N. 130 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 maggio 2019
Ordinanza del 9 maggio 2019 del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di T. R. . Reati e pene - Reato di rapina impropria - Trattamento sanzionatorio. - Codice penale, art. 628, comma secondo.(GU n.37 del 11-9-2019 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO Sezione Terza penale Il giudice, dott. Paolo Gallo, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa penale contro T. R. , nato il ... a Torino, elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. presso il difensore di fiducia, avv. Sonia Maria Cocca del Foro di Torino, libero presente, imputato del reato di cui all'art. 628, comma 2 codice penale perche', immediatamente dopo aver sottratto due bottiglie di liquore dall'esercizio commerciale «...» di Torino, via ... usava violenza e minaccia al fine di assicurarsi il possesso dei beni e l'impunita'. Torino, 24 aprile 2019. Recidivo specifico. Verso le ore 17,10 del 24 aprile 2019 l'odierno imputato entro' nel supermercato «...» di Torino, via ... Giunto nel reparto alcolici, prese due bottiglie di liquori, le nascose all'interno del giubbotto che indossava e si avvio' verso le casse (per queste notizie, e quelle che seguono, si veda il verbale di arresto in data 24 aprile 2019). Attraverso le telecamere a circuito chiuso installate nell'esercizio, pero', una dipendente del supermercato (tale S. C. ) aveva osservato l'intera sequenza, e percio' si avvicino' all'imputato contestandogli cio' che aveva veduto. Il T. , senza ammettere alcunche', continuo' a camminare verso l'uscita e venne lasciato infine indisturbato dalla dipendente, la quale era rimasta in qualche modo intimorita dal suo atteggiamento (dal verbale di s.i. a firma della donna non emerge peraltro che in questa fase il T. abbia usato violenza o minaccia). Subito dopo, pero', il T. fu affrontato da un uomo di colore, il nigeriano I. J. (descritto negli atti di P.G. come un «cliente» del supermercato, ma indicato dall'imputato - piu' credibilmente - come un soggetto che stazionava all'uscita dell'esercizio per aiutare la clientela e riceverne qualche obolo): questi cerco' di impedire l'uscita del T., ma l'imputato «con spintoni e strattonamenti riusciva a divincolarsi e darsi alla fuga con due bottiglie di alcolici» (cosi', testualmente, il verbale a firma del predetto). Il T. venne infine raggiunto, pochi secondi piu' tardi, dal personale di sorveglianza del supermercato, che recupero' le due bottiglie e convinse l'imputato ad attendere l'arrivo del personale di polizia di stato. Infine gli agenti della Questura di Torino, sopraggiunti dopo una decina di minuti, redassero verbale di arresto in flagranza del T. per il delitto di rapina impropria. T. R. e' stato cosi' presentato in udienza per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo, nel corso del quale ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato. All'odierna udienza le parti hanno discusso la causa. Prima di emettere la sua decisione questo giudice ritiene necessario il pronunciamento della Corte costituzionale sulla compatibilita' della norma di cui all'art. 628, comma 2, codice penale con i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale. Va brevemente premesso - per quanto attiene alla rilevanza della questione qui proposta - che alla stregua dei verbali sopra riportati, che non v'e' ragione di reputare inveritieri, i fatti si sono verificati in maniera pienamente conforme al paradigma normativo dell'art. 628, comma 2 codice penale: pochi secondi dopo aver sottratto due bottiglie di liquore, e quando non era ancora uscito dal supermercato, il T. spinse e strattono' il nigeriano I. per allontanarsi, e cosi' assicurarsi il possesso delle bottiglie e sfuggire all'identificazione. Per quanto modesta possa essere stata la violenza adoperata (l'I. ha parlato solo di spinte e strattoni, senza percosse ne' tantomeno lesioni), essa va ritenuta pur sempre sufficiente a integrare il delitto contestato, e cio' alla luce della giurisprudenza di legittimita' che ancora di recente ha affermato: «La violenza necessaria per l'integrazione dell'elemento materiale della rapina puo' consistere anche in una spinta o in un semplice urto» (C. cassazione, Sez. 2a, sentenza n. 3366 del 18 dicembre 2012 - 23 gennaio 2013, RV 255199). Sussistono dunque tutti gli elementi costitutivi del contestato reato di rapina impropria, e questo giudice dovrebbe determinare la sanzione irroganda (salva l'ovvia applicazione di