A tutti i Ministeri - Gabinetto - Direzione generale affari generali e personale Al Consiglio di Stato - Segretariato generale Alla Corte dei conti - Segretariato generale All'Avvocatura generale dello Stato - Segretariato generale Al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro - Segretariato generale Ai commissari di Governo nelle regioni a statuto ordinario Al commissario dello Stato nella regione siciliana Al rappresentante del Governo nella regione sarda Al commissario del Governo nella regione Friuli-Venezia Giulia Al presidente della commissione di coordinamento nella regione Valle d'Aosta Al commissario del Governo nella provincia di Trento Al commissario del Governo nella provincia di Bolzano Ai prefetti della Repubblica (per il tramite del Ministero dell'interno) Alle aziende ed alle amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo (per il tramite dei Ministeri interessati) Ai presidenti degli enti pubblici non economici (per il tramite dei Ministeri vigilanti) Ai presidenti degli enti di ricerca e sperimentazione (per il tramite dei Ministeri vigilanti) Ai rettori delle universita' e delle istituzioni universitarie (per il tramite del Ministero della ricerca scientifica e tecnologica) Ai presidenti delle giunte regionali e delle province autonome (per il tramite dei rappresentanti e dei commissari di Governo) Alle province (per il tramite dei prefetti) Ai comuni (per il tramite dei prefetti) Alle comunita' montane (per il tramite dei prefetti) Alle unita' sanitarie locali (per il tramite delle regioni) Agli istituti di ricovero e di cura a carattere scientifico (per il tramite delle regioni) Agli istituti zooprofilattici sperimentali (per il tramite delle regioni) Alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (per il tramite dell'Unioncamere) Agli istituti autonomi case popolari (per il tramite dell'Aniacap) All'A.N.C.I. All'U.P.I. All'U.N.C.E.M. All'Unioncamere All'Aniacap Alla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano Alla Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni Alla Scuola superiore della pubblica amministrazione Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale - Ufficio del coordinamento amministrativo - Dipartimento degli affari generali e del personale - Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi Ai Ministri senza portafoglio e, per conoscenza: Alla Presidenza della Repubblica - Segretariato generale, Palazzo del Quirinale L'art. 9, commi 1 e 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 "Interventi correttivi di finanza pubblica": c.d. "collegato" alla legge finanziaria per il 1994) definisce una nuova normativa in materia di concessione e di uso di beni e di risorse umane, strumentali e finanziarie delle amministrazioni pubbliche in favore di associazioni ed organizzazioni di dipendenti pubblici. L'art. 9, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, prevede che: "1. E' abrogata ogni disposizione che fa obbligo o consenta alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in qualsiasi forma e a qualunque titolo, di attribuire risorse finanziarie pubbliche o di impiegare pubblici dipendenti in favore di associazioni e organizzazioni di dipendenti pubblici. 2. L'uso di beni pubblici puo' essere consentito ad associazioni e organizzazioni di dipendenti pubblici, se previsto dalla legge, solo previa corresponsione di un canone determinato sulla base di valori di mercato". In considerazione delle profonde innovazioni delle predette disposizioni rispetto alla previgente normativa in materia, sono pervenute - e continuano a pervenire - molteplici richieste di chiarimento da parte delle amministrazioni pubbliche e dei sindacati, sia nelle vie brevi che per iscritto. In particolare, i quesiti posti riguardano i seguenti aspetti: concessione in uso dei locali delle amministrazioni pubbliche alle associazioni e organizzazioni di dipendenti pubblici, tra i quali i cosiddetti organismi e comitati di gestione a composizione mista sindacati-amministrazione ed i CRAL, per finalita' varie (ricreative, culturali, di ristoro, di mensa, di spaccio, di approvviggionamento, per il tempo libero, mutualistiche, di assistenza e di servizi sociali in genere); concessione