IL CONSIGLIO

Premesso che:
  nell'ambito della propria attivita', questa Autorita' si e' trovata
con  una  certa  frequenza  ad  analizzare procedure d'appalto il cui
espletamento  -  in  termini  di  rispetto  dei  tempi e dei costi di
esecuzione  -  e' stato condizionato da rinvenimenti archeologici nel
sottosuolo  e  dalle conseguenti attivita' di scavo e documentazione,
oltre  che  dalle  ulteriori  fasi di valutazione e di adozione degli
opportuni  provvedimenti  di conservazione; iniziative tutte che sono
nella   competenza   degli  organi  preposti  alla  tutela  dei  beni
culturali.
  In  particolare,  nei  suddetti  casi  e'  risultata  ricorrente la
sospensione dei lavori di significativa durata, correlata non solo al
tempo  materialmente  necessario  per  lo  svolgimento delle indagini
archeologiche,  ma  anche  a  quello  successivo  per la redazione ed
approvazione  delle varianti in corso d'opera che tenessero conto del
valore  dei  ritrovamenti  e della loro possibile fruizione o, quanto
meno, che ne salvaguardassero l'integrita'.
  Aldila'  dei  costi per le maggiori o diverse lavorazioni che a tal
fine  si  rendono  necessarie, le procedure d'appalto per le quali si
concretizza  l'evenienza  in  questione  possono  comportare  impegni
economici  imprevisti  e ben piu' significativi, in conseguenza delle
richieste  delle  imprese  esecutrici dei lavori, che si estrinsecano
principalmente  sotto  forma  di riserve iscritte, nei modi di legge,
sugli  atti contabili ed incentrate sul calcolo degli oneri derivanti
dalla protratta gestione delle attivita' lavorative di cantiere.
  L'insorgenza  di  un simile contenzioso e' sempre e comunque legata
ad  una circostanza di oggettivo gravame per l'appaltatore, cui viene
precluso  il dispiegamento compiuto di quella capacita' organizzativa
che  deve  contraddistinguere  ogni  realta' imprenditoriale e che si
esprime  -  nell'esecuzione delle opere aggiudicate - con un'accurata
programmazione  temporale  delle  singole  fasi  di  lavoro  e  delle
relative sovrapposizioni, delle forniture, dei noli e via dicendo, al
fine   di   ottimizzare   i   risultati   economici   della  gestione
dell'appalto.
  L'elevata  probabilita' che ad una sospensione dei lavori, disposta
a  seguito  di  rinvenimenti  archeologici  (e protratta per il tempo
necessario a compiere le connesse indagini di scavo e documentazione)
faccia   seguito   la   rappresentazione  formale  di  una  doglianza
dell'impresa,  induce  quindi  a  rilevare  che  il verificarsi della
fattispecie   in   questione   si   accompagna  quasi  sempre  ad  un
significativo  aumento  dei  costi  che la stazione appaltante dovra'
sopportare in dipendenza della controversia avviata, con le possibili
conseguenze  che cio' puo' comportare in termini di giudizio da parte
dell'organo di magistratura contabile.
  Ne  deriva  l'utilita'  di  operare  alcune riflessioni sul tema in
questione,  al fine di valutare quali possano essere - nell'evenienza
di  ritrovamenti  archeologici  a lavori iniziati e cioe' «a cantiere
aperto»  - le possibilita' di limitare le ricadute negative di ordine
economico che tale occorrenza imprevista puo' indurre sulla procedura
d'appalto in corso.
  Tanto  premesso,  ravvisata  l'esigenza e l'importanza di conoscere
l'avviso del Ministero dei beni e delle attivita' culturali in ordine
alle  possibili  iniziative da intraprendere, ne sono stati sentiti i
rappresentanti nell'audizione disposta in data 21 aprile 2004.
  In  tale  sede gli intervenuti hanno dettagliatamente rappresentato
che   le   problematiche   evidenziate  investono  aspetti  da  tempo
all'attenzione  del Ministero, il quale ha ben presente la necessita'
di  mettere  a  punto  regole capaci di consentire con pari efficacia
l'azione  di  tutela  e  la realizzazione degli appalti «con il minor
sacrificio degli operatori».

