L'ASSESSORE
                 PER I BENI CULTURALI ED AMBIENTALI
                    E PER LA PUBBLICA ISTRUZIONE
 Visto lo statuto della regione;
 Visto  il decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1975, n.
637;
 Visto il testo unico delle  leggi  sull'ordinamento  del  Governo  e
dell'amministrazione  della  regione  siciliana approvato con decreto
del presidente della regione 28 febbraio 1979, n. 70;
 Vista la legge regionale 1 agosto 1977, n. 80;
 Vista la legge regionale 7 novembre 1980, n. 116;
 Vista la legge 29 giugno 1939, n. 1497;
 Visto il regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357;
 Vista la legge 8 agosto 1985, n. 431;
 Visto l'art. 5 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 15;
 Visto il decreto n.  1153  del  12  luglio  1983,  pubblicato  nella
Gazzetta  ufficiale  della  regione  siciliana n. 40 del 17 settembre
1983,  con  il  quale  e'  stato  dichiarato  di  notevole  interesse
pubblico,  ai  sensi  dell'art.  1  della  legge n. 1497/39, l'intero
arcipelago delle Pelagie, facente capo al comune di Lampedusa;
 Vista la  nota  n.  693  del  2  febbraio  1996,  con  la  quale  la
soprintendenza  di  Agrigento  ha  avanzato la proposta di vincolo di
immodificabilita' per l'intero territorio  dell'isola  di  Linosa  ad
esclusione del suo centro abitato e dell'area cimiteriale e di quella
sulla quale insiste il depuratore;
 Viste  le  integrazioni della soprintendenza per i beni culturali ed
ambientali di Agrigento che, con nota prot. n. 8194  del  7  novembre
1996,  ha chiarito che sia l'area cimiteriale che il depuratore - non
evidenziati all'interno della cartografia  catastale-sono  desumibili
dalle   riproduzioni  aereofotogrammetriche  e  presentano  effettivi
limiti, materializzati sui luoghi da recinzioni;
 Considerato che l'interesse alla  conservazione  delle  isole  trova
fondamento   nelle   motivazioni   di  carattere  tecnico-scientifico
appresso   riportati,   che   sottolineano   la   notevole    valenza
naturalistica  accresciuta  dalla  loro  condizione geografica che ne
configura un ecosistema chiuso,  senza  possibilita'  di  scambi  con
l'ambiente esterno, che non siano l'interazione mare-costa e l'azione
biologica  dei  venti.  Il  paesaggio  culturale, modellato su quello
naturale e da questo fortemente condizionato,  risente  di  un'azione
antropica   condotta  con  mezzi  molto  semplici,  che  ha  prodotto
modificazioni equilibrate all'assetto dell'ambiente nel rispetto  dei
suoi   connotati   salienti.   L'avvento   delle  attuali  tecnologie
costruttive,  la  relativa  facilita'  delle  comunicazioni   e   dei
trasporti,  cui  si  e'  associata  una forte appetibilita' di ambiti
turistici, hanno provocato per l'isola di Linosa,  una  accelerazione
di  fenomeni  di  modifica  del  paesaggio, che soltanto un'azione di
pianificazione paesaggistica potra' salvaguardare e conservare.
 Per i suddetti motivi si ritiene che detta  misura  di  salvaguardia
debba estendersi a tutte le isole dell'arcipelago delle Pelagie e non
alla  sola  isola  di  Lampedusa (decreto n. 7212 del 10 agosto 1995,
pubblicato nella Gazzetta ufficiale della regione siciliana n. 49 del
30 settembre 1995), poiche' la presenza e la interazione di tutte  le
componenti   naturali  concorrono  alla  definizione  dell'equilibrio
dell'unico ed unitario sistema ambientale e culturale.
 Tale  motivo  induce  a  ritenere  opportuno  sottoporre a regime di
salvaguardia l'intero territorio dell'isola di Lampione e Linosa,  ad
eccezione,  per  quest'ultima,  delle  aree la cui destinazione d'uso
risulta ormai definitiva e  consolidata  oltre  che  compatibile  con
l'assetto   paesaggistico   dell'isola   secondo   la  perimetrazione
seguente:
  si diparte, foglio di mappa n. 23, a  nord,  dall'incrocio  tra  lo
spigolo  sud-ovest della strada vicinale Mannirazzi con la particella
n. 1, quindi segue in direzione sud-ovest il limite esterno di  detta
particella fino all'incrocio con la strada vicinale Fosco, oltrepassa
detta strada fino allo spigolo ovest della particella 103, e prosegue
in  direzione  sud-est  includendo  le  particelle  103  e  202, fino
all'incrocio con la particella  177.  Da  qui  procede  in  direzione
sud-ovest  e  poi  verso sud, inglobando le particelle 177, 179 e 180
fino alla strada vicinale Scalo Vecchio. Il limite  prosegue  con  la
stessa  direzione  fino ad incontrare la particella 161 e, quindi, in
direzione prima sud, poi est, lungo il perimetro di questa particella
fino alla particella 159. Da qui in direzione  nord-est,  ingloba  le
particelle 159, 158 e 160, fino alla vicinale Arena Bianca. Passa poi
allo  spigolo  sud-ovest  della  particella  155,  la  circoscrive  e
comprende di seguito le particelle 153 e  149,  fino  a  reincontrare
detta  vicinale  ed  oltrepassarla, secondo la direttrice dell'ultimo
allineamento  e  dirigersi  verso  est  seguendo  il  confine   della
particella 142.
