L'ASSESSORE PER I BENI CULTURALI ED AMBIENTALI E PER LA PUBBLICA ISTRUZIONE Visto lo statuto della regione; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1975, n. 637; Visto il testo unico delle leggi sull'ordinamento del Governo e dell'amministrazione della regione siciliana approvato con decreto del presidente della regione 28 febbraio 1979, n. 70; Vista la legge regionale 1 agosto 1977, n. 80; Vista la legge regionale 7 novembre 1980, n. 116; Vista la legge 29 giugno 1939, n. 1497; Visto il regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357; Vista la legge 8 agosto 1985, n. 431; Visto l'art. 5 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 15; Visto il decreto n. 1153 del 12 luglio 1983, pubblicato nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 40 del 17 settembre 1983, con il quale e' stato dichiarato di notevole interesse pubblico, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 1497/39, l'intero arcipelago delle Pelagie, facente capo al comune di Lampedusa; Vista la nota n. 693 del 2 febbraio 1996, con la quale la soprintendenza di Agrigento ha avanzato la proposta di vincolo di immodificabilita' per l'intero territorio dell'isola di Linosa ad esclusione del suo centro abitato e dell'area cimiteriale e di quella sulla quale insiste il depuratore; Viste le integrazioni della soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Agrigento che, con nota prot. n. 8194 del 7 novembre 1996, ha chiarito che sia l'area cimiteriale che il depuratore - non evidenziati all'interno della cartografia catastale-sono desumibili dalle riproduzioni aereofotogrammetriche e presentano effettivi limiti, materializzati sui luoghi da recinzioni; Considerato che l'interesse alla conservazione delle isole trova fondamento nelle motivazioni di carattere tecnico-scientifico appresso riportati, che sottolineano la notevole valenza naturalistica accresciuta dalla loro condizione geografica che ne configura un ecosistema chiuso, senza possibilita' di scambi con l'ambiente esterno, che non siano l'interazione mare-costa e l'azione biologica dei venti. Il paesaggio culturale, modellato su quello naturale e da questo fortemente condizionato, risente di un'azione antropica condotta con mezzi molto semplici, che ha prodotto modificazioni equilibrate all'assetto dell'ambiente nel rispetto dei suoi connotati salienti. L'avvento delle attuali tecnologie costruttive, la relativa facilita' delle comunicazioni e dei trasporti, cui si e' associata una forte appetibilita' di ambiti turistici, hanno provocato per l'isola di Linosa, una accelerazione di fenomeni di modifica del paesaggio, che soltanto un'azione di pianificazione paesaggistica potra' salvaguardare e conservare. Per i suddetti motivi si ritiene che detta misura di salvaguardia debba estendersi a tutte le isole dell'arcipelago delle Pelagie e non alla sola isola di Lampedusa (decreto n. 7212 del 10 agosto 1995, pubblicato nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 49 del 30 settembre 1995), poiche' la presenza e la interazione di tutte le componenti naturali concorrono alla definizione dell'equilibrio dell'unico ed unitario sistema ambientale e culturale. Tale motivo induce a ritenere opportuno sottoporre a regime di salvaguardia l'intero territorio dell'isola di Lampione e Linosa, ad eccezione, per quest'ultima, delle aree la cui destinazione d'uso risulta ormai definitiva e consolidata oltre che compatibile con l'assetto paesaggistico dell'isola secondo la perimetrazione seguente: si diparte, foglio di mappa n. 23, a nord, dall'incrocio tra lo spigolo sud-ovest della strada vicinale Mannirazzi con la particella n. 1, quindi segue in direzione sud-ovest il limite esterno di detta particella fino all'incrocio con la strada vicinale Fosco, oltrepassa detta strada fino allo spigolo ovest della particella 103, e prosegue in direzione sud-est includendo le particelle 103 e 202, fino all'incrocio con la particella 177. Da qui procede in direzione sud-ovest e poi verso sud, inglobando le particelle 177, 179 e 180 fino alla strada vicinale Scalo Vecchio. Il limite prosegue con la stessa direzione fino ad incontrare la particella 161 e, quindi, in direzione prima sud, poi est, lungo il perimetro di questa particella fino alla particella 159. Da qui