Ritenuto in diritto.
  Una  considerazione  preliminare riguarda la natura dell'area sulla
quale  e'  prevista  la realizzazione dell'opera pubblica, intendendo
con  cio' se la stessa sia sottoposta o meno ad uno specifico vincolo
archeologico.
  In  caso  affermativo,  la  normativa  vigente prevede che l'organo
preposto  alla tutela esprima il proprio parere - di norma in sede di
conferenza  di servizi - al fine di chiarire alla stazione appaltante
se  e  a  quali  condizioni  l'opera  a  farsi  sia compatibile con i
principi  sui quali si basa la conservazione del patrimonio culturale
e,   nel  contesto  particolare,  se  l'esecuzione  delle  specifiche
categorie  di  lavoro  previste dal progetto possa interferire con la
salvaguardia  dei  resti  archeologici  presumibilmente esistenti nel
sottosuolo.
  Questa  ipotesi,  sufficientemente  disciplinata  nei  suoi aspetti
procedurali,  dovrebbe  portare  ad  una  conoscenza preventiva degli
elementi  ostativi  alla  proficua  esecuzione dei lavori, escludendo
percio'   (o,   quanto   meno,   riducendo   significativamente)   la
possibilita'   che   in  corso  d'opera  si  verifichino  circostanze
impeditive  connesse  ai  ritrovamenti  archeologici, con gli effetti
negativi indicati in precedenza.
  Appare  evidente  che  il  passaggio  procedurale appena descritto,
benche'  articolato in forma semplice e «lineare», non puo' garantire
alcun  effetto  realmente  positivo  se  il  rapporto fra la stazione
appaltante  e  l'organo  preposto  alla tutela non risulta improntato
alla massima collaborazione, diligenza e chiarezza.
  Per  fare  un esempio concreto, se l'amministrazione che ha indetto
la  Conferenza  di  servizi presenta in quella sede un progetto privo
degli opportuni approfondimenti di dettaglio in ordine alla tipologia
ed  alle  caratteristiche  geometriche delle strutture di fondazione,
non  consentira'  l'espressione  di  un  parere compiuto da parte del
rappresentante  della  competente soprintendenza archeologica, oppure
ne potra' ottenere un assenso condizionato alla esecuzione - in corso
d'opera  -  dei  necessari  saggi  e  della correlata valutazione dei
risultati,  senza percio' conseguire alcun risultato utile ad evitare
interferenze  tra  svolgimento  della  fase esecutiva dell'appalto ed
azione di tutela dei beni archeologici eventualmente presenti.
  La  Soprintendenza  archeologica  competente  per  territorio,  per
contro,  non  puo' esimersi dal rappresentare in maniera esaustiva le
esigenze   derivanti   dalle   proprie   attribuzioni,   senza  pero'
dimenticare  che  il  proprio  parere  interviene  nell'ambito di una
procedura  d'appalto,  la cui finalita' e' la costruzione di un'opera
pubblica da realizzarsi attraverso un'attivita' uniformata ai criteri
di cui all'art. 1 della legge n. 109/1994.
  Questo  non puo' - ovviamente - significare che gli organi preposti
alla  tutela debbano improntare la loro azione riferendosi unicamente
al  rispetto  dei principi di efficienza, efficacia, tempestivita' ed
economicita' dell'azione amministrativa in materia di appalti.
  Difatti,  la  tutela  dei beni archeologici e, piu' in generale, di
quelli  culturali, ha il fine di garantire la fruizione, anche per le
generazioni  future,  di un patrimonio universale ed inestimabile, la
cui  conservazione  assume  un  valore  che  prescinde  da  qualsiasi
monetizzazione  e si pone - oggettivamente - come principio superiore
a  quelli  indicati  dall'art.  1  della  legge n. 109/1994 e percio'
prevalente su di essi.
