N. 129 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 aprile 2019

Ordinanza dell'11 aprile 2019 del G.I.P. del Tribunale di Salerno nel
procedimento di esecuzione a carico di M. A.. 
 
Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive
  brevi - Esclusione nei confronti delle persone  condannate  per  il
  delitto di furto in abitazione di cui all'art. 624-bis cod. pen. 
- Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lettera a). 
(GU n.37 del 11-9-2019 )
 
                        TRIBUNALE DI SALERNO 
                        Sezione G.I.P./G.U.P. 
 
    Il Giudice dott. Pietro Indinnimeo; 
    Letta l'istanza con cui il difensore di  M.  A.  nato  a  Salerno
il....  ed  attualmente  detenuto  presso  la  .....,   chiedeva   di
provvedere, in ordine al titolo esecutivo ai sensi dell'art. 670  del
codice di procedura penale alla sospensione dell'ordine di esecuzione
per la carcerazione, non disposta dal pubblico ministero con l'ordine
di esecuzione per la carcerazione n. 37/2019 S.I.E.P., emesso in data
8 febbraio 2019 della sentenza  di  applicazione  pena  su  richiesta
delle parti n. 368/2018 emessa in data 3 ottobre 2018 dal Giudice per
le  indagini  preliminari   del   Tribunale   di   Salerno   divenuta
irrevocabile dal 10 gennaio 2019; 
    Costituite le parti, all'udienza camerale  del  1°  aprile  2019,
letti gli atti del procedimento; 
    Accertata la  propria  competenza  a  provvedere,  quale  giudice
dell'esecuzione, in quanto il provvedimento  del  pubblico  ministero
con il quale non veniva concessa la  sospensione  dell'esecuzione,  e
quindi l'ordine di carcerazione  per  il  quale  veniva  disposta  la
carcerazione del M., pur non essendo ricorribile in Cassazione,  puo'
essere sottoposto al controllo del giudice dell'esecuzione,  mediante
attivazione della procedura prevista in sede esecutiva  ex  art.  670
del codice di procedura penale, trattandosi di «questione concernente
l'eventuale transitoria inefficacia del titolo esecutivo» (Cass. Pen.
Sez. I, 17 giugno 2011, n. 36007); 
    Rilevato,  infatti,  che  i  provvedimenti  emessi  dal  pubblico
ministero nella fase esecutiva, anche se incidenti sulla liberta' del
condannato, non hanno contenuto decisorio e attitudine a definire  il
rapporto   processuale,   non   hanno   natura   giurisdizionale   ma
amministrativa,  promanando  da  un  organo  le  cui  funzioni   sono
eminentemente di carattere esecutivo e  amministrativo.  Ne  consegue
che tali provvedimenti non sono suscettibili di  autonoma  e  diretta
impugnazione con il ricorso per Cassazione, mentre, per ottenere  una
pronuncia ablativa o modificativa, e' esperibile lo specifico rimedio
dell'incidente di esecuzione (Cass. Pen. Sez. I, 17 giugno  1999,  n.
4396); 
    Preso atto che, il pubblico ministero nell'ordine di carcerazione
non ha ritenuto di applicare al M., condannato ad anni 2 e mesi 6  di
reclusione, la sospensione  dell'esecuzione  del  titolo  in  quanto,
seppure rientrante nei limiti di pena previsti dal comma  5  dell'art
656 del codice di procedura penale, era escluso da tale regime per il
disposto di cui al comma 9 che nella lettera a)  prevede  un  ipotesi
di' esclusione della sospensione di cui al comma 5 nei confronti  dei
condannati per il delitto di cui all'art. 624-bis del codice  penale,
analogamente ai condannati per i reati previsti dall'art. 4-bis della
legge 26  luglio  1975,  n.  354  dell'ordinamento  penitenziario,  e
successive modificazioni, nonche' per i delitti eli cui agli articoli
423-bis, 572, secondo comma, 612-bis, terzo comma, del codice penale; 
    Ritenuto che la ratio posta alla base della deroga  prevista  dal
comma 9 lettera a) dell'art.  656  del  codice  di  procedura  penale
consiste nell'aver previsto il legislatore delle ipotesi per le quali
le persone condannate per i taluni reati siano ritenute  maggiormente
pericolose  rispetto  ad  altre  condannate  a  diverso  titolo,  con
conseguente esclusione  del  regime  di  sospensione  dell'esecuzione
della pena carceraria e venir meno della possibilita' di  valutazione
da parte del Tribunale di sorveglianza sulla applicazione  di  misure
