Parte introduttiva Il decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, reca, tra l'altro, misure urgenti in materia di previdenza, adottate dal legislatore al fine di realizzare l'indispensabile contenimento della relativa spesa previdenziale, nel quadro di un riordino del sistema pensionistico dei lavoratori dipendenti pubblici e privati, per il quale e' stata conferita delega al Governo con l'art. 3 della recente legge 23 ottobre 1992, n. 421. Con la presente circolare vengono illustrate le disposizioni introdotte e fornite le debite istruzioni con riferimento ai trattamenti pensionistici degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza. In via preliminare, si ritiene opportuno precisare l'ambito di applicazione della sospensione del diritto a pensione, disposta dall'art. 1 del provvedimento legislativo in esame. Occorre sottolineare, innanzitutto, che detta sospensione riguarda tutti i casi di pensionamento anticipato, rispetto ai tassativi limiti massimi di eta', fissati dai singoli ordinamenti degli enti datori di lavoro per il collocamento a riposo d'ufficio del personale da essi dipendente, decorrenti nel periodo stabilito, qualunque sia la causa di cessazione dal servizio e con esclusione delle fattispecie di seguito indicate. Va subito messo in evidenza che, in base al dettato del citato art. 1, non incorrono nella prevista sospensione tutte quelle ipotesi in cui il diritto a pensione abbia decorrenza anteriore alla data del 19 settembre 1992; pertanto, la norma in questione non si applica alle cessazioni che siano avvenute entro e non oltre il 17 settembre 1992 (ultimo giorno di servizio) e quindi alle pensioni decorrenti da data non successiva al 18 settembre 1992. Inoltre, ribadito che il blocco del diritto a pensione concerne i pensionamenti anticipati, non ricadono, ovviamente, nella predetta sospensione: i collocamenti a riposo disposti d'ufficio dagli enti datori di lavoro, in base ad un vero e proprio obbligo giuridico (e non, percio', facoltativamente) conseguente al raggiungimento, da parte dei dipendenti, dei limiti massimi di eta' tassativamente fissati dai rispettivi ordinamenti per l'estinzione del rapporto di lavoro. Peraltro, anche nel caso che la stessa fonte normativa dell'ente preveda esplicitamente, sempre in modo tassativo, quale causa di coatta espulsione dall'amministrazione il raggiungimento dei limiti massimi di servizio, non si configura, evidentemente, nella fattispecie considerata, un "pensionamento anticipato" e non si ritiene, pertanto, che debba trovare applicazione la sospensione del trattamento pensionistico; le cessazioni dal servizio per morte, ancorche' avvenuta nel periodo 18 settembre 1992 - 30 dicembre 1993; in tale ipotesi, il diritto alla pensione indiretta degli eventuali superstiti, non subisce alcuna sospensione; i casi di dispensa dal servizio per "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro", accertata con verbale di visita medico-collegiale, previamente effettuata presso le unita' sanitarie locali dalla competente commissione sanitaria. In relazione ai trattamenti per inabilita', giova richiamare, preliminarmente, quanto disposto dall'art. 13 della legge 8 agosto 1991, n. 274 e le relative istruzioni fornite da questa amministrazione con la circolare 15 novembre 1991, n. 9/I.P. (par. 4), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 273 del 21 novembre 1991. Il primo comma del menzionato art. 13 dispone che le domande di pensione che richiedono la condizione di inabilita' (cio' vale sia nel caso di inabilita' relativa alle mansioni sia nel caso di inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro) non derivante da causa di servizio, debbono essere corredate del verbale di visita medico-collegiale, che attesti la sussistenza o meno della condizione di "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro". Qualora effettivamente sia stata accertata, nei prescritti modi di legge, la predetta condizione di "inabilita' assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro" a carico del dipendente, l'ente di appartenenza non puo' certamente mantenerlo in servizio e, poiche' trattasi di causa di cessazione del tutto involontaria e cogente, non si puo' ritenere che ricorra un collamento a riposo "anticipato" e, conseguentemente, non va applicata la sospensione della pensione ex art. 1 del decreto-legge n. 384, convertito nella legge n. 438/1992. Ove, invece, non sussista la condizione di cui sopra ed il dipendente sia stato riconosciuto fisicamente inidoneo solo allo svolgimento delle proprie mansioni, si rammenta che l'ente datore di lavoro deve esperire ogni utile tentativo per recuperare al servizio attivo il personale interessato, assegnandolo, eventualmente, ad un diverso profilo professionale dello stesso livello o, addirittura, inferiore. Come gia' fatto presente nella richiamata circolare n. 9/I.P., tale procedura costituisce condizione di legittimita' dei collocamenti a riposo per inabilita' relativa alle mansioni esercitate e soltanto nel caso che l'inabilita' stessa sia tale da impedire l'ulteriore prosecuzione del rapporto di lavoro l'ente puo' disporre la cessazione per inabilita', mentre, in caso contrario, sussiste un divieto di dispensa per motivi di salute. Con queste precisazioni, si sottolinea che i casi di cessazione dal servizio per inabilita' relativa alle mansioni svolte, sfuggono alla sospensione del trattamento pensionistico soltanto nella eccezionale ipotesi che l'ente datore di lavoro non trovi assolutamente il modo di reimpiegare il personale interessato e sia, percio', costretto a deliberarne la dispensa; al riguardo, l'ente medesimo dovra' trasmettere alla competente divisione della direzione generale degli istituti di previdenza tutta la necessaria documentazione probatoria e certificare la procedura e le motivazioni della cessazione dal servizio del dipendente riconosciuto inabile alle mansioni proprie o a quelle d'istituto. 