N. 151 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 marzo 2013
Ordinanza del 18 marzo 2013 emessa dal Giudice designato della Corte di appello di Bari sul ricorso proposto da D'Aversa Concettina contro il Ministero della giustizia. Procedimento civile - Equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo - Termine decadenziale di sei mesi per la proposizione della domanda - Decorrenza dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento e' divenuta definitiva - Abolizione della previgente possibilita' di proporre la domanda durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata - Ingiustificata discriminazione in danno di chi subisca l'eccessiva durata di un processo non ancora concluso - Violazione indiretta del diritto alla ragionevole durata del processo presupposto - Carenza di effettivita' del diritto delle parti all'esame della loro causa "entro un termine ragionevole", sancito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU) - Contrasto con i vincoli convenzionali, come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. - Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, art. 55, comma 1, lett. d), sostitutivo dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89. - Costituzione, artt. 3, 111, comma secondo, e 117, primo comma, anche in relazione all'art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.26 del 26-6-2013 )
La corte di appello di Bari, prima sezione civile, in persona del dott. Vittorio Gaeta - designato ex art. 3, comma 4, legge n. 89/2001 come modificato dalla legge n. 134/2012 con provvedimento presidenziale 25 gennaio 2013; Visti gli atti del procedimento n. 701/12 V.G. per equa riparazione ex legge n. 89/2001, istante D'Aversa Concettina (avv. Renato Potente e Carla Saltarelli); Viste le note difensive, depositate l'11 marzo 2013 dall'istante, a seguito di provvedimento 5-7 febbraio 2013 di questo G.D.; Ha pronunciato la seguente ordinanza premesso che Concettina D'Aversa, dipendente della ditta «Industria casearia di Tamburro Aldo», propose il 30 settembre 1993 ricorso al pretore di Campobasso per il pagamento di differenze retributive, e che il giudizio si interruppe a causa del fallimento dell'impresa, dichiarato con sentenza tribunale Campobasso n. 2/96 del 6 marzo 1996 in procedura fallimentare n. 1/96; Che, con atto depositato il 27 marzo 1997, D'Aversa chiese l'ammissione del credito al passivo fallimentare e che, con provvedimento in margine all'istanza datato 22 luglio 1997, il tribunale ammise un credito di £ 13.318.581, pari a € 6878,47; Che di tale somma ella ha ricevuto complessivi € 6541,32 (di cui € 947,19 nel giugno 2002 e € 5594,13 nell'agosto 2010), restando creditrice del residuo; Che, alla stregua di attestazione di cancelleria del 14 febbraio 2013, la procedura concorsuale n. 1/96 tribunale Campobasso e' tuttora pendente; Che, allo stato, si ipotizza la vendita di altri beni del fallito, ma non sono stati formulati ulteriori piani di riparto dopo quello approvato il 19.4.2010, sicche' non e' definitiva l'attribuzione alla creditrice di € 6541,32 anziche' dell'intera somma di € 6878,47 ammessa dal tribunale fallimentare; Che, con ricorso depositato il 19.12.2012, D'Aversa ha chiesto a questa Corte di indennizzare il danno (solo) non patrimoniale da eccessiva durata della procedura fallimentare, nella misura di € 8000,00, oltre ad accessori e a spese legali; Osserva 1. Secondo la giurisprudenza, nei confronti del creditore fallimentare la durata del processo presupposto, rilevante per l'accertamento della violazione del termine ragionevole di durata, si commisura al periodo tra la proposizione della domanda di ammissione al passivo e la distribuzione finale del ricavato (Cass. 2207/10). Il dies a quo del termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda di equa riparazione, poi, si identifica con il momento in cui il decreto di chiusura del fallimento e' diventato definitivo (Cass. 15251/11), o con l'eventuale soddisfacimento integrale del credito ammesso al passivo (Cass. 950/11). La decadenza peraltro non si verifica se in pendenza di procedura fallimentare sono eseguiti dei riparti parziali, i quali non fanno venir meno l'interesse del creditore alla rapida definizione della procedura e il suo disagio psicologico, derivante dall'ulteriore protrarsi della stessa nel tempo (Cass. 23034/11). 