alternative alla detenzione carceraria; 
    Ritenuto altresi' che in ordine a tale tema occorre rilevare come
il comma 9 lettera a) dell'art. 656 del codice  di  procedura  penale
sia  stato  recentemente  oggetto  di  pronuncia  di   illegittimita'
costituzionale con sentenza emessa dalla Corte costituzionale  avente
n. 125 del 2016, nella parte in cui stabilisce che  non  puo'  essere
disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti  delle  persone
condannate per il delitto di furto con strappo ex art. 624-bis  comma
2 del codice penale, in riferimento agli articoli  3  e  27  comma  3
della  Costituzione,  utilizzando  come  «tertium  comparationis»  il
delitto di rapina (reato per caratteristiche omogeneo  al  furto  con
strappo), ove non ricorra l'ipotesi aggravata dell'art. 628  comma  3
del codice penale; 
    Rilevato che la  Corte  costituzionale  nella  indicata  sentenza
limita il perimetro della pronuncia di incostituzionalita' alla  sola
fattispecie incriminatrice di cui al comma 2  dell'art.  624-bis  del
codice penale di guisa che deve valutarsi  se  residuano  profili  di
compatibilita' costituzionale in ordine al diverso delitto  pure  ivi
contenuto del furto in abitazione; 
    Considerato che detta analisi  assume  certamente  rilevanza  nel
caso di specie atteso che  il  M.  e'  detenuto,  senza  che  si  sia
proceduto  alla  sospensione  dell'ordine  di  carcerazione,  per  il
delitto di cui all'art. 624-bis (furto in  abitazione),  sul  rilievo
che detta fattispecie incriminatrice sarebbe sfuggita  dal  perimetro
di incostituzionalita' tracciato dal giudice delle leggi in  rapporto
all'art. 624-bis del  codice  penale,  di  guisa  che  una  eventuale
pronuncia di  incostituzionalita'  anche  in  rapporto  al  furto  in
abitazione determinerebbe immediatamente la possibilita' per il M. di
richiedere al Magistrato di  sorveglianza  da  libero  l'applicazione
delle misure alternative alla detenzione; 
    Rilevato che ai fini di  delibare  sulla  infondatezza  manifesta
della questione il giudice  deve  analizzare  anche  solo  i  profili
critici di compatibilita' costituzionale degli istituti posti al  suo
esame potendo anche esprimere, sul punto, un  giudizio  «sintomatico»
di incostituzionalita' lasciando poi  alla  Corte  costituzionale  il
compito  di  valutarne  l'essenza  e  determinarsi  in  ordine   alla
effettiva illegittimita' costituzionale dell'istituto  sottoposto  al
suo esame; 
    Ritenuta, quindi, la rilevanza  ai  fini  della  decisione  della
causa  e  non  manifestamente  infondata,  in  un'ottica   anche   di
razionalita' sistematica, la questione di legittimita' costituzionale
per contrasto con gli articoli 3 e 27  della  Costituzione  dell'art.
656 comma 9 lettera a) del codice di procedura penale, nella parte in
cui non consente la sospensione dell'esecuzione ai condannati per  il
delitto di furto in abitazione ex art. 624-bis del codice penale; 
 
                               Osserva 
 
    L'istituto della sospensione della pena,  disciplinato  dall'art.
656 comma 5 del codice di procedura penale, e' ispirato alla ratio di
impedire l'ingresso in carcere di coloro che possono aspirare ad  uno
dei regimi alternativi (Cass. Pen.,  Sez.  I,  3  dicembre  2003,  n.
8720), avendo previsto il legislatore la sospensione  dell'ordine  di
esecuzione della pena carceraria nei confronti dei  condannati  entro
un limite legale di pena. Tali  limiti  legali  di  pena  sono  stati
oggetto  «di   interventi   correttivi   conseguenti   al   carattere
complementare che l'art. 656, comma 5, del codice di procedura penale
riveste rispetto alla scelta legislativa di aprire la via alla misura
alternativa. La natura servente dell'istituto oggetto del  dubbio  di
legittimita'  costituzionale  lo  espone  a  profili  di   incoerenza
normativa ogni  qual  volta  venga  spezzato  il  filo  che  lega  la
sospensione dell'ordine di esecuzione alla possibilita'  riconosciuta
al condannato di sottoporsi ad un percorso  risocializzante  che  non
includa il trattamento carcerario» (Corte costituzionale sentenza  n.