1. Sospensione dei pensionamenti anticipati. Nella parte introduttiva sono state esaminate tutte quelle fattispecie che non costituiscono "pensionamenti anticipati" e, pertanto, non sono riguardate dalla sospensione del diritto a pensione di cui all'art. 1 del decreto-legge n. 384, convertito nella legge n. 438/1992. Viene ora presa in considerazione la disciplina che nei casi di pensionamento anticipato sospende il diritto a pensione. Il comma uno del richiamato art. 1 dispone, per quanto qui interessa, che " . a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 1993 e' sospesa l'applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento e di accordi collettivi che preveda il diritto, con decorrenza nel periodo sopracitato, a trattamenti pensionistici di anzianita' a carico del regime generale obbligatorio, . delle forme esclusive del regime stesso, . anticipati rispetto all'eta' pensionabile o all'eta' prevista per la cessazione dal servizio in base ai singoli ordinamenti". Si deve rilevare che la terminologia e la concettualita' giuridica di cui si e' servito il legislatore nella stesura della citata norma riflettono, in prevalenza, la disciplina del regime generale obbligatorio dell'I.N.P.S., pur essendo state tenute presenti le peculiarita' delle altre gestioni pensionistiche. E' necessario, quindi, ricercare negli ordinamenti delle casse pensioni degli istituti di previdenza gli omologhi concetti e le corrispondenti fattispecie regolate dalle nuove disposizioni. Ed invero, per "pensione di anzianita'" deve intendersi, nell'ambito degli ordinamenti delle predette casse pensioni, il trattamento pensionistico eventualmente spettante a seguito del collocamento a riposo anticipato rispetto ai limiti massimi di eta' previsti per la cessazione dal servizio in base alla fonte normativa dei singoli enti; cosi' pure l'"eta' pensionabile" va riferita all'eta' massima stabilita per il collocamento a riposo d'ufficio dalla medesima fonte normativa dei predetti enti. Cio' posto, va messo in evidenza che tutti i casi di pensionamento anticipato che si verifichino nel periodo dal 19 settembre 1992 al 31 dicembre 1993 (decorrenza del collocamento a riposo), incorrono nella sospensione del diritto a pensione, con la sola esclusione delle deroghe esplicitamente previste dal legislatore nonche' delle fattispecie (che, pero', si ripete, non costituiscono "pensionamenti anticipati") prese in considerazione nella parte introduttiva della presente circolare. Si deve altresi' sottolineare che la disposizione in esame appare estremamente restrittiva in quanto non solo non consente l'erogazione del trattamento di quiescenza, bensi' addirittura stabilisce, piu' radicalmente, che e' sospeso il conseguimento dello stesso diritto a pensione. In buona sostanza, non si tratta del contenuto patrimoniale del diritto che viene meno per la mancata corresponsione delle rate di pensione, ma e' il medesimo diritto a pensione che non viene maturato nel periodo fissato e, conseguentemente, impedisce l'acquisizione dello "status" di pensionato, anche se, per estrema ipotesi, l'interessato fosse effettivamente cessato dal servizio. La precisazione di cui sopra ha notevole rilievo ove si consideri che il diritto a pensione ed il connesso "status" di pensionato verrebbero, eventualmente, conseguiti solo successivamente allorquando sara' consentito l'accesso a pensione e, pertanto, con riferimento a quest'ultima data ed in base alla disciplina che risultera' vigente alla data medesima dovranno essere accertati i requisiti per il raggiungimento del diritto a pensione ed applicate le modalita' di calcolo per la determinazione della misura della pensione stessa. Orbene, nella materia pensionistica profonde innovazioni saranno certamente introdotte alla luce della legge-delega n. 421 del 1992 e degli emanandi decreti delegati ed e', quindi, opportuno richiamare l'attenzione degli enti datori di lavoro e delle competenti direzioni provinciali del Tesoro affinche' adottino le necessarie cautele del caso, al fine di evitare l'indebita corresponsione di trattamenti pensionistici eventualmente non spettanti, o spettanti in un importo inferiore, in base alla disciplina che verra' posta, con particolare riguardo all'anno 1993. Per ultimo, non e' superfluo ribadire che la sospensione del diritto a pensione investe tutti i casi di pensionamenti anticipati, rispetto ai limiti massimi di eta' e/o di servizio, che abbiano decorrenza nel periodo stabilito; pertanto, qualunque sia la causa di cessazione dal servizio (sia che essa avvenga, ad es., per dimissioni, per decadenza, per destituzione a seguito di procedimento disciplinare o per condanna penale, ecc.) si configura pur sempre un "pensionamento anticipato" e va, quindi, applicata la sospensione del diritto a pensione, restando, ovviamente, escluse le fattispecie, prima indicate, concernenti le cessazioni dal servizio per morte e per inabilita', derivante o meno da causa di servizio, purche' tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro. Tra le varie ipotesi di "pensionamento anticipato" va menzionata, in modo particolare, quella che puo' verificarsi per effetto dell'art. 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991, riguardante il personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale. Il citato art. 4 ha sancito l'incompatibilita' del rapporto di lavoro reso alle dipendenze del predetto Servizio con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, o anche di natura convenzionale con lo stesso Servizio sanitario nazionale. Tali situazioni di incompatibilita' dovranno cessare entro il 31 dicembre 1992 ed e', pertanto, necessario che, entro la medesima data, i medici interessati scelgano, in base alle personali valutazioni, se dimettersi dal pubblico impiego, optando per l'attivita' libero-professionale, ovvero continuare a rimanere alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale, rinunciando ai rapporti incompatibili. E' di tutta evidenza che, qualora si opti per la cessazione dal servizio, pure nella fattispecie prospettata ricorre un "pensionamento anticipato", in quanto l'estinzione del rapporto di lavoro e' conseguente ad un atto di libera volonta' dei soggetti e dovra', quindi, trovare applicazione la sospensione del diritto a pensione ex art. 1 del decreto-legge n. 384, convertito nella legge n. 438/1992. 2. Deroghe alla sospensione dei pensionamenti anticipati. Il comma 2 dell'art. 1 del provvedimento legislativo in esame, prevede alcune ipotesi eccezionali di deroga alla sospensione del conseguimento del diritto a pensione nei casi di "pensionamento anticipato". Il predetto comma, per quanto concerne gli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza, tra l'altro testualmente recita: "La disposizione di cui al comma 1 non si applica: a) ... ai lavoratori privi della vista; c) ai lavoratori per i quali sia intervenuta l'estinzione del rapporto di lavoro . ovvero sia iniziato il decorso del periodo di preavviso connesso alla risoluzione del rapporto anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto; e) ai dipendenti che abbiano presentato domanda di dimissioni da un pubblico impiego, accolta dai competenti organi anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto; f) ai lavoratori che possano far valere un'anzianita' contributiva non inferiore a 40 anni;". Innanzitutto, si deve sottolineare che le disposizioni di cui al citato comma 2 dell'art. 1 costituiscono