Ai prefetti della Repubblica
                                  Al commissario del Governo  per  la
                                  provincia di Trento
                                  Al  commissario  del Governo per la
                                  provincia di Bolzano
                                  Al    presidente    della    giunta
                                  regionale della Valle d'Aosta
                                     e, per conoscenza
                                  Alla  Presidenza  del Consiglio dei
                                  Ministri
                                  Al Ministero degli affari esteri  -
                                  Direzione generale dell'emigrazione
                                  e  degli  affari  sociali - Ufficio
                                  VIII
                                  Al Ministero di grazia e  giustizia
                                  -  Direzione  generale degli affari
                                  civili e delle libere professioni
                                  Al   Ministero   della   difesa   -
                                  Direzione  generale  della leva del
                                  reclutamento   obbligatorio   della
                                  militarizzazione              della
                                  mobilitazione   civile   e    corpi
                                  ausiliari
  Nella  Gazzetta  Ufficiale  del  15  febbraio 1992, n. 38, e' stata
pubblicata la legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla
cittadinanza entrata in vigore il 16 agosto 1992.
  La recente costruzione legislativa, che  recepisce  definitivamente
il  principio  di  parita'  tra  uomo  e donna, contiene, da un lato,
elementi di sostanziale continuita' rispetto alla materia  previgente
e,  dall'altro,  aspetti  decisamente innovativi, introducendo taluni
istituti prima sconosciuti alla normativa della cittadinanza.
  In  via  preliminare  appare  utile  scorrere   sinteticamente   le
principali novita' intervenute che comunque vengono esaminate in modo
piu' esaustivo nel prosieguo della presente circolare.
  Particolare  rilievo assume nella nuova legge il disposto dell'art.
11, che consente ai connazionali di  acquistare  o  riacquistare  una
cittadinanza  straniera  senza  incorrere nella perdita automatica di
quella italiana.
  Peraltro, lo stesso art. 11 attribuisce a costoro  la  facolta'  di
potervi rinunciare mediante dichiarazione ed all'ulteriore condizione
del mantenimento o trasferimento all'estero della residenza.
  In  tale  contesto,  per  coloro che hanno dismesso la cittadinanza
italiana in forza degli articoli 8 e 12  della  previgente  normativa
del 1912, l'art. 17 attribuisce la facolta', da esercitarsi entro due
anni  dall'entrata  in  vigore  della  legge  n.  91, di riacquistare
l'originario status effettuando una dichiarazione  in  tal  senso,  a
prescindere dalla residenza in Italia.
  L'istituto del riacquisto trova ulteriore disciplina nella norma di
regime di cui all'art. 13.
  Quest'ultima disposizione, oltre ad attribuire alle ipotesi in essa
contemplate  carattere  generale, ha circoscritto l'ampio automatismo
previsto  dalla  previgente  normativa,  dando  sempre  rilievo  alla
volonta' degli interessati.
  Per    quanto    concerne   l'acquisto   della   cittadinanza   per
naturalizzazione  si  segnala  che  l'art.   9   prevede   discipline
differenziate  in  relazione agli specifici requisiti posseduti dagli
aspiranti.
  Ulteriore novita' e' rinvenibile nell'art.  24  che  ha  introdotto
l'obbligo  a  carico  del  connazionale che consegua una cittadinanza
straniera   di   darne   comunicazione,    mediante    dichiarazione,
all'ufficiale  di  stato  civile  del  luogo di residenza, ovvero, se
residente all'estero, all'autorita' consolare competente.
  Si richiama infine l'attenzione sul contenuto  dell'art.  26  della
nuova legge che espressamente prevede:
  "1.  Sono  abrogati  la  legge  13 giugno 1912, n. 555, la legge 31
gennaio 1926, n. 108, il regio decreto-legge  1›  dicembre  1934,  n.
1997,  convertito  dalla legge 4 aprile 1935, n. 517, l'art. 143- ter
del codice civile, la legge 21 aprile 1983, n. 123, l'art.  39  della
legge  4 maggio 1983, n. 184, la legge 15 maggio 1986, n. 180, e ogni
altra disposizione incompatibile con la presente legge.
   2. E' soppresso l'obbligo dell'opzione di cui  all'art.  5,  comma
secondo,  della legge 21 aprile 1983, n. 123, e dell'art. 1, comma 1,
della legge 15 maggio 1986, n. 180.
  3. Restano  salve  le  diverse  disposizioni  previste  da  accordi
internazionali".
  Cio'  posto si ravvisa opportuno fornire agli operatori del settore
un primo  strumento  intepretativo  per  l'applicazione  della  nuova
disciplina.
  Al riguardo, si tiene comunque a precisare che taluni aspetti della
legge  potranno essere definitivamente chiariti solo con lo strumento
regolamentare, il cui schema deve essere sottoposto alle  valutazioni
del Consiglio di Stato.
  Non si manchera' comunque di diramare una nuova circolare una volta
emanato l'anzidetto regolamento.
  Si fa presente che, nelle more dell'adozione del nuovo regolamento,
si  applicano,  in  quanto  compatibili, le norme del regio decreto 2
agosto 1919 n. 949, recante le norme per l'esecuzione della legge  13
giugno 1912, n. 555.
  Si  richiamano,  altresi',  le  istruzioni impartite con precedenti
circolari ed, in particolare, per cio' che attiene le procedure e  la
documentazione  riferite  alle  istanze  di  naturalizzazione, quelle
contenute nelle circolari K.31.9 del 25 luglio 1987 e del  1›  agosto
1991.
                ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA
 a) ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER NASCITA.
