N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 febbraio 2019
Ordinanza del 28 febbraio 2019 del Consiglio nazionale forense sul reclamo proposto da Giuliani Carla, Novaro Lucrezia e Sanna Giovanni contro Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Savona e altri . Professioni - Avvocato e procuratore - Elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi - Limiti all'elettorato passivo - Ineleggibilita' degli avvocati che abbiano gia' espletato due mandati consecutivi - Norma di interpretazione autentica che, ai fini del rispetto del divieto di rielezione, prevede che si tenga conto anche dei mandati espletati, anche solo in parte, prima dell'entrata in vigore dell'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017. - Legge 12 luglio 2017, n. 113 (Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi), art. 3, comma 3, secondo periodo; decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 13 (recte: 11) febbraio 2019, n. 12, art. 11-quinquies.(GU n.18 del 2-5-2019 )
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE Il Consiglio, nelle persone dei consiglieri: avv. Francesco Logrieco, Presidente f.f.; avv. Carla Broccardo, segretario f.f.; avv. Fausto Amadei, componente; avv. Antonio De Michele, componente; avv. Lucio Del Paggio, componente; avv. Diego Geraci, componente; avv. Anna Losurdo, componente; avv. Enrico Merli, componente; avv. Arturo Pardi, componente; avv. Michele Salazar, componente; avv. Vito Vannucci, componente; avv. Francesca Sorbi, componente; avv. Francesco Marullo Di Condojanni, componente; avv Carlo Allorio, componente; avv Priamo Siotto, componente; avv. Giuseppe Getano Iacona, componente. Il Consiglio nazionale forense, nel reclamo elettorale iscritto al n. 9/2019 di ruolo generale proposto il 17 gennaio dagli avv.ti Carla Giuliani, Lucrezia Novara e Giovanni Sanna, assistiti da quest'ultimo e dall'avv. Giovanni Delucca, avverso il provvedimento di proclamazione degli eletti della Commissione elettorale dell'ordine degli avvocati di Savona dell'11 gennaio 2019 nonche' avverso tutti gli atti prodromici relativi alla consultazione elettorale per il rinnovo del Consiglio dell'ordine di Savona per il quadriennio 2019/2022, contro il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Savona, e la commissione elettorale costituita presso il medesimo Ordine in persona della presidente avv. Vittoria Fiori, nonche' nei confronti dei consiglieri eletti avv.ti Alessandro Aschero, Fabio Cardone, Daniela Giaccardi, Mario Randacio, Mario Spotorno, e dei candidati non eletti avv.ti Andrea Geddo, Giuseppe Farrauto, Simone Mariani e Francesco Bruno quest'ultimo costituito nel presente giudizio; udita la relazione del consigliere avv. Michele Salazar; sentito il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, cons. dott. Riccardo Fuzio; sentito l'avv. Giovanni Sanna per i reclamanti; sentito il prof. avv. Luigi Piscitelli per il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Savona, nonche' per gli avv.ti Daniela Giaccardi, Alessandro Aschero, Mario Randacio, Mario Spotorno, Francesco Bruno e per la presidente della commissione elettorale, avv. Vittoria Fiori; Letti gli atti ed i documenti prodotti; A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 15 febbraio 2019; ha pronunciato la seguente ordinanza. I. L'oggetto del giudizio. 1.1. In data 7 dicembre 2018 venivano indette le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell'ordine di Savona per la consiliatura 2019/2022. L'assemblea elettorale veniva convocata per i giorni 10 gennaio 2019 in Albenga, presso la sede dell'Organismo di mediazione (ex Palazzo di giustizia) e 11 gennaio 2019 in Savona presso la sede del Consiglio (Palazzo di giustizia). La data ultima per la presentazione delle candidature veniva individuata nel quattordicesimo giorno precedente la data del voto, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 113/2017. Con provvedimento consiliare del 27 dicembre 2018 veniva nominata la commissione elettorale, la quale, il successivo 31 dicembre 2018, ammetteva alla competizione elettorale sedici delle candidature presentate, ed in particolare quelle degli avvocati: Alessandro Aschero; Francesco Bruno; Fabio Cardone; Daniela Giaccardi; Simone Mariani; Mario Randacio; Mario Spotorno; Lucrezia Novaro; Elisabetta Ferrero; Mario Noberasco; Claudia Arduino; Paolo Dogliotti; Barbara Pasquali; Alessandra Magliotto; Giuseppe Farrauto; Andrea Geddo. Dichiarava irricevibile perche' tardiva una diciassettesima candidatura. In data 11 gennaio 2019, la medesima commissione, in ragione degli esiti delle votazioni, dichiarava eletti undici consiglieri, fra i quali si collocavano gli avv.ti Fabio Cardone, con 286 preferenze, Daniela Giaccardi, con 226 preferenze; Alessandro Aschero, con 186 preferenze, Mario Randacio, con 161 preferenze, Mario Spotorno, con 87 preferenze. Non risultavano tra gli eletti gli avv.ti Francesco Bruno e Simone Mariani. 1.2. Gli avv.ti Carta Giuliani, Lucrezia Novaro, e Giovanni Sanna hanno proposto reclamo avverso il provvedimento di proclamazione degli eletti nonche' avverso tutti gli atti prodromici e comunque relativi al procedimento elettorale, articolando, dopo aver argomentato circa la propria legittimazione al reclamo, i tre motivi di reclamo di seguito esaminati. i) Violazione del combinato disposto degli articoli 6 e 11, legge n. 113/2017 in ordine allo svolgimento delle operazioni elettorali anche per nullita' dell'avviso di convocazione dell'Assemblea. I reclamanti hanno contestato la nullita' assoluta delle consultazioni elettorali in ragione dell'individuazione di due differenti luoghi per il voto, in violazione del disposto dell'art. 6, commi 3 e 11 della legge n. 113/2017 che, nell'indicare al singolare «il luogo» delle votazioni, non consentirebbe di ritenere legittima l'opzione prescelta dal Consiglio dell'Ordine. Per l'effetto hanno individuato come unico seggio validamente prescelto quello di Savona, ritenendo di conseguenza viziata la convocazione dell'Assemblea elettorale nella parte in cui conteggia l'ultimo giorno utile per la presentazione delle candidature in relazione alla data del 10 gennaio, giorno delle votazioni in Albenga, e non del giorno successivo, ii) Violazione dell'art. 3 della legge n. 113/2017 in relazione al disposto dell'art. 17 della medesima e iii) Violazione della norma di interpretazione autentica di cui all'art. 1 del decreto-legge n. 2/2019. I reclamanti hanno contestato che gli avv.ti Fabio Cardone (1° eletto) Daniela Giaccardi (2ª eletta) Alessandro Aschero (3° eletto) Mario Randacio (6° eletto) e Mario Spatorno (11° eletto), nonche' i candidati non eletti, Simone Mariani e Francesco Bruno, si trovassero e si trovino nella situazione di incandidabilita' e/o ineleggibilita' prevista dall'art. 3, comma 3 della legge n. 113/2017. Tutti e sette i candidati avrebbero svolto due mandati precedenti di durata superiore al biennio, risultando eletti sia nella tornata elettorale per il rinnovo relativo agli anni 2012/2015, sia in quella successiva relativa agli anni 2015/2018. Da tali circostanze conseguirebbe la nullita' assoluta delle operazioni elettorali in contestazione, in quanto ben sette delle sedici candidature ammesse non avrebbero potuto legittimamente dare luogo ad elezioni valide ai fini del rinnovo dell'Organo consiliare, composto per legge da undici consiglieri. A sostegno delle proprie argomentazioni, i reclamanti hanno richiamato il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 32781 del 19 dicembre 2018 delle Sezioni Unite, poi recepito dall'art. 1 del decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2 che, in via di interpretazione autentica, ha disposto che «L'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113, si interpreta nei senso che, ai fini del rispetto del divieto di cui al predetto periodo, si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012, n. 247. Resta fermo quanto previsto dall'art. 3, comma 3, terzo periodo, e comma 4, della legge 12 luglio 2017, n. 113». 