Alle Amministrazioni pubbliche  di  cui  all'art.  1,  comma  2,  del
  decreto legislativo. n. 165 del 2001 
 
1. Premessa. 
  Come noto, con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, sono
state  apportate  importanti  innovazioni  in  tema  di   infrazioni,
sanzioni disciplinari, procedimento disciplinare e  rapporti  con  il
procedimento penale. In particolare, l'art. 69 del citato decreto  ha
sostituito l'art. 55 del decreto legislativo n. 165 del  2001  ed  ha
introdotto gli articoli da 55-bis a 55-novies nel corpo del  medesimo
testo normativo, mentre l'art. 72 ne ha abrogato l'art. 56. 
  Le nuove norme hanno  carattere  generale;  la  loro  applicazione,
infatti, riguarda tutte le pubbliche amministrazioni di cui  all'art.
1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del  2001,  come  chiarito
dall'art. 74, comma 1, del  decreto  legislativo  n.  150  del  2009,
secondo cui: «Gli articoli (...) 69 (...)  rientrano  nella  potesta'
legislativa esclusiva esercitata dallo Stato, ai sensi  dell'articolo
117,  secondo  comma,  lettere  l)  ed  m),  della  Costituzione.»  e
dall'art. 55, comma 1, del citato  decreto  legislativo  n.  165,  il
quale prevede che «Le disposizioni del presente articolo e di  quelli
seguenti fino all'art. 55-octies (...) si applicano  ai  rapporti  di
lavoro  di  cui  all'articolo  2,  comma  2,  alle  dipendenze  delle
pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2.». La  nuova
disciplina  riguarda  solo  il  personale  rientrante  nel  campo  di
applicazione del decreto  legislativo  n.  165  del  2001,  ossia  il
personale dipendente c.d. «privatizzato» e soggetto  alla  disciplina
dei contratti collettivi di comparto; rimane  pertanto  invariato  il
regime della  responsabilita',  del  procedimento  e  delle  sanzioni
disciplinari per il personale ad ordinamento  pubblicistico,  di  cui
all'art. 3 del medesimo decreto. 
  Sempre il citato art. 55, comma 1, del decreto legislativo  n.  165
del 2001 stabilisce poi che le disposizioni di cui agli  articoli  da
55 a 55-octies costituiscono norme imperative  ai  sensi  e  per  gli
effetti  degli  articoli  1339  e  1419,  secondo  comma,  c.c.  Cio'
significa, in primo luogo, che tali disposizioni non  possono  essere
derogate dalla contrattazione collettiva, la quale puo'  disciplinare
la materia nei limiti di quanto consentito dalla legge e negli ambiti
non riservati alla legge stessa (infrazioni e  sanzioni,  per  quanto
non previsto nelle disposizioni in esame, procedure di  conciliazione
non obbligatoria, procedimento per l'irrogazione  delle  sanzioni  ai
dirigenti nei casi di cui agli articoli 55-bis, comma 7, e 55-sexies,
comma 3, sospensione o altri strumenti cautelari  nei  confronti  del
dipendente incolpato, altri aspetti relativi al  rapporto  di  lavoro
inerenti la materia). Inoltre, la  disciplina  legale  prevale  sulla
disciplina sostanziale contenuta nei contratti  collettivi,  compresa
quella dei contratti stipulati prima  dell'entrata  in  vigore  della
riforma (15 novembre 2009) e, in presenza  di  clausole  contrattuali
difformi, si  verifica  la  sostituzione  della  clausola  nulla  con
integrazione del suo contenuto ad opera della fonte di legge.  Questo
meccanismo di  sostituzione  ha  carattere  automatico  e,  pertanto,
produce i suoi effetti gia' a livello di applicazione della norma  da
parte  dell'operatore,  senza  la  necessita'  di   un   accertamento
preventivo della nullita' della clausola da parte del giudice. 
  Con la presente circolare si intende  fornire  dei  chiarimenti  su
alcuni aspetti problematici di interpretazione o  applicazione  della
disciplina, in considerazione dei quesiti sottoposti al  Dipartimento
della funzione pubblica. 