  La  disposizione che regola l'acquisto della nostra cittadinanza e'
l'art. 1 della nuova legge, il quale prevede che:
   1) e' cittadino per nascita:
     a) il figlio di padre o di madre cittadini;
     b) chi e' nato nel territorio della  Repubblica  se  entrambi  i
genitori  sono  ignoti  o  apolidi,  ovvero se il figlio non segue la
cittadinanza dei genitori secondo  la  legge  dello  Stato  al  quale
questi appartengono;
   2)  e'  considerato  cittadino  per  nascita  il  figlio di ignoti
trovato nel territorio della Repubblica,  se  non  venga  provato  il
possesso di altra cittadinanza.
  L'articolo  in  parola,  in  primo  luogo, conferma il tradizionale
istituto dell'acquisto della cittadinanza per discendenza, in base al
criterio  dello  jus  sanguinis,   recependo,   definitivamente,   il
principio  di  parita' tra uomo e donna per quanto attiene a siffatta
trasmissione  del  nostro  status  civitatis,  in  conformita'  della
sentenza della Corte costituzionale n. 30 del 28 gennaio 1983.
  Al  riguardo,  resta fermo il principio che e' possibile attribuire
dalla nascita la cittadinanza italiana solo  a  quelle  persone  nate
dopo  il  1› gennaio 1948 da donna che a tale momento era in possesso
dello status civitatis italiano.
  Come, infatti, chiarito dal Consiglio di  Stato,  "l'efficacia  del
giudicato  costituzionale  non  puo' in ogni caso retroagire oltre il
momento in cui si e' verificato il contrasto tra la norma di legge  o
di atto avente forza di legge - anteriore all'entrata in vigore della
Costituzione  -  dichiarata  illegittima,  e la norma od il principio
della Costituzione, cioe' non possa retroagire oltre  il  1›  gennaio
1948,  data di entrata in vigore di quest'ultima" (cfr. parere n. 105
Sez.  I, 15 gennaio 1983).
  Si soggiunge, altresi', che in base alla lettera b) del primo comma
dell'art. 1, l'attribuzione della cittadinanza ab origine avviene nei
confronti di  coloro  i  quali  nascono  in  territorio  italiano  da
genitori apolidi o stranieri, la cui cittadinanza non venga trasmessa
automaticamente   alla   prole   secondo  la  legge  dello  Stato  di
appartenenza.
  Si  ritiene   che   siffatta   disposizione   sia   da   applicarsi
esclusivamente nei confronti dei figli di soggetti stranieri nati nel
territorio  dello  Stato  italiano  i quali in alcun modo ripetano la
cittadinanza straniera  dei  genitori,  come  disposto  nello  schema
regolamentare.
  Vi   sono,  infatti,  normative  di  taluni  Stati  in  materia  di
cittadinanza le  quali  non  escludono  l'attribuzione  dello  status
civitatis alla prole nata da cittadini di detti Stati al di fuori del
territorio  soggetto  alla sovranita' dello Stato, ma la condizionano
al rispetto di mere formalita' burocratiche ovvero alla  esternazione
di una volonta' di elezione della cittadinanza.
  In   tali   casi  non  puo'  parlarsi  di  condizione  di  apolidia
oggettivamente determinatasi in capo al soggetto nato nel  territorio
della  Repubblica, in quanto al medesimo risulta possibile conseguire
la titolarita' della cittadinanza straniera dei genitori  secondo  la
legge  dello  Stato  cui  appartengono  ove  risultino soddisfatte le
condizioni (minime) previste dalla legge.
  Quanto  previsto  e'  conforme  alla  ratio  legis  che   contempla
l'attribuzione  iure  soli  della  cittadinanza esclusivamente in via
surrogatoria, nonche' alla disciplina dell'art. 2 della legge per  il
quale   il   soggetto   investito   dalla  nascita  iure  soli  della
cittadinanza italiana in quanto figlio  di  genitori  ignoti  risulta
essere privato ex tunc dello status civitatis italiano, qualora siano
soddisfatte  le  condizioni  indicate  dalla  legge  per  seguire  la
cittadinanza di uno o di entrambi genitori.
b) ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA DA PARTE DEL MINORE
   STRANIERO PER ACQUISTO O RIACQUISTO DA PARTE DEI GENITORI.
  La norma che regola tale evenienza e' l'art. 14 della nuova  legge,
il  quale prevede che "i figli minori di chi acquista o riacquista la
cittadinanza  italiana,  se  convivono  con   esso,   acquistano   la
cittadinanza  italiana, ma divenuti maggiorenni, possono rinunciarvi,
se in possesso di altra cittadinanza".
  Siffatta  disposizione  sostituisce  l'art.  5,  primo comma, della
legge n. 123/1983, il quale a sua volta aveva  gia'  abrogato  l'art.
12,  primo  comma, della legge n. 555/1912, secondo l'interpretazione
formulata dal Consiglio di Stato.
  A quest'ultimo  riguardo,  l'Alto  consesso  (p.  1060/1990)  aveva
ritenuto  che  "l'acquisto  della cittadinanza da parte del minore si
verifica ope legis per il solo  fatto  che  l'acquisti  uno  dei  due
genitori,  a  nulla rilevando che i genitori o il minore risiedano in
Italia o all'estero, che il minore conviva con l'uno  o  con  l'altro
dei  genitori,  che  la  patria  potesta'  sia  esercitata dall'uno o
dall'altro di essi, e, infine, che  il  minore  conservi  o  meno  la
cittadinanza di origine".
  Alla luce del descritto orientamento, si doveva quindi ritenere che
allorquando  uno  dei genitori avesse perso la cittadinanza italiana,
mentre l'altro l'avesse conservata, pure il figlio  minore  l'avrebbe
conservata,  prescindendosi  dalla  considerazione  delle  vicende di
residenza, convivenza e potesta' relativa al minore.