in direzione nord-est, ingloba le particelle 159, 158 e 160, fino alla vicinale Arena Bianca. Passa poi allo spigolo sud-ovest della particella 155, la circoscrive e comprende di seguito le particelle 153 e 149, fino a reincontrare detta vicinale ed oltrepassarla, secondo la direttrice dell'ultimo allineamento e dirigersi verso est seguendo il confine della particella 142. Il perimetro della zona esclusa dal vincolo procede poi in direzione nord-ovest comprendendo per intero le particelle 142, 143, 144, 20, 21, 22, 29, 30, 125 e 124, nonche' gli spazi urbani pubblici di piazza Garibaldi e via Grotte, fino a ricongiungersi con lo spigolo iniziale. Viene inoltre esclusa l'area interna all'attuale perimetro del cimitero, nonche' l'area dove e' ubicato il depuratore; Rilevato che la zona da sottoporre a vincolo presenta notevoli pregi dal punto di vista naturalistico, paesaggistico, geologico, geomorfologico vegetazionale, nonche' dal punto di vista storico-culturale; Considerato che l'isola, costituita da basalti di tufo e lava, presenta un assetto cromatico molto forte e vario, spiccando nettamente rispetto allo sfondo marino od aereo, assumendo percio' un peculiare ed originale quadro d'insieme godibile nelle varie sfaccettature dagli innumerevoli punti di vista posti sul mare circostante l'isola. Anche muovendosi all'interno, attraverso le strade e le caratteristiche trazzere, limitate da muretti in pietra e' possibile apprezzare un susseguirsi di quadri naturali di particolare significato culturale ed estetico. In particolare, le cime dei rilievi, avanzi di crateri vulcanici, ricchi alle pendici di pozzolana; le zone coltivate con le tipiche essenze mediterranee; ed il resto, quasi completamente brullo, punteggiato da macchie di fichidindia, arbusti e le particolari associazioni vegetali gia' descritte. Altro interessante aspetto dell'isola e' rappresentato dalle grotte alle pendici del monte Bandiera, scavate in una roccia di natura tufacea. Di incerta dotazione, hanno costituito il primo rifugio dei colonizzatori di eta' borbonica e per lungo tempo, fino a qualche decennio fa, risultavano correntemente abitate. La costa si presenta bassa, molto frastagliata e prevalentemente rocciosa con l'eccezione delle due cale sabbiose denominate Cala Pozzolana di Levante e di Ponente. Assume aspetti molto suggestivi quando si sfrangia verso il mare a formare piccole scogliere (di rilievo gli Scogli dei Bovi Marini sulla costa settentrionale) o quando i massi si presentano di dimensioni piu' consistenti a formare i c.d. "Faraglioni". A Linosa, nonostante buona parte della popolazione sia impegnata nel settore agricolo, i residenti risultano accentrati nel piccolo paesino posto a sud, a poca distanza dallo Scalo Vecchio, lungo le pendici del monte Bandiera. L'abitato e' molto caratteristico e vivace essendo composto da abitazioni variamente colorate che contrastano in maniera netta con il colore scuro del terreno lavico che le circonda. Il nucleo del paese e' strutturato secondo due direttrici principali, delle quali la prima conduce al porto e la seconda, trasversale, lo collega con la Cava Pozzolana di Ponente e con la Cala Mannarazza. Molto interessante e' pure il paesaggio agrario dell'isola, composta da moltissimi appezzamenti ben ordinati e delimitati da siepi di fichi d'india e/o da muretti in pietra lavica, che interessano l'intero agro coltivabile. Attualmente le manifestazioni piu' evidenti dell'attivita' costruttiva storica nel contesto del territorio extraurbano dell'isola di Linosa si concretizzano essenzialmente nella presenza delle tipiche abitazioni rurali, i c.d. "dammusi" e di altri piccoli fabbricati rurali dai muretti d'ambito con funzione di delimitazione proprietaria e protezione delle chiuse coltivabili. La costituzione di queste chiuse, e' riferibile all'epoca della colonizzazione borbonica, anche se in questa prima fase a carattere prevalentemente spontaneo, e messa a coltura di aree delimitate e definite in lotti, sottratte alla boscaglia, fittamente presente nell'isola. La permanenza storica e la congruita' con i caratteri del sito di questi tipi edilizi e della loro rappresentazione volumetrica, coloristica, formale e compositiva, strettamente connaturata con i caratteri storici, architettonici, culturali