41/2018). 
    Il legislatore ha pero' previsto  con  l'art.  656  comma  9  del
codice di procedura penale delle ipotesi tassative  che  limitano  la
sospensione dell'esecuzione della pena carceraria  per  i  condannati
dei reati ritenuti di maggiore «clamore» sociale, non i piu' gravi  e
neanche di un maggiore indice di pericolosita' sociale.  Tale  scelta
operata dal legislatore consta di vari  interventi  e  di  successive
pronunce da parte della Corte costituzionale. 
    Originariamente l'art. 656 comma  9  lettera  a)  del  codice  di
procedura  penale  prevedeva  che  la  sospensione   dell'ordine   di
carcerazione non potesse aversi nei confronti dei  condannati  per  i
delitti di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975  (legge  di
ordinamento penitenziario),  ovvero  per  quei  delitti  gravati  dal
divieto di concessione dei benefici penitenziari. Successivamente  il
decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92,  conv.  nella  legge  24  luglio
2008, n.  125,  il  cosiddetto  «pacchetto  sicurezza»,  ha  inserito
nell'art. 656 comma 9, lettera a) un regime di esclusione  anche  nei
confronti dei condannati per i delitti «di cui agli articoli 423-bis,
624 quando ricorrono due  o  piu'  circostanze  tra  quelle  indicate
dall'art. 625, 624-bis del codice penale, nonche' per  i  delitti  in
cui ricorre l'aggravante di cui all'art. 61 comma 1 n. 11-bis  c.p.»,
tale   ultima   disposizione   dichiarata   poi    costituzionalmente
illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 249 del  2010.
Infine con il decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78,  convertito  nella
legge 21 febbraio 2013, n. 94, il legislatore ha eliminato  dall'art.
656 comma 9 lettera a)  del  codice  di  procedura  penale  il  furto
pluriaggravato ed esteso  l'applicabilita'  del  predetto  regime  di
esclusione della sospensione carceraria nei confronti dei  condannati
per gli articoli 572 comma 2 e 612-bis comma 3 del codice penale. 
    Da ultima, la sentenza della Corte costituzionale n. 125 del 2016
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656  comma  9
lettera a) nella parte in cui stabilisce che non puo' essere disposta
la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate
per il delitto di furto con strappo  ex  art.  624-bis  comma  2  del
codice penale, diversamente da quello che accade per i condannati  di
altri reati contro il patrimonio,  primo  fra  tutti  il  delitto  di
rapina. 
    Secondo  l'ordinanza  di  rimessione  del  Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Napoli (r.o. n. 105 del  2015)
«la  paradossale  scelta  legislativa  di  prevedere  una   modalita'
esecutiva piu' gravosa per il condannato per  il  furto  con  strappo
comporta che l'eventuale condotta ulteriore di  minaccia  o  violenza
rispetto  a  due  fattispecie  identiche  consentirebbe  a  chi  l'ha
commessa di poter beneficiare, in fase di esecuzione, del decreto  di
sospensione  dell'esecuzione,  diversamente  da  colui  che  si   sia
limitato  a  commettere  un'azione  volta  all'impossessamento,   con
violenza sulla cosa, e tuttavia priva di  violenza  o  minaccia  alla
persona», in riferimento al parametro della fattispecie  del  delitto
di' rapina utilizzato come tertium comparationis». 
    I  giudici  della  Corte  costituzionale  evidenziano  con   tale
pronuncia una possibilita' di  progressione  dell'azione  delittuosa,
tra il furto con strappo e  la  stessa  rapina,  qualora  vi  sia  la
necessita' di' vincere la resistenza della vittima,  o  nel  caso  di
rapina impropria, per la necessita' di contrastare la reazione  della
vittima dopo la sottrazione della cosa; «in questi casi, tra il furto
con strappo e la rapina si verifica una progressione nell'offesa,  in
quanto la lesione si estende dal patrimonio alla persona, giungendo a
metterne in pericolo anche l'integrita' fisica, ed  e'  incongrua  la
normativa che, pur prevedendo per  la  rapina  una  pena  assai  piu'
grave, riconosce a chi ne e' autore un trattamento  piu'  vantaggioso
in sede di esecuzione della pena» (Corte cost. sentenza  n.  125  del
2016). 