 Il perimetro della zona esclusa dal vincolo procede poi in direzione
nord-ovest  comprendendo  per intero le particelle 142, 143, 144, 20,
21, 22, 29, 30, 125 e 124,  nonche'  gli  spazi  urbani  pubblici  di
piazza  Garibaldi  e via Grotte, fino a ricongiungersi con lo spigolo
iniziale.
 Viene inoltre  esclusa  l'area  interna  all'attuale  perimetro  del
cimitero, nonche' l'area dove e' ubicato il depuratore;
 Rilevato che la zona da sottoporre a vincolo presenta notevoli pregi
dal   punto   di   vista   naturalistico,  paesaggistico,  geologico,
geomorfologico   vegetazionale,   nonche'   dal   punto   di    vista
storico-culturale;
 Considerato  che  l'isola,  costituita  da  basalti  di tufo e lava,
presenta  un  assetto  cromatico  molto  forte  e  vario,   spiccando
nettamente rispetto allo sfondo marino od aereo, assumendo percio' un
peculiare   ed   originale  quadro  d'insieme  godibile  nelle  varie
sfaccettature dagli  innumerevoli  punti  di  vista  posti  sul  mare
circostante l'isola.
 Anche   muovendosi   all'interno,   attraverso   le   strade   e  le
caratteristiche trazzere, limitate da muretti in pietra e'  possibile
apprezzare   un   susseguirsi   di  quadri  naturali  di  particolare
significato culturale ed estetico.
 In particolare, le cime dei rilievi, avanzi  di  crateri  vulcanici,
ricchi  alle  pendici  di pozzolana; le zone coltivate con le tipiche
essenze  mediterranee;  ed  il  resto,  quasi  completamente  brullo,
punteggiato  da  macchie  di  fichidindia,  arbusti  e le particolari
associazioni vegetali gia' descritte.
 Altro interessante aspetto dell'isola e' rappresentato dalle  grotte
alle  pendici  del  monte  Bandiera,  scavate in una roccia di natura
tufacea. Di incerta dotazione, hanno costituito il primo rifugio  dei
colonizzatori  di  eta'  borbonica  e per lungo tempo, fino a qualche
decennio fa, risultavano correntemente abitate.
 La  costa  si  presenta  bassa, molto frastagliata e prevalentemente
rocciosa con l'eccezione delle  due  cale  sabbiose  denominate  Cala
Pozzolana  di  Levante  e di Ponente. Assume aspetti molto suggestivi
quando si sfrangia verso il mare  a  formare  piccole  scogliere  (di
rilievo  gli  Scogli  dei  Bovi  Marini sulla costa settentrionale) o
quando i massi si presentano di dimensioni piu' consistenti a formare
i c.d. "Faraglioni".
 A Linosa, nonostante buona parte della popolazione sia impegnata nel
settore  agricolo,  i  residenti  risultano  accentrati  nel  piccolo
paesino  posto  a  sud, a poca distanza dallo Scalo Vecchio, lungo le
pendici del monte Bandiera.
 L'abitato e' molto  caratteristico  e  vivace  essendo  composto  da
abitazioni  variamente  colorate che contrastano in maniera netta con
il colore scuro del terreno lavico che le circonda.
 Il  nucleo  del  paese  e'  strutturato   secondo   due   direttrici
principali,  delle  quali  la  prima  conduce  al porto e la seconda,
trasversale, lo collega con la Cava Pozzolana di  Ponente  e  con  la
Cala Mannarazza.
 Molto interessante e' pure il paesaggio agrario dell'isola, composta
da  moltissimi  appezzamenti  ben  ordinati  e delimitati da siepi di
fichi d'india e/o  da  muretti  in  pietra  lavica,  che  interessano
l'intero agro coltivabile.
 Attualmente   le   manifestazioni   piu'   evidenti   dell'attivita'
costruttiva  storica  nel   contesto   del   territorio   extraurbano
dell'isola  di  Linosa si concretizzano essenzialmente nella presenza
delle tipiche abitazioni rurali, i c.d. "dammusi" e di altri  piccoli
fabbricati  rurali dai muretti d'ambito con funzione di delimitazione
proprietaria e protezione delle chiuse coltivabili.
 La costituzione di queste  chiuse,  e'  riferibile  all'epoca  della
colonizzazione  borbonica,  anche se in questa prima fase a carattere
prevalentemente spontaneo, e messa a coltura  di  aree  delimitate  e
definite  in  lotti,  sottratte  alla  boscaglia, fittamente presente
nell'isola. La permanenza storica e la congruita' con i caratteri del
sito  di  questi  tipi  edilizi   e   della   loro   rappresentazione
volumetrica,   coloristica,   formale   e  compositiva,  strettamente
connaturata con i caratteri  storici,  architettonici,  culturali  ed
ambientali  del  sito  ed  infine  la  fragilita'  di questi episodi,
accentuano la necessita' di un'azione di salvaguardia  non  solo  dei
manufatti   ma  che  del  loro  sistema  distributivo  e  insediativo
territoriale.
