IL PRESIDENTE
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Visto il decreto-legge dell'11 giugno 1998, n. 180, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 267 del 3 agosto 1998 e in particolare
l'art. 1 che:
al comma 1 demanda alle Autorita' di bacino di rilievo nazionale e
interregionale, e alle regioni per i restanti bacini, l'adozione -
ove non si sia gia' provveduto - di piani stralcio di bacino per
l'assetto idrogeologico, ai sensi del comma 6-ter dell'art. 17 della
legge 18 maggio 1989, n. 183, e successive modificazioni, che
contengano in particolare l'individuazione, la perimetrazione delle
aree a rischio idrogeologico e l'adozione delle misure di
salvaguardia con il contenuto di cui all'art. 6-bis della predetta
legge n. 183 del 1989;
al comma 2 prevede che: "il Comitato dei Ministri di cui all'art. 4
della richiamata legge n. 183 del 1989, di intesa con la conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano, definisca programmi di interventi
urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico nelle zone per le
quali la maggiore vulnerabilita' si lega a maggiori pericoli per le
persone, le cose ed il patrimonio ambientale", sulla base di un atto
di indirizzo e coordinamento, da adottarsi entro il 30 settembre 1998
su proposta del predetto Comitato dei Ministri per i servizi tecnici
nazionali e gli interventi nel settore della difesa del suolo, di
intesa con la predetta conferenza Statoregioni, che individui i
criteri relativi agli adempimenti dei ricordati commi 1 e 2 dello
stesso decretolegge, come convertito con legge n. 267 del 1998;
Vista la legge 18 maggio 1989, n. 183, e successive modificazioni
ed integrazioni, recante "Norme per il riassetto organizzativo e
funzionale della difesa del suolo", e in particolare l'art. 4, commi
2 e 3, che individua le funzioni del predetto Comitato dei Ministri
per i servizi tecnici nazionali e gli interventi nel settore della
difesa del suolo e l'art. 17, commi 3, 6-bis e 6-ter, riguardanti in
particolare finalita' e contenuti dei piani di bacino, dei piani
stralcio di bacino, nonche' l'adozione delle misure di salvaguardia;
Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59, recante "Delega al Governo per
il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali,
per la riforma della pubblica amministrazione e per la
semplificazione amministrativa", in particolare l'art. 8, comma 1,
che subordina alla previa intesa della conferenza Statoregioni
l'adozione degli "atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni
amministrative regionali", nonche' lo stesso art. 8, comma 5, lettera
e), che abroga l'art. 1, comma 1, lettera hh), della legge 12 gennaio
1991, n. 13, in forza del quale competeva al Presidente della
Repubblica l'emanazione degli atti di indirizzo e coordinamento
dell'attivita' amministrativa delle regioni;
Visto il decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante
"Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano" ed unificazione, per le materie ed i
compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei
comuni, con la conferenza Statocitta' ed autonomie locali", che
all'art. 3 detta le disposizioni che devono applicarsi a tutti i
procedimenti in cui la legislazione vigente prevede un'intesa di
detta conferenza;
Visto il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante "Norme
di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi
regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e
coordinamento", che all'art. 3 dispone che la regione o le province
autonome di Trento e Bolzano siano consultate, a cura della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, su ciascun atto amministrativo
di indirizzo e coordinamento, al fine di valutarne la compatibilita'
con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione;
Viste le risultanze dell'istruttoria tecnica svolta dalle
amministrazioni centrali che si sono avvalse dei servizi tecnici
nazionali;
Considerato che nelle riunioni tecnicopolitiche del 29 luglio 1998
e 6 agosto 1998 si e' avviato un lavoro congiunto Statoregioni
preparatorio alla redazione dello schema di atto di indirizzo e
coordinamento previsto dall'art. 1, comma 2, della richiamata legge
n. 267 del 1998 e che nelle successive riunioni del 7 e 8 settembre
1998, sulla base dei contenuti della prima bozza di schema di atto,
predisposta dalle amministrazioni centrali e prodotta nel ricordato
incontro del 7 settembre 1998, i rappresentanti delle regioni hanno
fatto osservazioni ed elaborato proposte integrative e modificative
del testo della predetta bozza, chiedendone il recepimento nel testo
definitivo;
Considerato che alle predette riunioni del 29 luglio 1998, 6 agosto
1998 e 8 settembre 1998 sono stati chiamati a partecipare anche i
rappresentanti delle autonomie locali, al fine di raccogliere ogni
contributo utile alla definizione dello schema di atto di interesse;
Viste le note prot. n. 4357/98/C.3.1.11 e n. 4358/98/C.3.1.11 del 9
settembre 1998 e le note prot. n. 2. 4478/98/C.3.1.11 e n.
4479/98/C.3.1.11 del 16 settembre 1998 con le quali si e' provveduto
ad inviare alle province autonome di Trento e Bolzano il testo dello
schema di atto di indirizzo, ai sensi del richiamato art. 3 del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266;
Visto il documento con il quale le regioni hanno formalizzato le
loro proposte di modifica alla bozza di lavoro esaminata nel corso
dei richiamati incontri tecnicopolitici del 7 e 8 settembre 1998,
inviato con nota dell'11 settembre 1998 dalla regione Piemonte,
capofila per materia;
Visto lo schema di atto di indirizzo e coordinamento approvato dal
Comitato dei Ministri per i servizi tecnici nazionali e gli
interventi nel settore della difesa del suolo, di cui al richiamato
art. 4 della legge n. 183 del 1989 nella seduta del 15 settembre
1998, inviato dal Ministro dei lavori pubblici, Presidente delegato
del predetto Comitato, con nota prot. n. DSTN/2/19132 del 16
settembre 1998, che recepisce parte delle richieste avanzate in sede
tecnicopolitica dai rappresentanti delle autonomie regionali;
Vista la delibera della conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome n. 545 in data 24 settembre
1998 con la quale e' stato approvato con alcune modifiche ed
integrazioni il testo dell'atto di indirizzo e coordinamento adottato
dal su richiamato Comitato dei Ministri;
Ritenuto di potere accogliere le suddette modifiche ed
integrazioni;
Su proposta del Ministro dei lavori pubblici;
Decreta:
Art. 1.
