N. 215 ORDINANZA 26 maggio - 3 giugno 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  - Richiesta del P.M. di proroga del termine per il
 compimento  delle  indagini  preliminari  Notificazione  a  cura  del
 giudice  anziche' del P.M. - Inconferente il richiamo agli artt. 97 e
 101 Cost. Discrezionalita' legislativa - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., art. 406, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 97, primo comma, e 101, secondo comma).
 
(GU n.23 del 9-6-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 657, commi 1 e
 3, del codice di procedura penale, e 57 della legge 24 novembre 1981,
 n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con  ordinanza  emessa
 il  9  marzo  1998  dal  pretore  di  Latina,  iscritta al n. 538 del
 registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 34 - prima serie speciale - dell'anno 1998.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12 maggio 1999 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto che il pretore di Latina, adi'to a seguito di incidente di
 esecuzione nel quale il ricorrente  si  doleva,  fra  l'altro,  della
 omessa  detrazione  dal computo della sanzione sostitutiva da espiare
 (mesi sei di liberta' controllata) del periodo equivalente  trascorso
 in  esecuzione  della  misura cautelare di cui all'art. 283, comma 4,
 c.p.p., ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  27  della
 Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt.
 657, commi 1 e 3, c.p.p., e 57 della legge 24 novembre 1981,  n.  689
 (Modifiche  al  sistema penale), nella parte in cui non prevedono che
 il condannato  possa  chiedere  al  pubblico  ministero  che  per  la
 determinazione  della sanzione sostitutiva da eseguire, quando questa
 sia la liberta' controllata, siano computati  i  periodi  espiati  in
 applicazione  dell'obbligo di dimora ai sensi dell'art. 283, comma 4,
 c.p.p.;
     che a  parere  del  giudice  a  quo  la  normativa  impugnata  e'
 censurabile  sul  piano  della  ragionevolezza  in  quanto  non vi e'
 sostanziale differenza tra la misura degli  arresti  domiciliari  con
 autorizzazione  ad  allontanarsi  dal  luogo  di  applicazione  della
 misura, rispetto all'obbligo di dimora con divieto di  allontanamento
 dal  domicilio,  sicche'  scriminante  si appalesa la possibilita' di
 detrarre dalla pena da eseguire il primo periodo e non il secondo;
      che pur essendo evidente  -  afferma  il  giudice  a  quo  -  la
 diversita' dei presupposti applicativi delle misure cautelari poste a
 raffronto,  e  malgrado  le  differenti  conseguenze che scaturiscono
 dalle  rispettive  violazioni  (risponde  del  delitto  di   evasione
 soltanto  chi  si  sottrae alla misura degli arresti domiciliari), le
 misure stesse finiscono per presentare analogo  contenuto  afflittivo
 quando  l'obbligo  previsto  dall'art.  283, comma 4, cod. proc. pen.
 coincida, come limiti orari, con il  dovere  di  rimanere  presso  il
 domicilio  di arresto fuori degli orari di cui all'art. 284, comma 3,
 dello stesso codice;
     che violato sarebbe anche l'art. 27 della Costituzione, in quanto
 le  norme  impugnate  "nei  fatti  consentono  l'assoggettamento  del
 condannato  alla  stessa sanzione afflittiva per due volte, contro il
 principio del ne bis in idem  punitivo,  che  altro  non  e'  che  un
 corollario  del  piu' generale principio di umanita' e rieducativita'
 delle pene le quali per rispondervi non devono  essere  applicate  in
 misura sproporzionata".
   Considerato  che  il  giudice  a quo fa derivare le proprie censure
 dalla erronea premessa di  ritenere  fra  loro  comparabili  istituti
 cautelari  che,  pur  se  connotati  da  profonde  differenze,  nelle
 rispettive  e  reciproche  modalita'  esecutive  -  ove  inversamente
 applicate   nella  massima  estensione  per  l'uno  e  nella  massima
 restrizione per l'altro - possono  presentare,  in  concreto,  taluni
 aspetti  di  apparente  analogia,  evocandosi a tal proposito il caso
 della misura  degli  arresti  domiciliari,  nell'ipotesi  in  cui  la
 persona che vi e' sottoposta sia stata autorizzata, a norma dell'art.
