N. 81 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 maggio 2010
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 1° luglio 2010 (della Regione Emilia-Romagna) . Regione Emilia-Romagna - Opere pubbliche - Trasporti pubblici - Porti - Revoca del finanziamento statale gia' concesso e deliberato dal CIPE per la realizzazione della metropolitana del Comune di Parma - Riutilizzo, per diverse finalita', delle disponibilita' derivanti dalla liberazione delle predette risorse, al netto degli importi necessari a far fronte agli obblighi giuridici sorti a seguito della gia' avvenuta individuazione del soggetto attuatore e del Contraente Generale, da determinarsi a titolo di indennizzo in sede di transazione - Destinazione della quota di finanziamento statale residua, su richiesta dell'ente pubblico di riferimento del beneficiario originario, ad altri investimenti pubblici e, qualora residui una parte, trasferimento al Fondo per le infrastrutture portuali, in favore delle Autorita' Portuali - Lamentato annullamento unilaterale di un'opera concordata fra Stato e Regione, nell'ambito della speciale procedura prevista per la realizzazione del programma degli interventi facenti parte della legge obiettivo n. 443/2001 - Lamentata estromissione della Regione, e assunzione della decisione unicamente fra il Comune di Parma e alcune Autorita' centrali - Lamentato trasferimento dei finanziamenti regionali ad un fondo statale in assenza di coinvolgimento della Regione e senza garanzia di destinazione ad infrastrutture portuali della stessa - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciato abuso della decretazione d'urgenza, violazione delle competenze legislative della Regione nella materia residuale dei trasporti locali e nella materia concorrente dei porti e aeroporti civili, violazione del principio di leale collaborazione, violazione del principio di congiunta attuazione di un programma definito da una legge di preminente interesse strategico congiuntamente statale e regionale, violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione e del principio della razionalita' della spesa pubblica. - Decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, art. 4, commi 6, 7 e 8. - Costituzione, artt. 70, 77, 97, 117, commi terzo e quarto, e 118; legge 21 dicembre 2001, n. 443; decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, artt. 161, 166 e 169.(GU n.30 del 28-7-2010 )
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente della Giunta Regionale, legale rappresentante pro tempore, sig. Vasco Errani, rappresentata e difesa per mandato speciale a margine dal prof. avv. Franco Mastragostino e dall'avv. Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, n. 5, giusta deliberazione G.R. progr. n. 566 del 24 maggio 2010, di autorizzazione alla promozione del giudizio. Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 4 (Fondo per interventi a sostegno della domanda in particolari settori) commi 6, 7, 8, del d.l. 25 marzo 2010 n. 40, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2010, avente ad oggetto: «Disposizioni tributarie e finanziarie urgenti in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosi' detti "caroselli" e "cartiere", di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori», nella parte in cui le disposizioni impugnate dispongono la revoca del finanziamento statale previsto per l'opera «Sistema di trasporto rapido di massa a guida vincolata (metro') per la citta' di Parma», disponendo la riassegnazione delle somme e rimettendo ad una transazione la tacitazione di ogni pretesa del soggetto affidatario, mediante indennizzo. F a t t o Nel contesto di disposizioni dalle finalita' piu' varie, di natura finanziaria e tributaria, ritenute urgenti, nel d.l. citato in premessa sono inserite ad un certo punto dell'art. 4 (che riguarda l'istituzione di un Fondo per il sostegno della domanda finalizzata ad obiettivi di efficienza energetica, ecocompatibilita', e di miglioramento della sicurezza del lavoro e, di seguito, interventi a sostegno della domanda in settori in crisi), tre disposizioni, articolate nei commi 6, 7, 8, che riguardano: a) la revoca del finanziamento statale gia' concesso e deliberato dal CIPE, per la realizzazione del metro' del Comune di Parma; b) la disposizione del riutilizzo, per diverse finalita', delle disponibilita' derivanti dalla liberazione delle predette risorse, e cio' al netto degli importi che saranno necessari a far fronte agli obblighi giuridici sorti a seguito della gia' avvenuta individuazione del soggetto attuatore (societa' Metro Parma S.p.a., costituita dal Comune di Parma) e del Contraente Generale, cosi' come saranno determinati, a titolo di indennizzo, a tacitazione di ogni pretesa e diritto, in sede di transazione fra quest'ultimo e il soggetto attuatore, per l'affidamento sorto e risolto ope legis con la disposizione citata (comma 7); c) la disposizione secondo cui (comma 8) con decreto del Ministero dell'economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro competente, la quota di finanziamento statale residua, puo' essere devoluta integralmente, su