eventuali attenuanti e della diminuente conseguente al rito processuale adottato) all'interno della cornice edittale di cui all'art. 628, comma 1, codice penale, le cui sanzioni sono richiamate, in maniera «automatica», dal comma 2. E' noto che da sin da epoca remota la dottrina dubita della ragionevolezza della stessa esistenza del delitto di rapina impropria come figura autonoma di «reato complesso» (art. 84 c.p.) che si sostituisce ai reati di furto e violenza privata. Ha suscitato critiche, in particolare, l'identita' di trattamento sanzionatorio per due fattispecie - la rapina propria e quella impropria - che sia nella coscienza comune, sia nell'analisi criminologica, sono avvertite come assai diverse tra loro, e connotate da differenti gradi di disvalore. Queste perplessita' sono oggi accresciute dal recente inasprimento del trattamento sanzionatorio introdotto con la legge n. 103 del 23 giugno 2017, la quale ha portato il minimo edittale della pena detentiva di cui all'art. 628, comma 1, codice penale ad anni quattro di reclusione, ma nulla ha innovato per quanto concerne il comma 2 e l'«effetto di trascinamento» che esso prevede. Il descritto assetto normativo, a sommesso avviso di chi scrive, presenta alcuni «punti di frizione» con i valori costituzionali. a) Violazione dell'art. 3 Cost. La violazione del principio di uguaglianza puo' essere bene apprezzata ove si considerino i diversi modi in cui puo' atteggiarsi il rapporto tra l'aggressione al patrimonio (=sottrazione di cosa mobile altrui) e l'aggressione alla persona (=violenza o minaccia): al comma 1 dell'art. 628 del codice penale (rapina propria) la legge prevede, e punisce con pene giustamente severe, la situazione in cui la violenza precede la sottrazione della cosa altrui: il rigore del legislatore e' qui pienamente giustificato perche' colpisce un soggetto che ha dolosamente premeditato, come strumento fondamentale della sua azione delittuosa, l'aggressione all'incolumita' fisica altrui. Il delitto di rapina propria si connota dunque, quanto all'elemento oggettivo, per il ruolo fondamentale, centrale, primario dell'aggressione alla persona, la quale costituisce il primo approccio dell'agente alla vittima; quanto all'atteggiamento psicologico si connota per un allarmante atteggiamento della volonta', che non esita a progettare l'uso della violenza alla persona a fini patrimoniali. nel comma 2 la situazione di fatto e' profondamente diversa: qui l'agente ha deciso di perseguire la finalita' di illecito arricchimento in maniera non violenta, ma per cosi' dire, clandestina («furtiva», appunto); l'uso della violenza o minaccia, scartato come prima opzione, si verifica quando, immediatamente dopo la sottrazione, il ladro viene scoperto (sia il fine di assicurare il possesso della refurtiva, sia quello di conseguire l'impunita', presuppongono necessariamente che taluno si sia accorto della condotta furtiva in atto): ecco allora che l'uso della violenza o minaccia, escluso in prima istanza dall'agente, viene per cosi' dire innescato dalla reazione della vittima o di terzi che intervengano in suo ausilio (per lo piu', ma non necessariamente, la forza pubblica): a quel punto puo' succedere che la tensione istintiva alla liberta' induca a condotte violente che in origine si erano volute evitare. In sintesi, il fatto che la violenza segua alla sottrazione, e non la preceda, non sembra poter essere considerato irrilevante dal punto di vista criminologico: esso demarca una diversa e meno grave struttura oggettiva del reato e un diverso atteggiamento soggettivo quanto a intensita' del dolo e capacita' a delinquere. Ad avviso di chi scrive, pertanto, la piena equiparazione delle due situazioni sul piano della «risposta» dell'ordinamento penale costituisce una parificazione arbitraria, che non tiene conto del diverso disvalore delle due condotte esaminate. la disposizione dell'art. 628, comma 2 del codice penale, oltre ad equiparare ingiustamente situazioni di fatto diverse, rivela una ulteriore disparita' di trattamento laddove la situazione dell'autore di una rapina impropria - cioe' colui che usa violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione - sia raffrontata con quella di chi commetta dapprima un furto e poi, dopo un tempo apprezzabile, usi violenza per conservare la cosa sottratta e/o conseguire l'impunita': e' il caso, comune nella prassi, del ladro d'auto che, guidando l'auto da lui rubata qualche ora prima, forzi un posto di blocco. In quest'ultimo caso la contestazione