    Nell'odierno giudizio a quo,  che  vede  escluso  dal  regime  di
sospensione della pena carceraria  il  M.  condannato  per  furto  in
abitazione, emergono profili  di  illegittimita'  costituzionale  per
violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza  ex  art.  3
della Costituzione, attesa la recente  pronuncia  del  Giudice  delle
leggi che ha aperto uno spiraglio  relativamente  ai  condannati  per
furto con strappo. 
    Difatti dall'analisi dei delitti di rapina (628 c.p.), furto  con
strappo (624-bis comma 2) e furto in abitazione  (624-bis  comma  1),
risulta  che  gli  elementi  costitutivi  delle  fattispecie,  ovvero
l'impossessamento  di  cosa  mobile  altrui  tramite  sottrazione  al
legittimo detentore, la finalita' del profitto proprio o altrui, sono
comuni.  Elementi  di   differenziazione   tra   la   rapina,   reato
plurioffensivo  che,  accanto  alla   lesione   della   liberta'   di
autodeterminazione  della  persona  implica  l'offesa  al  patrimonio
(Cass. Pen., Sez. II, n. 850, 22 dicembre  2011),  ed  il  furto  con
strappo,  risiedono  nella  direzione  della  violenza,  giacche'  e'
configurabile la rapina quando il fatto e' commesso mediante violenza
alla persona, mentre ricorre il furto con strappo quando la  violenza
e' immediatamente rivolta verso la cosa  e  solo  in  via  del  tutto
indiretta attinge la persona che la detiene (Cass.  Pen.  10  ottobre
2008, n. 43212). Diversa invece la condotta di colui  che  compie  il
furto in abitazione, fattispecie  che  tutela  il  patrimonio  ed  il
privato domicilio (Cass. Pen. Sez. Un. n. 31345 23 marzo  2017),  ma,
dato  non  trascurabile,  non  si  concretizza  in  modalita'  lesive
dell'incolumita' della persona stessa o della  sua  liberta'  morale,
essendo indifferente ai fini della consumazione la  presenza  o  meno
del soggetto passivo nell'abitazione. 
    L'attuale art. 656 comma 9 lett.)  che  mantiene  il  divieto  di
sospensione per la fattispecie del furto in abitazione, tenendo conto
dei comuni e citati elementi  costitutivi,  del  diverso  atteggiarsi
della   condotta   materiale,    soprattutto    con    riguardo    al
«coinvolgimento» della persona propria della rapina e del  furto  con
strappo, produce una  disparita'  di  trattamento  sanzionatorio,  in
senso ampio,  tra  illeciti  penali  sostanzialmente  omogenei,  piu'
severa per il furto in abitazione di cui all'art. 624-bis comma 1 del
codice penale,  se  non  nel  quantum  (che  e'  il  medesimo)  nelle
modalita' esecutive della pena, considerato  proprio  il  divieto  di
concedere la sospensione per una misura alternativa, alterando dunque
il vincolo di proporzionalita' che deve sussistere tra  gravita'  del
reato ed entita' della punizione, atteso  che  l'uguaglianza  di  cui
all'art. 3 della Costituzione «esige che la pena sia proporzionata al
disvalore del  fatto  illecito  commesso,  di  modo  che  il  sistema
sanzionatorio, adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale
ed a quella delle posizioni individuali» (Corte  costituzionale  sent
n. 409/1989). 
    Alla luce di tali considerazioni, va  sottolineato  anzitutto  il
parallelismo  delle  due  diverse  condotte  disciplinate   dall'art.
624-bis del codice penale, che muovono dalla  medesima  ratio,  quali
figure autonome di reato  e  non  circostanze  aggravanti  del  furto
semplice (Cass. Pen., Sez. IV, n. 43452, 13  novembre  2009),  ed  in
secondo luogo ai fini della rilevanza della  sollevata  questione  di
illegittimita' costituzionale si ritiene che la precedente  pronuncia
della Corte costituzionale del 2016 abbia tenuto conto degli elementi
costitutivi del delitto di furto con strappo e della rapina, che  ben
possono  ritenersi  integrati  dalla   fattispecie   del   furto   in
abitazione,  residuando  oltretutto  l'atteggiamento   violento   del
soggetto attivo, che e' elemento specifico del 624-bis comma 2 e  628
del codice penale, diversamente dalla condotta  del  soggetto  attivo
del furto in abitazione che non manifesta una condotta violenta sulla
persona,  neppure  in  maniera  indiretta  ed  impone,  quindi,   una
rivisitazione della disciplina del citato art. 656 comma 9 lettera a)
del  codice  di  procedura  penale  in   riferimento   al   principio
costituzionale di uguaglianza e  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3
della Costituzione. 