E' approvato il seguente atto di indirizzo e coordinamento
concernente l'individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di
cui ai commi 1 e 2 del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180,
convertito, con modificazioni, con legge 3 agosto 1998, n. 267,
recante "Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico
e a favore delle zone colpite da disastri franosi nella regione
Campania".
ATTO DI INDIRIZZO E COORDINAMENTO
Premesse.
Il decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito con la legge 3
agosto 1998, n. 267 (nel seguito, per semplicita', indicato come:
decreto-legge n. 180/1998), stabilisce all'art. 1, comma 1, che entro
il 30 giugno 1999, le autorita' di bacino di rilievo nazionale e
interregionale e le regioni per i restanti bacini adottano, ove non
si sia gia' provveduto, piani stralcio per l'assetto idrogeologico
che contengano in particolare l'individuazione e la perimetrazione
delle aree a rischio idrogeologico e che in quelle aree, entro la
stessa data, vengano comunque adottate misure di salvaguardia.
Il comma 2 dello stesso art. 1, inoltre, stabilisce che il Comitato
dei Ministri di cui all'art. 4 della legge n. 183 del 1989, d'intesa
con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce programmi
d'intervento urgenti, anche attraverso azioni di manutenzione dei
bacini idrografici, per la riduzione del rischio idrogeologico,
tenendo conto dei programmi gia' in essere da parte delle Autorita'
di bacino di rilievo nazionale, nelle zone nelle quali la maggiore
vulnerabilita' del territorio si lega a maggiori pericoli per le
persone, le cose ed il patrimonio ambientale.
Per consentire alle Autorita' di bacino e alle regioni, in primo
luogo a quelle ove l'attivita' di pianificazione si trovi all'inizio
dell'attivita' conoscitiva, di realizzare prodotti il piu' possibile
omogenei e confrontabili a scala nazionale, occorre procedere ad un
primo atto di indirizzo e coordinamento, inteso a definire le
attivita' previste dal decreto-legge n. 180/1998, art. 1, commi 1 e
2.
La redazione del presente atto di indirizzo e coordinamento si
attiene al carattere emergenziale del decreto-legge n. 180/1998.
La individuazione e perimetrazione sia delle aree a rischio (art.
1, comma 1), sia di quelle dove la maggiore vulnerabilita' del
territorio si lega a maggiori pericoli per le persone, le cose ed il
patrimonio ambientale (art. 1, comma 2) vanno percio' intese come
suscettibili di revisione e perfezionamento, non solo dal punto di
vista delle metodologie di individuazione e perimetrazione, ma anche,
conseguentemente, nella stessa scelta sia delle aree collocate nella
categoria di prioritaria urgenza, sia delle altre.
Per le regioni e le Autorita' di bacino ove siano disponibili
strumenti conoscitivi e di pianificazione redatti da Autorita' di
bacino o ulteriori strumenti di area vasta o locali, questi
costituiranno riferimenti di base per la definizione delle aree di
cui sopra.
Le differenze sostanziali che connotano i comma 1 e 2 dell'art. 1
del decreto-legge n. 180/1998 e, in particolare, la possibilita' di
impegno delle risorse finanziarie relative all'anno 1998 per le aree
dove la maggior vulnerabilita' del territorio si lega a maggiori
pericoli per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale, rendono
necessari percorsi e modalita' operative diverse. E' quindi
necessario che il presente atto di indirizzo e coordinamento si
esprima separatamente su di essi.
Per le aree a maggior vulnerabilita' per il territorio, legate a
maggiori pericoli per le persone, le cose ed il patrimonio
ambientale, si procedera' subito alla definizione dei programmi di
interventi urgenti per l'impiego delle risorse finanziarie relative
all'anno 1998. Si procedera' quindi all'opportuno raccordo con le
attivita' di pianificazione e perimetrazione del territorio in corso,
adottando anche le necessarie misure di salvaguardia.
L'art. 1 del decreto-legge n. 180/1998 si pone, al comma 1, come
obiettivo quello di far si che le autorita' e le amministrazioni
preposte definiscano la perimetrazione delle aree esposte a rischio
idrogeologico sull'intero territorio nazionale nonche' efficaci
misure di salvaguardia. A cio' e' destinata parte delle risorse
individuate al comma 1 dell'art. 8 della stessa legge.
Nel quadro della accelerazione che il decreto-legge n. 180/1998
intende imprimere a tutti gli adempimenti della legge n. 183/1989,
infatti, il comma 1 dell'art. 1 indica il termine del 30 giugno 1999
per l'adozione, ove non si sia gia' provveduto, dei piani stralcio
per l'assetto idrogeologico, dando successivamente carattere
perentorio per quella data alla individuazione e perimetrazione delle
aree a rischio idrogeologico e alla adozione delle misure di
salvaguardia.
E' dunque da intendersi che le Autorita' di bacino di rilievo
nazionale ed interregionale e le regioni per i restanti bacini
compiranno ogni sforzo, secondo l'intendimento del legislatore, per
onorare la scadenza del 30 giugno 1999 per l'adozione del piano
stralcio di bacino; tuttavia il presente atto deve fornire criteri e
indirizzi utili alla definizione delle perimetrazioni e delle misure
di salvaguardia anche per il caso in cui l'iter relativo all'adozione
del piano stralcio non sia compiuto entro la data che e' prevista in
modo perentorio per gli adempimenti di cui al successivo punto 2.