1.3. Tanto premesso, i reclamanti concludevano chiedendo a questo Giudice di 1) dichiarare la nullita' assoluta delle elezioni, stante lo svolgimento delle stesse in due luoghi differenti, anziche' in uno solo contemplato dagli articoli 6 e 11 della legge n. 113/2017 nonche' di qualunque atto presupposto e conseguenziale; 2) dichiarare la nullita' delle elezioni in quanto ben sette candidati su sedici erano ineleggibili e quindi, era impossibile l'elezione di un Consiglio dell'Ordine composto da undici soggetti eleggibili; 3) annullare l'atto di proclamazione degli eletti dell'11 gennaio 2019, prot. 36/19, pubblicato sul sito istituzionale dell'Ordine il 12 gennaio 2019, dichiarando invalidi i risultati delle elezioni e qualunque atto presupposto e conseguenziale. 1.4. In data 14 febbraio i reclamanti depositavano note difensive le quali, oltre a reiterare le argomentazioni gia' svolte negli atti introduttivi contenevano motivi nuovi, in particolare la' dove denunciavano: 1) la nullita' della deliberazione del COA di Savona dei 7 dicembre 2018 per violazione dell'art. 4, comma 1, della legge n. 113/2017 e della allegata Tabella A; 2) diversi profili di nullita' della convocazione senza data e senza firma pubblicata sul sito del COA in data 10 dicembre 2018; 3) la violazione dell'art. 9 della legge n. 113/2017 in relazione alle modalita' di scelta dei componenti della commissione elettorale; 4) la violazione degli articoli 3, 5 e 6 della legge n. 113/2017 in relazione alle modalita' di svolgimento delle elezioni; 5) la violazione dell'art. 3 della legge n. 113/2017 in relazione alle modalita' di svolgimento delle elezioni; 6) la violazione di cui all'art. 4, comma 1, della legge n. 113/2017 e della Tabella A della legge medesima. 1.5. In data 14 febbraio 2019, si costituivano in giudizio il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Savona, nonche' i consiglieri eletti Fabio Cardone, Daniela Giaccardi, Alessandro Aschero, Mario Randacio e Mario Spotorno, il candidato non eletto Avv. Francesco Bruno e la presidente della commissione elettorale, avv. Vittoria Fiori, tutti rappresentati e difesi dal prof. avv. Luigi Piscitelli. La difesa dei resistenti chiedeva il rigetto delle richieste avversarie, eccependo, in via preliminare, un vizio di contraddittorio attesa la notificazione del reclamo soltanto a taluni dei controinteressati e non a tutti gli eletti, e articolando nel merito argomentazioni volte a replicare alle allegazioni avversarie e a sollecitare il giudice adito a sollevare un incidente di legittimita' costituzionale con riferimento alle norme applicabili al giudizio. In particolare, i resistenti replicavano al primo motivo di reclamo confermando la legittimita' dell'opzione prescelta dal Consiglio dell'ordine nel consentire le operazioni di voto in due diversi seggi elettorali, entrambi forniti di uno stabile collegamento con l'Assemblea elettorale, trovandosi l'uno presso la sede dell'Organismo di mediazione forense di Albenga, l'altro presso i locali del Consiglio in Savona. L'opzione, lungi dal violare gli articoli 6 e 11 della legge n. 113/2017, avrebbe consentito una piu' ampia partecipazione degli elettori alla consultazione elettorale. I resistenti, dopo aver dato conto della circostanza che gli interventi normativi sulle norme asseritamente violate fossero intervenuti successivamente tanto al momento dell'ammissione delle candidature quanto a quello successivo della proclamazione degli eletti, contestavano la ragionevolezza del disposto dell'art. 3, comma 3 della legge n. 113/2017, con riferimento all'interpretazione offertane sia dalle SS.UU. con la decisione n. 32781/2018, sia dal legislatore con l'art. 1 del decreto-legge n. 2/2019 prima e con l'art. 11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018, come inserito dalla legge di conversione n. 12/2019 poi, depositando all'uopo la memoria difensiva in data 14 febbraio 2019. Infine il Consiglio dell'ordine di Savona e gli avv.ti con esso costituiti, chiedevano il rigetto del reclamo e sollecitavano il Giudice adito a rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale «delle disposizioni che stabiliscono il divieto del terzo mandato dopo due mandati consecutivi e di quelle che impongono la considerazione a tal fine dei mandati svolti fino al 31 dicembre 2018, data dalla quale possono dirsi applicate a regime le nuove regole sull'ordinamento degli Ordini», ovvero degli articoli 3 della legge n. 113/2017 e 1 del decreto-legge n. 2/2019. Con la memoria difensiva depositata il 14 febbraio 2019, tali eccezioni sono state estese all'art. 1 della legge n. 12/2019 di conversione del c.d. decreto-legge semplificazioni (n. 135/2018), che al terzo comma ha disposto che «il decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2, e' abrogato. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2»; e all'art. 11-quinquies del decreto-legge n. 135/2019, che in sede di conversione ha riproposto le prescrizioni della disposizione abrogata. 1.6. In particolare, la difesa dei resistenti ha posto in dubbio la costituzionalita' delle norme citate per le ragioni che seguono. i) In primo luogo, i resistenti hanno denunciato l'illegittimita' costituzionale delle norme richiamate nonche' «dell'interpretazione fornita dalle SS.UU, della Corte di cassazione con la sentenza n. 32781/2018», in quanto volte a comprimere, in violazione dell'art. 51, comma 3 della Costituzione l'elettorato passivo in assenza di ragionevoli giustificazioni dotate di uguale rilievo costituzionale. Evidenziano, a questo proposito, le profonde differenze tra la fattispecie oggetto del giudizio e gli analoghi divieti previsti per le cariche elettive di sindaco e di presidente della regione. Cio', da un lato, in ragione della diversa natura degli enti considerati: in un caso, l'Ordine degli avvocati, formazione sociale rappresentativa di una specifica e ben individuata categoria professionale orientato al perseguimento di fini settoriali; nell'altro caso comuni e regioni, «enti pubblici a fini generali [...] rappresentativi dell'intera collettivita'». Ulteriore e rilevante profilo di differenziazione viene individuato nella collegialita' delle funzioni del Consiglio dell'Ordine, che non riconosce neppure in capo al presidente funzioni proprie che possano condurre ad una personalizzazione nella gestione dell'Ente. Non a caso, osservano i resistenti, le limitazioni al diritto di elettorato passivo introdotte per gli enti locali a partire dal 1993 hanno sempre riguardato gli organi monocratici di vertice e mai le assemblee consiliari, come invece fatto per i Consigli forensi con le norme in discussione. Il ricambio e la gestione democratica dell'Organo, nel sistema forense, sarebbero ad opinione della difesa, ampiamente garantiti dalle concrete modalita' di svolgimento delle elezioni (elettorato attivo generalizzato, periodicita' dei rinnovi), come dimostrato proprio dalle operazioni elettorali contestate che - nonostante la presenza di piu' candidati con ampia esperienza consiliare - hanno consentito il rinnovamento di una quota consistente della composizione del Consiglio. A riprova della violazione dell'art. 51 Cost. richiamano percio' l'insegnamento costante della giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la legittima compressione del diritto di elettorato passivo deve essere giustificata dal perseguimento di un interesse pubblico, assente, per quanto osservato nel caso di specie. ii) In secondo luogo i resistenti rilevano ulteriore violazione dei precetti costituzionali, e segnatamente degli articoli 2 e 118, precetti che tutelano rispettivamente le formazioni sociali a carattere associativo ed individuano «nella sussidiarieta' orizzontale (alla quale viene ricondotta