del reato di rapina e' assolutamente preclusa perche' manca la successione immediata fra sottrazione e violenza, e il reo si vedra' contestare i meno gravi delitti di furto e resistenza a P.U. La differenza tra le due situazioni risiede unicamente in un problematico elemento temporale: nel primo caso la violenza e' esercitata «immediatamente dopo» la sottrazione, nel secondo e' commessa dopo il trascorrere di un tempo piu' lungo. La prassi giudiziaria mostra cosi' continue discussioni tra difesa e accusa, rispettivamente impegnate a dimostrare la lunghezza di un certo intervallo temporale ovvero, al contrario, la sua brevita' (o - in alternativa - che quell'intervallo sia stato occupato da un continuo inseguimento). Ad avviso di chi scrive occorre invece affrontare una questione diversa: e' ragionevole la disparita' di trattamento dell'autore di un furto a seconda che egli - ceteris paribus - usi violenza immediatamente dopo la sottrazione ovvero a distanza di un maggior tempo da essa? Che differenza v'e' tra la condotta del ladro di una bicicletta che si divincoli dal proprietario intervenuto subito dopo la sottrazione, e quella del medesimo ladro che si divincoli nello stesso modo essendosi casualmente imbattuto nel proprietario qualche ora dopo? Il diverso trattamento giuridico rispecchia una reale differenza - sul piano criminologico o, se si vuole, assiologico - tra le due situazioni di fatto? Chi scrive ha cercato, nella produzione dottrinale e giurisprudenziale, una riflessione che tenti di spiegare in qualche modo la maggior gravita' - postulata dal legislatore - della prima ipotesi rispetto alla seconda; ma si e' trattato di ricerca vana, a cominciare dal fondamentale trattato del Manzini. Pare a questo giudice che la maggiore o minore distanza cronologica tra la sottrazione e l'uso della violenza sia un aspetto totalmente irrilevante sotto il profilo della gravita' della condotta: in entrambi i casi si hanno un attacco al patrimonio e un attacco alla persona di eguale gravita' sia sul piano oggettivo che soggettivo. La disposizione dell'art. 628, comma 2 codice penale sembra dunque in contrasto con l'art. 3 Cost. anche perche' tratta in maniera diversa situazioni di fatto che sul piano della condotta, del dolo, del pregiudizio alle vittime e di ogni altro aspetto penalmente significativo sono identiche. Questa lamentata disparita' di trattamento sancita dall'art. 628, comma 2 del codice penale, in raffronto con la disciplina applicabile quando la violenza non segue immediatamente alla sottrazione, concerne aspetti normativi che a loro volta involgono principi di natura costituzionale, e si traduce percio' nella lesione di altri principi costituzionali fondamentali. b) Violazione dell'art. 25, comma 2 Cost. Come e' noto, con il suo espresso richiamo al «fatto commesso» l'art. 25, comma 2 della nostra Carta costituzionale ha inteso riconoscere rilievo fondamentale, a fini punitivi, all'azione delittuosa per il suo obiettivo disvalore. Ne discende la costituzionalizzazione del «principio di offensivita'», che implica la necessita' di un trattamento penale differenziato per fatti diversi e, a monte, la necessita' di distinguere, in sede di redazione delle norme penali incriminatrici, i vari fenomeni delittuosi per le loro oggettive caratteristiche di lesivita' o pericolosita'. L'attuale disciplina giuridica della situazione in cui taluno debba rispondere di un furto, e di una violenza privata (o resistenza a P.U.) commessa non immediatamente dopo al fine di conseguire il possesso della refurtiva o l'impunita', e' palesemente rispettosa di questo principio. Per il furto e' prevista infatti una pena minima edittale di sei mesi di reclusione piu' multa, che si eleva nelle specifiche ipotesi di cui all'art. 624-bis del codice penale e che puo' eventualmente subire l'incidenza delle numerose aggravanti di cui all'art. 625 del codice penale e del giudizio di comparazione con eventuali attenuanti. Per quanto attiene alla violenza che segue alla sottrazione, l'art. 610 del codice penale consente di graduare la pena detentiva da quindici giorni fino a quattro anni, mentre l'art. 337 del codice penale (ove la vittima della violenza sia un pubblico ufficiale) prevede pene da sei mesi a cinque anni di reclusione. A tutto questo si aggiunge la disciplina del cumulo giuridico previsto dall'art. 81 del codice penale. Esiste dunque un corpus di disposizioni assai dettagliate ed evolute che consentono di ragguagliare la sanzione all'effettiva gravita' del