Al Magistrato delle acque
                                  Ai    provveditorati   alle   opere
                                  pubbliche
                                      e, per conoscenza:
                                  Ai presidenti delle regioni tramite
                                  i commissari di Governo
  Giungono  da  piu'  parti  richieste  di chiarimento in ordine alla
applicazione   delle  ultime  innovazioni  normative  in  materia  di
concessioni  di  derivazione di acqua, specie con riguardo alla nuova
disciplina   delle   concessioni  esercitate  senza  titolo  ed  alla
fissazione  di  nuove decorrenze per il pagamento dei relativi canoni
demaniali.
  1.  Con  l'art.  23, commi 4 e seguenti, del decreto legislativo 11
maggio 1999, n. 152, viene in primo luogo data una nuova formulazione
all'art.  17  del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, soppresso il
secondo  comma  dell'art. 54 del medesimo testo unico n. 1775/1933, e
dettata  una  disciplina  transitoria  per  far  fronte  agli effetti
immediati  della  nuova  normativa,  volta  come e noto a regolare la
complessa  fattispecie  delle utenze di derivazione di acqua pubblica
in atto senza il prescritto atto autorizzativo o concessorio da parte
della pubblica amministrazione.
  Per  una  migliore  comprensione del nuovo assetto occorre in primo
luogo  procedere  ad  un suo corretto inquadramento, ricapitolando la
relativa disciplina, cosi' come si e' andata evolvendo dopo l'entrata
in vigore del testo unico delle acque del 1933.
  L'art.   17   del   cennato   testo  unico,  nella  sua  originaria
formulazione statuiva:
    "Per  le  derivazioni  ed  utilizzazioni  in  tutto  o  in  parte
abusivamente  in  atto, l'utente che all'uopo diffidato, non presenti
nel termine assegnatogli domanda di concessione in via di sanatoria o
non   firmi   nel   termine   assegnatogli  il  disciplinare  per  la
concessione,  e' tenuto al pagamento dei canoni per l'uso esercitato,
nella  misura  prevista  dalla  presente legge, nonche' al versamento
della somma dovuta a norma dell'art. 7, comma secondo, ed al rimborso
all'amministrazione  per  le  spese  d'istruttoria  e  per  quelle di
esecuzione  d'ufficio,  salvo  ogni  altro adempimento e comminatoria
stabiliti dalle leggi.
  I  limiti dell'uso e i conseguenti oneri stabiliti dalle leggi sono
determinati  con decreto del Ministro dei lavori pubblici di concerto
con quello delle finanze.
  La   stessa   disposizione   si   applica   per  le  derivazioni  e
utilizzazioni  in  atto  in  virtu'  di autorizzazioni provvisorie ai
sensi della presente legge.
  Resta fermo il disposto dell'art. 54.".
  I  primi  due commi dell'art. 54 del testo unico n. 1775/1933, poi,
prevedevano che:
    "Nelle  grandi  derivazioni  che  riguardino  rilevanti interessi
pubblici,   qualora   si   verifichino   interruzioni  o  sospensioni
ingiustificate, il Ministro dei lavori pubblici, sentito il consiglio
superiore,  fatti  eseguire  i controlli e le contestazioni del caso,
diffida  l'utente  ad eseguire, entro congruo termine, le riparazioni
necessarie. Ove l'utente non provveda entro il termine prefissato, il
Ministro  dei  lavori  pubblici,  sentito il consiglio superiore e di
concerto  con il Ministro delle finanze, puo' disporre l'esercizio di
ufficio  a  spese  dell'utente,  previa presa di possesso delle opere
principali ed accessorie, ricadenti entro e fuori l'ambito demaniale.
  Lo   stesso   provvedimento  puo'  essere  applicato  nel  caso  di
derivazioni  esercitate  abusivamente o in contravvenzione alle norme
della presente legge.".
