Ai comuni
                                    e, per conoscenza:
                                  Alle   direzioni   regionali  delle
                                  entrate
                                  All'Associazione    nazionale   dei
                                  comuni italiani (ANCI)
  Pervengono  alla  scrivente  numerose  richieste  di chiarimenti in
ordine  all'applicazione  del canone o diritto per i servizi relativi
alla  raccolta,  l'allontanamento,  la depurazione e lo scarico delle
acque,  determinate soprattutto dalle varie modifiche legislative che
ne hanno da ultimo sancito la natura non tributaria.
  Per  affrontare  con chiarezza la materia e' opportuno ripercorrere
preliminarmente   l'evoluzione   normativa,   che   risulta,  invero,
costituita  da un sovrapporsi di disposizioni che hanno spesso creato
problemi applicativi.
1. L'evoluzione normativa.
  Il canone o diritto era inizialmente disciplinato dagli articoli 16
e  17  della  legge  10  maggio  1976, n. 319, recante: "Norme per la
tutela delle acque dall'inquinamento".
  L'art.  16, stabiliva, al comma 1, che "Per i servizi relativi alla
raccolta,  l'allontanamento,  la depurazione e lo scarico delle acque
di  rifiuto  provenienti  dalle  superfici e dai fabbricati privati e
pubblici, ivi inclusi stabilimenti e opifici industriali, a qualunque
uso  adibiti,  e'  dovuto agli enti gestori da parte degli utenti, il
pagamento di un canone o diritto secondo apposita tariffa".
  La tariffa in questione si componeva di due parti, di cui:
    la   prima  era  relativa  al  servizio  di  fognatura  e  veniva
determinata  in  rapporto  alla  quantita'  di  acqua  effettivamente
scaricata;
    la   seconda  riguardava  il  servizio  di  depurazione,  ed  era
determinata  in  base alla quantita', e, per gli scarichi provenienti
dagli  insediamenti  produttivi,  in  base  alla qualita' delle acque
scaricate.
  Il  successivo  art.  17,  fissava  i criteri per la determinazione
delle due quote della tariffa.
  La  disciplina  del  canone  o  diritto  e'  stata  completata  con
l'inserimento delle integrazioni recate dal decreto-legge 28 febbraio
1981,  n.  38,  convertito  dalla  legge 23 aprile 1981, n. 153, che,
oltre  a  sostituire gli articoli 16 e 17, ha inserito nella legge n.
319 del 1976:
    l'art.   17-bis   che   stabiliva   le   norme  generali  per  la
predisposizione della formula tipo per la determinazione del canone e
l'applicazione  della  tariffa  dovuta  per  le  acque provenienti da
insediamenti produttivi;
    l'art.   17-ter   nel   quale   erano   contenute  le  norme  per
l'accertamento,  la  riscossione,  il  contenzioso  e le sanzioni del
canone.
  Gli articoli 17-bis e 17-ter sono stati abrogati dall'art. 32 della
legge  5  gennaio 1994, n. 36 (la cosiddetta "legge Galli"), che, nel
prevedere  la costituzione del servizio idrico integrato, organizzato
sulla  base di ambiti territoriali ottimali, ha fissato, all'art. 14,
i  criteri  per  la determinazione delle quote della tariffa prevista
per il servizio di fognatura e di depurazione.
  L'abrogazione  dei  suddetti  articoli  aveva pero' creato un vuoto
normativo  relativamente  all'accertamento,  alla  riscossione,  alle
sanzioni  ed  al  contenzioso  del canone, che e' stato colmato dalla
legge   17   maggio 1995,  n.  172,  che  ha  aggiunto,  in  sede  di
conversione,  il  comma  3-bis  all'art. 2 del decreto-legge 17 marzo
1995,  n.  79.  Detta  disposizione,  che  inserisce  l'ultimo  comma
dell'art.  17  della  legge n. 319 del 1976, stabilisce, tra l'altro,
che  "Fino all'entrata in vigore della tariffa fissata dagli articoli
13, 14 e 15 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, per l'accertamento del
canone  o diritto, continuano ad applicarsi le disposizioni del testo
unico  per la finanza locale approvato con regio decreto 14 settembre
1931,  n. 1175, in quanto compatibili, e la riscossione e' effettuata
ai  sensi  degli  articoli  68  e 69 del decreto del Presidente della
Repubblica  28 gennaio  1988, n. 43, previa notificazione dell'avviso
di liquidazione o di accertamento".