richiesta dell'ente pubblico di riferimento del beneficiario originario, ad altri investimenti pubblici e qualora sia devoluta a tale ente pubblico una quota parte, la parte residua e' utilizzata per le finalita' del comma 6, vale a dire e' trasferita al «Fondo per le infrastrutture portuali» per la prima volta istituito con il predetto comma, per essere utilizzata «come spesa ripartita in favore delle Autorita' Portuali». In buona sostanza, con disposizione unilaterale del Governo viene disposta la revoca di un finanziamento statale (che, vedremo, gia' deliberato dal CIPE nel 2005), suscettibile di azzerare la realizzazione di un'opera che appartiene al novero degli interventi strategici, concordati fra Stato e Regione Emilia-Romagna, nell'ambito della speciale procedura prevista per la realizzazione del programma degli interventi facenti parte della legge obiettivo n. 443/2001. E cio' in un quadro di decisioni intercorse unicamente fra il Comune di Parma e alcune Autorita' centrali, completamente al di fuori degli accordi quadro che sono stati stipulati fino dal 2003 fra Stato e Regione, in totale spregio e violazione delle competenze che spettano alla Regione in materia, la quale risulta non solo pretermessa in ordine alla diversa valutazione che e' emersa e che porta all'annullamento di un'opera assolutamente strategica per il territorio regionale, ma anche pregiudicata in ordine allo storno di risorse, la cui destinazione non puo' essere unilateralmente decisa dall'ente locale di riferimento, ovvero dalle sole Autorita' ministeriali, pena la grave violazione della legge, del procedimento speciale da essa previsto e fino ad un certo punto seguito e dei principi di leale collaborazione e congiunta attuazione di un programma definito dalla legge di preminente interesse congiuntamente statale e regionale. Con riflessi dell'intera operazione suscettibili di rilevare sul piano del danno erariale. Sui presupposti di fatto, illustrativi degli accordi Stato-Regione e delle procedure seguite per l'individuazione dell'opera di cui e' questione e del consequenziale interesse della Regione Emilia-Romagna alla presente impugnazione per illegittimita' costituzionale in via principale. E' bene ripercorrere gli antecedenti fattuali della vicenda. La cd. legge obiettivo, n. 443/2001, delegava il Governo, «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni» (art.1) ad «individuare le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi e strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese», disponendo che l'individuazione di dette infrastrutture sia operata a mezzo di un «Programma predisposto dal Ministero delle Infrastrutture, di intesa con i Ministri competenti e le regioni interessate, e poi inserito nel documento di Programmazione Economica e Finanziaria, con l'indicazione degli stanziamenti necessari per la loro realizzazione», prevedendosi la sua approvazione da parte del CIPE entro il 31 dicembre 2001. Effettivamente l'approvazione del Programma e' avvenuta, previo fattivo coinvolgimento della Regione Emilia-Romagna e con l'accoglimento delle proposte infrastrutturali previste per il proprio territorio, con deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001 n. 121. Ai sensi della legge n. 166/2002 (art.13, comma 3) gli interventi inseriti nel Programma, con le indicazioni delle risorse disponibili da reperire, dovevano essere compresi in una Intesa Generale Quadro, avente validita' pluriennale, stipulata tra il Governo ed ogni singola regione, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere. In data 19 dicembre 2003 e' stata, quindi, sottoscritta l'Intesa Generale Quadro fra Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e il Presidente della Regione Emilia Romagna, nella quale le infrastrutture interessanti il territorio emiliano-romagnolo, comprese nel programma approvato dal CIPE il 21 dicembre 2001, sono state definite di «preminente interesse strategico», sia di carattere nazionale, che regionale. In detto contesto sono state integrate le previsioni contenute nella delibera CIPE del 21 dicembre 2001 ed inserito, fra gli altri, il progetto del trasporto rapido di massa per la citta' di Parma, infrastruttura di interesse regionale per la quale concorre l'interesse nazionale. Da sottolineare che l'Intesa Generale Quadro e' stata formulata e sottoscritta nella consapevolezza dei contenuti della sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 303 del 25 settembre 2003, intervenuta proprio sulla legge obiettivo n. 443/2001, la quale chiariva che a salvaguardia delle competenze regionali, costituzionalmente garantite, era necessaria l'intesa con la singola regione interessata, affermando, altresi', l'inefficacia nei confronti delle regioni con le quali non fosse stata raggiunta l'intesa, del Programma contenuto nella delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001. Con successiva Intesa Generale Quadro (Atto aggiuntivo) del 17 dicembre 2007, sottoscritta fra Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e Regione Emilia-Romagna, nella ricognizione effettuata di concerto