  L'art. 14 della nuova legge ha invece ridotto  l'ampia  portata  di
quest'ultima  interpretazione, richiedendo, ai fini dell'acquisizione
del nostro status civitatis, che i minori convivano con chi  acquista
o recupera la nostra cittadinanza.
  In  sede di schema regolamentare, si e' ritenuto che l'attribuzione
della cittadinanza  italiana  in  favore  dei  figli  minori  di  chi
acquisti  o  riacquisti il nostro status civitatis possa riconoscersi
nella sola ipotesi in cui  i  figli  convivano  con  il  genitore  al
momento  dell'acquisto  o  riacquisto  della cittadinanza italiana da
parte del medesimo.
  In tal senso e' stato utilizzato il concetto di famiglia anagrafica
assunto  dal  regolamento  anagrafico  (approvato  con  decreto   del
Presidente  della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223) in base al quale
esso  ricorre  qualora  le  persone  che  costituiscono  la  famiglia
coabitino  e  siano  legate  da  vincoli  di  matrimonio,  parentela,
affinita', adozione, tutela ed anche da soli vincoli affettivi.
  Ne discende che il fatto della coabitazione risulta  essenziale  ai
fini della determinazione della convivenza anagrafica nonche' ai fini
della  dimostrazione  del  permanere  dei  vincoli  sui  quali appare
fondata la famiglia anagrafica.
  Al riguardo, si  richiama  l'attenzione  sulla  necessita'  che  la
convivenza sia attestata con l'esibizione del certificato di stato di
famiglia o altra idonea documentazione.
c) ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER RICONOSCIMENTO O
   DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DURANTE LA MINORE ETA'.
  L'art.  2 della nuova legge ripropone la tematica di cui all'art. 2
della  legge  del  1912  aggiornata  alla  luce   delle   innovazioni
intervenute  in materia di parita' tra uomo e donna e nell'ambito del
diritto di famiglia.
  In tal senso viene confermata la soppressione  gia'  sancita  dalla
Corte  costituzionale  con  sentenza  n.  30/83,  del  secondo  comma
dell'art. 2 della vecchia  normativa,  che  assegnava  la  prevalenza
della  cittadinanza  al  padre,  ancorche'  la paternita' fosse stata
riconosciuta o dichiarata posteriormente alla maternita'.
  Si  ritiene che la decorrenza da attribuire all'acquisto dello sta-
tus  civitatis  dovuto  al  riconoscimento  ed   alla   dichiarazione
giudiziale di filiazione retroagisce alla nascita.
  Invero,  l'effetto  del  riconoscimento non e' quello di creare con
effetto ex nunc lo stato di figlio naturale, ma quello di riconoscere
cio' che gia' e' e quindi, con effetto ex tunc, il titolo dello stato
di figlio, stato che per il solo fatto  naturale  della  procreazione
compete  al  figlio medesimo fin dalla nascita e sulla base del quale
egli puo' conseguentemente reclamare tutti i diritti che  secondo  la
legge a lui ne derivano.
  In  tal senso anche la Corte di cassazione (cfr. sentenze 20 maggio
1961, n. 1196 e 18 marzo 1981, n. 1584) la quale ha affermato che "il
riconoscimento o la dichiarazione giudiziale,  fondati  entrambi  sul
fatto  naturale  della  procreazione,  hanno efficacia dichiarativa e
quindi ex tunc ed attribuiscono  percio'  al  figlio  riconosciuto  o
dichiarato tutti i diritti che tale stato determina".
d) ACQUISTO DELLA CITTADINANZA DA PARTE DELLO STRANIERO O APOLIDE
   DEL  QUALE  IL  PADRE  O  LA MADRE O UNO DEGLI ASCENDENTI IN LINEA
   RETTA DI SECONDO GRADO SIANO STATI CITTADINI PER NASCITA.
  Tale fattispecie, regolata dall'art. 4 della nuova legge, riprende,
modificandola, quella dell'art. 3 della legge n. 555/1912.
  Rispetto a quest'ultimo articolo, la nuova normativa, da  un  lato,
attribuisce  maggior  rilievo  al  criterio  della  discendenza da un
cittadino per nascita, eliminando il  requisito  della  residenza  in
Italia  dei  genitori  da  almeno dieci anni al momento della nascita
previsto dalla vecchia disciplina e, dall'altro,  riconosce  ai  fini
dell'acquisizione  del  nostro status civitatis, un valore preminente
alla  manifestazione  di  volonta'  del  soggetto  che  versi   nelle
condizioni stabilite dal citato art. 4 della legge n. 91/1992.
  Cosi',  il  soggetto  in questione, con l'espletamento del servizio
militare per lo Stato  italiano,  con  l'assunzione  di  un  pubblico
impiego alle dipendenze del nostro Paese anche all'estero ovvero "se,
al  raggiungimento  della maggiore eta', risiede legalmente da almeno
due anni nel territorio della Repubblica e dichiara,  entro  un  anno
dal  raggiungimento,  di  voler  acquistare la cittadinanza italiana"
potra' acquisire la cittadinanza solo se lo dichiari espressamente.
  Ai  fini  dell'uniformita'   dell'accertamento   delle   condizioni
legittimanti le ipotesi di acquisto di cui ai punti a) e b) del comma
1  dell'art.  4,  gli  operatori  del  settore  dovranno  trasmettere
direttamente a questo Ministero  le  dichiarazioni,  corredate  della
prescritta  documentazione,  rese  dai soggetti che vogliano prestare
effettivo servizio militare o abbiano assunto un pubblico impiego.
