N. 44 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 1997
N. 44 Ordinanza emessa il 10 ottobre 1997 dalla pretura di Ancona, sezione distaccata di Fabriano nel procedimento penale a carico di Villani Anna ed altra Processo penale - Dibattimento - Legittimo impedimento a comparire del difensore (nella specie: a causa di evento sismico) - Lamentata previsione indifferenziata di rinvio o sospensione del dibattimento - Irragionevolezza del previsto rinvio nel presupposto interpretativo che l'eliminazione dell'inciso "o rinvia" renderebbe la disposizione riconducibile ai casi di sospensione della prescrizione di cui all'art. 159 del c.p. - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale - Lesione del principio di buon andamento della amministrazione della giustizia. (C.P.P 1988, art. 486, commi 1 e 3). (Cost., artt. 3 e 112).(GU n.6 del 11-2-1998 )
IL PRETORE Letti gli atti del procedimento penale n. 30087/97, r.g. mod. 23, n. 3555/94 r.n.r., a carico di Villani Anna e Tomassini Chiara, ha emesso la seguente ordinanza. Con istanza tempestivamente depositata in cancelleria, il difensore della Tomassini evidenziava i gravi disagi alla sua assistita ed al difensore stesso provocati dal grave evento sismico iniziato il 26 settembre 1997, con effetti peraltro non ancora conclusisi. Chiedeva pertanto rinvio dell'udienza disposta per il 10 ottobre 1997, nella quale il difensore nominato ex art. 97, comma 4, insisteva nell'istanza. Costituisce fatto notorio lo stato di grave precarieta' ed eccezionalita' provocato dal sisma sopra ricordato sia in Fabriano sia in Gualdo Tadino (ove si trova l'imputata ed il suo difensore). E' altrettanto chiaro che lo stato di cui sopra costitisce una causa di legittimo impedimento sia dell'imputata, ai sensi del comma 1 e 3 dell'art. 486 c.p.p., sia del suo difensore, ai sensi del comma 5 dello stesso articolo. Si pone pero' il problema del termine di prescrizione del reato, con particolare riferimento alla contravvenzione, tra l'altro contestata alla Tomassini. In assenza di una norma specifica, tale termine di prescrizione continuerebbe a decorrere, necessariamente per tutto il periodo di durata del legittimo impedimento, che si preannuncia non breve. Vero e' che, in tutte le occasioni di terremoti della portata di quello sofferto dalle Marche e dall'Umbria, sono state emanate leggi eccezionali che dispongono la sospensione dei termini di prescrizione per l'esercizio dei diritti. Ma, a parte il fatto che tale legge eccezionale non e' stata emanata, ne' si conoscono i termini in cui verra' redatta, va osservato che la sospensione del termine di prescrizione relativo all'esercizio di diritto - che si legge come una sorta di stilema in tutti i provvedimenti legislativi riguardanti le "provvidenze" a favore di zone terremotate - riguarda certamente i diritti soggettivi dei privati, ma e' assai dubbio possa applicarsi, in assenza di esplicita previsione, all'azione penale, che costituisce esercizio del c.d. potere punitivo dello Stato, insuscettibile di esprimersi in termini di "esercizio di un diritto", com'e' proprio dei rapporti intersoggettivi. Molto spesso la Corte costituzionale e' venuta ad occuparsi sia della sospensione che dell'interruzione della prescrizione, in riferimento ad ipotesi denunciate dai giudici di merito. Numerosi sono i provvedimenti di reiezione di tali questioni, sia con sentenze, sia, piu' spesso con ordinanze di manifesta inammissibilita', sempre sul presupposto che non e' possibile una pronuncia additiva (per di piu' in malam partem) che introduca un nuovo caso di sospensione o interruzione del corso della prescrizione del reato, essendo questa una scelta che appartiene alla sfera insindacabile e discrezionale del legislatore. Va subito detto, in punto di rilevanza della questione che si intende prospettare, che non puo', ad avviso di questo pretore, costituire un precedente rilevante nella fattispecie l'ordinanza della Corte n. 115 del 28 aprile 1983, la quale fa perno sul difetto di rilevanza, prospettandosi la prescrizione come astratta ed ipotetica. Il quadro normativo attuale prevede invece pericoli ben concreti di prescrizione, sopratutto nei successivi gradi di giudizio, e cio' e' un dato innegabile, ne' ascrivibile, se non in minima parte, ad un lassismo degli organi giudiziari ovvero a posizioni strumentali dei difensori. Si fronteggiano da un lato le esigenze che i processi vengano celebrati in termini ragionevoli, dall'altro il diritto alla difesa dell'imputato, "legittimamente impedito" ad una idonea difesa