  Il  complesso delle norme citate venne posto con tutta evidenza per
permettere  alla  P.A.  di  sanare,  anche  in forma coattiva, quelle
utilizzazioni   abusivamente  poste  in  essere,  ma  che  ugualmente
rivestissero  un  interesse  pubblico  tale da rendere inopportuna la
loro   cessazione.   Nella   prassi   amministrativa,   in  cio'  non
contraddetta  dalla  giurisprudenza,  si  e'  ritenuto applicabile il
disposto  dell'art.  17  a  tutte le utenze abusive, anche sorte dopo
l'entrata  in  vigore  del  testo  unico n. 1775/1933, ferma restando
naturalmente,  la  facolta'  della  P.A.  di  procedere  direttamente
sanzionando   l'abuso   e   di  ordinare  la  cessazione  dell'utenza
illegittimamente   posta   in  essere.  Cio'  peraltro  non  stava  a
significare che l'utente abusivo dovesse o potesse esser posto in una
situazione  di  preferenza rispetto ad altri potenziali utilizzatori,
cosi' da configurare un inammissibile favor legis nei suoi confronti:
sino  a  che  non venisse assentita la concessione in sanatoria a suo
favore  l'utente  abusivo non avrebbe potuto vantare alcuna posizione
giuridica  privilegiata  ne'  nei  confronti  dei terzi ne' tantomeno
verso la P.A.
  Nella  nuova  formulazione dell'art. 17 data dall'art. 23, comma 4,
del  decreto legislativo n. 152/1999, salvo alcune ipotesi residuali,
"e'   vietato   derivare   o   utilizzare  acqua  pubblica  senza  un
provvedimento  autorizzativo o concessorio dell'autorita' competente"
pena  "l'immediata  cessazione  dell'utenza abusiva" e il pagamento a
carico  del  contravventore  di  una sanzione amministrativa che puo'
arrivare sino a 50 milioni.
  In  proposito  occorre  precisare che "l'atto autorizzativo" che in
alternativa  alla  concessione  legittimerebbe  l'utenza, non puo' in
alcuna   misura   essere  ricondotto  all'autorizzazione  provvisoria
all'inizio  dei lavori della derivazione di cui all'art. 13 del testo
unico  n.  1775/1933, in quanto tale ultimo provvedimento non abilita
in  alcun  modo  al prelievo di risorse idriche. Il riferimento della
nuova  norma  e'  quindi,  con  tutta  evidenza,  principalmente alla
autorizzazione  di  cui  all'art.  50  del  medesimo  testo  unico n.
1775/1933,  ove  e'  previsto che nei casi di accertata urgenza possa
essere  permesso  "in  via  provvisoria  che siano attuate variazioni
nelle derivazioni e nelle utilizzazioni di acqua pubblica".
  Al comma 5 del medesimo art. 23 del decreto legislativo n. 152/1999
viene  poi  prevista la soppressione dell'art. 54, comma 2, del testo
unico approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, con cio'
non  consentendo  in  alcun modo la prosecuzione delle utenze abusive
anche quando queste rivestano un rilevante interesse pubblico.
  Il  rigore  della  nuova  normativa  viene  temperato  dal  comma 6
dell'art. 23, ove e' previsto che:
  "Fatta  salva  la  normativa  transitoria di attuazione dell'art. 1
della legge 5 gennaio 1994, n. 36, per le derivazioni o utilizzazioni
di acqua pubblica, in tutto a in parte abusivamente in atto alla data
di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto  la sanzione (...) e'
ridotta  ad  un  quinto  qualora  sia presentata domanda in sanatoria
entro  sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
La   concessione  in  sanatoria  e'  rilasciata  nel  rispetto  della
legislazione  vigente  e  delle  utenze  regolarmente  assentite.  In
pendenza del procedimento istruttorio della domanda di concessione in
sanatoria  l'utilizzazione  puo' proseguire, fermo restando l'obbligo
del   pagamento   del   canone  per  l'uso  effettuato  e  il  potere
dell'autorita'   concedente   di   sospendere  in  qualsiasi  momento
l'utilizzazione qualora in contrasto con i diritti dei terzi a con il
raggiungimento ed il mantenimento degli obiettivi di qualita'.".