deroghe alla sospensione dei "pensionamenti anticipati" e si debbono considerare, pertanto, come norme di carattere eccezionale rispetto al divieto di carattere generale posto dal comma 1; conseguentemente, come e' pacificamente riconosciuto in dottrina e giurisprudenza, esse sono norme di stretta interpretazione letterale e non sono suscettibili di interpretazione estensiva o analogica. Detta precisazione dovra' essere tenuta ben presente al fine di determinare con esattezza l'ambito di applicazione del prefato comma 2. Vengono, ora, esaminate le singole ipotesi di deroga, sopra elencate. Per quanto concerne i lavoratori privi della vista di cui alla lettera a), si richiama quanto gia' precisato da questa Amministrazione con la circolare 27 maggio 1992, n. 12/I.P. (par. 2), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale serie generale - n. 127 del 1 giugno 1992, in relazione ai dipendenti privi della vista di cui alle leggi 29 marzo 1985, n. 113 e 28 marzo 1991, n. 120. Giova rammentare che rientrano nella predetta categoria coloro che si trovano nella condizione di cui al 1 comma dell'art. 6 della legge 2 aprile 1968, n. 482, siano, cioe', colpiti da cecita' assoluta o abbiano un residuo visivo non superiore a un decimo in entrambi gli occhi, con eventuale correzione. Va messo in evidenza che la condizione di privo della vista dovra' essere documentalmente comprovata, mediante l'idonea certificazione indicata al paragrafo 2 della menzionata circolare n. 9/I.P., alla quale si fa esplicito rinvio. All'uopo, l'ente datore di lavoro dovra' inviare l'apposita documentazione di cui sopra alla direzione provinciale del Tesoro, ai fini della corresponsione del trattamento provvisorio di pensione, ed alla competente divisione della Direzione generale degli istituti di previdenza. L'ipotesi di deroga sub c) comprende due distinte fattispecie: in ordine alla prima, che riguarda i lavoratori per i quali sia intervenuta l'estinzione del rapporto di lavoro, gia' nella parte introduttiva della presente circolare e' stato subito chiarito che la sospensione del diritto a pensione non si applica quando il diritto stesso abbia decorrenza anteriore alla data del 19 settembre 1992. La seconda fattispecie concerne quei casi in cui il rapporto di lavoro ha natura privatistica (come, ad es., per le aziende municipalizzate) ed i relativi contratti collettivi nazionali, o la fonte normativa propria dei singoli enti, prevedono la necessita' di un periodo di preavviso per la risoluzione del rapporto stesso; detto periodo di preavviso deve essere osservato, secondo le diverse ipotesi, sia dall'ente datore di lavoro in favore del dipendente, sia dal lavoratore in favore dell'ente medesimo. Orbene, qualora il decorso del periodo di preavviso sia iniziato anteriormente al 19 settembre 1992, non si incorre nella sospensione del diritto a pensione. E' opportuno chiarire che elemento discriminante, nella fattispecie considerata, e' soltanto la data di decorrenza del periodo di preavviso; la predetta data non sempre coincide con quella della comunicazione scritta, che e' presupposto necessario ma non sufficiente, in quanto potrebbe accadere che pur in presenza di una comunicazione scritta anteriore al 19 settembre 1992, il periodo del preavviso medesimo decorra da data non anteriore a quella di entrata in vigore del decreto-legge n. 384/1992, in base alle disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali. Solo da un'attenta lettura dell'apposita normativa che disciplina l'istituto del preavviso, potra' stabilirsi, in relazione alla comunicazione scritta, la decorrenza del periodo in questione. Va rilevato che la norma in esame non richiede alcun'altra condizione ed e', pertanto, irrilevante il possesso, anteriormente al 19 settembre 1992, dei requisiti necessari per il diritto a pensione, dovendo detti requisiti sussistere ed essere accertati con riferimento alla data di cessazione dal servizio. Al riguardo, sara' sufficiente che gli enti datori di lavoro certifichino il verificarsi della prescritta condizione e trasmettano alla direzione provinciale del Tesoro ed alla competente divisione della Direzione generale degli istituti di previdenza copia, debitamente autenticata, di tutta la relativa documentazione probatoria, con particolare riferimento alla comunicazione scritta di preavviso, da cui risultino la data certa e gli estremi di assunzione a protocollo, nonche' copia conforme della fonte normativa che regola l'istituto del preavviso. L'ipotesi di deroga sub e) concerne i dipendenti che abbiano presentato domanda di dimissioni da un pubblico impiego, accolta dai competenti organi anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Va sottolineato che, in base alla citata disposizione, la fattispecie ivi prevista si realizza quando sussistono congiuntamente le seguenti condizioni: 1) destinatari sono soltanto quei dipendenti ai quali si applica la disciplina del rapporto di pubblico impiego e non, invece, quel personale il cui rapporto di lavoro abbia natura privatistica; 2) la domanda di dimissioni (o anche di collocamento a riposo) sia stata presentata anteriormente al 19 settembre 1992; 3) l'accoglimento di tale domanda sia avvenuto, nelle prescritte forme di legge idonee a manifestare la volonta' della pubblica amministrazione (e, cioe', con regolari atti deliberativi), anteriormente alla predetta data; 4) la volonta' di accogliere la domanda sia stata formalmente manifestata dai competenti organi degli enti pubblici, nella cui sfera di attribuzione rientri, secondo la fonte normativa propria degli enti stessi, il potere/dovere di deliberare sulle domande di dimissioni o di collocamento a riposo dei dipendenti (ad es. delibera della giunta comunale e provinciale, rispettivamente per i comuni e le province, o attualmente, dell'amministratore straordinario per le unita' sanitarie locali, ovvero del consiglio di amministrazione per alcuni enti, ecc.); 5) la cessazione dal servizio sia effettivamente avvenuta, o avvenga, alla data indicata nella domanda di dimissioni e nel conseguente provvedimento di accoglimento, i quali, si ripete, devono essere entrambi anteriori al 19 settembre 1992; una eventuale prosecuzione del servizio oltre la prestabilita data di collocamento a riposo ovvero un differimento del collocamento a riposo medesimo, deliberato con atto non anteriore al 19 settembre 1992, configurerebbe una implicita revoca della domanda di dimissioni (o di collocamento a riposo) e del relativo atto deliberativo di accoglimento, con i conseguenti riflessi negativi sull'accesso al diritto a pensione. Come e' stato messo in evidenza, la fattispecie in esame concerne l'ambito del pubblico impiego e ad