in uso dei locali delle amministrazioni pubbliche a favore delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. La nuova normativa in materia incontra, in verita', ancora diversi ostacoli applicativi sia per la varieta' delle fattispecie concrete riscontrabili nelle diverse realta' delle amministrazioni pubbliche, sia - soprattutto - per la difficolta' intrinseca della "novita'" rispetto alla previgente normativa in materia. La problematica in argomento - che presenta comunque alcuni aspetti di complessita' - richiede un'uniformita' di indirizzo e necessita di conseguenti chiarimenti, da fornire a tutte le pubbliche amministrazioni, al fine di evitare eventuali posizioni interpretative diverse, che potrebbero ridurre o, al limite, annullare la portata innovativa delle disposizioni in argomento, sia in termini di gestione, sia in termini di risparmi finanziari che dovrebbero, e debbono, conseguire ad una corretta applicazione delle predette disposizioni. Tutto cio' premesso, a parere della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, la intera problematica deve essere distintamente affrontata nei due aspetti in precedenza evidenziati. A) Concessione di beni e risorse umane, strumentali e finanziarie ad associazioni ed organizzazioni di dipendenti pubblici. In varie amministrazioni pubbliche, segnatamente in quelle con una rilevante consistenza di personale, con l'intento di migliorare le condizioni degli addetti, da tempo si e' provveduto, per prassi consolidata - anche in mancanza di specifiche disposizioni normative, ovvero in presenza di vecchie normative di fonte regolamentare - a finanziare associazioni od organizzazioni ricreative, culturali, di approvvigionamento, di ristoro, di spaccio, di servizio mense, per il tempo libero, mutualistiche, di assistenza e di servizi sociali in genere; in molti casi anche con la destinazione a tali organizzazioni di proprio personale di organico (in comando o in distacco). Sempre allo scopo di sostenere l'attivita' svolta dalle citate organizzazioni od associazioni a favore dei dipendenti pubblici, sovente sono stati "concessi in uso" - specie nelle sedi centrali ed in quelle periferiche con numero rilevante di addetti - anche "locali dell'amministrazione" per lo spaccio di viveri, per l'approvvigionamento, ovvero per il servizio caffetteria o mensa o, ancora, per attivita' di vario genere, anche promozionali, "senza richiedere la corresponsione di canone" ovvero "con canone assolutamente insignificante e simbolico". I diversi tipi di intervento in argomento hanno inizialmente interessato alcuni settori della pubblica amministrazione e, segnatamente, quelli ad indirizzo produttivistico ed aziendale, ovvero alcune articolazioni in cui il personale e' impegnato in orari di lavoro complessi e peculiari. Successivamente, nella sequenza dei rinnovi degli accordi sindacali del pubblico impiego, la fattispecie in esame e' stata disciplinata - anche in relazione al disposto di cui all'art. 23 della legge 29 marzo 1983, n. 93 - in quasi tutti i comparti e settori di contrattazione collettiva del pubblico impiego, tenendo presente i principi vigenti in materia ex art. 11 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori). Tali norme dispongono: art. 23, comma 1, della legge n. 93/1983: "Estensione delle norme di cui alla legge 20 maggio 1970, n. 300": "Ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al precedente art. 1 si applicano le disposizioni degli articoli .. 11, nonche' degli articoli .. della legge 20 maggio 1970, n. 300". art. 11, della legge n. 300/1970: "Attivita' culturali, ricreative e assistenziali": "Le attivita' culturali, ricreative e assistenziali promosse dall'azienda sono gestite da organismi formati a maggioranza dai lavoratori". Si riportano nell'allegato 1 gli estremi della principale normativa intervenuta, nei tempi piu' recenti, nel settore pubblico - prima del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e della legge n. 537/1993 - sulla materia in esame. In sintesi, la richiamata previgente normativa conteneva una disciplina pressoche' uniforme per i diversi comparti e settori di contrattazione del pubblico impiego, prevedendo che le singole amministrazioni