 Considerato che la particolare condizione di  insularita'  determina
per le isole di Linosa e Lampione un sistema unico senza possibilita'
di   significabilita'   differenziazioni,   legando   tra   di   loro
indissolubilmente i vari ambienti e i vari biotipi e facendo  si  che
ogni eventuale variazione dell'uno agisca immediatamente sull'altro.
 Il  paesaggio, fortemente determinato da questi dementi e dalle loro
connessioni  richiede  un  approfondimento   descrittivo   circa   le
caratteristiche    geologiche,   geomorfologiche,   vegetazionali   e
faunistiche, tanto piu' che la rilevanza di questi  aspetti  ha  gia'
determinato,   nell'isola   di   Linosa,   l'istituzione,   da  parte
dell'Assessorato   regionale   del   territorio   e    dell'ambiente,
dell'omonima riserva naturale (decreto n. 291/44 del 16 maggio 1995),
estesa   nella   parte  settentrionale  e  orientale  dell'isola  con
propaggini verso l'interno dal lato sud-orientale fino a  comprendere
il monte Vulcano.
 L'isola  di  Linosa  rappresenta,  dal  punto di vista geologico, la
parte emersa di un complesso apparato vulcanico formatosi in  seguito
all'intensa  attivita'  eruttiva,  sottomarina  prima, subaerea dopo,
espletatasi in concomitanza di varie vicende orogenetiche  che  hanno
interessato    un    periodo    geologico    riferibile    al   tardo
terziario-quaternario, l'attuale Canale di Sicilia.
 Petrograficamente  le   colate   principali   sono   costituite   da
espandimenti   basaltici   feldspatici   (Montagna   di   Ponente)  e
feldspatici-vinici (Montagna Rossa).
 Completano  il  quadro  geolitologico  serie  di  sedimenti  tipici,
anch'essi  legati  all'attivita'  vulcanica, quali depositi tufacei e
cineritico-sabbiosi di vario spessore.  La  serie  di  dati  e  delle
informazioni   raccolte   in  sede  di  rilevamento  superficiale  ha
consentito la differenziazione litologica delle rocce presenti:
  Coperture cineritico-sabbiose: sono  costituite  in  prevalenza  da
depositi  di  sabbie  sciolte e ceneri di origine vulcanica, prodotto
della intensa attivita'  esplosiva.  Sono  localizzate  perlopiu'  al
piede  dei  principali  apparati  eruttivi  ed  occultano in parte il
sottostante basamento lavico. La  loro  espansione  risulta  alquanto
limitata,  si rinvengono sia lungo le pendici settentrionali di monte
Biancarella che in quelle meridionali di monte Nero e monte Bandiera.
Dal punto di vista granulometrico, le suddette coltri sono costituite
da una frazione prevalentemente sabbiosa  associata  a  frammenti  di
varia pezzatura sia a spigoli che arrotondati, dalle dimensioni della
ghiaia e della ghiaia grossa.
  Tufi  vulcanici: rappresentano una potente formazione costituita da
rocce piroclastiche a consistenza lapidea con interposti livelli piu'
scoriacei, meno addensati e di spessore piu' ridotto.  Si  rinvengono
perlopiu'  dispersi  nell'ammasso  roccioso  sotto  forma di sacche o
lenti  variamente  allungate  dallo  spessore  compreso  tra   alcuni
decimetri   ed   il   metro.   In  considerazione  della  particolare
differenziazione  litologica  della  suddetta  formazione,  anche  le
caratteristiche fisiche e meccaniche tendono a variare entro un campo
piuttosto  ampio.  Si  tratta,  in  ogni  caso,  di roccia resistente
all'abbattimento poiche' dotata di elevati valori di  resistenza.  La
componente  lapidea  piu'  grossolana  e'  rappresentata,  invece, da
scorie e bombe vulcaniche.
  Colate laviche  basaltiche:  sono  sovrapposte  in  piu'  ordini  e
corrispondono  alle varie fasi effusive verificatesi durante il tardo
Pleistocene.  Si tratta di rocce ignee di aspetto massimo  di  colore
nerastro  o grigio scuro dai contorni ben delimitati. La struttura, a
tratti vetrosa, risulta ancora  ben  evidente.  Gli  affioramenti  di
dette  colate, talora, risultano occultati per buona parte della loro
estensione da modesti spessori di suolo agrario o di alterazione.
 Risulta evidente che Linosa, per cio' che riguarda le origini  e  le
caratteristiche geologiche, si differenzia da Lampedusa.
 Infatti, derivando dal piu' ampio fenomeno del vulcanismo siciliano,
essa  costituisce  la  protuberanza  emersa  di  un cono vulcanico di
dimensioni sicuramente ben piu' estese.