ed ambientali del sito ed infine la fragilita' di questi episodi, accentuano la necessita' di un'azione di salvaguardia non solo dei manufatti ma che del loro sistema distributivo e insediativo territoriale. Considerato che la particolare condizione di insularita' determina per le isole di Linosa e Lampione un sistema unico senza possibilita' di significabilita' differenziazioni, legando tra di loro indissolubilmente i vari ambienti e i vari biotipi e facendo si che ogni eventuale variazione dell'uno agisca immediatamente sull'altro. Il paesaggio, fortemente determinato da questi dementi e dalle loro connessioni richiede un approfondimento descrittivo circa le caratteristiche geologiche, geomorfologiche, vegetazionali e faunistiche, tanto piu' che la rilevanza di questi aspetti ha gia' determinato, nell'isola di Linosa, l'istituzione, da parte dell'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente, dell'omonima riserva naturale (decreto n. 291/44 del 16 maggio 1995), estesa nella parte settentrionale e orientale dell'isola con propaggini verso l'interno dal lato sud-orientale fino a comprendere il monte Vulcano. L'isola di Linosa rappresenta, dal punto di vista geologico, la parte emersa di un complesso apparato vulcanico formatosi in seguito all'intensa attivita' eruttiva, sottomarina prima, subaerea dopo, espletatasi in concomitanza di varie vicende orogenetiche che hanno interessato un periodo geologico riferibile al tardo terziario-quaternario, l'attuale Canale di Sicilia. Petrograficamente le colate principali sono costituite da espandimenti basaltici feldspatici (Montagna di Ponente) e feldspatici-vinici (Montagna Rossa). Completano il quadro geolitologico serie di sedimenti tipici, anch'essi legati all'attivita' vulcanica, quali depositi tufacei e cineritico-sabbiosi di vario spessore. La serie di dati e delle informazioni raccolte in sede di rilevamento superficiale ha consentito la differenziazione litologica delle rocce presenti: Coperture cineritico-sabbiose: sono costituite in prevalenza da depositi di sabbie sciolte e ceneri di origine vulcanica, prodotto della intensa attivita' esplosiva. Sono localizzate perlopiu' al piede dei principali apparati eruttivi ed occultano in parte il sottostante basamento lavico. La loro espansione risulta alquanto limitata, si rinvengono sia lungo le pendici settentrionali di monte Biancarella che in quelle meridionali di monte Nero e monte Bandiera. Dal punto di vista granulometrico, le suddette coltri sono costituite da una frazione prevalentemente sabbiosa associata a frammenti di varia pezzatura sia a spigoli che arrotondati, dalle dimensioni della ghiaia e della ghiaia grossa. Tufi vulcanici: rappresentano una potente formazione costituita da rocce piroclastiche a consistenza lapidea con interposti livelli piu' scoriacei, meno addensati e di spessore piu' ridotto. Si rinvengono perlopiu' dispersi nell'ammasso roccioso sotto forma di sacche o lenti variamente allungate dallo spessore compreso tra alcuni decimetri ed il metro. In considerazione della particolare differenziazione litologica della suddetta formazione, anche le caratteristiche fisiche e meccaniche tendono a variare entro un campo piuttosto ampio. Si tratta, in ogni caso, di roccia resistente all'abbattimento poiche' dotata di elevati valori di resistenza. La componente lapidea piu' grossolana e' rappresentata, invece, da scorie e bombe vulcaniche. Colate laviche basaltiche: sono sovrapposte in piu' ordini e corrispondono alle varie fasi effusive verificatesi durante il tardo Pleistocene. Si tratta di rocce ignee di aspetto massimo di colore nerastro o grigio scuro dai contorni ben delimitati. La struttura, a tratti vetrosa, risulta ancora ben evidente. Gli affioramenti di dette colate, talora, risultano occultati per buona parte della loro estensione da modesti spessori di suolo agrario o di alterazione. Risulta evidente che Linosa, per cio' che riguarda le origini e le caratteristiche geologiche, si differenzia da Lampedusa. Infatti, derivando dal piu' ampio fenomeno del vulcanismo siciliano, essa costituisce la protuberanza emersa di un cono vulcanico di dimensioni sicuramente ben piu' estese. Completamente formata da rocce vulcaniche di basalto felspatico, da tufi gialli e