N. 81 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 maggio 2010

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 1° luglio 2010 (della Regione Emilia-Romagna) . 
 
Regione Emilia-Romagna - Opere pubbliche - Trasporti pubblici - Porti
  - Revoca del finanziamento statale gia' concesso e  deliberato  dal
  CIPE per la realizzazione della metropolitana del Comune di Parma -
  Riutilizzo, per diverse finalita', delle  disponibilita'  derivanti
  dalla liberazione delle predette risorse, al  netto  degli  importi
  necessari a far fronte agli  obblighi  giuridici  sorti  a  seguito
  della gia' avvenuta individuazione del  soggetto  attuatore  e  del
  Contraente Generale, da determinarsi a titolo di indennizzo in sede
  di transazione - Destinazione della quota di finanziamento  statale
  residua,  su  richiesta  dell'ente  pubblico  di  riferimento   del
  beneficiario originario, ad altri investimenti pubblici e,  qualora
  residui una parte, trasferimento al  Fondo  per  le  infrastrutture
  portuali,  in  favore  delle   Autorita'   Portuali   -   Lamentato
  annullamento  unilaterale  di  un'opera  concordata  fra  Stato   e
  Regione, nell'ambito  della  speciale  procedura  prevista  per  la
  realizzazione del programma degli interventi  facenti  parte  della
  legge  obiettivo  n.  443/2001  -  Lamentata  estromissione   della
  Regione, e assunzione della decisione unicamente fra il  Comune  di
  Parma e alcune Autorita' centrali  -  Lamentato  trasferimento  dei
  finanziamenti  regionali  ad  un  fondo  statale  in   assenza   di
  coinvolgimento della Regione e senza garanzia  di  destinazione  ad
  infrastrutture  portuali  della  stessa  -  Ricorso  della  Regione
  Emilia-Romagna - Denunciato  abuso  della  decretazione  d'urgenza,
  violazione delle competenze legislative della Regione nella materia
  residuale dei trasporti locali  e  nella  materia  concorrente  dei
  porti  e  aeroporti  civili,  violazione  del  principio  di  leale
  collaborazione, violazione del principio di congiunta attuazione di
  un  programma  definito  da  una  legge  di  preminente   interesse
  strategico  congiuntamente  statale  e  regionale,  violazione  del
  principio del buon andamento della pubblica amministrazione  e  del
  principio della razionalita' della spesa pubblica. 
- Decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, art. 4, commi 6, 7 e 8. 
- Costituzione, artt. 70, 77, 97, 117, commi terzo e quarto,  e  118;
  legge 21 dicembre 2001, n. 443; decreto legislativo 12 aprile 2006,
  n. 163, artt. 161, 166 e 169. 
(GU n.30 del 28-7-2010 )
    Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona  del  Presidente
della Giunta Regionale, legale rappresentante pro tempore, sig. Vasco
Errani, rappresentata e difesa per mandato  speciale  a  margine  dal
prof.  avv.  Franco  Mastragostino  e  dall'avv.  Luigi   Manzi,   ed
elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo  in  Roma,
via Confalonieri, n. 5, giusta deliberazione G.R. progr. n.  566  del
24 maggio 2010, di autorizzazione alla promozione del giudizio. 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   per   la
declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 4 (Fondo  per
interventi a sostegno della domanda in particolari settori) commi  6,
7, 8, del d.l.  25  marzo  2010  n.  40,  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2010, avente ad  oggetto:  «Disposizioni
tributarie e finanziarie urgenti in materia di contrasto  alle  frodi
fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella  forma
dei  cosi'  detti  "caroselli"  e  "cartiere",  di  potenziamento   e
razionalizzazione della riscossione tributaria anche  in  adeguamento
alla normativa comunitaria di destinazione dei gettiti recuperati  al
finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della  domanda  in
particolari settori», nella parte in cui  le  disposizioni  impugnate
dispongono la revoca del finanziamento statale previsto  per  l'opera
«Sistema di trasporto rapido di massa a guida vincolata (metro')  per
la citta' di Parma»,  disponendo  la  riassegnazione  delle  somme  e
rimettendo ad una transazione la  tacitazione  di  ogni  pretesa  del
soggetto affidatario, mediante indennizzo. 
 
                              F a t t o 
 
    Nel contesto di  disposizioni  dalle  finalita'  piu'  varie,  di
natura finanziaria e tributaria, ritenute urgenti, nel d.l. citato in
premessa sono inserite ad un certo punto dell'art.  4  (che  riguarda
l'istituzione di un Fondo per il sostegno della  domanda  finalizzata
ad  obiettivi  di  efficienza  energetica,  ecocompatibilita',  e  di
miglioramento della sicurezza del lavoro e, di seguito, interventi  a
sostegno della  domanda  in  settori  in  crisi),  tre  disposizioni,
articolate nei commi 6, 7,  8,  che  riguardano:  a)  la  revoca  del
finanziamento statale gia' concesso e deliberato  dal  CIPE,  per  la
realizzazione del metro' del Comune di Parma; b) la disposizione  del
riutilizzo, per diverse  finalita',  delle  disponibilita'  derivanti
dalla liberazione delle predette  risorse,  e  cio'  al  netto  degli
importi che saranno necessari a far fronte  agli  obblighi  giuridici
sorti a seguito  della  gia'  avvenuta  individuazione  del  soggetto
attuatore (societa' Metro Parma  S.p.a.,  costituita  dal  Comune  di
Parma) e del Contraente Generale, cosi' come saranno  determinati,  a
titolo di indennizzo, a tacitazione di ogni  pretesa  e  diritto,  in
sede di transazione fra quest'ultimo e  il  soggetto  attuatore,  per
l'affidamento sorto e risolto ope legis con  la  disposizione  citata
(comma 7); c) la disposizione secondo cui (comma 8) con  decreto  del
Ministero dell'economia e delle Finanze, di concerto con il  Ministro
competente, la quota di finanziamento statale  residua,  puo'  essere
devoluta  integralmente,   su   richiesta   dell'ente   pubblico   di
riferimento  del  beneficiario  originario,  ad  altri   investimenti
pubblici e qualora sia devoluta a tale ente pubblico una quota parte,
la parte residua e' utilizzata per le finalita' del comma 6,  vale  a
dire e' trasferita al «Fondo per le infrastrutture portuali»  per  la
prima volta istituito con il predetto comma,  per  essere  utilizzata
«come spesa ripartita in favore delle Autorita' Portuali». 