 Completamente  formata da rocce vulcaniche di basalto felspatico, da
tufi gialli e grigi, nonche' da scorie rossastre e nere piu'  o  meno
agglomerate,   risulta  morfologicamente  caratterizzata,  in  quanto
presenta alcuni rilievi montuosi, costituiti dagli  edifici  eruttivi
di  monte  Vulcano  (m  195), dalla montagna Rossa (m 186) e di monte
Nero (m 107)  e  un'ampia  area  quasi  pianeggiante,  formata  dalla
depressione  da  questi  delimitata, che con ogni probabilita' doveva
costituire l'antico cratere.
 Il perimetro costiero, costituito in massima parte da rocce, risulta
molto frastagliato, e  cio'  la  rende  inaccessibile  anche  per  la
continua presenza di scogli.
 Considerato  che  il  patrimonio  vegetale  spontaneo  dell'isola  a
partire dall'epoca della colonizzazione borbonica (1843),  ha  subito
una considerevole riduzione.
 Nonostante  cio',  la  flora  ancora  presente  ha  dei caratteri di
notevole interesse fitogeografico, con diversi endemismi  e  numerose
specie  nord-africane, che qui trovano l'unica stazione conosciuta in
tutto il territorio italiano. L'isola e'  inoltre  segnalata  per  la
presenza  dell'interessante  endemismo  ad  areale puntiforme Erodiun
malacoides var. Linosae.
 Le  restanti  formazioni  vegetali  riscontrabili,  oltre  a  quelle
agricole  e  forestali  di  impianto  recente,  sono essenzialmente a
macchia e a gariga.
 In  sintesi  le  principali  specie  che  caratterizzano  la   flora
dell'isola  di  Linosa sono: l'Erba croce di Linosa (Valentia Calva),
l'Onopordo di Sibthorp  (Onopordum  Argocicum)  e  il  Fior  di  Tiga
(Caralluma Europaea).
 Attualmente  il  territorio  di  Linosa  risulta  coltivato in tutta
l'area centrale e lungo le pendici dei rilievi, in quanto lo spessore
di terreno superficiale consente  una  discreta  attivita'  agricola,
caratterizzata  da  diverse  colture, che fanno assumere al paesaggio
dell'isola un aspetto decisamente rurale. Da qualche anno sono  state
impiantate  essenze  forestali, a cura dell'Azienda foreste demaniali
della  regione  siciliana,  con  l'inserimento  di  specie   arboree,
essenzialmente pini, raggiungendo confortanti risultanti.
 Gli  aspetti faunistici, nonostante una sensibile contrazione dovuta
ai drastici mutamenti ambientali del secolo scorso, rappresentano una
componente naturalistica di fondamentale importanza.
 Fra le peculiarita' faunistiche di Linosa  si  rileva  la  presenza:
della  Lacerta  filfolensis laurenti mulleri (endemita melanico), del
Chalcides ocellatus linosae, del Macroprotonodon cucullatus (Columbro
del  Cappuccio),  del  Malpolon  monspessulas   insignitus   (Colubro
lacertino),  dello Sphingonotus linosae (Ortottero melanico), oltre a
numerose altre specie che occupano  nelle  Pelagie  l'unica  stazione
extra-africana.
 Anche  dal  punto  di  vista ornitologico, si segnala la presenza di
alcune  specie  di  grande  importanza,  in  particolar  modo  quelle
stanziali:   il Gabbiano reale, la Berta maggiore, la Berta minore il
Falco regina ed il Maragoni dal ciuffo.
 La piu' importante e' quella costituita  da  una  colonia  di  Berte
Maggiori   (censite   circa  10.000  coppie),  la  cui  nidificazione
interessa  quasi  per   intero   l'ambito   costiero   settentrionale
dell'isola.   L'isola,  inoltre,  in  relazione  alla  sua  posizione
geografica rappresenta un punto di sosta fondamentale per  le  specie
di  uccelli  migratori  che  trascorrono i mesi invernali nelle calde
regioni del continente africano.
 Tra i mammiferi  va  segnalato  il  gatto  selvatico.  Senza  dubbio
l'importanza  faunistica  che caratterizza maggiormente l'isola e' la
presenza della tartaruga marina Caretta, che sulla spiaggia  di  Cava
Pozzolana depone le uova nel periodo estivo.
 L'ambiente  marino  di  tutto  l'arcipelago  delle  Pelagie  risulta
estremamente interessate per la contemporanea presenza di  moltissime
specie  che  gli  lanno assumere una spiccata peculiarita' sia per le
valenze di carattere estetico, che per l'elevato valore scientifico.
 Le specie ittiche presenti, nonostante le  molteplici  attivita'  di
pesca  svolte in quest'area, si caratterizzano in relazione alla loro
differenziazione e pregio derivata dall'azione di trasporto da  parte
delle  correnti di origine atlatica che hanno arricchito le biocenesi
bentoniche dell'isola.
 La caratteristica di Linosa e' la  dominanza  di  specie  orientali,
cio'   deriva   evidentemente   da  un  maggior  influsso  esercitato
sull'isola dall'area di levante del bacino mediterraneo.