2. Alla stregua di tali orientamenti, che integralmente si condividono, la proposizione della domanda di equa riparazione non e' tardiva, perche' il processo presupposto non e' stato definito e sono stati effettuati dei riparti solo parziali. Essa tuttavia deve considerarsi prematura ai sensi dell'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, nel testo applicabile ratione temporis a seguito della modifica operata dall'art. 55, comma 1, lettera d), decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134. Ed infatti, il testo vigente dell'art. 4, legge n. 89/2001, nel confermare che «la domanda di riparazione puo' essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il procedimento, e' divenuta definitiva», ha soppresso il precedente inciso, contenuto nel testo anteriore dell'art. 4, secondo cui la domanda di riparazione «puo' essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata». L'eliminazione di tale inciso, esaminata unitamente al mantenimento della regola sul termine semestrale di decadenza, non puo' che avere il significato di precludere, dal momento di entrata in vigore del nuovo art. 4, la proposizione della domanda di equa riparazione, qualora il procedimento presupposto sia ancora pendente, in quanto non concluso con decisione definitiva. Di conseguenza, in relazione al testo vigente dell'art. 4, legge n. 89/2001, la domanda di equa riparazione appare improponibile, sicche' e' rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55, comma 1, lettera d), decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha modificato il predetto art. 4 - il cui testo anteriore avrebbe invece consentito la proposizione della domanda. 3. In punto di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del testo vigente dell'art. 4, legge n. 89/2001, il G.D. osserva che dal 27 marzo 1997, data di presentazione della domanda di ammissione al passivo fallimentare, al 19 dicembre 2012, data di proposizione della domanda di equa riparazione, sono trascorsi circa 15 anni e 9 mesi, e cioe' un tempo molto piu' lungo dei 6 anni, che il vigente art. 2, comma 2-bis, legge n. 89/2001 considera ragionevole per la conclusione di una procedura concorsuale - che nella specie non era di particolare complessita', riguardando una ditta individuale di non grande dimensione. Eppure, nonostante la procedura concorsuale non si sia conclusa e il credito dell'istante D'Aversa non sia stato interamente soddisfatto, non e' proponibile la domanda di equa riparazione. In tale situazione, originata dal vigente art. 4, legge n. 89/2001, appaiono lese diverse norme della Costituzione. 3.1. Appare violato anzitutto l'art. 3 della Costituzione, in quanto l'indennizzo puo' essere richiesto da chi lamenti l'eccessiva durata di un processo presupposto che si e' almeno concluso, ma non da chi lamenti l'eccessiva durata di un processo presupposto che neppure si e' concluso, benche' in tale seconda situazione la lesione del diritto alla ragionevole durata risulti ictu oculi piu' grave. Ne' l'esigenza di consentire la valutazione unitaria del pregiudizio mediante la cognizione della durata dell'intero processo presupposto potrebbe giustificare la ravvisata discriminazione, nel momento in cui la causa di improponibilita' della domanda sussiste anche quando, come nella specie, risulti enorme (quasi 10 anni in piu' del termine ragionevole) il ritardo gia' maturato nel processo presupposto, e quest'ultimo abbia ad oggetto la mera attuazione del diritto primario (pacifico nell'an e nel quantum) della lavoratrice alla retribuzione, peraltro gia' richiesta sin dal 1993 nei confronti dell'imprenditore in bonis. 3.2. Appare poi violato l'art. 111 cpv. della Costituzione, in quanto il diritto di agire per l'equa riparazione costituisce ormai una forma di attuazione indiretta del diritto alla ragionevole durata del processo presupposto. 3.3. Appare infine violato l'art. 117 della Costituzione, relativo al rispetto da parte della legislazione dei vincoli derivanti dall'art. 6, comma primo della Convenzione EDU, che prevede il diritto delle parti all'esame della loro causa «entro un termine ragionevole». Indubbiamente, l'obbligo fondamentale degli Stati aderenti alla Convenzione EDU e' di garantire, attraverso appropriate misure organizzative e legislative, il diritto alla ragionevole durata dei processi. La previsione di specifici rimedi indennitari in caso di violazione di tale diritto non e' di per se' doverosa per le legislazioni nazionali. Cio' nonostante, l'introduzione del rimedio c.d. Pinto quale forma di attuazione del principio di sussidiarieta' nella tutela del diritto all'indennizzo non e' guardata con sfavore dalla Corte EDU, e puo' anzi essere intesa come espressione di una linea di tendenza di piu' largo respiro. Cio' e' confermato dalle due sentenze emesse in data 31 maggio 2012 nei casi (rispettivamente n. 19488/09 e 53126/07) Garcia Cancio contro Germania e Taron contro