N. 129 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 aprile 2019
Ordinanza dell'11 aprile 2019 del G.I.P. del Tribunale di Salerno nel procedimento di esecuzione a carico di M. A.. Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive brevi - Esclusione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto in abitazione di cui all'art. 624-bis cod. pen. - Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lettera a).(GU n.37 del 11-9-2019 )
TRIBUNALE DI SALERNO Sezione G.I.P./G.U.P. Il Giudice dott. Pietro Indinnimeo; Letta l'istanza con cui il difensore di M. A. nato a Salerno il.... ed attualmente detenuto presso la ....., chiedeva di provvedere, in ordine al titolo esecutivo ai sensi dell'art. 670 del codice di procedura penale alla sospensione dell'ordine di esecuzione per la carcerazione, non disposta dal pubblico ministero con l'ordine di esecuzione per la carcerazione n. 37/2019 S.I.E.P., emesso in data 8 febbraio 2019 della sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti n. 368/2018 emessa in data 3 ottobre 2018 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno divenuta irrevocabile dal 10 gennaio 2019; Costituite le parti, all'udienza camerale del 1° aprile 2019, letti gli atti del procedimento; Accertata la propria competenza a provvedere, quale giudice dell'esecuzione, in quanto il provvedimento del pubblico ministero con il quale non veniva concessa la sospensione dell'esecuzione, e quindi l'ordine di carcerazione per il quale veniva disposta la carcerazione del M., pur non essendo ricorribile in Cassazione, puo' essere sottoposto al controllo del giudice dell'esecuzione, mediante attivazione della procedura prevista in sede esecutiva ex art. 670 del codice di procedura penale, trattandosi di «questione concernente l'eventuale transitoria inefficacia del titolo esecutivo» (Cass. Pen. Sez. I, 17 giugno 2011, n. 36007); Rilevato, infatti, che i provvedimenti emessi dal pubblico ministero nella fase esecutiva, anche se incidenti sulla liberta' del condannato, non hanno contenuto decisorio e attitudine a definire il rapporto processuale, non hanno natura giurisdizionale ma amministrativa, promanando da un organo le cui funzioni sono eminentemente di carattere esecutivo e amministrativo. Ne consegue che tali provvedimenti non sono suscettibili di autonoma e diretta impugnazione con il ricorso per Cassazione, mentre, per ottenere una pronuncia ablativa o modificativa, e' esperibile lo specifico rimedio dell'incidente di esecuzione (Cass. Pen. Sez. I, 17 giugno 1999, n. 4396); Preso atto che, il pubblico ministero nell'ordine di carcerazione non ha ritenuto di applicare al M., condannato ad anni 2 e mesi 6 di reclusione, la sospensione dell'esecuzione del titolo in quanto, seppure rientrante nei limiti di pena previsti dal comma 5 dell'art 656 del codice di procedura penale, era escluso da tale regime per il disposto di cui al comma 9 che nella lettera a) prevede un ipotesi di' esclusione della sospensione di cui al comma 5 nei confronti dei condannati per il delitto di cui all'art. 624-bis del codice penale, analogamente ai condannati per i reati previsti dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 dell'ordinamento penitenziario, e successive modificazioni, nonche' per i delitti eli cui agli articoli 423-bis, 572, secondo comma, 612-bis, terzo comma, del codice penale; Ritenuto che la ratio posta alla base della deroga prevista dal comma 9 lettera a) dell'art. 656 del codice di procedura penale consiste nell'aver previsto il legislatore delle ipotesi per le quali le persone condannate per i taluni reati siano ritenute maggiormente pericolose rispetto ad altre condannate a diverso titolo, con conseguente esclusione del regime di sospensione dell'esecuzione della pena carceraria e venir meno della possibilita' di valutazione da parte del Tribunale di sorveglianza sulla applicazione di misure alternative alla detenzione carceraria; Ritenuto altresi' che in ordine a tale tema occorre rilevare come il comma 9 lettera a) dell'art. 656 del codice di procedura penale sia stato recentemente oggetto di pronuncia di illegittimita' costituzionale con sentenza emessa dalla Corte costituzionale avente n. 125 del 2016, nella parte in cui stabilisce che non puo' essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo ex art. 624-bis comma 2 del codice penale, in riferimento agli articoli 3 e 27 comma 3 della Costituzione, utilizzando come «tertium