grigi, nonche' da scorie rossastre e nere piu' o meno agglomerate, risulta morfologicamente caratterizzata, in quanto presenta alcuni rilievi montuosi, costituiti dagli edifici eruttivi di monte Vulcano (m 195), dalla montagna Rossa (m 186) e di monte Nero (m 107) e un'ampia area quasi pianeggiante, formata dalla depressione da questi delimitata, che con ogni probabilita' doveva costituire l'antico cratere. Il perimetro costiero, costituito in massima parte da rocce, risulta molto frastagliato, e cio' la rende inaccessibile anche per la continua presenza di scogli. Considerato che il patrimonio vegetale spontaneo dell'isola a partire dall'epoca della colonizzazione borbonica (1843), ha subito una considerevole riduzione. Nonostante cio', la flora ancora presente ha dei caratteri di notevole interesse fitogeografico, con diversi endemismi e numerose specie nord-africane, che qui trovano l'unica stazione conosciuta in tutto il territorio italiano. L'isola e' inoltre segnalata per la presenza dell'interessante endemismo ad areale puntiforme Erodiun malacoides var. Linosae. Le restanti formazioni vegetali riscontrabili, oltre a quelle agricole e forestali di impianto recente, sono essenzialmente a macchia e a gariga. In sintesi le principali specie che caratterizzano la flora dell'isola di Linosa sono: l'Erba croce di Linosa (Valentia Calva), l'Onopordo di Sibthorp (Onopordum Argocicum) e il Fior di Tiga (Caralluma Europaea). Attualmente il territorio di Linosa risulta coltivato in tutta l'area centrale e lungo le pendici dei rilievi, in quanto lo spessore di terreno superficiale consente una discreta attivita' agricola, caratterizzata da diverse colture, che fanno assumere al paesaggio dell'isola un aspetto decisamente rurale. Da qualche anno sono state impiantate essenze forestali, a cura dell'Azienda foreste demaniali della regione siciliana, con l'inserimento di specie arboree, essenzialmente pini, raggiungendo confortanti risultanti. Gli aspetti faunistici, nonostante una sensibile contrazione dovuta ai drastici mutamenti ambientali del secolo scorso, rappresentano una componente naturalistica di fondamentale importanza. Fra le peculiarita' faunistiche di Linosa si rileva la presenza: della Lacerta filfolensis laurenti mulleri (endemita melanico), del Chalcides ocellatus linosae, del Macroprotonodon cucullatus (Columbro del Cappuccio), del Malpolon monspessulas insignitus (Colubro lacertino), dello Sphingonotus linosae (Ortottero melanico), oltre a numerose altre specie che occupano nelle Pelagie l'unica stazione extra-africana. Anche dal punto di vista ornitologico, si segnala la presenza di alcune specie di grande importanza, in particolar modo quelle stanziali: il Gabbiano reale, la Berta maggiore, la Berta minore il Falco regina ed il Maragoni dal ciuffo. La piu' importante e' quella costituita da una colonia di Berte Maggiori (censite circa 10.000 coppie), la cui nidificazione interessa quasi per intero l'ambito costiero settentrionale dell'isola. L'isola, inoltre, in relazione alla sua posizione geografica rappresenta un punto di sosta fondamentale per le specie di uccelli migratori che trascorrono i mesi invernali nelle calde regioni del continente africano. Tra i mammiferi va segnalato il gatto selvatico. Senza dubbio l'importanza faunistica che caratterizza maggiormente l'isola e' la presenza della tartaruga marina Caretta, che sulla spiaggia di Cava Pozzolana depone le uova nel periodo estivo. L'ambiente marino di tutto l'arcipelago delle Pelagie risulta estremamente interessate per la contemporanea presenza di moltissime specie che gli lanno assumere una spiccata peculiarita' sia per le valenze di carattere estetico, che per l'elevato valore scientifico. Le specie ittiche presenti, nonostante le molteplici attivita' di pesca svolte in quest'area, si caratterizzano in relazione alla loro differenziazione e pregio derivata dall'azione di trasporto da parte delle correnti di origine atlatica che hanno arricchito le biocenesi bentoniche dell'isola. La caratteristica di Linosa e' la dominanza di specie orientali, cio' deriva evidentemente da un maggior influsso esercitato sull'isola dall'area di levante del bacino mediterraneo. Fra queste specie va segnalata l'Alga rossa Neogonilithon notarsili, localizzata nel