pubbliche: "possono istituire al loro interno servizi ricreativi, culturali, di ristoro, di mensa, di approvvigionamento, di asilo nido ed assumere iniziative per il tempo libero a favore dei propri dipendenti"; la gestione di tali servizi "puo' essere affidata" ad organismi misti formati dai rappresentanti dei dipendenti (in maggioranza), e da rappresentanti dell'amministrazione, sottoposti alla vigilanza di un "comitato interno", composto dai rappresentanti dell'amministrazione (in maggioranza) e dei dipendenti; "possono, compatibilmente con le proprie necessarie e prioritarie esigenze operative, mettere a disposizione degli organismi" suddetti "nonche' di eventuali associazioni fra i dipendenti all'uopo costituite", "adeguati locali che, in quanto utilizzati per scopi istituzionali, sono esenti da canoni"; "iscrivono negli appositi capitoli degli stati di previsione le spese per la manutenzione ordinaria dei locali messi a disposizione" ("nel caso di servizi individuali i lavoratori interessati partecipano con una quota che non puo' eccedere il 30% del costo complessivo, salvo i casi diversamente previsti da disposizioni legislative"). La richiamata normativa prevedeva, poi, che: con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi sentite le organizzazioni e le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale doveva essere definito, "entro un anno dalla data di entrata in vigore dei citati decreti del Presidente della Repubblica", "il regolamento tipo degli organismi" precedentemente indicati; con accordi decentrati a livello nazionale dovevano essere "disciplinate" le modalita' di erogazione dei servizi, i tempi ed i modi di fruizione, l'organizzazione e quanto altro necessario al corretto ed efficiente impiego delle risorse strumentali, umane e finanziarie". Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in questione finora e' stato emanato solo per il comparto "Ministeri" (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 febbraio 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 79 del 3 aprile 1992). L'art. 7 di tale decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri prevedeva, peraltro, che "ai sensi dell'art. 15, comma 6, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 44/1990, per le finalita' degli organismi e delle associazioni di cui agli articoli precedenti le amministrazioni possono mettere a disposizione proprio personale, nel numero minimo necessario in quanto utilizzato per scopi istituzionali". Sintetizzato quanto sopra, si mette in evidenza che tutta la normativa in precedenza richiamata riconduceva la erogazione dei servizi in argomento svolti a favore dei dipendenti nell'ambito delle attivita' istituzionali delle amministrazioni pubbliche. Nell'illustrato precedente quadro normativo si collocano, ora, le disposizioni dell'art. 9, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, riportate in precedenza ("e' abrogata ogni disposizione che fa obbligo o consente alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29", ecc.), che sono entrate in vigore a partire dal 1 gennaio 1994. Tali disposizioni - come esplicitato nella relazione di accompagnamento al disegno di legge (A.S. 1508, XI legislatura) - mirano innanzitutto a porre "regole uniformi, per la concessione di beni e di risorse finanziarie pubbliche, a tutti i soggetti, ivi comprese le associazioni e le organizzazioni di dipendenti pubblici". In questo campo - come, peraltro, gia' segnalato in precedenza - l'indicata normativa e' perfettamente in linea con i nuovi principi sanciti dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e dai successivi decreti legislativi correttivi, finalizzati anche a porre fine alla c.d. "cogestione" della cosa pubblica. L'espressione usata dal legislatore nei commi 1 e 2 dell'art. 9 della legge n. 537/1993 per individuare gli organismi che non possono piu' beneficiare a titolo gratuito di beni e di risorse umane, strumentali e finanziarie "in qualsiasi forma e a qualunque titolo" e, peraltro, assai ampia e di portata generale ("associazioni e organizzazioni di dipendenti pubblici"). L'ampia e generale formulazione dell'art. 9 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e' conseguente, evidentemente, al