  Si soggiunge, peraltro, che  la  prevalenza  della  volonta'  della
persona   rispetto   alle   situazioni   di  fatto  ha  eliminato  la
possibilita'  di  acquisizione  automatica  da   parte   dell'oriundo
italiano  che  abbia  almeno  dieci  anni di residenza nel territorio
dello Stato.
e) ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER BENEFICIO DI LEGGE A
   SEGUITO DI NASCITA NELLO STATO ITALIANO.
  Tale ipotesi e' contemplata dal secondo  comma  dell'art.  4  della
legge  n. 91/1992, il quale prevede che "lo straniero nato in Italia,
che  vi  abbia  risieduto  legalmente  senza  interruzione  fino   al
raggiungimento  della maggiore eta', diviene cittadino se dichiara di
voler  acquistare  la  cittadinanza  italiana  entro  un  anno  dalla
suddetta data".
  Tale   fattispecie   riproduce   sostanzialmente   quella  prevista
dall'art. 3, n. 3, della legge n. 555/1912, a differenza del quale si
richiede in piu' una residenza legale  ininterrotta  dell'interessato
nel  nostro  territorio  dalla  nascita  fino al raggiungimento della
maggiore eta'.
f) ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER MATRIMONIO.
  Gli  articoli  5,  6,  7  e  8  della  recente  legge  disciplinano
l'acquisto della cittadinanza italiana da parte del coniuge straniero
od   apolide  di  cittadino  italiano.  Al  riguardo,  rispetto  alla
normativa prevista dalla legge  n.  123/1983,  sono  state  apportate
poche, ma significative innovazioni.
  In  primo luogo si osserva come sia stata eliminata la possibilita'
che  l'istanza  intesa  ad  ottenere  la  cittadinanza  italiana  sia
presentata dal coniuge italiano.
  Ulteriore  novita'  attiene  alle cause ostative all'acquisto della
cittadinanza italiana per il coniuge di cittadino  italiano  (art.  6
della legge n. 91/1992).
  Rispetto  all'art.  2  della  legge  n. 123/1983, che regolava tale
evenienza, l'art. 6 della nuova legge conferma  le  cause  preclusive
all'acquisto  della  cittadinanza per effetto di condanna per uno dei
delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capo I, II  e  III  del
codice penale e nei casi di sussistenza di comprovati motivi inerenti
alla sicurezza della Repubblica.
  Subisce  invece  una  sostanziale  modifica  la preclusione per una
condanna conseguente alla commissione di un reato diverso  da  quelli
tassativamente suindicati.
  Al  riguardo,  mentre  l'art.  2  della  legge  n.  123/1983 faceva
riferimento alla concreta entita' della pena inflitta e  a  qualsiasi
delitto non politico, la nuova normativa identifica, invece, la causa
ostativa   all'acquisto   della   cittadinanza  nella  pena  edittale
prevista, la quale e' preclusiva se non inferiore al massimo  ai  tre
anni e unicamente per i delitti non colposi.
  La  recente  legge ha peraltro individuato una nuova causa ostativa
all'acquisto della cittadinanza rappresentata dalla  circostanza  che
lo  straniero  abbia riportato una condanna per un reato non politico
ed una  pena  detentiva  superiore  ad  un  anno,  comminata  da  una
autorita' giudiziaria straniera.
  La  rilevanza  nel  nostro  ordinamento  della sentenza di condanna
emessa da una autorita' giudiziaria straniera e' pero' subordinata al
suo riconoscimento.
  Gli articoli 7 e 8 della nuova legge regolano le procedure relative
all'accoglimento e al rigetto dell'istanza.
  Sotto il primo profilo viene confermato il  principio  in  base  al
quale  lo  straniero  acquista il nostro status civitatis con decreto
del  Ministro  dell'interno,  mentre  in  ordine   al   rigetto,   il
legislatore  ha  elevato  a  due  anni,  dalla  data di presentazione
dell'istanza documentata, il termine, scaduto il  quale  e'  preclusa
l'emanazione   del  decreto  del  Ministro  dell'interno  di  rigetto
all'acquisto della cittadinanza.
  Peraltro, onde facilitare  il  celere  disbrigo  degli  adempimenti
procedurali  connessi alla concessione di che trattasi, si raccomanda
che l'istanza ex art. 7  legge  n.  91/1992,  sia  compilata  secondo
l'allegato modello A.
g) ACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER NATURALIZZAZIONE.
  L'art. 9 della legge n. 91/1992 prevede i casi di concessione della
cittadinanza   italiana   mediante   decreto   del  Presidente  della
Repubblica, materia in precedenza regolata dall'art. 4 della legge n.
555/1912 ed alla  quale  vengono  apportate  profonde  ed  importanti
modificazioni.
  Si  osserva  al  riguardo che il citato articolo prevede discipline
differenziate,  in  considerazione  di  specifici   requisiti   degli
aspiranti.
  La  regola  generale  e'  quella  che  consente  allo  straniero di
richiedere la cittadinanza dopo dieci anni di residenza nello Stato.
  Numerosi pero' sono i casi per i quali viene richiesto  un  periodo
di residenza inferiore.
  La  lettera a) ad esempio prevede, ove non sussistano i presupposti
per l'acquisto ope legis, che lo straniero nato nel territorio  della
Repubblica  o  del quale il padre, la madre o uno degli ascendenti in
linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita,  possa
richiedere  la  naturalizzazione  ove in possesso del requisito della
residenza triennale protrattasi nel periodo immediatamente precedente
la data di inoltro della domanda.