piano litorale, spesso unita al Lithophayllum tortuosum caratterizzato dalle tipiche cornici. Importantissimi sono i popolamenti sciafili superficiali costituiti dal Petroglosso plocamietum, al quale si associa il Lithophyllum decussatum. L'ambiente marino delle cale e delle insenature risultano ancora integri. Considerato che gli aspetti culturali e antropici si riducono a poco piu' di un secolo, tenuto conto che la storia di Linosa sembra avere inizio nel 1845, anno in cui vi si stabili la colonia borbonica guidata dal tenente di vascello B. Sanvisente, che ha dato inizio al popolamento di questa piccola isola dell'arcipelago delle Pelagie. Come apprendiamo dal Sanvisente (dall'opera monografica scaturita dalle conoscenze dirette acquisite negli anni di permanenza e Lampedusa) Linosa fu trovata deserta al momento dello sbarco, avvenuto il 24 aprile 1845, di un contingente costituito da un centinaio di coloni provenienti da Agrigento e Lampedusa. Ma, proprio rileggendo alcuni passi dell'opera del Sanvisente, si apprende dell'esistenza di "antichi abituri e di molti ruderi che fanno con ragione asserire che, dalla costruzione di qualche fabbrica con pezzi di forma romboidale allungata, dalla forma delle cisterne, dall'intonaco di esse e da alcune monete rinvenute, Lampedusa e Linosa furono anticamente abitate da popoli di una stessa nazione". Altrove, che "nell'epoca delle guerre puniche quest'isola (Lampedusa) e l'altra (Linosa) erano state punti di appoggio ad essi loro (i romani) allorche' partendo da Roma per ridursi a combattere Cartagine servivano alle loro operazioni di guerra onde farvi le spedizioni e le conquiste dell'Africa". Nei primi del '900 Th. Ashby, giunto a Linosa per una breve visita dell'isola effettuata nel quadro di uno studio sulla preistoria nel bacino del Mediterraneo, ritenne di poter affermare che, contrariamente a quanto riscontrato nell'isola di Lampedusa, Linosa non conservava traccia "di abitazioni di epoca preistorica" sebbene avesse avuto notizia che vi si poteva ritrovare dell'ossidiana. Il fatto, secondo Ashby, che Linosa non fosse stata abitata durante l'epoca neolitica da genti provenienti dall'Africa sarebbe principalmente dovuta sua ad una ipotetica attivita' dei vulcani, sia alla assoluta mancanza in essa di sorgenti. Fu inoltre critico nei confronti della testimonianza offerta dal Sanvisente relativamente all'attribuzione al periodo romano delle rovine di abitazioni presenti nell'isola ritenute, invece, piu' recenti e "anzi di data relativamente moderna". Si ammette, tuttavia, che in diversi punti dell'isola, nei pressi di recinzioni di incerta data, si trovava sparsa ceramica indubbiamente di epoca romana. Quanto sinora evidenziato ha costituito l'ambito delle nostre conoscenze sull'isola di Linosa sin quasi ai nostri giorni. Uniche eccezioni sono stati occasionali rinvenimenti a mare ed in terra, nonche' il recupero, effettuato nel 1990 dalla soprintendenza BCA di Agrigento di frammenti ceramici di anfore tardo romane provenienti da un ingrottamento in parte distrutto durante i lavori di ricostruzione della Chiesa Madre. Questo sostanziale vuoto di conoscenza viene, solo in parte, colmato nel 1992 quando, nell'ambito di un progetto finalizzato alla conoscenza e valorizzazione delle isole Pelagie, la soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Agrigento ha dato avvio ad una campagna rilevamento topografico sul territorio dell'isola. Al contrario di quanto osservato nell'isola di Lampedusa e per circostanze legate alla diversa natura geologica e alla presenza di una sensibile copertura di suolo vegetale, Linosa ha conservato, in uno con gli aspetti piu' significativi del suo ambiente naturale, i segni di una frequentazione in epoca antica, soprattutto circoscritta all'orizzonte romano tardo imperiale. Infatti, se pure in assenza di strutture visibili, gran parte dei terreni conserva ancora un'appezzabile concentrazione ceramica di superficie. Non mancano testimonianze risalenti all'epoca preistorica, ancora da meglio circoscrivere in quanto a facies di appartenenza: esse si rintracciano soprattutto lungo il versante occidentale della dorsale a nord di monte Bandiera (qui, inoltre, uno scavo del 1993 ha appurato all'interno di due ingrottamenti e nell'area immediatamente