fra Ministero e Regione nell'ottobre 2006 circa le infrastrutture prioritarie per l'Emilia-Romagna, emergeva il quadro delle priorita', approvato dal CIPE il 17 novembre 2006 e recepito nel DPEF 2008/2012 All. G (cfr. il testo dell'Intesa 2007, pag. 5), nell'ambito del quale veniva individuato, quale progetto strategico di preminente interesse, fra gli altri, il «Trasporto rapido di massa per la citta' di Parma: autostrada stazione FS- Campus universitario (linea A) e completamento Barbieri (asta di manovra) Campus Universitario - costo 306,8 Me. (Intesa 2007, pag.7). Indi, con successiva Intesa Generale Quadro (Atto aggiuntivo) del 1º agosto 2008, per la parte che qui interessa, e' stata riconfermata la rilevanza strategica delle infrastrutture gia' previste nell'Intesa Generale Quadro sottoscritta il 19 dicembre 2003, e il quadro delle priorita' circa le infrastrutture prioritarie per l'Emilia-Romagna, fra le quali il Trasporto rapido (metropolitana) di Parma, (cfr. pag.6 Intesa 2008, Reti metropolitane, punto 3), nonche' confermata la rilevanza delle ulteriori infrastrutture individuate con l'Atto aggiuntivo all'Intesa Quadro sottoscritta il 17 dicembre 2007. Nell'ambito del Codice degli Appalti pubblici, di cui al d.lgs. n. 163/2006, nella parte II, titolo II, Capo IV e' stata dettata la speciale disciplina relativa alla progettazione, alla approvazione dei progetti, alle procedure di aggiudicazione e realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, individuate a mezzo del programma di cui all'art. 1 della legge-obiettivo n. 443/2001 e, in base all'art. 161 del medesimo d.lgs. n. 163/2006, e' stato stabilito che per le opere per le quali l'interesse regionale e' concorrente con il preminente interesse nazionale, le Regioni interessate partecipano, con le modalita' indicate nelle stesse Intese, alle attivita' di progettazione, affidamento dei lavori, monitoraggio. Sul piano operativo, la Regione Emilia-Romagna ha quindi partecipato anche a tutte le fasi inerenti alle attivita' di progettazione e monitoraggio sulla tipologia del progetto da realizzare. In particolare, la regione ha espresso la propria valutazione sul progetto preliminare del «sistema di trasporto rapido di massa a guida vincolata per la citta' di Parma» con deliberazione G. R. progr. n. 2069/2004, pronunciandosi favorevolmente, con prescrizioni, anche sulla localizzazione dell'opera, limitatamente alle linee A e C. Nel contempo, proseguivano le fasi del finanziamento. Con delibera del 27 maggio 2005 n. 64, il CIPE assegnava programmaticamente all'intervento in questione un finanziamento, in termini di volume di investimento, di 172.112.022,00 e, a valere sulle risorse destinate all'attuazione del 1° Programma delle opere strategiche. Con delibera 2 dicembre 2005 n. 158, il CIPE prendeva atto ed approvava la modifica del soggetto aggiudicatore, individuato nella Societa' «Metro Parma S.p.a.», la cui costituzione e' stata promossa dal Consiglio Comunale di Parma con oggetto sociale esclusivamente rivolto alla progettazione e realizzazione dell'opera. Veniva poi sviluppato un primo progetto definitivo, sul quale la Regione Emilia-Romagna esprimeva il proprio parere, che veniva trasmesso al Ministero delle infrastrutture e trasporti con note del gennaio e del marzo 2006. Tale progetto definitivo veniva approvato, con prescrizioni, con delibera CIPE n. 92 del 29 marzo 2006, ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 190/2002; questo progetto e' quello che e' stato posto a base della gara per individuare il contraente generale. In seguito al recepimento di alcune esigenze emerse in seno all'esperimento della gara stessa, veniva redatto, da Metro Parma S.p.a., un nuovo progetto definitivo dell'intera infrastruttura, interamente in variante e, quindi, concepito ex novo; tale nuovo progetto e' stato trasmesso alla regione ai sensi dell'art. 166, comma 3 del d.lgs. n. 163/2006 ed acquisito il 22 dicembre 2008. Sono iniziate a questo punto le prime dissonanze nel comportamento dei soggetti che a livello centrale sono coinvolti nel procedimento di approvazione di tale opera. Il Ministero delle infrastrutture e trasporti convocava la conferenza di servizi, ex art. 166 del d.lgs. n. 163/2006 (finalizzata all'approvazione del progetto definitivo, in vista della successiva approvazione dell'opera da parte del CIPE, che sostituisce ogni altra autorizzazione e consente la realizzazione del progetto approvato), che si apriva in data 20 febbraio 2009 e si concludeva il 13 aprile 2009, senza che la regione potesse esprimere il proprio parere, anche per carenza della documentazione fornita; la regione, invero, poteva esprimersi su tale nuovo progetto prima della seduta programmata dal CIPE per il 31 luglio 2009, attraverso la nota PG. 2009/173574 del 30 luglio 2009 inviata al capo Dipartimento per la programmazione economica e al Capo struttura tecnica del Ministero infrastrutture e trasporti. In sede di valutazione del progetto definitivo, la Regione apprendeva che il nuovo progetto comportava una maggiorazione del costo complessivo di 38.693.457,00 € rispetto a