 
2. La pubblicita' del codice disciplinare. 
  L'art. 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970 impone ai datori  di
lavoro di portare «a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in
luogo accessibile a tutti» il codice  disciplinare,  cioe'  l'insieme
delle norme, in particolare di  derivazione  contrattuale,  «relative
alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle  quali  ciascuna  di
esse puo' essere applicata ed alle procedure di  contestazione  delle
stesse». L'articolo non e' stato direttamente  richiamato  nel  corpo
delle norme  che  dopo  la  riforma  disciplinano  la  materia  delle
infrazioni e sanzioni disciplinari, ma la sua portata deve intendersi
comunque  estesa  anche  ai  datori  pubbliche  amministrazioni,  sia
perche'  la  regola  della  previa  pubblicazione  e'  contenuta  nei
contratti collettivi di comparto sia perche' il comma 2 dell'art.  55
del decreto legislativo n. 165 del 2001, come di seguito  si  vedra',
prevede una norma sulle modalita' di pubblicazione  che  sottende  la
vigenza dell'obbligo di pubblicita'. 
  L'adempimento - la ratio della cui obbligatorieta' e' da  ricercare
nella necessita' che sia assicurata a tutti lavoratori la  conoscenza
del  sistema  delle  regole   dell'organizzazione   di   appartenenza
affinche' abbiano consapevolezza della  responsabilita'  perseguibile
sul piano disciplinare per le eventuali violazioni - per  costante  e
consolidata giurisprudenza, e' imprescindibile e propedeutico ai fini
della  corretta   attivazione   dei   procedimenti   disciplinari   e
dell'irrogazione delle sanzioni. 
  Come accennato, l'obbligo di pubblicazione del codice  disciplinare
e' stato sancito - sulla base del richiamo all'art. 7, comma 1, della
legge n. 300 del 1970 contenuto nel precedente art.  55  del  decreto
legislativo n. 165 del 2001 -  dalla  contrattazione  collettiva  del
settore pubblico: tra gli altri, lo prevede l'art. 13, comma  8,  del
CCNL 12 giugno 2003 del comparto ministeri; l'art. 16, comma 10,  del
CCNL 9 ottobre 2003 del comparto enti pubblici non economici;  l'art.
64, comma 8, del CCNL 17 maggio  2004  del  comparto  Presidenza  del
Consiglio dei ministri; l'art. 3, comma 10, del CCNL 11  aprile  2008
del comparto regioni-autonomie locali. 
  Le richiamate clausole contrattuali hanno disposto la  tassativita'
e non fungibilita'  con  altre  forme  della  pubblicita'  realizzata
tramite affissione. Pertanto, le amministrazioni - datori  di  lavoro
hanno, sino ad ora, assolto l'obbligo tramite affissione  del  codice
disciplinare in luogo accessibile a tutti i dipendenti. 
  Il decreto legislativo n. 150 del 2009 e', tuttavia, intervenuto in
materia, modificando l'art. 55 del decreto  legislativo  n.  165  del
2001. In particolare, il comma 2 del nuovo art. 55,  come  sostituito
dall'art. 68 del decreto legislativo n. 150 del 2009, prevede che «La
pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione del  codice
disciplinare,  recante  l'indicazione  delle  predette  infrazioni  e
relative sanzioni, equivale a tutti gli effetti alla  sua  affissione
all'ingresso della sede di lavoro». 
  Le nuove disposizioni «costituiscono norme imperative  ai  sensi  e
per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice
civile...».  Come  detto  nel  paragrafo  precedente,  cio'  comporta
l'automatico   inserimento   nei   contratti   collettivi   di   tali
disposizioni e la conseguente sostituzione delle  clausole  difformi.
Peraltro, i CCNL stipulati dopo l'entrata  in  vigore  della  riforma
hanno  recepito  il  nuovo  principio,   modificando   la   pregressa
disciplina e prevedendo che la pubblicazione avvenga mediante il sito
istituzionale dell'amministrazione (es., art. 8  del  CCNL  4  agosto
2010 per l'Unioncamere; art. 9 del CCNL 12 febbraio 2010 dell'area  I
della dirigenza; art. 7 del CCNL 22 febbraio 2010 per l'area II della
dirigenza). 
  Ai sensi della nuova norma, pertanto,  le  amministrazioni  possono
assolvere all'obbligo di pubblicita' del codice disciplinare mediante
la pubblicazione sul sito internet istituzionale.  Nella  valutazione
operata  dal  legislatore,  che  tiene  conto  della   piu'   recente
evoluzione tecnologica delle  modalita'  di  lavoro  nelle  pubbliche
amministrazioni, tale pubblicazione e' equivalente all'«affissione in
luogo accessibile a tutti» di cui al citato art. 7, luogo  che  viene
identificato dal menzionato art. 55 comma 2 nell'«ingresso della sede
di lavoro». 