    In buona sostanza, con disposizione unilaterale del Governo viene
disposta la revoca di un finanziamento statale  (che,  vedremo,  gia'
deliberato  dal  CIPE  nel  2005),  suscettibile   di   azzerare   la
realizzazione di un'opera che appartiene al novero  degli  interventi
strategici,  concordati   fra   Stato   e   Regione   Emilia-Romagna,
nell'ambito della speciale procedura prevista  per  la  realizzazione
del programma degli interventi facenti parte della legge obiettivo n.
443/2001. E cio' in un quadro di decisioni intercorse unicamente  fra
il Comune di Parma e alcune Autorita' centrali, completamente  al  di
fuori degli accordi quadro che sono stati stipulati fino dal 2003 fra
Stato e Regione, in totale spregio e violazione delle competenze  che
spettano  alla  Regione  in  materia,  la  quale  risulta  non   solo
pretermessa in ordine alla diversa valutazione che e'  emersa  e  che
porta all'annullamento di un'opera assolutamente  strategica  per  il
territorio regionale, ma anche pregiudicata in ordine allo storno  di
risorse, la cui destinazione non puo' essere  unilateralmente  decisa
dall'ente  locale  di  riferimento,  ovvero  dalle   sole   Autorita'
ministeriali, pena la grave violazione della legge, del  procedimento
speciale da essa previsto e fino ad un  certo  punto  seguito  e  dei
principi  di  leale  collaborazione  e  congiunta  attuazione  di  un
programma definito dalla legge di preminente interesse congiuntamente
statale e regionale. Con riflessi dell'intera operazione suscettibili
di rilevare sul piano del danno erariale. 
    Sui   presupposti   di   fatto,   illustrativi   degli    accordi
Stato-Regione  e  delle  procedure   seguite   per   l'individuazione
dell'opera di cui e' questione e del consequenziale  interesse  della
Regione Emilia-Romagna alla presente impugnazione per  illegittimita'
costituzionale in via principale. 
    E' bene ripercorrere gli antecedenti fattuali della vicenda. 
    La cd. legge obiettivo, n. 443/2001, delegava  il  Governo,  «nel
rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni» (art.1)  ad
«individuare le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti
produttivi e  strategici  e  di  preminente  interesse  nazionale  da
realizzare  per  la  modernizzazione  e  lo  sviluppo   del   Paese»,
disponendo che l'individuazione di dette infrastrutture sia operata a
mezzo   di   un   «Programma   predisposto   dal   Ministero    delle
Infrastrutture, di intesa con i  Ministri  competenti  e  le  regioni
interessate, e poi inserito nel documento di Programmazione Economica
e Finanziaria, con l'indicazione degli stanziamenti necessari per  la
loro realizzazione», prevedendosi la sua approvazione  da  parte  del
CIPE entro il 31 dicembre  2001.  Effettivamente  l'approvazione  del
Programma e' avvenuta, previo fattivo  coinvolgimento  della  Regione
Emilia-Romagna e con l'accoglimento delle  proposte  infrastrutturali
previste per il proprio territorio, con  deliberazione  CIPE  del  21
dicembre 2001 n. 121. 
    Ai sensi della legge n. 166/2002 (art.13, comma 3) gli interventi
inseriti nel Programma, con le indicazioni delle risorse  disponibili
da reperire, dovevano essere compresi in una Intesa Generale  Quadro,
avente validita'  pluriennale,  stipulata  tra  il  Governo  ed  ogni
singola regione, al fine del congiunto coordinamento e  realizzazione
delle opere. 
    In data 19 dicembre 2003 e' stata, quindi, sottoscritta  l'Intesa
Generale Quadro fra Ministero delle Infrastrutture e Trasporti  e  il
Presidente   della   Regione   Emilia   Romagna,   nella   quale   le
infrastrutture   interessanti   il   territorio   emiliano-romagnolo,
comprese nel programma approvato dal CIPE il 21 dicembre  2001,  sono
state definite di «preminente interesse strategico», sia di carattere
nazionale, che regionale. In detto contesto sono state  integrate  le
previsioni contenute nella delibera CIPE  del  21  dicembre  2001  ed
inserito, fra gli altri, il progetto del trasporto  rapido  di  massa
per la citta' di Parma, infrastruttura di interesse regionale per  la
quale concorre l'interesse nazionale. 
    Da sottolineare che l'Intesa Generale Quadro e' stata formulata e
sottoscritta nella consapevolezza dei  contenuti  della  sentenza  di
codesta ecc.ma Corte  n.  303  del  25  settembre  2003,  intervenuta
proprio sulla legge obiettivo n. 443/2001, la quale  chiariva  che  a
salvaguardia   delle   competenze    regionali,    costituzionalmente
garantite,  era  necessaria   l'intesa   con   la   singola   regione
interessata, affermando, altresi', l'inefficacia nei confronti  delle
regioni  con  le  quali  non  fosse  stata  raggiunta  l'intesa,  del
Programma contenuto nella delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001. 