  Una   prima  questione  applicativa  emerge  con  riferimento  alla
estensione  della  nuova  normativa  in  materia  di  concessioni  in
sanatoria,  se  cioe' essa trovi applicazione anche per le domande di
concessione e di riconoscimento relative a risorse idriche non ancora
inserite  in  elenchi  delle  acque  pubbliche.  Una  soluzione  alla
questione   puo'   essere   utilmente  ricavata  dalla  deroga  posta
all'inizia del comma 6 dell'art. 23, ove e' fatta espressamente salva
la  normativa  di  attuazione  dell'art.  1  della  legge n. 36/1994,
normativa  che  si e' poi tradotta nel recente decreto del Presidente
della  Repubblica 18 febbraio 1999, n. 238 (pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale  26 luglio  1999,  n. 173). Tale ultimo regolamento, con il
quale   si   e'   data  attuazione  al  principio  della  pubblicita'
generalizzata di tutte le acque, prevede all'art. 1, comma 4, che per
le  acque  pubbliche  soggette  a concessione, e che non siano ancora
iscritte negli elenchi delle acque pubbliche, "puo' essere chiesto il
riconoscimento  o  la concessione preferenziale di cui all'art. 4 del
regio  decreto  11 dicembre 1933, n. 1775", con cio' escludendo tulle
le  acque  non ancora iscritte negli elenchi dalla applicazione della
disciplina  dell'art.  17  del  tu.  n.  1775/1933  nella  sua  nuova
formulazione,  e  della  relativa  norma transitoria. Per delle acque
infatti  trova  applicazione  l'istituto  del  riconoscimento o della
concessione  preferenziale,  in  forza del quale l'interessato dovra'
presentare  apposita  domanda  entro un anna dalla data di entrata in
vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 238/1999.
  Ma  anche  avendo  a  riferimento  le  utilizzazioni  di acque gia'
pubbliche  alla  data di entrata in vigore del decreto legislativo n.
152/1999,  occorre  chiarire  che  la  nuova  normativa in materia di
concessioni  abusive  non  appare  applicabile  anche  alle  seguenti
categorie  di utilizzatori, la cui posizione giuridica viene in varia
misura tutelata dall'ordinamento.
  Utenze  relative  a  domande  di  riconoscimento  o  di concessione
preferenziale  (art.  2,  lettere  a)  e  b)  e art. 4 testo unico 11
dicembre   1933,   n.  1775).  Si  ci  riferisce  a  quelle  istanze,
naturalmente relative ad utenze in esercizio, che, sebbene presentate
nei termini previsti dalla vigente normativa, non abbiano ancora dato
luogo  ad  un  provvedimento  formale di riconoscimento o concessione
preferenziale.  E'  noto  che tali ultimi provvedimenti, a differenza
del decreto di concessione, che ha effetti costitutivi, rappresentano
atti di mero accertamento dichiarativo di un diritto preesistente, ed
infatti  il  relativo procedimento amministrativo e' finalizzato alla
sola  ricognizione  del  verificarsi  dei presupposti richiesti dalla
legge  (effettiva  esistenza  dell'utenza  e  delle  sue modalita' in
connessione  ad  un titolo legittimo od a un godimento preesistente).
In tale contesto la continuazione dell'utenza nelle more del rilascio
dello  svolgimento dell'istruttoria per il rilascio del provvedimento
formale  di  riconoscimento o di concessione preferenziale non appare
in  nessuna  misura  assimilabile  ad  un  prelievo  abusivo di acqua
pubblica.
  Utenze  il  cui  titolo  a  derivare sia scaduto e per le quali sia
stata  presentata  nei  termini domanda di rinnovo. Parimenti escluse
dalla applicazione della nuova normativa in materia di concessioni in
sanatoria  si ritiene debbano essere le utenze per le quali sia stata
presentata  domanda  di  rinnovo  e il cui esercizio prosegua, con le
stesse  modalita'  previste  dal  titolo  scaduto,  in pendenza delle
determinazioni  della  P.A. in ordine al rinnovo. Questo in quanto la
posizione   giuridica  del  richiedente  il  rinnovo,  anche  se  non
riconducibile  ad  un  diritto  soggettivo  perfetto,  e'  ugualmente
tutelata  dall'ordinamento  in  quanto la discrezionalita' della P.A.