Germania, nei quali la richiesta di indennizzo del danno da eccessiva durata e' stata rimessa dalla Corte EDU alla giurisdizione interna, attesa l'entrata in vigore in Germania, il 3 dicembre 2011, di una legge avente finalita' analoghe alla nostra legge n. 89/2001. In tale contesto, il rimedio Pinto ha senso se e' dotato del carattere dell'effettivita', e cioe' se consente la massima conformazione possibile del giudice nazionale alle regole della Convenzione EDU come interpretata dalla Corte di Strasburgo. L'obbligo di conformazione, e quindi di tendenziale coincidenza tra l'area della legge Pinto e la giurisprudenza di Strasburgo, e' stato affermato dalla nostra Cassazione a partire dalle sentenze delle Sezioni unite civili n. 1338/04, n. 1339/04 e n. 1340/04, ed ancora di recente e' stato ribadito da Cass. civ. 21652/12, che alla luce dell'art. 34 della Convenzione ha escluso l'indennizzo da eccessiva durata in favore della parte processuale che sia ente pubblico. Al contrario, la legge si pone in contrasto con il vincolo convenzionale allorche' il suo adempimento risulta solo apparente perche' privo del requisito dell'effettivita', che la giurisprudenza di Strasburgo costantemente richiede. A titolo meramente esemplificativo, si ricordano le sentenze, rese in relazione a diritti convenzionali diversi da quello alla ragionevole durata del processo: a) Artico contro Italia del 13 maggio 1980, nel cui paragrafo 33 e' detto che «La Cour rappelle que le but de la Convention consiste a' proteger des droits non pas theoriques on illusoires, mais concrets et effectifs»; b) Ramsey contro Cipro e Russia del 7 gennaio 2010, sull'obbligo di indagini statali efficaci nei casi di human trafficking, nel cui paragrafo 275 della parte motiva e' detto che «Finally, the Court emphasises that the object and purpose of the Convention, as an instrument for the protection of individual human beings, requires that its provisions be interpreted and applied so as to make its safeguards practical and effective (see, inter alia, Soering v. the United Kingdom, 7 July 1989, § 87, Series A no. 161; and Artico v. Italy, 13 May 1980, § 33)»; e) Torreggiani contro Italia dell'8 gennaio 2013, nel cui dispositivo, al punto 4, viene fissato al nostro Paese il termine di un anno per «istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, e cio' conformemente ai principi della Convenzione come stabiliti nella giurisprudenza della Corte». 3.3.1. In conclusione, le modifiche della legge n. 89/2001 si giustificano rispetto all'art. 117 della Costituzione solo se conservano o accrescono l'effettivita' del rimedio indennitario, la sua conformita' alle regole della Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo. La contestata modifica dell'art. 4, legge n. 89/2001 ha invece drasticamente soppresso tale conformita' in relazione ai processi presupposti non ancora definiti, il cui eccessivo ritardo consente oggi alla parte danneggiata solo di rivolgersi alla Corte EDU per l'indennizzo, nonostante in casi come quello della lavoratrice D'Aversa il ritardo maturato sia gravissimo e colpisca il diritto primario alla retribuzione. Ne' la soppressione di tale facolta' di azione in relazione ai processi presupposti ancora pendenti puo' correlarsi a un eventuale ridimensionamento del problema della eccessiva durata dei processi, che rimane tuttora un problema strutturale del nostro Paese. Non e' infine possibile un'interpretazione convenzionalmente orientata, perche', come si e' visto al precedente punto 2, la finalita' del nuovo art. 4, legge n. 89/2001 e' univocamente quella di impedire la proposizione della domanda di equa riparazione relativa a giudizio presupposto ancora pendente.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge n. 87/1953, solleva di ufficio, perche' non manifestamente infondata e rilevante nel presente giudizio, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55, comma 1, lettera d), decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha sostituito il previgente art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, per contrasto con gli articoli 3, 111, comma 2 e 117, comma 1 della Costituzione, anche in relazione all'art. 6, comma 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Sospende il giudizio in corso, e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La presente ordinanza va comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, e notificata, con urgenza, al Presidente del Consiglio dei ministri, alla ricorrente e al Ministero della giustizia presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato. Bari, 18 marzo 2103 Il giudice designato: Gaeta