    Con successiva Intesa Generale Quadro (Atto  aggiuntivo)  del  17
dicembre 2007, sottoscritta  fra  Ministero  delle  Infrastrutture  e
Trasporti e Regione Emilia-Romagna, nella ricognizione effettuata  di
concerto  fra  Ministero  e  Regione  nell'ottobre  2006   circa   le
infrastrutture prioritarie per l'Emilia-Romagna, emergeva  il  quadro
delle priorita', approvato dal CIPE il 17 novembre  2006  e  recepito
nel DPEF 2008/2012 All. G (cfr. il testo dell'Intesa 2007,  pag.  5),
nell'ambito del quale veniva individuato, quale  progetto  strategico
di preminente interesse, fra gli altri, il «Trasporto rapido di massa
per la citta' di Parma: autostrada stazione FS- Campus  universitario
(linea  A)  e  completamento  Barbieri  (asta  di   manovra)   Campus
Universitario - costo 306,8 Me. (Intesa 2007, pag.7). 
    Indi, con successiva Intesa Generale Quadro (Atto aggiuntivo) del
1º agosto 2008, per la parte che qui interessa, e' stata riconfermata
la  rilevanza   strategica   delle   infrastrutture   gia'   previste
nell'Intesa Generale Quadro sottoscritta il 19 dicembre  2003,  e  il
quadro  delle  priorita'  circa  le  infrastrutture  prioritarie  per
l'Emilia-Romagna, fra le quali il Trasporto rapido (metropolitana) di
Parma, (cfr. pag.6 Intesa 2008, Reti metropolitane, punto 3), nonche'
confermata la rilevanza delle  ulteriori  infrastrutture  individuate
con l'Atto aggiuntivo all'Intesa Quadro sottoscritta il  17  dicembre
2007. 
    Nell'ambito del Codice degli Appalti pubblici, di cui  al  d.lgs.
n. 163/2006, nella parte II, titolo II, Capo IV e' stata  dettata  la
speciale disciplina relativa alla  progettazione,  alla  approvazione
dei progetti, alle procedure di aggiudicazione e realizzazione  delle
infrastrutture  strategiche  di   preminente   interesse   nazionale,
individuate  a  mezzo  del  programma  di  cui   all'art.   1   della
legge-obiettivo n. 443/2001 e, in  base  all'art.  161  del  medesimo
d.lgs. n. 163/2006, e' stato stabilito che per le opere per le  quali
l'interesse regionale e'  concorrente  con  il  preminente  interesse
nazionale, le  Regioni  interessate  partecipano,  con  le  modalita'
indicate  nelle  stesse  Intese,  alle  attivita'  di  progettazione,
affidamento dei lavori, monitoraggio. 
    Sul  piano  operativo,  la  Regione  Emilia-Romagna   ha   quindi
partecipato  anche  a  tutte  le  fasi  inerenti  alle  attivita'  di
progettazione  e  monitoraggio  sulla  tipologia  del   progetto   da
realizzare.  In  particolare,  la  regione  ha  espresso  la  propria
valutazione sul progetto preliminare del «sistema di trasporto rapido
di massa a guida vincolata per la citta' di Parma» con  deliberazione
G.  R.  progr.  n.  2069/2004,  pronunciandosi  favorevolmente,   con
prescrizioni, anche sulla  localizzazione  dell'opera,  limitatamente
alle linee A e C. 
    Nel  contempo,  proseguivano  le  fasi  del  finanziamento.   Con
delibera  del   27   maggio   2005   n.   64,   il   CIPE   assegnava
programmaticamente all'intervento in questione un  finanziamento,  in
termini di volume di investimento,  di  172.112.022,00  e,  a  valere
sulle risorse destinate all'attuazione del 1° Programma  delle  opere
strategiche. 
    Con delibera 2 dicembre 2005 n. 158, il  CIPE  prendeva  atto  ed
approvava la modifica del soggetto aggiudicatore,  individuato  nella
Societa' «Metro Parma S.p.a.», la cui costituzione e' stata  promossa
dal Consiglio Comunale di Parma con  oggetto  sociale  esclusivamente
rivolto alla progettazione e realizzazione dell'opera. 
    Veniva poi sviluppato un primo progetto definitivo, sul quale  la
Regione  Emilia-Romagna  esprimeva  il  proprio  parere,  che  veniva
trasmesso al Ministero delle infrastrutture e trasporti con note  del
gennaio e del marzo 2006. Tale progetto definitivo veniva  approvato,
con prescrizioni, con delibera CIPE n. 92 del 29 marzo 2006, ai sensi
dell'art. 4 del d.lgs. n. 190/2002; questo progetto e' quello che  e'
stato posto a base della gara per individuare il contraente generale.
In  seguito  al  recepimento  di  alcune  esigenze  emerse  in   seno
all'esperimento della gara stessa, veniva  redatto,  da  Metro  Parma
S.p.a., un  nuovo  progetto  definitivo  dell'intera  infrastruttura,
interamente in variante e, quindi,  concepito  ex  novo;  tale  nuovo
progetto e' stato trasmesso alla  regione  ai  sensi  dell'art.  166,
comma 3 del d.lgs. n. 163/2006 ed acquisito il 22 dicembre 2008. Sono
iniziate a questo punto le prime  dissonanze  nel  comportamento  dei
soggetti che a livello centrale sono coinvolti  nel  procedimento  di
approvazione di tale opera. 
    Il  Ministero  delle  infrastrutture  e  trasporti  convocava  la
conferenza  di  servizi,  ex  art.  166  del   d.lgs.   n.   163/2006
(finalizzata all'approvazione del progetto definitivo, in vista della
successiva approvazione dell'opera da parte del CIPE, che sostituisce
ogni altra autorizzazione e consente la  realizzazione  del  progetto
approvato), che si apriva in data 20 febbraio 2009 e si concludeva il
13 aprile 2009, senza che la regione  potesse  esprimere  il  proprio
parere, anche per carenza della documentazione fornita;  la  regione,
invero, poteva esprimersi su tale nuovo progetto prima  della  seduta
programmata dal CIPE per il 31 luglio 2009, attraverso  la  nota  PG.
2009/173574 del 30 luglio 2009 inviata al capo  Dipartimento  per  la
programmazione economica e al Capo struttura  tecnica  del  Ministero
infrastrutture e trasporti. 