Ove l'attivita' di pianificazione di bacino consenta di pervenire
ad un'articolazione puntuale dei livelli di rischio sul territorio,
le Autorita' di bacino e le regioni provvederanno a individuare,
perimetrare e sottoporre a misure di salvaguardia quelle aree che
risultano esposte a rischio idrogeologico, nelle quali sono possibili
problemi per l'incolumita' delle persone, danni funzionali agli
edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilita' degli
stessi, interruzione di funzionalita' delle attivita' socioeconomiche
(cfr. R3 e R4 di cui ai punti 2.2 e 2.3).
Per le restanti aree (cfr. R1 e R2 di cui ai punti 2.2 e 2.3) si
provvedera' comunque a definire individuazione, perimetrazione e
misure di salvaguardia, nell'ambito della predisposizione del Piano
stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico, da redigere entro i
termini essenziali fissati, ai sensi dell'art. 1, comma 1 del
decreto-legge n. 180/1998, al punto 1 del presente atto.
Ove l'attivita' di pianificazione si trovi allo stato iniziale
dell'attivita' conoscitiva, tali aree (R3 e R4) saranno individuate
sulla base degli elementi di conoscenza disponibili e consolidati.
La individuazione, la perimetrazione e l'adozione delle misure di
salvaguardia delle aree a rischio dovra' comunque essere effettuata
entro il 30 giugno 1999, come fissato dal decreto-legge n. 180/1998,
con le modalita' indicate al punto 3, fase seconda, del presente
atto.
Per quanto invece riguarda i programmi d'intervento urgenti di cui
al comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge n. 180/1998, il decreto non
fissa un termine temporale; e' tuttavia evidente come tale comma sia
improntato alla logica di dare soluzione a situazioni aventi
carattere di urgenza per la presenza di particolari condizioni di
rischio. Cio' per l'esplicito richiamo alla possibilita' di
utilizzare lo strumento dell'ordinanza di cui all'art. 5 della legge
n. 225/1992, nonche' per le esigenze connesse alla utilizzazione
entro il corrente anno finanziario delle risorse messe a disposizione
dal comma 2 dell'art. 8 del decreto-legge n. 180/1998. Si tratta in
definitiva di programmi d'intervento che le Autorita' di bacino e le
regioni possono gia' aver predisposto nell'ambito della attivita'
ordinaria o che comunque possono essere definiti con estrema
rapidita' riferendosi a situazioni note.
Con il presente atto di indirizzo e coordinamento, inoltre, si
sottolinea che le misure di salvaguardia, se opportunamente definite
e applicate, consentono un'efficace e positiva azione di governo del
territorio e di difesa del suolo, impedendo l'aumento
dell'esposizione al rischio in termini quantitativi e qualitativi.
Si ritiene, infine, che, in tutte le fasi attuative del
decreto-legge n. 180/1998, risulta di particolare importanza attivare
un processo di concertazione con il sistema delle autonomie
territoriali e locali, dal momento che le problematiche riguardanti
la difesa del suolo impongono percorsi convergenti e cooperativi tra
Stato, regioni, enti locali sia rispetto alla pianificazione, sia
rispetto alla programmazione degli interventi.
1. Piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico: Quadro di
riferimento normativo.
L'art. 12 della legge 4 dicembre 1993, n. 493, ha integrato l'art.
17 della lege 18 maggio 1989, n. 183, prevedendo la possibilita' di
redazione di piani stralcio relativi a settori funzionali interrelati
rispetto ai contenuti del Piano di bacino, che rimane lo strumento
generale ed organico dell'azione di pianificazione e programmazione
delle azioni e delle norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla
difesa e alla valorizzazione del suolo sulla base delle
caratteristiche fisiche e ambientali del territorio interessato.
Il decreto-legge n. 180/1998 stabilisce che, entro il 30 giugno
1999, le Autorita' di bacino di rilievo nazionale e interregionale e
le regioni, per i restanti bacini, adottino Piani stralcio di bacino
per l'assetto idrogeologico. Tali piani debbono essere redatti ai
sensi del comma 6-ter dell'art. 17 sopra richiamato e contenere in
particolare la individuazione e la perimetrazione delle aree a
rischio idrogeologico.
La redazione del Piano stralcio di bacino per l'assetto
idrogeologico, nel seguito denominato semplicemente Piano, deve
tenere conto, oltre che delle disposizioni della legge n. 183/1989 e
della legge n. 267/1998, anche delle indicazioni di coordinamento
gia' emanate ai sensi della stessa legge n. 183/1989, e precisamente:
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 marzo 1990,
"Atto di indirizzo e coordinamento ai fini della elaborazione e della
adozione degli schemi previsionali e programmatici di cui all'art. 31
della legge 18 maggio 1989, n. 183, recante norme per il riassetto
organizzativo e funzionale della difesa del suolo";
decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1992, "Atto di
indirizzo e coordinamento per determinare i criteri di integrazione e
di coordinamento tra le attivita' conoscitivi dello Stato, delle
Autorita' di bacino e delle regioni per la realizzazione dei piani di
bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, recante norme per il
riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo";
decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1995,
"Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento concernente i
criteri per la redazione dei piani di bacino".
Nel ribadire la necessita' che le Autorita' di bacino di rilievo
nazionale e interregionale e le regioni per i restanti bacini
compiano ogni sforzo per accelerare i tempi relativi alla adozione ed
approvazione del Piano stralcio di bacino, con il presente atto, ai
sensi di quanto previsto all'ultimo periodo del comma 1 del
decreto-legge n. 180/1998 in materia di definizione di termini
essenziali per gli adempimenti previsti dall'art. 17 della legge n.