l'autonomia funzionale) una fondamentale linea di costruzione dello Stato ordinamento» vincolante per il legislatore, «soprattutto quando l'autogoverno e' funzionale alla tutela di diritti costituzionalmente protetti (art. 24)». Reputano, infine, irragionevoli e disfunzionali le norme censurate sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost. e del principio di buon andamento (art. 97 Cost.). iii) I resistenti deducono altresi' la violazione degli articoli 3 e 51 Cost., nonche' dell'art. 117 in relazione all'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sotto il profilo della violazione del principio di certezza del diritto e di affidamento, nonche' dell'interpretazione dell'art. 3, comma 3 della legge n. 113/2017 e delle leggi di interpretazione autentica che si sono succedute, in quanto volte ad attribuire rilevanza a fatti avvenuti prima dell'entrata in vigore delle norme stesse. Contestano a questo proposito in primo luogo, l'irragionevolezza di una soluzione interpretativa che, in violazione degli articoli 3 e 51 Cost., mentre consente pro futuro di ricoprire la carica per una durata complessiva di otto anni, pari a due mandati quadriennali (durata prevista a partire dalla legge n. 247/2012), dall'altro vieta una terza candidatura a quanti abbiano svolto due mandati consiliari di pari al biennio prima dell'entrata in vigore del divieto. In secondo luogo, richiamano l'eccezionalita' dei casi in cui la legge puo' disporre in senso retroattivo e la violazione, nel caso di specie, del principio dell'affidamento di quanti hanno legittimamente confidato nella generale operativita' della legge per l'avvenire, nonche' del principio di certezza dei rapporti giuridici, viepiu' importante in una materia sensibile come quella elettorale. iv) Ulteriori questioni di legittimita' vengono poste con riferimento al decreto-legge n. 2/2019 in relazione alle prescrizioni dell'art. 77 Cost. per tre ordini di ragioni concorrenti. In primo luogo per l'assenza dei presupposti della decretazione d'urgenza per l'adozione di una norma interpretativa di una disposizione vigente meramente riproduttiva di un'interpretazione giurisprudenziale; in secondo luogo per la violazione della riserva di legge formale in materia elettorale stabilita dall'art. 72 Cost.; in terzo luogo, in relazione al principio di ragionevolezza, in quanto il decreto-legge, che la Costituzione qualifica «provvedimento provvisorio», non sarebbe idoneo a garantire la certezza necessaria in materia elettorale. v) Del medesimo decreto-legge, e con esso dell'art. 11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018, come inserito dalla legge di conversione n. 12/2019, si contesta altresi' la natura di interpretazione autentica, attesone il carattere «innovativo» che avrebbe oltretutto determinato un'abnorme interferenza sulle operazione elettorali in atto al momento della pubblicazione, in tal modo compromettendo l'uguaglianza e la liberta' dei voto e ledendo il corretto esercizio del diritto di difesa e del giusto procedimento, in violazione degli articoli 2, 24, 48, 51, e 111 Cost.», violando in tal modo altresi' «l'art. 117 in relazione all'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in base al quale il principio di preminenza del diritto e la nozione di giusto processo consacrati dall'art. 6 della Convenzione non consentono l'emanazione di norme con effetti retroattivi, tra cui quelle di interpretazione autentica, idonee ad incidere sui procedimenti gia' in corso». 1.7 All'udienza del 15 febbraio 2019, e' intervenuto il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, sottolineando la particolare complessita' dell'interpretazione della disciplina delle elezioni forensi, la quale, nonostante i numerosi interventi normativi e giurisprudenziali succedutisi a far data dall'approvazione del nuovo ordinamento professionale con la legge n. 247/2012, ha dato occasione per la prospettazione di questioni di costituzionalita' certamente da condividere nella loro premessa, la' dove mettono in evidenza i «guasti» di una poco comprensibile modifica, intervenuta prima con la legge del 2012 e poi con la integrazione della normativa del 2017, della disciplina per la elezione e costituzione dei nuovi COA che, pur dopo una decisione delle Sezioni Unite, non ha raggiunto un grado di affidabilita' e razionalita' in un sistema gia' pesantemente ostacolato dalle vicende del precedente regolamento ministeriale e, da ultimo, con la introduzione della norma di interpretazione autentica. Il medesimo ha rilevato la delicatezza dei valori sui quali interviene la legge n. 113/2017, per come interpretata prima dalle SS.UU. nel suo unico precedente sul tema, e dal legislatore, poi, con il decreto-legge n. 2/2019 e con la legge n. 12/2019. Il P.G. ha richiamato, innanzitutto, l'art. 2 della Costituzione atteso che, ferma la natura pubblicistica della generalita' delle funzioni attribuite ai Consigli dell'ordine degli avvocati, l'intervento sulla materia elettorale e, dunque, sulla scelta dei propri rappresentati istituzionali da parte degli iscritti all'Ordine, avviene in modo incisivo sull'autonomia di un corpo intermedio - formazione sociale ove il singolo svolge la propria personalita' - condizionando tanto il diritto di elettorato attivo, quanto quello di elettorato passivo, garantiti dagli articoli 48 e 51 della Costituzione. I dubbi di costituzionalita', in assenza del contrappeso di valori costituzionali ugualmente fondanti - in primis il criterio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) - potrebbero essere prospettabili anzitutto con riferimento alle disposizioni prima espresse dalla legge n. 247/2012, poi dalla legge n. 113/2017, volte a vietare l'elezione di quanti abbiano gia' svolto due precedenti mandati consiliari. In secondo luogo, e a maggior ragione, gli stessi potrebbero essere sollevati con riferimento alle previsioni di legge che ne hanno disposto l'applicazione retroattiva, ferma restando la piena discrezionalita' del legislatore il quale, in ragione dell'art. 11 delle preleggi, puo' in casi eccezionali disporre anche in questo senso, come gia' ha fatto legittimamente in precedenza anche in materia elettorale. Le scelte legislative di tale segno, pero', dovrebbero essere espresse in modo chiaro e attraverso una dettagliata normativa transitoria, in modo tale da restituire all'interprete un quadro di applicazione razionale. Le vicende che hanno interessato l'interpretazione dell'art. 3, comma 3 della legge n. 113/2017, dimostrano l'esatto opposto, in considerazione che neppure l'arrêt delle Sezioni Unite, quale giudice dell'impugnazione delle sentenze del Consiglio nazionale forense e non gia' in funzione nomofilattica, ha dissolto i dubbi, tanto da aver richiesto ulteriori interventi interpretativi, peraltro meramente riproduttivi di quelli espressi dalla sentenza n. 32781/2018. La chiarezza del quadro normativo e' a maggior ragione necessaria allorquando il legislatore intervenga in deroga al principio stabilito dall'art. 11 delle preleggi, incidendo su diritti costituzionalmente garantiti come il diritto all'elettorato e l'autonomia delle formazioni sociali. In questo caso, ha rilevato il P.G., «l'eccezionalita' e' al quadrato» perche' comprime il diritto di elettorato attivo e passivo garantiti dalla Costituzione, compressione di per se' eccezionale, come piu' volte ha avuto modo di chiarire la Consulta. Nel caso oggetto del giudizio, pertanto, il Collegio adito e' chiamato a ricercare valori costituzionali utilmente bilanciabili in assenza dei quali i dubbi di costituzionalita' supererebbero il livello della non manifesta infondatezza prescritto dall'ordinamento costituzionale. In terzo luogo, ai richiamati dubbi di costituzionalita' riferiti alla violazione dell'art. 2 Cost. e degli articoli 48 e 51, si aggiungono quelli relativi all'art. 77 del testo costituzionale, per