N. 238 SENTENZA 5 - 21 dicembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Disposizioni varie  in  materia  di  sanita'  pubblica  (proroga  dei
  termini concessi  alle  strutture  sanitarie  per  gli  adeguamenti
  strutturali   connessi   alle    procedure    di    autorizzazione;
  accreditamento  provvisorio,  autorizzazione  e   contratti   delle
  strutture sociosanitarie a ciclo residenziale  e  semiresidenziale;
  possibilita' per le strutture sanitarie accreditate di avvalersi di
  medici in rapporto esclusivo con il SSN; esclusione  dai  tetti  di
  spesa di alcune tipologie di  prestazioni)  e  giochi  e  scommesse
  (distanza minima di sicurezza degli esercizi autorizzati da  luoghi
  ritenuti sensibili). 
- Legge della Regione Basilicata 24 luglio  2017,  n.  19  (Collegato
  alla legge di Stabilita' regionale 2017), artt. 23, 26, commi 2,  3
  e 4, primo periodo, 30, comma 2, 33 e 45. 
-   
(GU n.51 del 27-12-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  23,  26,
commi 2, 3 e 4, primo periodo, 30, comma 2, 33 e 45 della legge della
Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19  (Collegato  alla  legge  di
Stabilita' regionale 2017), promosso dal Presidente del Consiglio dei
ministri, con ricorso notificato il 25-29 settembre 2017,  depositato
in cancelleria il 29 settembre 2017, iscritto al n. 77  del  registro
ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Udito nella udienza pubblica  del  4  dicembre  2018  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    udito l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25 - 29 settembre 2017 e depositato
in cancelleria il successivo 29 settembre  (r.r.  77  del  2017),  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale di alcune disposizioni della legge  della
Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19  (Collegato  alla  legge  di
Stabilita' regionale 2017). 
    Secondo il ricorrente, le norme contenute, in particolare,  negli
artt. 23, 26, 30, 33 e 45 della legge regionale  impugnata  sarebbero
illegittime per contrasto con diverse disposizioni costituzionali. 
    1.1.- L'art. 23 modifica l'art. 1, comma  1,  della  legge  della
Regione Basilicata 14 ottobre 2008, n. 25 (Disposizioni in materia di
autorizzazione  delle  strutture  sanitarie  pubbliche  e   private),
mediante la sostituzione dell'espressione «entro due anni» con quella
«entro cinque anni», cosi' prorogando di tre anni i termini  concessi
alle strutture sanitarie per  gli  adeguamenti  strutturali  connessi
alle procedure di autorizzazione, di cui  alla  legge  della  Regione
Basilicata 5 aprile 2000, n. 28 (Norme in materia  di  autorizzazione
delle strutture sanitarie pubbliche e private). 
    La proroga cosi' disposta -  che,  ad  avviso  del  Governo,  non
avrebbe peraltro un preciso dies a quo, decorrendo i termini  di  cui
trattasi dalla data di  comunicazione  dell'idoneita'  del  piano  di
adeguamento  da  parte  della  competente  commissione   tecnica   di
valutazione regionale - contrasterebbe con quanto  dettato  dall'art.
8-ter, comma 4, del decreto legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502
(Riordino  della   disciplina   in   materia   sanitaria,   a   norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992,  n.  421),  secondo  cui
l'esercizio delle attivita' sanitarie e sociosanitarie presuppone  il
possesso di  determinati  requisiti  minimi,  la  cui  verifica  deve
effettuarsi prima del rilascio dell'autorizzazione  e  dell'avvio  di
qualsiasi attivita'. 
    Considerato   che,    secondo    la    costante    giurisprudenza
costituzionale, la competenza regionale in materia di  autorizzazione
all'esercizio  dell'attivita'  sanitaria   rientra   nella   potesta'
legislativa concorrente in materia di  tutela  della  salute  e  che,
pertanto,  le  Regioni  sono  vincolate  al  rispetto  dei   principi
fondamentali fissati dalle norme statali, la disposizione  impugnata,
nel  determinare  una  dilazione  temporale  per   l'adeguamento   ai
requisiti minimi richiesti alle strutture sanitarie a garanzia  della
sicurezza dei cittadini, violerebbe l'art. 117,  comma  terzo,  della
Costituzione in relazione agli artt. 8, comma 4, e 8-ter  del  d.lgs.
n. 502 del 1992, i quali fissano i livelli essenziali di sicurezza  e
qualita' che debbono essere soddisfatti da  tutte  le  strutture  che
vogliono  effettuare  prestazioni  sanitarie,  indipendentemente  dal
fatto che intendano, o meno, chiedere anche l'accreditamento. 
    1.2.-  L'art.  26  sancisce  l'applicabilita'  della   disciplina
sull'autorizzazione sanitaria di cui alla legge reg. Basilicata n. 28
del 2000 a tutte le strutture sociosanitarie a ciclo  residenziale  e
semiresidenziale gia' attive e operanti, convenzionate  col  Servizio
sanitario regionale, per le quali non si e' tuttavia ancora  conclusa
la verifica preventiva sui requisiti minimi. 
    In particolare, il comma 3 di detto articolo,  nel  consentire  a
tali  strutture  di  continuare   a   svolgere   l'attivita'   previa
presentazione della domanda di autorizzazione ai sensi  dell'art.  15
della legge reg. Basilicata n. 28 del 2000, si porrebbe in  contrasto
con quanto previsto dall'art. 8-ter  del  d.lgs.  n.  502  del  1992,
secondo  cui  il  rilascio  dell'autorizzazione  e  la  verifica  del
possesso dei  requisiti  minimi  precede  l'esercizio  dell'attivita'
sanitaria. 
    Inoltre  la  norma  impugnata,  nel  prevedere,   al   comma   2,
l'applicazione di un regime di accreditamento provvisorio, nelle more
del  perfezionamento  di  quello  istituzionale,  in   favore   delle
strutture sociosanitarie che abbiano  gia'  in  corso  convenzioni  o
contratti con Aziende sanitarie locali,  stipulati  previa  selezione
con procedure di evidenza  pubblica,  dando  inoltre  loro  titolo  a
stipulare nuovi accordi con le ASL per la durata massima di  18  mesi
(comma 4), configurerebbe un'ipotesi di accreditamento ope legis  nei
confronti di strutture  di  cui  verrebbe  presunta  la  regolarita',
indipendentemente dal possesso effettivo dei requisiti minimi. 