nel  rinnovare  la  concessione  e' molto meno ampia di quella che si
esplica  in  sede di rilascia di nuove concessioni, dovendosi la P.A.
limitare  alla  verifica  delle condizioni imposte dalla legge per il
rinnovo   stesso.   Anche  in  tale  caso,  quindi,  la  prosecuzione
dell'utenza  non  potra'  essere  considerata  abusiva  in quanto, in
mancanza  di una diversa determinazione dell'autorita' concedente, la
titolarita'  da parte dell'utente di una posizione giuridica tutelata
dall'ordinamento in ordine al rinnovo, sia pure subordinatamente alla
ricorrenza  delle  condizioni  richieste dalla legge, ne legittima la
prosecuzione  fino  all'emanazione  del  decreto  con il quale verra'
disposta la continuazione o la cessazione dell'utenza.
  Un'altra  e  piu'  complessa  questione  si  pone  in  ordine  alla
applicabilita'  della  disciplina  del  comma  6  dell'art.  23  alle
derivazioni  in esercizio sine titulo, ma per le quali sia gia' stata
presentata  domanda  di  concessione in sanatoria prima della data di
entrata  in  vigore  del  decreto legislativo n. 152/1999. Si pone il
problema  di  chiarire se in questo caso l'interessato, per usufruire
della  deroga  disposta dalla norma transitoria, debba produrre anche
esso  una  nuova  domanda  di  concessione  in  sanatoria nel termine
semestrale fissato dalla norma o se sia sufficiente per ottenere tale
effetto la domanda gia' a suo tempo presentata.
  Dato  il  tenore  letterale  della  norma,  che sembra collegare in
maniera  diretta  ed esclusiva la domanda in sanatoria presentata nel
termine dei sei mesi con la possibilita' di proseguire con l'utilizzo
e  vedersi  irrogata una sanzione ridotta, appare necessario anche in
tale  caso  che  l'interessato  presenti  nel  termine  prescritto la
domanda  in  sanatoria,  che  non  sembra in nessun modo possa essere
sostituita   da   domande  sia  pure  "in  sanatoria"  presentate  in
precedenza.
  Questo  sia per beneficiare della sanzione ridotta sia per ottenere
che  "in pendenza del procedimento istruttorio" l'utilizzazione possa
proseguire, qualora non in contrasto con i diritti dei terzi o con il
raggiungimento  o il mantenimento degli obiettivi di qualita'. E' del
tutto  evidente,  peraltro,  e  rispondente  al principio di economia
dell'azione  amministrativa, che nel caso di specie la domanda potra'
non essere presentata coi contenuti e con le forme previste dall'art.
7  del testo unico n. 1775/1933 ma potra' richiamarsi nel contenuto e
negli allegati alla domanda a suo tempo gia' presentata.
  Qualora  la nuova domanda non venga presentata, l'interessato sara'
soggetto   al  pagamento  della  sanzione  intera  e  dovra'  cessare
immediatamente   l'utilizzazione,   pur  restando  impregiudicate  le
definitive  determinazioni  della  P.A.  in  ordine  alla  domanda di
concessione in sanatoria originariamente presentata.
  Si  raccomanda  agli  uffici  di prestare la massima attenzione nel
verificare  l'applicazione  della  nuova normativa e nel disporre ove
necessario  l'applicazione  delle sanzioni ivi previste. In proposito
vale  appena la pena di ricordare che la norma ha a riferimento anche
le  derivazioni  solo  in  parte  abusive, nelle quali, ad esempio il
prelievo   ecceda   quello  gia'  autorizzato  in  virtu'  di  titolo
legittimo;  e'  evidente  come  in  tale  caso  le sanzioni avranno a
riferimento  il  solo maggiore uso abusivo e non anche la derivazione
nel suo complesso.
  Si raccomanda inoltre di definire nel piu' breve tempo possibile le
istruttorie  relative  alle concessioni in sanatoria, ricorrendo, ove
se ne presenti il caso, alle procedure semplificatorie previste dalla
legge   7 agosto   1990,   n.   241,  e  successive  modificazioni  e
integrazioni,  cio'  anche  per garantire un passaggio di consegne il
piu'  possibile  ordinato  con  gli uffici delle regioni e degli enti
locali  cui, come e' noto, e' stata conferita dal decreto legislativo
31 marzo   1998,  n.  112,  la  quasi  totalita'  delle  attribuzioni
amministrative in materia.