    In sede  di  valutazione  del  progetto  definitivo,  la  Regione
apprendeva che il nuovo progetto  comportava  una  maggiorazione  del
costo complessivo di 38.693.457,00 € rispetto a quello approvato  nel
2006,  differenza  che  sarebbe  stata  coperta,  secondo  il   piano
economico finanziario, tenendo conto della disponibilita' di  risorse
aggiuntive a fondo perduto dello Stato, che sono richieste  a  valere
sui fondi della legge obiettivo. 
    A questo punto e' da ritenere che sia intervenuta una trattativa,
di cui, peraltro, la regione non e' piu' stata messa a  conoscenza  e
rispetto alla quale essa ha potuto ricostruire la  successione  degli
eventi  solo  di  recente,  recuperandone   il   quadro   complessivo
attraverso la scarna documentazione che e' stato possibile acquisire,
ma  in  assenza  degli  atti  e  dei  provvedimenti -  deliberazioni,
determine, pareri, note - che, e' da presumere, siano  stati  assunti
fra   Comune   di   Parma,   Ministero   infrastrutture,    Ministero
dell'economia e delle finanze, CIPE medesimo, sulla  questione  della
rinuncia  alla  realizzazione  del  progetto.  Atti  e  provvedimenti
rispetto ai quali la Regione Emilia-Romagna ha recentemente inoltrato
alle Amministrazioni sopra citate formale  istanza  di  accesso  agli
atti, ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge  n.  241/1990,  e  sui
quali verra' valutata ogni opportuna azione a tutela degli  interessi
pretermessi e di cui la regione e' garante. 
    Tornando alla ricostruzione dei fatti, preme sottolineare che  il
Ministero infrastrutture e trasporti - Struttura Tecnica di Missione,
con nota informativa per il CIPE del  17  dicembre  2009,  avente  ad
oggetto:  «Metropolitana  di  Parma  -  CIPE  del  31  luglio  2009»,
evidenziava che «nella seduta  CIPE  del  31  luglio  2009  e'  stata
sottoposta  all'attenzione  del  Comitato  l'approvazione,  ai  sensi
dell'art. 169 del d.lgs. n. 163/2006, secondo le modalita'  dell'art.
166 del citato decreto, del progetto definitivo  della  Metropolitana
di Parma, comprensivo delle "varianti del sistema di trasporto rapido
di massa per la citta' di Parma: linee A e  C"  e  l'assegnazione  al
predetto intervento di un finanziamento di 34,70 milioni di  euro,  a
valere sul 15% dei fondi da  destinare  alle  infrastrutture  per  le
regioni del centro-nord di cui all'art. 6-quinquies  della  legge  n.
133/2009». Di seguito si dava, tuttavia, atto che «in tale seduta, e'
stato fatto esplicito riferimento all'art. 9-bis del decreto-legge n.
78/2009 che consente ai soggetti beneficiari dei mutui concessi dalla
Cassa DD. PP., interamente o parzialmente non erogati, di rinunciarvi
per destinare altrimenti  le  relative  risorse».  Tale  riferimento,
oscuro, si chiariva successivamente, una volta venuta la  regione  in
possesso del documento che era stato predisposto per  la  seduta  del
CIPE del 30 luglio 2009. 
    Avuto riguardo all'«Appunto generale per la seduta del  CIPE  del
31 luglio 2009», predisposto dal Dipartimento per la programmazione e
il coordinamento della politica economica - DIPE,  datato  30  luglio
2009, seduta deputata alla  «approvazione  del  progetto  definitivo,
comprensivo delle Varianti del sistema di trasporto rapido  di  massa
per la Citta' di Parma: linee A e  C  e  l'assegnazione  al  predetto
intervento di un finanziamento di 34,70 milioni di €»,  si  evinceva,
infatti, la seguente situazione: dopo una sintetica descrizione degli
«Aspetti programmatici» e degli «Aspetti  attuativi»  e'  evidenziato
«l'Aspetto finanziario», dal quale si desume che il costo  dell'opera
e' pari a 341.497.023,00 €, la cui copertura e' cosi' articolata: 
        172.112.022,00 € assegnati con delibera CIPE n. 64/2005; 
        96.836.642,00 € assegnati dal Comune di Parma con delibera di
C.C. n. 1259/2004; 
        37.838.288,00 assegnati dal Comune di Parma con delibera G.C.
n. 1220/78 del 4 ottobre 2006; 
        la richiesta di finanziamento e' pari a 34.710.071,00 €. 
    Senonche', del  tutto  sorprendentemente,  nel  paragrafo  finale
dell'appunto, avente ad oggetto «Esito della  riunione  preparatoria»
si da' atto che il Comune di Parma, soggetto beneficiario (del  mutuo
concesso dalla Cassa DD.PP) «ha comunicato al Ministero dell'economia
e delle finanze l'intenzione di avvalersi della norma di cui al sopra
citato art. 9-bis del d.l. n. 78/2009» e che  «alla  luce  di  quanto
sopra il Ministero dell'economia e delle finanze ritiene che  non  si
debba procedere all'assegnazione di  nuove  risorse»  e  si  aggiunge
infine che «in considerazione degli elementi  emersi  in  seduta,  in
particolare del fatto che la norma  richiamata  debba  ancora  essere
convertita  in  legge,  si  e'  convenuto  di   sottoporre   comunque
l'argomento all'approvazione del Comitato con i rilievi formulati dal
Ministero dell'economia e delle finanze». 
    In  buona  sostanza,  e'  emerso  che  il  Comune  di  Parma   ha
unilateralmente effettuato la rinuncia al finanziamento statale  (non
si sa sulla  base  di  quale  atto  deliberativo).  E  cio'  con  una
decisione che ha stravolto un impegno gia' programmato,  approvato  e
finanziato, rientrante fra gli obiettivi comuni del  programma  delle
infrastrutture e dei  progetti  strategici  di  preminente  interesse
nazionale e concorrente interesse regionale, approvato dal CIPE il 21
dicembre 2001, individuato nell'ambito della Intesa  Generale  Quadro
sottoscritta tra il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti  e  la
Regione Emilia-Romagna del 2003, confermata  nel  2007  e  nel  2008,
progetto rispetto al quale  sussiste  il  coinvolgimento  primario  e
diretto della regione, quale partner dell'intesa a cio' preordinata. 