    Per  l'accreditamento,   evidenzia   il   ricorrente,   occorrono
requisiti ulteriori rispetto a quelli necessari per l'autorizzazione,
oltre all'accettazione del sistema di  pagamento  a  prestazione,  ai
sensi dell'art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992. Detti «requisiti
ulteriori» hanno natura  di  principi  fondamentali  che  le  Regioni
devono  rispettare,   come   piu'   volte   affermato   dalla   Corte
costituzionale (sentenza n. 361 del 2008); pertanto, vi  sarebbe  una
violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  per  lesione  dei
principi fondamentali in materia di tutela  della  salute,  stabiliti
dal citato art. 8-quater. 
    La  norma   regionale   impugnata,   inoltre,   nel   riconoscere
l'accreditamento provvisorio in favore delle strutture sociosanitarie
di cui alla legge della Regione Basilicata 14  febbraio  2007,  n.  4
(Rete regionale  integrata  dei  servizi  di  cittadinanza  sociale),
violerebbe ulteriormente l'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione
all'art. 1, comma 796, lettera t), della legge 27 dicembre  2006,  n.
296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria  2007)»,  come  da  ultimo
modificato dal comma 1-bis dell'art. 7 del decreto-legge 30  dicembre
2013,  n.  150  (Proroga  di   termini   previsti   da   disposizioni
legislative),  come  convertito,  con  modificazioni,  in  legge   27
febbraio 2014, n. 15, secondo  cui  il  regime  provvisorio,  per  le
strutture   sociosanitarie   diverse   da   quelle   ospedaliere    e
ambulatoriali, deve cessare entro il 31 ottobre 2014.  Il  ricorrente
aggiunge che detto termine, come ritenuto dalla Corte costituzionale,
costituisce anch'esso principio fondamentale  della  materia  «tutela
della salute», vincolante per le Regioni. 
    1.3.- L'art. 30, comma 2, parimenti impugnato  -  nel  consentire
che le  strutture  sanitarie  private  accreditate  con  il  Servizio
sanitario  nazionale  possono  avvalersi  dell'opera  di  medici   in
rapporto esclusivo con il SSN o dell'opera di medici in rapporto  con
altre strutture private accreditate -  disattenderebbe  il  principio
generale di unicita' del rapporto di lavoro del personale medico  con
il SSN, di cui all'art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991,  n.
412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica). 
    La portata del suddetto principio e' stata piu'  volte  esaminata
dalla giurisprudenza  amministrativa  (Consiglio  di  Stato,  sezione
quarta, sentenze 8 maggio 2003, n. 2430 e 22 giugno 2004,  n.  4463),
la quale ha chiarito come il  principio  in  questione  debba  essere
inteso estensivamente, avendo un carattere oggettivo e  assoluto.  Ne
deriverebbe, quindi, un'incompatibilita' assoluta  -  riferita  anche
alle strutture sanitarie private accreditate, come disposto dall'art.
1, comma  5,  della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662  (Misure  di
razionalizzazione della finanza pubblica) - operante nei confronti di
qualsiasi altra attivita' e che risponde alla finalita' della  norma,
diretta a «garantire la massima efficienza e funzionalita'  operativa
al servizio sanitario pubblico» (sentenza n. 457 del 1993). 
    Secondo il ricorrente, la ratio  giustificativa  del  divieto  si
rinviene altresi' nel primo comma dell'art.  98  Cost.,  laddove  «il
principio   dell'esclusivo    servizio    della    Nazione»    appare
caratterizzare la  natura  stessa  del  rapporto  di  lavoro  di  cui
trattasi. La funzione di valorizzazione del perseguimento dei fini di
pubblico    interesse,    cui    e'    istituzionalmente     preposta
l'Amministrazione, svolta dal divieto di cui  all'art.  4,  comma  7,
della legge n. 412 del  1991,  potrebbe  infatti  essere  compromessa
dalla compresenza, nella stessa  persona  del  dipendente,  di  altri
rapporti potenzialmente in conflitto tendenti ad interessi  «diversi»
da quello collettivo. 
    Il ricorrente ritiene pertanto che l'art. 30,  comma  2,  laddove
sembra consentire una duplicita' di rapporti  che  invece  l'art.  4,
comma 7, della legge n. 412 del 1991 mira chiaramente a  scongiurare,
violi il principio di unicita' del rapporto del personale medico  del
SSN, che si pone,  nella  materia  di  competenza  concorrente  della
tutela della salute, quale principio fondamentale. 
    Il Governo ravvisa inoltre profili di  incostituzionalita'  anche
nel caso in  cui  la  disposizione  censurata  venga  inquadrata  nel
diverso ambito della «determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali»,  di  esclusiva
spettanza statale, di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera  m),
Cost. Il contemporaneo esercizio dell'attivita' da parte  del  medico
presso  piu'   strutture   private   accreditate   potrebbe   infatti
pregiudicare la qualita'  dell'attivita'  assistenziale  prestata  ed
impedire,  al  contempo,  l'effettivo  espletamento  della   funzione
ausiliaria  rispetto  alle  strutture  pubbliche   che   i   soggetti
accreditati sono chiamati a svolgere (viene citata la sentenza n. 457
del 1993). 
    1.4.- L'art. 33, relativo alla mobilita' interregionale attiva in
materia sanitaria, si  porrebbe  in  contrasto  con  la  legislazione
statale, laddove esclude  dal  computo  dei  tetti  di  spesa  alcune
tipologie di prestazioni. 
    In  particolare,   l'esclusione   delle   prestazioni   di   alta
complessita'  sarebbe  disposta  senza  aver  previsto  modalita'  di
compensazione atte a garantire il rispetto degli obiettivi finanziari
di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95  (Disposizioni  urgenti
per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei  servizi  ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito,  con  modificazioni,  in  legge  7
agosto 2012, n.  135,  e  prima  della  sottoscrizione  di  qualsiasi
accordo di confine. 
    Ai sensi dell'art. 1, comma 574, della legge 28 dicembre 2015, n.
208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato  (legge  di  stabilita'  2016)»,  le  Regioni
possono infatti programmare l'acquisto di prestazioni  di  assistenza
ospedaliera di alta specialita', nonche' di prestazioni erogate dagli
istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a  favore
di cittadini residenti in altre Regioni ricomprese negli accordi  per
la compensazione della mobilita' interregionale, in deroga ai  limiti
previsti, purche'  le  stesse,  al  fine  di  garantire  l'invarianza
dell'effetto finanziario, provvedano ad adottare misure  alternative,
volte a ridurre le prestazioni inappropriate  di  bassa  complessita'
erogate in regime ambulatoriale,  di  pronto  soccorso,  in  ricovero
ordinario  e  in  riabilitazione  e  lungodegenza,  acquistate  dagli
erogatori privati  accreditati,  in  misura  tale  da  assicurare  il
rispetto degli obiettivi di riduzione di cui al d.l. n. 95 del  2012.