preciso intento del legislatore di realizzare effetti finanziari sicuri; da un lato attraverso il contenimento della spesa pubblica derivante dalla abrogazione di "ogni disposizione che fa obbligo o consente .., in qualsiasi forma e a qualunque titolo, di attribuire risorse finanziarie e pubbliche o di impiegare pubblici dipendenti ..", e dall'altro lato, attraverso entrate aggiuntive certe, derivanti da una diversa utilizzazione dei dipendenti pubblici e dei beni pubblici, richiedendo che "solo previa corresponsione di un canone determinato sulla base dei valori di mercato" e "se previsto dalla legge" puo' "essere consentito ad associazioni e organizzazioni di dipendenti pubblici" l'uso dei predetti beni pubblici. In sostanza, le disposizioni dell'art. 9, commi 1 e 2, della legge n. 537/1993 sono da riferirsi, in via generale, a tutte le varie forme in cui si concretizza un'associazione o una organizzazione di pubblici dipendenti, e cioe' la totalita' delle figure soggettive nelle quali prevale l'elemento personale, tra le quali i c.d. organismi e comitati a composizione mista, i c.d. CRAL, ed altre figure - quali le Fondazioni - costituite per la cura di interessi di particolari categorie di dipendenti pubblici. In base alla nuova vigente normativa in materia, il fatto che i servizi resi dalle "associazioni e organizzazioni di dipendenti pubblici" - come appena individuate - siano rinvenibili e/o collegati con i "fini istituzionali", costituisce evidentemente la ragione che puo' consentire alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993 di rinvenire il titolo legale, ("se previsto dalla legge"), per la concessione in "uso di beni pubblici", "solo previa corresponsione di un canone determinato sulla base dei valori di mercato". Cio' rappresentato osul piano normativo, non possono, poi, essere ignorati, come si e' anticipato, gli effetti finanziari delle disposizioni recate dai predetti commi 1 e 2 dell'art. 9 della legge n. 537/1993. Le disposizioni in esame, nell'ambito della globale manovra finanziaria, comportano entrate aggiuntive certe per effetto del migliore e piu' produttivo utilizzo dei beni pubblici e demaniali (derivanti dai nuovi canoni e dalla rivalutazione - mediante adeguamento ai canoni determinati sulla base dei valori di mercato - dei vecchi "irrisori canoni" di concessione pagati dalle organizzazioni ed associazioni di pubblici dipendenti, CRAL o organismi similari, come in precedenza individuati) e consentono alle amministrazioni pubbliche un ulteriore "effetto positivo di ritorno", sia in termini di efficienza ed efficacia, sia di produttivita', ove si consideri il sicuro "recupero ad usi produttivi" dei dipendenti pubblici attualmente distaccati o comandati presso "le organizzazioni o associazioni" in questione. B) Locali delle pubbliche amministrazioni in uso alle organizzazioni sindacali. Problemi interpretativi piu' rilevanti sembrano sorgere, invece, per quanto concerne i "locali delle rappresentanze sindacali aziendali", in riferimento al comma 2 dell'art. 9 della legge 24 dicembre 1993, n. 537. Per inquadrare il problema e' utile sottolineare la sequenza della evoluzione normativa della materia nelle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993. Seppure in mancanza di specifiche disposizioni normative, da tempo, per prassi consolidata, infatti, le organizzazioni sindacali dei dipendenti pubblici hanno usufruito di "locali messi a disposizione" dalle pubbliche amministrazioni. Successivamente, nella sequenza dei rinnovi sindacali del pubblico impiego, l'utilizzo dei detti locali da parte delle organizzazioni sindacali e' stato organicamente disciplinato - anche in relazione al disposto di cui all'art. 23 della legge 29 marzo 1983, n. 93 - per quasi tutti i comparti di contrattazione collettiva del pubblico impiego, tenendo presente i principi in materia ex art. 27 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori). Tali norme dispongono: art. 23, comma 2, della legge n. 93/1983: "Estensione delle norme di cui alla legge 20 maggio 1970, n. 300": " .. con norme da emanarsi in base agli accordi sindacali di cui ai precedenti articoli della presente legge, si provvedera' ad applicare, nella materia del pubblico impiego, i principi di cui agli articoli .. 