  Le amministrazioni potranno completamente sostituire la pubblicita'
tramite  affissione  con  la  pubblicazione  on  line  solo   qualora
l'accesso alla rete internet sia consentito  a  tutti  i  lavoratori,
tramite la  propria  postazione  informatica;  infatti,  deve  essere
tenuto presente che la pubblicazione risponde all'esigenza  di  porre
il dipendente al riparo dal rischio  di  incorrere  in  sanzioni  per
fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze. 
  Al  riguardo,  si  raccomanda  che  il  codice  disciplinare  venga
pubblicato con adeguato risalto e indicazione  puntuale  della  data,
oltre  che  sull'home  page  internet  anche   di   quella   intranet
dell'amministrazione, solitamente  utilizzata  per  le  comunicazioni
interne del datore di lavoro,  al  fine  di  assicurarne  la  massima
visibilita'   e   conoscibilita'.   Si   raccomanda   inoltre    alle
amministrazioni   di   precostituire    una    prova    dell'avvenuta
pubblicazione, al fine di poter sviluppare la difesa  nell'ambito  di
un eventuale contenzioso, chiedendo alla struttura interna competente
alla pubblicazione di comunicare formalmente l'avvenuto  adempimento.
Si  segnala  infine  che,  a  seguito  della  riforma,  la  modalita'
alternativa   alla   pubblicazione   sul   sito   e'   solo    quella
dell'affissione all'ingresso della sede di lavoro poiche' solo questo
luogo particolare e' espressamente considerato dalla norma vigente. 
  Quanto ai contenuti della pubblicazione, si evidenzia che il codice
disciplinare oggetto di pubblicita' deve contenere sia  le  procedure
previste per  l'applicazione  delle  sanzioni  sia  le  tipologie  di
infrazione e le relative sanzioni. La pubblicita' deve poi riguardare
anche il codice  di  comportamento  dei  dipendenti  delle  pubbliche
amministrazioni, attesa l'idoneita' delle sue regole ad integrare  le
norme contenenti le fattispecie di illecito disciplinare previste dai
contratti collettivi e dalla legge. 
 
3. La titolarita' dell'azione disciplinare: 
    a) il rafforzamento della competenza del dirigente; 
  La riforma  ha  voluto,  in  generale,  valorizzare  il  ruolo  del
dirigente sottolineando i  suoi  poteri,  tra  cui  anche  quelli  di
valutazione, riconoscimento dei meriti e comminazione di sanzioni nei
confronti  del  personale.  In  questo  contesto,  l'art.  55-bis  ha
ampliato la competenza  del  dirigente  della  struttura  in  cui  il
dipendente  lavora  nella  gestione  del  procedimento  disciplinare,
attribuendogliene la titolarita' in riferimento ad ipotesi  ulteriori
rispetto a quella del rimprovero  verbale  e  della  censura,  uniche
situazioni  in  cui  l'azione  poteva  essere  esercitata  da  questo
soggetto  in  base  all'abrogato  art.  55,  comma  4,  del   decreto
legislativo n. 165 del 2001. In particolare, dal  comma  1  dell'art.
55-bis, risulta che quando il  responsabile  della  struttura  e'  un
dirigente questi potra' procedere alla contestazione dell'addebito  e
all'irrogazione della  sanzione,  previo  espletamento  del  relativo
procedimento, per tutte le infrazioni «di minor gravita'». Secondo la
norma, rientrano nelle infrazioni di minor  gravita'  quelle  per  le
quali  e'  prevista  l'irrogazione   di   sanzioni   inferiori   alla
sospensione dal servizio con privazione  della  retribuzione  sino  a
dieci giorni. Per le infrazioni di maggior gravita' o nel caso in cui
il responsabile  della  struttura  non  sia  un  dirigente,  l'intera
procedura deve essere svolta dall'ufficio procedimenti  disciplinari.