  La lettera b) contempla l'ipotesi di una naturalizzazione agevolata
per  gli  adottati  maggiorenni,  i  quali  possono   richiedere   la
cittadinanza  dopo  cinque anni di residenza successivi all'adozione.
Detta norma attenua gli effetti dell'attuale diversa  disciplina  che
consente  ai  minori di acquisire immediatamente e automaticamente la
cittadinanza italiana, mentre esclude, da  detto  beneficio  chi  sia
stato  adottato  da  maggiorenne  anche se l'adozione sia intervenuta
decorsi pochi giorni dal compimento della maggiore eta'.
  La lettera c) del citato articolo consente allo  straniero  che  ha
prestato  servizio,  anche all'estero, alle dipendenze dello Stato di
richiedere la cittadinanza dopo cinque anni di  durata  del  relativo
rapporto,  anziche'  i  tre  previsti dal corrispondente art. 4 della
legge n. 555/1912.
  La lettera d), in adesione  allo  spirito  che  deve  informare  la
politica  degli  Stati  membri della comunita' europea, prevede che i
cittadini di detti Stati possano proporre istanza solo  dopo  quattro
anni di residenza nel territorio.
  La lettera e) consente una riduzione del periodo di residenza anche
per  gli  apolidi,  ai  quali  sono equiparati, ai sensi dell'art. 16
della legge, i rifugiati riconosciuti dallo Stato italiano.
  Il secondo comma dell'art. 9 in  esame  sostituisce  le  previsioni
dell'art.  4,  della  legge  13 giugno 1912, n. 555, tanto al punto 3
quanto all'ultimo comma.
  Queste ultime, infatti, stabilivano che poteva essere  concessa  la
cittadinanza,  sentito  il  Consiglio  di  Stato,  allo straniero che
risiedeva da due anni nello Stato ed  avesse  reso  notevoli  servigi
all'Italia,  nonche' che era in facolta' del Governo di concedere, in
casi  eccezionali  e  per  speciali  circostanze,   la   cittadinanza
italiana.
  La recente legge, nell'unificare queste due ipotesi, stabilisce che
la   concessione   avviene,  prescindendo  da  qualsiasi  periodo  di
residenza, con decreto del Presidente della  Repubblica,  sentito  il
Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri,
su  proposta  del  Ministro  dell'interno di concerto con il Ministro
degli affari esteri. Viene quindi precisato che per la determinazione
del  Governo, gia' prevista dall'attuale disciplina, e' necessaria la
deliberazione del Consiglio dei Ministri. Viene  altresi'  introdotto
il concerto del Ministro degli affari esteri.
  Si  soggiunge,  peraltro,  che  l'art.  18  della  legge n. 91/1992
equipara agli stranieri di origine italiana  o  nati  nel  territorio
della  Repubblica  di cui all'art. 9, comma 1, lettera a) i cittadini
austro-ungarici ed i loro discendenti che emigrarono prima della loro
annessione all'Italia, dai territori acquisiti col Trattato  di  pace
di Saint Germain, entrato in vigore il 16 luglio 1920.
  Pertanto,  le persone gia' appartenenti a Stati facenti parte della
monarchia austro-ungarica  ed  i  loro  discendenti  in  linea  retta
possono  ottenere  la  naturalizzazione  italiana  alla condizione di
favore di un periodo di residenza di soli  tre  anni  nel  territorio
della Repubblica.
  Nell'ambito  della naturalizzazione va, altresi', segnalato, l'art.
21 della legge n. 91/1992, il quale stabilisce che "Ai sensi e con le
modalita' di cui all'art. 9, la  cittadinanza  italiana  puo'  essere
concessa  allo  straniero  che  sia  stato  affiliato da un cittadino
italiano prima della data di entrata in vigore della legge  4  maggio
1983,   n.  184,  e  che  risieda  legalmente  nel  territorio  della
Repubblica da almeno sette anni dopo l'affiliazione".
  Peraltro, onde facilitare  il  celere  disbrigo  degli  adempimenti
procedurali  connessi alla concessione di che trattasi, si raccomanda
che l'istanza ex art. 9  legge  n.  91/1992,  sia  compilato  secondo
l'allegato modello B.
i) CONSIDERAZIONI IN ORDINE AL POSSESSO DEI REQUISITI PER
   OTTENERE LA CITTADINANZA AI SENSI DEGLI ARTICOLI 5 E 9 DELLA LEGGE
   N. 91/1992.
  Si  precisa che i requisiti legali previsti per la naturalizzazione
debbono sussistere sino al momento in cui il naturalizzando  rendera'
il  prescritto giuramento di fedelta' di cui all'art. 10 della legge,
cui  e'  subordinata  la   piena   operativita'   del   provvedimento
attributivo della cittadinanza.
  Deve  quindi  permanere  sino  all'effettuazione  del giuramento il
requisito della residenza legale nella Repubblica.
  Si rammenta, infatti, che ai fini della  cittadinanza,  secondo  il
consolidato  indirizzo  giurisprudenziale  del  Consiglio  di Stato e
della Corte di cassazione,  la  nozione  da  assumere  riguardo  alla
residenza  e' quella contenuta nell'art. 43 del codice civile, che la
individua nel luogo dove la persona ha la  propria  effettiva  dimora
abituale,  non  risultando  pertanto  sufficiente  la mera iscrizione
anagrafica nei registri della popolazione residente.