circostante due livelli di frequentazioni, preistorico e romano tardo imperiale), nell'area dei Timpone sul monte Nero, in contrada Paranzello e nell'area del centro abitato; non si esclude poi che alcune delle grotte ubicate sui pendii e/o sulle pendici delle alture se pure utilizzate sin dai tempi della colonizzazione non abbiano una ben piu' antica storia di frequentazioni. Se si escludono alcuni frammenti di ceramica ellenistica e tardo repubblicana provenienti dall'area del Timpone Nero, per il resto gran parte del territorio indagato (monte Vulcano, aree a ridosso della fascia costiera orientale, a nord del centro abitato e, ad occidente e ad oriente di monte Nero, etc.) registra una sensibile presenza di materiale archeologico in frammenti per lo piu' di importazione africana di epoca appunto tardo romana e bizantina che lascia ipotizzare una occupazione estensiva del territorio per scopi agricoli almeno dal II-III al VII secolo. Ne' va dimenticato il numero non indifferente di cisterne connesse con piu' o meno complessi di convogliamento delle acque piovane che si osservano anche nelle stesse aree caratterizzate dalla presenza di ceramica di superficie. Non e' facile stabilirne la cronologia: ma certo e' che nel 1845 il Sanvisente ne registra oltre 150 ritenendone indispensabile una bonifica e un riutilizzo a favore della colonia (secondo l'ing. G. Schiro', incaricato nel 1861 di verificare la situazione della colonia, di tali cisterne solo sei erano in uso della popolazione, ma della totalita' di esse auspicava un recupero totale per una assegnazione, in parte a ciascun nucleo familiare, in parte perche' potessero costituire riserva d'acqua direttamente a disposizione dell'autorita' locale per i momenti di maggiore necessita'). Tali cisterne, dunque precedenti all'epoca della colonizzazione, potrebbero risalire ad epoca molto antica forse romana: cio' e' ipotizzabile peraltro in considerazione che in concomitanza con la frequentazione dell'isola durante il periodo imperiale cui ci riporta la gran parte delle testimonianze archeologiche rintracciate (ceramica di superficie), si dovette sopperire alla carenza di acqua dovuta alla mancanza di sorgenti o stillicidi e dall'essere l'acqua reperibile in profondita', inutilizzabile a causa dell'eccessivo grado di salinita'. E' tuttavia ipotizzabile che in un'epoca piu' tarda (G. Schiro') si debbano far risalire le opere esterne di canalizzazione e convogliamento riscontrate per lo piu' sui rilievi o in prossimita' delle pendici. Non vanno trascurati, infine, quei complessi di ingrottamenti per i quali se e' solo ipotizzabile, allo stato attuale, una utilizzazione in epoca antica, appare in ogni caso rilevante l'interesse etno-antropologico derivante dall'aver costituito l'abitazione tipica dei primi abitanti della colonia e dei loro discendenti: per tutti varra' il richiamo alle famose grotte c.d. "dei pionieri" ubicate alle falde del monte Bandiera ed utilizzate sin quasi ai nostri giorni. I siti maggiormente interessati dalla presenza di frammenti ceramici di superficie, da ingrottamenti e sistemi idrici sono (ex schedatura soprintendenza beni culturali ed ambientali di Agrigento): Fascia costiera orientale e monte Vulcano: 1) area ad est di montagna Rossa (tra la "grotta del Greco" e i faraglioni): a quota 33,3 ceramica di superficie, per lo piu' terra sigillata africana nei pressi di costruzione risalente ad epoca borbonica e di altra di epoca piu' recente. A quota 46,3, sistema di raccolta delle acque piovane (canalette scavate nella roccia e rivestite con malta delimitate da blocchetti e cisterna all'angolo sud-est del sistema) e, nei pressi, concentrazione ceramica di superficie che interessa anche una piccola area al di la della strada; a quota leggermente inferiore, un secondo sistema di raccolta delle acque (cisterna scavata nella roccia collegata a due vaschette di decantazione mediante canaletta rivestita con malta delimitata da un lato da blocchetti). Abbondante ceramica rinvenuta anche sul piano di scorrimento della canaletta pertinente al sistema a quota superiore; 2) a nord est di monte Vulcano: una certa quantita' di frammenti ceramici (orizzonte tardo romano) provenienti dallo scavo di una cisterna di recente costruzione in proprieta' Giardina. Sul