Rimane salva  la  competenza  del  responsabile  della  struttura,  a
prescindere dalla circostanza  che  si  tratti  di  dirigente  o  non
dirigente, di irrogare il rimprovero verbale, sanzione  che,  secondo
il comma 1 dell'art. 55-bis in  esame  e'  soggetta  alla  disciplina
della contrattazione  collettiva,  che  prevede  l'irrigazione  senza
particolari formalita'. 
  E' opportuno chiarire che  con  l'espressione  in  «possesso  della
qualifica  di  dirigente»  la  norma  fa  riferimento  non  solo   ai
dipendenti  reclutati  ed   inquadrati   come   dirigenti   a   tempo
indeterminato, ma anche ai  titolari  di  incarico  dirigenziale  con
contratto a tempo determinato, con  inclusione  quindi  dei  soggetti
preposti ai sensi dell'art. 19, comma 6, del decreto  legislativo  n.
165 del 2001 e ai sensi dell'art. 110 del decreto legislativo n.  267
del 2000 per gli enti locali  o  di  analoghe  norme  previste  negli
ordinamenti delle altre amministrazioni. 
  Per gli enti locali privi di qualifica dirigenziale, in  linea  con
l'orientamento espresso dall'ANCI nelle prime  linee  guida  relative
all'applicazione  del  decreto  legislativo  n.  150  del  2009,   la
competenza non sussiste invece in  capo  al  dipendente  titolare  di
posizione  organizzativa  cui  siano  state  attribuite  le  funzioni
dirigenziali ai sensi dell'art. 109, comma 2, del decreto legislativo
n. 267 del 2000, poiche' trattasi di soggetti non muniti di qualifica
dirigenziale. 
  Si  evidenzia   l'importanza   dell'osservanza   della   previsione
normativa per le conseguenze  che  derivano  dalla  violazione  della
regola rispetto alla sanzione comminata. Infatti,  la  violazione  di
una norma di legge imperativa comporta  la  nullita'  della  sanzione
irrogata, come riconosciuto anche recentemente  dalla  giurisprudenza
della Corte di cassazione, Sezione  lavoro  («E'  nulla,  perche'  in
contrasto con  norme  di  legge  inderogabili  sulla  competenza,  la
sanzione disciplinare irrogata in esito a  procedimento  disciplinare
instaurato da soggetto od organo diverso dall'ufficio competente  per
i procedimenti disciplinari» Cass., Sez. lav., 5  febbraio  2004,  n.
2168; Cassazione civile, Sez. lav., 30 settembre 2009, n. 20981). 
    b) l'ufficio procedimenti disciplinari. 
  L'art. 55, al comma 4, stabilisce  che  «Ciascuna  amministrazione,
secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per  i
procedimenti disciplinari». La disposizione non ha portata innovativa
rispetto al testo previgente; infatti, gia'  l'art.  59  del  decreto
legislativo n. 29 del 1993 aveva  previsto  l'individuazione  di  una
competenza ad hoc  per  la  gestione  del  procedimento  disciplinare
(U.P.D.).   L'individuazione   e'   rimessa   alla   discrezionalita'
organizzativa  di  ogni  amministrazione  e  non  e'   richiesta   la
costituzione di un apposito ufficio; infatti, la competenza  si  puo'
svolgere anche nell'ambito di una struttura  deputata  a  piu'  ampie
attribuzioni, ma si tratta comunque di una competenza  da  esercitare
in via esclusiva. 
  La competenza del procedimento disciplinare spetta  all'U.P.D.  per
le ipotesi in cui il responsabile della struttura non abbia qualifica
dirigenziale e, comunque, per le infrazioni di maggior gravita'.  Non
e' specificato in questo caso se il  responsabile  dell'U.P.D.  debba
essere dirigente. E' chiaro che per le  Amministrazioni  dello  Stato
questa rappresenta la regola generale, mentre  per  gli  enti  locali
privi della qualifica dirigenziale,  frequentemente  si  presenta  il
caso di investitura di funzionari. In proposito, poiche' il  comma  4
del menzionato art. 55-bis per la costituzione degli U.P.D. fa rinvio
al «proprio  ordinamento»,  negli  enti  locali  privi  di  qualifica
dirigenziale la responsabilita' dell'ufficio puo'  essere  attribuita
anche ai funzionari a cui sono assegnate le funzioni dirigenziali  ai
sensi del citato art. 109, comma 2, del decreto  legislativo  n.  267
del 2000. Nell'ottica della riforma, la particolare  professionalita'
radica la competenza funzionale del servizio,  supplendo  anche  alla
mancanza della qualifica (in  riferimento  al  regime  previgente  la
riforma e alle competenze dell'U.P.D. la Corte di cassazione ha avuto
modo  di  affermare  che  «alcuna  norma  prevede  che   dell'Ufficio
procedimenti disciplinari debbano far parte dipendenti con  qualifica
almeno pari a quella degli incolpati, ne' esiste un principio secondo
il quale soltanto siffatta composizione sarebbe idonea ad attuare  il
principio di imparzialita' dell'amministrazione», Cass.,  Sez.  lav.,
n. 10600 del 3 giugno 2004). Alternativamente,  la  scelta  dell'ente
locale  potrebbe  ricadere  sull'attribuzione   delle   funzioni   in
questione al segretario comunale, opportunamente investito  ai  sensi
dell'art. 97, comma 4, lett. d), del medesimo  decreto  ovvero  sulla
costituzione di un U.P.D. in convenzione con  altri  enti,  ai  sensi
dell'art. 30, comma 4, del testo unico. 