essa, quindi, vanno applicati tutti i principi che regolano, appunto, detto rapporto. Con particolare riferimento alle modalita' di costituzione e d'estinzione volontaria del rapporto di pubblico impiego, e' richiesto, come e' noto, l'incontro di due manifestazioni unilaterali di volonta' provenienti l'una dall'interessato e l'altra dalla pubblica amministrazione, la quale si esprime solo con gli atti adottati nelle forme di legge. Si deve, inoltre, rilevare che la norma di cui trattasi menziona la "domanda di dimissioni"; al riguardo, va precisato che sia l'ordinamento degli impiegati statali come pure gli ordinamenti del personale degli altri enti pubblici, soprattutto locali, che mutuano i loro principi da quello statale, distinguono la domanda di dimissioni volontarie (che prescinde dal conseguimento del diritto a pensione) dalla domanda di collocamento a riposo che, invece, presuppone sempre il diritto a pensione. A stretto rigore, pertanto, sembrerebbe che la norma in esame non prenda in considerazione le domande di collocamento a riposo. Tuttavia, si deve tener presente che le domande di dimissioni a seguito delle quali sia carente il diritto a pensione non hanno qui alcuna rilevanza, mentre quelle altre presentate nei casi in cui vi sia diritto a pensione, sostanzialmente coincidono con le domande di collocamento a riposo. Per tali motivi, si ritiene di poter consentire che, ove sussistano congiuntamente tutte le condizioni sopra esposte, l'ipotesi di deroga sub e) sia operante anche per le domande di collocamento a riposo. Peraltro, si deve rilevare che la domanda di dimissioni o di collocamento a riposo non opera di per se' la cessazione del rapporto, ma rappresenta soltanto il presupposto indispensabile per ottenere l'atto di accoglimento dell'amministrazione e puo' anche essere ritirata dall'interessato fino a quando l'ente datore di lavoro non abbia provveduto in merito; conseguentemente, la predetta domanda non ha alcuna efficacia se non e' stata accolta dai competenti organi dell'ente medesimo, comunque tenuto ad adottare il relativo, esplicito e formale atto deliberativo, anche se, eventualmente, non vi abbia adempiuto entro il termine appositamente stabilito da leggi, regolamenti, o contratti collettivi. Ed invero, tale manifestazione di volonta' della pubblica amministrazione, consacrata nelle prescritte forme, e', in ogni caso, un atto necessario ed indefettibile per l'estinzione del rapporto di pubblico impiego; fino a quando esso non sia intervenuto, il dipendente deve rimanere in servizio, con tutti gli obblighi ed i diritti che ne derivano. Quanto sopra, si ripete, vale anche quando la fonte normativa propria dell'ente datore di lavoro fissa un termine entro il quale l'ente medesimo e' tenuto a deliberare in merito alla domanda di dimissioni o di collocamento a riposo. Infatti, prima della scadenza del predetto termine, l'accoglimento della domanda in questione rientra nella discrezionalita' dell'amministrazione che, entro certi limiti, puo' differire la cessazione dal servizio per esigenze di pubblico interesse che prevalgono sulla posizione soggettiva del singolo; decorso tale termine, il provvedimento di accettazione avra' contenuto vincolato, sara' atto meramente dichiarativo ma pur sempre indispensabile per l'estinzione del rapporto di pubblico impiego. E' appena il caso di rammentare, inoltre, che la domanda di collocamento a riposo andrebbe rigettata, ove non fossero sussistenti i requisiti per il diritto a pensione che l'amministrazione dovrebbe previamente accertare con apposita attivita' istruttoria. Pertanto, e' di tutta evidenza che in tutti quei casi in cui l'ente datore di lavoro abbia omesso di provvedere entro il termine previsto, non si puo' configurare, in senso tecnico-giuridico, l'ipotesi del "silenzio-assenso", come, invece, e' stato da piu' parti adombrato: cio' in quanto, nella fattispecie, il silenzio della pubblica amministrazione non concretizza un atto amministrativo e non puo' surrogare, in positivo, il provvedimento di accoglimento della domanda di dimissioni o di collocamento a riposo; tutt'al piu', a causa del comportamento omissivo dell'ente, si realizza una ipotesi di "silenzio-inadempimento", che potrebbe anche essere impugnato dall'interessato davanti all'autorita' giudiziaria competente per ottenere la declaratoria dell'obbligo di provvedere in merito. Orbene, se il predetto atto deliberativo risulti di data non anteriore al 19 settembre 1992, dovra' trovare applicazione la sospensione del diritto a pensione. Come e' noto, poi, il provvedimento amministrativo e' "perfetto" quando si e' compiuto il procedimento stabilito dalla legge per la sua emanazione e vi e' stata, effettivamente, la manifestazione di tutte quelle volonta' il cui concorso sia richiesto per la sua formazione. Inoltre, l'atto amministrativo e' "efficace" quando e' idoneo a produrre gli effetti giuridici cui e' diretto. Un atto puo' essere perfetto ma non ancora efficace, in quanto i due momenti della "perfezione" e della "efficacia" possono non coincidere, come nell'ipotesi di efficacia posticipata, in cui si ha un periodo intermedio, durante il quale l'atto amministrativo si trova in stato di pendenza. Tale e' la situazione che si verifica quando la legge stabilisce che il provvedimento, pure perfetto, non e' efficace ed eseguibile fino a che non sia sopravvenuto un particolare evento che essa erige a requisito di efficacia dell'atto stesso, come l'intervento favorevole dell'organo di controllo o la scadenza del periodo di pubblicazione dell'atto, mediante affissione all'albo dell'ente. L'esecutivita', quindi, non e' uno degli elementi costitutivi del provvedimento amministrativo, non incide sulla "perfezione" del provvedimento medesimo, bensi' ne costituisce un "requisito di efficacia". Poste queste premesse di carattere generale, si deve, conseguentemente, precisare che, qualora l'atto deliberativo di accoglimento della domanda di dimissioni o di collocamento a riposo sia stato adottato prima del 19 settembre 1992 e congiuntamente sussistano tutte le altre condizioni per il realizzarsi della ipotesi di deroga in esame, non assume rilevanza che l'esecutivita' dell'atto deliberativo medesimo non sia, eventualmente, anteriore al 19 settembre 1992, a seguito dell'atto positivo di controllo o della scadenza del periodo di pubblicazione successivi alla predetta data. Al riguardo, giova richiamare, innanzitutto, quanto prima sottolineato circa il carattere eccezionale delle norme che recano deroghe al divieto di carattere generale posto dal comma 1 dell'art. 1 del decreto-legge n. 384/92, convertito con modificazioni in legge n. 438/92, con la conseguente necessita' della