 Fra queste specie va segnalata l'Alga rossa Neogonilithon notarsili,
localizzata  nel  piano  litorale,  spesso  unita  al   Lithophayllum
tortuosum caratterizzato dalle tipiche cornici.
 Importantissimi  sono i popolamenti sciafili superficiali costituiti
dal Petroglosso plocamietum, al  quale  si  associa  il  Lithophyllum
decussatum.
 L'ambiente  marino  delle  cale  e delle insenature risultano ancora
integri.
 Considerato che gli aspetti culturali e antropici si riducono a poco
piu' di un secolo, tenuto conto che la storia di Linosa sembra  avere
inizio  nel  1845,  anno  in  cui  vi si stabili la colonia borbonica
guidata dal tenente di vascello B. Sanvisente, che ha dato inizio  al
popolamento di questa piccola isola dell'arcipelago delle Pelagie.
 Come  apprendiamo  dal  Sanvisente (dall'opera monografica scaturita
dalle  conoscenze  dirette  acquisite  negli  anni  di  permanenza  e
Lampedusa)  Linosa  fu  trovata  deserta  al  momento  dello  sbarco,
avvenuto il 24 aprile  1845,  di  un  contingente  costituito  da  un
centinaio di coloni provenienti da Agrigento e Lampedusa.
 Ma,  proprio  rileggendo  alcuni passi dell'opera del Sanvisente, si
apprende dell'esistenza di "antichi abituri e  di  molti  ruderi  che
fanno con ragione asserire che, dalla costruzione di qualche fabbrica
con  pezzi di forma romboidale allungata, dalla forma delle cisterne,
dall'intonaco di esse e  da  alcune  monete  rinvenute,  Lampedusa  e
Linosa furono anticamente abitate da popoli di una stessa nazione".
 Altrove,   che   "nell'epoca   delle   guerre   puniche  quest'isola
(Lampedusa) e l'altra (Linosa) erano state punti di appoggio ad  essi
loro  (i  romani) allorche' partendo da Roma per ridursi a combattere
Cartagine servivano alle loro operazioni  di  guerra  onde  farvi  le
spedizioni e le conquiste dell'Africa".
 Nei  primi  del '900 Th. Ashby, giunto a Linosa per una breve visita
dell'isola effettuata nel quadro di uno studio sulla  preistoria  nel
bacino   del   Mediterraneo,   ritenne   di   poter   affermare  che,
contrariamente a quanto riscontrato nell'isola di  Lampedusa,  Linosa
non  conservava  traccia "di abitazioni di epoca preistorica" sebbene
avesse avuto notizia che vi si poteva ritrovare dell'ossidiana.
 Il  fatto, secondo Ashby, che Linosa non fosse stata abitata durante
l'epoca  neolitica   da   genti   provenienti   dall'Africa   sarebbe
principalmente dovuta sua ad una ipotetica attivita' dei vulcani, sia
alla  assoluta  mancanza  in essa di sorgenti. Fu inoltre critico nei
confronti della testimonianza offerta  dal  Sanvisente  relativamente
all'attribuzione   al  periodo  romano  delle  rovine  di  abitazioni
presenti nell'isola ritenute, invece, piu' recenti e  "anzi  di  data
relativamente  moderna".   Si ammette, tuttavia, che in diversi punti
dell'isola, nei pressi di recinzioni  di  incerta  data,  si  trovava
sparsa ceramica indubbiamente di epoca romana.
 Quanto  sinora  evidenziato  ha  costituito  l'ambito  delle  nostre
conoscenze sull'isola di Linosa sin quasi ai nostri giorni.
 Uniche eccezioni sono stati occasionali rinvenimenti a  mare  ed  in
terra,  nonche' il recupero, effettuato nel 1990 dalla soprintendenza
BCA di  Agrigento  di  frammenti  ceramici  di  anfore  tardo  romane
provenienti  da  un ingrottamento in parte distrutto durante i lavori
di ricostruzione della Chiesa Madre.
 Questo sostanziale vuoto di conoscenza viene, solo in parte, colmato
nel  1992  quando,  nell'ambito  di  un  progetto  finalizzato   alla
conoscenza  e  valorizzazione  delle isole Pelagie, la soprintendenza
per i beni culturali e ambientali di Agrigento ha dato avvio  ad  una
campagna rilevamento topografico sul territorio dell'isola.
 Al  contrario  di  quanto  osservato  nell'isola  di Lampedusa e per
circostanze legate alla diversa natura geologica e alla  presenza  di
una  sensibile  copertura di suolo vegetale, Linosa ha conservato, in
uno con gli aspetti piu' significativi del suo ambiente  naturale,  i
segni di una frequentazione in epoca antica, soprattutto circoscritta
all'orizzonte romano tardo imperiale.
 Infatti,  se  pure  in assenza di strutture visibili, gran parte dei
terreni conserva ancora  un'appezzabile  concentrazione  ceramica  di
superficie.