    Chiaramente nell'ambito di  tali  specifiche  Intese,  il  Comune
interessato  dall'intervento  non  avrebbe  potuto   (e   non   puo')
esercitare alcuna indipendente e del tutto autonoma azione, avulsa da
una congiunta, reciproca, condivisa valutazione  con  la  regione  in
ordine a tutte le vicende che abbiano ad  oggetto  i  progetti  e  le
infrastrutture,  parte  del   programma   di   realizzazione   comune
Stato/regione; per di piu'  la  decisione  del  Comune  di  Parma  di
rinunciare ad una quota del finanziamento,  con  innegabili  riflessi
sulla prosecuzione della attuazione dell'opera,  e'  avvenuta  ed  e'
stata effettuata sulla base di una malintesa  applicazione  dell'art.
9-bis del d.l. n. 78/2009 ed e' stata attivata ad attuata al di fuori
dei percorsi procedimentali definiti nell'Intesa Quadro Generale  del
2003 e successivi Atti  integrativi,  sulla  base  di  atti,  pareri,
eventuali altre determinazioni CIPE o del  Ministero  infrastrutture,
che sono completamente ignoti alla Regione Emilia-Romagna e sui quali
essa intende doverosamente far luce. 
    Ulteriore passo e'  stata,  infine,  l'emanazione  del  d.l.  cd.
«incentivi» del 25 marzo 2010, n. 40, che, nel disporre, all'art.  4,
comma 7 la revoca del finanziamento statale  dell'opera  «Sistema  di
trasporto rapido di massa a guida vincolata per la citta' di Parma» e
nel disciplinarne gli effetti  nei  confronti  di  tutti  i  rapporti
convenzionali stipulati dal soggetto aggiudicatore con il  contraente
generale, prevedendo un indennizzo a  favore  del  secondo,  mediante
apposita transazione (comma 7), nonche' prevedendo il riutilizzo, per
diverse finalita', delle disponibilita' derivanti  dalla  risoluzione
della convenzione finalizzata alla  realizzazione  dell'opera  (comma
8), non contribuisce certo a chiarire gli aspetti  procedimentali  in
relazione ai quali sono sorti gli interrogativi sopra evidenziati, ma
anzi rappresenta la conclusione di una procedura del tutto inusitata,
che presenta numerosi profili di illegittimita' costituzionale. 
 
                            D i r i t t o 
 
    Le disposizioni sopra citate, commi 6, 7, e 8  dell'art.  4  sono
suscettibili   di   concretare   plurime   violazioni    sul    piano
costituzionale. Esse sono illegittime per violazione dell'art. 70 (la
funzione  legislativa  appartiene  alle  Camere),  77  (carenza   dei
presupposti per poter essere oggetto di un d.l.), 117, terzo e quarto
comma,  (competenza   regionale   concorrente   e   residuale),   118
(sussidiarieta'), 97 Cost. (buon andamento  azione  amministrativa  e
razionalita' della spesa). 
1) Violazione degli artt. 70 e 77 Cost. 
    E' ben noto alla ricorrente che la giurisprudenza di questa Corte
e' ferma nel ritenere  inammissibili  le  questioni  di  legittimita'
sollevate per contravvenzione di norme costituzionali  non  attinenti
alle  attribuzioni  delle  regioni,  qualora  tali   infrazioni   non
riverberino a loro volta sulle  attribuzioni  regionali:  le  regioni
sono legittimate a denunciare la violazione di norme  costituzionali,
non relative al riparto di competenze con lo Stato, solo quando  tale
violazione comporti un'incisione diretta o indiretta delle competenze
attribuite dalla Costituzione alle Regioni stesse (sentenze nn.  4  e
287 del 2004, n. 274 del 2003 e n. 373 del 1997). Spesso percio'  non
si e' consentito alle Regioni di opporsi ad atti dello Stato  assunti
in deviazione talvolta macroscopica  dalle  regole  costituzionali  e
dalle norme dei regolamenti parlamentari. Nel presente  caso,  pero',
sembrano  emergere   con   chiarezza   le   strette   connessioni   e
l'interdipendenza causale che sussiste  tra  infrazione  delle  norme
costituzionali  e  violazione  delle  attribuzioni   regionali,   con
specifico riferimento alle attribuzioni della regione ricorrente. 
    Va, innanzitutto, evidenziato come l'abuso dello strumento  della
decretazione  di  urgenza  possa  acquisire  rilievo  rispetto   agli
interessi della regione. 
    Come una giustamente rinomata sentenza di questa ecc.ma Corte  ha
avuto modo di affermare, in  relazione  alla  emanazione  di  decreti
legge manifestamente privi  dei  presupposti  richiesti  dalla  norma
costituzionale di cui all'art. 77  Cost.,  il  rispetto  del  riparto
delle attribuzioni tra i «poteri  dello  Stato»  assume  rilievo  non
soltanto per gli organi che di questi poteri sono titolari, ma  anche
per l'intera collettivita', poiche' «la suddetta disciplina e'  anche
funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza  la  configurazione
del sistema costituzionale nel suo complesso»  (sent.  n.  171/2007).
Infatti, in uno Stato costituzionale di diritto  il  principio  della
separazione dei poteri costituisce la somma garanzia delle liberta' e
dei diritti costituzionali. 
    Se cio' vale per la comunita' nel suo  complesso,  dal  punto  di
vista particolare della regione, il rispetto  della  centralita'  del
procedimento parlamentare nell'esercizio della  funzione  legislativa
e' di fondamentale rilievo, perche' e' solo attraverso  il  dibattito
pubblico,   che   costituisce   la   principale   e    insostituibile
caratteristica che conferisce valore alla procedura  nelle  Assemblee
parlamentari, che gli interessi pubblici possono essere rappresentati
e tenuti nel debito conto nell'assunzione delle decisioni collettive.