  Si fa presente che, in materia di iscrizione anagrafica la legge 24
dicembre 1954, n. 1228, prescrive all'art. 2, comma 1, che "e'  fatto
obbligo  ad  ognuno  di  chiedere per se e per le persone sulle quali
esercita la patria potesta' o la tutela, la iscrizione alla  anagrafe
del  comune  di  dimora  abituale e di dichiarare alla stessa i fatti
determinanti  mutazioni  di  posizioni  anagrafiche,  a   norma   del
regolamento,  fermo  restando,  agli  effetti dell'art. 44 del codice
civile, l'obbligo di denuncia del  trasferimento  anche  all'anagrafe
del comune di precedente residenza".
  Si  soggiunge,  altresi',  che la legge 28 febbraio 1990, n. 39, di
conversione, con modificazioni del decreto legge 30 dicembre 1989, n.
416, prescrive all'art. 4, comma  1,  che  "possono  soggiornare  nel
territorio  dello  Stato  gli stranieri entrati regolarmente ai sensi
dell'art.  3  che  siano  muniti di permesso di soggiorno, secondo le
disposizioni del presente decreto".
  Pertanto, la qualificazione della residenza quale legale effettuata
dal legislatore all'art. 5 e all'art. 9, comma 1, lettere a) ,  b)  ,
d)  ,  e)  ,  f),  comportera'  che,  ai fini dell'applicazione delle
succitate disposizioni  della  legge,  l'interessato  debba  avere  e
mantenere   effettiva   ed   abituale  dimora  nel  territorio  della
Repubblica  che  dovra'  essere   comprovata   iuris   tantum   dalla
certificazione  relativa  alla propria iscrizione nell'anagrafe della
popolazione residente di  un  comune  nonche'  avere  soddisfatto  le
condizioni  e gli adempimenti previsti dalle norme vigenti in materia
di soggiorno degli stranieri.
  Da quanto sopra discende, quindi, che qualora si sia verificata  la
perdita  di  una  delle  condizioni  previste dagli artt. 5 e 9 della
legge, gli organi partecipanti all'istruttoria devono segnalarlo allo
scrivente Ministero, restituendo il decreto di conferimento ove  gia'
ne siano in possesso.
                 PERDITA DELLA CITTADINANZA ITALIANA
  La  disciplina  della  perdita del nostro status civitatis prevista
dalla vecchia normativa ha subito profonde innovazioni con la recente
legge n. 91/1992.
  La norma che, principalmente, regola tale evenienza e'  l'art.  11,
il   quale  prevede  che  "il  cittadino  che  possiede,  acquista  o
riacquista una cittadinanza straniera conserva  quella  italiana,  ma
puo'  ad  essa  rinunciare  qualora risieda o stabilisca la residenza
all'estero".
  Pertanto, a differenza dell'impianto normativo previsto dall'art. 8
della legge 555/1912, l'art. 11 della legge n. 91/1992  consente,  al
nostro   connazionale,   il  quale  risiedendo  all'estero,  consegua
spontaneamente  uno  status  civitatis  straniero,  di  mantenere  la
titolarita'  della  cittadinanza  italiana,  salvo che non vi rinunci
secondo le modalita' stabilite dall'art. 23 della stessa legge 91/92,
vale a dire con dichiarazione formale resa all'autorita'  diplomatica
o  consolare  italiana  competente  in  relazione  al luogo estero di
residenza.
  Da quanto sopra discende quindi che le  dichiarazioni  di  rinuncia
alla  cittadinanza  italiana  effettuate  da connazionali dinnanzi ad
autorita' diverse da quelle indicate  nell'art.  23  della  legge  n.
91/1992  non  avranno  alcuna  efficacia  giuridica  nell'ordinamento
italiano.
  Peraltro, va rilevato che l'art. 11 sembra riaffermare il principio
della non rinunziabilita' della cittadinanza italiana  da  parte  del
connazionale  che non sia titolare di altra/e cittadinanza/e, al fine
di evitare una condizione di apolidia.
a) PERDITA DELLA CITTADINANZA ITALIANA IN CONSEGUENZA
   DI SVOLGIMENTO DI ATTIVITA' IN CONTRASTO CON I DOVERI DI  FEDELTA'
   VERSO LO STATO.
  L'art.  12  della  legge  n.  91/1992  determina  i casi residui di
dismissione della cittadinanza dovuti all'esercizio di  attivita'  le
quali  siano  incompatibili  con  l'obbligo,  che  incombe su tutti i
cittadini, di essere fedeli alla Repubblica.
  Il  primo  comma  di detto art. 12 regola le ipotesi nelle quali la
perdita della cittadinanza e' legata al rifiuto  di  abbandonare  una
carica, un impiego o il servizio militare presso uno Stato estero, od
un  ente  straniero  o  internazionale, quando cio' sia richiesto dal
Governo italiano mediante intimazione.
  Il secondo comma dell'art. 12 estende poi  la  disciplina  prevista
dal  primo  comma  del medesimo articolo anche all'ipotesi di servizi
volontariamente resi dal cittadino ad una Potenza  straniera  con  la
quale si trovi in stato di guerra.
  In  tali  casi,  pero',  la dismissione del nostro status civitatis
avviene automaticamente al momento della cessazione  dello  stato  di
guerra, non essendo richiesta la mancata ottemperanza all'intimazione
del  Governo  di  porre  fine  ai comportamenti contrari ai doveri di
fedelta' che incombono su ogni cittadino.
b) PERDITA DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER REVOCA DELL'ADOZIONE.
  Ulteriore causa di perdita della cittadinanza,  prevista  dall'art.
3,  terzo e quarto comma, della legge n. 91/1992, e' costituita dalla
revoca  dell'adozione   per   fatti   tanto   dell'adottante   quanto
dell'adottato.
  Il  comma  3,  in  particolare, prevede "che qualora l'adozione sia
revocata per fatto dell'adottato questi perde la cittadinanza, sempre
che sia in possesso di altra cittadinanza o la riacquisti".