per cause rientranti nella sua sfera ovvero in quella del suo difensore. Terreno di frequente elaborazione concettuale, al riguardo, e' stato quello dello "sciopero" degli avvocati. Assai indicativa, addirittura piu' che per la statuizione in se' per le implicazioni che necessariamente comporta, Cass., sez. VI, 17 dicembre 1992-5 luglio 1993, imp. Montapuoli. Testualmente: "... la corte di merito ha legittimamente applicato il principio del bilanciamento di interessi, posti dall'ordinamento a base dei diritti di tutela processuale nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, dando prevalenza a quello dello Stato, diretto ad evitare l'estinzione del reato per prescrizione, rispetto a quello del difensore dell'imputato, concernente il pur legittimo esercizio dei diritti personali di liberta' indicati nel ricorso, in particolare di quello di astenersi dal partecipare alle udienze . La ragione che giustifica tale scelta va rinvenuta nella concreta possibilita' di alternativa, rispetto allo svolgimento della difesa di fiducia dell'imputato .. .mediante l'istituto della difesa d'ufficio, a fronte della impossibilita' di sospensione del corso della prescrizione del reato, limitata ai casi tassativamente indicati nell'art. 159 c.p., ed in mancanza di eguale previsione per il caso di esercizio del diritto di sciopero da parte del difensore dell'imputato, nella forma dell'astensione dalle udienze, che pure costituirebbe una apprezzabile eccezione alla regola generale (artt. 157 e 160 c.p.) se il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere discrezionale di valutazione comparata degli interessi generali, intendesse introdurla". Piu' che di bilanciamento, in realta', appare trattarsi di due principi in tensione non sanabile, cosicche' prevale l'uno e l'altro viene sacrificato, a seconda delle ipotesi. In particolare, pare avallata un'intepretazione dell'art. 486 c.p.p. che presuppone una sorta di gerarchia nell'ambito della piu' generale nozione di "legittimo impedimento": cosa sarebbe avvenuto, ad esempio, nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, laddove l'imputato o il suo difensore fossero ammalati in maniera tale da non poter presenziare all'udienza? La risposta appare evidente, nel senso che in tal caso l'art. 486 c.p.p. avrebbe precluso comunque la trattazione del processo. E dunque, sembra, che in alcune ipotesi, si avrebbe una sorta di impedimento assoluto, in altre ipotesi l'impedimento non sarebbe cosi' grave da non essere comparativamente valutato (o, in termini piu' brutali, da dover cedere il passo) rispetto alle esigenze di un celere svolgimento del processo. Peraltro appare assolutamente inesatto presupporre, sia pure in via implicita, questa sorta di gerarchia nell'ambito degli impedimenti di cui all'art. 486 c.p.p., cosi' come non convince il riferimento concettuale ad una sorta di composizione fra le contrapposte istanze, quelle relative al potere punitivo dello Stato e quelle relative all'effettiva possibilita' del diritto di difesa. Quanto al primo punto, notiamo che il primo comma dell'art. 486 c.p.p. parla di "assoluta impossibilita' a comparire". Tale impossibilita' a comparire e' - sintatticamente ancor prima che logicamente - legata a caso fortuito, forza maggiore, altro legittimo impedimento. Che non vi sia alcuna gerarchia tra le tre ipotesi e' anche confermata dal comma 5, il quale, relativamente al difensore, si limita a parlare di "assoluta impossibilita' di comparire per legittimo impedimento", laddove e' lapalissiano che il legittimo impedimento, a fortiori, non puo' non ricomprendere anche il caso fortuito e la forza maggiore operanti nella sfera del difensore. D'altro canto il giudice dispone della c.d. discrezionalita' tecnica, per cui deve valutare nel merito se sussistono o meno le condizioni di legge per il legittimo impedimento, ma non puo' stabilire l'opportunita' di valutare la gravita' del legittimo impedimento e, conseguentemente, decidere se trattare o meno il processo. ln altre parole, il legittimo impedimento dell'imputato o del suo difensore c'e' o non c'e', una volta stabilito che vi sia, non puo' mai il giudice "affievolire" il diritto di difesa sotteso all'impedimento quando vi sia un interesse "piu' forte" e quindi capace di "degradare" l'interesse contrapposto (prendendo in prestito una immagine del diritto amministrativo). Ma anche nella specifica motivazione alla base della soccombenza del diritto di difesa di fronte al diritto (rectius, potesta' punitiva) statuale, non puo' affatto condividersi l'affermazione