    Gli interventi legislativi che hanno interessato l'art. 656 comma
9 lettera a)  del  codice  di  procedura  penale,  vanno  inquadrati,
infatti, in una scelta di politica criminale tesa a rispondere ad  un
bisogno   di   sicurezza   dei   cittadini,   constando   pero'    di
irragionevolezza sistematica alla luce  di  principi  costituzionali,
come dimostrato dai  successivi  interventi  correttivi  della  Corte
costituzionale. 
    Infatti le fattispecie aggiunte  alla  categoria  dei  cosiddetti
«reati   ostativi»   previsti   dall'art.   4-bis   di    ordinamento
penitenziario, ovvero gli articoli 572, secondo comma, 612-bis, terzo
comma, e 624-bis del codice penale, sono fattispecie  eterogenee  tra
di loro,  accomunate  esclusivamente  da  un  sentimento  di  allarme
sociale, tese a limitare quella che e' una  valutazione  in  concreto
del giudice nella fase esecutiva, introducendo presunzioni legali  di
pericolosita' del condannato in grado  di  giustificare  l'esecuzione
immediata  della  pena  detentiva,  con  conseguente  lesione   della
finalita' rieducativa della pena prevista dall'art. 27 comma 3  della
Costituzione. 
    Il costante orientamento espresso dalla Corte  costituzionale  in
tale ambito esclude nella materia di  benefici  penitenziari,  rigidi
automatismi e postula invece, una  valutazione  individualizzata  del
prevenuto, cosi' da fondare la concessione o meno del beneficio sulla
sua attitudine a porre il condannato  sulla  via  dell'emenda  e  del
reinserimento  sociale  (Corte  cost.  sentenza  n.  189/2010;  Corte
costituzionale sentenza n. 255/2006; Corte costituzionale sentenza n.
436/1999). 
    La Corte costituzionale si e' piu' volte  espressa  in  ordine  a
quelle che potrebbero essere delle presunzioni iuris et de  iure  che
limiterebbero la valutazione del  giudice,  che  sarebbero  contrarie
all'art. 3 della Costituzione, atteso che le  «presunzioni  assolute,
specie quelle che limitano un  diritto  fondamentale  della  persona,
violano  il  principio  di  uguaglianza,   se   sono   arbitrarie   e
irrazionali,  cioe'  se  non  rispondono   a   dati   di   esperienza
generalizzati,  riassunti  nella  formula  dell'id   quod   plerumque
accidit» (Corte cost.  sentenza  n.  139/2010;  Corte  costituzionale
sentenza n. 139/1982; Corte  costituzionale  sentenza  n.  225/2008).
L'irragionevolezza delle presunzioni legali si  manifesterebbe  tutte
le volte in cui sia agevole formulare ipotesi  di  accadimenti  reali
contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione  stessa
(Corte cost. sentenza n. 139/2010 e n. 265/2010), soprattutto qualora
in   contrasto   con   la   finalita'    rieducativa    della    pena
costituzionalmente garantita nell'art. 27 comma 3 della Costituzione. 
    L'asistematicita'   viene   altresi'   ribadita    dalla    Corte
costituzionale anche  in  relazione  all'art.  4-bis  di  ordinamento
penitenziario, evidenziando come la tipizzazione per titoli di  reato
non   appare   consona   ai   principi   di    proporzione    e    di
individualizzazione della  pena  che  caratterizzano  il  trattamento
penitenziario rilevando una preoccupante tendenza alla configurazione
normativa di tipi d'autore (Corte cost. sentenza n.  306/1993;  Corte
costituzionale sentenze n. 504/1995 e n. 445/1997). 
    Come ha  osservato  la  Corte  costituzionale  sono  «ammissibili
regimi sanzionatori differenziati, frutto di scelte discrezionali del
legislatore, a condizione che  queste  ultime  non  trasmodino  nella
manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (Corte cost. sentenza  n.