Il  predetto  obiettivo  finanziario  puo'  essere  assicurato  anche
attraverso misure alternative a valere  su  altre  aree  della  spesa
sanitaria. 
    Ad avviso del Governo, la deroga alla produzione  di  prestazioni
rese in mobilita', contenuta nella norma regionale impugnata, sarebbe
stata  inoltre  disposta  prima  di  qualsiasi  accordo  di   confine
sottoscritto. Al riguardo il ricorrente  rileva  che,  ai  sensi  del
decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n.  70  (Regolamento
recante  definizione   degli   standard   qualitativi,   strutturali,
tecnologici e quantitativi relativi  all'assistenza  ospedaliera),  i
posti letto riservati alla  mobilita'  attiva  sono  gia'  ricompresi
nella programmazione regionale che deve essere approvata  dal  Tavolo
di verifica degli  adempimenti  e  dal  Comitato  permanente  per  la
verifica dell'erogazione dei LEA, come previsto  dall'art.  1,  comma
541, lettera e) (recte: lettera c), della  legge  n.  208  del  2015.
Qualsiasi modifica dovrebbe avvenire quindi solo a seguito di accordi
di confine gia' stipulati, al fine  di  garantire  la  compatibilita'
nazionale. 
    Infine, con riferimento all'esclusione delle altre  tipologie  di
prestazioni dal tetto di spesa, la norma  regionale  si  porrebbe  in
contrasto  con  la  legislazione  vigente,  che  non   prevede   tali
esclusioni, passibili di determinare oneri aggiuntivi e non coperti. 
    La disposizione regionale, quindi,  violerebbe  il  principio  di
contenimento  della  spesa  pubblica  sanitaria  quale  principio  di
coordinamento della finanza  pubblica  di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, Cost., e l'art. 81, terzo comma, Cost., sotto il profilo della
mancata copertura finanziaria. 
    1.5.- Da  ultimo,  l'art.  45,  parimenti  censurato,  interviene
sull'art. 6, comma 2, della legge della Regione Basilicata 27 ottobre
2014, n. 30, recante «Misure per il contrasto  della  diffusione  del
gioco d'azzardo patologico (G.A.P.)», in  materia  di  autorizzazione
all'esercizio delle sale da gioco e installazione  di  apparecchi  da
gioco entro la distanza di 500 metri dai luoghi  sensibili,  mediante
la soppressione dell'avverbio «non», dopo  le  parole  «nel  caso  di
ubicazioni in un raggio». 
    La disposizione regionale, secondo il ricorrente,  contrasterebbe
con quanto stabilito dall'art. 1, comma 936, della legge n.  208  del
2015, secondo  cui  le  caratteristiche  dei  punti  vendita  ove  si
raccoglie gioco pubblico, nonche' i criteri per la loro distribuzione
e concentrazione  territoriale,  al  fine  di  garantire  i  migliori
livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico
e della pubblica fede dei  giocatori,  e  al  fine  di  prevenire  il
rischio di accesso dei minori di eta', sono determinati  in  sede  di
Conferenza unificata, le cui intese sono poi recepite con decreto del
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  sentite  le  Commissioni
parlamentari competenti. 
    La norma quindi violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera h),
Cost., in materia di ordine pubblico e sicurezza. 
    2.- La Regione Basilicata non si e' costituita in giudizio. 
    3.- Con memoria depositata il 13 novembre 2018, il ricorrente  ha
rilevato l'avvenuta modifica di alcune delle disposizioni  impugnate,
ad opera di leggi adottate dalla Regione Basilicata dopo la  notifica
del ricorso. 
    In   particolare,   l'art.   26,    relativo    alle    strutture
sociosanitarie, e' stato modificato dall'art. 73  della  legge  della
Regione Basilicata 29 giugno 2018, n. 11  (Collegato  alla  Legge  di
stabilita' regionale 2018), mediante l'abrogazione del comma 2  e  la
sostituzione del comma 4. 
    L'art.  33,  parimenti  impugnato,  e'  stato   invece   abrogato
dall'art. 45, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 11 del 2018. 
    A  tal  riguardo,   il   ricorrente   ha   comunque   evidenziato
l'impossibilita'  di  dichiarare  la  cessazione  della  materia  del
contendere, in quanto non  emergerebbe  con  certezza  che  le  norme
soppresse non abbiano trovato concreta applicazione  nel  periodo  di
vigenza; conseguentemente, ha affermato la permanenza  dell'interesse
ad una pronuncia di accoglimento. 
    4.- Da ultimo, con atto di rinuncia  parziale  depositato  il  26
novembre 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato
di rinunciare alla questione di cui all'art. 26, comma 2, della legge
reg.  Basilicata  n.  19  del  2017,  in   ragione   dell'intervenuta
abrogazione della norma e dell'attestazione,  fornita  dalla  Regione
Basilicata, della sua mancata applicazione medio tempore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il  ricorso  in  epigrafe  indicato,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale  di  varie  disposizioni  della  legge  della  Regione
Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di  Stabilita'
regionale 2017). 
    Riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  questioni
promosse  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   su   altre
disposizioni della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, lo scrutinio
deve essere qui limitato a quelle aventi ad oggetto gli artt. 23, 26,
30, 33 e 45 della legge regionale censurata. 
    2.- L'impugnato art. 23 ha modificato l'art. 1,  comma  1,  della
legge della Regione Basilicata 14 ottobre 2008, n.  25  (Disposizioni
in materia di autorizzazione delle strutture  sanitarie  pubbliche  e
private), mediante la sostituzione dell'espressione «entro due  anni»
con quella «entro cinque anni». 
    Cosi'   disponendo,   secondo   il   ricorrente,   si   sarebbero
illegittimamente  prorogati  i  termini   concessi   alle   strutture
sanitarie per gli adeguamenti strutturali connessi alle procedure  di
autorizzazione, di cui alla legge della Regione Basilicata  5  aprile
2000, n. 28 (Norme  in  materia  di  autorizzazione  delle  strutture
sanitarie pubbliche e private), in violazione  dell'art.  117,  terzo
comma, della Costituzione, in relazione agli  artt.  8,  comma  4,  e
8-ter del decreto legislativo 30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino
della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), i quali fissano i livelli  essenziali
di sicurezza e qualita' che debbono essere soddisfatti  da  tutte  le
strutture   che   vogliono    effettuare    prestazioni    sanitarie,
indipendentemente dal fatto che intendano,  o  meno,  chiedere  anche
l'accreditamento. 