cui non e' semplice scorgere i requisiti di straordinarieta' ed urgenza prescritti dal costituente anche in considerazione della natura di interpretazione autentica delle disposizioni. Il P.G. rileva come si tratti di vicenda normativa del tutto singolare. Il decreto-legge n. 2/2019, prima, e la legge n. 12/2019 poi, sono entrambi intervenuti nel momento in cui molte consultazioni elettorali erano state gia' indette ovvero in corso di svolgimento e finanche sub judice, circostanze che potrebbero ingenerare dubbi con riferimento al principio di separazione trai poteri che costituisce uno dei fondamenti del moderno Stato di diritto. Come pure singolare, e potenzialmente foriera di dubbi di costituzionalita', e' la successione intervenuta tra le due distinte leggi di interpretazione autentica. Tanto premesso. in ragione del dovere di fornire un'interpretazione della legge conforme a Costituzione, anche tenuto conto del primo vaglio di costituzionalita', per cosi dire «esterno», effettuato dal Capo dello Stato in sede di promulgazione della legge n. 12/2019, il P.G. ha concluso per il superamento delle eccezioni di costituzionalita' proposte e l'accoglimento del reclamo. 1.8. Nella medesima udienza le parti si sono richiamate ai rispettivi atti difensivi ed hanno ulteriormente illustrato le reciproche deduzioni ed istanze, anche con riferimento all'art. 11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018 come inserito dalla legge di conversione n. 12/2019. La difesa dei reclamanti ha argomentato con riferimento alla perfetta tenuta costituzionale del sistema normativo relativo al divieto di terzo mandato consecutivo, richiamando a tal proposito la decisione della Corte costituzionale n. 236/2015 - che ha ritenuto costituzionalmente legittime le ipotesi di decadenza e sospensione previste dall'art. 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 anche se riferite a fatti precedenti alla propria entrata in vigore - nonche' l'ordinanza n. 12461/2018 della Corte di cassazione, che ha ritenuto conformi a Costituzione le analoghe previsioni del decreto legislativo n. 139 del 2005 con riferimento all'elezione dell'Ordine dei commercialisti ed esperti contabili. Di talche' il Collegio ha trattenuto la causa in riserva. II. La proposizione della questione di legittimita' costituzionale. Nella sua qualita' di giudice speciale ai sensi dell'articolo 111 Cost. e della VI disp. trans. Cost., il Collegio, non potendo decidere la questione senza fare applicazione delle norme di cui all'art. 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017, n. 113 e all'art. 11-quinquies del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, come inserito dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n. 12, ne' fornirne una interpretazione costituzionalmente orientata, solleva la questione di legittimita' costituzionale delle norme stesse, ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per le seguenti argomentazioni in Diritto 1. Sulla rilevanza delle questioni. 1.1. La questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art. 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017, n. 113 e all'art. 11-quinquies del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (come inserito dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n. 12) e' rilevante per la decisione del giudizio principale innanzi al Consiglio nazionale forense. Tale giudizio non puo', infatti, essere definito indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87). In particolare, i reclamanti chiedono l'annullamento delle elezioni del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Savona, fondando le proprie doglianze, tra l'altro, sulla ammissione, asseritamente illegittima, alla competizione elettorale e sulla successiva proclamazione quali eletti degli avvocati i quali incorrerebbero nella causa di ineleggibilita' di cui alle disposizioni sospettate di illegittimita' costituzionale. Inoltre, l'ammissione delle candidature, nella prospettiva dei reclamanti, invaliderebbe il procedimento elettorale nel suo complesso, atteso che i candidati in situazione di ineleggibilita' sarebbero ben sette rispetto alle diciassette candidature presentate e agli undici componenti del Consiglio da eleggere. Le predette disposizioni sono, dunque, di applicazione necessaria nel presente giudizio, incidendo direttamente la loro interpretazione e applicazione sulla fondatezza delle doglianze dei reclamanti e, conseguentemente, sulla validita' delle elezioni del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Savona 1.2. A tale valutazione di rilevanza si giunge in seguito alla delibazione delle eccezioni pregiudiziali e delle censure preliminari in senso non ostativo rispetto all'esame delle questioni logicamente successive implicanti l'applicazione delle norme sulle quali si solleva questione di legittimita' costituzionale. 1.3. Va, allora, innanzitutto esclusa la violazione del principio del contradditorio e/o l'inammissibilita' del reclamo perche' notificato, a detta dei resistenti, soltanto a cinque e non a tutti i candidati eletti. Per costante giurisprudenza domestica e di legittimita', difatti, l'integrazione del contraddittorio avviene ad opera del giudice adito senza che l'originaria omissione possa comportare alcuna conseguenza sull'ammissibilita' o sulla procedibilita' del giudizio. 1.4 Allo stesso modo l'individuazione di un seggio distinto ed ulteriore rispetto alla sede del Consiglio dell'Ordine non pare integrare alcun motivo di invalidita' delle operazioni elettorali. Atteso che l'art. 11 della legge n. 113/2017 consente che il seggio elettorale venga determinato in luogo diverso dai locali del tribunale presso cui e' costituito il Consiglio, del tutto legittima appare la deliberazione consiliare che, nell'ambito della propria autonomia, puo' regolare nel dettaglio lo svolgimento delle operazioni elettorali nel modo ritenuto piu' consono, purche' tali modalita' non violino i diritti degli elettori o degli aspiranti alle cariche consiliari, Nel caso oggetto del presente giudizio, la previsione di un luogo e di una data ulteriori rispetto a quelli fissati per la sede del Consiglio in Savona non ha compresso, ne' violato, ma al contrario ampliato, l'effettivo esercizio del diritto degli elettori, tanto che nessuna violazione di tale diritto e' stata denunciata dai reclamanti stessi. 1.5. Non v'e' necessita', al contrario, di delibare preliminarmente ai fini della sussistenza del requisito della rilevanza della questione di costituzionalita', i motivi aggiunti proposti dai reclamanti con le note difensive depositate il 14 febbraio u.s. in quanto gli stessi sono inammissibili. Al giudizio innanzi al Consiglio nazionale forense, ai sensi dell'art. 36 della legge n. 247/2012, trovano applicazione in via sussidiaria le disposizioni del codice di procedura civile con la conseguenza che la rituale proposizione del reclamo consuma il potere di impugnazione, con la conseguenza che non e' possibile presentare motivi aggiunti, oltre a quelli gia' formulati in sede di reclamo, opzione consentita, al contrario, nel giudizio amministrativo, seppur entro certi limiti. 