comparationis» il delitto di rapina (reato per caratteristiche omogeneo al furto con strappo), ove non ricorra l'ipotesi aggravata dell'art. 628 comma 3 del codice penale; Rilevato che la Corte costituzionale nella indicata sentenza limita il perimetro della pronuncia di incostituzionalita' alla sola fattispecie incriminatrice di cui al comma 2 dell'art. 624-bis del codice penale di guisa che deve valutarsi se residuano profili di compatibilita' costituzionale in ordine al diverso delitto pure ivi contenuto del furto in abitazione; Considerato che detta analisi assume certamente rilevanza nel caso di specie atteso che il M. e' detenuto, senza che si sia proceduto alla sospensione dell'ordine di carcerazione, per il delitto di cui all'art. 624-bis (furto in abitazione), sul rilievo che detta fattispecie incriminatrice sarebbe sfuggita dal perimetro di incostituzionalita' tracciato dal giudice delle leggi in rapporto all'art. 624-bis del codice penale, di guisa che una eventuale pronuncia di incostituzionalita' anche in rapporto al furto in abitazione determinerebbe immediatamente la possibilita' per il M. di richiedere al Magistrato di sorveglianza da libero l'applicazione delle misure alternative alla detenzione; Rilevato che ai fini di delibare sulla infondatezza manifesta della questione il giudice deve analizzare anche solo i profili critici di compatibilita' costituzionale degli istituti posti al suo esame potendo anche esprimere, sul punto, un giudizio «sintomatico» di incostituzionalita' lasciando poi alla Corte costituzionale il compito di valutarne l'essenza e determinarsi in ordine alla effettiva illegittimita' costituzionale dell'istituto sottoposto al suo esame; Ritenuta, quindi, la rilevanza ai fini della decisione della causa e non manifestamente infondata, in un'ottica anche di razionalita' sistematica, la questione di legittimita' costituzionale per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione dell'art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente la sospensione dell'esecuzione ai condannati per il delitto di furto in abitazione ex art. 624-bis del codice penale; Osserva L'istituto della sospensione della pena, disciplinato dall'art. 656 comma 5 del codice di procedura penale, e' ispirato alla ratio di impedire l'ingresso in carcere di coloro che possono aspirare ad uno dei regimi alternativi (Cass. Pen., Sez. I, 3 dicembre 2003, n. 8720), avendo previsto il legislatore la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena carceraria nei confronti dei condannati entro un limite legale di pena. Tali limiti legali di pena sono stati oggetto «di interventi correttivi conseguenti al carattere complementare che l'art. 656, comma 5, del codice di procedura penale riveste rispetto alla scelta legislativa di aprire la via alla misura alternativa. La natura servente dell'istituto oggetto del dubbio di legittimita' costituzionale lo espone a profili di incoerenza normativa ogni qual volta venga spezzato il filo che lega la sospensione dell'ordine di esecuzione alla possibilita' riconosciuta al condannato di sottoporsi ad un percorso risocializzante che non includa il trattamento carcerario» (Corte costituzionale sentenza n. 41/2018). Il legislatore ha pero' previsto con l'art. 656 comma 9 del codice di procedura penale delle ipotesi tassative che limitano la sospensione dell'esecuzione della pena carceraria per i condannati dei reati ritenuti di maggiore «clamore» sociale, non i piu' gravi e neanche di un maggiore indice di pericolosita' sociale. Tale scelta operata dal legislatore consta di vari interventi e di successive pronunce da parte della Corte costituzionale. Originariamente l'art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale prevedeva che la sospensione dell'ordine di carcerazione non potesse aversi nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 (legge di ordinamento penitenziario), ovvero per quei delitti gravati dal divieto di concessione dei benefici penitenziari. Successivamente il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, conv. nella legge 24 luglio 2008, n. 125, il cosiddetto «pacchetto sicurezza», ha inserito nell'art. 656 comma 9, lettera a) un regime di esclusione anche nei confronti dei condannati per i delitti «di cui agli articoli 423-bis, 624 quando ricorrono due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'art. 625, 624-bis del codice penale, nonche' per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'art. 