N. 21 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 febbraio 2020
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 19 febbraio 2020 (del Presidente del Consiglio dei ministri). Paesaggio - Norme della Regione Calabria - Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 19 del 2002 - Formazione ed approvazione dei Piani paesaggistici d'ambito - Approvazione, con delibera della Giunta regionale, previa validazione del Comitato tecnico di co-pianificazione, delle singole attivita', di cui all'art. 143, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, che concorrono all'elaborazione del Piano paesaggistico regionale. Paesaggio - Norme della Regione Calabria - Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 19 del 2002 - Criteri per l'edificazione in zona agricola - Previsione che, nelle more dell'approvazione dei piani strutturali comunali, e' consentita l'edificazione anche su di superficie fondiaria inferiore ai 10.000 metri quadrati. - Legge della Regione Calabria 16 dicembre 2019, n. 61 ("Modifiche ed integrazioni alla L.R. 19/2002 (Norme per la tutela, governo ed uso del territorio - Legge urbanistica della Calabria)"), artt. 1 e 2.(GU n.13 del 25-3-2020 )
Ricorso per la Presidenza del Consiglio dei ministri (c.f. 80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, rappresentata e difesa per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato dall'Avvocatura generale dello Stato (C.F. 80224030587), presso i cui uffici ha domicilio in Roma, via dei Portoghesi 12, (fax 06-96514000 - PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) ricorrente contro la Regione Calabria, in persona del Presidente della giunta regionale attualmente in carica resistente per l'impugnazione e la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 1 e 2 della legge regionale 16 dicembre 2019 n. 61, avente ad oggetto «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale n. 19/2012 (norme per la tutela, governo ed uso del territorio - legge urbanistica della Calabria)», pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 139 del 16 dicembre 2019. Il Consiglio regionale della Calabria ha approvato nella seduta del 10 dicembre 2019 la legge n. 61 recante «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 19/2012 (norme per la tutela, governo ed uso del territorio - legge urbanistica della Calabria)». La legge si compone di quattro articoli (i primi due sostanziali, il terzo attestante l'irrilevanza sul piano finanziario, il quarto dedicato all'immediata entrata in vigore. Le norme in questione, tuttavia, ad avviso della Presidenza del Consiglio, violano la competenza legislativa esclusiva dello Stato, e devono pertanto essere impugnate per i seguenti Motivi 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge regionale n. 61/2019 per violazione dell'art. 9 e dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione in relazione agli articoli 135, 141 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La norma in epigrafe modifica l'art. 25-bis della legge regionale n. 19/2002 «Norme per la tutela, governo ed uso del territorio - legge urbanistica della Calabria», aggiungendovi, dopo il comma 2, il seguente comma 2-bis: «2-bis. La Giunta regionale approva con atto deliberativo, previa validazione da parte del Comitato tecnico di co-pianificazione di cui al Protocollo d'intesa e relativo disciplinare attuativo, le singole attivita' di cui all'art. 143, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004 (Codice dei beni culturali) che concorrono all'elaborazione del Piano paesaggistico regionale. A far data dalla pubblicazione sul BURC della predetta deliberazione di Giunta regionale le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici.» In attuazione delle disposizioni di cui all'art. 135, comma 1, e 143, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la Regione Calabria e il Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo hanno avviato sin dal 2012 un rapporto di collaborazione istituzionale finalizzato all'elaborazione congiunta del Piano paesaggistico regionale. In questo ambito, e' stato dalla Regione adottato il Quadro Territoriale Regionale con valenza paesaggistica (QTRP), approvato dal Consiglio regionale con deliberazione n. 134 del 1° agosto 2016 (pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Calabria n. 84 del 5 agosto 2016), che prevede la successiva redazione di sedici piani paesaggistici d'ambito, destinati a rappresentare gli strumenti di tutela, conservazione e valorizzazione del paesaggio; nelle more dell'approvazione dei predetti strumenti di pianificazione territoriale, sono stabilite apposite norme di salvaguardia, attinenti al sistema delle tutele, alla difesa del suolo e alle previsioni dei rischi a scala territoriale. La parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio delinea un sistema organico di tutela paesaggistica, inserendo i tradizionali strumenti del provvedimento impositivo del vincolo e dell'autorizzazione paesaggistica nel quadro della pianificazione paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente da Stato e Regione. Tale pianificazione concordata prevede, per ciascuna area tutelata, le cd. prescrizioni d'uso (e cioe' i criteri di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria) e stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di quelle vietate, nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. Il legislatore nazionale, nell'esercizio della potesta' legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono infatti l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonche' l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica. Si tratta di una scelta di principio la cui validita' e importanza e' gia' stata affermata piu' volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell'impugnazione di leggi regionali che intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli strumenti di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la necessaria condivisione delle scelte attraverso uno strumento di pianificazione sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la Regione. La Corte ha, infatti, affermato l'esistenza di un vero e proprio obbligo, costituente un principio inderogabile della legislazione statale, di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte Costituzionale n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale» (Corte Costituzionale, n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272 del 2009). Cio' premesso, in base all'art. 143, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio: «L'elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: a) ricognizione del territorio oggetto di pianificazione, mediante l'analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse dalla natura, dalla storia e dalle loro interrelazioni, ai sensi degli articoli 131 e 135; b) ricognizione degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 136, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonche' determinazione delle specifiche prescrizioni d'uso, a termini dell'art. 138, comma 1, fatto salvo il disposto di cui agli articoli 140, comma 2, e 141-bis; c) ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell'art. 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonche' determinazione di prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione; d) eventuale individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini dell'art. 134, comma 1, lettera c), loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonche' determinazione delle specifiche prescrizioni d'uso, a termini dell'art. 138, comma 1; e) individuazione di eventuali, ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all'art. 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione; f) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio ai fini dell'individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilita' del paesaggio, nonche' comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo; g) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili con le esigenze della tutela; h) individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate; i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi di qualita', a termini dell'art. 135, comma 3.». La norma regionale, invece, prevede che la Regione possa approvare il piano paesaggistico non gia' quale strumento complessivo, bensi' per «singole attivita'», sia pure queste ultime oggetto di previa condivisione da parte del Comitato tecnico di co-pianificazione istituito in accordo con il Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo. La norma cioe' introduce, unilateralmente e al di fuori di qualsivoglia condivisione con lo Stato, una modalita' di approvazione del piano paesaggistico non contemplata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e totalmente diversa da quella prevista dalle norme statali (articoli 135, 143 e 145), peraltro suscettibile di provocare un significativo depotenziamento del ruolo assegnato al piano dalla disciplina nazionale. Le disposizioni del Codice di settore ora richiamate concorrono infatti a delineare il ruolo fondamentale del piano paesaggistico quale strumento cardine dell'intera pianificazione territoriale, destinato a costituire il punto di riferimento di tutti gli altri atti di pianificazione settoriale e urbanistica. E, in questo quadro, e' parimenti evidente che la funzione stessa del piano richieda necessariamente che le relative disposizioni costituiscano il frutto di una valutazione complessiva del contesto tutelato, nei suoi diversi profili, pena la vanificazione della possibilita' per lo strumento pianificatorio di porsi quale effettivo strumento di tutela dei contesti vincolati ed efficace «luogo» di sintesi e di equilibrata valutazione delle istanze di trasformazione del territorio. Le diverse attivita' mirate all'elaborazione del piano paesaggistico non possono infatti che essere condotte all'interno di una cornice unitaria, tale da assicurare l'elaborazione graduale e la coerenza complessiva del piano, attraverso il progressivo completamento delle specifiche attivita' di ricognizione, analisi ed individuazione, assicurando che queste, seppur progressivamente elaborate e validate, siano condotte contemporaneamente per tutti i piani paesaggistici d'ambito riferiti all'intero territorio regionale. L'eventuale approvazione del piano paesaggistico per «singole attivita'» finisce per comportare pertanto un vulnus alla funzione stessa del piano, come tracciata dalle previsioni normative sopra richiamate. La scelta operata dalla Regione, non essendo frutto di previa intesa con lo Stato, si pone inoltre in violazione delle specifiche previsioni di cui all'art. 135, comma 1, e dell'art. 143, comma 2, del codice di settore, cosi' determinando, anche sotto quest'ultimo profilo, la violazione della competenza legislativa esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Il depotenziamento del ruolo piano paesaggistico conseguente alla sua parcellizzazione incide inoltre direttamente sull'efficacia del predetto strumento, cardine della tutela del paesaggio, e determina quindi la violazione anche dell'art. 9 della Costituzione che attribuisce allo Stato e solo allo Stato la tutela del paesaggio ed esclude l'ammissibilita' di ogni altra azione che possa attenuarne la portata. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge regionale 16 dicembre 2019 n. 61 per violazione dell'art. 9 e dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione in relazione agli articoli 135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 La norma regionale in rubrica modifica il comma 2 dell'art. 52 della legge urbanistica calabrese (Criteri per l'edificazione in zona agricola), con l'aggiunta del seguente periodo: «Nelle more dell'approvazione dei Piani strutturali comunali e' consentita l'edificazione di cui al presente articolo anche su di superficie fondiaria inferiore ai 10.000 metri quadrati. Nel caso di asservimento di non contigui ai fini dell'attuazione dei rapporti volumetrici e di utilizzazione residenziale o produttiva e' obbligo istituire il vincolo di inedificabilita' secondo quanto disposto all'art. 56 della presente legge.». Ora, l'art. 52, comma 2, della legge regionale n. 19 del 2002 disponeva, precedentemente alla novella, che le strutture a scopo residenziale, al di fuori dei piani di utilizzazione aziendale o interaziendale, salvo quanto diversamente e piu' restrittivamente indicato dai PSC, dai piani territoriali o dalla pianificazione di settore, fossero consentite entro e non oltre gli standard di edificabilita' di 0,013 mq su mq di superficie utile. Per le sole attivita' di produttivita' e di trasformazione e/o commercializzazione di prodotti agricoli coltivati anche nel medesimo fondo, l'indice non avrebbe potuto superare 0,1 mq su mq. La norma del 2002 infine identificava il lotto minimo con l'unita' aziendale minima definita dal REU, e comunque lo prevedeva non inferiore a 10.000 mq cosi' come prescritto dalle Linee guida della pianificazione regionale, fatte salve eventuali superfici superiori prescritte dai comuni. In sostanza, la disciplina regionale previgente stabiliva che l'edificazione in zona agricola potesse avvenire esclusivamente su lotti della dimensione minima di 10.000 metri quadrati, fatta salva la possibilita' per i comuni di prescrivere superfici minime di intervento superiori. Il principio del lotto minimo di intervento e' stato poi ribadito dalle norme del Tomo IV allegato al Quadro territoriale regionale con valenza paesaggistica QTRP (art. 10), laddove si specifica che al di sotto dei 10.000 metri quadrati i comuni hanno facolta' di far realizzare esclusivamente piccoli manufatti per il ricovero delle attrezzature agricole e dalle caratteristiche ed usi non residenziali, stabilendo che: «Nelle more dell'approvazione del Piano paesaggistico, i comuni nella fase di redazione dei PSC/PSA provvedono a quantificare l'Unita' aziendale minima e la corrispondente unita' colturale minima, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 50, 51 e 52 della legge regionale n. 19/2002, tenendo conto della facolta' di normare, in forma piu' restrittiva, ovvero oltre i 10.000 mq, il lotto minimo di intervento, ferme restando le previsioni di cui all'art. 22, lettera b, della legge regionale 10 agosto 2012, n. 35 in funzione delle quali gli enti competenti esprimono parere in merito. Al di sotto dei 10.000 mq i Comuni hanno facolta' di far realizzare esclusivamente piccoli manufatti in legno amovibili, di dimensioni massime max 3,00 x 6,00, per il ricovero delle attrezzature agricole ed assolutamente dalle caratteristiche ed usi non residenziali.». In questo contesto, la novella all'art. 52 della legge urbanistica introdotta dalla norma in esame introduce una possibilita' indiscriminata di edificazione in zona agricola, aprendo potenzialmente la strada allo sfruttamento incontrollato del territorio agricolo. E cio' peraltro senza alcuna espressa limitazione delle edificazioni alle specifiche esigenze inerenti alla conduzione delle aziende agricole, ma potenzialmente anche per scopo residenziale. La disposizione viola quindi le previsioni degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in quanto si pone in diretto contrasto con le misure di salvaguardia condivise con lo Stato e trasfuse nel QTRP, vanificando cosi' la funzione propria del futuro piano paesaggistico, da elaborare d'intesa, di dettare le prescrizioni di tutela dei contesti vincolati, disciplinando, tra l'altro, la «individuazione delle misure per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate» (lettera h). La violazione delle predette disposizioni del Codice di settore, costituenti parametro interposto di legittimita' costituzionale, comporta quindi la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Sotto altro profilo, la potenziale significativa compromissione dei valori paesaggistici derivante dalla previsione regionale censurata determina anche la violazione dell'art. 9 della Costituzione. 