  2.  Con  l'art.  28  della  legge  30 aprile 1999, n. 136, e' stato
stabilito  che nel caso di riconoscimento o concessione preferenziale
relativa  ad  acque  che  siano  divenute pubbliche dopo l'entrata in
vigore   del   cennato  regolamento  18 febbraio  1999,  n.  238,  la
decorrenza  del  pagamento del relativo canone demaniale e' stabilita
in  ogni  caso  dal  3 febbraio  1997,  con  cio'  derogando a quanto
stabilito in materia dal testo unico n. 1775/1933.
  Ma  se tale norma non comporta particolari difficolta' applicative,
diverso  e'  il  caso  di quanto disposto dall'art. 2, comma 1, della
legge  17 agosto  1999,  n. 290, contenente un'altra deroga in merito
alla  decorrenza  del  pagamento  dei  canoni. La norma suddetta, nel
riaprire  il  termine,  ormai  trascorso,  per  la denuncia del pozzi
fissato  dall'art.  10  decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, e
gia'  svariate  volte prorogato con altre norme, stabilisce anche che
"in  caso  di  richiesta di riconoscimento o concessione, i canoni di
derivazione  irrigua  sono  dovuti  dalla  data di accoglimento della
relativa domanda".
  Innanzitutto  occorre  verificare  il  campo  di applicazione della
nuova   disciplina,   ossia   se   questa  sia  applicabile  a  tutte
indistintamente le concessioni ed i riconoscimenti ad uso irriguo. Il
tenore  letterale  della  norma  e la sua collocazione immediatamente
dopo  la  norma  sulla  proroga  del  termine  in materia di pozzi fa
ritenere il suo campo di applicazione limitato alle concessioni ed ai
riconoscimenti   di   derivazioni   attuate  mediante  pozzi,  e  non
estensibile  quindi  a  quelle da acqua superficiale ne' a domande di
concessione  presentate in occasioni diverse da quella della denuncia
dei pozzi ai sensi dell'art. 10 del decreto legislativo n. 275/1993.
  Per  quanto  riguarda  poi  il  momento  dal quale far decorrere il
canone  demaniale,  si ritiene che la terminologia atecnica usata dal
legislatore,  che  fa  riferimento  "alla  data di accoglimento della
relativa domanda" possa essere ricondotta alla data di emanazione del
relativo provvedimento di concessione o di riconoscimento.
  Quanto  poi  agli effetti della nuova disciplina, il citato comma 1
dell'art.  2  della  legge  n. 290/1999 espressamente prevede che "la
disposizione  di  cui  al  presente  comma ha efficacia dal 1o luglio
1995" con cio' dando un effetto retroattivo alla normativa di favore,
che  dovra'  quindi  trovare  applicazione  per  tutte  le domande di
derivazione ad uso irriguo mediante pozzi che comunque derivino dalla
dichiarazione  gia'  prevista dall'art. 10 del decreto legislativo n.
275/1993 dal 1o luglio 1995.
  E' opportuno rimarcare in questa sede che la domanda di concessione
in sanatoria allegata alle denunce dei pozzi, sia essa a fini irrigui
od  ad  altri  usi,  puo'  naturalmente valere anche quale domanda di
concessione  in sanatoria ai sensi dell'art. 23, comma 6, del decreto
legislativo  n.  152/1999, ma questo solo a condizione che essa venga
presentata entro il termine di sei mesi previsto dalla norma medesima
a  nulla  rilevando,  in  tale  sede,  il maggior  termine, di durata
annuale, stabilito dalla legge n. 136/1999.