loro stretta interpretazione letterale. Alla luce di tale principio, e' gia' sufficiente rilevare dal dettato testuale del comma 2, lettera e), del citato art. 1, che il legislatore non ha prescritto che anteriormente al 19 settembre 1992 sia pure intervenuto il requisito della esecutivita' della deliberazione di accoglimento della domanda di dimissioni o di collocamento a riposo, nulla disponendo in merito, anzi prevedendo esplicitamente (e soltanto) che la predetta domanda deve essere stata presentata dai dipendenti ed accolta dai competenti organi dell'ente, prima della menzionata data del 19 settembre 1992. Oltre tutto, occorre far presente che la esecutivita' dell'atto amministrativo, come sopra illustrato, e' soltanto un "requisito di efficacia" al quale e' riconosciuta, nei confronti dell'atto di cui condiziona la operativita', una forza giuridica minore di natura puramente dichiarativa; pertanto, l'efficacia del provvedimento amministrativo, divenuto esecutivo, retroagisce al momento in cui il provvedimento medesimo si sia perfezionato. Viene, preso, infine, in considerazione il caso in cui l'ente datore di lavoro dopo avere adottato l'atto deliberativo di accoglimento della domanda di dimissioni o di collocamento a riposo in data anteriore al 19 settembre 1992, abbia poi sospeso il predetto atto e, successivamente, abbia provveduto a revocare la disposta sospensione. Si deve rilevare, in via preliminare, che la sospensione dell'atto amministrativo priva di effetti giuridici l'atto stesso, ne determina la paralisi nell'ordinamento; il provvedimento sospeso, pertanto, si puo' ritenere tamquam non esset nel perdurare della sua sospensione, essendo del tutto inefficace, e parimenti, in tale situazione, nessun effetto puo' essere collegato alla domanda di dimissioni o di collocamento a riposo. In buona sostanza, con la manifestazione di volonta' di sospendere l'atto di accoglimento, l'ente datore di lavoro ha vanificato la sua precedente determinazione volitiva, con tutte le connesse conseguenze negative che potrebbero derivare. E' evidente, infatti, che, nella fattispecie prospettata, assume rilievo decisivo proprio la circostanza che il provvedimento di revoca della sospensione sia stato, o meno, emanato anteriormente al 19 settembre 1992, in quanto, in definitiva, e' quest'ultimo provvedimento che dispiega gli effetti giuridici in relazione all'accoglimento della domanda di dimissioni o di collocamento a riposo. In conclusione, soltanto nel caso in cui l'atto deliberativo di revoca della sospensione sia di data anteriore al 19 settembre 1992 e l'interessato cessi effettivamente dal servizio alla data originariamente stabilita ed indicata nella sua domanda, non sussiste alcun impedimento ad applicare la deroga di cui alla lettera e) in esame. Invece, se il provvedimento di revoca in questione non fosse stato emanato prima del 19 settembre 1992, non si potrebbe sfuggire al blocco del conseguimento del diritto a pensione. Per ultimo, e' opportuno far presente che l'ente datore di lavoro, qualora trovi applicazione l'ipotesi di deroga di cui trattasi, dovra' inviare alla direzione provinciale del Tesoro, ai fini della corresponsione del trattamento provvisorio di pensione, ed alla competente divisione della Direzione generale degli istituti di previdenza, copia, debitamente autenticata, dell'atto deliberativo di accoglimento della domanda di dimissioni o di collocamento a riposo, nonche' di tutti gli eventuali e successivi provvedimenti di sospensione e di revoca della stessa. La lettera f) del comma due dell'art. 1 del decreto-legge n. 384/92, convertito in legge n. 438/92, dispone che il generale divieto di conseguimento del diritto a pensione di cui al comma 1 dello stesso articolo, non si applica ai lavoratori che possano far valere un'anzianita' contributiva non inferiore a 40 anni. E' opportuno far presente, in via preliminare, che il significato della predetta norma va determinato, innanzitutto, in base al criterio letterale sancito dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, che testualmente recita: "Nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse ... ". Seguendo il noto brocardo latino: in claris non fit interpretatio, laddove il dettato letterale della norma non offre alcuna possibilita' di equivoco, non deve essere ricercato alcun altro significato al di la' di quello manifestato dalla espressione legislativa. E' appena il caso di ribadire, peraltro, che il carattere eccezionale della disposizione in esame conferma ulteriormente il criterio di stretta interpretazione letterale della stessa. Giova, infine, rammentare che la eventuale antinomia tra norme confliggenti va risolta dando applicazione ad una sola di esse, alla stregua dei criteri positivamente stabiliti. In particolare si deve, altresi', richiamare il criterio cronologico (lex posterior derogat priori), stabilito dall'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, che recita: "Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le precedenti o perche' la nuova legge regola la intera materia gia' regolata dalla legge anteriore". Conformandosi ad una tradizionale distinzione, il citato art. 15 prevede, dunque, separatamente, l'abrogazione "espressa" e l'abrogazione "tacita": la prima consiste e deriva da un'esplicita dichiarazione contenuta nella disposizione sopravvenuta, mentre la seconda risulta dalla oggettiva incompatibilita' tra le norme nuove e quelle preesistenti; tale incompatibilita' si articola, quindi, nelle due figure della incompatibilita'-contrasto (di norma con norma) e della impossibilita' di applicare qualsiasi norma precedente in fattispecie che venga posteriormente e compiutamente regolata da fonte successiva. Pertanto, alla luce dei principi generali sopra richiamati, si deve precisare che, prescrivendo la disposizione in esame, esplicitamente, il requisito dell'anzianita' contributiva non inferiore a 40 anni, non si puo' consentire, ai limitati fini dell'accesso alla deroga in esame, l'applicazione di precedenti norme che prevedano qualsiasi arrotondamento all'anno ovvero al mese intero superiore quando risulti una frazione eccedente, rispettivamente, i sei mesi o i quindici giorni. Per quanto concerne, inoltre, la locuzione "anzianita'- contributiva", usata dal legislatore, va posto in evidenza che in essa debbono essere ricompresi tutti i servizi e/o periodi utili a pensione; nel calcolo dell'anzianita' contributiva, quindi, rientrano sia i servizi effettivamente prestati, con obbligo d'iscrizione alle casse pensioni degli istituti di previdenza, che i servizi e/o periodi ammessi a riscatto o ricongiungibili nonche' (ove sussistano tutti i requisiti indicati al paragrafo due