fatto concreto in tutte le sue sfaccettature. La disposizione di cui all'art. 628, comma 2 del codice penale, invece, si caratterizza per una vistosa indifferenza rispetto alle caratteristiche concrete del fatto: qualunque sottrazione, quando sia immediatamente seguita da violenza o minaccia, ancorche' lievi, e' reputata dal legislatore meritevole di almeno quattro anni di reclusione. Alla stregua dell'art. 628, comma 2 del codice penale, se un tentativo di furto e' seguito da un atto violento o minatorio tutte le sopra elencate particolarita' vengono «azzerate», e non v'e' piu' differenza, ad esempio, se la violenza segue al furto di una costosa autovettura commesso con effrazione sulla pubblica via, ovvero segue al furto semplice di due bottiglie di liquore in un supermercato. La disposizione in esame, in altre parole, si rivela una disposizione «rozza» in cui tutto viene sacrificato sull'altare della «esemplarita'» sanzionatoria. c) Violazione dell'art. 27 Cost. Viene in rilievo particolarmente il comma 2, secondo cui «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato». La formulazione della norma, come e' noto, richiama e costituzionalizza il principio di proporzionalita' della pena (nelle sue due funzioni retributiva e rieducativa), perche' una pena sproporzionata alla gravita' del reato commesso da un lato non puo' correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalita' violata, dall'altro non potra' mai essere sentita dal condannato come rieducatrice: essa gli apparira' solo come brutale e irragionevole vendetta dello stato, suscitatrice di ulteriori istinti antisociali. Ad avviso di chi scrive l'inflizione di quattro anni di reclusione piu' multa per la sottrazione di due bottiglie di liquore seguite da qualche strattone non puo' essere considerata una risposta sanzionatoria proporzionata. Cio' risulta particolarmente vero ove si raffronti la condizione dell'autore di una rapina impropria - ancora una volta - da un lato con quella dell'autore di una rapina propria (che cioe' ha consapevolmente scelto ab initio di usare violenza alla persona), dall'altro con la condizione di chi abbia usato violenza alla persona in un momento non immediatamente seguente alla sottrazione, e che percio' rispondera' di furto e violenza privata. Va a questo punto chiarito quale sia l'auspicato intervento della Corte costituzionale. Le considerazioni sopra svolte rendono evidente come, ad avviso di chi scrive, il nostro ordinamento penale non abbia alcun bisogno della disposizione dell'art. 628, comma 2 del codice penale: le norme che disciplinano le varie ipotesi di furto (consumato o tentato, semplice o aggravato) consentono una repressione penale adeguata alle caratteristiche delle diverse condotte predatorie possibili, mentre le disposizioni in tema di violenza e minaccia come strumento di coazione dell'altrui volonta' (articoli 610 e 337 c.p.) consentono parimenti un'adeguata repressione della successiva condotta violenta del ladro, sia che essa segua immediatamente alla sottrazione, sia che sia attuata dopo un tempo piu' lungo. Ove si obietti che questa soluzione comporterebbe un indebolimento della risposta dello stato al delitto, va osservato che la stragrande maggioranza dei processi per rapina impropria concerne, come e' noto a chi amministra da tempo la giustizia penale, episodi di modestissima gravita', rispetto ai quali la sanzione minima di quattro anni di reclusione appare vistosamente sproporzionata, mentre per i pochi episodi di piu' elevato allarme sociale la prudente applicazione giudiziale delle norme sopra citate, e un consapevole governo dei criteri di determinazione della pena di cui all'art. 133 codice penale, assicurano comunque un trattamento sanzionatorio equo. Questo giudice chiede pertanto che la Corte costituzionale voglia condividere i rilievi di incostituzionalita' sopra esposti e dichiarare sic et simpliciter l'illegittimita' costituzionale dell'art. 628, comma 2 codice penale, fermi restando tutti i rimanenti commi del medesimo articolo, cosi' rendendo applicabili, a quelle ipotesi che attualmente si configurano come casi di «rapina impropria», le disposizioni di cui agli articoli da 624 a 626 del codice penale e agli articoli 610 e 337 del codice penale.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 628, comma 2 del codice penale; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale; Sospende il processo sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Torino, 9 maggio 2019 Il Giudice: Gallo