  Risulta  tuttavia piu' facile il tentativo di coniugare l'esercizio
di ogni necessaria azione di tutela nell'eventualita' di ritrovamenti
archeologici  ed  il  rispetto di tempestivita' ed economicita' nella
procedura  d'appalto  allorquando  - in un'ottica di comprensione dei
rispettivi  limiti  di  competenza  e  margini di operativita', anche
finanziaria  -  viene assicurata la conoscenza reciproca e preventiva
di  tutti  gli elementi utili alla valutazione delle problematiche da
affrontare, nonche' delle difficolta' connesse.
  Ad  avviso  del  competente  Ministero  -  che  considera parimenti
essenziale  l'azione  preventiva  -  un'opzione  praticabile potrebbe
essere  quella  di «istituzionalizzare» la presenza dei tecnici della
Soprintendenza  sin  dalle  prime  fasi  della  progettazione, con il
risultato   di  garantire  l'approccio  metodologico  piu'  idoneo  e
l'adozione  delle  proprie  determinazioni su basi conoscitive certe,
evitando  di  restringere  l'espressione  del  parere  di  competenza
all'unica  sede  della  Conferenza  di  servizi,  in esito alla quale
scaturisce  -  quasi  inevitabilmente - un'autorizzazione subordinata
all'esecuzione di successivi accertamenti.
  In  sostanza,  l'amministrazione  dei BB. e delle AA.CC. delinea ed
auspica  l'affermazione di un ruolo differente per le Soprintendenze,
superando  quello «autorizzatorio» o «censorio», per rivestire quello
di  piena  collaborazione  e  di corresponsabilita'; in tal senso, la
recente  attuazione  di  alcune iniziative «pilota» di collaborazione
con  altri  enti avrebbe gia' consentito di sperimentare una gestione
dell'appalto piu' attenta alle reciproche esigenze.
  Comunque,  pur  nell'ipotesi  di una collaborazione anticipata alla
fase   della   progettazione  preliminare,  non  e'  infrequente  che
sopravvenga  la  necessita' dell'esecuzione di indagini o campagne di
scavo  preventive,  cui  consegue  l'esigenza  del  reperimento delle
risorse economiche per dare seguito alle stesse.
  In   proposito   e'   noto  come  le  Soprintendenze  lamentino  la
persistente  insufficienza  dei  fondi  per procedere direttamente ed
autonomamente   all'espletamento   di   indagini   archeologiche:  in
quest'ottica  si  inquadra  la richiesta che debbano essere le stesse
amministrazioni  appaltanti a dotarsi dei finanziamenti sufficienti a
garantire  l'esecuzione  delle  opportune  indagini archeologiche, da
condurre  sotto  la  direzione  tecnico-scientifica  della competente
soprintendenza  archeologica, cosi' da consentire ad essa la completa
conoscenza  dell'area  e  quindi  l'espressione  di  pareri basati su
elementi scientifici concreti.
  In  sede  di  audizione  il  Ministero  ha  tenuto  ulteriormente a
precisare  che  tale assunto - gia' richiamato in alcune disposizioni
normative  per  particolari opere - ha trovato esplicita conferma nel
nuovo  codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo
n. 41 del 22 gennaio 2004), in vigore dal 1° maggio 2004, costituendo
conseguenzialmente un obbligo di legge «generalizzato».
  Sull'argomento  e'  stato  anche aggiunto che le risorse necessarie
devono  consentire  -  in prima analisi - la sola esecuzione di saggi
preliminari   condotti   sotto   la   direzione   scientifica   della
soprintendenza  competente, fermo restando che eventuali ritrovamenti
di  significativa  rilevanza  comportano  - nel naturale ordine delle
cose  -  l'obbligatoria  richiesta  di  uno scavo «a tappeto», con le
relative conseguenze in termini di disponibilita' dei fondi.
  Per   contenere   gli   effetti   di  questa  possibile  incertezza
finanziaria,   il   Ministero  ha  formulato  l'ipotesi  concreta  di
anticipare  le  indagini  archeologiche  gia'  alla fase del progetto
preliminare,  contenendone  l'entita'  economica, con la finalita' di
valutare  l'opportunita' di proseguire nella progettazione definitiva
e,  nel  caso, con quali vincoli, nonche' con l'obiettivo di valutare
l'esigenza di un successivo scavo «integrale».