183/1989 e successive modificazioni, vengono fissati i termini per
l'adozione e per l'approvazione del Piano stralcio di bacino,
rispettivamente, entro il 30 giugno 2001 ed entro il 30 giugno 2002.
2. Individuazione e perimetrazione delle aree a rischio
idrogeologico (comma 1, art. 1, del decreto-legge n. 180/1998).
2.1. Criteri generali.
Uno degli obiettivi principali che il comma 1 si prefigge consiste
nella perimetrazione su tutto il territorio nazionale della aree
interessate da condizioni di rischio idrogeologico.
Quota parte delle risorse individuate all'art. 8, comma 1, del
decreto-legge n. 180/1998 sono utilizzabili per l'individuazione e la
perimetrazione delle aree a rischio, e per la definizione dei
programmi di interventi.
L'individuazione esaustiva delle possibili situazioni di
pericolosita' dipendenti dalle condizioni idrogeologiche del
territorio puo' essere realizzata attraverso metodologie complesse,
capaci di calcolare la probabilita' di accadimento in aree mai
interessate in epoca storica da tali fenomeni.
Tuttavia, i limiti temporali imposti dalla norma per realizzare la
perimetrazione delle aree a rischio consentono, in generale, di poter
assumere, quale elemento essenziale per la individuazione del livello
di pericolosita', la localizzazione e la caratterizzazione di eventi
avvenuti nel passato riconoscibili o dei quali si ha al momento
presente cognizione.
Per quanto attiene la valutazione del rischio dipendente da tali
fenomeni di carattere naturale, si fa riferimento alla sua
formulazione ormai consolidata in termini di rischio totale.
Nella espressione di maggior semplicita' tale analisi considera il
prodotto di tre fattori: pericolosita' o probabilita' di accadimento
dell'evento calamitoso; valore degli elementi a rischio (intesi come
persone, beni localizzati, patrimonio ambientale); vulnerabilita'
degli elementi a rischio (che dipende sia dalla loro capacita' di
sopportare le sollecitazioni esercitate dall'evento, sia
dall'intensita' dell'evento stesso). Si dovra' far riferimento a tale
formula solo per la individuazione dei fattori che lo determinano,
senza tuttavia porsi come obiettivo quello di giungere ad una
valutazione di tipo strettamente quantitativo.
Per gli scopi del presente atto d'indirizzo e coordinamento sono da
considerarsi come elementi a rischio innanzitutto l'incolumita' delle
persone e inoltre, con carattere di priorita', almeno:
gli agglomerati urbani comprese le zone di espansione urbanistica;
le aree su cui insistono insediamenti produttivi, impianti
tecnologici di rilievo, in particolare quelli definiti a rischio ai
sensi di legge;
le infrastrutture a rete e le vie di comunicazione di rilevanza
strategica, anche a livello locale;
il patrimonio ambientale e i beni culturali di interesse rilevante;
le aree sede di servizi pubblici e privati, di impianti sportivi e
ricreativi, strutture ricettive ed infrastrutture primarie.
Le attivita' saranno articolate in tre fasi corrispondenti a
diversi livelli di approfondimento:
fase uno: individuazione delle aree soggette a rischio
idrogeologico, attraverso l'acquisizione delle informazioni
disponibili sullo stato del dissesto;
fase due: perimetrazione, valutazione dei livelli di rischio e
definizione delle conseguenti misure di salvaguardia;
fase tre: programmazione della mitigazione del rischio.
Particolare importanza va data alla fase due poiche' consentira' la
perimetrazione di aree sulla base di una valutazione speditiva del
rischio sulle quali saranno applicate le misure di salvaguardia
previste dal decreto-legge n. 180/1998, secondo gli indirizzi
esplicitati al successivo punto 3.
In tale fase va effettuata, secondo la metodologia indicata nei
successivi punti 2.2 e 2.3, la valutazione dei livelli di rischio,
anche al fine della definizione dei programmi previsti dal comma 2,
dell'art. 1, del decreto-legge n. 180/1998.
Nella fase tre, nelle aree perimetrate, si dovra' sviluppare
l'analisi fino al grado di dettaglio sufficiente a consentire,
l'individuazione, la programmazione e la progettazione preliminare
degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, comprese
le eventuali necessarie delocalizzazioni di insediamenti, ai fini
anche della quantificazione del necessario finanziamento.
2.2. Aree a rischio idraulico.
Fase prima - Fase di individuazione delle aree a rischio idraulico.
Nella prima fase di indagine dovranno essere individuati, in
cartografia in scala opportunamente prescelta in funzione delle
dimensioni dell'area e comunque non inferiore a 1:100.000, i tronchi
di rete idrografica per i quali dovra' essere eseguita la
perimetrazione delle aree a rischio. Per ciascun tronco fluviale o
insieme di tronchi fluviali omogenei dovra' essere compilata una
scheda che riporti sinteticamente:
la tipologia del punto di possibile crisi, le caratteristiche
idrauliche degli eventi temuti (colate detritiche, piene repentine,
alluvioni di conoide, ecc. nei bacini montani; piene dei corsi
d'acqua maggiori, piene con pericolo di dissalveamento, piene con
deposito di materiale alluvionale, sostanze inquinanti o altro, ecc.
nei corsi d'acqua di fondo valle o di pianura);
la descrizione sommaria del sito e la tipologia dei beni a rischio;
la valutazione dei fenomeni accaduti e del danno temuto in caso di
calamita';
le informazioni disponibili sugli eventi calamitosi del passato;
i dati idrologici e topografici e gli studi gia' eseguiti che siano
utilizzabili nelle successive fasi di approfondimento.
