N. 92 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 dicembre 2017

Ordinanza del 13 dicembre 2017 del G.U.P. del  Tribunale  di  Catania
nel procedimento penale a carico di L. P. M.. 
 
Processo penale - Potere del giudice di dare al fatto una definizione
  giuridica  diversa   da   quella   enunciata   nell'imputazione   -
  Possibilita' di disporre la sospensione del procedimento con  messa
  alla prova ove il fatto di reato diversamente  qualificato  rientri
  nei casi previsti dall'art. 168-bis cod. pen. - Mancata previsione. 
- Codice di procedura penale, artt. 464-bis, comma 2, e 521, comma 1. 
(GU n.26 del 27-6-2018 )
 
                        TRIBUNALE DI CATANIA 
                       Sezione G.I.P. - G.U.P. 
 
    Il G.u.p., letti gli atti del procedimento a carico di: L. P. M.,
nato a... il... e residente a... alla via... - domicilio dichiarato -
difeso dall'avv. Vincenza Pirracchio del  Foro  di  Caltagirone,  con
studio legale in Palagonia, via V. Bellini n. 18. 
    Ritenuto che deve essere  sollevata,  per  i  motivi  di  seguito
esposti,  questione  di  legittimita'  costituzionale  del  combinato
disposto degli articoli 464-bis, comma 2°, e 521, comma 1°, codice di
procedura penale, nella parte in cui non prevedono la possibilita' di
disporre  la  sospensione  del  procedimento  con  messa  alla  prova
nell'ipotesi in cui, in esito al giudizio, il fatto di  reato  venga,
su sollecitazione del medesimo imputato, diversamente qualificato dal
giudice cosi' da rientrare in uno di  quelli  contemplati  dal  primo
comma dell'art. 168-bis codice  penale;  questione  rilevante  e  non
manifestamente infondata in riferimento agli articoli 3 e  24,  comma
2°, della Costituzione per le ragioni di seguito enunciate 
 