  Occorre precisare che le modifiche sostanziali hanno interessato il
sistema  della riscossione, poiche' e' stata disposta la sostituzione
dell'ingiunzione  fiscale,  prevista  in  precedenza,  con  il  ruolo
coattivo  di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del
1988.
  Il successivo intervento normativo e' stato effettuato dall'art. 3,
comma  42,  della  legge  23 dicembre 1995, n. 549, che limitatamente
alla  quota  di  tariffa  riferita  al  servizio  di  depurazione  ha
stabilito  che  "In  attesa  dell'entrata in vigore della tariffa del
servizio  idrico  integrato,  prevista  dall'art.  13  della  legge 5
gennaio  1994,  n.  36,  la  quota di tariffa riferita al servizio di
depurazione di cui all'art. 14, comma 1, della citata legge n. 36 del
1994,  e' determinata secondo le modalita' stabilite per categorie di
utenti  ai  commi  43,  44,  45,  46 e 47 del presente articolo ed e'
riscossa  dai  comuni  o  loro  consorzi secondo le procedure fiscali
vigenti in materia di canoni di fognatura e di depurazione".
  In  sostanza  con  detta  norma  venivano  superate le disposizioni
contenute  nell'art.  17  della  legge n. 319 del 1976, relativamente
alla  quota  di  tariffa  riferita  al  servizio  di depurazione, ma,
persistendo la natura tributaria di questa quota di tariffa, venivano
fatte  salve  le disposizioni dell'ultimo comma dello stesso art. 17,
che, come precisato, atteneva alla disciplina fiscale del canone.
  Con  l'art.  31, comma 28, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e'
stato  poi  stabilito  che  "A  decorrere  dal  1o  gennaio  1999  il
corrispettivo  dei  servizi di depurazione e di fognatura costituisce
quota  di  tariffa  ai  sensi  dell'art.  13 e seguenti della legge 5
gennaio  1994,  n.  36. Sono conseguentemente abrogati l'ultimo comma
dell'art. 17 della legge 10 maggio 1976, n. 319, introdotto dall'art.
2,  comma  3-bis, del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79, convertito,
con modificazioni, dalla legge 17 maggio 1995, n. 172, nonche' l'art.
3, comma 42, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, limitatamente alle
parole: "secondo le procedure fiscali vigenti in materia di canoni di
fognatura e di depurazione".
  Il  successivo  comma 29 del citato art. 31 ha dettato disposizioni
in ordine ai criteri, ai parametri ed ai limiti per la determinazione
e  l'adeguamento  delle  tariffe  del  servizio  acquedottistico, del
servizio  di fognatura e per l'adeguamento delle tariffe del servizio
di   depurazione,   che   fino   all'entrata  in  vigore  del  metodo
normalizzato, devono essere fissati con deliberazione del CIPE.
  E'  opportuno  precisare  che con le norme sopra riportate venivano
definitivamente superate le disposizioni contenute:
    nell'art.  17  della  legge  n.  319 del 1976, relativamente alla
quota  di tariffa riferita al servizio di fognatura che, diversamente
dalla  quota  di tariffa riferita al servizio di depurazione, non era
stata modificata dall'art. 3, comma 42, della legge n. 549 del 1995;
    nell'ultimo  comma  dell'art.  17  della  legge  n. 319 del 1976,
relativo  alla  disciplina fiscale del canone. Infatti dal 1o gennaio
1999  il  canone  non  ha  piu'  natura tributaria. A rafforzare tale
indicazione e' intervenuto l'art. 6, comma 13, della legge 13, maggio
1999,  n. 133, che ha stabilito che "Le somme dovute per i servizi di
fognatura  e  depurazione  resi dai comuni fino al 31 dicembre 1998 e
riscosse   successivamente   alla  predetta  data  non  costituiscono
corrispettivi   agli   effetti  dell'IVA".  Tale  precisazione  trova
fondamento  proprio  nella  natura  tributaria che il canone ha avuto
fino  al  31 dicembre  1998,  sul cui importo non poteva naturalmente
applicarsi il tributo erariale;
    nell'art.  3, comma 42, della legge n. 549 del 1995 limitatamente
alle  parole:  "secondo  le  procedure  fiscali vigenti in materia di
canoni di fognatura e di depurazione".
