Agli   ispettorati  compartimentali
                                  delle imposte dirette
                                  Agli  uffici   distrettuali   delle
                                  imposte dirette
                                  Ai centri di servizio delle imposte
                                  dirette
                                  Al  comando  generale della Guardia
                                  di finanza
                                    e, p.c:
                                  Al    Servizio    centrale    degli
                                  ispettori tributari
                                  Alla   Direzione   generale   degli
                                  affari generali e del  personale  -
                                  Servizio ispettivo
 La  legge  30  dicembre  1991,  n.  413,  pubblicata nel supplemento
ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 1991,  reca,
negli  articoli da 24 a 27, disposizioni concernenti la rivalutazione
obbligatoria dei fabbricati e delle aree fabbricabili delle imprese.
  La disciplina  contenuta  in  dette  disposizioni,  pur  ricalcando
quella  di  precedenti  leggi di rivalutazione, se ne differenzia per
alcune sue peculiarita'.
  E' da rilevare, infatti, che le leggi di rivalutazione  intervenute
nel periodo compreso tra il 1952 ed il 1983 rispondevano all'esigenza
di  adeguare  i valori dei beni iscritti in bilancio al mutato potere
di acquisto della moneta in dipendenza  di  un  persistente  fenomeno
inflattivo verificatosi in detto periodo e, pertanto, di rendere piu'
rappresentative le poste del bilancio stesso.
  La  rivalutazione disciplinata dalle predette leggi era facoltativa
e non comportava il pagamento di alcuna imposta, salvo l'acquisizione
a tassazione del saldo di rivalutazione nell'esercizio in cui  se  ne
verificavano i presupposti.
  La  legge  29  dicembre  1990,  n.  408,  ha,  per  la prima volta,
regolamentato  una  rivalutazione  non  monetaria   allo   scopo   di
"coniugare  da  un  lato  opportunita'  di chiarezza e trasparenza di
bilancio non disgiunte  da  effetti  economici  apprezzabili  per  le
imprese  e  dall'altro  imprescindibili necessita' di rigore quali la
presente    situazione    impone",    prevedendo,    tra     l'altro,
l'assoggettamento  dei  maggiori valori attribuiti ai beni rivalutati
ad una imposta sostitutiva dell'IRPEF, dell'IRPEG e dell'ILOR.
  La rivalutazione di cui alla citata legge 30 dicembre 1991, n. 413,
pur perseguendo finalita' analoghe a quelle della citata legge n. 408
del 1990, se ne discosta per il fatto di  essere  obbligatoria  e  di
riguardare soltanto taluni beni immobili.
  In  ottemperanza  a  quanto  previsto  dall'art. 27, comma 2, della
legge n. 413 in esame, e' stato emanato, in data 13 febbraio 1992, il
decreto ministeriale con il quale sono state stabilite  le  modalita'
di attuazione delle disposizioni contenute nei richiamati articoli da
24 a 27 della legge stessa.
  Allo  scopo  di  fornire  ulteriori  precisazioni e chiarimenti, ad
integrazione di quelli gia' contenuti  nel  citato  decreto,  con  la
presente  circolare  vengono  dettagliatamente esaminate le anzidette
disposizioni di cui si riportano in allegato i  testi,  unitamente  a
quello del menzionato decreto ministeriale.
1 - Ambito soggettivo di applicazione.
  Nel  delimitare  l'ambito  soggettivo  di  applicazione delle norme
concernenti la rivalutazione, la legge  30  dicembre  1991,  n.  413,
negli  articoli 24, comma 1, e 26, comma 7, riproduce sostanzialmente
l'elencazione di cui agli articoli 1 e  5  della  legge  29  dicembre
1990,  n.  408,  alla  quale  risale  l'ultima regolamentazione della
specifica materia.
  I  soggetti  titolari  di  reddito  d'impresa,  che  sono  i   soli
interessati  alle particolari disposizioni sulla rivalutazione, vanno
pertanto individuati come segue:
    a) i soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera a), del  testo
unico  delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986,  n.  917,  e  cioe'  societa'  per
azioni,    societa'   in   accomandita   per   azioni,   societa'   a
responsabilita' limitata, societa' cooperative e  societa'  di  mutua
assicurazione,  che  siano residenti nel territorio dello Stato (art.
24, comma 1, della legge);
    b) i soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera b), del citato
T.U.I.R., cioe' gli enti commerciali pubblici e privati residenti nel
territorio dello Stato (art. 24, comma 1, della legge);
    c) i soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera c), del citato
T.U.I.R.  e  cioe'  gli  enti  non  commerciali  pubblici  e  privati
residenti nel territorio dello Stato (art. 26, comma 7, della legge);
    d)  le  persone  fisiche residenti nel territorio dello Stato che
svolgono attivita' produttiva di  reddito  d'impresa  secondo  quanto
previsto dall'art. 51 del T.U.I.R. (art. 26, comma 7, della legge);
    e)  le  societa'  in  nome collettivo e in accomandita semplice e
quelle ad esse equiparate di cui all'art. 5  del  T.U.I.R.  residenti
nel territorio dello Stato (art. 26, comma 7, della legge);
    f)  le  persone fisiche non residenti e le societa' e gli enti di
ogni tipo di cui dall'art. 87, comma 1, lettera d), del T.U.I.R., che
esercitano attivita' commerciali nel territorio dello Stato  mediante
stabili organizzazioni (art. 26, comma 7, della legge).
  Con  riguardo  alle imprese ammesse a fruire di regimi semplificati
di contabilita', si precisa che  sono  obbligati  alla  rivalutazione
anche  le  imprese il cui reddito si determinava, fino al 31 dicembre
1991, con i criteri  di  cui  all'art.  80  del  T.U.I.R.,  soppresso
dall'art. 4, comma 4, della legge n. 413 del 1991.
  Sono   altresi'   obbligati   alla   rivalutazione  le  imprese  in
liquidazione e quelle ammesse al concordato preventivo.
  In caso di concordato preventivo con cessione di tutti i  beni,  di
cui  all'art.  160,  comma  2,  n. 2), della legge fallimentare (R.D.
16.3.42, n. 267), l'obbligo della rivalutazione sussiste soltanto se,
alla data di chiusura dell'esercizio  con  riferimento  al  quale  la
rivalutazione  deve  essere  effettuata,  non  e' stata presentata al
tribunale la domanda per l'ammissione alla  procedura  di  concordato
preventivo.
  Ai  sensi  dell'art.  1,  comma  3,  del  decreto  ministeriale  di
attuazione delle disposizioni in  commento,  non  sono  obbligati  ad
effettuare  la  rivalutazione  le  imprese che, alla data di chiusura
dell'esercizio con riferimento al quale la rivalutazione deve  essere
eseguita,  sono  state dichiarate fallite o sottoposte a liquidazione
coatta amministrativa.
2 - Ambito oggettivo.
  Ai  fini  della  rivalutazione  gli  immobili  dell'impresa debbono
essere classificati in tre  categorie.  Le  prime  due  riguardano  i
fabbricati, mentre la terza concerne le aree fabbricabili.
  Come  si e' accennato in precedenza, la rivalutazione imposta dalla
legge n. 413 non riguarda tutti i beni  immobili,  ma,  relativamente
alle  aree,  soltanto  quelle qualificate come fabbricabili dai piani
regolatori e, per le costruzioni, come risulta dall'art. 2, comma  3,
del  decreto  di  attuazione,  quelle classificabili in catasto nelle
categorie  A,  B  e  C,  nonche',  per  quelle  classificabili  nelle
categorie  D  ed  E,  le costruzioni indicate come tali nelle vigenti
tabelle dei coefficienti di ammortamento sotto le voci:
    A) edifici;
    B) fabbricati destinati all'industria;
    C) fabbricati destinati alla grande distribuzione;
    D) costruzioni leggere (escluse quelle non  aventi  il  requisito
della stabilita').
  Al  contrario  le costruzioni classificabili nelle altre voci delle
predette tabelle non rilevano in quanto, anche se costituiscono  beni
immobili,  si considerano come impianti che unitamente ai macchinari,
restano esclusi dalla rivalutazione, ancorche' infissi al  suolo,  ai
sensi dell'art. 2, comma 3, del decreto di attuazione.