                               Osserva 
 
    L. P. M. e' imputato per i delitti di cui agli articoli  81  cpv.
codice penale e 73, comma 1, decreto del Presidente della  Repubblica
n. 309/90 («produzione traffico e  detenzione  illeciti  di  sostanze
stupefacenti» - nella  formulazione  originaria  di  cui  alla  legge
Jervolino  -  Vassalli,  anteriore  alla  riforma  del  2006,  giusta
sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014), perche' -  con  piu'
azioni in violazione di piu' diposizioni di legge ed esecutive di  un
medesimo disegno criminoso, al di fuori delle ipotesi previste  dagli
articoli  75  e  76  dello  stesso  decreto  del   Presidente   della
Repubblica,  deteneva  e  cedeva  sostanza  stupefacente   del   tipo
marijuana e cocaina. Nello  specifico:  cedeva,  in  piu'  occasioni,
sostanza stupefacente del tipo  cocaina  a  G.  G.;  cedeva  sostanza
stupefacente del tipo marijuana, per un peso complessivo di circa 1,3
grammi, a M. F. (il 24 febbraio 2016). In Catania nel gennaio  e  nel
febbraio 2016. 
    Nell'udienza preliminare del 12  luglio  2017  il  difensore  del
predetto imputato ha chiesto, previa diversa definizione del fatto  -
qualificato  ai  sensi  del  comma  5°,  dell'art.  73,  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  309/90  -   la   sospensione   del
procedimento  con  messa  alla  prova  depositando  la  prova   della
richiesta di elaborazione  del  programma  di  trattamento  ai  sensi
dell'art. 464-bis codice di procedura penale, inoltrata  all'U.E.P.E.
di Catania con PEC del 10 luglio 2017. 
    Detta istanza difensiva e' stata, tuttavia, respinta in quanto la
pena edittale per il reato ascritto al L. P. non era compatibile  con
l'accesso al rito. 
    Indi, lo stesso difensore -  munito  di  procura  speciale  -  ha
chiesto di definire il giudizio con il rito abbreviato e, all'udienza
dell'8 novembre 2017, rendendo le proprie conclusioni, ha ribadito la
precedente istanza di qualificazione del fatto ascritto a L. P. M. ai
sensi dell'art. 73, comma 5°, decreto del Presidente della Repubblica
n.  309/90  -  insistendo,  per  l'effetto,  sulla  definizione   del
procedimento previa messa alla prova  dell'imputato  -  e  richiesto,
quindi, solo in via subordinata, l'irrogazione  al  predetto  di  una
pena contenuta entro il minimo  limite  edittale  previa  concessione
delle circostanze attenuanti generiche  e  della  diminuente  per  il
rito. 
    Le   risultanze   degli   atti   di   indagine   comprovano    la
responsabilita' del L. P. per una pluralita' di fatti di  spaccio  di
lieve entita', come tali effettivamente qualificabili  ai  sensi  del
comma 5°, dell'art. 73, decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
309/90 (fattispecie autonoma di reato sanzionata con  la  pena  della
reclusione non superiore, nel massimo, a quattro anni). 
    Risulta, infatti,  dalle  intercettazioni  telefoniche  -  ed  e'
stato, parimenti, ammesso dal medesimo  imputato  allorquando  questi
ebbe a rendere al G.i.p. l'interrogatorio di cui all'art. 294  codice
di procedura penale - che il L. P. ebbe a prestarsi,  allorquando  G.
G. era ristretto nella propria abitazione agli arresti domiciliari, a
procurargli, per  una  modesta  contropartita  che  le  parti  stesse
stimavano  in  venti  euro,  qualche  dose  di  cocaina   acquistata,
appositamente, da personaggi ben noti ad entrambi; in forza, poi,  di
un servizio mirato di P.G. si appurava che, in data 24 febbraio 2016,
il L. P. cedeva a M. F., per l'importo di  cinque  euro,  un  modesto
quantitativo di marijuana. 
    Trattandosi, quindi, di giovane incensurato - e  non  ricorrendo,
altresi', alcuna delle cause di esclusione di cui all'art. 168, commi
4 e 5, codice penale - ove i  fatti  dal  medesimo  commessi  fossero
stati qualificati nel senso anzidetto all'atto, gia',  dell'esercizio
dell'azione  penale,  lo  stesso  avrebbe  potuto   beneficiare   del
procedimento di cui all'art. 464-bis codice penale cui avrebbe  fatto
seguito, in caso di esito positivo, l'estinzione del reato continuato
oggetto dell'addebito. 
    Ed  invero,  nell'attuale   elaborazione   giurisprudenziale   e'
sostanzialmente incontroverso che il potere del giudice  di  dare  in
sentenza  al  fatto  una  definizione  giuridica  diversa  da  quella
enunciata nell'imputazione - previsto  dall'art.  521,  comma  primo,
codice procedura penale - sia  esercitabile  anche  con  la  sentenza
emessa a seguito di giudizio abbreviato (cosi', Cass. Sez. 6^,  sent.
n. 9213/1996). 
    Tanto premesso - ed introducendo,  cosi',  il  tema  relativo  ai
rapporti tra differente qualificazione del  fatto-reato  per  cui  si
procede e «meccanismi di  definizione  anticipata  del  procedimento»
(quale, appunto, la richiesta di sospensione con messa alla prova)  -
possono essere richiamate, stante l'eadem ratio, le considerazioni  -
riguardanti il procedimento di oblazione - svolte nella  sentenza  n.
17/2014, ric. Tamborrino, delle S.U. della Corte di  Cassazione,  con