 Non mancano testimonianze risalenti all'epoca preistorica, ancora da
meglio  circoscrivere  in  quanto  a  facies di appartenenza: esse si
rintracciano soprattutto lungo il versante occidentale della  dorsale
a  nord  di  monte  Bandiera  (qui,  inoltre,  uno  scavo del 1993 ha
appurato all'interno di due ingrottamenti e nell'area  immediatamente
circostante due livelli di frequentazioni, preistorico e romano tardo
imperiale),  nell'area  dei  Timpone  sul  monte  Nero,  in  contrada
Paranzello e nell'area del centro abitato; non  si  esclude  poi  che
alcune delle grotte ubicate sui pendii e/o sulle pendici delle alture
se pure utilizzate sin dai tempi della colonizzazione non abbiano una
ben piu' antica storia di frequentazioni.
 Se  si  escludono  alcuni  frammenti di ceramica ellenistica e tardo
repubblicana provenienti dall'area del Timpone  Nero,  per  il  resto
gran  parte  del  territorio  indagato (monte Vulcano, aree a ridosso
della fascia costiera orientale, a nord  del  centro  abitato  e,  ad
occidente  e  ad  oriente di monte Nero, etc.) registra una sensibile
presenza di materiale  archeologico  in  frammenti  per  lo  piu'  di
importazione  africana  di epoca appunto tardo romana e bizantina che
lascia ipotizzare una occupazione estensiva del territorio per  scopi
agricoli almeno dal II-III al VII secolo.
 Ne'  va  dimenticato il numero non indifferente di cisterne connesse
con piu' o meno complessi di convogliamento delle acque  piovane  che
si osservano anche nelle stesse aree caratterizzate dalla presenza di
ceramica  di  superficie. Non e' facile stabilirne la cronologia:  ma
certo e' che nel 1845 il Sanvisente ne registra oltre 150 ritenendone
indispensabile  una  bonifica  e un riutilizzo a favore della colonia
(secondo l'ing. G. Schiro', incaricato  nel  1861  di  verificare  la
situazione  della  colonia,  di  tali  cisterne solo sei erano in uso
della popolazione, ma della totalita' di esse auspicava  un  recupero
totale  per una assegnazione, in parte a ciascun nucleo familiare, in
parte perche' potessero costituire  riserva  d'acqua  direttamente  a
disposizione   dell'autorita'   locale  per  i  momenti  di  maggiore
necessita').
 Tali cisterne, dunque  precedenti  all'epoca  della  colonizzazione,
potrebbero  risalire  ad  epoca  molto  antica  forse romana: cio' e'
ipotizzabile peraltro in considerazione che in  concomitanza  con  la
frequentazione dell'isola durante il periodo imperiale cui ci riporta
la   gran   parte   delle  testimonianze  archeologiche  rintracciate
(ceramica di superficie), si dovette sopperire alla carenza di  acqua
dovuta  alla  mancanza di sorgenti o stillicidi e dall'essere l'acqua
reperibile in  profondita',  inutilizzabile  a  causa  dell'eccessivo
grado di salinita'.
 E'  tuttavia ipotizzabile che in un'epoca piu' tarda (G. Schiro') si
debbano  far  risalire  le  opere   esterne   di   canalizzazione   e
convogliamento  riscontrate  per lo piu' sui rilievi o in prossimita'
delle pendici.
 Non vanno trascurati, infine, quei complessi di ingrottamenti per  i
quali  se e' solo ipotizzabile, allo stato attuale, una utilizzazione
in  epoca  antica,  appare  in  ogni   caso   rilevante   l'interesse
etno-antropologico derivante dall'aver costituito l'abitazione tipica
dei  primi  abitanti  della colonia e dei loro discendenti: per tutti
varra' il richiamo alle famose grotte  c.d.  "dei  pionieri"  ubicate
alle  falde  del  monte  Bandiera  ed  utilizzate sin quasi ai nostri
giorni.
 I siti maggiormente interessati dalla presenza di frammenti ceramici
di superficie, da ingrottamenti e sistemi idrici sono (ex  schedatura
soprintendenza beni culturali ed ambientali di Agrigento):
 Fascia costiera orientale e monte Vulcano:
  1)  area  ad  est  di montagna Rossa (tra la "grotta del Greco" e i
faraglioni):
   a quota 33,3 ceramica di superficie, per lo piu'  terra  sigillata
africana  nei pressi di costruzione risalente ad epoca borbonica e di
altra di epoca piu' recente. A quota 46,3, sistema di raccolta  delle
acque  piovane  (canalette scavate nella roccia e rivestite con malta
delimitate da blocchetti e cisterna all'angolo sud-est  del  sistema)
e,  nei  pressi,  concentrazione ceramica di superficie che interessa
anche una piccola area al di la della  strada;  a  quota  leggermente
inferiore,  un  secondo  sistema  di  raccolta  delle acque (cisterna
scavata nella  roccia  collegata  a  due  vaschette  di  decantazione
mediante  canaletta  rivestita  con  malta  delimitata  da un lato da
blocchetti).  Abbondante  ceramica  rinvenuta  anche  sul  piano   di
scorrimento della canaletta pertinente al sistema a quota superiore;
  2) a nord est di monte Vulcano:
   una certa quantita' di frammenti ceramici (orizzonte tardo romano)
provenienti  dallo  scavo  di  una cisterna di recente costruzione in
proprieta' Giardina. Sul pianoro a quota 21,00, area ad alta densita'
di frammenti ceramici;
  3) punta Calcarella:
   nella vallata immediatamente sottostante il monte Vulcano, a quota
36,00, abbondante ceramica (orizzonte tardo romano);
  4) monte Calcarella:
   sul  versante  settentrionale del monte, sistema di raccolta delle
acque piovane con pozzetto  circolare  rivestito  di  intonaco  posto
all'interno  di una sorta di acino scavato nella roccia delimitato da
un  filare  di  pietrelle;  nei  pressi,  cisterna  con   imboccatura
quadrangolare  pure  scavata delimitata da due filari di blocchetti e
frammenti di cocciopesto legati con malta (riutilizzati) collegata  a
canale  di  deflusso.  Intorno  a  detto sistema idrico (delimitato a
ovest e nord da un filare di pietre legate con  malta)  si  raccoglie
discreta quantita' di frammenti ceramici (orizzonte tardo romano);
  5) monte Vulcano:
   discreta quantita' di frammenti ceramici (orizzonte tardo romano).
