  programmi  non  ancor  validati  scientificamente  sul
territorio  nazionale, sia possibile attuare dei progetti pilota, per
verificarne l'impatto prima della messa a regime;
b)  definizione  di  un  cronoprogramma  di sviluppo degli interventi
previsti nei programmi specifici, che individui le fasi di attuazione
e le modalita' di verifica dell'attuazione dei singoli programmi;
c)  supporto  alle  singole  Regioni, nella definizione dei programmi
regionali attuativi;
d)  diffusione  delle  iniziative  e  dei progetti di cui al presente
Piano,  in modo univoco e unificato sul territorio nazionale, al fine
di evitare iniziative che si sovrappongano e ulteriori risorse.
4. Finanziamento del Piano
4.1)  Sul  Piano  Nazionale della Prevenzione, che parte nel 2005, si
concentrano  risorse  mai considerate precedentemente e che prevedono
l'importo  di  240  milioni  di  curo  che  le  Regioni  accettano di
vincolare  sulla  quota  del  riparto  CIPE  destinata agli obiettivi
specifici  del  Piano  Sanitario Nazionale, ai sensi dell'articolo 1,
comma 34, della legge 27 dicembre 1992, n.662. Tale quota corrisponde
al  25% della quota delle risorse spettante a ciascuna Regione per il
raggiungimento degli obiettivi di piano.
Oltre a tali risorse le Regioni condividono di mettere a disposizione
risorse ulteriori per un ammontare di 200 milioni di euro, attingendo
la quota indistinta della delibera CIPE per ciascuno degli anni 2005,
2006 e 2007.
Le risorse cosi' disponibili sono riportate nella seguente tabella:

         ---->   Vedere Tabella a pag. 24 della G.U.  <----