  Tuttavia, qualora come nell'ipotesi di impianti di distribuzione di
carburanti,  oltre  agli  impianti  veri  e  propri e alle pertinenze
strettamente necessarie per  la  loro  funzionalita',  si  rinvengono
edifici  suscettibili  di autonoma utilizzazione immobiliare come, ad
esempio, bar, negozi, officine, ecc., tali edifici  dovranno  formare
oggetto di autonoma rivalutazione.
  Per  quanto  concerne  i  fabbricati,  non  basta stabilire le loro
caratteristiche ai fini degli ammortamenti, ma occorre altresi'  fare
riferimento  alle  loro  caratteristiche  catastali, anche perche' il
calcolo della rivalutazione varia a seconda  che  il  fabbricato  sia
classificato  nelle categorie A, B e C ovvero nelle categorie D ed E.
Ai fini della classificazione dei beni occorre fare riferimento  alle
risultanze  dei  certificati  catastali  a  meno  che  l'immobile non
risulti ancora accatastato: in tal caso la rivalutazione deve  essere
effettuata  in  base  alle  effettive  caratteristiche  dell'immobile
stesso.
  Per i fabbricati non ancora accatastati, assimilabili a quelli  che
sono  gia'  stati  accatastati nelle categorie A, B o C, il metodo di
rivalutazione da adottare e' quello basato  sulla  rendita  catastale
(art.  25,  comma  1,  lettera a) e va assunta come rendita catastale
quella attribuita agli immobili similari.
  Se,   invece,   il   fabbricato   non   accatastato   presenta   le
caratteristiche   di   un   fabbricato   a  destinazione  speciale  o
particolare, la rivalutazione dovra' essere eseguita con  riferimento
ai  costi  storici e applicando i coefficienti di cui alla lettera b)
del comma 1 dell'art. 25.
  Qualora  un  immobile  risulti  gia'  accatastato,  le   risultanze
catastali  vanno  disattese  solo  se  il  possessore  ha  sottoposto
l'immobile stesso a variazioni  o  adattamenti  tali  da  mutarne  la
classificazione  catastale:  in  tal caso la rivalutazione deve tener
conto delle nuove caratteristiche catastali dell'immobile anche se il
nuovo accatastamento non risulti ancora avvenuto;  e  cio'  non  solo
quando  il  possessore  abbia gia' presentato la domanda per il nuovo
accatastamento, ma anche quando detta domanda sia stata omessa.
  Per quanto concerne le aree, qualora esse non risultino accatastate
unitamente   ad   un   fabbricato  (o  comunque  ammortizzabili  come
pertinenza di un fabbricato in base alle  vigenti  tabelle),  occorre
verificare se sussista il requisito della edificabilita'.
  Tale  requisito  e' da ritenersi senz'altro mancante qualora si sia
in presenza di un terreno agricolo accatastato come tale nel  catasto
rustico;  negli  altri  casi  l'edificabilita' deve escludersi quando
l'area non e' prevista dal relativo  piano  regolatore  fra  le  aree
fabbricabili.
  Non  possono  comunque  ritenersi  edificabili le aree sottoposte a
vincoli giuridici, di natura pubblica o privata, che escludono in via
permanente   la   possibilita'   di   costruire   sull'area   edifici
classificabili in catasto nelle categorie A, B, C, D ed E.
  Al contrario e' da ritenersi che l'edificabilita' non e' esclusa da
vincoli  temporanei,  anche  se  questi ultimi dovranno essere tenuti
presenti per  la  determinazione  del  valore  di  mercato  dell'area
stessa.
  Naturalmente,  come avviene per tutti gli altri requisiti richiesti
dalla  legge  n.  413  (salvi  i  casi   eccezionali   esplicitamente
previsti),  il requisito della edificabilita' va verificato alla data
di chiusura dell'esercizio con riferimento al quale la  rivalutazione
deve  essere eseguita e, pertanto, l'area va rivalutata anche se tale
requisito  non  sussisteva  alla  data  di  chiusura   dell'esercizio
precedente.
  Nel caso di costruzione iniziata nel corso del 1991 su un'area gia'
posseduta  alla  data  di  chiusura  dell'esercizio  chiuso nel 1990,
l'area non forma di  per  se'  oggetto  di  rivalutazione  come  area
edificabile;  la  rivalutazione,  invece,  dovra'  essere operata sul
fabbricato e, in particolare, con i criteri previsti  per  le  unita'
immobiliari  classificate in catasto nelle categorie A, B e C qualora
rientri in una di dette categorie e  risulti  ultimato  entro  il  31
dicembre   1991,   ovvero  con  i  criteri  previsti  per  le  unita'
immobiliari  classificabili  nelle  categorie  D  ed  E,  qualora  il
fabbricato  stesso  sia  classificabile  in  una  di dette categorie.
Questi ultimi criteri si applicano altresi' qualora il fabbricato sia
in corso di costruzione alla  data  di  chiusura  dell'esercizio  con
riferimento  al quale la rivalutazione deve essere eseguita quale che
sia la configurazione che esso assumera' dopo il suo completamento (e
cioe'  anche  se  il  fabbricato  dovra'  essere  classificato  nelle
categorie  A, B o C). In tal caso, il costo complessivo figurante nel
bilancio relativo all'esercizio precedente quello con riferimento  al
quale  la  rivalutazione  deve  essere  effettuata  va  unitariamente
rivalutato con il coefficiente 1,05 previsto per l'anno 1990.
  Sempre in merito al problema dell'esatta individuazione delle  aree
fabbricabili  occorre  precisare  che  nel caso di costituzione di un
diritto di superficie non ancora utilizzato,  la  rivalutazione  deve
essere  operata in linea di principio, sia dal proprietario del suolo
che dal titolare del diritto di superfice.
  Come risulta dal quarto comma dell'art.  2  del  D.M.  13  febbraio
1992, la costituzione dei diritti reali parziali non esime di per se'
dalla  rivalutazione  ne'  il  nudo  proprietario ne' il titolare del
diritto reale parziale:  al  contrario,  se  la  costituzione  di  un
diritto reale parziale determina l'iscrivibilita' di un bene non solo
nel  bilancio  del dante causa, ma anche in quello dell'avente causa,
entrambi i soggetti debbono procedere alla rivalutazione se  il  bene
e'  classificabile  fra  i  "terreni" o fra i "fabbricati", e piu' in
particolare se il  diritto  sul  "terreno"  comporta  il  diritto  di
edificazione.
  Naturalmente  le  caratteristiche  del  diritto  di  superfice  (ad
esempio la durata, l'ampiezza, l'esclusivita', ecc.) influiranno  sul
valore  del  diritto  stesso  e,  per converso, sul valore della nuda
proprieta', e di cio' si terra' conto ai fini del limite quantitativo
che la rivalutazione incontra nel valore di mercato.
  Nel caso che il diritto di  superfice  insista  su  un  fabbricato,
resta  fermo  l'obbligo  per  entrambi  i  soggetti di procedere alla
rivalutazione, ma il sistema di calcolo  non  sara'  il  medesimo  in
quanto l'avente causa rivalutera' il diritto di superficie come "area
fabbricabile",  mentre  il  dante causa procedera' alla rivalutazione
del fabbricato.
  Il  proprietario  di  un  fabbricato  adottera'   il   sistema   di
rivalutazione  proprio dei fabbricati anche quando questi ultimi sono
suscettibili di sopraelevazione ma non formano oggetto di diritti  di
superfice  concessi a terzi. La facolta' di sopraelevazione che resta
nell'ambito del piu' generale diritto di proprieta' e che non  si  e'
resa  autonoma  attraverso  la  costituzione  di  un separato diritto
concesso a terzi, influenza il valore  del  fabbricato  ma  non  puo'
essere  considerata  come  una  "area  fabbricabile"  suscettibile di
autonoma rivalutazione.
  Con riferimento alle aree fabbricabili,  si  rileva  che  ai  sensi
dell'art.  25, comma 1, lettera b), l'obbligo della rivalutazione op-
era limitatamente a quelle  individuate  come  tali  negli  strumenti
urbanistici.  Al  riguardo  e'  sufficiente  che detta individuazione
risulti da un piano regolatore generale e quindi non occorre un piano
regolatore particolareggiato.