  Si rileva che la disposizione in esame, a  differenza  della  norma
contenuta nel comma 4 dell'abrogato art. 55 del  decreto  legislativo
n. 165  del  2001,  non  prevede  piu'  espressamente  che  l'ufficio
competente dia avvio al procedimento a  seguito  della  «segnalazione
del capo della struttura in cui il dipendente lavora», essendo  stato
eliminato questo inciso. Con la riforma risulta chiaro che  l'ufficio
si attiva non solo nei casi in cui  pervenga  tale  segnalazione,  ma
anche nelle ipotesi in  cui  lo  stesso  abbia  altrimenti  acquisito
notizia dell'infrazione. Cio'  si  evince  dalla  seconda  parte  del
medesimo comma, in cui si ancora la decorrenza  del  termine  per  la
contestazione   dell'addebito   dalla   ricezione   degli   atti    o
dall'acquisizione aliunde della notizia dell'infrazione. 
  Una volta investito correttamente  della  procedura  da  parte  del
dirigente, l'U.P.D. sara' tenuto a  svolgere  il  procedimento  sulla
base  dell'istruttoria;  l'esito  dello  stesso  potra'   portare   o
all'archiviazione o all'irrogazione della sanzione  appropriata,  che
potra' consistere anche in una sanzione  di  minore  gravita'  (ossia
inferiore  alla  sospensione  dal  servizio  con   privazione   della
retribuzione sino a dieci giorni), benche' in astratto questa rientri
nella competenza del dirigente rimettente. 
 
4. L'irrogazione  delle  sanzioni  disciplinari  nei  confronti   dei
  dirigenti, con particolare riferimento agli illeciti della  mancata
  collaborazione  con  l'autorita'  disciplinare  procedente  e   del
  mancato esercizio o della decadenza dall'azione disciplinare. 
  L'art. 55 comma 4 del decreto legislativo n. 165 del  2001  prevede
che: «Fermo quanto  previsto  nell'articolo  21,  per  le  infrazioni
disciplinari ascrivibili al dirigente ai sensi degli articoli 55-bis,
comma 7, e 55-sexies, comma 3, si  applicano,  ove  non  diversamente
stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al comma 4
del predetto articolo 55-bis, ma  le  determinazioni  conclusive  del
procedimento sono adottate  dal  dirigente  generale  o  titolare  di
incarico conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 3.». 
  La disposizione contiene una norma speciale relativa  a  specifiche
infrazioni ascrivibili ai dirigenti, ponendo  una  deroga  al  regime
ordinario sulla competenza per l'irrogazione delle relative sanzioni.
Gli illeciti sono  quelli  previsti  dall'art.  55-bis,  comma  7,  e
dall'art.  55-sexies,  comma  3,  e,  cioe',  l'ipotesi  di   mancata
collaborazione con l'autorita' disciplinare  procedente  e  l'ipotesi
del mancato esercizio o della decadenza dall'azione disciplinare.  Si
tratta di  illeciti  riferiti  specificamente  allo  svolgimento  del
procedimento disciplinare, che sono stati  introdotti  dalla  riforma
con l'obiettivo di assicurare  l'effettivo  esercizio  dell'azione  e
contrastare situazioni di collusione. La  prima  fattispecie,  quella
della mancata collaborazione con l'autorita' disciplinare procedente,
e' riferita sia ai dirigenti sia  ai  dipendenti  non  dirigenti;  la
seconda, quella del mancato esercizio o della  decadenza  dall'azione
disciplinare, e' un illecito proprio del responsabile della struttura
di appartenenza del dipendente  incolpato  o  dell'U.P.D.,  sia  esso
dirigente o non dirigente. 