    L'art. 1 della legge reg. Basilicata n. 25 del  2008,  nel  testo
modificato dalla legge impugnata, prevede infatti: «1. Allo scopo  di
consentire il completamento dei processi di adeguamento connessi alle
procedure di autorizzazione di cui alla L.R. 5 aprile 2000, n.  28  e
s.m.i. le strutture sanitarie dotate  di  posti  letto,  che  erogano
prestazioni sanitarie in regime di ricovero e quelle dotate di  posti
residenziali per assistenza  riabilitativa  ai  disabili  psichici  e
psiconeuromotori, e per quelle strutture riabilitative che erogano ai
disabili  psichici   e   psiconeuromotori   prestazioni   in   regime
ambulatoriale, fatto salvo il possesso dei requisiti minimi  generali
di cui al D.P.R. 14 gennaio 1997, devono eseguire gli adeguamenti  di
cui all'art. 15 comma 6 lett. a) della L.R. 5 aprile 2000,  n.  28  e
s.m.i., entro cinque anni dalla data di comunicazione da parte  della
Commissione  Tecnica  Aziendale  della   adeguatezza   del   progetto
esecutivo con relativo cronoprogramma  vincolante  per  l'ultimazione
dei lavori di  adeguamento  ai  requisiti  previsti  dalla  normativa
vigente». 
    Dopo la proposizione del ricorso,  il  legislatore  regionale  e'
intervenuto nuovamente in materia di autorizzazione  delle  strutture
sanitarie, modificando ancora, con la legge della Regione  Basilicata
30 dicembre 2017, n. 39  (Disposizioni  in  materia  di  scadenza  di
termini legislativi e nei vari settori di  intervento  della  Regione
Basilicata), il termine concesso per l'adeguamento delle strutture. 
    L'art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017  ha  infatti
previsto che: «1. Le strutture sanitarie di cui all'art. 1,  comma  1
della legge regionale 14 ottobre 2008, n. 25 e smi, per le  quali  la
competente  Commissione   Tecnica   Aziendale   esprime   parere   di
adeguatezza del piano di  adeguamento  ai  requisiti  previsti  dalla
normativa vigente, devono ultimare i relativi lavori entro il termine
di anni tre dalla espressione del suddetto parere». 
    Successivamente, con la legge della Regione Basilicata 29 gennaio
2018, n. 1 (Modifica ed  integrazione  all'articolo  23  della  legge
regionale 30 dicembre 2017, n. 39), e' stato aggiunto anche un  comma
2 all'art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del  2017  che  cosi'
dispone: «Le strutture sanitarie di cui al comma 1 per  le  quali  la
competente Commissione Tecnica Aziendale alla data  del  31  dicembre
2017 ha gia' espresso parere di adeguatezza del piano di  adeguamento
ai requisiti previsti dalla  normativa  vigente,  devono  ultimare  i
relativi lavori entro il termine di anni tre decorrenti  dall'entrata
in vigore della presente legge». 
    2.1.- Questa Corte ritiene che occorra  procedere  all'estensione
della questione prospettata dal ricorso in  riferimento  all'art.  23
della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, anche nei  confronti  del
sopravvenuto art. 23 della legge reg. Basilicata n. 39 del  2017,  in
considerazione del fatto che la disposizione  sopravvenuta  «presenta
una portata precettiva paragonabile alla prima sotto il profilo della
potenziale  lesivita'  dei  principi  costituzionali   invocati   dal
ricorrente» (sentenza n. 39 del 2016). Sicche' il vizio lamentato con
riguardo alla prima deve essere valutato anche  in  riferimento  alla
seconda legge regionale. 
    2.2.- La questione, come sopra ricostruita, e' fondata. 
    Secondo il costante orientamento  di  questa  Corte  (ex  multis,
sentenza n. 161 del 2016), la  competenza  regionale  in  materia  di
autorizzazione e vigilanza sulle  istituzioni  sanitarie  private  si
inquadra nella potesta' legislativa concorrente in materia di  tutela
della salute, che preclude  alle  Regioni  di  derogare  ai  principi
fondamentali fissati dalle norme statali, quali sono tra  l'altro  le
norme di principio contenute negli artt. 8,  comma  4,  e  8-ter  del
d.lgs. n. 502 del 1992 (ex multis, sentenza n. 59 del  2015).  Questi
ultimi stabiliscono  i  livelli  qualitativi  e  i  requisiti  minimi
strutturali   e   organizzativi   per    ottenere    l'autorizzazione
all'esercizio, il cui possesso va verificato prima dello  svolgimento
di qualsiasi attivita'. 
    Con la legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 (Norme in materia  di
autorizzazione delle strutture sanitarie  pubbliche  e  private),  la
Regione Basilicata, «in attuazione dell'art. 8, comma 4, del  decreto
legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502  e  successive  modifiche  ed
integrazioni, degli articoli 2 e 3 del decreto del  Presidente  della
Repubblica 14 gennaio 1997 e dell'art. 8-ter  del  d.lgs.  19  giugno
1999,  n.  229»,  ha  definito  i  «requisiti   minimi   strutturali,
funzionali ed organizzativi delle  strutture  sanitarie  pubbliche  e
private, il controllo  e  la  vigilanza  sulle  medesime  nonche'  le
procedure per il rilascio delle  autorizzazioni  alla  realizzazione,
all'apertura ed  all'esercizio  dell'attivita'  sanitaria»  (art.  1,
comma 1), stabilendo, all'art. 15, che,  per  continuare  a  svolgere
l'attivita', le strutture private gia' autorizzate  e  quelle  attive
che sono soggette ad autorizzazione ai sensi della legge regionale n.
28   del   2000,    debbano    presentare    domanda    di    rinnovo
dell'autorizzazione ovvero domanda introduttiva del  procedimento  di
autorizzazione entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge. 
    Ai sensi del combinato disposto degli artt. 6  e  7  della  legge
reg.  Basilicata  n.  28  del  2000,  la  domanda  di  autorizzazione
all'apertura e  all'esercizio  di  attivita'  sanitaria  deve  essere
indirizzata al Presidente della Giunta  regionale,  che  provvede  ad
inoltrarla alla Azienda Sanitaria U.S.L. territorialmente competente,
per l'istruttoria e il rilascio del parere obbligatorio da  parte  di
un'apposita commissione tecnica. 
    Il termine per l'adeguamento di cui al sopra citato  art.  15  e'
stato  piu'  volte  rivisto  dal  legislatore  regionale,  fino  alla
modifica apportata dalla norma impugnata e successivamente  dall'art.