61 comma 1 n. 11-bis c.p.», tale ultima disposizione dichiarata poi costituzionalmente illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 249 del 2010. Infine con il decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, convertito nella legge 21 febbraio 2013, n. 94, il legislatore ha eliminato dall'art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale il furto pluriaggravato ed esteso l'applicabilita' del predetto regime di esclusione della sospensione carceraria nei confronti dei condannati per gli articoli 572 comma 2 e 612-bis comma 3 del codice penale. Da ultima, la sentenza della Corte costituzionale n. 125 del 2016 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656 comma 9 lettera a) nella parte in cui stabilisce che non puo' essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo ex art. 624-bis comma 2 del codice penale, diversamente da quello che accade per i condannati di altri reati contro il patrimonio, primo fra tutti il delitto di rapina. Secondo l'ordinanza di rimessione del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Napoli (r.o. n. 105 del 2015) «la paradossale scelta legislativa di prevedere una modalita' esecutiva piu' gravosa per il condannato per il furto con strappo comporta che l'eventuale condotta ulteriore di minaccia o violenza rispetto a due fattispecie identiche consentirebbe a chi l'ha commessa di poter beneficiare, in fase di esecuzione, del decreto di sospensione dell'esecuzione, diversamente da colui che si sia limitato a commettere un'azione volta all'impossessamento, con violenza sulla cosa, e tuttavia priva di violenza o minaccia alla persona», in riferimento al parametro della fattispecie del delitto di' rapina utilizzato come tertium comparationis». I giudici della Corte costituzionale evidenziano con tale pronuncia una possibilita' di progressione dell'azione delittuosa, tra il furto con strappo e la stessa rapina, qualora vi sia la necessita' di' vincere la resistenza della vittima, o nel caso di rapina impropria, per la necessita' di contrastare la reazione della vittima dopo la sottrazione della cosa; «in questi casi, tra il furto con strappo e la rapina si verifica una progressione nell'offesa, in quanto la lesione si estende dal patrimonio alla persona, giungendo a metterne in pericolo anche l'integrita' fisica, ed e' incongrua la normativa che, pur prevedendo per la rapina una pena assai piu' grave, riconosce a chi ne e' autore un trattamento piu' vantaggioso in sede di esecuzione della pena» (Corte cost. sentenza n. 125 del 2016). Nell'odierno giudizio a quo, che vede escluso dal regime di sospensione della pena carceraria il M. condannato per furto in abitazione, emergono profili di illegittimita' costituzionale per violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione, attesa la recente pronuncia del Giudice delle leggi che ha aperto uno spiraglio relativamente ai condannati per furto con strappo. Difatti dall'analisi dei delitti di rapina (628 c.p.), furto con strappo (624-bis comma 2) e furto in abitazione (624-bis comma 1), risulta che gli elementi costitutivi delle fattispecie, ovvero l'impossessamento di cosa mobile altrui tramite sottrazione al legittimo detentore, la finalita' del profitto proprio o altrui, sono comuni. Elementi di differenziazione tra la rapina, reato plurioffensivo che, accanto alla lesione della liberta' di autodeterminazione della persona implica l'offesa al patrimonio (Cass. Pen., Sez. II, n. 850, 22 dicembre 2011), ed il furto con strappo, risiedono nella direzione della violenza, giacche' e' configurabile la rapina quando il fatto e' commesso mediante violenza alla persona, mentre ricorre il furto con strappo quando la violenza e' immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta attinge la persona che la detiene (Cass. Pen. 10 ottobre 2008, n. 43212). Diversa invece la condotta di colui che compie il furto in abitazione, fattispecie che tutela il patrimonio ed il privato domicilio (Cass. Pen. Sez. Un. n. 31345 23 marzo 2017), ma, dato non trascurabile, non si concretizza in modalita' lesive dell'incolumita' della persona stessa o della sua liberta' morale, essendo indifferente ai fini della consumazione la presenza o meno del soggetto passivo nell'abitazione. L'attuale art. 656 comma 9 lett.) che mantiene il divieto di sospensione per la fattispecie del furto in abitazione, tenendo conto dei comuni e citati elementi costitutivi, del