  Non sono rivalutabili i fabbricati e le aree fabbricabili posseduti
da societa',  enti  o  imprese  individuali  che  hanno  per  oggetto
esclusivo  o  principale  le  costruzioni  edilizie  e che sono stati
acquistati o realizzati dalla societa', dall'ente o dall'impresa  che
li  possiede,  fermo restando che devono essere rivalutati quelli che
alla  data  di  chiusura  dell'esercizio  chiuso  nell'anno  1990  si
considerano  beni  strumentali  per  l'esercizio dell'impresa nonche'
quelli che  alla  medesima  data  non  costituiscono  beni  alla  cui
produzione  o  al  cui  scambio  e' diretta l'attivita' dell'impresa,
giusta il disposto dell'art. 24, comma 3, della legge e dell'art.  3,
comma 1, del relativo decreto di attuazione.
  A tal fine, occorre far riferimento alle risultanze delle scritture
contabili relative al predetto anno 1990.
  Si  precisa,  in  conformita'  a  quanto  gia'  affermato  in altre
analoghe   occasioni,   che   l'oggetto   esclusivo   o    principale
dell'attivita'  dell'impresa  e'  desumibile  dall'atto  costitutivo,
dallo statuto o dalla legge istitutiva dell'ente e che a tal fine non
assumono rilievo le  attivita'  che  possono  essere  svolte  in  via
sussidiaria  o  meramente  strumentale  per  il  conseguimento  delle
finalita' primarie.
  In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto e, comunque,  per
le   imprese   individuali,   l'oggetto  principale  o  esclusivo  va
determinato in base alle risultanze  dei  registri  delle  camere  di
commercio e dell'attivita' effettivamente esercitata.
  In coerenza con quanto precisato nella circolare n. 9 del 10 aprile
1991,  relativamente alle imprese individuali, i beni strumentali per
natura di cui all'art. 40, comma 2, secondo periodo, del T.U.I.R., si
considerano relativi all'impresa e quindi rivalutabili, qualora siano
stati indicati nell'inventario di cui all'art. 2217 del codice civile
relativo all'esercizio 1990 o, per le imprese  minori,  nel  registro
dei beni ammortizzabili.
  Si  ribadisce  che,  con  riguardo  alle  societa' di fatto, devono
essere rivalutati anche gli immobili  innanzi  specificati,  iscritti
nel  pubblico  registro  a nome dei soci, sempre che siano utilizzati
esclusivamente come strumentali per l'esercizio dell'impresa,  stante
che,  a  norma  dell'art.  77 del T.U.I.R., detti beni si considerano
relativi all'impresa ove ricorra la predetta condizione.
  Sempre con riferimento alle  imprese  individuali  devono  altresi'
essere   rivalutati   gli   immobili   strumentali  per  destinazione
indipendentemente dalla circostanza che per  essi  l'imprenditore  si
avvalga  della  facolta'  di esclusione dal patrimonio dell'impresa a
norma dell'art. 58, comma 2, della legge n. 413 del 1991.
  Inoltre,  devono  essere  rivalutati  i  fabbricati   e   le   aree
fabbricabili  posseduti in regime di comproprieta' limitatamente alla
quota appartenente ai soggetti titolari di redditi d'impresa.
  Devono infine essere rivalutati i fabbricati costruiti sul suolo di
terzi in dipendenza dell'acquisizione del diritto  di  superfice,  da
parte della impresa superficiaria, fermo restando in capo all'impresa
concedente   l'obbligo   di  rivalutare  l'area  su  cui  insiste  il
fabbricato, con i criteri di cui si e' fatto cenno in precedenza.
  Per quanto riguarda le imprese  concessionarie,  occorre  precisare
che,  ferma restando l'impossibilita' di rivalutare la concessione in
quanto  tale,  non  si  puo'  invece  escludere  in  ogni   caso   la
rivalutazione di singoli beni ancorche' gratuitamente devolvibili.
  Il  vincolo  della  devoluzione  gratuita  puo'  formare oggetto di
apprezzamento in sede di determinazione del valore di mercato, ma non
puo' escludere di per  se'  la  rivalutazione  di  quei  cespiti  che
formino  oggetto di autonomi diritti a favore del concessionario e di
cui quest'ultimo possa  effettivamente  e  liberamente  disporre  nel
corso della concessione.
  Nell'ipotesi  di  aziende  date in affitto o in usufrutto l'obbligo
della   rivalutazione,   relativamente   agli   immobili   rientranti
nell'ambito   oggettivo   di   applicazione   della   legge,   ricade
sull'affittuario o sull'usufruttuario.
  La rivalutazione non e' obbligatoria per i beni di cui all'art. 24,
comma 2, della legge e all'art. 4 del relativo decreto di attuazione.
Tale regime esonerativo trova la sua giustificazione o  nella  natura
dei  soggetti  cui appartengono i beni e/o nella destinazione di essi
allo svolgimento  delle  attivita'  espressamente  considerate  nelle
suindicate  disposizioni  aventi  rilevanza  sociale  o  di  pubblica
utilita' ovvero nella disciplina vincolistica di cui  alla  legge  1'
giugno 1939, n. 1089, alla quale i beni stessi sono soggetti.
  Al  riguardo,  va  precisato che, relativamente ai beni per i quali
l'esonero   dall'obbligo    della    rivalutazione    si    ricollega
esclusivamente  al  fatto  oggettivo  della  loro  destinazione  allo
svolgimento  delle  anzidette  attivita',  l'esonero  stesso  compete
limitatamente  alle  unita'  immobiliari  destinate  allo svolgimento
delle  attivita'  medesime  e indipendentemente dalla circostanza che
tale svolgimento avvenga da parte di soggetti diversi  dalle  imprese
cui  appartengono  i beni medesimi, in conformita' a quanto precisato
nell'art. 4, comma 2, del decreto di attuazione.
  E' appena il caso  di  osservare  che  le  predette  imprese  hanno
facolta'  di  eseguire  la  rivalutazione;  nel  qual caso si rendono
applicabili le disposizioni in rassegna.
3 - Condizioni.
  La  rivalutazione  e'  obbligatoria  se   ricorrono   le   seguenti
condizioni:
    a)  che  i  beni  siano stati acquisiti entro la data di chiusura
dell'esercizio chiuso nell'anno 1990 e che risultino iscrivibili  nel
bilancio  o  rendiconto  relativo  a  detto  esercizio  ovvero, per i
soggetti ammessi a fruire di regimi semplificati di contabilita', nei
registri previsti dagli articoli 16 e  18  del  D.P.R.  29  settembre
1973, n. 600;
    b)  che i beni siano iscrivibili nel bilancio o rendiconto ovvero
nei  registri  indicati  nella  precedente   lettera   a),   relativi
all'esercizio  con  riferimento  al  quale  deve  essere  eseguita la
rivalutazione.
  Con riguardo alla lettera sub a),  si  osserva,  in  conformita'  a
quanto   affermato  in  altre  analoghe  occasioni,  che  i  beni  si
considerano acquisiti al patrimonio dell'impresa alla data in cui  si
verifica  l'effetto  traslativo  o  costitutivo della proprieta' o di
altro diritto reale,  mentre,  per  i  beni  prodotti  dal  soggetto,
direttamente  o  da  altri per suo conto, si ha riguardo alla data in
cui sono iscrivibili in contabilita'.
  Per i beni  provenienti  da  societa'  fuse  o  incorporate  si  fa
riferimento  alla  data  in  cui  sono stati acquisiti dalle societa'
stesse, giusta il disposto dell'art.  2,  comma  2,  del  decreto  di
attuazione.
  Analogo  principio  si applica nell'ipotesi di immobili acquisiti a
seguito di conferimento effettuato da  enti  e  societa'  beneficiari
delle  operazioni  di  ristrutturazione  di  cui alla legge 30 luglio
1990, n. 218, nel senso che occorre aver riguardo alla  data  in  cui
detti immobili sono stati acquisiti dall'ente o societa' conferente.
  Conformemente a quanto gia' rilevato con la richiamata circolare n.