secondo cui la difesa, non esercitata dal difensore di fiducia, sarebbe comunque garantita dal difensore d'ufficio. Tale difensore, necessariamente nominato ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p., avrebbe pur sempre diritto al termine a difesa che presumibilmente chiederebbe, proprio stante la situazione d'impedimento del collega: infatti non e' accettabile l'interpretazione propugnata da taluno, secondo la quale al difensore nominato ex art. 97, comma 4 c.p.p. non si applicherebbe l'art. 108 c.p.p. e cio' sia perche' tale interpretazione e' smentita dal dato letterale (l'art. 108 c.p.p. parla di "nuovo difensore dell'imputato ... designato in sostituzione", l'art. 97, comma 4 prevede che "il giudice o il pubblico ministero designa come sostituto, altro difensore immediatamente reperibile"; cfr. anche, sull'applicabilita' a tale particolare sostituto, dell'art. 102 c.p.p., Cass., sez. I, n. 3296 dell'8 ottobre 1991) sia, e sopratutto, perche' il nuovo codice ha cercato di perseguire l'effettivita' della difesa anche del difensore nominato d'ufficio, con poteri e facolta' sostanzialmente uguali a quelli del difensore di fiducia. Pertanto non e' affatto assicurata quella pronta celebrazione del dibattimento, idonea ad evitare la prescrizione, laddove la difesa sia affidata al difensore d'ufficio, perche' quest'ultimo, ex art. 108 c.p.p. potrebbe (e verosimilmente lo fara') chiedere il termine a difesa, con conseguente spostamento dell'udienza. L'effettivo contemperamento dei due valori costituzionali di cui si sta discutendo sarebbe invece assicurato dalla sospensione del corso della prescrizione del reato nel caso di impedimenti ex art. 486 c.pp. Dal ragionamento sopra fatto, e' evidente che, nel caso tale contemperamento non possa raggiungersi, dovrebbe sempre essere assicurato il diritto di (effettiva) difesa, ma e' altrettanto evidente che la possibilita' di esercizio dell'azione penale verrebbe nel concreto vanificata dal decorso del termine di prescrizione, dovendosi pertanto sacrificare uno dei due valori di rilievo costituzionale (scegliere il minore dei mali). Il risultato e' comunque inaccettabile, perche' la certezza del diritto e la tutela del bene giuridico, oggetto della tutela penale, hanno particolare rilievo costituzionale. Ma, come sopra accennato, tale risultato si puo' raggiungere solamente attraverso una previsione legislativa, peraltro auspicata da piu' parti. Un'espressa previsione, cioe', che, nel caso in cui occorra necessariamente provvedere a differire la trattazione del processo per il legittimo impedimento dell'imputato e/o del suo difensore per non ledere il diritto di difesa, sia nel contempo assicurata l'effettivita' dell'esercizio del potere punitivo da parte dello Stato. A questo punto non puo' non riscontrarsi, a parere di questo giudice, una tendenza evolutiva, sullo specifico punto della prescrizione, della giurisprudenza della Corte costituzionale. Secondo una prospettiva che si potrebbe definire sanzionatoria rispetto a comportamenti strumentali, si segnala, in questo iter, la sentenza n. 10 del 9-23 gennaio 1997. E' importante notare che il giudice remittente aveva prospettato, in alternativa, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 37, comma 2 e 124, commi 1 e 2 del c.p.p., nella parte in cui non prevedono che, in caso di reiterazione della dichiarazione di ricusazione, il giudice potesse ugualmente emettere la sentenza, ovvero nella parte in cui era preclusa la sospensione dei termini di prescrizione dei reati per i quali si procedeva. La Corte dichiarava assorbita dalla dichiarazione di illegittimita' dell'art. 37, comma 2 la questione prospettata in tema di prescrizione, senza dunque entrare nel tema dell'inammissibilita' della questione. Ancora piu' importante appare la precedente sentenza n. 114 del 23-31 marzo 1994. A parte l'auspicata regolamentazione legislativa della questione, va sottolineato l'esame condotto dalla Corte dei rapporti fra l'art. 486 c.p.p. e la possibilita' di sospendere il processo. L'Avvocatura dello Stato aveva rimarcato la possibilita' secondo la quale l'art. 486 c.p.p., nella sua portata letterale, sembrava demandare al giudice la possibilita' di scelta tra sospensione o rinvio, potendosi quindi ravvisare nella possibile sospensione una di quelle cui fa riferimento il 1 comma dell'art. 159 c.p.p. La Corte non accoglieva tale interpretazione. In particolare, veniva osservato che ne' sotto la vigenza del codice abrogato ne' con riferimento al nuovo codice di rito, risultava essersi affermata in dottrina o in giurisprudenza una tesi interpretativa che avesse ricondotto le ipotesi di stasi dibattimentale dovute all'impedimento dell'imputato o del suo difensore nell'alveo del concetto di sospensione del procedimento penale. Occorre pero' osservare a questo punto: 1) E' sicuro che l'art. 486 c.p.p. incorre in una "disarmonia terminologica" laddove fa riferimento alla sospensione o al rinvio in maniera indifferenziata: su cio' la Corte costituzionale e' d'accordo. 