23 della legge reg. Basilicata n. 39 del 2017. 
    Il Governo, nell'impugnare la proroga disposta dalla  legge  reg.
Basilicata n. 19 del 2017, mira quindi a censurare la situazione  per
cui le  strutture  sanitarie  gia'  attive  e  in  esercizio  possano
(continuare ad) erogare prestazioni sanitarie  prima  ancora  che  la
verifica circa il possesso dei requisiti minimi sia stata completata. 
    La censura coglie nel segno. In effetti, la  normativa  regionale
in esame, nel prorogare i termini per l'adeguamento, consente a dette
strutture di operare a prescindere dalla conclusione  della  verifica
circa l'adeguatezza della struttura stessa; pertanto, essa risulta in
contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost. in relazione agli  artt.
8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, da qualificarsi  come
principi fondamentali della materia «tutela della  salute»  (sentenza
n. 59 del 2015), vincolanti per le  Regioni,  in  particolare  quanto
alla necessita'  che  l'esercizio  dell'attivita'  sanitaria  avvenga
previa verifica del possesso dei requisiti minimi. 
    2.3.-  Va  pertanto  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 23 della legge reg. Basilicata n. 19 del 2017  e  dell'art.
23 della legge reg. Basilicata n.  39  del  2017,  quest'ultimo  come
modificato dall'art. 1 della legge regionale n. 1 del 2018. 
    3.- L'art. 26 della legge regionale impugnata ha  ad  oggetto  le
strutture sociosanitarie di cui alla legge della  Regione  Basilicata
14 febbraio 2007, n. 4  (Rete  regionale  integrata  dei  servizi  di
cittadinanza sociale). 
    Esso prescrive: «1. A decorrere dalla data  di  approvazione  del
provvedimento definitivo di Giunta regionale previsto  dall'art.  21,
comma 1 della legge regionale 14 febbraio 2007,  n.  4,  a  tutte  le
strutture sociosanitarie a ciclo residenziale e  semiresidenziale  si
applicano le disposizioni normative contenute nella legge regionale 5
aprile 2000, n. 28 e s.m.i. 2. Le  strutture  sociosanitarie  di  cui
alla legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4 e s.m.i. che per  effetto
del comma 1 rientrano nel campo di applicazione della legge regionale
5 aprile 2000, n. 28 e s.m.i. e che hanno in  corso,  da  almeno  tre
anni, convenzioni o contratti con Aziende sanitarie locali, stipulati
previa selezione con procedure  di  evidenza  pubblica  si  intendono
provvisoriamente  accreditate  per  i  servizi  resi  in  regime  non
residenziale,  residenziale,  semiresidenziale,  nelle   more   della
regolamentazione dell'accreditamento istituzionale. 3.  Le  strutture
sociosanitarie di cui alla legge regionale 14 febbraio 2007, n.  4  e
s.m.i.  che  per  effetto  del  comma  1  rientrano  nel   campo   di
applicazione della legge regionale 5 aprile  2000,  n.  28  e  s.m.i.
attive alla data di entrata  in  vigore  della  presente  legge,  per
continuare a svolgere l'attivita', devono presentare, entro  12  mesi
dall'entrata   in   vigore   della   presente   legge,   domanda   di
autorizzazione ai sensi dell'art. 15 della legge regionale  5  aprile
2000, n.  28  e  s.m.i.  e  delle  disposizioni  attuative  regionali
corredata del piano di adeguamento. 4. Le  Aziende  sanitarie  locali
sono autorizzate a stipulare, con le strutture di  cui  al  comma  2,
convenzioni o contratti, anche in prosecuzione di quelli in corso, di
durata non superiore a 18 mesi. Fino alla scadenza  dei  predetti  18
mesi le tariffe stabilite dai contratti in essere restano confermate.
Nelle more della regolamentazione dell'accreditamento  istituzionale,
sono sospese le eventuali procedure in corso  per  l'affidamento  dei
servizi di cui al comma 2. 5. La Regione entro 12  mesi  dall'entrata
in vigore della presente legge emana i provvedimenti attuativi per la
regolamentazione  dell'accreditamento  istituzionale  dei  servizi  e
delle strutture di cui al presente articolo». 
    3.1.- Preliminarmente occorre osservare che, nonostante l'art. 26
appaia  integralmente  impugnato  tanto  nel  ricorso  quanto   nella
delibera autorizzativa del Consiglio dei ministri  del  23  settembre
2017, le censure si appuntano esclusivamente sui  commi  2,  3  e  4,
primo  periodo,  di  detto  articolo.  Pertanto,  il   ricorso   deve
intendersi limitato  a  tali  norme,  sulle  quali  si  svolgera'  lo
scrutinio di costituzionalita'. 
    3.2.- Successivamente alla proposizione del ricorso da parte  del
Presidente del Consiglio  dei  ministri,  la  Regione  Basilicata  ha
modificato le disposizioni in esame. 
    Infatti, l'art. 73 della legge della Regione Basilicata 29 giugno
2018, n. 11 (Collegato alla Legge di stabilita' regionale  2018),  ha
abrogato il comma 2 e sostituito il primo e il  secondo  periodo  del
comma 4 dell'art. 26 nei termini seguenti: «I contratti in essere con
le strutture sociosanitarie di  cui  al  comma  1  stipulati  con  le
Aziende sanitarie locali proseguono  la  loro  validita'  nelle  more
della regolamentazione dell'accreditamento istituzionale». 
    A seguito della novella legislativa, il Presidente del  Consiglio
dei ministri - dopo aver inizialmente confermato il proprio interesse
alla  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale   in   ragione
dell'assenza  di  prove  circa  la  mancata  attuazione  della  norma
impugnata nel periodo di vigenza - ha da ultimo dichiarato di  volere
rinunciare esclusivamente all'impugnazione  dell'art.  26,  comma  2,
relativo all'accreditamento ope legis delle strutture sociosanitarie. 
    3.3.- Pertanto, a seguito della rinunzia parziale al  ricorso  da
parte del Presidente del Consiglio dei ministri e tenuta presente  la
mancata costituzione della parte resistente,  dev'essere  dichiarata,
ai sensi dell'art. 23 delle Norme integrative per i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale, l'estinzione  del  processo  limitatamente
alla questione  di  legittimita'  costituzionale  avente  ad  oggetto
l'art. 26, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 19 del  2017  (per
un caso analogo, sentenza n. 183 del 2016). 