quello approvato nel 2006, differenza che sarebbe stata coperta, secondo il piano economico finanziario, tenendo conto della disponibilita' di risorse aggiuntive a fondo perduto dello Stato, che sono richieste a valere sui fondi della legge obiettivo. A questo punto e' da ritenere che sia intervenuta una trattativa, di cui, peraltro, la regione non e' piu' stata messa a conoscenza e rispetto alla quale essa ha potuto ricostruire la successione degli eventi solo di recente, recuperandone il quadro complessivo attraverso la scarna documentazione che e' stato possibile acquisire, ma in assenza degli atti e dei provvedimenti - deliberazioni, determine, pareri, note - che, e' da presumere, siano stati assunti fra Comune di Parma, Ministero infrastrutture, Ministero dell'economia e delle finanze, CIPE medesimo, sulla questione della rinuncia alla realizzazione del progetto. Atti e provvedimenti rispetto ai quali la Regione Emilia-Romagna ha recentemente inoltrato alle Amministrazioni sopra citate formale istanza di accesso agli atti, ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge n. 241/1990, e sui quali verra' valutata ogni opportuna azione a tutela degli interessi pretermessi e di cui la regione e' garante. Tornando alla ricostruzione dei fatti, preme sottolineare che il Ministero infrastrutture e trasporti - Struttura Tecnica di Missione, con nota informativa per il CIPE del 17 dicembre 2009, avente ad oggetto: «Metropolitana di Parma - CIPE del 31 luglio 2009», evidenziava che «nella seduta CIPE del 31 luglio 2009 e' stata sottoposta all'attenzione del Comitato l'approvazione, ai sensi dell'art. 169 del d.lgs. n. 163/2006, secondo le modalita' dell'art. 166 del citato decreto, del progetto definitivo della Metropolitana di Parma, comprensivo delle "varianti del sistema di trasporto rapido di massa per la citta' di Parma: linee A e C" e l'assegnazione al predetto intervento di un finanziamento di 34,70 milioni di euro, a valere sul 15% dei fondi da destinare alle infrastrutture per le regioni del centro-nord di cui all'art. 6-quinquies della legge n. 133/2009». Di seguito si dava, tuttavia, atto che «in tale seduta, e' stato fatto esplicito riferimento all'art. 9-bis del decreto-legge n. 78/2009 che consente ai soggetti beneficiari dei mutui concessi dalla Cassa DD. PP., interamente o parzialmente non erogati, di rinunciarvi per destinare altrimenti le relative risorse». Tale riferimento, oscuro, si chiariva successivamente, una volta venuta la regione in possesso del documento che era stato predisposto per la seduta del CIPE del 30 luglio 2009. Avuto riguardo all'«Appunto generale per la seduta del CIPE del 31 luglio 2009», predisposto dal Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica - DIPE, datato 30 luglio 2009, seduta deputata alla «approvazione del progetto definitivo, comprensivo delle Varianti del sistema di trasporto rapido di massa per la Citta' di Parma: linee A e C e l'assegnazione al predetto intervento di un finanziamento di 34,70 milioni di €», si evinceva, infatti, la seguente situazione: dopo una sintetica descrizione degli «Aspetti programmatici» e degli «Aspetti attuativi» e' evidenziato «l'Aspetto finanziario», dal quale si desume che il costo dell'opera e' pari a 341.497.023,00 €, la cui copertura e' cosi' articolata: 172.112.022,00 € assegnati con delibera CIPE n. 64/2005; 96.836.642,00 € assegnati dal Comune di Parma con delibera di C.C. n. 1259/2004; 37.838.288,00 assegnati dal Comune di Parma con delibera G.C. n. 1220/78 del 4 ottobre 2006; la richiesta di finanziamento e' pari a 34.710.071,00 €. Senonche', del tutto sorprendentemente, nel paragrafo finale dell'appunto, avente ad oggetto «Esito della riunione preparatoria» si da' atto che il Comune di Parma, soggetto beneficiario (del mutuo concesso dalla Cassa DD.PP) «ha comunicato al Ministero dell'economia e delle finanze l'intenzione di avvalersi della norma di cui al sopra citato art. 9-bis del d.l. n. 78/2009» e che «alla luce di quanto sopra il Ministero dell'economia e delle finanze ritiene che non si debba procedere all'assegnazione di nuove risorse» e si aggiunge infine che «in considerazione degli elementi emersi in seduta, in particolare del fatto che la norma richiamata debba ancora essere convertita in legge, si e' convenuto di sottoporre comunque l'argomento all'approvazione del Comitato con i rilievi formulati dal Ministero dell'economia e delle finanze». In buona sostanza, e' emerso che il Comune di Parma ha unilateralmente effettuato la rinuncia al finanziamento statale (non si sa sulla base di quale atto deliberativo). E cio' con una decisione che ha stravolto un impegno gia' programmato, approvato e finanziato, rientrante fra gli obiettivi comuni del programma delle infrastrutture e dei progetti strategici di preminente interesse nazionale e concorrente interesse regionale, approvato dal CIPE il 21 dicembre 2001, individuato nell'ambito della Intesa Generale Quadro sottoscritta tra il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e la Regione Emilia-Romagna del 2003, confermata nel 2007 e nel 2008, progetto rispetto