  Nel caso in cui invece la revoca dell'adozione  avvenga  per  fatti
dell'adottante, l'adottato conserva la cittadinanza.
  Peraltro,  l'ultima  parte  del comma 4 del medesimo art. 3 dispone
che "qualora la revoca dell'adozione intervenga durante  la  maggiore
eta' dell'adottato, lo stesso, se in possesso di altra cittadinanza o
se  la riacquisti, potra' comunque rinunciare alla cittadinanza entro
un anno dalla revoca stessa".
  Siffatta disposizione, pertanto,  attribuisce  all'interessato  una
facolta'  di rinuncia con un definito limite temporale (un anno dalla
revoca dell'adozione), ma senza alcuna condizione di ritenzione o  di
trasferimento della residenza all'estero.
c) CONSEGUENZE IN RELAZIONE ALLA PERDITA DELLA CITTADINANZA.
  L'art.  22  della legge n. 91/1992, in relazione alla perdita della
cittadinanza, prevede che "per coloro i quali, alla data  di  entrata
in  vigore della presente legge, abbiano gia' perduto la cittadinanza
italiana ai sensi dell'art. 8 della legge 13  giugno  1912,  n.  555,
cessa ogni obbligo militare".
  Siffatta  disposizione  modifica  la  regola contenuta nell'art. 8,
ultimo comma, della legge n. 555/1912,  ove  era  prescritto  che  la
dismissione  della cittadinanza nei casi previsti dal medesimo art. 8
non esimeva l'interessato dagli obblighi del servizio militare.
  La Corte  costituzionale,  com'e'  noto,  con  sentenza  resa  l'11
ottobre  1988,  n. 974, dichiaro' illegittima tale norma, nella parte
in cui imponeva la presentazione del servizio militare anche a coloro
che non erano piu' cittadini ed  avevano  assolto  regolarmente  agli
obblighi  di leva nelle Forze armate dello Stato di naturalizzazione,
evitando  cosi'  una  ingiustificata  discriminazione   rispetto   ai
soggetti  in  possesso  di  doppia  cittadinanza  che invece ne erano
esentati.
               RIACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA
  L'art. 13 della nuova legge indica le condizioni e le procedure per
il riacquisto della cittadinanza italiana da  parte  di  chi  l'abbia
perduta.
  Si  tratta della materia precedentemente regolata dall'art. 9 della
legge  n.  555/1912,  rispetto  alla  quale  intervengono  importanti
modificazioni innovative.
  In primo luogo, si segnala che l'istituto del riacquisto assume una
valenza di carattere generale.
  Viene,   infatti,   prevista,   in  base  al  citato  art.  13,  la
possibilita' di recuperare il nostro status civitatis  in  favore  di
chiunque  l'avesse  dismesso, a prescindere dai motivi della perdita,
mentre nell'art. 9 della legge n. 555/1912 la facolta' di  riacquisto
era correlata a specifiche ipotesi di perdita.
  La  nuova  legge  inoltre  tende a privilegiare, nel determinare le
modalita' di riacquisto  della  cittadinanza,  la  manifestazione  di
volonta'  del  soggetto  interessato  piuttosto che il verificarsi di
predeterminati fatti e circostanze.
  Pertanto, la nuova normativa circoscrive al massimo il determinarsi
di automatismi che possono in qualche misura  sacrificare  la  libera
scelta  del  soggetto,  con la conseguenza che meri comportamenti non
sono configurabili quale espressione implicita  di  una  volonta'  di
riacquisto.
  In  tale  contesto,  l'art.  13, primo comma, alle lettere a) e b),
prevede  una  generale  facolta'  di  riacquisto  della  cittadinanza
italiana,  qualora  l'interessato renda apposita dichiarazione in tal
senso ed alla ulteriore condizione  di  prestare  effettivo  servizio
militare  o  di  assumere  un  pubblico  impiego alle dipedenze dello
Stato, anche all'estero.
  Ai  fini  dell'uniformita'   dell'accertamento   delle   condizioni
legittimanti  le  ipotesi  di  riacquisto di cui ai punti a) e b) del
comma 1 dell'art. 13, gli operatori del settore dovranno  trasmettere
direttamente  a  questo  Ministero  le  dichiarazioni corredate dalla
prescritta documentazione rese dagli  ex  connazionali  che  vogliano
prestare  effettivo  servizio  militare o abbiano assunto un pubblico
impiego.
 Peraltro, la lettera d) del medesimo articolo prevede l'istituto del
riacquisto automatico, riducendo, rispetto alla precedente normativa,
la residenza nel territorio della Repubblica  ad  un  solo  anno,  ed
attribuendo  all'ex  connazionale la facolta' di rinunciare al nostro
status civitatis al fine di salvaguardare la volonta' del soggetto.
  In tale ambito, si rappresenta che in sede di schema  regolamentare
e'   stata  contemplata  la  facolta'  di  rinunciare  al  riacquisto
automatico della cittadinanza di cui all'art. 13,  comma  1,  lettera
d), anche da parte di coloro i quali, non avendo ancora recuperato la
cittadinanza  secondo  le disposizioni di cui all'art. 9, comma 1, n.
3, dell'abrogata legge n. 555/1912, abbiano maturato  o  maturino  il
periodo di residenza di cui al citato art. 13, comma 1, lettera d).
  Si  soggiunge, altresi', che per tutte le ipotesi ora esaminate, il
riacquisto interverra' "dal giorno successivo a quello  in  cui  sono
adempiute  le condizioni e le formalita' richieste" (ex art. 15 della
legge n. 91/1992).