Gli interessi che trovano eco nel dibattito parlamentare non  possono
non essere anche quelli territoriali di cui  le  regioni  sono  «enti
esponenziali» (cosi' gia'  Corte  cost.  sent.  nn.  892/1988,  72  e
251/1993). Del resto,  che  la  rappresentanza  parlamentare  sia  di
particolare significato per le Regioni e' ben dimostrato dallo stesso
art. 57 Cost., che prescrivendo che il  Senato  sia  eletto  su  base
regionale, sta proprio  ad  indicare  come  la  rappresentanza  degli
interessi territoriali trovi luogo e strumento necessari nel processo
legislativo. Percio', che la norma che incide nelle sue  attribuzioni
sia formata attraverso il regolare procedimento  parlamentare  o  sia
emanata  attraverso  la  decretazione  d'urgenza,  non   e'   affatto
indifferente per la regione interessata. 
    Cio' sembra gia' di per se' sufficiente ad ammettere  l'interesse
diretto  della   regione   a   contestare   l'introduzione,   in   un
decreto-legge, di una disposizione che la riguarda direttamente e che
e' palesemente sprovvista dei requisiti della necessita' ed  urgenza.
Infatti, i tre commi impugnati dell'art.  4  costituiscono  un  corpo
estraneo in un decreto-legge la cui necessita' e urgenza e'  motivata
dalla contingenza della crisi economica, ma rispetto alla  quale  ne'
la risoluzione di una convenzione per la  realizzazione  di  un'opera
pubblica, ne' il reinvestimento delle somme che ne residuano,  assume
alcuna rilevanza. Infatti, le  disposizioni  impugnate  rappresentano
un'isola  a  se'  stante,  che  non  comunica  con   il   resto   del
provvedimento; lo stesso fondo che  essa  istituisce,  e  che  verra'
finanziato  con  importi  residuati  dalla  cancellazione  dell'opera
programmata, non entra  affatto  a  sostenere  gli  altri  interventi
previsti per i settori in crisi. Inoltre, la  norma  non  e'  affatto
destinata a produrre effetti immediati, perche',  come  evidenzia  la
stessa relazione governativa al  decreto-legge,  solo  a  conclusione
dell'intero  procedimento  amministrativo,  della   transazione   con
l'affidatario contraente generale  e  delle  decisioni  autonomamente
assunte  dalla  Amministrazione   comunale,   si   potra'   conoscere
l'ammontare degli importi reinvestibili.  Per  cui,  in  sintesi,  la
norma impugnata nulla c'entra con il titolo  del  decreto-legge,  ne'
con il suo oggetto, ne' con le motivazioni addotte per  giustificarne
la straordinarieta', la necessita' e l'urgenza. 
    Nel caso di specie poi, il generale interesse  delle  regioni  al
rispetto delle attribuzioni parlamentari e la delimitazione  rigorosa
della decretazione  di  urgenza  assume  una  colorazione  del  tutto
peculiare. 
    Appare   evidente,   infatti,   che   il   Governo   e'   ricorso
all'espediente di inserire le disposizioni contestate nel corpo di un
decreto-legge, per rivestire della forza di legge una  decisione  che
non  ha  alcuna  natura  normativa,  ma   costituisce   un   semplice
provvedimento amministrativo: e cio' al solo  scopo  di  aggirare  le
procedure di leale collaborazione a  cui  avrebbe  dovuto  altrimenti
attenersi. La giurisprudenza di questa ecc.ma Corte ha  costantemente
affermato, infatti, che per  il  legislatore  ordinario  non  possono
sussistere obblighi  di  leale  collaborazione,  salvo  che  non  sia
possibile farli risalire a un  vincolo  costituzionale.  Puo'  essere
contestabile che cio'  valga  anche  per  gli  atti  provenienti  dal
Governo e, in particolare, per i decreti-legge, ma la  questione  non
e' qui rilevante; non c'e' dubbio, invece, che se il  Governo  e,  in
particolare, il CIPE avesse adottato  una  delibera  con  gli  stessi
contenuti  della  norma  impugnata,  essa  sarebbe  stata  dichiarata
illegittima in sede di conflitto di attribuzione per  violazione  dei
principi di leale  collaborazione,  come  poi  piu'  diffusamente  si
motivera'  (vedi,  infatti,  la  sent.  n.   233/2004,   sull'analoga
fattispecie della metropolitana di Bologna). Si tratta,  percio',  di
un caso plateale di «truffa delle forme giuridiche» ossia dell'uso di
forme   legislative   (peraltro,   in   violazione   dei    requisiti
costituzionali della decretazione di urgenza) per aggirare i  vincoli
procedimentali che, come si  illustrera',  discendono  proprio  dalla
giurisprudenza di questa Corte, facendo cosi' venir meno le  garanzie
costituzionali che  la  Corte  riconosce  alle  regioni  in  sede  di
chiamata in sussidiarieta'. 
2) Violazione dell'art. 117, terzo e quarto  comma  e  dell'art.  118
Cost. 
    Nella sentenza n. 303/2003, la Corte impernia il suo ragionamento
(costantemente riaffermato nelle decisioni successive: cfr.  per  es.
sentt.  nn.  233/2004,  214  e  440/2006,  256  e   401/2007,   ecc.)
sull'assunto che non sia configurabile una materia  autonoma  «lavori
pubblici» essendo percio'  infondata  la  pretesa  delle  regioni  di
vedersela assegnata in via residuale. I lavori  pubblici  -  dice  la
Corte - costituiscono «ambiti di legislazione che non  integrano  una
vera e propria materia, ma si qualificano a seconda  dell'oggetto  al
quale afferiscono e pertanto possono  essere  ascritti  di  volta  in
volta a potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero a  potesta'
legislative  concorrenti»  (ancora  sent.  303/2003).  Se  dunque  e'
altrove da ricercare la materia a cui far riferimento, e'  del  tutto
evidente che nella presente questione, che riguarda la  Metropolitana
di Parma, la materia individuabile con il «criterio della prevalenza»
non puo'  che  essere  quella  dei  «trasporti  locali»,  materia  di
competenza legislativa regionale gia' con la Costituzione del 1948  e
poi puntualmente confermata. Quindi, in materia di sicura  competenza
residuale delle regioni la legge statale non puo' intervenire  e  non
possono neppure essere previsti fondi autonomi di finanziamento,  ne'
finanziamenti vincolati. 