9  del  10  aprile  1991,  si  osserva  che la disposizione contenuta
nell'art. 26, comma 8, con riguardo alle imprese minime,  si  applica
limitatamente  alla  parte  in  cui si fa riferimento all'art. 18 del
D.P.R. n. 600 del 1973, atteso che, ai sensi  dello  stesso  articolo
dette imprese non hanno l'obbligo, tra l'altro, di tenere il registro
dei beni ammortizzabili in vigenza dell'art. 80 del T.U.I.R.
  Con  riferimento  alla  condizione  di  cui alla lettera sub b), si
ribadisce che non opera l'obbligo della rivalutazione per i beni  che
alla  data  di  chiusura dell'esercizio con riferimento al quale deve
essere eseguita la rivalutazione siano stati alienati o distrutti.
  E' da sottolineare che devono essere rivalutati tutti i beni  sopra
descritti anche se non siano stati indicati nelle scritture contabili
sopra  specificate,  sempre  che  risultino  acquisiti  alla  data di
chiusura dell'esercizio chiuso nel 1990 e costituiscano beni relativi
all'impresa.
  E'  da  evidenziare che l'eventuale diversa destinazione attribuita
ai beni che alla data di  chiusura  dell'esercizio  chiuso  nel  1990
costituivano  beni  strumentali  o comunque non rientranti tra quelli
alla  cui  produzione  o  al  cui  scambio  e'  diretta   l'attivita'
dell'impresa,   non   fa   venir   meno  l'obbligo  di  sottoporli  a
rivalutazione.
4 - Calcolo della rivalutazione.
  Ai fini del calcolo della  rivalutazione,  l'art.  25  della  legge
prevede tre criteri distinti a seconda che si tratti di:
   1 fabbricati classificabili nelle categorie A B e C;
   2 fabbricati classificabili nelle categorie D ed E;
   3 aree fabbricabili.
  Nel  caso  sub  1)  vanno assunti i valori che risultano applicando
all'ammontare      delle      rendite      catastali      determinate
dall'amministrazione  del  catasto  e dei servizi tecnici erariali, a
seguito della revisione generale disposta con il decreto del Ministro
delle finanze del 20 gennaio 1990 e attuato con il D.M. 27  settembre
1991,  un  moltiplicatore  pari  a  100  per  le  unita'  immobiliari
classificate nei gruppi catastali A, B  e  C,  con  esclusione  delle
categorie  A/10  e  C/1;  pari  a  50 per quelle classificabili nelle
categorie A/10 e pari a 34 per quelle  classificate  nella  categoria
C/1.
  Nel caso sub 2) si assume il valore che si ottiene moltiplicando il
costo   originariamente  assunto  in  bilancio  per  il  coefficiente
relativo all'anno di acquisizione.
  A tale proposito si precisa che, relativamente ai beni costruiti in
economia o in appalto nel corso di piu' esercizi ma completati  entro
la data di chiusura dell'esercizio chiuso nell'anno 1990, deve essere
applicato  il  coefficiente  previsto per l'anno nel quale il bene e'
stato ultimato ed iscritto nel relativo bilancio.
  L'importo che ne  risulta  va  sommato  a  quello  che  si  ottiene
moltiplicando    gli   eventuali   maggiori   valori   derivanti   da
rivalutazioni e da costi incrementativi per i  coefficienti  relativi
agli  anni  in  cui le rivalutazioni sono state effettuate ed i costi
incrementativi sostenuti.  A  tal  fine  non  si  tiene  conto  delle
rivalutazioni    e    dei    costi    incrementativi   contabilizzati
nell'esercizio con riferimento al quale la rivalutazione deve  essere
eseguita,  in conformita' a quanto disposto dall'art. 5, comma 4, del
decreto di attuazione.
  In coerenza con quanto chiarito con il successivo comma 6 di  detto
decreto,  devono  essere presi in considerazione sia le rivalutazioni
previste da specifiche  disposizioni  di  legge,  con  esclusione  di
quella   di  cui  alla  legge  29  dicembre  1990,  n.  408,  sia  le
rivalutazioni economiche che hanno  concorso  a  formare  il  reddito
nonche'  quelle  effettuate  in  sede  di  fusione o dalle imprese di
assicurazione ai sensi dell'art. 36 della legge 10  giugno  1978,  n.
295.
  Nel  caso  sub  3),  va assunto il valore pari all'80 per cento del
valore venale in comune commercio.
  L'ammontare determinato per ciascun  bene  mediante  l'applicazione
dei  criteri  sopra  indicati  va  diminuito  del  costo  fiscalmente
riconosciuto al netto delle quote  di  ammortamento  gia'  dedotte  e
dell'ammontare dell'eventuale rivalutazione effettuata ai sensi della
legge n. 408 del 1990. A tale proposito si precisa che si comprendono
tra  le  quote  di  ammortamento  gia'  dedotte anche quelle relative
all'esercizio  con  riferimento al quale la rivalutazione deve essere
eseguita, tranne la parte di esse derivante dai maggiori valori e dai
costi incrementativi contabilizzati nell'esercizio  stesso  i  quali,
come  gia'  evidenziato, sono esclusi dal calcolo della rivalutazione
relativamente ai fabbricati di cui alle categorie D ed E.
  Agli   effetti   della   determinazione   del   costo   fiscalmente
riconosciuto,  vanno  computati gli ammortamenti ordinari, anticipati
ed accelerati, nonche' quelli derivanti dalle plusvalenze reinvestite
ai sensi dell'art. 54, comma 5, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597.
  Nell'ipotesi di beni gratuitamente devolvibili  di  cui  all'art.70
del  citato D.P.R. n. 597 del 1973 e 69 del T.U.I.R., si tiene conto,
ai predetti  fini,  delle  quote  relative  all'ammortamento  tecnico
ovvero, qualora questo non sia stato effettuato, dalle corrispondenti
quote di ammortamento finanziario.
  Ai  sensi  del  comma  9  dell'art.  5  del  decreto di attuazione,
l'ammontare complessivo da assumere ai fini  della  rivalutazione  e'
costituito  dalla somma delle differenze positive relative ai singoli
beni rivalutati, diminuito di un miliardo di lire.
  Per  effetto  dell'adozione  di  tale  metodologia   non   assumono
rilevanza  le  differenze  negative che si verificano nell'ipotesi in
cui il valore iscritto in bilancio  e'  superiore  a  quello  che  si
ottiene mediante l'applicazione dei criteri di cui all'art. 25, commi
1  e  2 della legge e cio' in coerenza con la ratio della particolare
disciplina  in  esame  volta  a  far  emergere  i   maggiori   valori
attribuibili ai beni oggetto della disciplina medesima.
  Si rileva che, qualora l'ammontare delle differenze positive di cui
all'art.  5,  comma  9, del decreto di attuazione non sia superiore a
lire un miliardo, resta preclusa la  possibilita'  di  effettuare  la
rivalutazione ai sensi della legge n. 413 del 1991 in commento e che,
pertanto, l'eventuale rivalutazione eseguita soggiace alla disciplina
prevista dall'art. 54 del T.U.I.R.
  L'importo  della  rivalutazione  deve  essere almeno pari al 38 per
cento dell'ammontare come sopra determinato e deve  essere  ripartito
tra  i beni che hanno concorso alla formazione dell'ammontare stesso,
in proporzione alla differenza tra il  valore  attribuito  a  ciascun
bene  ai  sensi  del comma 1 dell'art. 25 della legge ed il costo del
bene medesimo prima della rivalutazione di cui al comma  2  di  detto
articolo.
  Ai  sensi  del  combinato disposto dei commi 8 e 10 dell'art. 5 del
decreto di attuazione, per costo del bene prima  della  rivalutazione
si intende l'ultimo valore del bene fiscalmente riconosciuto al netto
dei   maggiori  valori  e  dei  costi  incrementativi  contabilizzati
nell'esercizio in cui la rivalutazione viene eseguita,  ma  al  lordo
del maggior ammortamento da essi derivante.
  A   seguito  del  riparto  proporzionale  sopra  descritto  risulta
determinato, per ogni singolo  immobile  da  rivalutare,  un  importo
(rivalutazione  teorica)  che  va provvisoriamente sommato all'intero
valore iscritto in bilancio (comprensivo dei costi incrementativi, di
quelli attribuiti ai  cespiti  ricevuti  a  seguito  di  fusioni  con
disavanzo,  ecc.,  anche se trattasi di eventi verificatisi nel corso
del 1991, nonche' di ogni rivalutazione).