pianoro a quota 21,00, area ad alta densita' di frammenti ceramici; 3) punta Calcarella: nella vallata immediatamente sottostante il monte Vulcano, a quota 36,00, abbondante ceramica (orizzonte tardo romano); 4) monte Calcarella: sul versante settentrionale del monte, sistema di raccolta delle acque piovane con pozzetto circolare rivestito di intonaco posto all'interno di una sorta di acino scavato nella roccia delimitato da un filare di pietrelle; nei pressi, cisterna con imboccatura quadrangolare pure scavata delimitata da due filari di blocchetti e frammenti di cocciopesto legati con malta (riutilizzati) collegata a canale di deflusso. Intorno a detto sistema idrico (delimitato a ovest e nord da un filare di pietre legate con malta) si raccoglie discreta quantita' di frammenti ceramici (orizzonte tardo romano); 5) monte Vulcano: discreta quantita' di frammenti ceramici (orizzonte tardo romano). Sul versante nord-occidentale e su quello meridionale, serie di ingrottamenti naturali. A nord del centro abitato: 6) monte Bandiera: sulle pendici occidentali e meridionali del monte Bandiera, serie di ingrottamenti, c.d. dei Pionieri perche' costituirono le abitazioni dei primi coloni inviati dal Sanvisente e oggi utilizzate come depositi e stalle dagli isolani. Sulle pendici nord orientali, si segnalano alcuni ingrottamenti: uno in particolare presenta una camera a pianta rettangolare con soffitto piano e quattro fossette sul piano di calpestio; presenta un accesso con pozzetto scavato nella roccia e quattro gradini di altezza irregolare. Si conservano gli incavi probabilmente destinati all'alloggiamento dei battenti. Si segnala, inoltre, tra gli ingrottamenti visibili sul versante orientale del monte una doppia camera ricavata nella roccia di pianta approssimamente circolare. Infine, le basse pendici orientali che si affacciano sulla fossa del Cappellano, appaiono interessate da una rilevante presenza di frammenti ceramici, databili in massima parte in epoca tardo romana; non mancano tuttavia frammenti di epoca preistorica; 7) fossa del Cappellano: aree di frammenti ceramici a quota 34,3 (densita' media) e a quota 31,2 (alta densita') connesse con le aree di cui al punto precedente (orizzonte tardo romano). A nord di monte Bandiera: 8) dorsale che si congiunge a sud con il monte Bandiera: sul versante orientale ingrottamenti di varie dimensioni riutilizzate come ricovero per il bestiame; altri piu' piccoli, anche come arcosolio, sono in alcuni casi con accesso tamponato. Lungo il suddetto versante si raccoglie materiale ceramico (orizzonte tardo romano). Sul versante occidentale, ingrottamenti di eta' preistorica, in parte interrati e nascosti da fitta vegetazione. Una grotta in proprieta' Tuccio e' stata indagata unitamente all'area circostante da dove proveniva materiale ceramico preistorico, mediante saggi di scavo archeologico che hanno evidenziato due livelli di frequentazione preistorico e tardo romano; 9) collinetta dietro la casa della Coca, c.d. Custicedda: sulla cresta, cisterna campaniforme scavata nella roccia rivestita di intonaco; ad ovest, canale di scolo con lastra di copertura in pietra lavica. Sul versante orientale serie di piccole grotte, alcune ancora oggi utilizzate. Lungo le pendici orientali abbondante ceramica (orizzonte tardo romano). Settore occidentale dell'isola: 10) propaggine sud orientale del monte Nero: c.d. Timpone: ingrottamento naturale sulla parete del Timpone che guarda verso ovest (riutilizzato come colombaia). Sembra di notevole interesse archeologico per il rinvenimento di materiali preistorici. Sulla parte sommitale del Timpone concentrazione di frammenti ceramici al di sopra della grotta (orizzonte: preistorico, romano repubblicano, bizantino). Molti frammenti anche a valle per dilavamento. A est del Timpone materiale ceramico in frammenti (orizzonte tardo romano); 11) contrada Paranzello: cisterna a campana con imboccatura rettangolare e rivestimento in cocciopesto (ricolma di rifuti) ubicata nei pressi di una casa in costruzione poco dopo il bivio per contrada Paranzello. All'estremita' meridionale di Punta Paranzello, cisterna di forma quadrangolare scavata nella roccia nella porzione inferiore per il resto costruita con blochetti di pietra lavica a secco; presenta