N. 156 ORDINANZA 21 - 29 maggio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza  -  Cassa  di  previdenza degli avvocati e
 procuratori -  Assoggettamento  ad  IVA  del  contributo  integrativo
 dovuto  - Esigenza di una corretta interpretazione della normativa in
 materia da parte del giudice rimettente - Carenza di  valutazione  di
 un   aspetto   della  questione  attinente  alla  sua  non  manifesta
 infondatezza - Difetto di motivazione - Manifesta inammissibilita'.
 
 (D.-L.  23  febbraio  1995,  n.  41,   art.   16,   convertito,   con
 modificazioni, nella legge 22 marzo 1995, n. 85).
 
 (Cost., art. 3, primo comma).
 
(GU n.23 del 4-6-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Guido NEPPI  MODONA,    prof.
 Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.-l.
 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure  urgenti  per  il  risanamento  della
 finanza   pubblica   e   per   l'occupazione  nelle  aree  depresse),
 convertito, con modificazioni, nella legge  22  marzo  1995,  n.  85,
 promosso  con ordinanza emessa il 12 gennaio 1996 dal giudice di pace
 di Modena nel procedimento civile vertente tra Rosario Perri e  Rocco
 Filardi,  iscritta al n. 430 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  20,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1996.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  12  marzo  1997  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
   Ritenuto  che il giudice di pace di Modena, nel procedimento civile
 vertente tra Rosario Perri e Rocco Filardi - per il mancato pagamento
 ad opera di quest'ultimo della parte di IVA calcolata sul  contributo
 integrativo   dovuto  alla  Cassa  di  previdenza  degli  avvocati  e
 procuratori, in relazione ad alcune fatture emesse  a  suo  carico  a
 seguito  di  prestazioni  professionali  effettuate  dal  primo  - ha
 sollevato, in riferimento all'art.3, primo comma, della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.16  del  d.-l.  23
 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza
 pubblica  e  per  l'occupazione nelle aree depresse), convertito, con
 modificazioni, nella legge 22 marzo 1995, n. 85, nella parte  in  cui
 "assoggetta  ad  IVA  il  contributo integrativo dovuto alla Cassa di
 previdenza degli avvocati e procuratori, previsto dall'art. 11  della
 legge 20 settembre 1980, n. 576";
     che  l'art.  1  del  d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  633, prevede
 l'applicazione  dell'IVA  sulle  somme   percepite   a   seguito   di
 prestazioni di servizi effettuate nell'esercizio di professioni e che
 l'art.  11  della  legge  20  settembre  1980,  n.  576  e successive
 modificazioni rende obbligatoria per gli iscritti  alla  Cassa  degli
 avvocati   e   procuratori   l'applicazione   di   una  maggiorazione
 percentuale,  da  versare  alla  Cassa,  su  tutti  i   corrispettivi
 assoggettabili  all'IVA,  disponendo  altresi', all'ultimo comma, che
 tale  contributo   non   concorre   alla   formazione   del   reddito
 professionale  e  che non e' assoggettabile all'IVA e all'imposta sul
 reddito delle persone fisiche;
     che la norma censurata prevede, invece, l'assoggettamento ad  IVA
 di tali maggiorazioni, pur aggiungendo che esse "non rilevano ai fini
 della  determinazione del predetto contributo integrativo" e, quindi,
 non concorrono alla formazione del reddito, cosi' sottoponendo ad IVA
 un'entita' monetaria che non rientra nella base imponibile e che puo'
 altresi' non essere stata acquisita dal contribuente;
     che, d'altra parte, anche la sentenza della  Corte  di  giustizia
 delle   comunita'   europee  7  maggio  1992  (in  causa  C-347/1990)
 evidenzierebbe, ad avviso del giudice rimettente, che  il  contributo
 integrativo  in  questione  non  puo' essere assoggettato ad IVA, non
 concorrendo a formare la base imponibile  sulla  quale  tale  imposta
 deve calcolarsi;
     che tale contributo non necessariamente ha funzione previdenziale
 nei  confronti del singolo contribuente, in quanto non e' computabile
 a fini pensionistici ne' ripetibile da parte di chi lo ha versato  in
 caso  di mancata maturazione del diritto a pensione, e "assoggettarlo
 ad IVA appare discriminante nei confronti  di  alcune  entrate  degli
 iscritti  alla  Cassa  degli  avvocati  e  procuratori,  in quanto un
 trattamento analogo non e' riservato a tutte le categorie  di  liberi
 professionisti,  ne'  a  tutti  coloro  che forniscono servizi dietro
 corrispettivo, e neppure a tutti i servizi forniti dagli  avvocati  e
 procuratori";