  La somma dei due valori sopra indicati (valore  lordo  provvisorio)
va  depurata  degli  ammortamenti  iscritti nel passivo del bilancio,
comprensivi  di  quelli  stanziati  per  l'esercizio  1991,   tenendo
presente   che   per   gli   ammortamenti   non  e'  prevista  alcuna
rivalutazione.   La   differenza   cosi'   ottenuta   (valore   netto
provvisorio) va  posta  a  raffronto  con  il  valore  effettivamente
attribuibile  al  cespite  sulla  base delle quotazioni esistenti sul
mercato  immobilare  alla  data  di   chiusura   dell'esercizio   con
riferimento al quale la rivalutazione deve essere effettuata.
  Se  il  valore  di  mercato  risulta pari o superiore alla predetta
differenza,  la  rivalutazione   teorica   deve   trovare   effettiva
iscrizione  in  bilancio,  determinandosi  cosi' l'evidenziazione nel
bilancio stesso della plusvalenza che il terzo comma dell'art. 25 as-
sume come base imponibile dell'imposta sostitutiva.
  In caso contrario la rivalutazione teorica puo'  trovare  effettiva
iscrizione  in  bilancio soltanto nella misura in cui il nuovo valore
netto definitivo di bilancio (valore rivalutato iscritto  nell'attivo
al  netto degli ammortamenti) risulti contenuto nei limiti del valore
di mercato. L'eccedenza che non puo' trovare collocazione nel  valore
di  bilancio  del  singolo  cespite  non  concorre  a formare la base
imponibile dell'imposta sostitutiva.
  Per il caso particolare in cui i beni rivalutabili ai  sensi  della
legge  in  commento  abbiano gia' formato oggetto di rivalutazione ai
sensi della legge 29 dicembre 1990, n.  408,  il  valore  teorico  di
rivalutazione  deve  essere  diminuito  del  maggior  valore  ad essi
attribuito per effetto dell'applicazione della suddetta legge n. 408,
cio' perche' occorre evitare che la rivalutazione eseguita  ai  sensi
di  quest'ultima  legge  venga assoggettata al pagamento dell'imposta
sostitutiva in aggiunta a quella corrisposta  ai  sensi  della  legge
medesima.  Resta  fermo  pero'  che  il valore cosi' determinato deve
essere sommato all'intero valore iscritto  nell'attivo  del  bilancio
(comprensivo   della   rivalutazione   ex   lege   n.   408/90)   per
l'effettuazione di tutti i calcoli residui.
  Secondo quanto e' dato desumere dall'art. 25, comma 2, della  legge
e  come chiarito dall'art. 5, comma 12, del decreto di attuazione, la
rivalutazione puo' essere effettuata anche per la parte che eccede il
38 per cento dell'ammontare complessivo determinato con i criteri  di
cui  ai  suindicati  articoli  e  fino  a  concorrenza dell'ammontare
medesimo. In tal caso si applicano le stesse disposizioni concernenti
la rivalutazione obbligatoria nell'anzidetto limite del 38 per cento.
  E' altresi' in facolta' dei soggetti destinatari delle disposizioni
in commento effettuare la rivalutazione dei beni, fino a  concorrenza
dei valori di mercato, secondo i criteri ordinari di cui all'art. 54,
comma  1,  lettera  c) del T.U.I.R., subordinatamente alla condizione
che quella eseguita ai sensi della legge n. 413 in  esame  sia  stata
utilizzata per l'intero ammontare complessivo sopra indicato.
  E'  appena  il caso di osservare che qualora i soggetti interessati
intendano avvalersi della disposizione di cui al citato art.  54,  la
condizione  dell'utilizzo  suddetto  opera  relativamente  alla quota
dell'ammontare complessivo imputabile ai beni per i quali si  intende
esercitare detta facolta'.
  Con  l'ultimo  periodo del menzionato art. 5, comma 12, del decreto
di  attuazione,  si  e'  stabilito  che  gli  enti  e   le   societa'
beneficiarie  delle  operazioni di ristrutturazione di cui alla legge
30 luglio 1990, n. 218, possono pur sempre eseguire la  rivalutazione
ai  sensi  della  legge  n.  413  del  1991.  In  tal  caso eventuali
rivalutazioni ai sensi dell'art. 54  del  T.U.I.R.  ovvero  ai  sensi
della  legge  n.  408 del 1990 possono essere effettuate a condizione
che sia stata utilizzata per intero  la  rivalutazione  di  cui  alla
predetta legge n. 413.
  Qualora  la  rivalutazione  effettuata  ex  lege  n.  413  del 1991
coesista con quella eseguita ai sensi della legge n. 408 del 1990, e'
necessario  che  alla  dichiarazione  dei  redditi  sia  allegato  un
prospetto  recante  una  distinta  analisi  delle  due  rivalutazioni
nonche' l'indicazione separata, qualora sia stato iscritto  un  unico
saldo   in   bilancio,  della  quota  di  tale  saldo  relativa  alla
rivalutazione  ex  lege  n.  413  e   della   quota   relativa   alla
rivalutazione  ex  lege  n. 408. In tal caso dovranno essere eseguiti
versamenti separati dell'imposta sostitutiva.
  Ai sensi dell'art. 5, comma 13,  del  decreto  di  attuazione,  con
riguardo  ai  soggetti  di  cui  trattasi,  la  quota  dell'ammontare
complessivo  della  rivalutazione  attribuibile  a  ciascun  bene  va
imputata,  fino  a  concorrenza del valore di mercato, in aumento del
valore di bilancio relativo al bene  stesso,  comprensivo  di  quello
attribuito in sede di conferimento effettuato ai sensi della legge n.
218   del  1990,  ancorche'  fiscalmente  non  riconosciuto,  con  la
conseguenza che l'obbligo della rivalutazione non opera agli  effetti
fiscali  in  relazione  alla  differenza  tra il valore di bilancio e
quello fiscalmente riconosciuto.
  Tale  previsione  e'  diretta   ad   evitare   che   mediante   una
rivalutazione, avente esclusiva rilevanza fiscale, restino vanificati
i benefici fiscali di cui all'art. 7 della richiamata legge n. 218.
  Ovviamente,   nei   confronti   degli  anzidetti  enti  e  societa'
creditizie, resta impregiudicata la facolta' specificamente  prevista
dall'art. 28 della legge n. 413 di eseguire la rivalutazione ai sensi
della  legge  n. 408 del 1990, sempre che, con riguardo agli immobili
sopra  specificati,  ivi  compresi  quelli  acquisiti  nell'esercizio
chiuso  nell'anno  1990,  sia  rispettata  la  condizione di cui allo
stesso art. 28, comma 3, della legge n. 413. Conseguentemente,  detti
soggetti  restano esonerati dall'obbligo di eseguire la rivalutazione
ai sensi di quest'ultima legge.
  Qualora  le  societa'  e   gli   enti   suindicati   si   avvalgano
dell'anzidetta  facolta',  l'imposta  sostitutiva  va  versata con le
modalita' di cui alla legge 29 dicembre 1990,  n.  408,  e  non  puo'
essere  compensata  con  eventuali  crediti  di  imposta;  in caso di
rateizzazione sono dovuti gli interessi.
  Ai sensi dell'art. 6 del decreto di  attuazione,  la  rivalutazione
delle  unita'  immobiliari  classificate  nelle  categorie  D  ed  E,
acquisite in dipendenza di contratti  di  locazione  finanziaria,  va
eseguita  assumendo  il  valore che si ottiene moltiplicando il costo
iscritto originariamente nel bilancio dell'impresa  concedente  ed  i
maggiori valori derivanti da rivalutazioni e da costi incrementativi,
anche  se  iscritti  in  bilancio  dall'impresa  utilizzatrice, per i
coefficienti relativi all'anno in cui il valore o il  maggior  valore
e'   stato  iscritto  nel  bilancio  stesso.  Analogamente  a  quanto
affermato con riferimento alle unita' immobiliari  non  acquisite  in
dipendenza  di  contratti  di  leasing,  non  si  tiene  conto  della
eventuale rivalutazione eseguita ai sensi della legge n. 408 del 1990
ne'  dei  beni,  dei  costi  incrementativi  e  delle   rivalutazioni
contabilizzati   nell'esercizio   con   riferimento   al   quale   la
rivalutazione deve essere eseguita.