al quale sussiste il coinvolgimento primario e diretto della regione, quale partner dell'intesa a cio' preordinata. Chiaramente nell'ambito di tali specifiche Intese, il Comune interessato dall'intervento non avrebbe potuto (e non puo') esercitare alcuna indipendente e del tutto autonoma azione, avulsa da una congiunta, reciproca, condivisa valutazione con la regione in ordine a tutte le vicende che abbiano ad oggetto i progetti e le infrastrutture, parte del programma di realizzazione comune Stato/regione; per di piu' la decisione del Comune di Parma di rinunciare ad una quota del finanziamento, con innegabili riflessi sulla prosecuzione della attuazione dell'opera, e' avvenuta ed e' stata effettuata sulla base di una malintesa applicazione dell'art. 9-bis del d.l. n. 78/2009 ed e' stata attivata ad attuata al di fuori dei percorsi procedimentali definiti nell'Intesa Quadro Generale del 2003 e successivi Atti integrativi, sulla base di atti, pareri, eventuali altre determinazioni CIPE o del Ministero infrastrutture, che sono completamente ignoti alla Regione Emilia-Romagna e sui quali essa intende doverosamente far luce. Ulteriore passo e' stata, infine, l'emanazione del d.l. cd. «incentivi» del 25 marzo 2010, n. 40, che, nel disporre, all'art. 4, comma 7 la revoca del finanziamento statale dell'opera «Sistema di trasporto rapido di massa a guida vincolata per la citta' di Parma» e nel disciplinarne gli effetti nei confronti di tutti i rapporti convenzionali stipulati dal soggetto aggiudicatore con il contraente generale, prevedendo un indennizzo a favore del secondo, mediante apposita transazione (comma 7), nonche' prevedendo il riutilizzo, per diverse finalita', delle disponibilita' derivanti dalla risoluzione della convenzione finalizzata alla realizzazione dell'opera (comma 8), non contribuisce certo a chiarire gli aspetti procedimentali in relazione ai quali sono sorti gli interrogativi sopra evidenziati, ma anzi rappresenta la conclusione di una procedura del tutto inusitata, che presenta numerosi profili di illegittimita' costituzionale. D i r i t t o Le disposizioni sopra citate, commi 6, 7, e 8 dell'art. 4 sono suscettibili di concretare plurime violazioni sul piano costituzionale. Esse sono illegittime per violazione dell'art. 70 (la funzione legislativa appartiene alle Camere), 77 (carenza dei presupposti per poter essere oggetto di un d.l.), 117, terzo e quarto comma, (competenza regionale concorrente e residuale), 118 (sussidiarieta'), 97 Cost. (buon andamento azione amministrativa e razionalita' della spesa). 1) Violazione degli artt. 70 e 77 Cost. E' ben noto alla ricorrente che la giurisprudenza di questa Corte e' ferma nel ritenere inammissibili le questioni di legittimita' sollevate per contravvenzione di norme costituzionali non attinenti alle attribuzioni delle regioni, qualora tali infrazioni non riverberino a loro volta sulle attribuzioni regionali: le regioni sono legittimate a denunciare la violazione di norme costituzionali, non relative al riparto di competenze con lo Stato, solo quando tale violazione comporti un'incisione diretta o indiretta delle competenze attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse (sentenze nn. 4 e 287 del 2004, n. 274 del 2003 e n. 373 del 1997). Spesso percio' non si e' consentito alle Regioni di opporsi ad atti dello Stato assunti in deviazione talvolta macroscopica dalle regole costituzionali e dalle norme dei regolamenti parlamentari. Nel presente caso, pero', sembrano emergere con chiarezza le strette connessioni e l'interdipendenza causale che sussiste tra infrazione delle norme costituzionali e violazione delle attribuzioni regionali, con specifico riferimento alle attribuzioni della regione ricorrente. Va, innanzitutto, evidenziato come l'abuso dello strumento della decretazione di urgenza possa acquisire rilievo rispetto agli interessi della regione. Come una giustamente rinomata sentenza di questa ecc.ma Corte ha avuto modo di affermare, in relazione alla emanazione di decreti legge manifestamente privi dei presupposti richiesti dalla norma costituzionale di cui all'art. 77 Cost., il rispetto del riparto delle attribuzioni tra i «poteri dello Stato» assume rilievo non soltanto per gli organi che di questi poteri sono titolari, ma anche per l'intera collettivita', poiche' «la suddetta disciplina e' anche funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso» (sent. n. 171/2007). Infatti, in uno Stato costituzionale di diritto il principio della separazione dei poteri costituisce la somma garanzia delle liberta' e dei diritti costituzionali. Se cio' vale per la comunita' nel suo complesso, dal punto di vista particolare della regione, il rispetto della centralita' del procedimento parlamentare nell'esercizio della funzione legislativa e' di fondamentale rilievo, perche' e' solo attraverso il dibattito pubblico, che costituisce la principale e insostituibile caratteristica che conferisce valore alla procedura nelle Assemblee parlamentari, che gli interessi pubblici possono essere rappresentati e tenuti nel debito conto nell'assunzione delle decisioni