     che,   inoltre,  l'appartenenza  dell'Italia  all'Unione  europea
 impone il  pieno  rispetto  delle  direttive  comunitarie,  e,  nella
 specie,  dell'art.  33 della VI direttiva del Consiglio del 17 maggio
 1977, n. 77/388/CEE, che fa espresso divieto  della  introduzione  di
 imposizioni  fiscali che abbiano "il carattere di imposta sulla cifra
 d'affari", in quanto il sistema comunitario dell'IVA deve avere  come
 fondamento una base imponibile omogenea in tutti gli Stati membri, al
 fine di armonizzare il valore finale di un bene e il valore monetario
 di un servizio;
     che  nel  giudizio  cosi' instaurato e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei Ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  precisando  che  la norma impugnata - che ha
 tacitamente abrogato l'ultimo comma dell'art.11 della  legge  n.  576
 del  1980  -  riguarda tutti i professionisti e tutti i corrispettivi
 percepiti sotto ogni forma di organizzazione o associazione,  e  che,
 quanto alla asserita violazione delle norme comunitarie, a parte ogni
 rilievo  sulla  deducibilita' in questa sede, la norma sospettata non
 introduce una imposta sulla cifra  di  affari  diversa  dall'IVA,  ma
 regola  semplicemente  la definizione della base imponibile dell'IVA,
 in ottemperanza agli inviti in tal senso formulati dalla  Commissione
 dell'Unione  europea,  proprio  per adeguare il sistema italiano alla
 citata direttiva comunitaria, la quale prevede all'art.11, A 2 a) che
 nella base imponibile dell'IVA vanno ricomprese imposte, dazi,  tasse
 e   prelievi,   con  esclusione  soltanto  della  stessa  IVA,  donde
 l'infondatezza della questione.
   Considerato che il giudice rimettente, pur  richiamando  l'art.  33
 della  VI  direttiva  del  Consiglio  delle  comunita' europee del 17
 maggio 1977,  n.  77/388/CEE  "in  materia  di  armonizzazione  delle
 legislazioni  degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
 affari  -  Sistema  comune  di  imposta  sul  valore  aggiunto:  base
 imponibile  uniforme",  ne ignora tuttavia l'art. 11, A 2 a) il quale
 stabilisce  che  nella  base  imponibile  si  devono  comprendere  le
 "imposte,  i  dazi,  le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa
 imposta sul valore aggiunto";
     che tale ultima disposizione stabilisce un criterio comune per la
 determinazione  della  base  imponibile   dell'imposta   sul   valore
 aggiunto,  base imponibile che - secondo il preambolo della direttiva
 medesima - "deve essere  armonizzata  affinche'  l'applicazione  alle
 operazioni  imponibili  dell'aliquota comunitaria conduca a risultati
 comparabili in tutti gli Stati membri";
     che l'assoggettamento ad IVA del  contributo  integrativo  dovuto
 alla  cassa  di  previdenza e di assistenza, previsto dal citato art.
 16 impugnato, e' tale da porre il problema della sua riconducibilita'
 alla norma dell'art. 11, A 2 a) della direttiva anzidetta,  cosicche'
 dalla  interpretazione  di  essa  dipende  la corretta prospettazione
 della questione;
     che la mancata considerazione da parte del giudice rimettente  di
 tale  elemento  normativo  e della sua incidenza sulla configurazione
 della  questione  di  costituzionalita'  si  traduce  in   un   vizio
 dell'ordinanza  introduttiva  del presente giudizio, sotto il profilo
 della  carente  valutazione  di  un  aspetto   della   questione   di
 legittimita'   costituzionale   attinente  alla  sua  "non  manifesta
 infondatezza";
     che a tale carenza puo' ovviarsi esclusivamente a iniziativa  del
 giudice rimettente;
     che dunque la proposta questione di costituzionalita', risultando
 priva di motivazione in ordine a un aspetto relativo all'esistenza di
 uno  dei requisiti di ammissibilita' previsti dall'art. 1 della legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dall'art. 23  della  legge  11
 marzo   1953,   n.   87,   deve   essere   dichiarata  manifestamente
 inammissibile.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 16 del d.-l. 23 febbraio 1995,
 n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per
 l'occupazione nelle aree depresse),  convertito,  con  modificazioni,
 nella  legge 22 marzo 1995, n. 85, sollevata, in riferimento all'art.
 3, primo comma, della Costituzione, dal giudice di pace di Modena con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1997.
                         Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 29 maggio 1997.
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
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