  Per queste  infrazioni,  la  norma  in  esame  stabilisce  che,  se
l'incolpato e' un dirigente, si applica la procedura di cui al  comma
4 dell'art. 55-bis, il quale prevede la contestazione dell'addebito e
lo svolgimento della procedura da parte  dell'U.P.D.,  la  decorrenza
del termine per la conclusione del procedimento dalla data  di  prima
acquisizione della notizia  dell'infrazione,  anche  se  avvenuta  da
parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, e
la possibilita' di raddoppio dei termini per le infrazioni di maggior
gravita' (tra le quali rientrano anche quelle in esame in quanto  per
entrambe le fattispecie e' prevista in astratto  la  possibilita'  di
comminare  la  sospensione  dal   servizio   con   privazione   della
retribuzione per un periodo superiore a dieci giorni). 
  Secondo quanto previsto dalla medesima  disposizione,  i  contratti
collettivi di riferimento possono  disciplinare  in  maniera  diversa
rispetto alla fonte legale  le  norme  procedimentali  contenute  nel
citato comma 4 dell'art. 55-bis. Si precisa che la deroga  in  favore
della contrattazione collettiva non puo' pero' riguardare la  materia
dell'organo competente all'avvio del procedimento,  allo  svolgimento
della procedura e all'irrogazione della sanzione, poiche' trattasi di
aspetti legati all'investitura di un organo,  ossia  all'attribuzione
di una competenza, i  quali,  in  base  ai  principi  costituzionali,
debbono essere necessariamente disciplinati da  fonti  normative.  Al
riguardo, l'art. 55, comma 4, individua una specifica competenza  per
l'irrogazione della sanzione nel  caso  in  cui  l'incolpato  sia  un
dirigente:  questa  spetta  al  dirigente  di  ufficio   dirigenziale
generale o al titolare dell'incarico ai sensi dell'art. 19, comma  3,
del decreto  legislativo  n.  165  del  2001.  Pertanto,  per  queste
specifiche infrazioni la competenza dell'U.P.D. e' diversa a  seconda
che il dipendente soggetto passivo della procedura sia un impiegato o
un dirigente. Infatti, nel primo  caso  all'ufficio  spetta  l'intera
gestione del procedimento, dalla fase della  contestazione  a  quella
dell'irrogazione della sanzione, mentre nel secondo, la competenza si
arresta  all'istruttoria   e   le   determinazioni   conclusive   del
procedimento  sono  rimesse  al  dirigente  di  ufficio  dirigenziale
generale (se il procedimento riguarda un  dirigente  di  ufficio  non
generale) e al dirigente sovraordinato, come il capo  Dipartimento  o
il Segretario generale (se il procedimento riguarda un  dirigente  di
ufficio dirigenziale generale). L'espressione utilizzata dalla  legge
«dirigente generale» va intesa come  riferimento  alla  tipologia  di
ufficio cui il dirigente e' preposto e  prescinde  dalla  circostanza
che il dirigente incaricato appartenga  alla  prima  o  alla  seconda
fascia; infatti, in questo contesto, non pare avere alcun rilievo  la
circostanza soggettiva di essere iscritto alla prima o  alla  seconda
fascia del ruolo dirigenziale. 
  La norma non chiarisce se il dirigente sovraordinato  debba  essere
il responsabile dell'ufficio dirigenziale  generale  nell'ambito  del
quale  e'  collocato  l'ufficio   dell'incolpato   o   il   dirigente
dell'ufficio  dirigenziale  generale  nel  cui  ambito  e'   compreso
l'U.P.D. La soluzione interpretativa piu' corretta sembra la seconda.
Infatti, tale soluzione consente meglio di soddisfare  l'esigenza  di
terzieta' e di uniformita' dell'organo  in  fattispecie  di  illecito
particolarmente delicate, come quelle in esame,  che  attengono  alla
corretta incardinazione e svolgimento del procedimento  disciplinare.