  Da  quanto fin qui esposto deve ritenersi che anche le disposizioni
contenute  nell'art.  16  della  legge n. 319 del 1976, sono state di
fatto superate dai continui interventi operati dal legislatore.
  In  questo  coacervo  di  norme  bisogna infine inserire l'art. 62,
commi  5  e  6,  del  decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, che
dispongono:
  "5.  L'abrogazione  degli  articoli  16  e 17 della legge 10 maggio
1976,  n.  319,  cosi'  come  modificato ed integrato', quest'ultimo,
dall'art.  2, commi 3 e 3-bis del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79,
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 1995, n. 172, ha
effetto dall'applicazione della tariffa del servizio idrico integrato
di  cui  agli  articoli  13 e seguenti della legge 5 gennaio 1994, n.
36";
  "6. Il  canone  o  diritto di cui all'art. 16 della legge 10 maggio
1976,  n.  319,  e successive modificazioni continua ad applicarsi ai
presupposti di imposizione verificatisi anteriormente all'abrogazione
del  tributo  ad  opera del presente decreto. Per l'accertamento e la
riscossione   si   osservano  le  disposizioni  relative  al  tributo
abrogato".
  Bisogna poi aggiungere che l'art. 63, comma 1, dello stesso decreto
legislativo  n. 152 del 1999 ha abrogato espressamente l'intera legge
n. 319 del 1976.
  La contemporanea esistenza delle norme appena citate che sanciscono
da  un lato l'ultrattivita' degli articoli 16 e 17 della legge n. 319
del 1976 e dall'altro la graduale eliminazione degli stessi articoli,
definitivamente  avvenuta  il  1o gennaio 1999 ad opera del comma 28,
dell'art.  3,  della  legge n. 448 del 1998, hanno creato molti dubbi
sulla  concreta  operativita'  delle  norme e sulla natura stessa del
canone. La confusione e' destinata pero' a venir meno a seguito delle
modificazioni  introdotte  dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
258  (pubblicato  nel  supplemento  ordinario  n. 153/L alla Gazzetta
Ufficiale  del  18  settembre  2000,  n. 218), recante: "Disposizioni
correttive  e  integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n.
152,  in  materia  di  tutela  delle acque dall'inquinamento, a norma
dell'art.  1,  comma  4,  della  legge  24  aprile 1998, n. 128", che
all'art.  24, comma 1, lettera a), prevede l'eliminazione dei commi 5
e  6 dell'art. 62, proprio perche' fanno riferimento agli articoli 16
e  17 della legge n. 319 del 1976, che, in concreto, erano gia' stati
implicitamente abrogati.
  E'  tuttavia  necessario  precisare  che l'eliminazione del comma 6
dell'art.  62 del decreto legislativo n. 152 del 1999, non pregiudica
l'applicazione  delle disposizioni recate dall'abrogato art. 16 della
legge  n. 319 del 1976 ai presupposti di imposta verificatisi fino al
31  dicembre  1998,  poiche'  gli  effetti  da  esse  scaturenti sono
comunque  assicurati dai principi generali dell'ordinamento giuridico
(tempus regit actum).
2. Particolari problemi applicativi.
a) I  soggetti  passivi  ed  il  presupposto  impositivo del canone o
diritto.
  Molti   sono   i   dubbi   che   sono  stati  sollevati  in  merito
all'individuazione  dei soggetti passivi dell'obbligazione tributaria
che  devono  essere  individuati  esclusivamente  in  coloro che sono
allacciati alla pubblica fognatura.
  Le   perplessita'   sono   sorte  soprattutto  a  causa  di  alcune
espressioni utilizzate in varie risoluzioni e circolari emanate negli
anni  passati,  nelle  quali  si  faceva  riferimento  al  fatto  che
l'allaccio   alla   pubblica   fognatura   doveva   essere  "reale  o
potenziale", "diretto o indiretto".