collettive. Gli interessi che trovano eco nel dibattito parlamentare non possono non essere anche quelli territoriali di cui le regioni sono «enti esponenziali» (cosi' gia' Corte cost. sent. nn. 892/1988, 72 e 251/1993). Del resto, che la rappresentanza parlamentare sia di particolare significato per le Regioni e' ben dimostrato dallo stesso art. 57 Cost., che prescrivendo che il Senato sia eletto su base regionale, sta proprio ad indicare come la rappresentanza degli interessi territoriali trovi luogo e strumento necessari nel processo legislativo. Percio', che la norma che incide nelle sue attribuzioni sia formata attraverso il regolare procedimento parlamentare o sia emanata attraverso la decretazione d'urgenza, non e' affatto indifferente per la regione interessata. Cio' sembra gia' di per se' sufficiente ad ammettere l'interesse diretto della regione a contestare l'introduzione, in un decreto-legge, di una disposizione che la riguarda direttamente e che e' palesemente sprovvista dei requisiti della necessita' ed urgenza. Infatti, i tre commi impugnati dell'art. 4 costituiscono un corpo estraneo in un decreto-legge la cui necessita' e urgenza e' motivata dalla contingenza della crisi economica, ma rispetto alla quale ne' la risoluzione di una convenzione per la realizzazione di un'opera pubblica, ne' il reinvestimento delle somme che ne residuano, assume alcuna rilevanza. Infatti, le disposizioni impugnate rappresentano un'isola a se' stante, che non comunica con il resto del provvedimento; lo stesso fondo che essa istituisce, e che verra' finanziato con importi residuati dalla cancellazione dell'opera programmata, non entra affatto a sostenere gli altri interventi previsti per i settori in crisi. Inoltre, la norma non e' affatto destinata a produrre effetti immediati, perche', come evidenzia la stessa relazione governativa al decreto-legge, solo a conclusione dell'intero procedimento amministrativo, della transazione con l'affidatario contraente generale e delle decisioni autonomamente assunte dalla Amministrazione comunale, si potra' conoscere l'ammontare degli importi reinvestibili. Per cui, in sintesi, la norma impugnata nulla c'entra con il titolo del decreto-legge, ne' con il suo oggetto, ne' con le motivazioni addotte per giustificarne la straordinarieta', la necessita' e l'urgenza. Nel caso di specie poi, il generale interesse delle regioni al rispetto delle attribuzioni parlamentari e la delimitazione rigorosa della decretazione di urgenza assume una colorazione del tutto peculiare. Appare evidente, infatti, che il Governo e' ricorso all'espediente di inserire le disposizioni contestate nel corpo di un decreto-legge, per rivestire della forza di legge una decisione che non ha alcuna natura normativa, ma costituisce un semplice provvedimento amministrativo: e cio' al solo scopo di aggirare le procedure di leale collaborazione a cui avrebbe dovuto altrimenti attenersi. La giurisprudenza di questa ecc.ma Corte ha costantemente affermato, infatti, che per il legislatore ordinario non possono sussistere obblighi di leale collaborazione, salvo che non sia possibile farli risalire a un vincolo costituzionale. Puo' essere contestabile che cio' valga anche per gli atti provenienti dal Governo e, in particolare, per i decreti-legge, ma la questione non e' qui rilevante; non c'e' dubbio, invece, che se il Governo e, in particolare, il CIPE avesse adottato una delibera con gli stessi contenuti della norma impugnata, essa sarebbe stata dichiarata illegittima in sede di conflitto di attribuzione per violazione dei principi di leale collaborazione, come poi piu' diffusamente si motivera' (vedi, infatti, la sent. n. 233/2004, sull'analoga fattispecie della metropolitana di Bologna). Si tratta, percio', di un caso plateale di «truffa delle forme giuridiche» ossia dell'uso di forme legislative (peraltro, in violazione dei requisiti costituzionali della decretazione di urgenza) per aggirare i vincoli procedimentali che, come si illustrera', discendono proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, facendo cosi' venir meno le garanzie costituzionali che la Corte riconosce alle regioni in sede di chiamata in sussidiarieta'. 2) Violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma e dell'art. 118 Cost. Nella sentenza n. 303/2003, la Corte impernia il suo ragionamento (costantemente riaffermato nelle decisioni successive: cfr. per es. sentt. nn. 233/2004, 214 e 440/2006, 256 e 401/2007, ecc.) sull'assunto che non sia configurabile una materia autonoma «lavori pubblici» essendo percio' infondata la pretesa delle regioni di vedersela assegnata in via residuale. I lavori pubblici - dice la Corte - costituiscono «ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero a potesta' legislative concorrenti» (ancora sent. 303/2003). Se dunque e' altrove da ricercare la materia a cui far riferimento, e' del tutto evidente che nella presente questione, che riguarda la Metropolitana di Parma, la materia individuabile con il «criterio della prevalenza» non puo' che essere quella dei «trasporti locali», materia di competenza legislativa