Sul  versante  nord-occidentale  e  su  quello  meridionale, serie di
ingrottamenti naturali.
 A nord del centro abitato:
  6) monte Bandiera:
   sulle pendici occidentali e meridionali del monte Bandiera,  serie
di   ingrottamenti,   c.d.   dei  Pionieri  perche'  costituirono  le
abitazioni dei primi coloni inviati dal Sanvisente e oggi  utilizzate
come depositi e stalle dagli isolani.
 Sulle  pendici  nord  orientali,  si segnalano alcuni ingrottamenti:
uno in particolare presenta una  camera  a  pianta  rettangolare  con
soffitto piano e quattro fossette sul piano di calpestio; presenta un
accesso  con  pozzetto  scavato  nella  roccia  e  quattro gradini di
altezza irregolare. Si conservano gli incavi probabilmente  destinati
all'alloggiamento dei battenti.
 Si  segnala,  inoltre,  tra  gli ingrottamenti visibili sul versante
orientale del monte una doppia camera ricavata nella roccia di pianta
approssimamente circolare.
 Infine, le basse pendici orientali che si affacciano sulla fossa del
Cappellano,  appaiono  interessate  da  una  rilevante  presenza   di
frammenti  ceramici, databili in massima parte in epoca tardo romana;
non mancano tuttavia frammenti di epoca preistorica;
  7) fossa del Cappellano:
   aree di frammenti ceramici a quota 34,3 (densita' media) e a quota
31,2 (alta densita') connesse con le aree di cui al punto  precedente
(orizzonte tardo romano).
 A nord di monte Bandiera:
  8) dorsale che si congiunge a sud con il monte Bandiera:
   sul   versante   orientale   ingrottamenti   di  varie  dimensioni
riutilizzate come ricovero per il bestiame; altri piu' piccoli, anche
come arcosolio, sono in alcuni casi con accesso tamponato.  Lungo  il
suddetto  versante  si  raccoglie materiale ceramico (orizzonte tardo
romano).
 Sul versante occidentale,  ingrottamenti  di  eta'  preistorica,  in
parte  interrati  e  nascosti  da  fitta  vegetazione.  Una grotta in
proprieta' Tuccio e' stata indagata unitamente  all'area  circostante
da  dove  proveniva materiale ceramico preistorico, mediante saggi di
scavo   archeologico   che   hanno   evidenziato   due   livelli   di
frequentazione preistorico e tardo romano;
  9) collinetta dietro la casa della Coca, c.d. Custicedda:
   sulla cresta, cisterna campaniforme scavata nella roccia rivestita
di  intonaco;  ad  ovest,  canale di scolo con lastra di copertura in
pietra lavica.
 Sul versante orientale serie di piccole grotte, alcune  ancora  oggi
utilizzate.
 Lungo  le  pendici  orientali  abbondante  ceramica (orizzonte tardo
romano).
 Settore occidentale dell'isola:
  10) propaggine sud orientale del monte Nero: c.d. Timpone:
   ingrottamento naturale sulla parete del Timpone che  guarda  verso
ovest  (riutilizzato  come  colombaia).  Sembra di notevole interesse
archeologico per il rinvenimento di materiali preistorici.
 Sulla  parte  sommitale  del  Timpone  concentrazione  di  frammenti
ceramici  al  di  sopra  della grotta (orizzonte: preistorico, romano
repubblicano,  bizantino).  Molti  frammenti  anche   a   valle   per
dilavamento.
 A  est  del Timpone materiale ceramico in frammenti (orizzonte tardo
romano);
  11) contrada Paranzello:
   cisterna a campana con imboccatura rettangolare e rivestimento  in
cocciopesto  (ricolma  di  rifuti)  ubicata nei pressi di una casa in
costruzione poco dopo il bivio per contrada Paranzello.
 All'estremita' meridionale di Punta Paranzello,  cisterna  di  forma
quadrangolare  scavata  nella  roccia nella porzione inferiore per il
resto costruita con blochetti di pietra lavica a secco; presenta  una
copertura con rivestimento di conglomerato di calce e pietrelle.