  Per   "allaccio  potenziale"  si  deve  intendere  la  possibilita'
obiettiva,  a  seguito  dell'avvenuto  allacciamento  alla  fognatura
pubblica,   di   usufruire   dell'apposito  servizio,  a  prescindere
dall'effettivo  uso del medesimo da parte del singolo o dall'utilita'
concreta che questi ne tragga.
  Con  l'espressione  "allaccio  indiretto"  alcuni hanno ritenuto di
poter individuare tra i soggetti passivi del canone anche coloro che,
pur  non essendo collegati alla pubblica fognatura, lo erano comunque
"indirettamente" per il fatto che periodicamente svuotavano a proprie
spese  le fosse biologiche dove venivano convogliate le acque reflue,
utilizzando  il  servizio di privati che provvedevano a smaltire tali
acque.  In  questo  modo,  secondo  tale  tesi, sarebbe realizzato il
collegamento  "indiretto"  con  il  servizio  pubblico,  e  quindi il
presupposto impositivo.
  La  questione  deve  essere  invece  inquadrata  nei  suoi corretti
termini. Infatti, come del resto risulta in modo costante in tutte le
circolari e le risoluzioni ministeriali emanate sull'argomento, unico
ed  imprescindibile  presupposto  per il pagamento del canone fino al
31 dicembre 1998 e' stato l'allaccio alla pubblica fognatura.
  L'esatta  definizione  di  scarico  "indiretto"  si  rinviene nella
circolare  n.  8  del  10  dicembre  1981,  che  stabilisce che "sono
parimenti  soggetti  passivi del canone anche coloro che usufruiscono
di   scarichi   altrui   nei   quali,   attraverso  condutture  fisse
confluiscono  le  acque  reflue  dal  proprio  insediamento, anche se
questo non sia direttamente collegato alla fognatura stessa.
  In  sostanza  quindi,  l'elemento  indispensabile  per  la  nascita
dell'obbligazione  tributaria  era l'allaccio alla pubblica fognatura
effettuato   con   un   complesso  di  canalizzazioni  finalizzate  a
raccogliere e ad allontanare dagli insediamenti civili e/o produttivi
le  acque  superficiali  e  quelle reflue provenienti dalle attivita'
umane.
  Dette  canalizzazioni  potevano  essere  anche  indirette,  e  cio'
avveniva  esclusivamente  quando le stesse erano collegate a scarichi
di  altri  soggetti,  che avevano invece un collegamento diretto alla
pubblica fognatura.
  Non  si  puo'  viceversa  includere  in tali fattispecie il caso di
coloro che provvedevano alla raccolta delle acque in fosse biologiche
o,  comunque, in invasi diversi dalla rete fognaria pubblica, proprio
perche' non avevano alcun allaccio con quest'ultima, nel senso appena
precisato.   In   particolare  non  si  poteva  considerare  allaccio
"indiretto"  lo  svuotamento  di  tali fosse effettuato attraverso il
ricorso a soggetti che, con propri mezzi, svolgono tale attivita'.
  Questi   ultimi   soggetti,   a  norma  dell'art.  36  del  decreto
legislativo  n.  152  del  1999,  sono tenuti al pagamento della sola
tariffa  prevista  per  il servizio di depurazione di cui all'art. 14
della legge n. 36 del 1994.
  Dall'esame dell'art. 36 risulta ancora piu' evidente che coloro che
non  sono  in alcun modo collegati con la pubblica fognatura non sono
tenuti a corrispondere la tariffa relativa al canone di fognatura; e'
richiesto  infatti  il solo pagamento della quota di tariffa relativa
al  servizio  di depurazione, che ovviamente e' a carico di colui che
effettua il trasporto dei rifiuti.
  Una soluzione diversa porterebbe all'irrazionale conclusione che il
contribuente  sarebbe  tenuto  a  pagare per ben due volte la tariffa
relativa  alla  depurazione: la prima volta sotto forma di importo da
corrispondere  a  colui  che provvede alla raccolta delle acque dalle
fosse biologiche, la seconda come quota di canone o diritto da pagare
al comune. Per quanto riguarda invece la quota di tariffa relativa al
canone  di  fognatura,  il contribuente sarebbe costretto a pagare un
servizio che in effetti non gli viene reso, il cui pagamento, proprio
per  questa  ragione,  e'  stato escluso dalla disposizione contenuta
nell'art. 36 del decreto legislativo n. 152 del 1999.