  Tale  criterio,  pur nella diversita' del meccanismo applicativo e'
sostanzialmente conforme a quello adottato con riferimento alla legge
di rivalutazione  monetaria  n.  72  del  1983  ed  ha  lo  scopo  di
assimilare,  ai fini di cui trattasi, i beni acquistati in dipendenza
di contratto di locazione finanziaria  a  quelli  acquisiti  in  modo
ordinario.
  Relativamente  alle  unita'  immobiliari  possedute  dalle  imprese
concedenti,  si  applicano  gli  stessi  criteri  previsti   per   la
generalita' dei soggetti obbligati alla rivalutazione.
Ovviamente,  per quanto concerne il valore di mercato che costituisce
il limite massimo della rivalutazione, occorre tener presente che  il
diritto di riscatto riconosciuto al locatario costituisce uno di quei
limiti aventi natura privatistica che vanno apprezzati caso per caso,
unitamente  a  tutte  le altre caratteristiche dei singoli contratti,
per individuare in concreto il limite massimo della rivalutazione.
5 - Imposta sostitutiva.
  Ai sensi dell'art. 25, comma 3, della legge  e'  dovuta  un'imposta
sostitutiva   dell'imposta   sul   reddito   delle  persone  fisiche,
dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell'imposta  lo-
cale  sui  redditi, nella misura del 16 per cento dei maggiori valori
attribuiti ai  beni  iscritti  in  bilancio.  Conseguentemente  detta
imposta  non  e' dovuta per la parte dei suddetti maggiori valori non
iscritta in bilancio, vuoi in dipendenza del  fatto  che  i  soggetti
interessati non si sono avvalsi della facolta' di utilizzare la parte
eccedente  il  38  per cento dell'ammontare della rivalutazione, vuoi
per effetto del superamento del valore di mercato posto quale  limite
entro cui puo' essere ripartito proporzionalmente tra ciascun bene il
predetto ammontare.
  Ai  sensi  del  successivo comma 6 del citato art. 25, l'imposta di
cui trattasi deve essere versata entro il  termine  di  presentazione
della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta nel cui
bilancio, rendiconto o prospetto la rivalutazione e' eseguita.
  Tuttavia,   gli   interessati  possono  avvalersi  della  facolta',
barrando l'apposita casella inserita nei modelli di dichiarazione dei
redditi da utilizzare per la rivalutazione, di versare detta  imposta
in tre rate nella misura del 34 per cento la prima e la seconda e del
32  per  cento la terza, scadenti rispettivamente entro il suindicato
termine,  nel  quarto  mese  e  nell'undicesimo  mese  successivi  al
predetto  termine.  In  tal caso non sono dovuti gli interessi di cui
all'art. 9 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
  L'imposta sostitutiva di cui trattasi va computata  in  diminuzione
del  saldo  attivo  di  rivalutazione  ed  e' indeducibile, giusta il
disposto dell'art. 25, comma 6, della legge.
  Ai sensi del secondo periodo del citato comma  6  dell'art.  25,  i
contribuenti  che  abbiano  diritto  al rimborso di crediti d'imposta
risultanti  dalle  dichiarazioni  relative  a  periodi   di   imposta
precedenti  o  da  quella  riguardante  il  periodo d'imposta nel cui
bilancio, rendiconto o prospetto la rivalutazione e' stata  eseguita,
devono  utilizzare  gli  importi da versare, fino al 25 per cento del
loro ammontare, a  titolo  di  compensazione  di  detti  rimborsi,  a
partire da quello meno recente.
  A tale proposito si evidenzia che la suindicata aliquota del 25 per
cento  va  commisurata  all'intero ammontare dell'imposta sostitutiva
dovuta e che la parte di essa non  compensata  va  versata  in  unica
soluzione  ovvero,  a  richiesta,  in tre rate con le modalita' e nei
termini innanzi indicati.
  Si   precisa  che  l'utilizzo  dell'imposta  sostitutiva  non  puo'
riguardare  crediti  chiesti  a  rimborso  nei  modi  ordinari  o   a
compensazione   dell'imposta   dovuta   per  il  periodo  di  imposta
successivo, ne' quelli per  i  quali  sia  stata  inoltrata  apposita
istanza  ai sensi dell'art. 1 del decreto-legge 26 marzo 1992, n. 244
e pertanto deve riguardare esclusivamente i crediti  emergenti  dalle
dichiarazioni per i quali e' stato chiesto il rimborso.
  Si   osserva,   inoltre,   che   non  possono  formare  oggetto  di
compensazione gli  interessi  relativi  ai  predetti  crediti,  fermo
restando  che  essi saranno riconosciuti con la procedura di rimborso
ordinaria.
6 - Effetti fiscali.
  Il maggior valore attribuito ai beni rivalutati  costituisce  parte
integrante  del  costo di acquisizione dei beni stessi e si considera
fiscalmente riconosciuto ai fini dell'imposta sui redditi,  ai  sensi
dell'art.  25,  comma  7,  della  legge  e  dell'art. 8, comma 1, del
relativo decreto di attuazione.  Conseguentemente  i  predetti  nuovi
valori  costituiscono  la nuova base di applicazione dei coefficienti
tabellari per la determinazione delle  quote  annue  di  ammortamento
fiscalmente  deducibili  e,  sempre  con  riferimento  agli  immobili
strumentali, della deduzione nel limite del 5 per cento  delle  spese
di  manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione di cui
all'art. 67, comma 7, del  T.U.I.R.,  sempre  che  dal  bilancio  non
risultino  imputate ad incremento del costo dei beni, nonche' ai fini
del computo delle plusvalenze e delle minusvalenze  che  si  potranno
realizzare nelle ipotesi previste negli articoli 54 e 66 del T.U.I.R.
  Ai  sensi  del  citato comma 7, l'ammortamento dei beni rivalutati,
compreso   l'ammortamento   finanziario   dei   beni    gratuitamente
devolvibili,   puo'  essere  commisurato  al  nuovo  valore  ad  essi
attribuiti   fino   ad   esaurimento   dello   stesso   a   decorrere
dall'esercizio  successivo  a  quello  nel cui bilancio, rendiconto o
prospetto la rivalutazione e' stata eseguita.
  Con la stessa decorrenza  suindicata,  le  spese  di  manutenzione,
riparazione,  ammodernamento  e  trasformazione  di  cui all'art. 67,
comma 7, del T.U.I.R., ricorrendo la condizione ivi prevista, possono
essere commisurate, nel limite del  5  per  cento,  ai  nuovi  valori
attribuiti ai beni rivalutati.
  Con  riguardo  ai  beni  gratuitamente  devolvibili, si osserva, in
conformita' a quanto disposto con l'art. 8, comma 2, del  decreto  di
attuazione,  che  la  maggiore  quota di ammortamento finanziario non
dedotta nell'esercizio con riferimento al quale e' stata eseguita  la
rivalutazione, va computata in aumento di quelle deducibili a partire
dall'esercizio successivo in misura pari al relativo ammontare diviso
per il numero dei residui anni di durata della concessione.
  Ai sensi della disposizione contenuta nell'ultimo periodo dell'art.
25,  comma  7,  della  legge,  le quote di ammortamento e le spese di
manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione di cui  al
richiamato  art.  67,  comma  7, del T.U.I.R., relativi ai fabbricati
rivalutati a norma della  legge  n.  408  del  1990,  possono  essere
commisurati  ai  nuovi  valori  iscritti  in  bilancio,  rendiconto o
prospetto per effetto della legge stessa a  decorrere  dall'esercizio
successivo  a  quello  con  riferimento  al quale la rivalutazione e'
stata eseguita.
  Analogamente,  con  riferimento  agli  enti e societa' beneficiarie
delle operazioni di ristrutturazione di cui alla  legge  n.  218  del
1990,  che  possono  eseguire la rivalutazione a norma della legge n.