regionale gia' con la Costituzione del 1948 e poi puntualmente confermata. Quindi, in materia di sicura competenza residuale delle regioni la legge statale non puo' intervenire e non possono neppure essere previsti fondi autonomi di finanziamento, ne' finanziamenti vincolati. La sentenza n. 303, occupandosi delle grandi opere infrastrutturali, rispetto alle quali allo Stato viene riconosciuta la competenza concorrente (prevista per le grandi infrastrutture di comunicazione e trasporto, ai sensi dell'art. 117, terzo comma Cost.), riconosce allo Stato medesimo la possibilita' di impiegare uno strumento - elaborato dalla stessa sentenza n. 303, e destinato ad una grande fortuna nella giurisprudenza costituzionale successiva - che e' la cd. «chiamata in sussidiarieta'». Essa riguarda funzioni amministrative, che rispondono ad esigenze unitarie e percio' non possono essere convenientemente svolte ad un livello decentrato, quale esso sia. Indubbiamente un piano nazionale di infrastrutture di trasporto corrisponde perfettamente a questa descrizione; va, pero', notato che la sentenza n. 303, anche per esso, subordina la validita' della «chiamata in sussidiarieta'» di funzioni amministrative a precise regole di leale collaborazione, che vincolano l'agire del Governo sia nella fase di programmazione generale delle opere e della loro distribuzione sul territorio nazionale, attraverso una procedura di intesa «forte» in Conferenza Stato-regioni, sia nella fase di applicazione di questo programma generale nelle singole regioni, attraverso una intesa, appunto, con ciascuna singola regione. Da un lato, dunque, «(per) giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca, invece, applicazione dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza, diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra lo Stato e le regioni interessate, alla quale sia subordinata l'operativita' della disciplina»; dall'altro, e cioe' nei rapporti con la singola regione in cui insistono le opere da realizzare, per giustificare «l'attrazione allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge ... e' necessario un procedimento attraverso il quale l'istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e, quindi, commisurata all'esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale. Ben puo' darsi, infatti, che nell'articolarsi del procedimento, al riscontro concreto delle caratteristiche oggettive dell'opera e dell'organizzazione di persone e mezzi che essa richiede per essere realizzata, la pretesa statale di attrarre in sussidiarieta' le funzioni amministrative ad essa relative risulti vanificata, perche' l'interesse sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere interamente soddisfatto dalla Regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato al canone di leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo alleghi, ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacita' di svolgere in tutto o in parte la funzione». Cio' posto, e' implicito nello stesso principio dell'intesa che cio' che la regione ha concordato con lo Stato non puo', in seguito, essere sovvertito da una decisione autonoma dello Stato stesso. In questo senso la sent. n. 233/2004, che riguardava l'analogo caso della metropolitana di Bologna, costituisce un precedente specifico di stretta attinenza. Di cio' il Governo e' probabilmente consapevole, tant'e' che si e' determinato a sovvertire una serie di decisioni assunte sul piano amministrativo con un atto avente forza di legge, in modo da sottrarsi all'obbligo dell'intesa. Con cio' si dimostra anche come la scelta dello strumento legislativo sia di per se' assunta in violazione delle competenze regionali. Poco importa che in questo caso lo Stato agisca su richiesta o invito della Amministrazione comunale, in quanto l'accordo tra Stato e Comune non puo' derogare alle attribuzioni costituzionali delle regioni, che in materia di trasporto locale hanno competenza legislativa residuale, oltre che la conseguente responsabilita' politico-amministrativa di programmazione generale. Inoltre, e' da stigmatizzare anche il comportamento di una Amministrazione comunale che, con una decisione assunta (a quanto e' dato di sapere) senza neppure il voto del Consiglio comunale, ma concordata con Autorita' del Governo nazionale, ha fatto venire meno la programmazione di opere gia' programmate e progettate attraverso gli organi nazionali, regionali e comunali competenti e le procedure costituzionalmente necessarie. Motivo per cui il decreto-legge in questione, nella parte impugnata, risulta adottato in violazione sia dell'ordine costituzionale delle attribuzioni dei poteri dello Stato, sia delle competenze legislative della regione, sia della legalita' delle procedure prescritte in uno Stato di diritto «per ogni decisione delle pubbliche autorita'», e quindi in violazione complessivamente degli artt. 70, 77, 117, terzo e quarto comma e 118 Cost. 3) Violazione dell'art. 97 Costituzione sotto il profilo della buona amministrazione e della razionalita' della spesa pubblica. Proprio la «deroga» dalle regole procedurali che