394/2006;  Corte   costituzionale   sentenza   n.   144/2005;   Corte
costituzionale sentenza n. 364/2004; Corte costituzionale sentenza n.
287/2001), ma l'indiscussa  discrezionalita'  del  legislatore  nella
scelta relativa alle modalita' di esecuzione della pena in  relazione
al nomen  del  reato  per  cui  si  e'  proceduto,  non  puo'  essere
sintomatico di un totale arbitrio della potesta' legislativa. 
    Difatti risulta rispondente  a  parametri  di  ragionevolezza  la
previsione nell'art. 656 comma 9 lettera a) del codice  di  procedura
penale degli articoli 423-bis, 572  comma  3  e  612-bis  del  codice
penale attesi i  rispettivi  beni  giuridici  di  riferimento,  quali
appunto  la  pubblica  incolumita',  l'interesse  dello  Stato   alla
salvaguardia della famiglia, ma  anche  della  incolumita'  fisica  e
psichica delle persone che fanno parte del  nucleo  familiare  (Cass.
Pen., 23 settembre 2011, n. 36503), e la liberta' morale e  lo  stato
di salute del soggetto passivo degli atti persecutori di cui all'art.
612-bis del codice penale,  che  non  sarebbero  «meritevoli»  di  un
bisogno di individualizzazione della risposta sanzionatoria calibrata
sul comportamento del condannato (Corte cost., sentenza  n.  445  del
1997), cosi' come  risulta  rispondente  l'inclusione  nell'art.  656
comma 9 lettera a) del codice di procedura penale dei reati  ostativi
di cui  all'art.  4-bis  di  ordinamento  penitenziario,  atteso  che
l'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso necessita di un regime
esecutivo di tipo detentivo in grado di arrestare il sodalizio tra il
reo e l'ambito organizzativo in cui e' inserito, neutralizzandone  la
pericolosita' (Corte cost. sentenza n. 48/2015; Corte cost. sentt. n.
351/1996 e n. 376/1997). 
    Altra questione di legittimita' costituzionale si  pone  rispetto
alla  finalita'  rieducativa  della  pena,  principio   espressamente
previsto nell'art. 27 comma 3 della Costituzione. 
    Il legislatore avrebbe infatti introdotto nell'ordinamento  delle
presunzioni assolute di  pericolosita'  che  mal  si  conciliano  con
quella che dovrebbe essere  un'individualizzazione  della  pena  tesa
alla rieducazione del condannato. 
    In  tal  senso  numerose  sono  anche   le   spinte   provenienti
dall'interpretazione delle Corte europea dei diritti  dell'uomo,  che
in particolare con la sentenza  Torregiani  c.  Italia  del  2013  ha
chiesto all'Italia una rivisitazione del sistema di esecuzione  delle
pene,  mirato  anche  alla  riduzione  della  popolazione  carceraria
tramite la valorizzazione delle misure alternative  per  l'espiazione
delle pene, pene  che  devono  tener  conto  della  personalita'  del
condannato e di una valutazione effettuata in concreto. 
    Alla luce di tali considerazioni, l'art. 656 comma 9  lettera  a)
del codice di procedura penale  con  specifico  riferimento  all'art.
624-bis   codice   penale    (furto    in    abitazione)    manifesta
un'irragionevolezza  ed  una  asistematicita'  rispetto  ai  principi
costituzionali di riferimento, che  potrebbe  concretizzarsi  in  una
disparita'  di  trattamento.  Deve  dunque  sospendersi  il  presente
giudizio e trasmettere i relativi atti alla Corte costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti  gli  articoli  134  della  Costituzione,  1  della   legge
costituzionale n. 1 del 9 febbraio 1948, 23 della legge n. 87 del  1°
marzo 1953; 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale della disposizione di  cui  all'art.  656
comma 9 lettera a) del codice di procedura penale nella parte in  cui
prevede l'art. 624-bis comma 1 del codice penale, per  contrasto  con
gli articoli 3 e 27 della Costituzione tra i reati per  i  quali  non
puo' sospendersi l'esecuzione del titolo; 
    Sospende il presente giudizio e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza  sia
notificata all'istante,  ai  suoi  difensori,  al  Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale di Salerno, nonche' al Presidente  del
Consiglio dei ministri e sia  comunicata  ai  Presidenti  del  Senato
della Repubblica e della Camera dei deputati. 
        Salerno, 8 aprile 2019 
 
                       Il Giudice: Indinnimeo