408 del  1990,  nel  bilancio  o  rendiconto  relativo  all'esercizio
successivo  a quello indicato nell'art. 2 della stessa legge, qualora
si avvalgano delle disposizioni ivi previste in luogo  di  quelle  di
cui  alla  legge  n.  413,  le  quote  di  ammortamento e le spese di
manutenzione, riparazione, trasformazione e  ammodernamento  relative
ai  fabbricati rivalutati, possono essere commisurati ai nuovi valori
iscritti in bilancio per i predetti  beni  a  partire  dall'esercizio
successivo  a  quello  con  riferimento  al quale la rivalutazione e'
stata eseguita.
  Il comma 8 dell'art. 25  della  legge  in  commento,  riproduce  la
corrispondente  disposizione  di cui all'art. 3, comma 4, della legge
n. 408 del 1990,  disponendo  che  nel  caso  di  cessione  a  titolo
oneroso,  di  assegnazione  ai  soci  o  di  destinazione a finalita'
estranee  all'esercizio  dell'impresa  ovvero,  di  destinazione   al
consumo  personale  o familiare dell'imprenditore dei beni rivalutati
in data anteriore a quella di inizio del terzo esercizio successivo a
quello con riferimento al quale e' stata eseguita  la  rivalutazione,
si  ha  riguardo,  ai  fini  della determinazione della plusvalenza o
della minusvalenza, al costo dei beni prima della rivalutazione.
  In tal caso  al  soggetto  che  ha  eseguito  la  rivalutazione  e'
riconosciuto  un  credito  di imposta ai fini dell'IRPEF o dell'IRPEG
pari all'ammontare dell'imposta  sostitutiva  pagata  nei  precedenti
esercizi  con  riferimento  ai  beni  che hanno formato oggetto delle
operazioni suindicate. Detto ammontare  va  portato  in  aumento  del
saldo  attivo  risultante  dalla  rivalutazione  nella stessa misura,
corrispondente al maggior valore attribuito  ai  beni  oggetto  delle
operazioni medesime.
  Non  compete  il  credito  di  imposta  nell'ipotesi  in cui i beni
rivalutati  siano  stati  esclusi  dal  patrimonio  dell'impresa  per
effetto  dell'opzione esercitata ai sensi dell'art. 58 della legge 30
dicembre 1991, n. 413, atteso che, in tal caso non  si  procede  alla
tassazione  delle  plusvalenze  secondo  i  criteri  ordinari,  ma si
applica  un'imposta  sostitutiva  dell'IRPEF,  dell'ILOR  e  dell'IVA
commisurata  al  valore determinato con i criteri di cui all'art. 52,
comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta  di
registro,  approvato  con  decreto del Presidente della Repubblica 26
aprile 1986, n. 131.
  E' appena il caso di rilevare peraltro che nel periodo  di  imposta
in  cui  si  verifichi  una  delle  ipotesi  di cui al citato comma 8
dell'art.  25,  occorre  procedere  al  recupero   della   quota   di
ammortamento  corrispondente  al  maggior  valore  attribuito ai beni
rivalutati che hanno formato oggetto delle ipotesi medesime a  titolo
di sopravvenienza attiva.
  Non rientrano tra le ipotesi suindicate l'eliminazione del processo
produttivo   dei  beni  non  ancora  completamente  ammortizzati,  il
riscatto dei beni concessi in locazione finanziaria,  la  devoluzione
gratuita  dei beni al concedente, la distruzione, il danneggiamento o
la perdita dei beni rivalutati.
  Non  configura  altresi'  alcuna  delle ipotesi innanzi indicate il
conferimento effettuato da parte di enti o societa' destinatari delle
operazioni di ristrutturazione di cui alla legge  n.  218  del  1990,
atteso  che  ai  sensi dell'art. 7, comma 2, della stessa legge, agli
effetti dell'imposta sui redditi, i conferimenti ivi considerati  non
costituiscono  realizzo di plusvalenze, comprese quelle relative alle
rimanenze e al valore di avviamento.
  Nel caso in cui gli enti e le  societa'  conferitari  di  cui  alla
menzionata  legge n. 218 cedano a titolo oneroso, assegnino ai soci o
destinino a finalita' estranee all'esercizio dell'impresa  prima  del
termine indicato all'art. 25, comma 8, i beni rivalutati, acquisiti a
seguito  del conferimento, la differenza tra il valore risultante per
effetto della rivalutazione e trasferito in sede di conferimento  dei
beni   che  hanno  formato  oggetto  di  tali  ipotesi  ed  il  costo
fiscalmente riconosciuto prima della rivalutazione concorre a formare
il reddito imponibile delle societa'  o  enti  conferenti  che  hanno
operato   la   rivalutazione,   nei   cui  confronti  si  applica  la
disposizione di cui al comma 8 dell'art. 25 della legge  in  commento
salvo  quanto  sara' precisato piu' avanti. Il soggetto conferitario,
ai sensi del successivo  comma  12,  e'  tenuto  ad  effettuare,  nel
termine  di 30 giorni dalla data in cui si sono verificate le ipotesi
indicate nel precedente comma 11  ed  innanzi  specificate,  apposita
comunicazione  al soggetto conferente, allegandone copia alla propria
dichiarazione dei redditi.
  La mancata osservanza di tale adempimento  comporta  l'applicazione
della pena pecuniaria da 2 a 10 milioni di lire.
  Per connessione di materia si ritiene opportuno ricordare in questa
sede  che, con riferimento alla rivalutazione eseguita ai sensi della
legge n. 408 del 1990, l'art. 72 della  legge  n.  413  del  1991  ha
stabilito  che  le  disposizioni previste dai commi 8 e 9 dell'art. 3
della citata legge n. 408 non  si  applicano  nel  caso  in  cui  per
effetto  del  conferimento dei beni rivalutati venga ricostituito nel
patrimonio netto della societa'  conferitaria,  anche  ai  soli  fini
fiscali,   il   saldo   attivo  di  rivalutazione  per  un  ammontare
corrispondente  al  maggior  valore  attribuito  ai  beni  conferiti.
Ricorrendo  tale  condizione  le  conseguenze  che  si ricollegano al
verificarsi delle ipotesi di cui al comma 4 dello stesso art. 3 della
legge n. 408 del 1990, ricadono sulla societa' conferitaria.
  Ai sensi del comma 9 dell'art. 25 della legge n. 413, dalla data in
cui si verificano le ipotesi sopra specificate, il  saldo  attivo  di
rivalutazione  fino  a  concorrenza del corrispondente maggior valore
attribuito ai beni che hanno formato oggetto delle ipotesi  medesime,
non e' soggetto alla disciplina di cui ai commi 1, 2 e 3 della stessa
legge  nel senso che puo' essere liberamente distribuito senza essere
assoggettato ad imposizione.
7 - Saldo attivo di rivalutazione.
  Analogamente  a  quanto  previsto   dalle   precedenti   leggi   di
rivalutazione   monetaria,   l'art.   26  della  legge  in  argomento
stabilisce quanto segue:
    a) il saldo attivo risultante  dalla  rivalutazione  eseguita  ai
sensi  della legge di cui trattasi, deve essere imputato a capitale o
accantonato in una speciale riserva designata  con  riferimento  alla
legge medesima, con esclusione di ogni diversa utilizzazione;
    b)  la  riserva,  ove  non venga imputata a capitale, puo' essere
ridotta  soltanto  con  l'osservanza  delle  disposizioni  dei  commi
secondo  e  terzo  dell'art. 2445 del codice civile; qualora essa sia
utilizzata  a  copertura  di  perdite,  non  si  puo'  far  luogo   a
distribuzione  di utili fino a quando non venga reintegrata o ridotta
in   misura   corrispondente   con    deliberazione    dell'assemblea
straordinaria,   senza  l'osservanza  delle  disposizioni  dei  commi
secondo e terzo dell'art. 2445 del codice civile;
    c) il saldo  attivo,  qualora  venga  attribuito  ai  soci  o  ai
partecipanti mediante riduzione della riserva di cui al punto sub b),
ovvero  mediante  riduzione  del  capitale  sociale  o  del  fondo di
dotazione  o  patrimoniale,  aumentato  della   imposta   sostitutiva
corrispondente  all'ammontare  distribuito,  concorre  a  formare  il
reddito della societa' o dell'ente e il reddito imponibile dei soci o
dei partecipanti. In quest'ultimo caso si considera che le  riduzioni
del  capitale  deliberate dopo l'imputazione a capitale delle riserve
di rivalutazione, comprese quelle gia' iscritte in bilancio  a  norma
di precedenti leggi di rivalutazione monetaria, abbiano anzitutto per
oggetto,  fino  al  corrispondente  ammontare,  la parte del capitale
formata con l'imputazione di tali riserve.