una copertura con rivestimento di conglomerato di calce e pietrelle. A quota 26,1, intorno a una costruzione di epoca recente, alta concentrazione ceramica di superficie la cui densita' si intensifica nell'area dei campi coltivati ai piedi della casa stessa (orizzonte tardo romano; non e' assente la ceramica preistorica); 12) valle di Ponente: area di alta densita' di frammenti ceramici a quota 19,6 (in prossimita' della strada per Mannarazza) in stretta connessione con l'insediamento riscontrato sulla collinetta tagliata dal tracciato della strada per Mannarazza (orizzonte tardo romano). Tra cala Mannarazza e Caletta a quota 15,2 e 5,7, complesso per la raccolta delle acque caratterizzato da almeno dodici cisterne (probabile epoca della colonizzazione borbonica). Centro urbano: 13) area della Chiesa Madre: ingrottamento sottostante l'area su cui insiste l'edificio recentemente ricostruito, accessibile dallo stesso. Parzialmente distrutto durante la ricostruzione della chiesa avvenuta nel 1990. Un intervento di urgenza effettuato dalla soprintendenza di Agrigento ha consentito il recupero di materiale ceramico tardo romano (anfore). L'ingrottamento presentava all'interno una apertura chiusa che doveva immettere in uno o piu' ambienti sotterranei; 14) lungo la strada che costeggia le pendici occidentali di monte Bandiera: a ridosso di un piccolo poggio occupato da un complesso edilizio, area ad alta densita' di frammenti ceramici (orizzonte preistorico e tardo romano); Visto il foglio d'insieme dell'arcipelago delle Pelagie, non riscontrando differenze sostanziali fra le isole, e, in considerazione che l'isola di Lampione (F.d.M. n. 25) non si estende per piu' di 3 kmq; Ritenuto opportuno, pertanto, garantire migliori condizioni di tutela che valgono ad impedire modificazioni dell'aspetto esteriore del paesaggio, del patrimonio naturale e di quello storico-culturale, geologico e archeologico del territorio pervenendo alla dichiarazione di immodificabilita' temporanea, in applicazione dell'art. 5 della legge regionale n. 15/1991; Ritenuto che alla dichiarazione di immodificabilita' temporanea interessante il territorio suddetto debba far seguito l'emanazione di una adeguata e definitiva disciplina di uso del territorio da dettarsi ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1497/1939 e dell'art. 1-bis della legge n. 431/1985, mediante la redazione di un piano territoriale paesistico non oltre il termine di due anni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana; Visto il D.P.R.S. n. 862/1993, con il quale e' stata costituita, ai sensi dell'art. 23 del regolamento approvato con regio decreto n. 1357/1940, la speciale commissione incaricata di fornire pareri in ordine all'applicazione del piano territoriale paesistico regionale, la quale, nel verbale della seduta del 30 aprile 1996 ha reso parere favorevole alle linee guida del P.T.P. regionale; Considerato che detto verbale, con nota n. 1007 del 23 novembre 1996, e' stato trasmesso, unitamente alle linee guida del Piano territoriale paesistico regionale, alla soprintendenze beni culturali ambientali per la pubblicazione all'albo dei comuni, ai sensi dell'art. 24, secondo comma, del regolamento della legge 29 giugno 1939, n. 1497, approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357; Ritenuto che, nelle more, occorre impedire tensioni insediative possibili nelle aree sopradescritte, che appaiono non sufficientemente salvaguardate dagli strumenti di tutela; Per tali motivi; Decreta: Art. 1. Al fine di garantire le migliori condizioni di tutela, ai sensi e per gli effetti dell'art. 5 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 15, fino all'approvazione del Piano territoriale paesistico (in fase di ultimazione) e, comunque, non oltre il termine di due anni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana, e' vietata ogni modificazione dell'assetto del territorio, nonche' qualsiasi opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore dei territori sopra descritti, come da allegate planimetria generale e planimetrie relative ai fogli numeri 21, 22, 23, 24, 25 del NCT del comune di Lampedusa e secondo la perimetrazione di cui alle premesse del presente decreto che costituiscono parte integrante e sostanziale dello stesso.