27 della legge 20 maggio 1970, n. 300"; art. 27 della legge n. 300/1970: "Locali delle rappresentanze sindacali aziendali": "Il datore di lavoro nelle unita' produttive con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all'interno della unita' produttiva o nelle immediate vicinanze di essa. Nelle unita' produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di isufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni". Si riportano nell'allegato 2 gli estremi della principale normativa intervenuta, nei tempi piu' recenti, nel settore pubblico - prima del decreto legislativo n. 29/1993 e della legge n. 537/1993 - in materia di locali da mettere a disposizione delle rappresentanze sindacali. In sintesi, la richiamata previgente normativa conteneva una disciplina sostanzialmente uniforme per i diversi comparti e settori di contrattazione del pubblico impiego, prevedendo che: in ciascuna unita' amministrativa con almeno 200 dipendenti (100 nei comparti "Aziende" e "Ricerca") e' consentito alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, per l'esercizio della loro attivita', l'uso continuativo di idonei locali, se disponibili all'interno della struttura; nelle unita' amministrative con un numero inferiore a 200 dipendenti (100 nei comparti "Aziende" e "Ricerca") le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative hanno diritto ad usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni, se sia disponibile nell'ambito della struttura. Inoltre, nei comparti "Ministeri", "Aziende", "Scuola", "Universita'" e "Ricerca" ha operato - in quanto richiamato dalle normative di settore - il disposto dell'art. 49, comma 2, della legge n. 249/1968 ("a ciascuna delle organizzazioni sindacali a carattere nazionale maggiormente rappresentative e', altresi', concesso nella sede centrale dei singoli Ministeri e delle aziende autonome, l'uso gratuito di un locale da adibire ad ufficio sindacale, tenuto conto delle disponibilita' obiettive e secondo le modalita' che saranno determinate dalle amministrazioni interessate, sentite le organizzazioni sindacali"). Analoga disposizione ha operato per la Polizia di Stato (art. 92, comma 2, della legge 1 aprile 1981, n. 121: "a ciascuna delle organizzazioni sindacali a carattere nazionale maggiormente rapresentative e' altresi' concesso, nella sede centrale, l'uso gratuito di un locale da adibire ad ufficio sindacale, tenuto conto delle disponibilita' obiettive e secondo le modalita' determinate dall'amministrazione, sentite le organizzazioni sindacali"). La previgente normativa nel pubblico impiego in materia di utilizzo dei locali delle rappresentanze sindacali aziendali, come si e' visto, era abbastanza conforme ai "principi" recati dal citato art. 27 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori). Tuttavia, dal confronto delle rispettive normative in precedenza riportate, si evince che nel settore pubblico era stata definita una disciplina che, per alcuni aspetti (di non secondaria importanza), era diversa in alcuni comparti e settori da quella dello statuto dei lavoratori. Infatti, nel settore pubblico, "tenuto conto delle disponibilita' obiettive", era ritenuta legittima la "concessione", in uso gratuito, di un locale, nella sede centrale, da adibire continuativamente ad ufficio sindacale "per ciascuna delle organizzazioni sindacali a carattere nazionale maggiormente rappresentative". Nel settore privato, invece, il predetto art. 27 della legge n. 300/1970 dispone che il datore di lavoro deve porre "permanentemente a disposizione" di tutte le rappresentanze sindacali aziendali "un idoneo locale comune all'interno della unita' produttiva o nelle immediate vicinanze di essa". Con l'entrata in vigore del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, anche nelle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, dello stesso decreto legislativo n. 29/1993, si deve ora fare riferimento, per la materia in questione, alle disposizioni dell'art. 27 della legge n. 300/1970, che, ai sensi dell'art. 55, comma 2, del predetto decreto legislativo n. 29/1993, si applica direttamente nei confronti delle indicate amministrazioni