1.6. Tanto premesso, il Consiglio nazionale forense viene chiamato a fare applicazione, anzitutto, della disposizione di cui all'art. 3, comma 3 della legge 12 luglio 2017, n. 113, la quale prevede al secondo periodo che, «fermo restando quanto previsto al comma 4, i consiglieri non possono essere eletti per piu' di due mandati consecutivi», escludendo dal relativo computo, ai sensi del successivo comma 4, i mandati di durata inferiore a due anni. Tale disposizione e' stata oggetto di una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 32781 del 19 dicembre 2018), la quale ha ritenuto la previsione in parola applicabile anche ai mandati espletati anteriormente all'entrata in vigore della legge 12 luglio 2017, n. 113. E' poi intervenuto l'art. 1 del decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2 (entrato in vigore il giorno stesso), a mente del quale: «l'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113, si interpreta nel senso che, ai fini del rispetto del divieto di cui al predetto periodo, si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012, n. 247. Resta fermo quanto previsto dall'art. 3, comma 3, terzo periodo, e comma 4, della legge 12 luglio 2017, n. 113». Successivamente, la legge 13 febbraio 2019, n. 12, nel convertire in legge il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, ha integrato il testo dello stesso con la disposizione di cui all'art. 11-quinquies. Tale disposizione riproduce integralmente il contenuto dell'art. 1 del richiamato decreto-legge n. 2/2019 che, conseguentemente, viene abrogato dall'art. 1, comma 3 della medesima legge di conversione. Assieme all'art. 3, comma 3, secondo periodo della legge 12 luglio 2017, n. 113, il Consiglio nazionale forense e', pertanto, chiamato ad applicare anche la norma di interpretazione autentica contenuta nel richiamato art. 11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018, come introdotto dalla legge di conversione. 1.7. La soluzione della questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113 e all'art. 11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018, come introdotto dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n. 12, e' dunque pregiudiziale rispetto alla trattazione del merito del reclamo. 2. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113. 2.1 L'art. 3, comma 3, secondo periodo della legge 12 luglio 2017, n. 113 - che dispone il divieto di elezione nel Consiglio dell'ordine degli avvocati per piu' di due mandati consecutivi - e' sospettato di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli articoli 2, 3, 18, 48, 51 e 118 della Costituzione, sotto i profili della irragionevole limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo (articoli 3, 48 e 51 Cost.) e della illegittima ed irragionevole compressione dell'ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi (enti pubblici non economici a carattere associativo) dagli articoli 2, 18 e 118 della Costituzione, anche in relazione all'art. 3 Cost. 2.2. Sul primo profilo di illegittimita' (irragionevole compressione del diritto di elettorato attivo e passivo, con violazione degli articoli 3, 48 e 51 Cost.), si osserva quanto segue. La giurisprudenza costituzionale annovera il diritto di elettorato passivo tra i diritti assistiti dal predicato della inviolabilita' di cui all'art. 2 Cost. (cfr., ex multis, sentenza n. 388/1991). Ne consegue che restrizioni di tale diritto, perseguite, ad esempio, mediante la previsione di cause di incandidabilita', ineleggibilita' o incompatibilita', sono ammissibili esclusivamente all'esito di un bilanciamento riservato alla discrezionalita' del legislatore, ma soggetto allo scrutinio di ragionevolezza e proporzionalita' - tra il diritto stesso e concorrenti interessi di rilievo costituzionale. Infatti, «se l'art. 51 Cost. assicura in via generale il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini, e' proprio tale precetto costituzionale a svolgere il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell'inviolabilita' e dell'uguaglianza (ex articoli 2 e 3 della Costituzione); [...] pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale, che presuppone un bilanciamento che deve operare tra il diritto individuale di elettorato passivo e la tutela delle cariche pubbliche, cui possono accedere e permanere solo coloro che sono in possesso delle condizioni che tali cariche, per loro natura, appunto richiedono (sentenze n. 25 del 2008 e n. 288 del 2007)» (cfr. Corte costituzionale, ordinanza n. 276/2012). Cosi', ad esempio, e' stata ritenuta costituzionalmente legittima la previsione di cause di incandidabilita' o ineleggibilita' legate alla commissione di fatti penalmente rilevanti, accertati dall'autorita' giudiziaria. In tali casi, il bilanciamento avviene, in effetti, per «assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente interessi dell'intera collettivita', connessi a valori costituzionali di primario rilievo» (cfr. Corte costituzionale n. 118/1994, punto 3.1 del «considerato» in diritto). In dette situazioni, la valutazione di ineleggibilita' compiuta dal legislatore - confermata come ragionevole dal Giudice delle leggi - risulta apprezzabilmente legata ad un predicato di indegnita' morale - espressa dal giudicato penale - riferibile al soggetto sul quale grava la preclusione. Tale predicato non e', invece, manifestamente configurabile in un contesto normativo, quale quello che qui interessa, dove la preclusione all'esercizio del diritto di elettorato passivo e' agganciata esclusivamente al fatto di essere stati gia' eletti in passato. Un presupposto «neutro», che non appare collegabile alla tutela di valori costituzionali di primario rilievo, come invece nel caso della sostanziale inidoneita' a ricoprire la carica sotto il profilo etico e morale, in ragione della commissione di fatti di rilievo penale (si pensi, ad esempio, al decreto legislativo n. 235/2012). La consolidata giurisprudenza costituzionale segnala da tempo che le cause di ineleggibilita', derogando al principio costituzionale della generalita' del diritto di elettorato passivo, sono di stretta interpretazione e devono percio' rigorosamente contenersi entro limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire la soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse a cui esse sono preordinate (ex multis, vedi Corte costituzionale, sentenze numeri 46/1969; 58/1972; 166/1972; 53/1990). In questa ottica, il diritto di elettorato passivo ed il principio di liberta' di accesso alle cariche pubbliche, protetti dall'art. 51 Cost., devono percio' essere scrutinati in stretta correlazione con il corrispondente diritto all'elettorato attivo ed al principio di liberta' di voto, consacrati con particolare solennita' nell'art. 48 Cost., (cfr. sentenze Corte costituzionale numeri 96/1968; 42/1987; 429/1995; 4/2010), Ogni preclusione legale alla possibilita' di taluni soggetti di partecipare a competizioni elettorali ed essere eletti si traduce, infatti, inevitabilmente nella compressione dello spazio di libera scelta lasciato all'elettore, il quale si vedra' sottrarre la facolta' di scegliere, quali destinatari del proprio voto taluni a vantaggio di altri. Mentre nel caso esaminato dalla Corte costituzionale nel 1994 (cfr. la citata sentenza n. 118/1994), tale compressione si giustifica - come si e' visto - in relazione a valutazioni legate all'indegnita' morale dei candidati, «allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale», nel caso qui esaminato tali giustificazioni non sono invece replicabili, cosicche' la compressione della facolta' di scelta dell'elettore appare particolare grave. Sono, infatti, sottratte alla sua liberta' di voto proprio quelle persone alle quali gia' in passato aveva ritenuto di assegnare la preferenza, all'esito di una o piu' valutazioni favorevoli circa le capacita' del soggetto votato e la sua idoneita' a svolgere il mandato. La preclusione legale finisce cosi' anche per differenziare il voto all'interno del corpo elettorale considerato, comportando essa l'invalidita' del voto assegnato al candidato ineleggibile rispetto al voto dato al candidato che non incorre invece nella preclusione legale stessa. In definitiva, il divieto di terzo mandato consecutivo finisce per comprimere non solo il diritto di elettorato passivo, impedendo a taluni avvocati di essere rieletti (pur in assenza di presupposti di rilievo penale), ma anche - forse soprattutto - il diritto di elettorato attivo, precludendo alla classe forense la scelta di farsi rappresentare da colleghi piu' esperti e affidabili, gia' in possesso delle competenze piu' utili allo svolgimento del mandato consiliare. Viene dunque ad essere leso il diritto civile e politico di cittadini-avvocati di concorrere liberamente alla scelta dei propri rappresentanti. Dalla pur rapida disamina volta a scrutinare la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale che questo Giudice si trova ad esaminare, emerge pertanto con nettezza la particolare consistenza dei diritti costituzionalmente fondati e dei principi costituzionali coinvolti, in considerazione anche della loro intima connessione con il principio democratico, che e' uno dei principi supremi del vigente ordine costituzionale repubblicano. 