della menzionata circolare n. 9/I.P.) i periodi di servizio militare di leva, computati a domanda, con onere a carico delle predette casse pensioni, ai sensi dell'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 274. Resta, ovviamente, inteso che debbono essere, altresi', ricompresi tutti quei servizi e/o periodi utili a pensione, indicati al paragrafo G) della circolare n. 3295, emanata dal servizio ispettivo degli istituti di previdenza in data 16 novembre 1992, concernente la procedura per la denuncia delle retribuzioni contributive e per la revisione dei contributi previdenziali mensili, relativi all'anno 1992. Alcune perplessita' sono state, poi, manifestate circa la data alla quale si debba maturare l'anziania' contributiva di 40 anni, per non incorrere nella sospensione del conseguimento del diritto a pensione; se, cioe', sia richiesto che la suddetta condizione debba sussistere alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 384 ovvero della legge di conversione, od anche successivamente. Al riguardo, si deve rilevare, innanzitutto, che la norma non prevede alcuna data di riferimento per il possesso del requisito di cui sopra e che il legislatore, disponendo per i " . lavoratori che possano far valere . ", non ha adoperato il verbo al tempo passato bensi' al presente storico. Pertanto, si ritiene che la disposizione in esame non vada interpretata in modo statico o cristallizzato, ma che si possa accedere ad una qualificazione dinamica del precetto portato dalla disposizione medesima, tale da consentire di sciogliere favorevolmente tutti i dubbi prospettati, nel senso che i prescritti 40 anni di anzianita' contributiva possano essere maturati anche dopo la data di entrata in vigore del decreto-legge o della legge di conversione. Per comprovare il possesso del requisito previsto dall'ipotesi di deroga di cui trattasi, ai fini della corresponsione del trattamento provvisorio di pensione da parte della competente direzione provinciale del Tesoro, non e' necessario alcun particolare adempimento, essendo sufficiente che gli enti datori di lavoro certifichino nel quadro 1 del Mod. S.C. 755/4, all'apposita colonna del servizio utile, che tale servizio (e non quello arrotondato, si ripete) sia di almeno 40 anni compiuti. In conclusione dell'ampia disamina effettuata delle ipotesi eccezionali di deroga alla sospensione del conseguimento del diritto a pensione, si invitano gli enti datori di lavoro ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni e precisazioni sopra fornite. Non e' superfluo rammentare, altresi', la diretta responsabilita' che gli stessi enti datori di lavoro assumono quali ordinatori primari di spesa nella erogazione, da parte delle competenti direzioni provinciali del Tesoro, del trattamento provvisorio di pensione. Giova richiamare, in proposito, la norma i cui all'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1986, n. 538, emesso in attuazione della legge n. 428 del 1985 laddove, in particolare, viene disposto che "qualora per errore contenuto nella comunicazione dell'ente di appartenenza del dipendente, venga indebitamente liquidato un trattamento pensionistico definitivo o provvisorio, diretto, indiretto o di riversibilita', ovvero un trattamento in misura superiore a quella dovuta e l'errore non sia da attribuire a fatto doloso dell'interessato, l'ente responsabile della comunicazione e' tenuto a rifondere le somme indebitamente corrisposte, salvo rivalsa verso l'interessato medesimo". Per ultimo, si fa presente che gli enti datori di lavoro che abbiano gia' inviato alle direzioni provinciali del Tesoro i Mod. S.C. 755/4, concernenti la correponsione di trattamenti provvisori di pensione anticipata avente decorrenza nel periodo 19 settembre 1992 - 31 dicembre 1993, dovranno confermare agli stessi provinciali uffici la sussistenza di tutti i requisiti previsti dalle ipotesi di deroga sopra descritte, trasmettendo, nel contempo, laddove richiesta, l'apposita documentazione probatoria indicata nella presente circolare. Ovvero cio' non avvenga, le direzioni provinciali del Tesoro sono autorizzate a non porre in pagamento tali partite di pensione provvisoria ed a restituire agli enti medesimi i predetti Mod. S.C. 755/4. 3. Contingentamento dei pensionamenti anticipati. L'art. 1 del decreto-legge n. 384/92, convertito, con modificazioni, in legge n. 438/1992, prevede, ai commi 2- bis , 2- ter e 2-quinquies: "2-bis. Con effetto dal 1 gennaio 1994 la decorrenza delle pensioni di anzianita' per le quali e' richiesta un'anzianita' contributiva non inferiore a 35 anni e' stabilita in data non anteriore al 1 maggio di ciascun anno per i soggetti di eta' pari o superiore a 57 anni, se uomini, e a 52 anni, se donne, e in data non anteriore al 1 novembre di ciascun anno negli altri casi. 2-ter. Fino all'allineamento al regime generale, per i soggetti iscritti a forme di previdenza che prevedano requisiti di anzianita' contributiva inferiore a 35 anni la decorrenza del pensionamento anticipato, rispetto ai limiti di eta' vigenti nei singoli ordinamenti per il collocamento a riposo . . , e' fissata al 1 settembre di ciscun anno. 2-quinquies. Per l'anno 1994, per i soggetti in possesso al 31 dicembre 1992 dei requisiti richiesti dai rispettivi ordinamenti per il pensionamento di anzianita', l'accesso alla pensione stessa e' consentito a decorrere dal 1 gennaio 1994". Le citate disposizioni delineano il quadro normativo da cui trarre la disciplina del contingentamento dei pensionamenti anticipati. E' appena il caso di ribadire, innanzitutto, che restano, ovviamente, escluse dal predetto contingentamento tutte quelle fattispecie, che non costituiscono "pensionamenti anticipati", concernenti le cessazioni per raggiungimento dei tassativi limiti massimi di eta' e/o di servizio, per morte nonche' per inabilita', derivante o meno da causa di servizio, purche' tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro. Peraltro, si deve avvertire che gli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza non sono destinatari della disposizione di cui al comma 2- bis; essi sono, invece, interessati dalle norme recate dai commi 2- ter e 2-quinquies. E' bene, pero', precisare subito che, per la corretta interpretazione del citato comma 2- ter, dove e' stato omesso di ripetere che la norma stessa ha effetto dal 1 gennaio 1994 (cosi' come e' stato esplicitamente indicato nel precedente comma 2- bis), non si puo' prescindere dal richiamato contesto legislativo, in quanto la soprarilevata costruzione tecnico-giuridica puo' essere superata solo mediante un'analisi sistematica di tutte le disposizioni relative al contingentamento dei pensionamenti anticipati. Al riguardo, e' da