Le Autorita' di bacino e le regioni potranno utilizzare - a corredo
delle informazioni disponibili presso le loro strutture tecniche,
reperibili in loco o raccolte con l'interpretazione geomorfologica
delle osservazioni di campagna, delle foto aeree ecc. - le
informazioni archiviate dal Gruppo nazionale per la difesa delle
catastrofi idrogeologiche del Consiglio nazionale delle ricerche
(GNDCI-CNR), nell'ambito del progetto Aree vulnerate italiane (AVI),
i cui risultati sono presentati sinteticamente in rapporti regionali
editi a cura del GNDCI-CNR.
Art. 1.
Fase seconda - Fase di perimetrazione e valutazione dei livelli di
rischio.
Le attivita' di seconda fase dovranno condurre alla perimetrazione
delle aree a rischio idraulico con grado di definizione compatibile
con la rappresentazione su cartografia in scala non inferiore a
1:25.000. Disponendo di adeguati studi idraulici ed idrogeologici,
saranno identificate sulla cartografia aree, caratterizzate da tre
diverse probabilita' di evento e, conseguentemente, da diverse
rilevanze di piena:
a) aree ad alta probabilita' di inondazione (indicativamente con
tempo di ritorno "Tr" di 20-50 anni);
b) aree a moderata probabilita' di inondazione (indicativamente con
"Tr" di 100-200 anni);
c) aree a bassa probabilita' di inondazione (indicativamente con
"Tr" di 300-500 anni).
Per ogni tronco fluviale o insieme di tronchi fluviali omogenei, la
rappresentazione cartografica delle aree inondabili dovra' essere
documentata con una sintetica scheda che dovra' riportare la
descrizione della procedura adottata per la loro individuazione
insieme con le informazioni indicate precedentemente, eventualmente
ampliate.
In casi particolari, ad esempio, ove l'esondazione del corso
d'acqua possa essere provocata da fenomeni di rigurgito in
conseguenza di particolari criticita', occorre suffragare le stime
con risultati di calcoli idraulici semplificati.
La individuazione delle aree a rischio idraulico ottenuta come
risultato del calcolo idraulico semplificato dovra' fare riferimento
alla stima idrologica della portata di piena prevedibile in quel
tratto di corso d'acqua ed ai livelli.
I valori delle portate di piena con un assegnato tempo di ritorno
possono essere dedotti anche sulla scorta di valutazioni idrologiche
speditive o di semplici elaborazioni statistiche su serie storiche di
dati idrometrici.
Comunque, ove possibile, e' consigliabile che gli esecutori
traggano i valori di riferimento della portata al colmo di piena con
assegnato tempo di ritorno dalle elaborazioni eseguite dal Servizio
idrografico e mareografico nazionale oppure dai rapporti tecnici del
progetto VAPI messo a disposizione dal GNDCI-CNR.
I dati pluviometrici e idrometrici raccolti dal progetto e un
modulo software contenente i codici delle principali procedure di
inferenza statistica utilizzate dal progetto sono estraibili dal
sistema informativo SIVAPI accessibile tramite Internet.
Il calcolo idraulico sara' corredato, ove possibile, da un rilievo
topografico, pur speditivo, del tronco fluviale allo studio e delle
sezioni critiche, specialmente nei casi in cui la riduzione di
pervieta' dell'alveo e' dovuta a opere antropiche.
Dovranno essere inserite nell'area sub c) le aree protette da
argini, ma al livello di piena eccezionale, ovvero a bassa
probabilita' di inondazione, definita precedentemente; l'esclusione
di aree rientranti in questa categoria e' ammessa solo se puo'
ritenersi insormontabile rispetto a una piena con Tr di 200 anni
l'argine che le protegge.
La perimetrazione delle aree cosi' individuate sara' riportata alla
scala adeguata, almeno 1:50.000, qualora la loro estensione sia molto
grande, nell'ambito del Sistema cartografico di riferimento oggetto
di specifica intesa tra Stato e regioni.
In assenza di adeguati studi idraulici ed idrogeologici, la
individuazione delle aree potra' essere condotta con metodi
speditivi, anche estrapolando da informazioni storiche oppure con
criteri geomorfologici e ambientali, ove non esistano studi di
maggiore dettaglio.
Utilizzando la cartografia in scala minima 1:25.000 e con l'ausilio
delle foto aeree, dovra' essere individuata la presenza degli
elementi indicati nelle premesse (cfr. punto 2.1), riferiti agli
insediamenti, alle attivita' antropiche e al patrimonio ambientale,
che risultano vulnerabili da eventi idraulici.
Mediante tali elementi si costruisce la carta degli insediamenti,
delle attivita' antropiche e del patrimonio ambientale.
Sulla base della sovrapposizione delle forme ricavate dalla carta
delle aree inondabili e dagli elementi della carta degli
insediamenti, delle attivita' antropiche e del patrimonio ambientale,
risulta possibile eseguire una prima perimetrazione delle aree a
rischio e valutare, in tale ambito, le zone con differenti livelli di
rischio, al fine di stabilire le misure piu' urgenti di prevenzione,
mediante interventi, e/o misure di salvaguardia.
Con riferimento ad esperienze di pianificazione gia' effettuate, e'
possibile definire quattro classi di rischio, secondo le
classificazioni di seguito riportate.
Le diverse situazioni sono aggregate in quattro classi di rischio a
gravosita' crescente (1=moderato/a; 2=medio/a; 3=elevato/a; 4=molti
elevato/a), alle quali sono attribuite le seguenti definizioni:
moderato R1: per il quale i danni sociali, economici e al
patrimonio ambientale sono marginali;
medio R2: per il quale sono possibili danni minori agli edifici,
alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano
l'incolumita' del personale, l'agibilita' degli edifici e la
funzionalita' delle attivita' economiche;
elevato R3: per il quale sono possibili problemi per l'incolumita'
delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture
con conseguente inagibilita' degli stessi, la interruzione di
funzionalita' delle attivita' socioeconomiche e danni rilevanti al
patrimonio ambientale;
molto elevato R4: per il quale sono possibili la perdita di vite
umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle
infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di
attivita' socioeconomiche.