  L'allaccio   alla   pubblica   fognatura   costituiva,  quindi,  il
presupposto  impositivo  generale,  la  cui sussistenza doveva essere
verificata  per  entrambe  le componenti del canone, costituite dalla
quota  relativa  al  servizio  di  fognatura  e da quella relativa al
servizio di depurazione.
  Occorre  aggiungere che, per quanto riguarda quest'ultima parte del
canone  o  diritto,  in  passato  l'obbligo  tributario doveva essere
assolto  nel  solo  caso  in  cui sul territorio comunale esisteva un
impianto di depurazione, anche se insufficiente a svolgere pienamente
il relativo servizio.
  Diversamente  da tale impostazione, l'art. 14 della legge n. 36 del
1994  stabilisce  espressamente  che  la quota di tariffa relativa al
servizio di depurazione "e' dovuta dagli utenti anche nel caso in cui
la  fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione
o   questi   siano  temporaneamente  inattivi.  I  relativi  proventi
affluiscono  in  un  fondo  vincolato e sono destinati esclusivamente
alla  realizzazione  e  alla  gestione  delle  opere e degli impianti
centralizzati di depurazione".
  Risultano  in  tal  modo  del  tutto  superati  i  dubbi  circa  la
corresponsione  della  quota di tariffa relativa alla depurazione, in
quanto  attualmente  e'  la  legge stessa che, a differenza di quanto
avveniva  in  passato,  ne impone il pagamento da parte di coloro che
sono allacciati alla pubblica fognatura - circostanza che costituisce
pur  sempre  il  presupposto  per  richiedere  il  canone  -  ma  non
usufruiscono del servizio di depurazione, poiche' manca o e' inattivo
l'impianto di depurazione.
  Si  precisa  altresi'  che detta norma ha avuto effetto solo dal 1o
gennaio 1996, data di entrata in vigore delle disposizioni recate dai
commi  42  e  seguenti  della  legge  n.  549  del  1995,  che  hanno
determinato  la quota di tariffa del servizio di depurazione ai sensi
dell'art.  14  della  legge n. 36 del 1994, dandone pertanto concreta
attuazione.
b) Le modalita' per la riscossione del canone o diritto.
  Relativamente  alla  riscossione  del  canone  o  diritto,  occorre
innanzitutto effettuare una duplice distinzione tra:
    le  acque provenienti da insediamenti civili e quelle provenienti
da  insediamenti  produttivi (o industriali, come li definisce l'art.
14 della legge n. 36 del 1994);
    i diversi soggetti che possono gestire il servizio di acquedotto,
quali  ad  esempio  i  comuni, i consorzi intercomunali, le comunita'
montane, le aziende speciali, gli enti ed i consorzi pubblici.
b1) La  riscossione  del canone o diritto per gli insediamenti civili
allacciati al pubblico acquedotto.
  La  riscossione  del  canone  o diritto per le acque provenienti da
insediamenti  civili era regolata dall'art. 17 della legge n. 319 del
1976,  che  al  comma  5,  prevedeva  che  "Per  i  soggetti  che  si
approvvigionano  dal  pubblico  acquedotto  il  canone  o  diritto e'
riscosso  con le stesse modalita' e negli stessi termini previsti per
la riscossione del canone relativo alla fornitura di acqua".
  Occorre,   inoltre,   ulteriormente  distinguere  se  la  fornitura
dell'acqua effettuata dal comune o da altri soggetti.
  In  entrambi  i  casi  la riscossione del canone o diritto avveniva
contestualmente  alla  riscossione del canone acqua, attraverso cioe'
l'invio   al   contribuente  di  apposita  fattura  o  bollettino  di
versamento   di  conto  corrente  postale  ed  il  volume  dell'acqua
scaricata  veniva  direttamente  determinato  dall'ente  gestore,  in
rapporto al volume dell'acqua prelevata dal pubblico acquedotto.