  Cio' anticiperebbe la cognizione di due aspetti fondamentali:
    1) verifica della fattibilita' dell'opera programmata;
    2)  necessita'  di  reperire ulteriori ed adeguate risorse, anche
attingendo  a differenti fonti di finanziamento, per assicurare tanto
l'esecuzione  dello  scavo  «integrale», quanto la conservazione e la
fruizione di reperti archeologici di eccezionale importanza.
  Risulta  infatti  evidente  come  sia  difficile  che  una stazione
appaltante  possa  essere  in grado di disporre di risorse economiche
tali  da  indagare  completamente  ed  esaustivamente (nell'accezione
intesa  dalle  soprintendenze  archeologiche) le aree interessate dai
vari  appalti di opere pubbliche contemplati nel programma triennale,
tanto  piu' che indagini siffatte finirebbero per costituire dei veri
e  propri  interventi  autonomi,  il  cui svolgimento - in termini di
tempi,  costi,  valutazione  degli  esiti  e  finanche  di esecuzione
dell'opera  originariamente  prevista - sarebbe per di piu' sottratto
alla  potesta'  discrezionale ed alla connessa responsabilita', poste
in capo alle singole amministrazioni.
  Quest'ultima  considerazione,  tra  l'altro, incide anche sul ruolo
del   responsabile   del   procedimento,  svuotando  parzialmente  di
significato  il  possibile  richiamo  alle disposizioni regolamentari
(articoli 18,  19 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica n.
554/1999),  le quali pongono a carico della stazione appaltante tutti
quegli  adempimenti  correlati alla progettazione che possano ridurre
gli imprevisti in corso d'opera, e che trovano un loro limite proprio
nella   fattispecie   trattata,  imperniata  sulla  tutela  dei  beni
archeologici.
  Infatti,  l'unico  organo  preposto alla individuazione, con metodo
scientifico,  dei  beni da tutelare nonche' alla determinazione delle
relative  modalita'  -  intese  sia  con riferimento alle tecniche di
rilevamento  che a quelle di conservazione - resta, in via esclusiva,
la Soprintendenza archeologica competente per territorio.
  Cio'    significa   che   l'esecuzione   preventiva   di   indagini
archeologiche,  qualora venisse disposta unicamente su iniziativa dal
responsabile  del  procedimento  nominato  dalla stazione appaltante,
risulterebbe   condotta   da   un  soggetto  privo  della  necessaria
legittimazione  in  ordine  alla  conoscenza  ed  all'utilizzo  delle
corrette  metodiche  di  scavo,  rilievo  e  catalogazione, nonche' -
soprattutto  -  in  ordine  alla  valutazione  dell'importanza  che i
ritrovamenti  rivestono  per  la collettivita' ed alla piu' opportuna
tipologia  d'intervento  per assicurarne la fruizione o, quanto meno,
per documentarne l'esistenza.
  Paradossalmente,  un'attivita'  siffatta  -  benche' ispirata dalla
volonta'  di ridurre gli imprevisti in corso d'opera ed i conseguenti
prevedibili  oneri  -  potrebbe  configurare  essa  stessa un maggior
costo,  concretizzandosi  in  un'attivita'  i  cui  frutti  risultano
incerti  e  quindi  privi di una concreta utilita', sia ai fini della
tempestiva  conduzione  dell'appalto,  sia  ai  fini della tutela del
patrimonio archeologico.
  L'anticipazione   delle  prospezioni  archeologiche  a  cura  della
competente   Soprintendenza  risulta  percio'  auspicabile,  ma  deve
altresi'  sottolinearsi  come  in  molti  casi  le  relative indagini
vengano disposte perche' non puo' escludersi - a priori - la presenza
di  resti  antichi  nella zona interessata dal nuovo intervento e che
spesso  le  strutture riportate alla luce non rivestono un'importanza
tale  da  imporre  un  ripensamento  dell'intero progetto; anzi - una
volta   eseguiti   i  rilievi  grafici  e  fotografici,  documentando
l'attivita'  svolta  ed  i  risultati  conseguiti - l'iter puo' anche
concludersi   disponendo   la   ricopertura  di  quanto  scavato  (in
particolare quando la conservazione risulti problematica), al fine di
evitarne il degrado.