  3.  Un'ultima  questione  emerge  con  riferimento  ai  commi 7 e 8
dell'art. 23 del d.lgs. n. 152/1 999, che prevedono:
  "7. Il primo comma dell'art. 21 del regio decreto 11 dicembre 1933,
n.  1775 (...) e' sostituito dal seguente: "Salvo quanto disposto dal
secondo comma tutte le concessioni di derivazione sono temporanee. La
durata   delle   concessioni,   ad  eccezione  di  quelle  di  grande
derivazione  idroelettrica,  per le quali resta fermo quanto disposto
dall'art.  36  della  legge  del  24 aprile  1998, n. 128, e relativi
decreti  legislativi di attuazione della direttiva 96/92/CE, non puo'
eccedere i trenta anni ovvero i quaranta per uso irriguo .
  8. Il comma 7 si applica anche alle concessioni di derivazione gia'
concesse.  Ove  le stesse, per effetto del medesimo comma 7 risultino
scadute,  possono  continuare  ad essere esercitate sino alla data di
scadenza  originaria,  purche'  venga  presentata  domanda di rinnovo
entro  un  anno  dalla data di entrata in vigore del presente decreto
fatta salva l'applicazione dell'art. 22.".
  Riguardo alla durata delle concessioni di grande derivazione ad uso
idroelettrico,   la   nuova   disciplina  rinvia  alla  normativa  di
recepimento    della    direttiva    n.    96/92/CE   relativa   alla
liberalizzazione  del mercato elettrico, poi effettivamente emanata e
contenuta nel decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79. Detto decreto
all'art.  12, commi 1, 2 e 3, nel definire una nuova procedura per il
rinnovo  di tali concessioni stabilisce che il rinnovo medesimo debba
avere   una   durata   trentennale.   Anche   se   nulla   e'  invece
specificatamente  previsto  dal  decreto  legislativo  n.  79/1999 in
ordine  alla  durata  delle nuove concessioni di grande derivazione a
scopo  idroelettrico  si  ritiene  che  detto  termine  debba  essere
applicato  anche  in  sede  di  rilascio  delle  nuove concessioni di
derivazione  a  tale  scopo  destinate,  per  le  quali, diversamente
opinando,   mancherebbe  una  disciplina  normativa  in  ordine  alla
scadenza.
  Una diversa questione emerge in ordine al campo di applicazione del
comma  ottavo  dell'art.  23,  che prevede una riduzione della durata
delle  concessioni  gia'  rilasciate  i  cui  termini di scadenza, in
vigenza della precedente formulazione dell'art. 21 del testo unico n.
1775/1933,  erano  per  molti  usi  di  sessanta  anni  od  oltre. La
drasticita'  della  nuova  disciplina  e'  peraltro  temperata  dalla
successiva  norma  transitoria,  che consente per tali concessioni il
loro  proseguimento  sino  alla scadenza originaria, a condizione che
venga  presentata  entro  un  anno  apposita  domanda  di rinnovo. Si
richiama  l'attenzione  degli  uffici su una puntuale applicazione di
tale  norma  che,  nonostante qualche apparente ambiguita' lessicale,
trova  applicazione  non  solo  alle  concessioni  che in forza della
riduzione  della durata a trenta anni risultino scadute alla data del
decreto  legislativo n. 152/1999, ma anche a quelle che lo saranno in
un momento successivo.
  Di  conseguenza  anche chi attualmente esercisce una concessione la
cui  originaria  durata  sessantennale, andava ad esempio dal 1980 al
2040,  e  che  in  forza  della riduzione a trenta anni operata dalla
nuova  disciplina  veda tale durata conseguentemente ridotta al 2010,
per  continuare ad esercire la derivazione sino al termine originario
(l'anno  2040)  dovra'  presentare  domanda  di  rinnovo  nel termine
annuale  previsto  dall'art.  23,  comma 8 del decreto legislativo n.
152/1999, fatte salve, naturalmente le eventuali riduzioni di portata
disposte  dall'autorita'  concedente  anche  prima di tale termine in
forza  di  quanto  previsto  dall'art.  22  del  medesimo  decreto n.
152/1999,  che  prevede, come e' noto, una revisione generalizzata di
tutte le concessioni.
                                                 Il Ministro: Micheli
Registrata  alla  Corte  dei  conti  il 26 gennaio 2000 Registro n. 1
Lavori pubblici, foglio n. 31