    La   sentenza   n.   303,   occupandosi   delle   grandi    opere
infrastrutturali, rispetto alle quali allo Stato  viene  riconosciuta
la competenza concorrente (prevista per le grandi  infrastrutture  di
comunicazione e  trasporto,  ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  comma
Cost.), riconosce allo Stato medesimo la  possibilita'  di  impiegare
uno strumento - elaborato dalla stessa sentenza n. 303,  e  destinato
ad una grande fortuna nella giurisprudenza costituzionale  successiva
- che e' la cd. «chiamata in sussidiarieta'». Essa riguarda  funzioni
amministrative, che rispondono ad esigenze  unitarie  e  percio'  non
possono essere convenientemente  svolte  ad  un  livello  decentrato,
quale esso sia. 
    Indubbiamente un piano nazionale di infrastrutture  di  trasporto
corrisponde perfettamente a questa descrizione; va, pero', notato che
la sentenza n. 303, anche per  esso,  subordina  la  validita'  della
«chiamata in sussidiarieta'» di  funzioni  amministrative  a  precise
regole di leale collaborazione, che vincolano l'agire del Governo sia
nella fase di  programmazione  generale  delle  opere  e  della  loro
distribuzione sul territorio nazionale, attraverso una  procedura  di
intesa  «forte»  in  Conferenza  Stato-regioni,  sia  nella  fase  di
applicazione di questo  programma  generale  nelle  singole  regioni,
attraverso una intesa, appunto, con ciascuna singola regione.  Da  un
lato, dunque, «(per) giudicare se una legge statale che occupi questo
spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o  non  costituisca,
invece, applicazione dei principi di  sussidiarieta'  e  adeguatezza,
diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra
lo Stato  e  le  regioni  interessate,  alla  quale  sia  subordinata
l'operativita' della disciplina»; dall'altro, e  cioe'  nei  rapporti
con la singola regione in cui insistono le opere da  realizzare,  per
giustificare «l'attrazione allo Stato di funzioni  amministrative  da
regolare con legge ... e' necessario un  procedimento  attraverso  il
quale l'istanza unitaria venga saggiata nella sua  reale  consistenza
e,  quindi,  commisurata  all'esigenza  di  coinvolgere  i   soggetti
titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone  la  posizione
costituzionale. Ben puo' darsi,  infatti,  che  nell'articolarsi  del
procedimento, al riscontro concreto delle  caratteristiche  oggettive
dell'opera e dell'organizzazione di persone e mezzi che essa richiede
per  essere  realizzata,  la   pretesa   statale   di   attrarre   in
sussidiarieta' le funzioni amministrative ad  essa  relative  risulti
vanificata, perche' l'interesse sottostante,  quale  che  ne  sia  la
dimensione, possa essere interamente soddisfatto  dalla  Regione,  la
quale,   nel   contraddittorio,   ispirato   al   canone   di   leale
collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo  alleghi,
ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacita'
di svolgere in tutto o in parte la funzione». 
    Cio' posto, e' implicito nello stesso principio  dell'intesa  che
cio' che la regione ha concordato con lo Stato non puo', in  seguito,
essere sovvertito da una decisione autonoma dello  Stato  stesso.  In
questo senso la sent. n.  233/2004,  che  riguardava  l'analogo  caso
della metropolitana di Bologna, costituisce un  precedente  specifico
di stretta attinenza. 
    Di cio' il Governo e' probabilmente consapevole, tant'e'  che  si
e' determinato a sovvertire una serie di decisioni assunte sul  piano
amministrativo con  un  atto  avente  forza  di  legge,  in  modo  da
sottrarsi all'obbligo dell'intesa. Con cio' si dimostra anche come la
scelta  dello  strumento  legislativo  sia  di  per  se'  assunta  in
violazione delle competenze regionali. 
    Poco importa che in questo caso lo Stato agisca  su  richiesta  o
invito della Amministrazione comunale, in quanto l'accordo tra  Stato
e Comune non puo' derogare  alle  attribuzioni  costituzionali  delle
regioni,  che  in  materia  di  trasporto  locale  hanno   competenza
legislativa  residuale,  oltre  che  la  conseguente  responsabilita'
politico-amministrativa di programmazione generale. 
    Inoltre, e'  da  stigmatizzare  anche  il  comportamento  di  una
Amministrazione comunale che, con una decisione assunta (a quanto  e'
dato di sapere) senza neppure il  voto  del  Consiglio  comunale,  ma
concordata con Autorita' del Governo nazionale, ha fatto venire  meno
la programmazione di opere gia' programmate e  progettate  attraverso
gli organi nazionali, regionali e comunali competenti e le  procedure
costituzionalmente necessarie. 
    Motivo  per  cui  il  decreto-legge  in  questione,  nella  parte
impugnata,   risulta   adottato   in   violazione   sia   dell'ordine
costituzionale delle attribuzioni dei poteri dello Stato,  sia  delle
competenze legislative  della  regione,  sia  della  legalita'  delle
procedure prescritte in uno Stato  di  diritto  «per  ogni  decisione
delle pubbliche autorita'», e quindi in  violazione  complessivamente
degli artt. 70, 77, 117, terzo e quarto comma e 118 Cost. 
3) Violazione dell'art. 97 Costituzione sotto il profilo della  buona
amministrazione e della razionalita' della spesa pubblica. 