  Se  la  fornitura  dell'acqua  veniva  effettuata  dal comune ed il
contribuente  non  pagava  gli importi richiesti, il canone o diritto
poteva  essere  riscosso coattivamente dall'ente locale attraverso il
ricorso:
    all'art. 69 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del
1988, che stabiliva che il concessionario del servizio di riscossione
provvedeva alla riscossione anche coattiva delle entrate patrimoniali
ed  assimilate  dei comuni su richiesta e d'accordo con questi ultimi
enti.  L'adozione  di  questo  sistema era giustificata dall'espressa
previsione  del  comma  5  del  citato art. 17, in base alla quale il
canone  o  diritto  doveva  essere riscosso con le stesse modalita' e
negli  stessi  termini fissati per la riscossione del canone relativo
alla  fornitura  di  acqua.  Pertanto, se per quest'ultima entrata di
carattere patrimoniale il comune aveva seguito le modalita' dell'art.
69  del decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1988, anche
per l'entrata tributaria valeva questo sistema;
    all'ingiunzione  fiscale  di cui al regio decreto 14 aprile 1910,
n.  639,  che  operava  se  l'ente  locale  non aveva adottato alcuna
convenzione con il concessionario del servizio di riscossione.
  Nel caso invece in cui la fornitura dell'acqua veniva effettuata da
un  soggetto  privato  e  il  contribuente  non  pagava  gli  importi
richiesti,  il  canone o diritto poteva essere riscosso coattivamente
attraverso l'ingiunzione di pagamento, con la quale, sempre in virtu'
del  citato art. 17, comma 5, veniva riscosso sia il canone o diritto
(di  natura  tributaria)  e  sia  il  canone  dell'acqua  (di  natura
civilistica).
  Nelle  fattispecie  finora  esaminate la fattura o il bollettino di
versamento costituiva gia' di per se' provvedimento di determinazione
del  tributo  il  cui  ammontare era reso certo, liquido ed esigibile
contestualmente a quello del canone dell'acqua.
  Uno  dei  punti sui quali si e' creata maggiore confusione e' stato
quello  relativo al termine entro il quale doveva essere liquidato il
canone o diritto.
  La  soluzione  del  problema deve essere ricercata sempre nell'art.
17,  comma  5,  della  legge  n.  319  del 1976, che, come gia' si e'
precisato,  stabiliva  che il canone o diritto doveva essere riscosso
con  le  stesse  modalita'  e  negli  stessi  termini previsti per la
riscossione del canone relativo alla fornitura di acqua.
  Pertanto,  poiche' e' necessario rinviare alla disciplina stabilita
per  la riscossione di un canone connesso alla fornitura periodica di
un  servizio,  quale  il canone dell'acqua - avente natura di entrata
patrimoniale se riscossa dal comune -, e visto che la norma non detta
al  riguardo  alcun termine di decadenza dal potere di richiedere gli
importi  dovuti,  l'unico  termine  a  cui fare riferimento e' quello
prescrizionale  stabilito  dall'art.  2948,  numero  4),  del  codice
civile,  che  fissa  in  cinque anni il termine per richiedere "tutto
cio'  che  deve  pagarsi  periodicamente  ad  anno  o in termini piu'
brevi", come in realta' avviene per i canoni in esame.
  Alla  luce  delle osservazioni innanzi illustrate, si deve, quindi,
ritenere  superato  quanto  espresso  nella circolare n. 263/E del 29
ottobre  1996,  nella parte in cui si e' individuato detto termine in
quello  previsto  dall'art. 290 del testo unico per la finanza locale
(T.U.F.L.) approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, in
base  al  quale  l'ente  poteva  iscrivere  nei  ruoli  principali  e
suppletivi i carichi tributari dovuti per l'anno in corso e per i due
anni precedenti.