    3.4.- Al  contrario,  non  sono  state  oggetto  di  rinuncia  le
questioni vertenti sul comma 3 e sul  comma  4,  primo  periodo,  del
medesimo art. 26. 
    3.5.- Il comma 3 prescrive che le strutture  sociosanitarie  gia'
attive ed operanti devono presentare, entro dodici mesi  dall'entrata
in vigore della legge censurata, domanda di autorizzazione  ai  sensi
dell'art. 15 della legge reg. Basilicata n. 28 del 2000 e s.m.i., per
poter continuare a svolgere l'attivita' sanitaria. 
    Ad avviso del ricorrente, detta previsione si pone  in  contrasto
con quanto previsto in materia di autorizzazione dall'art. 8-ter  del
d.lgs.  n.  502  del  1992,   a   norma   del   quale   il   rilascio
dell'autorizzazione e la verifica del possesso dei  requisiti  minimi
precede l'esercizio delle attivita' sanitarie e sociosanitarie. 
    La questione e' fondata per le medesime considerazioni svolte  in
merito alle strutture sanitarie di cui al precedente  art.  23  della
legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, alle quali si rinvia. 
    Di conseguenza, il comma 3 dell'art. 26  deve  essere  dichiarato
costituzionalmente illegittimo per violazione  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost., in riferimento all'art. 8-ter del  d.lgs.  n.  502  del
1992. 
    3.6.- Con riguardo al comma 4, nella parte in cui (primo periodo)
autorizza le ASL a stipulare contratti o convenzioni  di  durata  non
superiore  a  diciotto   mesi   con   le   strutture   sociosanitarie
provvisoriamente accreditate, l'Avvocatura  dello  Stato  ha  chiesto
l'accoglimento della questione per il periodo  in  cui  la  norma  ha
avuto vigenza, fino all'intervento  del  legislatore  regionale,  non
risultando e non essendo stata dedotta la  sua  mancata  applicazione
nel suddetto arco temporale. 
    Come  sopra  rilevato,  la  disposizione  e'   stata   modificata
dall'art. 73, comma 2, della legge reg. Basilicata n.  11  del  2018.
Deve, quindi, essere preliminarmente valutata l'incidenza  dello  ius
superveniens sulla questione in esame. 
    Le modifiche normative sopravvenute non possono ritenersi  idonee
a determinare la cessazione della materia del contendere. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,  la  modifica
normativa  della  norma  oggetto   di   questione   di   legittimita'
costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di  giudizio
determina la cessazione della materia del contendere quando ricorrono
simultaneamente le seguenti condizioni: occorre  che  il  legislatore
abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso  satisfattivo
delle pretese  avanzate  con  il  ricorso  e  occorre  che  le  norme
impugnate,  poi  abrogate  o   modificate,   non   abbiano   ricevuto
applicazione medio tempore (ex plurimis, sentenza n. 171  del  2018).
L'assenza di  qualsiasi  indicazione  (non  essendosi  costituita  la
Regione  resistente)  circa  la  mancata  applicazione  della   norma
censurata induce a ritenere non provato tale ultimo requisito,  anche
in considerazione del tempo di vigenza della norma abrogata,  che  e'
stata modificata circa un anno dopo la sua entrata in vigore. 
    Pertanto, la questione deve essere esaminata nel  merito  e,  per
ragioni analoghe a quelle gia' espresse al precedente punto  2.1.  in
riferimento all'art. 23, deve essere estesa alla nuova  disposizione,
come modificata dalla legge reg. Basilicata n. 11 del 2018. 
    Invero, se da un lato l'intervenuta  novella  legislativa  ha  di
fatto eliminato il  riferimento  operato  al  comma  2  (abrogato)  -
riferimento  che  consentiva  alle  aziende  sanitarie  di  stipulare
convenzioni o contratti, anche in prosecuzione di quelli in corso, di
durata non superiore a 18  mesi  con  le  strutture  provvisoriamente
accreditate - la nuova disposizione, nel  riconoscere  la  perdurante
«validita'» (recte:  efficacia)  dei  contratti  gia'  stipulati  con
strutture  sociosanitarie  per  le  quali   non   si   sia   concluso
l'accreditamento, continua a  mantenere  un  contenuto  asseritamente
lesivo,  paragonabile  a  quello  della  disposizione  impugnata.  La
questione deve quindi, come sopra rilevato, essere  estesa  al  nuovo
comma 4, primo periodo, dell'impugnato art. 26. 
    Nel merito la questione e' fondata. 
    La norma regionale consente, nella prima versione, la stipula  di
contratti con strutture provvisoriamente accreditate ope legis -  per
le quali si presume, senza che sia accertato, il  possesso  effettivo
dei  requisiti  per  l'accreditamento  -   e,   nella   seconda,   il
mantenimento della «validita'» dei contratti gia'  stipulati  con  le
strutture   sociosanitarie   «nelle   more   della   regolamentazione
dell'accreditamento istituzionale». In entrambi i  casi,  le  aziende
sanitare risultano abilitate a intrattenere rapporti contrattuali con
soggetti nei cui confronti non e' stata portata a termine, con  esito
positivo, la verifica dei requisiti previsti dalla legge  nell'ambito
delle procedure di accreditamento.  Cosi'  disponendo,  le  norme  in
giudizio contrastano con l'art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992 -
che questa Corte ha gia'  ripetutamente  qualificato  come  principio
fondamentale della materia della tutela della salute (sentenza n. 132
del  2013)  -  il  quale  richiede  per  l'accreditamento  «requisiti
ulteriori»  rispetto   a   quelli   previsti   per   l'autorizzazione
all'esercizio  dell'attivita'   sanitaria,   fissando   altresi'   la
necessaria interdipendenza tra accreditamento e accordi  contrattuali
(sentenza n. 124 del 2015). Ne consegue la violazione dei  limiti  di
competenza in materia di tutela  della  salute  ex  art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    3.7.-  Va  pertanto  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 26, comma 4, primo periodo, della legge reg. Basilicata  n.
19 del 2017 nel suo testo originario e in quello sostituito dall'art.
73, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2018. 
    4.- L'art. 30 della legge reg. Basilicata n. 19 del  2017  ha  ad
oggetto misure di coordinamento e razionalizzazione,  finalizzate  ad
ottimizzare la gestione delle liste d'attesa. 
    4.1.- In via preliminare, la questione va  circoscritta  al  solo
comma  2  dell'art.  30,  nonostante   che   tale   articolo   appaia
integralmente impugnato nel ricorso. Il ricorso infatti,  atteso  sia
il contenuto della delibera governativa, sia il tenore delle censure,
deve ritenersi limitato al suddetto comma. 