2) Laddove il legislatore prevede che, in caso di legittimo impedimento, il giudice "sospende o rinvia" il dibattimento, tale espressione appare ridondante da un lato e di assai ardua comprensione dall'altro. E' evidente che, se sospensione e rinvio hanno un diverso significato, e non possono non averlo, il giudice, laddove si verifichi l'impedimento potra', secondo la portata letterale della norma, dalla quale non si puo' prescindere, sospendere o rinviare. Ma, se sospende, non rinvia, se rinvia, non sospende. Sospensione del dibattimento e rinvio sono sicuramente compatibili, come ci confermano l'art. 477 c.p.p. (che parla di "prosecuzione") e gli artt. 508 e 509 c.p.p. (che parlano di fissazione della data della nuova udienza), ma quello che cio' sta a significare e' semplicemente che anche nel caso di sospensione, la regola generale e' che la successiva udienza venga comunque prefissata. A fronte di tale assetto normativo, o l'espressione di cui sopra va intesa nello stesso senso di cui agli artt. 477, 508, 509 c.p.p. i quali non configurano altro che varie ipotesi di sospensione con rinvio ad udienza fissa, ovvero non ha alcun significato logico, non potendo certo i due termini corrispondere a concetti equivalenti. Cio' nonostante, i due termini, nei massimari, si trovano utilizzati in maniera assolutamente indifferente ed intercambiabile. Nella prassi assolutamente dominante, poi, ancora piu' curiosamente, l'interpretazione data all'endiade usata nell'art. 486 c.p.p. ("sospende o rinvia"), e' quella di un differimento ad altra udienza, ove si ritenga sussistente il legittimo impedimento. E' verosimilmente tale ultima situazione quella cui fa riferimento la sentenza n. 114/94, laddove parla di linea interpretativa presupposta dal giudice a quo, sin qui priva di adeguati contrasti, e che non puo' essere disattesa dalla Corte. Ritiene invece questo giudice che la predetta linea interpretativa possa essere contrastata alla luce di quanto sopra detto. Se cosi' e', le alternative non possono essere che due: La congiunzione "o" e' una sorta di refuso, un lapsus in cui e' incorso il legislatore, dovendosi intendere non "sospende o rinvia" bensi' "sospende e rinvia", con cio' ritornandosi nell'ipotesi di rinvio ad udienza fissa conseguente alla sospensione del processo. Basta una mera interpretazione del dato letterale, in questo caso. L'espressione "sospende o rinvia" e' insuscettibile di qualsiasi interpretazione logica o accettabile, non potendosi tra l'altro individuare - se si tratta effettivamente di due istituti differenti ed alternativi - quali siano i casi in cui il giudice sospende e quali siano quelli in cui rinvia: tale difficolta' e' adombrata dalla stessa Corte nella predetta sentenza n. 114. La riconduzione del sistema a razionalita' e civilta' e' possibile non mediante una sentenza additiva, bensi' attraverso una sentenza declaratoria di illegittimita' dell'inciso "o rinvia". Dopo tale declaratoria, il periodo contenuto nella norma e' perfettamente comprensibile, ragionevole, impedendo anche l'indebito decorso del periodo di prescrizione: la sospensione del processo diviene non ipotesi controversa bensi' previsione tassativa, perche' richiamata dal 1 comma dell'art. 159 c.p. Cio' posto, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'inciso "o rinvia" contenuto nel primo e nel terzo comma dell'art. 486 c.p.p., per contrasto con il principio di ragionevolezza sotteso all'art. 3 della Costituzione, nonche' con l'art. 112 della Costituzione, relativo all'esercizio dell'azione penale, che sarebbe altrimenti neutralizzato.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 486 c.p.p., limitatamente all'inciso "o rinvia" contenuto nel primo e terzo comma del predetto articolo, per contrasto con gli art. 3 e 112 della Costituizone; Sospende il procedimento ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, dandosi atto della lettura in udienza per gli altri soggetti destinatari. Si notifichi altresi' alla Tomassini. Fabriano, addi' 10 ottobre 1997 Il pretore: (firma illeggibile) 98C0084