  Questa  soluzione  si  fondava  sul  presupposto che l'ultimo comma
dell'art. 17 della legge n. 319 del 1976, richiamava l'applicabilita'
delle  norme del testo unico in quanto compatibili. Il riferimento al
termine triennale appare, in realta', del tutto erroneo, in quanto il
citato  art.  290,  regolava esclusivamente la fase dell'iscrizione a
ruolo  di  quei  tributi  per  i  quali  il ruolo costituiva la forma
ordinaria  di  pagamento.  Tale  sistema  non  appare,  in  ogni caso
compatibile  con il canone in questione, posto che la sua riscossione
deve  seguire,  per  espressa disposizione, la riscossione del canone
dell'acqua che ovviamente, non ha natura tributaria. Inoltre, occorre
rammentare che la riscossione ordinaria del canone non avveniva piu',
sin dal 1o gennaio 1981, attraverso il ruolo.
  L'applicazione  del  termine  di prescrizione quinquennale comporta
che  i  comuni  possono ancora legittimamente richiedere il pagamento
del  canone  o  diritto  di  natura  tributaria,  per le annualita' a
partire dal 1995 fino a tutto il 1998.
b2) La  riscossione  del canone o diritto per gli insediamenti civili
non allacciati al pubblico acquedotto.
  Diversa  e'  la situazione dei soggetti che, pur essendo allacciati
alla  fognatura  pubblica, non lo sono invece all'acquedotto, poiche'
la  fattispecie non era regolata piu' dal comma 5, dell'art. 17 della
legge  n.  319 del 1976, ma dal successivo comma 6, che stabiliva che
"Gli  utenti  che  si  approvvigionano  in  tutto o in parte da fonti
diverse  dal  pubblico  acquedotto  devono  fare  denuncia del volume
dell'acqua  prelevato ... Il canone e' liquidato e riscosso dall'ente
gestore  del  servizio  ed  il  pagamento  deve essere eseguito entro
trenta giorni dalla richiesta".
  Il   mancato   collegamento   con   l'acquedotto   rendeva  infatti
impossibile  la liquidazione diretta da parte dell'ente gestore della
pubblica  fognatura,  ai sensi del comma 4, dell'art. 17, per cui era
necessario  il ricorso ad un'apposita denuncia in cui il contribuente
dichiarava il volume dell'acqua prelevata.
  La  denuncia aveva l'effetto di una vera e propria dichiarazione di
natura  tributaria  che  consentiva all'ente gestore di effettuare la
liquidazione  del  canone  o  diritto  attraverso  l'emissione  della
fattura  o  del  bollettino di pagamento. Pertanto ogni inadempimento
correlato   all'omessa,  parziale  o  ritardata  presentazione  della
denuncia   che   veniva   constatato   dal   comune,   richiedeva  la
notificazione di un apposito avviso di accertamento.
  Anche  in  questo  caso,  il  termine per la notificazione di detto
avviso,  data  la  mancanza di un'apposita previsione normativa, deve
essere  sempre ricercato nel termine quinquennale stabilito dall'art.
2948,  numero  4),  del codice civile, attesa la periodicita' con cui
veniva richiesto il canone o diritto anche per la categoria di utenti
in esame.
  Valgono,  al  riguardo, le stesse osservazioni svolte in precedenza
in  relazione  al  superamento del contenuto della circolare n. 263/E
del 29 ottobre 1996, nella parte in cui si affrontava tale argomento.
  La  riscossione  coattiva  del  canone o diritto poteva avvenire in
questa  ipotesi solo attraverso l'ingiunzione fiscale di cui al regio
decreto 14 aprile 1910, n. 639, mentre non si poteva far ricorso agli
articoli  68  e  69 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43
del  1988,  poiche'  il  primo  riguardava esclusivamente il canone o
diritto dovuto per gli insediamenti produttivi ed il secondo, invece,
le entrate di carattere patrimoniale ed assimilate.
b3) La   riscossione  del  canone  o  diritto  per  gli  insediamenti
produttivi.
  La  riscossione del canone per le acque provenienti da insediamenti
produttivi  era  regolata  dall'art.  17-bis,  della legge n. 319 del
1976,  che  prevedeva  che  gli  utenti  di  scarichi  provenienti da
insediamenti   produttivi   erano  tenuti  alla  presentazione  della
denuncia  delle  quantita'  e qualita' delle acque scaricate, nonche'
degli  altri  elementi  necessari  alla  concreta  determinazione del
canone,  secondo  le  modalita'  e  nei termini fissati dalle singole
regioni.