2.3. Avendo individuato negli articoli 48 e 51 Cost. i diritti e gli interessi costituzionalmente rilevanti da bilanciare con quelli alla base delle disposizioni legislative da applicare al caso di specie, occorre ora accertare se altri interessi meritevoli di tutela siano in grado di giustificare le limitazioni al diritto di elettorato determinate dal legislatore statale. Come afferma la Corte costituzionale, il criterio alla luce del quale effettuare tale valutazione non puo' che essere quello della «indispensabilita' del limite [al diritto di elettorato passivo] rispetto all'esigenza primaria di assicurare una libera competizione elettorale» che la Corte stessa, «a partire dalla sentenza n. 46 del 1969, costantemente richiede in riferimento al principio fondamentale contenuto nell'art. 51 della Costituzione». Ne consegue che «l'eleggibilita' e' la norma, l'ineleggibilita' e' l'eccezione [di] modo che, ove la giustificazione dell'eccezione si rivelasse ragionevolmente priva di un legame necessario con l'esigenza di assicurare una corretta e libera concorrenza elettorale, non puo' non seguirne la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale della disposizione che la prevede» (cosi' la sentenza n. 344/1993, che peraltro richiama, a sostegno, le sentenze numeri 388 e 310 del 1991; 539 del 1990; 510 del 1989; 1020 e 235 del 1988). Applicando tale criterio al caso concreto che ci occupa, si rende pertanto necessario procedere all'individuazione di un interesse di rilievo costituzionale in grado di «competere in ponderazione» con il diritto di elettorato passivo. La ratio del divieto di elezione per il terzo mandato consecutivo e' stata individuata dalla richiamata sentenza n. 32781/2018 delle SS.UU. della Corte di cassazione nella tutela del «preminente valore dell'avvicendamento o del ricambio nelle cariche rappresentative» (cosi', in particolare, p. 20 di tale sentenza), da assicurarsi evitando che rendite di posizione derivanti dalla permanenza nella carica per periodi eccessivamente lunghi possano condurre ad esiti di sclerotizzazione della rappresentanza, limitando la par condicio tra i candidati e alterando la libera competizione elettorale. Pare a questo giudice che quello descritto integri un obiettivo di carattere essenzialmente politico che, nelle motivazioni della decisione sopra richiamata, la Cassazione stessa lega agli orientamenti attualmente prevalenti nell'opinione pubblica, un obiettivo che, seppur liberamente perseguibile dal legislatore nell'ambito della sfera di discrezionalita' politica che gli e' propria, sembra difficilmente comparabile, sotto il profilo del tono costituzionale, ai diritti ed ai principi in tema di elettorato attivo e passivo gia' illustrati. Si tratta, in particolare, di interessi che, pur ritenuti meritevoli di tutela dal legislatore, presentano elementi di intrinseca irragionevolezza. E cio' per le seguenti particolari ragioni. 2.3.1. Anzitutto, va osservato che la Corte di cassazione nella decisione n. 32781/2018 ha fatto premio sull'analogia con i divieti di rielezione previsti per i sindaci, nonostante in precedenti arresti, relativi al sistema ordinistico, avesse al contrario rimarcato l'impossibilita' di «comparazione» tra il sistema delle elezioni previsto per le cariche amministrative di province e comuni e quello previsto «per i componenti dei consigli degli ordini, avuto riguardo alla diversita' degli enti di cui sono organi il sindaco ed il presidente della provincia ed alle profonde differenze riscontrabili tra i rispettivi sistemi elettorali» (Cass. ordinanze, 21 maggio 2018, numeri 12461 e 1462). Come correttamente rilevato dalla difesa del Consiglio dell'Ordine e degli altri controinteressati costituiti, l'analogia tra i differenti sistemi citati elettorali e' insussistente, oltre che infondata: alla base del divieto di rielezione dei sindaci vi sono, infatti, ragioni che discendono direttamente dalla natura dell'ente e dalla configurazione dell'organo. Altro e', infatti, ragionare della rappresentativita' di un ente territoriale avente carattere politico, altro e' ragionare della rappresentativita' di un ente pubblico associativo, e altro e', soprattutto, ragionare del divieto di rielezione relativo ad organi monocratici di vertice di enti politici - come il sindaco, rappresentante organico del comune e, di conseguenza, dotato di poteri gestionali diretti e di poteri autoritativi e di indirizzo di sicuro rilievo - e altro e' ragionare sul divieto di rielezione di membri di un organo collegiale chiamato a reggere un ente pubblico associativo avente natura meramente amministrativa. Non e', dunque, un caso che il divieto di rielezione sia previsto solo per gli organi di vertice degli enti politici territoriali e non anche per i membri delle assemblee rappresentative locali. 2.3.2. Si consideri poi che al consigliere dell'Ordine (e a ben vedere anche al presidente, che ha bisogno di una delibera consiliare anche per atti ordinari come il conferimento di un mandato giudiziale) non sono attribuiti poteri propri, oltre a quelli che gli competono in quanto componente di un collegio. Soprattutto, non si ravvisano nei poteri attribuiti al consigliere dell'Ordine, in quanto componente dell'organo collegiale, elementi sufficienti a ritenere che il consigliere stesso possa sfruttare il proprio ruolo per precostituire le condizioni per una rielezione, cosi' falsando la rappresentativita' e la qualita' democratica delle elezioni forensi. La collegialita' dell'organo stempera la posizione del singolo consigliere che, d'altronde, non possiede poteri diretti ad incidere - direttamente e indipendentemente dalla partecipazione alla formazione della volonta' dei collegio - sul funzionamento e sugli indirizzi dell'ente. 2.4. La stessa Corte costituzionale, nel precedente piu' prossimo al caso che ci occupa (sent. n. 344/1993), ha condotto un ragionamento non dissimile. Nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni che prevedevano l'ineleggibilita' del consigliere regionale alla carica di deputato o senatore essa ha, infatti, escluso che dalla mera titolarita' dei poteri derivanti dallo status di consigliere - sia individuali, sia collegiali - potesse discendere la capacita' di incidere sul libero svolgimento della competizione elettorale «nel senso di alterare la par condicio fra i vari concorrenti attraverso la possibilita' di esercitare una captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori» (cosi' la sentenza n. 5/1978, richiamata dalla sent. n. 344/1993). In questo significativo precedente la Corte esamina i poteri propri del consigliere regionale ed esclude recisamente la rilevanza di tutti i poteri che competono al consigliere in quanto componente l'assemblea regionale. E cio' nel presupposto che di tali poteri e facolta', in quanto riferiti al collegio nel suo insieme, il consigliere non possa ontologicamente giovarsi ai fini dell'eventuale condizionamento del corpo elettorale in proprio favore. Il ragionamento e', come detto, replicabile per il consigliere dell'ordine, che, a ben vedere, non gode di alcun potere individuale, ma solo partecipa all'esercizio di poteri collegiali. Ne', afferma assai significativamente la Corte, preclusioni legali al diritto di elettorato potrebbero essere fatte discendere dal mero rilievo del prestigio associato alla carica. Di conseguenza, «si rivelerebbe palesemente irragionevole una disciplina della ineleggibilita' che mirasse a delimitare l'influenza nella competizione elettorale della notorieta' derivante dal ricoprire determinate cariche pubbliche, tanto piu' nell'ambito di societa', come quella nella quale viviamo, dove l'emergere di figure note al pubblico dipende da fattori molteplici e si verifica in svariati settori della vita sociale» (cosi' ancora la sentenza n. 344/1993). 