  Se  quindi  continua  ad avere un valore l'affermazione secondo cui
«il  miglior  museo e' la terra», come puo' desumersi dalle Carte del
restauro e dalle Convenzioni internazionali (quali la Carta di Atene,
che sintetizza l'esito dei lavori della Conferenza internazionale del
1931),  nulla  vieta  che  l'organo preposto alla tutela - preso atto
della onerosita' (e quindi dell'estrema difficolta' di realizzazione,
se   non   addirittura  dell'impossibilita'  economica)  di  compiere
un'indagine archeologica «a tappeto» estesa all'intera area di sedime
della  nuova  costruzione  e delle sue pertinenze - esprima un parere
favorevole,  per  quanto di competenza, subordinando l'esecuzione dei
lavori   alla   previsione  di  soluzioni  tecniche  progettuali  non
interferenti  con  il  sottosuolo  archeologico  (intendendo con tale
termine lo strato di terreno, situato ad una determinata profondita',
che  puo'  racchiudere  in  se' i segni dell'attivita' umana antica),
cosi'   da   non  precludere  future  eventuali  azioni  di  scavo  e
documentazione.
  Volendo trarre delle prime conclusioni da quanto sin qui riportato,
deve  percio' evidenziarsi che quando l'appalto a farsi insiste su di
un'area  sottoposta a vincolo archeologico, la successiva sospensione
dei  lavori  -  disposta  in  esito  a  rinvenimenti di significativo
interesse - si ricollega ad una circostanza indubbiamente imprevista,
ma che non puo' definirsi - con altrettanta certezza - imprevedibile.
  Se  quindi  la  stazione  appaltante e l'organo di tutela non hanno
improntato   la   loro   azione,  ognuno  per  quanto  di  rispettiva
competenza,  a rendere esaurientemente chiare e precise le condizioni
di fattibilita' dell'intervento da realizzare, gli eventuali maggiori
oneri  connessi  alle  interruzioni  nella  fase esecutiva dei lavori
potranno  dar  luogo a contestazioni di addebito da parte della Corte
dei conti, rivolte ai soggetti che ne sono stati responsabili.
  Fin  qui  si e' trattato della fattispecie in cui la presenza di un
vincolo  archeologico  impone  un vaglio progettuale - ad opera della
competente  Soprintendenza - che interviene prima dell'aggiudicazione
dell'appalto e, spesso, prima della redazione del progetto esecutivo,
per cui e' possibile operare tutte le valutazioni del caso al fine di
evitare  che  le  problematiche  irrisolte  si  possano  tradurre  in
impedimenti  all'atto  dell'esecuzione dei lavori, con le conseguenze
economiche e temporali che sono state indicate.
  Vi  sono pero' anche i casi in cui sull'area di sedime dell'opera a
farsi  non  grava  uno specifico vincolo archeologico, oppure casi in
cui,  pur  in  presenza  dell'anzidetto  vincolo,  non  e'  possibile
eseguire  preventivamente tutti i saggi necessari, per la presenza di
corpi di fabbrica da demolire nell'ambito dell'appalto da affidare.
  Sono queste le fattispecie nelle quali il problema dei rinvenimenti
archeologici  si  manifesta  pienamente  solo  in corso d'opera ed in
quella  sede  deve essere affrontato, imponendo quindi l'interruzione
delle  attivita'  di  cantiere  per  consentire  l'espletamento delle
opportune    indagini    sotto   la   direzione   scientifica   della
Soprintendenza archeologica.
  Se  al  verificarsi  di  tale ipotesi risulta ovviamente tramontata
ogni   possibilita'   di   azione   in  termini  di  prevenzione,  la
consapevolezza del concreto rischio di una configurazione di maggiori
oneri  -  che  ogni  protrazione temporale dell'appalto reca in se' -
rende ancora piu' necessario che la stazione appaltante e l'organo di
tutela  adottino  comportamenti  e  provvedimenti  idonei  a limitare
l'entita' degli eventuali danni.