  Tali  modalita' di determinazione del canone o diritto sono rimaste
pressoche'  invariate  anche  a  seguito  dell'abrogazione  dell'art.
17-bis,  ad  opera  dell'art.  32 della legge n. 36 del 1994, poiche'
l'art.  14,  comma  4, di quest'ultima legge ha stabilito che "per le
utenze industriali la quota tariffaria di cui al presente articolo e'
determinata  sulla  base della qualita' e della quantita' delle acque
reflue scaricate".
  In questi casi la denuncia presentata dal contribuente aveva natura
tributaria,  rispetto  alla  quale  ogni inadempimento constatato dal
comune   comportava   la  notificazione  di  un  apposito  avviso  di
accertamento.
  Considerazioni  analoghe  a  quelle  gia'  espresse  valgono per il
termine  di  notificazione  di  detto  avviso  che,  in  mancanza  di
un'apposita   previsione  normativa,  andava  individuato  in  quello
quinquennale  stabilito dall'art. 2948, numero 4), del codice civile,
attesa  la  periodicita' con cui veniva richiesto il canone o diritto
in questione.
  Ovviamente,  si  ribadisce  quanto  gia'  affermato  in  ordine  al
superamento  del  contenuto  della  circolare n. 263/E del 29 ottobre
1996, nella parte in cui si affrontava tale argomento.
  Riguardo  alla  riscossione coattiva del canone o diritto si doveva
far  riferimento  all'art.  68,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  43  del  1988,  che,  al  comma  1,  stabiliva  che i
concessionari  del servizio provvedevano alla riscossione coattiva di
vari  tributi  locali  tra  i  quali veniva espressamente indicato il
canone  o  diritto  di  disi  nquinamento  delle acque provenienti da
insediamenti produttivi.
  E'  opportuno precisare che per la riscossione coattiva del tributo
in  questione  i richiami finora effettuati al decreto del Presidente
della   Repubblica  n.  43  del  1988  devono  essere  riferiti  alle
disposizioni  del  decreto  legislativo  13 aprile 1999, n. 112, che,
unitamente  al  decreto  legislativo  22  febbraio 1999, n. 37, ed al
decreto   legislativo   26   febbraio   1999,  n.  46,  ha  riformato
completamente il sistema della riscossione dei tributi.
c) I termini per la presentazione dell'istanza di rimborso.
  Nella  normativa  del canone o diritto manca l'espressa indicazione
del  termine  entro  il  quale  il  contribuente  puo' legittimamente
richiedere  il  rimborso delle somme versate e non dovute a titolo di
canone o diritto.
  Il  problema  deve  essere  risolto attraverso il rinvio alla norma
sostanziale  contenuta nell'art. 21, comma 2, del decreto legislativo
31  dicembre  1992,  n.  546,  che,  nell'affrontare  il problema del
termine  per  la  proposizione  del ricorso avverso il rifiuto tacito
della restituzione di tributi, sanzioni, interessi ed altri accessori
non    dovuti,   dispone   espressamente   che   "... La domanda   di
restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non puo' essere
presentata  dopo  due  anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal
giorno in cui si e' verificato il presupposto per la restituzione".
  Tutto  cio'  non  esclude,  in  ogni  modo,  che l'ente locale, ove
accerti  la  fondatezza  delle  ragioni  esposte  dal contribuente in
un'istanza  presentata  anche  oltre  il  citato termine di due anni,
possa  agire in autotutela annullando l'atto illegittimo od infondato
e  disporre  conseguentemente  il  rimborso  di  somme  versate e non
dovute.  In questo caso l'istanza del contribuente non ha piu' valore
di  domanda di rimborso ma costituisce in sostanza una sollecitazione
verso  il  comune  all'esercizio  del  potere di autotutela che, come
stabilisce  l'art.  2-quater  del decreto-legge 30 settembre 1994, n.
564,  convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n.
656,  puo'  essere  finalizzato anche all'annullamento degli atti con
cui  e'  stato  liquidato  o  accertato il tributo, che non sono piu'
impugnabili e sono quindi divenuti definitivi.

                                          Il direttore generale
                                     del Dipartimento delle entrate
                                                Romano