cio' rilevando che: «lo specifico problema che viene qui in  discorso
finisce  per  iscriversi  nel  piu'   ampio   e   delicato   contesto
rappresentato dalle interferenze che scaturiscono dalle modifiche che
puo' subire l'imputazione  nel  corso  del  giudizio,  rispetto  alle
scelte difensive: prime fra tutte quelle che, appunto,  si  collegano
con le opzioni per i riti alternativi,  fra  i  quali  non  puo'  non
essere annoverato proprio il procedimento per oblazione» (ovvero, nel
caso che ci occupa, quello di cui  agli  articoli  464-bis  e  ss.gg.
codice di procedura penale). 
    La stessa Corte di legittimita',  nella  sentenza  citata  -  una
volta  passata  in   rassegna   l'evoluzione   della   giurisprudenza
costituzionale «snodatasi attraverso percorsi evolutivi  sempre  piu'
attenti al soddisfacimento delle garanzie sostanziali ... giunta fino
in tempi recentissimi a colmare quelle  lacune  che  il  sistema  era
venuto via via  a  profilare»  -  ricorda,  poi:  «l'unica  pronuncia
soffermatasi sul tema dei rapporti tra la modifica della  imputazione
e il procedimento di oblazione, vale a dire la sentenza  n.  530  del
1995». 
    Si tratta, infatti, di un precedente importante  giacche',  nella
circostanza  richiamata,  la  Corte  costituzionale   -   effettuando
valutazioni del tutto sovrapponibili a quelle che, in questa sede, si
ritiene di svolgere trattando della sospensione del procedimento  con
richiesta di messa  alla  prova  -  osservava  che  l'istituto  della
oblazione si fondava «sia sull'interesse dello Stato di definire  con
economia di tempo e di spese i  procedimenti  relativi  ai  reati  di
minore importanza, sia sull'interesse del contravventore  di  evitare
l'ulteriore corso del procedimento e la eventuale condanna, con tutte
le  conseguenze  di  essa  ...  Effetto  tipico  di  tale  firma   di
definizione anticipata del procedimento e',  infatti,  la  estinzione
del reato, per cui appare del  tutto  evidente  come  la  domanda  di
ammissione all'oblazione  esprima  una  modalita'  di  esercizio  del
diritto di difesa». 
    La  preclusione  dell'accesso  all'oblazione  risultava,  quindi,
lesiva  del  diritto   di   difesa   perche'   priva   di   razionale
giustificazione: l'avvenuto superamento del limite temporale previsto
per  la  proposizione  della  domanda  di  oblazione,  vale  a   dire
l'apertura del dibattimento, non poteva infatti  dirsi  riconducibile
ad una libera scelta dell'imputato - e, cioe', ad  una  inerzia  allo
stesso addebitabile - dal momento che la facolta' di proporre  quella
domanda «non puo' che sorgere nel momento in cui il reato  stesso  e'
oggetto di contestazione». 
    Analoga  preclusione  si  verifica,  ad  oggi,  ove   l'imputato,
interessato ad accedere  al  procedimento  di  cui  all'art.  464-bis
codice  penale  -  il  cui  esito  naturale   e'   (come   nel   caso
dell'oblazione) l'estinzione del reato al medesimo ascritto - subisca
la preclusione derivante dalla contestazione di un  titolo  di  reato
che a cio' non lo legittima  e  di  cui  esso  stesso,  tuttavia,  ha
tempestivamente  invocato  una  differente  definizione  giuridica  -
compatibile con l'accesso al «meccanismo  di  definizione  anticipata
del procedimento» - condivisa,  infine,  dal  decidente  in  sede  di
definizione del relativo giudizio. 
    Orbene, nel caso (analogo) dell'oblazione, i  dicta  della  Corte
costituzionale - che  prescindevano  da  qualsiasi  riferimento  alla
natura «fisiologica»  o  «patologica»  delle  nuove  contestazioni  -
vennero, poi, recepiti dal legislatore che, con la legge n.  479  del
1999, ha aggiunto all'art. 141 disp. att. codice procedura penale  il
comma 4-bis, in forza del quale «in caso di modifica della originaria
imputazione in  altra  per  la  quale  sia  ammissibile  l'oblazione,
l'imputato e' rimesso in termini per chiedere la medesima». 
    Ed e' proprio grazie a tale ultimo intervento  normativo  che  si
e', poi, consolidato un indirizzo giurisprudenziale che  consente  il
ricorso all'oblazione anche nel caso in cui la differente definizione
giuridica del fatto, cosi' reso compatibile con  l'accesso  al  rito,
costituisca l'oggetto di una decisione assunta dal giudice in sede di
definizione del procedimento,  salva  la  precisazione  -  effettuata
nella sentenza delle  S.U.  da  ultimo  richiamata  -  che,  in  tali
evenienze («qualora - cioe' -  l'imputato  ritenga  non  corretta  la
relativa qualificazione giuridica del fatto e intenda sollecitare una
diversa qualificazione che ammetta il procedimento  di  oblazione  di
cui all'art. 141 disp. att.  codice  procedura  penale»):  «e'  onere
dell'imputato stesso formulare istanza di ammissione all'oblazione in
rapporto alla diversa qualificazione che contestualmente solleciti al
giudice di definire, con la conseguenza che -  in  mancanza  di  tale
richiesta - il diritto a fruire della oblazione stessa resta precluso
ove il giudice provveda di ufficio, a norma dell'art. 521,  comma  1,
codice  procedura  penale  ad   assegnare   al   fatto   la   diversa