considerare che il menzionato comma 2- ter e' stato introdotto dalla legge di conversione ed ha, quindi, efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione (e cioe' dal 19 novembre 1992), ai sensi dell'art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Pertanto, non essendo stato indicato alcun differimento, la disposizione in questione dovrebbe esplicare i propri effetti fin dall'anno 1993, in relazione a tutte le fattispecie di "pensionamento anticipato", ivi comprese quelle che rientrano nelle favorevoli ipotesi di deroga che consentono l'accesso al diritto a pensione. Tuttavia, tale restrittiva interpretazione comporterebbe conseguenze talmente incoerenti e perverse da porsi in aperto contrasto con la volonta' del legislatore. Si pensi, ad esempio, al caso di un dipendente che abbia presentato domanda di dimissioni, accolta dai competenti organi dell'ente datore di lavoro anteriormente al 19 settembre 1992, fissando quale data di cessazione dal servizio il 1 febbraio 1993. Orbene, in tale fattispecie, qualora si ritenesse fondata la tesi restrittiva di cui sopra, ferma restando la cessazione dal servizio alla data del 1 febbraio 1993, la decorrenza del relativo pensionamento anticipato, in base al comma 2- ter in esame, sarebbe fissata al 1 settembre del 1993. L'interessato, quindi, pur rientrando con piena legittimita', secondo il disposto letterale della norma, nella ipotesi di deroga alla sospensione del diritto a pensione prevista dal comma 2, lettera e), dell'art. 1 del provvedimento legislativo de quo, tuttavia rimarrebbe privo per lungo periodo del trattamento economico sia dell'attivita' di servizio che di quiescenza. Ancora piu' gravi sarebbero le conseguenze se, nella medesima ipotesi di deroga di cui alla lettera e), la data per la cessazione dal servizio fosse, ad esempio, indicata al 1 ottobre 1993 ed il dipendente maturasse solo nel corso dello stesso 1993 i requisiti richiesti per il diritto a pensione, che non sarebbero, pertanto, sussistenti al 31 dicembre 1992. In tale malaugurata situazione, l'interessato, anche se collocato a riposo dal 1 ottobre 1993, con la legittima aspettativa a percepire immediatamente la pensione spettantegli, rientrando lo stesso nella ipotizzata deroga, si ritroverebbe privato, addirittura, per il lungo periodo intercorrente dal 1 ottobre 1993 al 31 agosto 1994, di qualunque reddito stipendiale o pensionistico. E' di tutta evidenza che le descritte distorsioni non rientrano certamente nella ratio della legge e possono essere agevolmente superate in quanto il comma 2- ter, di cui si discute, pur costituendo comma a se' stante, puo' essere sostanzialmente considerato come la naturale e logica continuazione del precedente comma 2- bis (dove e' espressamente prescritto che gli effetti giuridici della disposizione decorrono dal 1 gennaio 1994) in relazione alle altre forme di previdenza che prevedono requisiti di anzianita' contributiva inferiore a 35 anni per i pensionamenti ancitipati. Pertanto, si deve intendere che la stessa decorrenza del 1 gennaio 1994 sia stata voluta dal legislatore anche per l'efficacia della successiva norma di cui al comma 2-ter. Quanto sopra trova ulteriore conferma nella disposizione recata dal citato comma 2-quinquies, in base al quale, limitatamente all'anno 1994, non sono soggetti ad alcun contingentamento i pensionamenti anticipati dei dipendenti in possesso, al 31 dicembre 1992, dei requisiti richiesti per il conseguimento del diritto a pensione. Infatti, appare irrazionale che l'iscritto che abbia maturato al 31 dicembre 1992 i requisiti per il diritto a pensione si sottragga, per l'anno 1994, al contingentamento dei pensionamenti anticipati mentre, invece, lo stesso iscritto non vi potrebbe sfuggire qualora la data di collocamento a riposo fosse stabilita nell'arco del 1993, pur trovandosi parimenti in possesso dei predetti requisiti sempre alla data del 31 dicembre 1992, ed in piu' non essendo destinatario del blocco del diritto a pensione. In definitiva, e' da ritenere che le disposizioni in esame non debbano trovare applicazione per l'anno 1993 ma abbiano efficacia dal 1 gennaio 1994 e per gli anni successivi, stabilendo che, dalla predetta data, la decorrenza dei pensionamenti anticipati rimane fissata al 1 settembre di ciascun anno, con l'unica eccezione, gia' menzionata, prevista dal comma 2-quinquies. La nuova discipina sul contingentamento dei collocamenti a riposo anticipati limita, a decorrere dal 1 gennaio 1994, la facolta' degli iscritti di scegliere e distribuire, nell'arco di ciascun anno, la data di cessazione volontaria dal servizio, comprimendo le posizioni soggettive dei singoli i quali, per non subire alcuna soluzione di continuita' tra il trattamento in attivita' di servizio ed il godimento della pensione dovranno, evidentemente, chiedere di essere collocati anticipatamente a riposo a decorrere dal 1 settembre di ciascun anno. Infine, non sembra superfluo evidenziare che, dal combinato disposto del comma 1 e del comma 2- ter dell'art. 1 di cui trattasi, concernenti, rispettivamente, la sospensione del diritto a pensione anticipata ed il connesso contingentamento, si deve dedurre, in buona sostanza, che il blocco dei predetti pensionamenti, disposto dal legislatore in vista delle esigenze di contenimento della spesa previdenziale, non e' limitato al solo periodo indicato al comma 1, ma in effetti si protrae per circa due anni, dal 19 settembre 1992 al 31 agosto 1994, rimanendo esclusi soltanto coloro che abbiano accesso alla pensione anticipata in quanto possono avvalersi delle previste deroghe, ovvero, con riferimento al 1994, siano in possesso al 31 dicembre 1992 dei prescritti requisiti per conseguire il diritto a pensione. 4. Perequazione delle pensioni, aliquota contributiva aggiuntiva e pensionabilita' della somma forfettaria di L. 20.000 mensili. L'art. 2 del decreto-legge n. 384/1992, convertito, con modificazioni, in legge n. 438/1992, stabilisce che: "1. In attesa della legge di riforma del sistema pensionistico e fino al 31 dicembre 1993 e' sospesa, ad eccezione di quanto previsto al comma 1- bis, l'applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento, o di accordi collettivi che preveda aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni previdenziali ed assistenziali, pubbliche e private, .... 