si e' perseguita con le disposizioni impugnate determina un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale non direttamente connesso alle attribuzioni regionali, ma sicuramente almeno indirettamente ad esse collegato. La revoca del finanziamento e, quindi, la rinuncia alla realizzazione dell'opera, che era stata concordata fin nei dettagli di progettazione fra gli organi statali e regionali, nonche' locali, nel contesto delle Intese Generali Quadro ricordate in punto di fatto, provochera' un rilevante esborso a carico dei bilanci pubblici per indennizzare/risarcire il Contraente Generale, gia' individuato quale soggetto affidatario dei lavori e per ripianare il bilancio del soggetto attuatore (Societa' Metro Parma Spa, costituita dal Comune di Parma con oggetto sociale esclusivo) dalle spese connesse con la progettazione dell'opera. Questi esborsi costituiscono letteralmente uno sperpero delle risorse pubbliche. In un momento di grave difficolta' finanziaria, che si ripercuote con tanta durezza sui trasferimenti alle regioni e agli enti locali e si traduce talvolta in obblighi asfissianti prescritti nell'ambito del patto di stabilita' interno, la regione non puo' non reagire di fronte ad una spesa pubblica determinata da una decisione unilaterale del Governo e del tutto improduttiva. Essa non puo' nemmeno essere giustificata in termini di «contenimento» della spesa pubblica, ovvero in termini di «riconversione» delle risorse rinunciate, che sarebbero destinate «per diverse finalita' e con i medesimi effetti previsti dalla legislazione vigente» (secondo quanto sostenuto nella relazione illustrativa al d.l.), poiche' i finanziamenti revocati sono stornati verso altre opere, comunque non ricadenti nella regione, visto che non c'e' alcun vincolo, ne' sostanziale, ne' procedimentale, in questo senso, e comunque sempre al netto di quella parte cospicua di spesa, che l'erario pubblico dovra' sborsare in conseguenza della prevista transazione relativa all'indennizzo da riconoscere a tacitazione di diritti e pretese da parte del Contraente generale, nei cui confronti viene sterilizzato l'affidamento gia' disposto. Qualora questa operazione andasse a compimento, la regione non esclude di agire anche per grave danno erariale. Un'ultima notazione, che puo' tradursi anche in un autonomo motivo di ricorso, riguarda la pars construens di queste disposizioni e, segnatamente, i commi 6 e 8, che non vincolano in alcun modo la destinazione dei fondi residui ad opere ricadenti nel territorio della Regione Emilia-Romagna: qui si viola uno dei principi impliciti nelle regole affermate nella sentenza n. 303, laddove essa impone al Governo di concordare con tutte le regioni in sede di conferenza, il Piano degli investimenti. Non puo' negarsi, infatti, che il consenso espresso in quella sede dalle singole regioni sia collegato, anche se non solo, ai benefici derivanti dagli investimenti pubblici nel loro territorio. 4) Illegittimita', sotto altro profilo, del comma 6 per violazione dell'art. 117, terzo comma Cost. Autonoma rilevanza ha la questione di illegittimita' del comma 6. L'istituzione di un Fondo (nel caso, di un inedito «fondo per le infrastrutture portuali») presso l'Autorita' Ministeriale delle infrastrutture e dei trasporti in materia di competenza concorrente (qual'e' la materia «porti e aeroporti civili») contravviene a quanto la giurisprudenza di questa ecc.ma Corte ha costantemente affermato in ordine alla implausibilita' di tale sistema, da un lato negandone in linea di principio la legittimita', dall'altro ammettendo deroghe qualora sia giustificato un intervento in sussidiarieta', ma alla precisa condizione che la gestione di quel «fondo» sia sottoposta alle regole piu' stringenti della leale collaborazione. Nella norma impugnata, viceversa, si parla di trasferimento dei finanziamenti recuperati (quota residua) dalla revoca del finanziamento per la metropolitana di Parma, al fondo per le infrastrutture portuali, che verranno assegnati direttamente a favore delle Autorita' Portuali e che verranno ripartiti con decisione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze (sempre comma 6), senza alcun coinvolgimento, in qualsiasi fase del procedimento, delle regioni e senza che sia in alcun modo previsto, ne' d'altronde in base alla norma possibile, che tali risorse debbano essere destinate ad infrastrutture portuali della Regione Emilia-Romagna. E' di tutta evidenza, quindi, la lesione dei principi sopra sottolineati e la incoerenza ed arroganza di un sistema che interviene sempre e comunque a livello centralistico, non curandosi minimamente del rispetto dei rapporti istituzionali che in certe questioni dovrebbero essere oramai consolidati e acquisiti.
P. Q. M. La Regione Emilia-Romagna, come sopra rappresentata e difesa, chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dei commi 6, 7, 8 dell'art. 4 del d.l. n. 40 del 25 marzo 2010, per i motivi indicati e cio' per violazione degli artt. 70, 77, 97, 117, commi 3 e 4, 118 Costituzione. Bologna-Roma, addi' 24 maggio 2010 Prof. Avv. Franco Mastragostino - Avv. Luigi Manzi