diverso atteggiarsi della condotta materiale, soprattutto con riguardo al «coinvolgimento» della persona propria della rapina e del furto con strappo, produce una disparita' di trattamento sanzionatorio, in senso ampio, tra illeciti penali sostanzialmente omogenei, piu' severa per il furto in abitazione di cui all'art. 624-bis comma 1 del codice penale, se non nel quantum (che e' il medesimo) nelle modalita' esecutive della pena, considerato proprio il divieto di concedere la sospensione per una misura alternativa, alterando dunque il vincolo di proporzionalita' che deve sussistere tra gravita' del reato ed entita' della punizione, atteso che l'uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione «esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, di modo che il sistema sanzionatorio, adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella delle posizioni individuali» (Corte costituzionale sent n. 409/1989). Alla luce di tali considerazioni, va sottolineato anzitutto il parallelismo delle due diverse condotte disciplinate dall'art. 624-bis del codice penale, che muovono dalla medesima ratio, quali figure autonome di reato e non circostanze aggravanti del furto semplice (Cass. Pen., Sez. IV, n. 43452, 13 novembre 2009), ed in secondo luogo ai fini della rilevanza della sollevata questione di illegittimita' costituzionale si ritiene che la precedente pronuncia della Corte costituzionale del 2016 abbia tenuto conto degli elementi costitutivi del delitto di furto con strappo e della rapina, che ben possono ritenersi integrati dalla fattispecie del furto in abitazione, residuando oltretutto l'atteggiamento violento del soggetto attivo, che e' elemento specifico del 624-bis comma 2 e 628 del codice penale, diversamente dalla condotta del soggetto attivo del furto in abitazione che non manifesta una condotta violenta sulla persona, neppure in maniera indiretta ed impone, quindi, una rivisitazione della disciplina del citato art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale in riferimento al principio costituzionale di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. Gli interventi legislativi che hanno interessato l'art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale, vanno inquadrati, infatti, in una scelta di politica criminale tesa a rispondere ad un bisogno di sicurezza dei cittadini, constando pero' di irragionevolezza sistematica alla luce di principi costituzionali, come dimostrato dai successivi interventi correttivi della Corte costituzionale. Infatti le fattispecie aggiunte alla categoria dei cosiddetti «reati ostativi» previsti dall'art. 4-bis di ordinamento penitenziario, ovvero gli articoli 572, secondo comma, 612-bis, terzo comma, e 624-bis del codice penale, sono fattispecie eterogenee tra di loro, accomunate esclusivamente da un sentimento di allarme sociale, tese a limitare quella che e' una valutazione in concreto del giudice nella fase esecutiva, introducendo presunzioni legali di pericolosita' del condannato in grado di giustificare l'esecuzione immediata della pena detentiva, con conseguente lesione della finalita' rieducativa della pena prevista dall'art. 27 comma 3 della Costituzione. Il costante orientamento espresso dalla Corte costituzionale in tale ambito esclude nella materia di benefici penitenziari, rigidi automatismi e postula invece, una valutazione individualizzata del prevenuto, cosi' da fondare la concessione o meno del beneficio sulla sua attitudine a porre il condannato sulla via dell'emenda e del reinserimento sociale (Corte cost. sentenza n. 189/2010; Corte costituzionale sentenza n. 255/2006; Corte costituzionale sentenza n. 436/1999). La Corte costituzionale si e' piu' volte espressa in ordine a quelle che potrebbero essere delle presunzioni iuris et de iure che limiterebbero la valutazione del giudice, che sarebbero contrarie all'art. 3 della Costituzione, atteso che le «presunzioni assolute, specie quelle che limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioe' se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit» (Corte cost. sentenza n. 139/2010; Corte costituzionale sentenza n. 139/1982; Corte costituzionale sentenza n. 225/2008). L'irragionevolezza delle presunzioni legali si manifesterebbe tutte le volte in cui sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa (Corte cost. sentenza n. 139/2010 e n. 265/2010), soprattutto qualora in contrasto con la finalita' rieducativa della