qualificazione che consentirebbe l'applicazione del beneficio, con la
sentenza che definisce il giudizio». 
    Tale  soluzione  interpretativa  non  e',   tuttavia,   parimenti
praticabile nell'ipotesi  della  «sospensione  del  procedimento  con
messa alla prova» - mancando una norma  equivalente  al  comma  4-bis
dell'art. 141  disp.  att.  codice  procedura  penale  (appositamente
introdotto dalla legge n. 479 del 1999) - e cio' determina, a  parere
del  rimettente,  l'illegittimita'   costituzionale   del   combinato
disposto degli articoli 464-bis, 2° comma, e 521, 1° comma, codice di
procedura penale. 
    Invero, occorre  al  riguardo  ripercorrere,  ancora  una  volta,
l'iter argomentativo delle S.U. della Corte di Cassazione  le  quali,
nella sentenza citata, soffermandosi sui «rapporti (e sulle possibili
frizioni) che ineluttabilmente vengono a stabilirsi tra contestazione
e diritto di difesa, rappresentando la prima il fisiologico «oggetto»
del secondo», rilevano, testualmente, che: «le  modalita'  attraverso
le quali puo' esprimersi quel  diritto  sono  indubbiamente  le  piu'
varie, e tra queste, come si e' dianzi piu'  volte  sottolineato,  va
annoverata anche la scelta dei riti alternativi, e,  per  quanto  qui
rileva, anche la possibilita'  di  beneficiare  del  procedimento  di
oblazione» (ovvero, nella vicenda che ci  occupa,  della  sospensione
del procedimento con messa alla prova); cio' fermo restando che «alla
difesa  come  diritto  deve  necessariamente  riconnettersi  anche  -
proprio sul versante dell'indispensabile contraddittorio fra le parti
ed ai fini dei petita da rivolgere al giudice - uno  specifico  onere
di interlocuzione su tutti i punti che  costituiscono  oggetto  della
devoluzione; e cio' al fine di  scongiurare  l'insorgere  di  effetti
preclusivi che il sistema e' fisiologicamente chiamato a  predisporre
a salvaguardia dello stesso ordo iudiciorum». 
    Considerate, quindi, la natura e  la  funzione  dell'istituto  in
esame, la preclusione  dell'accesso  al  medesimo  -  e  ai  connessi
benefici - nel caso in cui il reato suscettibile  di  estinzione  per
esito  positivo  della  messa  alla  prova  costituisca  oggetto   di
accertamento  giudiziale  in  coincidenza  con  la  definizione   del
procedimento ai sensi dell'art. 521, comma 2°,  codice  di  procedura
penale, risulta indubbiamente lesiva del diritto  di  difesa  nonche'
priva di razionale giustificazione, con conseguente violazione  degli
articoli 24, comma 2°, e 3 della Costituzione. 
    L'avvenuto superamento  del  limite  temporale  di  cui  all'art.
464-bis, comma 2°, codice di  procedura  penale  previsto,  in  linea
generale,  per  la  proposizione  dell'istanza  di  sospensione   del
procedimento con messa alla prova  (e  la  cui  ratio  e'  quella  di
evitare che l'imputato possa  vanificare  l'attivita'  processuale  a
seconda degli esiti del dibattimento), non e', infatti, nel  caso  in
esame, riconducibile a libera scelta dell'imputato  -  e,  cioe',  ad
inerzia al medesimo addebitabile  -  sol  che  si  consideri  che  la
facolta' in discussione non puo' che sorgere nel  momento  stesso  in
cui il reato e' oggetto di contestazione. 
    Sussiste, quindi,  oltre  alla  gia'  denunciata  violazione  del
diritto di difesa  (di  cui  la  domanda  in  questione  costituisce,
evidentemente,  una  significativa  «modalita'  di  esercizio»),  una
ingiustificata disparita'  di  trattamento  di  situazioni  identiche
(art. 3 Cost.) giacche' dipendente -  piuttosto  che  da  una  scelta
difensiva - dalla qualificazione giuridica  del  fatto  di  volta  in
volta effettuata dal pubblico ministero e cio' determina un vizio  di
irragionevolezza della disciplina impugnata, con ulteriore violazione
dell'art. 3 Cost. poiche', come gia' accennato, ricollega alle scelte
del pubblico ministero la facolta' dell'imputato di  accedere  ad  un
rito (o, meglio, ad un  «meccanismo  di  definizione  anticipata  del
procedimento») il cui esito positivo consentirebbe,  addirittura,  di
estinguere il reato. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost. e 23 e ss., legge 11 marzo  1953  n.
87,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente   infondata   -   in
riferimento agli articoli 3 e 24, comma 2°, della Costituzione  -  la
questione di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli  464-bis,
comma 2°, e 521, comma 1°, codice di procedura penale, nella parte in
cui non prevedono la possibilita'  di  disporre  la  sospensione  del
procedimento con messa alla prova ove, in esito al giudizio, il fatto
di reato venga, su sollecitazione del medesimo imputato, diversamente
qualificato  dal  giudice  cosi'  da  rientrare  in  uno  di   quelli
contemplati dal primo comma dell'art. 168-bis codice penale; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sospendendo il giudizio in corso; 
    Ordina che a cura della Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere. 
      Catania, 13 dicembre 2017 
 
                  Il G.U.P.: Di Giacomo Barbagallo