  Per  quanto concerne l'amministrazione appaltante, non puo' nemmeno
escludersi - in casi particolari - il recesso dal contratto, ai sensi
dell'art.   122  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
554/1999,  qualora cio' risulti opportuno in esito ad una valutazione
ponderata delle circostanze di fatto.
  Nella  generalita'  dei  casi,  invece,  qualora  venga disposta la
sospensione  dei  lavori,  deve  innanzitutto ricordarsi l'importanza
delle  disposizioni contenute nell'art. 133, commi 4 e 5, del decreto
del Presidente della Repubblica n. 554/1999, il cui rigoroso rispetto
da  parte  del  direttore  dei lavori e' sicuramente utile ad evitare
contrastanti  descrizioni  in  ordine  alla  consistenza  della forza
lavoro  e  dei  mezzi  d'opera esistenti in cantiere al momento della
sospensione  e  durante  l'intera  protrazione  della  stessa,  ferma
restando   la   necessita'   che   vengano  impartite  le  necessarie
disposizioni  al  fine  di  contenere  macchinari e mano d'opera allo
stretto indispensabile.
  Inoltre,  sara' opportuno che in corso di esecuzione delle indagini
archeologiche, svolte sotto la direzione scientifica della competente
Soprintendenza,  il  direttore  dei  lavori  si  mantenga  in stretto
contatto con i rappresentanti dell'organo di tutela, per conoscere in
tempo  reale le valutazioni sull'importanza dei reperti messi in luce
e  sulle modalita' per assicurarne l'eventuale conservazione in situ,
al   fine  di  prefigurare  le  possibili  ripercussioni  sui  lavori
appaltati  ed  anticipare  -  per  quanto possibile - lo studio delle
modifiche  che  si dovessero rendere necessarie, riducendo i tempi di
redazione di un'eventuale variante in corso d'opera.
  Per  quanto  riguarda  le  possibili  iniziative poste in essere da
parte dell'organo preposto alla tutela dei beni culturali, e' fuor di
dubbio  che  il  peculiare  ambito  di competenza porta a focalizzare
l'attenzione  soprattutto  sui possibili ritrovamenti, con l'evidente
finalita'  di  assicurarne  la  conoscenza  e  -  se  possibile  - la
fruizione.  Cio' tuttavia non esclude che debbano essere ben presenti
anche  le funzioni attribuite all'ente appaltante, tenuto a garantire
la  tempestivita'  ed economicita' di ogni procedura di esecuzione di
lavori   pubblici.   In  concreto,  la  consapevolezza  delle  altrui
responsabilita'  non puo' che tradursi in tempi di espletamento delle
attivita'  di  competenza  che  siano  sempre  contenuti nella misura
strettamente  necessaria  all'espressione  delle proprie valutazioni,
dovendo  altresi' ribadire che eventuali comportamenti caratterizzati
da  lungaggini  o  inerzie,  potendo  dar  luogo  a  maggiori  oneri,
implicano   1'imputabilita'   del  danno  erariale,  ad  opera  della
magistratura  contabile,  nei  confronti  di tutti i soggetti che - a
qualsiasi titolo - ne siano ritenuti artefici.
  Anche  sotto  questo aspetto il Ministero dei BB. e delle AA.CC. ha
inteso  sottolineare la propria costante attenzione, dando conoscenza
della  recente emanazione di un provvedimento interno (Circolare DGBA
n.  9786  del  10  giugno 2003), finalizzato proprio allo snellimento
delle  procedure amministrative ed inteso ad incrementare l'autonomia
decisionale  degli uffici periferici, con l'obiettivo di ridurre quei
tempi  decisionali  che  possono  comportare  le  note conseguenze in
termini di maggiori oneri.
  Infine,  restano  da  svolgere  alcune  ulteriori riflessioni sulle
attivita'  che,  di  norma, fanno seguito all'interruzione dei lavori
connessa al ritrovamento di reperti archeologici.