Inoltre, la  determinazione  di  conclusione  del  procedimento  puo'
comportare l'esercizio di una discrezionalita' piu' o meno ampia,  ma
tale   discrezionalita'   puo'   basarsi   solo   sulle    risultanze
dell'istruttoria compiuta dall'U.P.D. a seguito della  contestazione,
con la conseguenza che il ritenere al contrario la competenza in capo
al dirigente dell'ufficio nel cui ambito svolge la propria  attivita'
l'incolpato sarebbe comunque irrilevante rispetto alla determinazione
conclusiva del procedimento. 
  Stante il silenzio della legge sul punto, e' rimesso  all'autonomia
organizzativa  di  ciascuna  amministrazione  l'individuazione  della
struttura e dell'organo competente  a  svolgere  il  procedimento  ed
eventualmente ad irrogare le sanzioni nel caso in cui l'illecito  sia
commesso  proprio  dal  responsabile   dell'U.P.D.,   dal   dirigente
dell'ufficio dirigenziale  generale  sovraordinato  e  dai  dirigenti
titolari di  incarico  di  struttura  complessa,  ferma  restando  la
necessita' che l'individuazione sia effettuata a priori in astratto. 
  La formulazione della disposizione  e'  chiaramente  riferita  alle
Amministrazioni dello  Stato,  che  sono  tipicamente  articolate  in
uffici dirigenziali semplici e generali sovraordinati e  nelle  quali
e'  presente  la  figura  del  Capo  Dipartimento  o  del  Segretario
generale. L'applicazione  della  norma  nelle  altre  amministrazioni
necessita invece di un adattamento attraverso l'esercizio dei  poteri
normativi  ed  organizzativi  tipici  di  ciascun  ordinamento  e  le
soluzioni sostanziali dovranno  essere  rinvenute  nell'ambito  della
particolare  organizzazione  di  ciascun  ente.  Negli  enti   locali
l'attribuzione delle funzioni in questione potrebbe  essere  compiuta
in favore  del  segretario  comunale  o  provinciale,  opportunamente
investito ai sensi dell'art. 97, comma  4,  lett.  d),  del  medesimo
decreto. 
  Come detto, la competenza  di  cui  al  comma  4  dell'art.  55  ha
carattere speciale. Pertanto, per tutte le altre ipotesi di  illecito
rimane  ferma  la   disciplina   generale   sulla   competenza   alla
contestazione dell'addebito,  allo  svolgimento  del  procedimento  e
all'irrogazione della sanzione di cui al menzionato art. 55-bis anche
nel caso in cui l'incolpato sia un dirigente. Da cio' deriva che, nel
caso di infrazioni di minor gravita', la procedura sara'  svolta  dal
responsabile dell'ufficio  sovraordinato.  Nelle  altre  ipotesi,  la
competenza  alla  procedura  spetta  all'U.P.D.,  struttura  che   e'
titolare di  una  «competenza  funzionale»  ed  il  cui  responsabile
pertanto si deve ritenere legittimato ad adottare  la  determinazione
conclusiva del procedimento disciplinare anche nei  confronti  di  un
dirigente con incarico di livello superiore (sul punto  e'  opportuno
richiamare l'orientamento manifestato dalla Corte di cassazione nella
gia' citata sentenza n. 10600 del 3 giugno 2004). Stante il  silenzio
della legge in merito, e'  rimesso  ancora  una  volta  all'autonomia
organizzativa   di    ciascuna    amministrazione    l'individuazione
dell'organo responsabile dell'istruttoria  e  dell'organo  competente
all'irrogazione  della  sanzione  nel  caso  in  cui  l'illecito  sia
commesso proprio dal responsabile dell'U.P.D. 
  In sintesi,  tenuto  conto  dell'art.  55,  comma  4,  del  decreto
legislativo n. 165 del 2001, il  quadro  generale  risultante  e'  il
seguente: 
      fatti per i  quali  e'  prevista  la  sanzione  pecuniaria  (la
sanzione  sospensiva,  per  i  dirigenti,  e'  sempre  potenzialmente
superiore  a  dieci  giorni):  contesta  e  applica  la  sanzione  il
dirigente capo della struttura; 
      fatti colpiti con sanzioni piu'  gravi  di  quelle  pecuniarie,
eccezion fatta per quelli indicati nel  punto  seguente:  contesta  e
applica la sanzione l'U.P.D.; 
      per le sole infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente ai
sensi degli articoli 55-bis,  comma  7,  e  55-sexies,  comma  3,  si
applica il comma 4 del predetto articolo  55-bis,  con  contestazione
dell'addebito  ed  istruttoria  dell'U.P.D.,  ma  le   determinazioni
conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente con  incarico
dirigenziale generale della struttura sovraordinata all'U.P.D. 