  Resta  confermato   nel   nuovo   impianto   normativo   l'istituto
dell'inibizione  al  riacquisto, che dovra' essere disposta, ai sensi
dell'art. 13  della  legge  n.  91/1992,  con  decreto  del  Ministro
dell'interno,  per gravi e comprovati motivi e su conforme parere del
Consiglio di Stato entro il termine di un anno dal verificarsi  delle
condizioni fissate dalla legge, purche' intervenga il recupero.
  Risulta,   altresi',  caducata  dalla  nuova  legge  la  disciplina
prevista  dall'art.  9  della  legge  n.  555/1912,  concernente   la
permissione   al   riacquisto   della   cittadinanza,   adottata  con
provvedimento  amministrativo  discrezionale,   in   favore   dell'ex
connazionale  che,  pur senza rientrare in Italia, avesse dismesso il
possesso della cittadinanza dello Stato straniero di appartenenza  ed
aveva  trasferito da almeno un biennio la residenza sul territorio di
uno Stato estero, non assumendone la cittadinanza.
  Si soggiunge, altresi', che si e' dell'avviso  che  l'istituto  del
riacquisto  ex art. 13 legge n. 91/1992 sia applicabile nei confronti
di quei  soggetti  gia'  investiti  della  cittadinanza  italiana  in
conformita' alle disposizioni normative vigenti al momento della loro
nascita  e successivamente privati anche con effetto ex tunc, durante
la loro minore eta', della titolarita' del nostro status civitatis in
conseguenza di  eventi  giuridicamente  rilevanti  per  l'ordinamento
italiano  (es.  figlio  nato  antecedentemente  al 1› gennaio 1948 da
madre italiana e da padre ignoto,  successivamente  riconosciuto  dal
padre,  che  a lui trasmette la cittadinanza; soggetto nato in Italia
da genitori ignoti, successivamente riconosciuto da padre  e/o  madre
stranieri che a lui trasmettano la cittadinanza).
c) RIACQUISTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA PER COLORO CHE L'HANNO
   PERDUTA  IN  BASE  AGLI  ARTICOLI 8 E 12 DELLA LEGGE N. 555/1912 E
   ART. 5 DELLA LEGGE N. 123/1983.
  Un regime transitorio di sanatoria  e'  poi  fissato  dall'art.  17
della  legge  n.  91/1992, il quale stabilisce che "chi ha perduto la
cittadinanza in applicazione degli articoli 8 e  12  della  legge  13
giugno 1912, n. 555, o per non aver reso l'opzione prevista dall'art.
5  della  legge 21 aprile 1983, n. 123, la riacquista se effettua una
dichiarazione in tal senso entro due anni dalla data  di  entrata  in
vigore della presente legge".
  In  base  alla  previsione normativa di che trattasi, il riacquisto
della cittadinanza italiana puo' avvenire, per il biennio  successivo
all'entrata   in  vigore  della  legge,  senza  la  necessita'  dello
stabilimento della residenza in Italia.  Non  risulta,  peraltro,  in
detta   fattispecie,  inserita  la  possibilita'  dell'inibizione  al
riacquisto.
  Si soggiunge, altresi', che il secondo  comma  dell'art.  17  della
legge  n. 91/1992 conferma, come disciplina di regime, la particolare
regolamentazione  del  riacquisto  dello  status  civitatis  prevista
dall'art.  219  della  legge  19 maggio 1975, n. 151, in favore della
nostra ex connazionale che lo  avesse  perduto  per  l'acquisto  iure
matrimonii della cittadinanza straniera del coniuge.
  Si  precisa,  peraltro,  che  nel  caso in cui i soggetti risultino
destinatari  contemporaneamente  della  normativa   tanto   contenuta
nell'art. 13 quanto di quella menzionata nell'art. 17, si ritiene che
gli  interessati  abbiano la facolta' di avvalersi delle disposizioni
da loro considerate piu' favorevoli.
                REGIME GIURIDICO DELLE DICHIARAZIONI
  La materia e' regolata, principalmente dall'art.  23  primo  comma,
della   legge,   il   quale  stabilisce  che  le  "dichiarazioni  per
l'acquisto, la  conservazione,  il  riacquisto  e  la  rinuncia  alla
cittadinanza  e la prestazione del giuramento previsto dalla presente
legge sono rese all'ufficiale dello stato civile dove il  dichiarante
risiede  o intende stabilire la propria residenza, ovvero, in caso di
residenza  all'estero,  davanti all'autorita' diplomatica o consolare
del luogo di residenza".
  Al riguardo si precisa che le  dichiarazioni  di  cui  sopra  e  la
prestazione  del  giuramento  di cui all'art. 10 della legge, possono
essere rese, oltre che, ovviamente, dinanzi all'ufficiale dello stato
civile del comune di residenza anche dinanzi a quello del comune dove
l'interessato intende stabilire la residenza, a condizione che  abbia
gia'  formalmente  avviato  la  procedura  di  iscrizione anagrafica,
ancorche' questa non sia stata ancora definita.
  Per quanto concerne la documentazione da produrre a  corredo  delle
dichiarazioni di cui all'art. 23 della legge, si fa presente che essa
deve  essere  tutta quella necessaria ad attestare che il dichiarante
si trova nelle  condizioni  previste  dalla  legge.  A  tal  fine  si
richiama  a  titolo  meramente  esemplificativo,  quella indicata nel
decreto del Ministero di grazia e giustizia del 22 maggio, pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale  del  1›  giugno  1992,  n.  127,  recante
"Modificazioni  al  modulario  e  formulario per gli atti dello stato
civile".
                                             p. Il Ministro: D'AQUINO