  In   primo   luogo,   deve  rilevarsi  che  le  campagne  di  scavo
archeologico    disposte   in   regime   di   sospensione   risultano
frequentemente  attuate  con il sistema delle liste in economia ed il
ricorso alla mano d'opera della stessa impresa aggiudicataria, previa
verifica  della  disponibilita'  all'affidamento diretto dei relativi
lavori.   Il   ricorso   a  tale  modalita'  di  effettuazione  viene
giustificato con l'urgenza e l'opportunita' di avvalersi di una forza
lavoro  gia'  presente  in  cantiere,  da  porre  agli  ordini  della
direzione scientifica della Soprintendenza.
  Benche'  l'importo  complessivo  di  tali  lavori in economia possa
risultare   scarsamente   significativo   se   paragonato   a  quello
contrattuale,  e'  indubbio  che  al  ricorrere  di  tale circostanza
l'appaltatore  ottenga  un affidamento aggiuntivo - sottraendosi, per
le   suddette   ragioni  di  correntezza,  a  qualsivoglia  procedura
concorsuale - e ne tragga un utile.
  In  secondo  luogo, puo' verificarsi con analoga ricorrenza che per
effetto  delle  risultanze  dello  scavo  archeologico sia necessario
apportare  variazioni al progetto approvato, prevedendo un incremento
delle lavorazioni a farsi, concordando gli eventuali nuovi prezzi con
l'aggiudicatario  e  perfezionando il rapporto contrattuale in essere
tramite  la  sottoscrizione di un apposito atto di sottomissione o di
un atto aggiuntivo al contratto stesso.
  Anche  in  questo  caso  l'appaltatore  trae  un utile dai maggiori
lavori  affidati,  per  l'assunzione dei quali sostiene indubbiamente
oneri  in  misura  ridotta, in considerazione del fatto che - oltre a
non  sobbarcarsi  le  spese di una nuova gara - ottiene certamente il
risparmio   connesso  all'utilizzo  dell'impianto  di  cantiere  gia'
esistente.
  E'   altrettanto   frequente   che  l'impresa  iscriva  riserve  in
conseguenza  della sospensione dei lavori, lamentando il danno subito
in   termini   di  protrazione  gestionale  ed  elencando  gli  oneri
aggiuntivi  sostenuti  per spese generali, macchinari e mano d'opera,
mancato  utile,  ecc.,  determinandoli  -  in  ossequio ad una prassi
invalsa - mediante calcoli aritmetici deduttivi.
  Ad   esempio,  per  la  stima  delle  spese  generali  infruttifere
sostenute e delle quali si chiede il ristoro, viene spesso operato il
confronto  tra la produzione giornaliera effettiva e quella che viene
definita   produzione   giornaliera  teorica,  assumendo  come  unico
riferimento per quest'ultima le originarie condizioni contrattuali ed
il   relativo   cronoprogramm,  ma  senza  considerare  le  eventuali
modifiche  economiche  o temporali che reggono l'appalto, intervenute
su richiesta dell'impresa o che si rivelano comunque migliorative per
essa.
  Sulla  base delle considerazioni che precedono, non sembra privo di
utilita'  il  richiamo alle disposizioni di cui agli articoli 24 e 25
del   D.M.LL.PP.  n.  145/2000  (Regolamento  recante  il  capitolato
generale d'appalto dei lavori pubblici), in materia di ammissibilita'
delle  sospensioni  e di modalita' di calcolo del danno eventualmente
derivante,  cosicche', all'atto della valutazione di ammissibilita' e
fondatezza   delle   riserve   iscritte   dall'impresa  sui  registri
contabili,  risulti  ben  chiara e presente l'esigenza di svolgere le
seguenti verifiche:
    1) sussistenza dei presupposti per ottenere il riconoscimento dei
danni  prodotti  dalla  sospensione dei lavori, ai sensi dell'art. 24
del D.M.LL.PP. n. 145/2000;
    2)   conformita'   della   quantificazione   del   danno  operata
dall'appaltatore,  accertata  con riferimento ai criteri indicati nel
successivo art. 25, comma 2, lettere a), b), c), d), e comma 3;
    3)  riconsiderazione  degli  importi  calcolati a titolo di spese
generali    infruttifere,    lesione   dell'utile,   ammortamenti   e
retribuzioni inutilmente corrisposte, qualora nel medesimo periodo di
sospensione   l'impresa   abbia   ottenuto   affidamenti  aggiuntivi,
traendone profitto.