pubbliche, nell'ambito della piu' complessiva applicazione al pubblico impiego dello "Statuto dei lavoratori" (legge n. 300/1970): art. 55, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993: "La legge 20 maggio 1970, n. 300, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero di dipendenti". In tale contesto normativo si collocano, ora, le disposizioni recate dall'art. 9, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in precedenza riportate. Occorre, pertanto, ai fini della soluzione dello specifico problema dei locali delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993 in uso alle organizzazioni sindacali, analizzare il rapporto che intercorre tra l'art. 9, comma 2, della legge n. 537/1993, l'art. 27 della legge n. 300/1970 e l'art. 55, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993. Rilevato che in base all'art. 27 della legge n. 300/1970 l'utilizzazione, nelle due distinte forme della destinazione permanente e di quella temporanea, dei locali a favore delle rappresentanze sindacali rappresenta un "diritto sindacale" - derivante dalla azione di sostegno all'attivita' sindacale voluta dalla legge n. 300/1970, cui corrisponde un "obbligo del datore di lavoro" -, si puo' ritenere che si e' in presenza, nella fattispecie dell'art. 27 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) e dell'art. 55 del decreto legislativo n. 29/1993, di "norme speciali", non abrogate, quindi, dalle disposizioni di carattere generale recate dall'art. 9, comma 2, della legge n. 537/1993. Peraltro, va anche evidenziato che la previsione dell'art. 9, comma 2, della legge n. 537/1993 - che prescrive un "canone determinato sulla base dei valori di mercato" - presuppone un rapporto di tipo contrattuale, mentre nella fattispecie in esame - dati i presupposti normativi richiamati - la previsione di un onere economico doveva, se mai, essere qualificata come indennizzo. In conclusione, a giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, i locali delle pubbliche amministrazioni in uso alle organizzazioni sindacali non rientrano nel campo di applicazione della normativa recata dall'art. 9, comma 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in ragione della "specialita'" della normativa di cui all'art. 55, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993 ed all'art. 27 della legge n. 300/1970. In proposito si rende opportuno evidenziare, ancora, che per effetto delle disposizioni recate dall'art. 55, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993 (con la conseguente applicazione, nella fattispecie, dell'art. 27 della legge n. 300/1970) e' stata "uniformata" nella materia dell'utilizzo dei locali delle rappresentanze sindacali aziendali la disciplina del settore pubblico a quella del settore privato, per cui sono da ritenere abrogate tutte le indicate specifiche normative preesistenti in materia nel pubblico impiego. Ne consegue, coerentemente, che - ai sensi della richiamata nuova vigente regolamentazione in materia nell'ambito del pubblico impiego (e cioe' la riconduzione alla disciplina unitaria dell'art. 27 della legge 20 maggio 1970, n. 300, di tutte le richiamate specifiche normative preesistenti in materia di messa a disposizione dei locali delle amministrazioni pubbliche in favore delle organizzazioni sindacali) - le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993, sono tenute, ora, a mettere a disposizione permanentemente un unico idoneo locale comune per tutte le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, e non piu', quindi, un locale da adibire continuativamente ad ufficio sindacale" per ciascuna delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative". I Ministeri, le associazioni, le unioni, i presidenti delle giunte regionali e delle province autonome, i commissari di Governo ed i prefetti della Repubblica sono invitati, ciascuno nel proprio ambito, a portare la presente direttiva - circolare a conoscenza degli enti e degli organismi vigilati od associati, che provvederanno all'attuazione della normativa in argomento nell'ambito della rispettiva autonomia istituzionale ed ordinamentale. Il Ministro: URBANI Registrata alla Corte dei conti il 22 novembre 1994 Registro n. 3 Presidenza, foglio n. 3