 A  quota  26,1,  intorno  a  una  costruzione di epoca recente, alta
concentrazione ceramica di superficie la cui densita' si  intensifica
nell'area  dei  campi coltivati ai piedi della casa stessa (orizzonte
tardo romano; non e' assente la ceramica preistorica);
  12) valle di Ponente:
   area di alta densita' di  frammenti  ceramici  a  quota  19,6  (in
prossimita'  della  strada per Mannarazza) in stretta connessione con
l'insediamento riscontrato sulla collinetta  tagliata  dal  tracciato
della strada per Mannarazza (orizzonte tardo romano).
 Tra  cala  Mannarazza e Caletta a quota 15,2 e 5,7, complesso per la
raccolta  delle  acque  caratterizzato  da  almeno  dodici   cisterne
(probabile epoca della colonizzazione borbonica).
 Centro urbano:
  13) area della Chiesa Madre:
   ingrottamento   sottostante   l'area  su  cui  insiste  l'edificio
recentemente  ricostruito,  accessibile  dallo  stesso.  Parzialmente
distrutto durante la ricostruzione della chiesa avvenuta nel 1990.
 Un   intervento   di  urgenza  effettuato  dalla  soprintendenza  di
Agrigento ha consentito  il  recupero  di  materiale  ceramico  tardo
romano (anfore).  L'ingrottamento presentava all'interno una apertura
chiusa che doveva immettere in uno o piu' ambienti sotterranei;
  14)  lungo  la strada che costeggia le pendici occidentali di monte
Bandiera:
   a ridosso di un piccolo poggio occupato da un complesso  edilizio,
area  ad alta densita' di frammenti ceramici (orizzonte preistorico e
tardo romano);
 Visto   il  foglio  d'insieme  dell'arcipelago  delle  Pelagie,  non
riscontrando   differenze   sostanziali   fra   le   isole,   e,   in
considerazione  che l'isola di Lampione (F.d.M. n. 25) non si estende
per piu' di 3 kmq;
 Ritenuto  opportuno,  pertanto,  garantire  migliori  condizioni  di
tutela  che  valgono ad impedire modificazioni dell'aspetto esteriore
del paesaggio, del patrimonio naturale e di quello storico-culturale,
geologico e archeologico del territorio pervenendo alla dichiarazione
di immodificabilita' temporanea, in applicazione  dell'art.  5  della
legge regionale n. 15/1991;
 Ritenuto  che  alla  dichiarazione  di  immodificabilita' temporanea
interessante il territorio suddetto debba far seguito l'emanazione di
una adeguata  e  definitiva  disciplina  di  uso  del  territorio  da
dettarsi  ai  sensi  dell'art. 5 della legge n. 1497/1939 e dell'art.
1-bis della legge n. 431/1985, mediante  la  redazione  di  un  piano
territoriale  paesistico  non oltre il termine di due anni dalla data
di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta ufficiale  della
regione siciliana;
 Visto  il D.P.R.S. n. 862/1993, con il quale e' stata costituita, ai
sensi dell'art. 23 del regolamento approvato  con  regio  decreto  n.
1357/1940,  la  speciale  commissione incaricata di fornire pareri in
ordine all'applicazione del piano territoriale paesistico  regionale,
la  quale, nel verbale della seduta del 30 aprile 1996 ha reso parere
favorevole alle linee guida del P.T.P. regionale;
 Considerato che detto verbale, con nota  n.  1007  del  23  novembre
1996,  e'  stato  trasmesso,  unitamente  alle  linee guida del Piano
territoriale paesistico regionale, alla soprintendenze beni culturali
ambientali  per  la  pubblicazione  all'albo  dei  comuni,  ai  sensi
dell'art.  24,  secondo  comma, del regolamento della legge 29 giugno
1939, n. 1497, approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357;
 Ritenuto che, nelle  more,  occorre  impedire  tensioni  insediative
possibili    nelle    aree    sopradescritte,    che   appaiono   non
sufficientemente salvaguardate dagli strumenti di tutela;
 Per tali motivi;
                              Decreta:
                               Art. 1.
 Al fine di garantire le migliori condizioni di tutela,  ai  sensi  e
per  gli effetti dell'art. 5 della legge regionale 30 aprile 1991, n.
15, fino all'approvazione del Piano territoriale paesistico (in  fase
di  ultimazione)  e, comunque, non oltre il termine di due anni dalla
data di pubblicazione del presente decreto nella  Gazzetta  ufficiale
della  regione  siciliana, e' vietata ogni modificazione dell'assetto
del territorio, nonche'  qualsiasi  opera  edilizia,  con  esclusione
degli   interventi   di  manutenzione  ordinaria,  straordinaria,  di
consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo
stato dei luoghi e l'aspetto esteriore dei territori sopra descritti,
come da allegate planimetria generale e planimetrie relative ai fogli
numeri 21, 22, 23, 24, 25 del NCT del comune di Lampedusa  e  secondo
la  perimetrazione  di  cui  alle  premesse  del presente decreto che
costituiscono parte integrante e sostanziale dello stesso.