 
5. La ripresa e la riapertura del procedimento disciplinare a seguito
  della comunicazione della sentenza di condanna del dipendente. 
  Come noto, con il decreto legislativo n.  150  del  2009  e'  stato
modificato il rapporto tra procedimento disciplinare  e  procedimento
penale. Infatti, l'art. 55-ter del decreto  legislativo  n.  165  del
2001 ha introdotto la regola generale  secondo  cui  il  procedimento
disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto  o  in  parte,  fatti  in
relazione ai quali procede l'autorita' giudiziaria, e'  proseguito  e
concluso anche in pendenza di procedimento penale. Questa  regola  e'
inderogabile nel  caso  di  esercizio  dell'azione  disciplinare  per
infrazioni di minor gravita' e, pertanto,  in  tali  ipotesi  non  e'
ammessa la sospensione del procedimento.  La  sospensione  e'  invece
ammessa  per  le  infrazioni  di  maggior  gravita',  nei   casi   di
particolare complessita' dell'accertamento del  fatto  addebitato  al
dipendente e quando, all'esito dell'istruttoria, non si  disponga  di
elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione. Secondo
quanto previsto al comma 4 del medesimo articolo, il procedimento  e'
ripreso entro sessanta  giorni  dalla  comunicazione  della  sentenza
all'amministrazione di appartenenza del  lavoratore  ed  e'  concluso
entro centottanta giorni dalla ripresa. 
  Al fine di rendere nota all'amministrazione procedente la pronuncia
della decisione giudiziale, l'art. 70 del decreto legislativo n.  150
del 2009 ha inserito un nuovo articolo nel decreto legislativo n. 271
del 1989 («Norme di attuazione, di coordinamento  e  transitorie  del
codice di procedura penale.»). Infatti, il nuovo art. 154-ter dispone
che «La cancelleria del giudice che ha  pronunciato  sentenza  penale
nei confronti  di  un  lavoratore  dipendente  di  un'amministrazione
pubblica  ne   comunica   il   dispositivo   all'amministrazione   di
appartenenza e, su richiesta di questa, trasmette copia integrale del
provvedimento. La comunicazione e la trasmissione sono effettuate con
modalita' telematiche, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005,
n. 82, entro trenta giorni dalla data del deposito.». E'  chiaro  che
la ripresa del procedimento disciplinare sospeso puo' aver luogo solo
a seguito della  conoscenza  della  sentenza  integrale,  comprensiva
della motivazione, poiche' l'istruttoria deve tener conto  di  quanto
risultante in sede penale (art. 653 c.p.p., richiamato  dal  comma  4
dell'art.  55-ter).  Pertanto,  il  termine  per   la   ripresa   del
procedimento decorre  dalla  ricevimento  della  comunicazione  della
sentenza  integrale,  non  essendo  sufficiente  la  conoscenza   del
dispositivo. 
  Ad analoga  conclusione  si  vede  prevenire  per  l'ipotesi  della
riapertura del procedimento prevista dal  comma  3  del  citato  art.
55-ter nel caso in cui  sia  necessario  adeguare  le  determinazioni
conclusive del procedimento disciplinare alle risultanze del giudizio
penale. 
  Al fine di agevolare l'esito celere delle procedure, si  raccomanda
pertanto all'Amministrazione giudiziaria di provvedere con la massima
tempestivita' alla comunicazione  del  dispositivo  a  seguito  della
richiesta dell'amministrazione  interessata  e,  ove  disponibile,  a
trasmettere direttamente copia integrale della sentenza  anziche'  il
solo dispositivo anche a prescindere dalla richiesta. 
    Roma, 23 dicembre 2010 
 
                                                Il Ministro           
                                      per la pubblica amministrazione 
                                              e l'innovazione         
                                                  Brunetta            

Registrato alla Corte dei conti il 1° febbraio 2011 
Ministeri istituzionali -  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,
registro n. 2, foglio n. 367