pena costituzionalmente garantita nell'art. 27 comma 3 della Costituzione. L'asistematicita' viene altresi' ribadita dalla Corte costituzionale anche in relazione all'art. 4-bis di ordinamento penitenziario, evidenziando come la tipizzazione per titoli di reato non appare consona ai principi di proporzione e di individualizzazione della pena che caratterizzano il trattamento penitenziario rilevando una preoccupante tendenza alla configurazione normativa di tipi d'autore (Corte cost. sentenza n. 306/1993; Corte costituzionale sentenze n. 504/1995 e n. 445/1997). Come ha osservato la Corte costituzionale sono «ammissibili regimi sanzionatori differenziati, frutto di scelte discrezionali del legislatore, a condizione che queste ultime non trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (Corte cost. sentenza n. 394/2006; Corte costituzionale sentenza n. 144/2005; Corte costituzionale sentenza n. 364/2004; Corte costituzionale sentenza n. 287/2001), ma l'indiscussa discrezionalita' del legislatore nella scelta relativa alle modalita' di esecuzione della pena in relazione al nomen del reato per cui si e' proceduto, non puo' essere sintomatico di un totale arbitrio della potesta' legislativa. Difatti risulta rispondente a parametri di ragionevolezza la previsione nell'art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale degli articoli 423-bis, 572 comma 3 e 612-bis del codice penale attesi i rispettivi beni giuridici di riferimento, quali appunto la pubblica incolumita', l'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia, ma anche della incolumita' fisica e psichica delle persone che fanno parte del nucleo familiare (Cass. Pen., 23 settembre 2011, n. 36503), e la liberta' morale e lo stato di salute del soggetto passivo degli atti persecutori di cui all'art. 612-bis del codice penale, che non sarebbero «meritevoli» di un bisogno di individualizzazione della risposta sanzionatoria calibrata sul comportamento del condannato (Corte cost., sentenza n. 445 del 1997), cosi' come risulta rispondente l'inclusione nell'art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale dei reati ostativi di cui all'art. 4-bis di ordinamento penitenziario, atteso che l'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso necessita di un regime esecutivo di tipo detentivo in grado di arrestare il sodalizio tra il reo e l'ambito organizzativo in cui e' inserito, neutralizzandone la pericolosita' (Corte cost. sentenza n. 48/2015; Corte cost. sentt. n. 351/1996 e n. 376/1997). Altra questione di legittimita' costituzionale si pone rispetto alla finalita' rieducativa della pena, principio espressamente previsto nell'art. 27 comma 3 della Costituzione. Il legislatore avrebbe infatti introdotto nell'ordinamento delle presunzioni assolute di pericolosita' che mal si conciliano con quella che dovrebbe essere un'individualizzazione della pena tesa alla rieducazione del condannato. In tal senso numerose sono anche le spinte provenienti dall'interpretazione delle Corte europea dei diritti dell'uomo, che in particolare con la sentenza Torregiani c. Italia del 2013 ha chiesto all'Italia una rivisitazione del sistema di esecuzione delle pene, mirato anche alla riduzione della popolazione carceraria tramite la valorizzazione delle misure alternative per l'espiazione delle pene, pene che devono tener conto della personalita' del condannato e di una valutazione effettuata in concreto. Alla luce di tali considerazioni, l'art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale con specifico riferimento all'art. 624-bis codice penale (furto in abitazione) manifesta un'irragionevolezza ed una asistematicita' rispetto ai principi costituzionali di riferimento, che potrebbe concretizzarsi in una disparita' di trattamento. Deve dunque sospendersi il presente giudizio e trasmettere i relativi atti alla Corte costituzionale.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale n. 1 del 9 febbraio 1948, 23 della legge n. 87 del 1° marzo 1953; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale nella parte in cui prevede l'art. 624-bis comma 1 del codice penale, per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione tra i reati per i quali non puo' sospendersi l'esecuzione del titolo; Sospende il presente giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata all'istante, ai suoi difensori, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Salerno, 8 aprile 2019 Il Giudice: Indinnimeo