  In  estrema  sintesi, nell'argomentare le controdeduzioni in merito
alle  doglianze dell'impresa, non ci si puo' limitare all'analisi dei
soli  elementi  riportati  nelle  iscrizioni  sugli  atti  contabili,
dovendosi  invece apprezzare nella giusta misura tutte le circostanze
che   si   sono   verificate  nel  corso  della  fase  di  esecuzione
dell'appalto, al fine di evitare la corresponsione di somme eccedenti
l'effettivo danno patito dall'impresa affidataria.
  Dalle considerazioni svolte segue che:
    1)  al  fine  di  assicurare  sia il rispetto di tempestivita' ed
economicita'  nella  procedura  d'appalto,  sia  l'esercizio  di ogni
necessaria   azione   di  tutela  nell'eventualita'  di  ritrovamenti
archeologici,  appare  utile  che  le  stazioni  appaltanti  valutino
l'opportunita'  di  coinvolgere  il  competente  organo preposto alla
tutela  sin dalla fase della progettazione preliminare, studiandone -
d'intesa con esso - le possibili modalita' di concreta attuazione;
    2)  nel  caso  in  cui il progetto di un'opera insistente su area
soggetta  a  vincolo  archeologico  venga  sottoposto all'esame della
competente  Soprintendenza solo all'atto della Conferenza di servizi,
l'amministrazione  appaltante  ha l'obbligo di rendere chiaro in ogni
dettaglio  il  progetto presentato, cosi' da consentire all'organo di
tutela  l'espressione  di  un  parere  compiuto,  sia esso pienamente
favorevole oppure condizionato allo svolgimento di ulteriori indagini
preventive.  Il  medesimo  organo di tutela, per suo conto, dovra' in
quella  sede  indicare con altrettanta chiarezza (anche e soprattutto
al  fine  di  determinare  tempi  e  costi presuntivi) quali siano le
condizioni  da  rispettare per poter dar corso all'opera programmata,
tanto nell'ipotesi in cui vi siano sufficienti risorse per effettuare
campagne  di  scavo  sotto  la  direzione  scientifica della medesima
Soprintendenza,   che   nell'opposta   circostanza   in   cui   possa
realisticamente   ipotizzarsi   unicamente  l'adozione  di  soluzioni
progettuali non interferenti con il sottosuolo archeologico;
    3)  nel  caso  di  sospensione dei lavori connessa a ritrovamenti
archeologici   in   corso   d'opera,   il  concreto  rischio  di  una
configurazione   di  maggiori  oneri,  conseguente  alla  protrazione
temporale  dell'appalto,  impone  la massima sinergia tra la stazione
appaltante  e l'organo di tutela, al fine di adottare comportamenti e
provvedimenti idonei, che tengano in giusto conto tanto la necessita'
di  non  arrecare  pregiudizio  ai  reperti  presenti nel sottosuolo,
quanto  l'esigenza  di  limitare  l'entita' degli eventuali danni che
l'affidatario potra' subire.
    4)  qualora  alla  sospensione  dei  lavori  abbia  fatto seguito
l'insorgenza  di  un  contenzioso  con  l'impresa esecutrice, oltre a
rimarcare l'importanza della corretta applicazione delle disposizioni
contenute  nell'art.  133,  commi  4  e 5, del decreto del Presidente
della Repubblica n. 554/1999, e negli articoli 24 e 25 del D.M.LL.PP.
n. 145/2000, deve precisarsi che la disamina delle doglianze annotate
sul  registro di contabilita' e la conseguente valutazione non potra'
prescindere  dalla  conoscenza  di  tutte  le  circostanze  di  fatto
intervenute  durante  l'espletamento  dell'appalto, comprese quelle -
non  citate  tra le riserve - che sono oggettivamente suscettibili di
implicare una riduzione del danno lamentato

      Roma, 19 maggio 2004

                                                 Il presidente: Garri