    Proprio la «deroga» dalle regole procedurali che si e' perseguita
con le disposizioni  impugnate  determina  un  ulteriore  profilo  di
illegittimita'  costituzionale   non   direttamente   connesso   alle
attribuzioni regionali, ma sicuramente almeno indirettamente ad  esse
collegato. 
    La  revoca  del  finanziamento  e,  quindi,  la   rinuncia   alla
realizzazione dell'opera, che era stata concordata fin  nei  dettagli
di progettazione fra gli organi statali e regionali, nonche'  locali,
nel contesto delle Intese  Generali  Quadro  ricordate  in  punto  di
fatto, provochera' un rilevante esborso a carico dei bilanci pubblici
per indennizzare/risarcire il Contraente Generale,  gia'  individuato
quale soggetto affidatario dei lavori e per ripianare il bilancio del
soggetto attuatore (Societa' Metro Parma Spa, costituita  dal  Comune
di Parma con oggetto sociale esclusivo) dalle spese connesse  con  la
progettazione dell'opera. Questi esborsi costituiscono  letteralmente
uno sperpero delle risorse pubbliche. 
    In un momento di grave difficolta' finanziaria, che si ripercuote
con tanta durezza sui trasferimenti alle regioni e agli enti locali e
si traduce talvolta in obblighi  asfissianti  prescritti  nell'ambito
del patto di stabilita' interno, la regione non puo' non  reagire  di
fronte ad una spesa pubblica determinata da una decisione unilaterale
del Governo e del tutto improduttiva. Essa non  puo'  nemmeno  essere
giustificata in  termini  di  «contenimento»  della  spesa  pubblica,
ovvero in termini di «riconversione» delle  risorse  rinunciate,  che
sarebbero destinate «per diverse finalita' e con i  medesimi  effetti
previsti dalla legislazione vigente» (secondo quanto sostenuto  nella
relazione illustrativa al d.l.),  poiche'  i  finanziamenti  revocati
sono  stornati  verso  altre  opere,  comunque  non  ricadenti  nella
regione, visto che non  c'e'  alcun  vincolo,  ne'  sostanziale,  ne'
procedimentale, in questo senso, e comunque sempre al netto di quella
parte cospicua di spesa, che l'erario  pubblico  dovra'  sborsare  in
conseguenza della prevista  transazione  relativa  all'indennizzo  da
riconoscere  a  tacitazione  di  diritti  e  pretese  da  parte   del
Contraente   generale,   nei   cui   confronti   viene   sterilizzato
l'affidamento gia' disposto. 
    Qualora questa operazione andasse a compimento,  la  regione  non
esclude di agire anche per grave danno erariale. 
    Un'ultima notazione, che  puo'  tradursi  anche  in  un  autonomo
motivo di ricorso, riguarda la pars construens di queste disposizioni
e, segnatamente, i commi 6 e 8, che non vincolano in  alcun  modo  la
destinazione dei fondi residui  ad  opere  ricadenti  nel  territorio
della Regione Emilia-Romagna: qui si viola uno dei principi impliciti
nelle regole affermate nella sentenza n. 303, laddove essa impone  al
Governo di concordare con tutte le regioni in sede di conferenza,  il
Piano degli investimenti. 
    Non puo' negarsi, infatti, che il  consenso  espresso  in  quella
sede dalle singole regioni sia  collegato,  anche  se  non  solo,  ai
benefici derivanti dagli investimenti pubblici nel loro territorio. 
4) Illegittimita', sotto altro profilo, del comma  6  per  violazione
dell'art. 117, terzo comma Cost. 
    Autonoma rilevanza ha la questione di illegittimita' del comma 6. 
    L'istituzione di un Fondo (nel caso, di un inedito «fondo per  le
infrastrutture  portuali»)  presso  l'Autorita'  Ministeriale   delle
infrastrutture e dei trasporti in materia di  competenza  concorrente
(qual'e' la materia «porti e aeroporti civili») contravviene a quanto
la giurisprudenza di questa ecc.ma Corte ha  costantemente  affermato
in ordine alla implausibilita' di tale sistema, da un lato  negandone
in linea di principio la legittimita', dall'altro ammettendo  deroghe
qualora sia giustificato un intervento  in  sussidiarieta',  ma  alla
precisa condizione che la gestione di  quel  «fondo»  sia  sottoposta
alle regole piu' stringenti della leale collaborazione. 
    Nella norma impugnata, viceversa, si parla di  trasferimento  dei
finanziamenti   recuperati   (quota   residua)   dalla   revoca   del
finanziamento  per  la  metropolitana  di  Parma,  al  fondo  per  le
infrastrutture portuali, che verranno assegnati direttamente a favore
delle Autorita' Portuali e che verranno ripartiti con  decisione  del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di  concerto  con  il
Ministero dell'economia e delle finanze (sempre comma 6), senza alcun
coinvolgimento, in qualsiasi fase del procedimento, delle  regioni  e
senza che sia in alcun modo previsto, ne'  d'altronde  in  base  alla
norma  possibile,  che  tali  risorse  debbano  essere  destinate  ad
infrastrutture portuali della Regione  Emilia-Romagna.  E'  di  tutta
evidenza, quindi, la lesione dei principi  sopra  sottolineati  e  la
incoerenza ed  arroganza  di  un  sistema  che  interviene  sempre  e
comunque a  livello  centralistico,  non  curandosi  minimamente  del
rispetto dei rapporti istituzionali che in certe questioni dovrebbero
essere oramai consolidati e acquisiti. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Regione Emilia-Romagna, come  sopra  rappresentata  e  difesa,
chiede  che   l'ecc.ma   Corte   costituzionale   voglia   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dei commi 6, 7,  8  dell'art.  4  del
d.l. n. 40 del 25 marzo 2010,  per  i  motivi  indicati  e  cio'  per
violazione  degli  artt.  70,  77,  97,  117,  commi  3  e   4,   118
Costituzione. 
        Bologna-Roma, addi' 24 maggio 2010 
 
         Prof. Avv. Franco Mastragostino - Avv. Luigi Manzi