1-bis. Per l'anno 1993, la misura degli aumenti di perequazione automatica delle pensioni al costo della vita di cui all'art. 21, secondo comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, e successive modificazioni, ...., e' fissata in 1,8 ed 1,7 punti percentuali a decorrere, rispettivamente, dal 1 giugno e dal 1 dicembre". La citata norma si pone in linea con la finalita' del legislatore di contenere il disavanzo del settore pubblico allargato, con particolare riguardo al rapporto entrate contributive/erogazioni previdenziali nell'ambito di tutti i sistemi pensionistici. Infatti, in base al richiamato comma uno, sulle pensioni in pagamento non e' stato corrisposto l'aumento, dal 1 novembre 1992, per la perequazione automatica prevista dall'art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730, con riferimento agli indici della scala mobile dei lavoratori dell'industria; inoltre, non spetta neppure l'altro aumento perequativo dal 1 gennaio 1993, derivante dall'aggancio delle pensioni alla dinamica salariale, ai sensi della legge n. 177 del 1976. Il rigore della predetta disposizione e' stato, pero', in parte contemperato dal successivo comma 1- bis che, per l'anno 1993, ha mantenuto soltanto gli incrementi collegati al costo della vita di cui al menzionato art. 21 della legge n. 730 del 1983. Tuttavia, detti aumenti infrannuali vengono fatti slittare di un mese, essendone stata fissata la decorrenza dal 1 giugno e dal 1 dicembre del 1993, e sono stati, altresi', predeterminati sulla base del tasso d'inflazione programmata e non su quello reale che, effettivamente, risultera' alla fine del 1993. L'art. 3- ter del provvedimento legislativo in esame dispone che: "1. A decorrere dal 1 gennaio 1993, e' stabilita in favore di tutti i regimi pensionistici dei dipendenti pubblici e privati che prevedano aliquote contributive a carico del lavoratore inferiori al 10 per cento, una aliquota aggiuntiva nella misura di un punto percentuale sulle quote di retribuzione eccedente il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile determinata ai fini dell'applicazione dell'art. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67 ...". La predetta norma e' coerente con le medesime finalita' di risparmio e di riequilibrio prima cennate, pur non trascurando gli aspetti sociali ad essa conseguenti, in quanto va a colpire soltanto le fasce di reddito medioalte. La disposizione di cui trattasi fa riferimento a normativa concernente essenzialmente il regime generale obbligatorio, di cui mutua la concettualita' giuridica. Infatti, oltre alla citazione dell'art. 21 della legge n. 67 del 1988, applicabile agli iscritti all'I.N.P.S., l'articolo in esame, menziona la "retribuzione pensionabile" che, nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria, indica l'intero trattamento economico quiescibile, ivi compresa la scala mobile o indennita' integrativa speciale. Bisogna pero', tenere presente che gli ordinamenti delle Casse pensioni degli Istituti di previdenza distinguono la "retribuzione annua contributiva" dalla "retribuzione annua pensionabile". Come e' noto, la "retribuzione annua contributiva" e' costituita dalla somma degli emolumenti quiescibili, tra i quali rientra anche l'indennita' integrativa speciale o la scala mobile (circa i criteri per la valutazione in pensione delle voci retributive, si rinvia alle indicazioni contenute al par. 2 della circolare 3 settembre 1991, n. 8/I.P. di questa Amministrazione, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 212 del 10 settembre 1991). La "retribuzione annua pensionabile" secondo l'ordinamento delle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, e' pari, invece, alla differenza tra la predetta retribuzione annua contributiva e l'intero importo dell'indennita' integrativa speciale, e costituisce la base per la determinazione del trattamento di quiescenza principale; agli aventi diritto viene, peraltro, corrisposta a parte, quale assegno accessorio, l'indennita' integrativa speciale nella misura spettante a tutti i pensionati. Poste queste necessarie precisazioni, per rinvenire l'omologo concetto della locuzione "retribuzione pensionabile", per quanto riguarda gli iscritti alle Casse pensioni degli Istituti di previdenza, occorre, pertanto, riferirsi alla definizione di "retribuzione annua contributiva", sopra illustrata. Si rende noto, altresi', che, a decorrere dal 1 gennaio 1993, il limite della prima fascia di retribuzione pensionabile, determinata per l'applicazione del citato art. 21, comma 6, della legge n. 67/1988, e' stabilito in lire 53.475.000. Considerato che la maggiorazione contributiva di cui trattasi e' disposta in favore soltanto di quei regimi pensionistici che prevedono aliquote contributive a carico dei lavoratori inferiori al 10 per cento; considerato, peraltro, che per gli iscritti alla Cassa per le pensioni ai Sanitari, tale aliquota, a decorrere dal 1993, e' gia' superiore al predetto 10 per cento, e' agevole dedurre che l'imposizione contributiva aggiuntiva, fissata dall'art. 3- ter, gravera' esclusivamente sugli iscritti alle altre Casse pensioni degli Istituti di previdenza (C.P.D.E.L., C.P.I. e C.P.U.G.); per quest'ultimi iscritti, l'aliquota contributiva a loro carico, limitatamente alla fascia di retribuzione annua contributiva (e non pensionabile) eccedente l'importo di L. 53.475.000, sara' elevata, dal 1 gennaio 1993, dall'8,55 al 9,55 per cento. Nel senso sopra esposto deve intendersi, quindi, rettificata la richiamata circolare n. 3295 emanata dal Servizio Ispettivo degli Istituti di previdenza in data 16 novembre 1992. L'art. 7, comma 1, del decreto-legge n. 384/1992, convertito con modificazioni in legge n. 438/1992, tra l'altro dispone che: "1. .......... Per l'anno 1993 al personale destinatario dei predetti accordi e' corrisposta una somma forfettaria di L. 20.000 mensili per tredici mensilita' ...". Con la citata disposizione, il legislatore ha prorogato al 31 dicembre 1993 la scadenza della attuale disciplina contrattuale, per tutto il personale rientrante nei comparti di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93; infatti, con esplicita previsione, e' sancito che i nuovi accordi collettivi avranno effetto dal 1 gennaio 1994. E' evidente che gli stessi motivi di contenimento della spesa pubblica, gia' richiamati, hanno ispirato la norma in questione. A parziale compensazione del sacrificio imposto ai dipendenti e' stata disposta la corresponsione, per l'anno 1993, di un aumento di L. 20.000 per tredici mensilita', pari a L. 260.000 in ragione annua. Detto emolumento, essendo fisso e ricorrente, riveste i necessari requisiti di quiescibilita' e va, quindi, assoggettato a contribuzione, versandone mensilmente il relativo importo, con le consuete modalita', sin dal mese di gennaio 1993. La presente circolare, per le parti concernenti gli adempimenti previsti per le direzioni provinciali del Tesoro, viene diramata d'intesa con la direzione generale dei servizi periferici del Tesoro. p. Il direttore generale degli istituti di previdenza TOMENZI