2.5. Non si puo', pertanto, inficiare il rapporto di rappresentanza a mezzo della previsione di cause di ineleggibilita' o incompatibilita' irragionevoli e/o sproporzionate (o ancora, disponendo divieti di rielezione). E' proprio cio', e non gia' la possibilita' di essere rieletti, ad alterare la corretta e libera competizione elettorale, considerata con giurisprudenza costante valore costituzionale essenziale, che in piu' occasioni ha indotto la Corte a censurare disposizioni che stabilivano cause di ineleggibilita' irragionevoli e dagli effetti sproporzionati (cfr. ancora Corte costituzionale, n. 344 del 1993). Da cio' consegue l'irragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore nel disporre il divieto di rielezione per il terzo mandato consecutivo, con violazione degli articoli 3, 48 e 51 della Costituzione. 2.6. Il divieto di rielezione per piu' di due mandati consecutivi realizza, inoltre, una irragionevole compressione dell'ambito di autonomia riservato agli ordini forensi dagli articoli 2, 18 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 3 Cost. 2.6.1. La natura di ente pubblico non economico a carattere associativo dell'Ordine circondariale forense e' disciplinata dall'art. 24, comma 3 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che riconosce e valorizza l'autonomia regolamentare, organizzativa e finanziaria delle comunita' degli avvocati organizzate in ordini professionali. Corre sottolineato dal Procuratore generale nel suo intervento, si tratta, dunque, di vere e proprie formazioni sociali, cui la legge, in attuazione del principio pluralista che caratterizza la forma di Stato delineata dal costituente, assicura uno statuto autonomo basato sull'autogoverno, in modo non dissimile, a ben vedere, da quanto previsto per l'ordine giudiziario. Da tale assetto ordinamentale discendono specifiche conseguenze, anche e soprattutto sul piano dei principi che governano la formazione degli organi dell'ente. Da un lato, infatti, l'elettivita' dei Consigli e' pienamente coerente con la natura associativa dell'ente. D'altro canto, la natura amministrativa e non politica dell'ente medesimo non consente, per le ragioni gia' viste, di estendere alle elezioni forensi la ratio del divieto di rielezione previsto per gli organi di vertice degli enti politici territoriali. 2.6.2. A cio' si aggiunga che il carattere associativo dell'ente incide direttamente sulla natura e sulle dinamiche del rapporto di rappresentanza tra l'iscritto e l'eletto: proprio perche' l'ordine forense e' ente esponenziale di una comunita' di professionisti, il rapporto di rappresentanza e' caratterizzato da tratti peculiari di prossimita', che a loro volta discendono dalla specifica solidarieta' che conforma la comunita' professionale e l'ente che la istituzionalizza. Dalla peculiare declinazione che, su questa base, assume il rapporto di fiducia tra elettore ed eletto, consegue, ad esempio, che nelle elezioni forensi non sia previsto voto di lista, ma solo il voto a singoli candidati (art. 8, legge n. 113/2017; Cass. SS.UU. sentenza n. 32781/2018); e consegue soprattutto che, ferma restando la piena liberta' della competizione elettorale (evidente, ad esempio, nella possibilita' di accedere in condizioni di piena eguaglianza alle candidature, anche al di fuori da liste o cordate), l'iscritto sia sovente guidato, nell'espressione del proprio voto, dalla considerazione dell'autorevolezza che deriva al candidato dall'esperienza maturata nella gestione dell'ente e dal radicamento nella comunita' professionale, a loro volta strettamente legate (almeno in potenza) all'aver ricoperto per piu' mandati la carica elettiva. 2.6.3. Quello della disciplina del rapporto di rappresentanza e', dunque, ambito disciplinare profondamente connesso all'autonomia dell'ordine circondariale forense e alla peculiare natura della relazione associativa che lega gli iscritti tra loro e questi ultimi ai rappresentanti eletti. Ne consegue che, nel rispetto della liberta' di associazione (art. 18 Cost., riferibile anche alle associazioni ad appartenenza obbligatoria quali l'ordine forense) e del principio di sussidiarieta' orizzontale (art. 118 Cost.), la legge dovrebbe opportunamente astenersi dall'interferire nel ridetto ambito, lasciando che la permanenza in carica per piu' mandati discenda dal libero articolarsi dei rapporti di fiducia e solidarieta' interni alla comunita' professionale, piuttosto che dall'intervento autoritativo di un divieto di rielezione. In buona sostanza, la preclusione legale de qua integra una interferenza statale nelle dinamiche elettorali interne ad una formazione sociale che non appare sorretta da una adeguata ragionevolezza e proporzionalita', e sotto tale profilo realizza un ulteriore vulnus al parametro costituito dall'art. 3 della Costituzione della Repubblica. 3. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 11-quinquies del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, come introdotto dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n. 12. 3.1. Se quanto sopra riportato segnala i dubbi di legittimita' costituzionale che riguardano il limite dei due mandati consecutivi in quanto tale, a maggior ragione ancor piu' gravi dubbi si pongono con riferimento all'intervento normativo statale operato, a procedimenti elettorali gia' iniziati ed in corso, per conferire rilievo in senso retroattivo ai mandati svolti prima dell'entrata in vigore delle norme preclusive. Sussistono, infatti, ulteriori e specifici dubbi di legittimita' costituzionale in relazione all'art. 11-quinquies del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, come introdotto dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n. 12. La disposizione contrasta, in particolare, con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica. Innanzitutto, la possibilita' per il legislatore di dettare norme retroattive - quali quelle di interpretazione autentica - non e' esente da limiti. Se, da una parte, un espresso divieto di retroattivita' e' previsto in Costituzione solo dall'art. 25 in relazione alle disposizioni penali sfavorevoli, dall'altra, le disposizioni retroattive incontrano il limite dell'art. 3 Cost. ove tale limite sia frutto di un ragionevole e puntuale bilanciamento «tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso della norma adottata» (cfr., da ultimo, Corte costituzionale, sentenza n. 73/2017). Sulla base di tale principio, la Corte ha individuato alcuni limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali. Tra tali limiti e', in particolare ricompreso «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (cosi', in particolare, la sentenza n. 170 del 2013, ma cfr. anche le sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). Il contrasto della disposizione censurata con il principio di ragionevolezza rileva sotto molteplici profili. 