3. Illegittimita' costituzionale, sotto altro aspetto, dell'art. 2 della legge regionale 16 dicembre 2019, n. 61 per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione in relazione agli articoli 135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, nonche' dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione in relazione all'art. 9 del decreto del Presidente della repubblica 6 giugno 2001 n. 380 e ancora per violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. La medesima norma contenuta nell'art. 2 della legge regionale si presta ad ulteriori censure sotto altro aspetto, venendo in evidenza il suo evidente contrasto con il disposto dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Questa disposizione (intitolata «Attivita' edilizia in assenza di pianificazione urbanistica») riproduce regole gia' contenute nella legge n. 10/1977 e nella legge n. 457/1978, e stabilisce che: «1. Salvi i piu' restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: a) gli interventi previsti dalle lettere a), b), e c) del primo comma dell'art. 3 che riguardino singole unita' immobiliari o parti di esse; b) fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densita' massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non puo' comunque superare un decimo dell'area di proprieta'. 2. Nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l'edificazione, oltre agli interventi indicati al comma 1, lettera a), sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del primo comma dell'art. 3 del presente testo unico che riguardino singole unita' immobiliari o parti di esse. Tali ultimi interventi sono consentiti anche se riguardino globalmente uno o piu' edifici e modifichino fino al venticinque per cento delle destinazioni preesistenti, purche' il titolare del permesso si impegni, con atto trascritto a favore del comune e a cura e spese dell'interessato, a praticare, limitatamente alla percentuale mantenuta ad uso residenziale, prezzi di vendita e canoni di locazione concordati con il comune ed a concorrere negli oneri di urbanizzazione di cui alla sezione II del capo II del presente titolo.». Come noto, la giurisprudenza costituzionale ha piu' volte evidenziato che l'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 esprime principi fondamentali di governo del territorio (Corte Costituzionale n. 68/2018 e n. 84/2017) soprattutto nella parte in cui fissa limiti invalicabili per l'edificazione nelle c.d. «zone bianche», atteso che questa rigorosa previsione attende a valori di rilievo costituzionale quali il paesaggio, l'ambiente e i beni culturali. In quest'ottica, ammettere che la fissazione di standard rigorosi possa essere cedevole di fronte a qualsiasi regolamentazione regionale della materia rappresenterebbe una soluzione contraddittoria. Come rilevato anche dal Consiglio di Stato, una possibile cedevolezza lascerebbe aperta la possibilita' che «eventuali legislatori regionali, prodighi di facolta' edificatorie, finiscano con il frustrare la ratio della disciplina in commento, compromettendo in modo tendenzialmente irreversibile interessi di rango costituzionale»: ragione per la quale «l'art. 9 individua un principio fondamentale della legislazione statale tale da condizionare necessariamente quella regionale a regolare solo in senso piu' restrittivo l'edificazione» (Consiglio di Stato, IV, 12 marzo 2010, n. 1461). A cio' si aggiunga che, ancora nella sentenza n. 84 del 2017, richiamata nella sentenza n. 68 del 2018, la Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto che la funzione della norma di cui al comma 1 dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e' quella «. . . di impedire, tramite l'applicazione di standard legali, una incontrollata espansione edilizia in caso di "vuoti urbanistici", suscettibile di compromettere l'ordinato (futuro) governo del territorio e di determinare la totale consumazione del suolo nazionale, a garanzia di valori di chiaro rilievo costituzionale. Funzione rispetto alla quale la specifica previsione di livelli minimi di tutela si presenta coessenziale, in quanto necessaria per esprimere la regola. La medesima funzione ". . . deve essere ascritta anche al comma 2 del citato art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, la' dove individua e delimita la tipologia di interventi edilizi realizzabili in assenza di piani attuativi, che siano qualificati dagli strumenti urbanistici generali come presupposto necessario per l'edificazione. Anche in tal caso la norma in esame mira a salvaguardare la funzione di pianificazione urbanistica intesa nel suo complesso, evitando che, nelle more del procedimento di approvazione del piano attuativo, siano realizzati interventi incoerenti con gli strumenti urbanistici generali e comunque tali da compromettere l'ordinato uso del territorio.». La legge regionale qui censurata, invece prevede che nelle more dell'approvazione dei Piani strutturali comunali e' consentita l'edificazione entro gli standard di cui al comma precedente anche su superficie fondiaria inferiore ai 10.000 metri quadrati. Le possibilita' edificatorie in assenza di pianificazione, in sostanza, anche per le ragioni esposte nel precedente motivo di censura, che qui si richiamano, sono diverse e peggiorative rispetto a quelle consentite dalla legge statale. E sono pure diverse e peggiorative rispetto a quelle stabilite dalla precedente versione della legge urbanistica regionale, con la conseguente violazione anche del principio costituzionale della leale collaborazione, in quanto attuano scelte assunte dalla Regione in modo autonomo, al di fuori del percorso gia' avviato con lo Stato per la condivisione delle politiche di pianificazione dei beni sottoposti a tutela paesaggistica, percorso che aveva condotto alla adozione condivisa del QTRP. Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, il principio di leale collaborazione «deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni», atteso che «la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi' in particolare, tra le tante, Corte costituzionale n. 31 del 2006). In particolare, la Corte ha chiarito che «Il principio di leale collaborazione, anche in una accezione minimale, impone alle parti che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede istituzionale di tener fede ad un impegno assunto» (cosi' ancora la sentenza richiamata). La scelta della Regione Calabria di assumere iniziative unilaterali, al di fuori del percorso di collaborazione gia' proficuamente avviato con lo Stato si pone, pertanto, in contrasto anche con il predetto principio. 4. Illegittimita' costituzionale, ancora sotto altro aspetto, dell'art. 2 della legge regionale 16 dicembre 2019 per violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 97, secondo comma, della Costituzione, in relazione sempre all'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380 L'art. 2 della legge regionale qui censurata appare infine violare ulteriori principi costituzionali. Si e' visto sopra come la disposizione che consente l'edificazione entro limiti diversi dalla legge statale nei comuni in attesa della approvazione dei rispettivi Piani strutturali sia lesiva dei principi fondamentali dettati dallo Stato nella materia. Questa lesione emerge in via del tutto eventuale, ma non meno pericolosa, dalla difficolta' interpretativa che la norma regionale produce sia in relazione al parametro legislativo statale, sia con riferimento alle disposizioni transitorie della stessa legge regionale che la norma va a novellare (art. 65 della legge urbanistica regionale n. 19/2002), rispetto alle quali il coordinamento e' assai problematico, stante il contrasto evidente. E questa situazione di contrasto-mal coordinamento-difficolta' interpretativa appare rappresentare un sintomo di irragionevolezza dell'intervento modificativo da ultimo apportato dal legislatore regionale con la legge regionale in oggetto, potendo condurre a distorsioni applicative. Al riguardo, vengono in considerazione le affermazioni contenute nella giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale n. 107/2017) laddove si dice che se e' vero che non ogni incoerenza o imprecisione di una norma puo' venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalita', una legge puo' essere invece censurabile, alla luce del principio di razionalita' normativa, qualora la formulazione della stessa sia tale da potere dare luogo ad applicazioni distorte (Corte Costituzionale n. 10 del 1997) o ambigue (Corte Costituzionale n. 200 del 2012), che contrastino, a causa dei diversi esiti che essa renda plausibili, il buon andamento della pubblica amministrazione, da intendersi quale ordinato, uniforme e prevedibile svolgimento dell'azione amministrativa, secondo principi di legalita' e di buona amministrazione. Si e' parimenti affermato, con riferimento anche all'impugnativa regionale, che possono risultare costituzionalmente illegittime «per irragionevolezza [. . .] norme statali dal significato ambiguo, tali da porre le regioni in una condizione di obiettiva incertezza, allorche' a norme siffatte esse debbano attenersi nell'esercizio delle proprie prerogative di autonomia» (Corte Costituzionale n. 160 del 2016). Cio' vale, a maggior ragione, nel caso in cui l'ambiguita' semantica riguardi una disposizione regionale foriera di sostanziali dubbi interpretativi che rendono concreto il rischio di un'elusione del principio fondamentale stabilito dalla norma statale, che in questo caso e' quella di cui all'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. In questa ipotesi, l'esigenza unitaria sottesa al principio fondamentale e' pregiudicata dal significato precettivo non irragionevolmente desumibile dalla disposizione regionale: lungi dal tradursi in un mero inconveniente di fatto, l'eventuale distonia interpretativa, contraddittoria rispetto alla norma statale, costituisce conseguenza diretta della modalita' di formulazione della disposizione, che deve essere dichiarata, dunque, costituzionalmente illegittima.».
P. Q. M. Per tutte le esposte ragioni, la Presidenza del Consiglio dei ministri come sopra rappresentata e difesa conclude affinche' la Corte costituzionale voglia accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle norme della legge della Regione Calabria n. 61/2019 denunciate con il presente ricorso. Roma, 13 febbraio 2020 L'Avvocato dello Stato: Corsini