  Analogamente a quanto precisato con l'art. 8, comma 4, del  decreto
di  attuazione  della legge 29 dicembre 1990, n. 408, dette riduzioni
vanno  imputate  proporzionalmente  alle  riserve  di   rivalutazione
iscritte ai sensi dell'art. 26, comma 1, della legge in commento ed a
quelle   iscritte   in  bilancio  a  norma  di  precedenti  leggi  di
rivalutazione.
  Ai sensi  del  comma  5  dell'art.  26  nell'esercizio  in  cui  si
verificano le ipotesi indicate alla lettera sub c) al soggetto che ha
eseguito  la  rivalutazione  e'  attribuito un credito di imposta, ai
fini dell'imposta sul reddito delle persone  fisiche  o  dell'imposta
sul reddito delle persone giuridiche, pari all'ammontare dell'imposta
sostitutiva pagata nei precedenti esercizi.
  Dalle  richiamate  disposizioni  si  evince che l'apposita riserva,
nella quale e' stato accantonato il saldo in  questione,  si  colloca
fra  quelle  in  sospensione  di imposta, ancorche' i maggiori valori
attribuiti ai beni rivalutati siano  stati  assoggettati  all'imposta
sostitutiva dell'IRPEF, dell'IRPEG, e dell'ILOR.
  Pertanto,  qualora  per  effetto  della  cessione  dei beni o della
distribuzione del saldo si  determini  l'applicazione  della  imposta
ordinaria, tale evento, come chiarito nel paragrafo 3 della circolare
n.  8, prot. 9/058 del 16 marzo 1984, considerato ininfluente ai fini
della maggiorazione di conguaglio e rimane quindi  estraneo  ai  suoi
meccanismi.  Conseguentemente  in caso di distribuzione del saldo non
si  fa  luogo  a  maggiorazione  di  conguaglio  e,  in  ogni   caso,
l'ammontare   imponibile   deve  essere  escluso  dal  calcolo  della
franchigia.
  Analogamente a quanto affermato nella circolare n. 23 del 18 maggio
1983 e nella circolare n. 9 del 10 aprile 1991, con riferimento  alle
precedenti  leggi  di  rivalutazione,  si  conferma che il divieto di
distribuzione  mira  esclusivamente  alla  finalita'  civilistica  di
impedire  la  diminuzione  del patrimonio sociale. Pertanto, il saldo
attivo utilizzato  per  la  copertura  di  perdite  civilistiche  non
configura  componente  positivo del reddito di esercizio e, pertanto,
le eventuali perdite fiscali possono essere  portate  in  diminuzione
del  reddito  complessivo imponibile ai sensi degli artt. 8 e 102 del
T.U.I.R.  riguardante, rispettivamente, le persone fisiche e gli enti
non commerciali e le societa' di capitali e gli enti commerciali.
  Ai sensi dell'art. 26, comma 6, della legge, qualora le ipotesi  di
cui  al  precedente comma 3 dello stesso art. 26, innanzi illustrate,
si verifichino in  data  anteriore  a  quella  di  inizio  del  terzo
esercizio  successivo  a  quello nel cui bilancio la rivalutazione e'
stata eseguita, i maggiori valori attribuiti ai  beni,  dalla  stessa
data  e  fino  a  concorrenza  degli  importi attribuiti ai soci o ai
partecipanti,  si  considerano  riconosciuti  anche  ai  fini   della
determinazione   delle   plusvalenze  o  minusvalenze  realizzate  in
relazione ai beni indicati dal contribuente.
  Tale previsione e' derogatoria  delle  disposizioni  contenute  nel
comma  8  dell'art.  25  della  legge  riguardante  il  computo delle
plusvalenze  o  delle  minusvalenze  realizzate  riferibili  ai  beni
rivalutati.
  La  disposizione  di cui all'art. 26, comma 6, sopra illustrata, si
applica anche nei confronti delle societa' ed enti conferitari di cui
alla legge n. 218 del 1990 nel caso in cui le  societa'  o  gli  enti
conferenti   di   cui   alla   legge  medesima  abbiano  eseguito  la
rivalutazione ed abbiano proceduto,  nel  periodo  in  cui  rimangono
sospesi  gli  effetti  della rivalutazione stessa, alla distribuzione
della  riserva  nella  quale  era  stato  accantonato  il  saldo   di
rivalutazione.
  Per  effetto  della  disposizione di cui all'art. 26, comma 7 della
legge, secondo cui la disciplina contenuta nell'art. 4  della  stessa
legge si applica, tra gli altri, anche alle imprese individuali, alle
societa'  commerciali  di  cui all'art. 5 del T.U.I.R., agli enti non
commerciali  residenti,  alle  persone  fisiche  e  agli   enti   non
commerciali  non residenti che esercitano attivita' commerciale nello
Stato mediante stabili organizzazioni, l'eventuale utilizzazione  del
saldo  attivo  di  rivalutazione,  salvo  quelle  per le coperture di
perdite, comporta la cessazione del regime di sospensione di  imposta
del  saldo  stesso  per  la  parte utilizzata ed il suo concorso alla
formazione del reddito di impresa.
8 - Controlli degli Uffici.
  L'imposta sostitutiva afferente ai maggiori  valori  attribuiti  ai
beni  deve  essere riscossa mediante versamento diretto nei termini e
modalita' precisate al precedente paragrafo n. 5.  A  tal  fine,  con
decreto  del  Ministro  delle  finanze  del  5  febbraio 1992 si sono
confermati  i  numeri  di  codice  istituiti  con  D.M.  21/2/1991  e
precisamente il 4120 e il 2120.
  A  tale  proposito,  si  precisa  che  il  versamento  va  eseguito
utilizzando la distinta Mod. 8, Modulario F., Riscossione, n. 8 o  il
bollettino   di  conto  corrente  postale,  Mod.  11,  Modulario  F.,
Riscossione, n. 11.
  Il periodo di riferimento da riportare sul modello di versamento e'
l'anno per il quale si versa  l'imposta,  nella  forma  AA.  AA..  Se
l'esercizio  sociale  coincide con l'anno solare, le due ultime cifre
dell'anno cui si riferisce il versamento vanno  ripetute  due  volte:
nel  caso  di  esercizio  sociale a cavallo di due anni solari, vanno
riportate le ultime due cifre  dei  due  anni  cui  si  riferisce  il
versamento.
  L'imposta  sostitutiva  in questione dovuta dalle persone fisiche e
societa' di persone puo' essere versata anche  mediante  delega  alle
aziende  di  credito,  utilizzando  il  modello  approvato con D.M. 9
maggio 1991, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 maggio  1991:
il codice da riportare e' il 13.
  Ai   fini  del  controllo  circa  la  corretta  applicazione  delle
disposizioni  concernenti  le  modalita'  di  rivalutazione   ed   il
pagamento  dell'imposta  sostitutiva  dovuta,  si  applicano le norme
contenute nel D.P.R.  29  settembre  1973,  n.  600,  in  materia  di
accertamento,  nonche'  quelle di cui agli articoli 9 e 92 del D.P.R.
29 settembre 1973, n. 602, relative agli interessi e alla sovrattassa
per  mancato  o   ritardato   versamento   della   predetta   imposta
sostitutiva.
  Le  Intendenze  di  Finanza e gli Ispettorati Compartimentali delle
Imposte Dirette accuseranno ricevuta della  presente  circolare  alla
Direzione  Generale  delle  Imposte  Dirette; gli Uffici Distrettuali
delle  Imposte  Dirette  e  i  Centri  di  Servizio  alle  rispettive
Intendenze di Finanza.
                                                 Il Ministro: FORMICA