Appartiene a tale fase la definizione delle misure di salvaguardia,
alle quali e' dedicato il successivo punto 3.
Fase terza - Fase di programmazione della mitigazione del rischio.
Detta fase si sostanzia in analisi ed elaborazioni, anche grafiche,
sufficienti ad individuare le tipologie di interventi da realizzare
per la mitigazione o rimozione dello stato di rischio, a consentire
l'individuazione, la programmazione e la progettazione preliminare
per l'eventuale finanziamento degli interventi strutturali e non
strutturali di mitigazione del rischio idraulico o comunque per
l'apposizione di vincoli definitivi all'utilizzazione territoriale, e
a definire le eventuali, necessarie misure di delocalizzazione di
insediamenti.
2.3. Aree a rischio di frana e valanga.
Fase prima - Fase di individuzione delle aree a rischio di frana e
valanga.
Per l'attivita' da svolgersi nell'ambito di detta fase occorre
avvalersi di un'analisi territoriale svolta in scala adeguata, almeno
1:25.000, in base ad elementi noti e a dati gia' disponibili.
I risultati saranno riportati nel Sistema cartografico di
riferimento oggetto di specifica intesa tra Stato e regioni.
Mediante tale attivita' conoscitiva, va realizzata una carta dei
fenomeni franosi e valanghivi, utile per la definizione delle zone a
differente pericolosita' e, quindi, alla perimetrazione speditiva
delle aree a rischio. Questo elaborato deve possedere un livello
minimo di informazioni, qualitativamente e quantitativamente
adeguato, e comunque tale da consentire lo svolgimento delle fasi
successive.
Ove si sia nella fase iniziale dell'attivita' conoscitiva si puo'
utilizzare la metodologia predisposta dai Servizi tecnici nazionali a
mezzo di una carta inventario di cui all'allegato.
I fenomeni di valanga si intendono nel seguito inclusi nel termine
movimenti franosi (allegati A, B).
Ulteriori informazioni disponibili sulle caratteristiche dei
singoli fenomeni franosi dovranno essere acquisite mediante la scheda
elaborata dal Servizio geologico nazionale (pubblicata sul volume VII
- Miscellanea) allegata al presente atto (allegato C).
Le Autorita' di bacino e le regioni potranno utilizzare - a corredo
delle informazioni disponibili presso le loro strutture tecniche,
reperibili in loco o raccolte con l'interpretazione geomorfologica
delle osservazioni di campagna, delle foto aeree ecc. - le
informazioni archiviate dal Gruppo nazionale per la difesa delle
catastrofi idrogeologiche del Consiglio nazionale delle ricerche
(GNDCI-CNR), nell'ambito del progetto Aree vulnerate italiane (AVI),
i cui risultati sono presentati sinteticamente in rapporti regionali
editi a cura del GNDCI-CNR.
Fase seconda - Fase di perimetrazione e valutazione dei livelli di
rischio.
Dalla fase di individuazione delle aree pericolose si passa a
quella della perimetrazione delle aree a rischio attraverso una
valutazione basata sull'esistenza di persone, beni e attivita' umane
e del patrimonio ambientale.
Nella sostanza questa fase e' finalizzata da un lato alla
individuazione delle aree pericolose, ai fini della pianificazione
territoriale; d'altro lato alla specifica valutazione delle strutture
ed attivita' a rischio in maniera da consentire di predisporre le
piu' opportune e urgenti misure di prevenzione (attivita'
pianificatoria, vincolistica temporanea, ecc).
Utilizzando la cartografia tecnica a scala minima 1:25.000 recante
la perimetrazione ricavata dalla carta dei fenomeni franosi e
valanghivi, con l'ausilio eventuale delle foto aeree, e' possibile
individuare la presenza degli elementi, gia' indicati nelle premesse,
che risultano vulnerabili da eventi di frana e valanga.
Mediante tali elementi si costituisce la Carta degli insediamenti,
delle attivita' antropiche e del patrimonio ambientale di particolare
rilievo.
Sulla base della sovrapposizione della carta dei fenomeni franosi e
della carta degli insediamenti, delle attivita' antropiche e del
patrimonio ambientale e' possibile una prima perimetrazione delle
aree a rischio, secondo differenti livelli, al fine di stabilire le
misure di prevenzione, mediante interventi strutturali, e/o
vincolistici.
Come gia' visto al paragrafo 2.2, si definiscono quattro classi di
rischio, secondo la classificazione di seguito riportate.
Le diverse situazioni sono aggregate in quattro classi di rischio a
gravosita' crescente (1=moderato/a; 2=medio/a; 3=elevato/a; 4=molto
elevato/a), alle quali sono attribuite le seguenti definizioni:
moderato R1: per il quale i danni sociali, economici e al
patrimonio ambientale sono marginali;
medio R2: per il quale sono possibili danni minori agli edifici,
alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano
l'incolumita' del personale, l'agibilita' degli edifici e la
funzionalita' delle attivita' economiche;
elevato R3: per il quale sono possibili problemi per l'incolumita'
delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture
con conseguente inagibilita' degli stessi, la interruzione di
funzionalita' delle attivita' socioeconomiche e danni rilevanti al
patrimonio ambientale;
molto elevato R4: per il quale sono possibili la perdita di vite
umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle
infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di
attivita' socioeconomiche.