 284,  comma  3,  c.p.p.,  ad  allontanarsi dal luogo degli arresti, e
 quello dell'obbligo di dimora qualora  sia  stata  imposta,  a  norma
 dell'art.  283,  comma  4,  cod.  proc.  pen., la prescrizione di non
 allontanarsi dalla abitazione in alcune ore del giorno;
     che nel profilare "il caso"  ora  rammentato  il  rimettente  non
 considera  che  la  misura  degli  arresti domiciliari e' configurata
 espressamente dalla legge quale misura di  tipo  custodiale,  sicche'
 essa  e' destinata per sua stessa natura a comprimere direttamente la
 liberta'  personale,  con  tutti  gli  effetti  che  come  e'   ovvio
 scaturiscono,    sul   piano   sostanziale   e   processuale,   dalla
 sottoposizione  al  relativo   regime;   un   regime,   questo,   che
 evidentemente prescinde non soltanto dalla varieta' dei luoghi in cui
 la  misura  puo'  trovare  applicazione,  ma anche dalla varieta' dei
 limiti, divieti ed autorizzazioni che possono, nelle diverse  ipotesi
 di  specie, caratterizzare le relative modalita' esecutive, pur senza
 incrinare l'essenza della misura stessa;
     che alla stregua di tali rilievi, deriva, dunque, che, mentre  la
 persona  sottoposta  alla misura degli arresti domiciliari, ancorche'
 autorizzata ad assentarsi dal luogo degli arresti  "nel  corso  della
 giornata"  (e,  quindi,  non  per  piu' giorni consecutivi) per cause
 specifiche e per recarsi in luoghi determinati, non  cessa  per  cio'
 solo di essere in stato di custodia e, pertanto, in una condizione di
 "non  liberta'",  la  persona  sottoposta alla misura dell'obbligo di
 dimora e' invece  "libera"  nell'ambito  del  territorio  individuato
 dalla  ordinanza  applicativa,  anche  nell'ipotesi  in  cui le venga
 prescritto l'obbligo di non allontanarsi  dall'abitazione  in  alcune
 ore del giorno;
     che  a  tal  proposito,  e come lo stesso giudice a quo rammenta,
 accanto alle evidenti differenze strutturali  che  caratterizzano  le
 misure   poste   a   raffronto,   l'eterogeneita'   delle  stesse  e'
 ulteriormente confermata anche dal ben diverso regime che  scaturisce
 dalla  violazione  delle  relative prescrizioni, giacche' puo' essere
 chiamata a rispondere del delitto di evasione, previsto dall'art. 385
 c.p.p., soltanto la persona  sottoposta  alla  misura  degli  arresti
 domiciliari,  in  cio'  chiaramente  sottolineandosi,  anche sotto il
 profilo sostanziale,  l'appartenenza  dell'istituto  al  genus  delle
 misure custodiali;
     che   pertanto,   risultando   palesemente   erronea  la  pretesa
 assimilazione delle misure prospettata dal giudice  a  quo  non  puo'
 nella   specie   ravvisarsi   alcuna   violazione  del  principio  di
 uguaglianza e di ragionevolezza, cosi' come destituito di  fondamento
 si  rivela  il  dedotto contrasto con "il principio di umanita' della
 pena" di cui all'art. 27 della Costituzione, in quanto il considerare
 non computabile per la determinazione della sanzione  sostitutiva  da
 applicare   il   periodo  di  sottoposizione  all'obbligo  di  dimora
 nell'ipotesi prevista dall'art. 283, comma 4,  c.p.p.,  non  equivale
 affatto  -  come  al  contrario  opina  il  giudice rimettente - alla
 applicazione di una duplice sanzione, non  potendosi  in  alcun  modo
 riconnettere alle misure cautelari caratteristiche e funzioni di tipo
 sanzionatorio;
     che   la   questione   proposta  deve  quindi  essere  dichiarata
 manifestamente infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 657, commi 1 e 3, del codice di  procedura
 penale,  e  57  della  legge  24  novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
 sistema penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3  e  27  della
 Costituzione, dal pretore di Latina con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 3 giugno 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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