3.1.1. Anzitutto, essa interviene su procedimenti elettorali attualmente in corso, incidendo pesantemente non solo sulla presentazione delle candidature, ma anche sull'ammissibilita' di candidature gia' presentate e, talora, gia' ammesse al voto. Anche a voler ritenere, dunque, in astratto che il legislatore sia intervenuto per chiarire il quadro giuridico determinato dalla sentenza della Cassazione sopra ricordata (in questo senso si esprime la relazione di accompagnamento al decreto-legge n. 2/2019, e la motivazione dell'emendamento governativo alla legge di conversione del decreto-legge n. 135/2018), si palesano irragionevoli le concrete modalita' con le quali tale obiettivo e' stato perseguito e, in particolare l'assoluta assenza di considerazione per la circostanza che erano in corso le elezioni per il rinnovo dei Consigli degli ordini forensi; circostanza notoria, conosciuta al legislatore e palesata anche nella disposizione successiva a quella qui considerata (il comma 2), che consente, appunto, il differimento della tornata elettorale fino al mese di luglio 2019. L'incidenza della disposizione censurata su procedimenti elettorali in corso, inoltre, ridonda in una violazione del principio del legittimo affidamento sia di coloro che, in buona fede, si siano candidati confidando nella possibilita' di essere eletti, sia di coloro che, altrettanto in buona fede, abbiano deciso di esprimere il proprio voto a favore di tali candidati. La lesione del principio di legittimo affidamento si traduce, pertanto, in una ulteriore irragionevole violazione dei diritti di elettorato passivo e di elettorato attivo di cui ai piu' volte richiamati articoli 48 e 51 Cost. 3.2. D'altro canto, la giurisprudenza costituzionale che si e' occupata, a diverso titolo, della retroattivita' di interventi normativi in materia di elettorato passivo ha chiarito, per un verso, che la ragionevolezza della retroattivita' in materia elettorale deve essere valutata «con particolare rigore» (cfr. sentenza n. 376/2004); e, per altro verso, ha ritenuto la legittimita' di disposizioni immediatamente operanti su mandati elettivi in essere solo in presenza di un rilevante interesse pubblico concorrente, quale, ad esempio, quello alla tutela della legalita' nella pubblica amministrazione (cfr. sentenza n. 236/2015, relativa all'immediata operativita' della sospensione dalla carica in caso di condanna anche non definitiva per delitti di corruzione, pure se intervenuta prima dell'entrata in vigore della legge), interesse non ravvisabile ovviamente nel caso di specie. Non pare, infatti, potersi dubitare che la norma in questione disponga, appunto, in senso retroattivo, consistendo la retroattivita' propriamente nel conferimento di effetti pro futuro a fatti accaduti in passato o a rapporti giuridici esauriti. Si recuperano cosi', senza valide ragioni, vicende del passato gia' regolate in un certo modo, e si conferisce loro un nuovo e diverso rilievo giuridico per il futuro. E' questo proprio il caso che ci occupa: i mandati consiliari precedenti all'entrata in vigore delle disposizioni preclusive sono manifestamente rapporti giuridici esauriti. Eppure ad essi il legislatore, in sede di interpretazione autentica, riconduce un effetto per il futuro. Un effetto, lo si e' detto, particolarmente grave ed incisivo: quello di comprimere il diritto di elettorato passivo ed il diritto di elettorato attivo degli avvocati. E cio' sempre per un fine: evitare sclerotizzazioni e favorire l'avvicendamento che, come pure si e' detto, non appare dotato dello stesso tono costituzionale. 3.3. Quanto sopra trova conforto anche nel generale principio di irretroattivita' che regola la successione delle fonti dell'ordinamento nel tempo. Questo principio, infatti, non consente alcuna derogabilita' da parte del legislatore, almeno in tutte le ipotesi in cui la legge, come nel caso di specie, incide su un diritto costituzionalmente garantito quale e' quello di elettorato passivo ex art. 51 Cost., producendo cosi' un «sacrificio del suo nucleo essenziale» (Corte cost., n. 85/2013). L'art. 11 delle preleggi al codice civile, nel prevedere espressamente la irretroattivita' della legge, pur non avendo diretta forza costituzionale e pur essendo derogabile dal legislatore successivo, assume indubbiamente rilievo costituzionale quando sono in gioco diritti fondamentali come quelli protetti dagli articoli 48 e 51 Cost. In tali casi, infatti, le leggi che li comprimono non possono essere retroattive anche se non sono leggi penali. Il fatto che, nella specie, l'art. 11-quinquies del decreto-legge n. 135/2018 come modificato dalla legge di conversione (n. 12/2019) intacchi «nel suo nucleo essenziale» il diritto di cui all'art. 51 Cost., rende percio' inderogabile il principio di irretroattivita' sancito dall'art. 11 delle preleggi. Deve ritenersi insomma che, pur non essendo tale principio implicitamente costituzionale, tuttavia la sua rilevanza al riguardo puo' rinvenirsi in campi ben individuati come in tutte le materie costituzionalmente riservate, data l'esigenza che esse vengano disciplinate in via generale ed astratta, anziche' avendo riguardo a situazioni definite o definibili quali sono i fatti passati (in tale senso, L. Paladin, Appunti sul principio di irretroattivita' delle leggi, in Foro amm., I, 1959, pag. 248). Nel nostro caso risulta di tutta evidenza che, proprio attraverso l'intervento retroattivo di interpretazione autentica, detto art. 11-quinquies ha inciso illegittimamente su una materia - quella dell'elettorato attivo e passivo - che, essendo oggetto di una tutela astratta e generale riservata alla legge, non puo' essere in alcun modo ricondotta a situazioni e fatti comunque da definire, come sono appunto i fatti passati. 3.4. Come rilevato anche dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, viene in evidenza, inoltre, per effetto dell'irragionevolezza della retroattivita' della disposizione censurata, la violazione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, che - come risulta dalla giurisprudenza costituzionale richiamata - e' uno dei canoni di valutazione della ragionevolezza delle norme di interpretazione autentica. La sopravvenienza legislativa ha infatti pesantemente inciso sull'esercizio delle funzioni attribuite dalla legge a questo Consiglio, che e' giudice speciale anche ove investito del contenzioso in materia di elezioni dei consigli degli Ordini forensi e si e' trovato a dover decidere sull'ammissibilita' delle candidature e sull'eleggibilita' dei candidati gia' eletti in passato. La giurisdizione elettorale domestica e' infatti elemento caratterizzante l'ordinamento forense, ed attuazione specifica del principio di autonomia cui l'ordinamento italiano ha inteso conformare l'ordine degli avvocati, secondo una risalente tradizione confermata dalla Costituzione, che - come noto - non ha soppresso i giudici speciali precostituzionali (cfr. VI disp. trans. Cost). Nel momento in cui e' entrata in vigore la norma di interpretazione autentica retroattiva, erano gia' pendenti diversi procedimenti giurisdizionali presso questa Autorita' giudiziaria, ed e' anzi di tutta evidenza che, scegliendo di intervenire normativamente sui procedimenti elettorali della tornata del 2019, il legislatore abbia inteso intervenire - al fine di orientarli in una direzione specifica - anche (o forse soprattutto) sugli inevitabili conseguenti procedimenti giurisdizionali attivati nelle forme dei reclami elettorali previsti dall'ordinamento forense. 4. Per le ragioni sopraesposte la norma in questione non pare a questo Giudice sfuggire a seri dubbi di costituzionalita' sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalita', alla luce dei limiti che le norme di interpretazione autentica, come detto, incontrano nel sistema costituzionale delle fonti.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 2, 3, 18, 48, 51 e 118 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113 e all'art. 11-quinquies del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, come inserito dalla legge di conversione 13 febbraio 2019, n. 12; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio fino alla decisione della Corte costituzionale. Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del 15 febbraio 2019. Il Presidente f.f.: Logrieco Il segretario f.f.: Broccardo