    Il richiamato  comma  2  dispone  che:  «Al  fine  di  migliorare
l'integrazione tra le strutture accreditate  del  Servizio  sanitario
regionale, ferme restanti le disposizioni di cui all'art. 4, comma  7
della legge 30 dicembre 1991, n. 412 in materia di  incompatibilita',
le strutture sanitarie private accreditate con il Servizio  sanitario
nazionale possono altresi' avvalersi:  a)  dell'opera  di  medici  in
rapporto esclusivo con il Servizio sanitario  nazionale,  sempre  che
questa rientri  nell'ambito  di  accordi  e/o  protocolli  di  intesa
stipulati  con  le  Aziende  del  Servizio  sanitario  regionale   di
dipendenza; b) dell'opera di medici in rapporto con  altre  strutture
private accreditate con il Servizio sanitario nazionale.  Dalla  data
di entrata in vigore della presente legge sono abrogate le  norme  in
contrasto con quanto disposto al presente comma». 
    La  disposizione  regionale  consente   quindi   alle   strutture
sanitarie private accreditate con  il  Servizio  sanitario  nazionale
(SSN) di avvalersi dell'opera di medici in rapporto esclusivo con  il
SSN. 
    Ad avviso del Governo, tale previsione disattende il principio di
unicita' del rapporto di lavoro del  personale  medico  con  il  SSN,
sancito dall'art. 4, comma 7, della legge 30 dicembre  1991,  n.  412
(Disposizioni in materia di finanza  pubblica),  il  quale  prescrive
che: «Con il Servizio sanitario nazionale puo' intercorrere un  unico
rapporto di lavoro. Tale rapporto e'  incompatibile  con  ogni  altro
rapporto di lavoro  dipendente,  pubblico  o  privato,  e  con  altri
rapporti anche di natura  convenzionale  con  il  Servizio  sanitario
nazionale. [...] L'esercizio dell'attivita' libero-professionale  dei
medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale e' compatibile col
rapporto unico d'impiego,  purche'  espletato  fuori  dall'orario  di
lavoro all'interno delle  strutture  sanitarie  o  all'esterno  delle
stesse, con esclusione di  strutture  private  convenzionate  con  il
Servizio sanitario nazionale.» 
    4.2.- La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha gia' ritenuto che,  col  suddetto  principio,  il
legislatore statale ha «inteso  garantire  la  massima  efficienza  e
funzionalita' operativa al servizio sanitario pubblico»; allo  stesso
tempo, il legislatore  ha  ritenuto  che  «potesse  spiegare  effetti
negativi il contemporaneo esercizio da parte del medico dipendente di
attivita' professionale presso strutture convenzionate» (sentenza  n.
457 del 1993). 
    La portata di detto principio e' stata riconosciuta  anche  dalla
giurisprudenza amministrativa (ex multis, TAR Veneto, sezione  terza,
sentenza 24 luglio  2017,  n.  743;  TAR  Campania,  sezione  quinta,
sentenza 31 gennaio 2013, n. 685; Consiglio di Stato, sezione quarta,
sentenze 22 giugno 2004, n. 4463, e 8 maggio 2003, n. 2430) che ne ha
piu' volte sottolineato il carattere oggettivo  e  assoluto,  da  cui
deriva  il  divieto,  per   il   medico   dipendente,   di   svolgere
contemporaneamente   l'attivita'   professionale   presso   strutture
convenzionate, oggi accreditate. 
    La  particolare  natura  delle  istituzioni   sanitarie   private
convenzionate,  le  quali  svolgono  una   funzione   integrativa   e
sussidiaria della stessa  rete  sanitaria  pubblica,  impone  che  il
medico che gia' presta la sua attivita' in rapporto esclusivo con  il
SSN non possa, contemporaneamente, operare anche presso una struttura
privata  convenzionata.  Per  lo  stesso  motivo  anche   l'esercizio
dell'attivita' libero-professionale intra moenia  e'  consentito  dal
legislatore  purche'  cio'  avvenga   oltre   l'orario   di   lavoro,
all'interno  o  al  di  fuori  della  struttura  sanitaria,  ma   con
l'espressa esclusione  delle  strutture  private  convenzionate  (cui
l'art. 1, comma 5, della legge 23  dicembre  1996,  n.  662,  recante
«Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», ha  affiancato,
quanto ad incompatibilita', le strutture private accreditate). 
    La norma regionale impugnata, laddove prevede che  una  struttura
sanitaria privata accreditata possa avvalersi di medici  in  rapporto
esclusivo con il SSN, disattende dunque il principio di unicita'  del
rapporto di lavoro, in tal modo violando  l'art.  117,  terzo  comma,
Cost. 
    Restano assorbiti gli altri profili di censura. 
    5.- L'art. 33 della legge regionale impugnata, avente ad  oggetto
la mobilita' interregionale in materia sanitaria, prevede che: «1. In
riferimento   alle   prestazioni   erogate   in   mobilita'    attiva
interregionale    dalle    strutture    sanitarie    accreditate    e
contrattualizzate con il Servizio sanitario regionale,  coerentemente
con quanto definito in sede di Conferenza  delle  Regioni,  anche  ai
fini  della  sottoscrizione  degli  accordi  interregionali  per   la
compensazione della mobilita' sanitaria, non sono computabili per  il
raggiungimento  dei  tetti  di  spesa  le  seguenti  prestazioni:  a)
relativamente alle attivita' di ricovero, i DRG di alta complessita';
b) relativamente alle attivita' di  specialistica  ambulatoriale  (ex
art. 25 della legge 833/1978), le prestazioni  trasferite  da  regime
ospedaliero a regime ambulatoriale e quelle considerabili  salva-vita
definite critiche dal Piano  nazionale  di  governo  delle  liste  di
attesa per  il  triennio  2010-2012  (punto  3.1  del  Piano,  intesa
Stato-Regioni del 28 ottobre 2010)». 
    La disposizione in  esame,  nell'escludere  dai  tetti  di  spesa
alcune  tipologie  di   prestazioni,   contrasterebbe,   secondo   la
prospettazione  del  ricorrente,  con  i  limiti   della   competenza
legislativa regionale disposti dall'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,
perche'  inosservante  del  principio  di  contenimento  della  spesa
pubblica sanitaria disposto dall'art. 1, comma 574,  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», nonche' con l'art. 81, terzo comma, Cost., sotto  il  profilo
della mancata copertura finanziaria. 
    5.1.- In primo luogo, occorre osservare che  la  norma  e'  stata
interamente  abrogata  dall'art.  45,  comma  3,  della  legge   reg.