Tale fase si conclude con la definizione delle misure di
salvaguardia, alle quali e' dedicato il successivo punto 3.
Fase terza - Fase di programmazione della mitigazione del rischio.
Detta fase si sostanzia in analisi ed elaborazioni, anche grafiche,
sufficienti ad individuare le tipologie di interventi da realizzare
per la mitigazione o rimozione dello stato di pericolosita', a
consentire l'individuazione, la programmazione e la progettazione
preliminare per l'eventuale finanziamento degli interventi
strutturali e non strutturali di mitigazione del rischio di frana o
valanga, o, comunque, per l'apposizione di vincoli definiti
all'utilizzazione territoriale comprese le indicazioni delle
eventuali, necessarie delocalizzazioni di insediamenti.
E' propria di questa fase l'indagine geologica e geotecnica per
l'acquisizione dei parametri ed elementi di valenza progettuale,
nonche' l'eventuale monitoraggio.
3. Misure di salvaguardia.
Le aree a rischio idrogeologico individuate e perimetrate. ai sensi
dell'art. 1, comma 1 del decreto-legge n. 180/1998, sono sottoposte,
con provvedimento delle regioni o delle Autorita' di bacino, a
vincolo temporaneo costituente misure di salvaguardia, ai sensi
dell'art. 17, comma 6-bis, della legge n. 183/1989.
Nel caso le misure di salvaguardia siano adottate in assenza del
Piano stralcio di cui all'art. 1, comma 1, del decreto-legge n.
180/1998, o del Piano di bacino di cui all'art. 17 della legge n.
183/1989, tali misure resteranno in vigore sino all'approvazione del
Piano di bacino e comunque non oltre il 30 giugno 2002.
Nella predisposizione delle misure di salvaguardia si dovra' tenere
conto della tutela e conservazione del patrimonio ambientale e dei
beni culturali.
3.1. Misure di salvauardia per il rischio idraulico.
Le aree a rischio idraulico si articolano, al punto 2.2, in diversi
livelli. Nei casi in cui non sia possibile attribuire ad un area un
determinato livello di probabilita', verra' applicata la norma piu
restrittiva di cui al successivo punto a).
Per dette aree sono indicati i seguenti indirizzi per la
definizione delle norme di salvaguardia.
a) Aree a rischio molto elevato.
In tali aree sono consentiti esclusivamente:
gli interventi idraulici volti alla messa in sicurezza delle aree a
rischio, approvati dall'Autorita' idraulica competente, tali da
migliorare significativamente le condizioni di funzionalita'
idraulica, da non aumentare il rischio di inondazione a valle e da
non pregiudicare la possibile attuazione di una sistemazione
idraulica definitiva.
Sono altresi' consentiti i seguenti interventi a condizione che
essi non aumentino il livello di rischio comportando significativo
ostacolo al deflusso o riduzione apprezzabile della capacita' di
invaso delle aree stesse e non precludano la possibilita' di
eliminare le cause che determinano le condizioni di rischio:
gli interventi di demolizione senza ricostruzione, manutenzione
ordinaria e straordinaria, restauro, risanamento conservativo, cosi'
come definiti alle lettere a), b) e c) dell'art. 31 della legge n.
457/1978, e senza aumento di superficie o volume, interventi volti a
mitigare la vulnerabilita' dell'edificio;
la manutenzione, l'ampliamento o la ristrutturazione delle
infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico riferiti a servizi
essenziali e non delocalizzabili, nonche' la realizzazione di nuove
infrastrutture parimenti essenziali, purche' non concorrano ad
incrementare il carico insediativo e non precludano la possibilita'
di attenuare o eliminare le cause che determinano le condizioni di
rischio, e risultino essere comunque coerenti con la pianificazione
degli interventi d'emergenza di protezione civile.
I progetti relativi agli interventi ed alle realizzazioni in queste
aree dovranno essere corredati da un adeguato studio di
compatibilita' idraulica che dovra' ottenere l'approvazione
dell'Autorita' idraulica competente.
b) Aree a elevato rischio.
In tali aree sono consentiti esclusivamente:
interventi di cui alla precedente lettera a) nonche' quelli di
ristrutturazione edilizia, a condizione che gli stessi non aumentino
il livello di rischio e non comportino significativo ostacolo o
riduzione apprezzabile della capacita' di invaso delle aree stesse
ovvero che le superfici destinate ad uso abitativo o comunque ad uso
economicamente rilevante siano realizzate a quote compatibili con la
piena di riferimento;
interventi di ampliamento degli edifici esistenti unicamente per
motivate necessita' di adeguamento igienicosanitario, purche' siano
compatibili con le condizioni di rischio che gravano sull'area. A tal
fine i progetti dovranno essere corredati da un adeguato studio di
compatibilita' idraulica;
manufatti che non siano qualificabili quali volumi edilizi purche'
siano compatibili con le condizioni di rischio che gravano sull'area.
A tal fine i progetti dovranno essere corredati da un adeguato studio
di compatibilita' idraulica.
3.2. Misure di salvaguardia per rischio di frana.
Le aree a rischio di frana vengono di massima ripartite in due
diversi livelli di rischio.
Per dette aree sono indicati i seguenti indirizzi per la
definizione delle norme di salvaguardia.
a) Aree a rischio molto elevato.
In tali zone sono consentiti esclusivamente:
gli interventi di demolizione senza ricostruzione;
gli interventi di manutenzione ordinaria cosi' come definiti alla
lettera a) dell'art. 31 della legge n. 457/1978;
gli interventi strettamente necessari a ridurre la vulnerabilita'
degli edifici esistenti e a migliorare la tutela della pubblica
incolumita', senza aumenti di superficie e volume, senza cambiamenti
di destinazione d'uso che comportino aumento del carico urbanistico;
gli interventi necessari per la manutenzione ordinaria e
straordinaria di opere pubbliche o di interesse pubblico;
tutte le opere di bonifica e sistemazione dei movimenti franosi.
b) Aree a elevato rischio.
Oltre agli interventi ammessi per l'area a), sono consentiti
esclusivamente:
gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro, risanamento
conservativo, cosi' come definiti alle lettere b) e c) dell'art. 31
della legge n. 457/1978, senza aumento di superficie o volume,
interventi volti a mitigare la vulnerabilita' dell'edificio;
gli interventi di ampliamento degli edifici esistenti unicamente
per motivate necessita' di adeguamento igienicosanitario.
4. Programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio
(comma 2, art. 1, del decreto-legge n. 180/1998).
4.1 Criteri generali.
I programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio
idrogeologico nelle zone nelle quali la maggiore vulnerabilita' del
territorio si lega a maggiori pericoli per le persone, le cose ed il
patrimonio ambientale sono definiti, d'intesa con la conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome, dal Comitato dei Ministri, di cui all'art. 4 della legge n.
183/1989 di norma sulla base delle proposte delle regioni e delle
Autorita' di bacino e di altre proposte formulate dai componenti del
Comitato dei Ministri di cui all'art. 4 della legge n. 183 del 1989,
preventivamente comunicate alle regioni e alle Autorita' di bacino
competenti.
Detti programmi terranno conto:
dei programmi gia' in essere da parte delle Autorita' di bacino
nazionali;
dei programmi in essere delle regioni, nell'ambito dei bacini
idrografici di rilievo regionale e interregionale.
I predetti programmi di intervento verranno coordinati con i Piani
stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico redatti ai sensi
dell'art. 1, comma 1 del decreto-legge n. 180/1998, di cui il
presente atto tratta al punto 1.
Il raggiungimento degli obiettivi che vengono fissati dall'art. 1,
comma 2, del decreto-legge n. 180/1998 dipende dalla individuazione
delle aree a maggior vulnerabilita' effettuata secondo le metodologie
proposte ai paragrafi seguenti e, sostanzialmente, dalla qualita'
della selezione dei programmi d'intervento che sara' effettuata dal
Comitato dei Ministri, di cui all'art. 4 della legge n. 183/1989,
d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome, e che dovra' assicurare la massima
coerenza con la logica della norma oltre che con i tempi e le risorse
da essa attribuite. Tale selezione deve infatti essere improntata
alla individuazione di una quantita' molto limitata d'interventi ai
quali sia possibile riconoscere una immediata efficacia nel senso di
riduzione di rischio esistente.
Il carattere chiaramente emergenziale del provvedimento che e' teso
a risolvere situazioni note e improcrastinabili in presenza di
limitate risorse, porta ad escludere tendenzialmente che si tratti di
interventi, a carattere strutturale, di grandi dimensioni o di area
vasta. Si tratta piuttosto di interventi, generalmente a carattere
puntuale, atti a ridurre i rischi locali e al tempo stesso a
concorrere alla riduzione dei rischi a scala di bacino.
I caratteri della norma gia' richiamati e la scontata esiguita' di
risorse, tendono ad escludere anche che si possa dar luogo, in fase
di prima applicazione, ad un approfondimento ampio e rigoroso sul
piano conoscitivo; i soggetti proponenti si dovranno quindi
principalmente basare su quanto e' a loro conoscenza, realizzando una
sintesi delle informazioni disponibili che consenta di inquadrare il
fenomeno di dissesto e individuare gli interventi piu' urgenti tesi a
limitarne gli effetti, ovvero, nella fattispecie, si potra'
provvedere rapidamente ad una progettazione, anche associata ad
azioni manutentive immediate.
4.2. Elementi essenziali per l'istruttoria.
In base ai criteri generali su esposti i soggetti proponenti
dovranno soprattutto garantire una piena coerenza dei programmi
d'intervento con gli obiettivi e la portata dello strumento
legislativo. In particolare, a fronte di risorse esigue e quindi di
un sicuro scompenso nei confronti della domanda, e' necessario
garantire che per ciascun intervento proposto sia predisposta una
descrizione essenziale, basata sulla compilazione di apposite schede
(allegati D e E) del fenomeno che determina le condizioni di rischio
e dell'intervento proposto, anche al fine di assicurare la massima
omogeneita' e confrontabilita' delle proposte di interventi.
Cio' consentira' di ordinare per priorita' gli interventi
all'interno di ciascun programma nonche' di comparare interventi
appartenenti a programmi, e quindi a regioni o bacini, diversi. Il
quadro d'insieme che emergera' da una lettura e comparazione dei
programmi che avranno, in virtu' di quanto sopra, una sufficiente
omogeneita' di contenuti, consentira' inoltre di sviluppare, nelle
varie fasi, l'attivita' istruttoria affidata ai soggetti individuati
dal comma 2-bis dell'art. 1 del decretolegge n. 180/1998, di
esprimere la prevista intesa alla Conferenza permanente per i
rapporti tra Stato e regioni e province autonome e di definire il
programma complessivo degli interventi al Comitato dei Ministri,
istituito ai sensi dell'art. 4 della legge n. 183/1989.
La descrizione degli interventi si fondera' in larga parte sulla
valutazione di rischio dipendente da fenomeni a carattere naturale,
come definita dal punto 3.1 che si avvale di un approccio
consolidato. Per gli interventi da finanziare con le risorse
disponibili nel bilancio 1998 le proposte, redatte secondo le
modalita' sopra descritte, vanno inoltrate entro il 15 ottobre 1998.
5. Province autonome di Trento e Bolzano.
Restano salve le competenze in materia delle province autonome di
Trento e Bolzano.