Basilicata n.  11  del  2018.  Tuttavia,  in  ragione  dell'interesse
manifestato  dall'Avvocatura  dello  Stato   all'accoglimento   della
questione ed in assenza di una prova circa  la  mancata  applicazione
della norma nel periodo di vigenza, non  puo'  ritenersi  cessata  la
materia del contendere e  la  questione  deve  essere  esaminata  nel
merito (per un caso analogo, sentenza n. 185 del 2018). 
    5.2.- Ai sensi dell'art. 1, comma 574, della  legge  n.  208  del
2015, le Regioni possono programmare  l'acquisto  di  prestazioni  di
assistenza ospedaliera di alta specialita',  nonche'  di  prestazioni
erogate da parte degli  istituti  di  ricovero  e  cura  a  carattere
scientifico (IRCCS)  a  favore  di  cittadini  residenti  in  regioni
diverse da quelle di appartenenza ricomprese  negli  accordi  per  la
compensazione della mobilita' interregionale, in deroga al  tetto  di
spesa sanitaria complessiva annua fissato dal legislatore  nazionale,
purche' prevedano misure alternative, volte in particolare a  ridurre
le prestazioni inappropriate di bassa complessita'  acquistate  dagli
erogatori privati accreditati o incidenti su altre aree  della  spesa
sanitaria, cosi' da assicurare il rispetto degli obiettivi finanziari
di riduzione della spesa, di cui al decreto-legge 6 luglio  2012,  n.
95 (Disposizioni urgenti per la revisione della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135. 
    Questa Corte ha gia' osservato che «[l]'art. 15,  comma  14,  del
d.l. n. 95 del 2012 fissa un generale obiettivo  di  riduzione  della
spesa relativa all'"acquisto di  prestazioni  sanitarie  da  soggetti
privati accreditati per l'assistenza  specialistica  ambulatoriale  e
per l'assistenza ospedaliera" [...]. Tale disposizione, dunque,  puo'
considerarsi espressione di un principio fondamentale in  materia  di
"coordinamento della finanza pubblica", poiche'  riguarda  "non  gia'
una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della  spesa
di parte corrente" (ex plurimis, sentenze n. 218 e n. 153  del  2015,
n. 289 del 2013, n. 69 del 2011) e  lascia  "ciascuna  Regione  [...]
libera di darvi attuazione [...] in modo  graduato  e  differenziato,
purche' il risultato complessivo sia pari  a  quello  indicato  nella
legge statale"» (sentenza n. 183 del 2016). 
    Nel caso in esame, la Regione Basilicata, nell'escludere i DRG di
alta complessita' dal computo per  il  raggiungimento  dei  tetti  di
spesa, non ha  in  effetti  previsto  alcuna  misura  alternativa  di
compensazione,  andando  a  incidere  negativamente   sul   risultato
finanziario complessivo indicato nella legge statale. 
    Parimenti, la non computabilita' nei tetti di spesa  delle  altre
prestazioni, relative all'attivita'  di  specialistica  ambulatoriale
(di cui alla lettera b  dell'impugnato  art.  33),  e'  passibile  di
determinare oneri aggiuntivi e non coperti, sicche' non e' consentita
dalla legislazione nazionale. 
    Di conseguenza, l'art. 33 della legge reg. Basilicata n.  19  del
2017  deve  essere  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo   per
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., per  aver  previsto  la
non computabilita' di alcune prestazioni ai fini  del  raggiungimento
dei tetti di spesa, senza garantire il rispetto  degli  obiettivi  di
riduzione della spesa sanitaria, nonche' dell'art. 81,  terzo  comma,
Cost., per mancata copertura finanziaria. 
    6.-  La  questione  vertente  sull'art.  45  della   legge   reg.
Basilicata n. 19 del 2017,  promossa  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettera h), Cost., e' manifestamente infondata. 
    Con  la  disposizione  impugnata,  il  legislatore  regionale  ha
infatti   inteso   esclusivamente   correggere   l'errore   materiale
costituito dall'indebita  inserzione  dell'avverbio  «non»,  dopo  le
parole «nel caso di ubicazioni in un raggio», contenuto  nell'art.  6
della legge della Regione Basilicata 27 ottobre 2014, n. 30,  recante
«Misure  per  il  contrasto  della  diffusione  del  gioco  d'azzardo
patologico (G.A.P.)». 
    Prima  dell'intervento  censurato,  la  disposizione   disponeva:
«l'autorizzazione  all'esercizio  non  viene  concessa  nel  caso  di
ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento  metri,  misurati
per la distanza  pedonale  piu'  breve,  da  istituti  scolastici  di
qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri
giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente
da giovani o strutture residenziali o  semiresidenziali  operanti  in
ambito  sanitario  o  socio-assistenziale   e,   inoltre,   strutture
ricettive per categorie protette» (corsivi aggiunti). La presenza del
secondo «non» appare priva di qualunque significato coerente  con  la
ratio legis. 
    E' chiaro quindi che quanto disposto dall'impugnato art. 45 si e'
reso necessario al fine di assicurare l'osservanza  di  una  distanza
minima di sicurezza dai  luoghi  ritenuti  sensibili.  L'accoglimento
della questione nei termini richiesti dal ricorrente  avrebbe  invece
l'effetto aberrante di vanificare la tutela che la previsione di  una
zona minima di distanza intende assicurare. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di legittimita'  costituzionale  promosse  con  il  ricorso
indicato in epigrafe; 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt.  23,  26,
commi 3 e  4,  primo  periodo,  nel  testo  originario  e  in  quello
sostituito  dall'art.  73,  comma  2,  della  legge   della   Regione
Basilicata 29 giugno 2018, n. 11 (Collegato alla Legge di  stabilita'
regionale 2018),  30,  comma  2,  e  33  della  legge  della  Regione
Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di  Stabilita'
regionale 2017); 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  23  della
legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2017, n. 39  (Disposizioni
in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari  settori  di
intervento della Regione Basilicata),  come  modificato  dall'art.  1
della legge della Regione Basilicata 29 gennaio 2018, n. 1  (Modifica
ed integrazione all'articolo 23 della  legge  regionale  30  dicembre
2017, n. 39); 
    3)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 45 della legge reg.  Basilicata
n. 19 del 2017, promossa, in riferimento all'art. 117, secondo comma,
lettera h), della Costituzione,  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con il ricorso in epigrafe; 
    4) dichiara estinto il processo limitatamente alla  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 2, della  legge  reg.
Basilicata n. 19 del 2017, promossa,  in  riferimento  all'art.  117,
terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con  il
ricorso in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA