N. 21 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 febbraio 2020

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 19 febbraio 2020 (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Paesaggio - Norme della Regione Calabria - Modifiche  e  integrazioni
  alla legge regionale n. 19 del 2002 -  Formazione  ed  approvazione
  dei Piani paesaggistici d'ambito - Approvazione, con delibera della
  Giunta  regionale,  previa  validazione  del  Comitato  tecnico  di
  co-pianificazione, delle singole attivita', di  cui  all'art.  143,
  comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, che concorrono all'elaborazione
  del Piano paesaggistico regionale. 
Paesaggio - Norme della Regione Calabria - Modifiche  e  integrazioni
  alla legge regionale n. 19 del 2002 - Criteri per l'edificazione in
  zona agricola - Previsione che, nelle  more  dell'approvazione  dei
  piani strutturali comunali, e' consentita l'edificazione  anche  su
  di superficie fondiaria inferiore ai 10.000 metri quadrati. 
- Legge della Regione Calabria 16 dicembre 2019, n. 61 ("Modifiche ed
  integrazioni alla L.R. 19/2002 (Norme per la tutela, governo ed uso
  del territorio - Legge urbanistica della Calabria)"), artt. 1 e 2. 
(GU n.13 del 25-3-2020 )
    Ricorso per  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  (c.f.
80188230587), in persona del Presidente del Consiglio attualmente  in
carica, rappresentata e difesa per mandato  ex  lege  dall'Avvocatura
generale dello  Stato  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (C.F.
80224030587), presso i cui uffici  ha  domicilio  in  Roma,  via  dei
Portoghesi       12,       (fax       06-96514000        -        PEC
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it)  ricorrente  contro  la   Regione
Calabria,  in  persona  del   Presidente   della   giunta   regionale
attualmente  in   carica   resistente   per   l'impugnazione   e   la
dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 1 e 2 della legge
regionale 16 dicembre 2019 n. 61, avente  ad  oggetto  «Modifiche  ed
integrazioni alla legge regionale n. 19/2012 (norme  per  la  tutela,
governo ed uso del territorio - legge urbanistica  della  Calabria)»,
pubblicata nel Bollettino Ufficiale  della  Regione  n.  139  del  16
dicembre 2019. 
    Il Consiglio regionale della Calabria ha approvato  nella  seduta
del  10  dicembre  2019  la  legge  n.  61  recante   «Modifiche   ed
integrazioni alla legge  regionale  19/2012  (norme  per  la  tutela,
governo ed uso del territorio - legge urbanistica della Calabria)». 
    La legge si compone di quattro articoli (i primi due sostanziali,
il terzo attestante l'irrilevanza sul piano  finanziario,  il  quarto
dedicato all'immediata entrata in vigore. 
    Le norme in questione, tuttavia, ad avviso della  Presidenza  del
Consiglio, violano la competenza legislativa esclusiva dello Stato, e
devono pertanto essere impugnate per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge regionale n.
61/2019 per violazione dell'art. 9 e dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), della Costituzione in relazione agli articoli 135, 141  e
143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    La norma in epigrafe modifica l'art. 25-bis della legge regionale
n. 19/2002 «Norme per la tutela, governo  ed  uso  del  territorio  -
legge urbanistica della Calabria», aggiungendovi, dopo il comma 2, il
seguente comma 2-bis: 
        «2-bis. La Giunta regionale approva  con  atto  deliberativo,
previa validazione da parte del Comitato tecnico di co-pianificazione
di cui al Protocollo d'intesa e relativo disciplinare  attuativo,  le
singole  attivita'  di  cui  all'art.  143,  comma  1,  del   decreto
legislativo  22  gennaio  2004  (Codice  dei  beni   culturali)   che
concorrono all'elaborazione del Piano paesaggistico regionale. 
        A far  data  dalla  pubblicazione  sul  BURC  della  predetta
deliberazione  di  Giunta  regionale   le   relative   previsioni   e
prescrizioni  sono  immediatamente   cogenti   e   prevalenti   sulle
previsioni dei piani territoriali ed urbanistici.» 
    In attuazione delle disposizioni di cui all'art. 135, comma 1,  e
143, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la Regione Calabria e  il
Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo  hanno
avviato sin dal 2012  un  rapporto  di  collaborazione  istituzionale
finalizzato  all'elaborazione  congiunta  del   Piano   paesaggistico
regionale. 
    In questo ambito, e'  stato  dalla  Regione  adottato  il  Quadro
Territoriale Regionale con valenza  paesaggistica  (QTRP),  approvato
dal Consiglio regionale con deliberazione n. 134 del 1°  agosto  2016
(pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Calabria n. 84 del
5 agosto 2016), che prevede la successiva redazione di  sedici  piani
paesaggistici d'ambito, destinati a rappresentare  gli  strumenti  di
tutela, conservazione e  valorizzazione  del  paesaggio;  nelle  more
dell'approvazione   dei   predetti   strumenti   di    pianificazione
territoriale,  sono  stabilite  apposite   norme   di   salvaguardia,
attinenti al sistema delle tutele,  alla  difesa  del  suolo  e  alle
previsioni dei rischi a scala territoriale. 
    La parte III del  Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio
delinea un sistema organico  di  tutela  paesaggistica,  inserendo  i
tradizionali strumenti del provvedimento  impositivo  del  vincolo  e
dell'autorizzazione paesaggistica  nel  quadro  della  pianificazione
paesaggistica del territorio, che deve essere elaborata concordemente
da Stato e  Regione.  Tale  pianificazione  concordata  prevede,  per
ciascuna area tutelata, le cd. prescrizioni d'uso (e cioe' i  criteri
di gestione del vincolo, volti a orientare la fase autorizzatoria)  e
stabilisce la tipologia delle trasformazioni compatibili e di  quelle
vietate, nonche' le condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    Il   legislatore   nazionale,   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa esclusiva in materia, ha assegnato al piano paesaggistico
una   posizione   di   assoluta   preminenza   nel   contesto   della
pianificazione territoriale. Gli articoli 143, comma 9, e 145,  comma
3, del Codice di settore sanciscono infatti  l'inderogabilita'  delle
previsioni del predetto strumento da  parte  di  piani,  programmi  e
progetti nazionali o  regionali  di  sviluppo  economico  e  la  loro
cogenza rispetto  agli  strumenti  urbanistici,  nonche'  l'immediata
prevalenza  del  piano  paesaggistico  su  ogni  altro   atto   della
pianificazione territoriale e urbanistica. 
    Si  tratta  di  una  scelta  di  principio  la  cui  validita'  e
importanza  e'  gia'  stata  affermata   piu'   volte   dalla   Corte
costituzionale, in occasione dell'impugnazione di leggi regionali che
intendevano mantenere uno spazio decisionale autonomo agli  strumenti
di pianificazione dei comuni e delle regioni, eludendo la  necessaria
condivisione delle scelte attraverso uno strumento di  pianificazione
sovracomunale, definito d'intesa tra lo Stato e la Regione. La  Corte
ha, infatti, affermato l'esistenza di  un  vero  e  proprio  obbligo,
costituente un principio inderogabile della legislazione statale,  di
elaborazione congiunta del piano paesaggistico,  con  riferimento  ai
beni vincolati (Corte Costituzionale n. 86 del 2019) e  ha  rimarcato
che  l'impronta  unitaria  della  pianificazione  paesaggistica   «e'
assunta a valore  imprescindibile,  non  derogabile  dal  legislatore
regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una
metodologia uniforme nel rispetto della legislazione  di  tutela  dei
beni culturali  e  paesaggistici  sull'intero  territorio  nazionale»
(Corte Costituzionale, n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza n. 272
del 2009). 
    Cio' premesso, in base all'art. 143, comma 1, del Codice dei beni
culturali e del paesaggio: «L'elaborazione  del  piano  paesaggistico
comprende almeno: 
        a) ricognizione del  territorio  oggetto  di  pianificazione,
mediante l'analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse
dalla natura, dalla storia e  dalle  loro  interrelazioni,  ai  sensi
degli articoli 131 e 135; 
        b) ricognizione degli immobili e  delle  aree  dichiarati  di
notevole  interesse   pubblico   ai   sensi   dell'art.   136,   loro
delimitazione   e   rappresentazione    in    scala    idonea    alla
identificazione, nonche' determinazione delle specifiche prescrizioni
d'uso, a termini dell'art. 138, comma 1, fatto salvo il  disposto  di
cui agli articoli 140, comma 2, e 141-bis; 
        c) ricognizione delle aree di cui al comma 1  dell'art.  142,
loro  delimitazione  e  rappresentazione   in   scala   idonea   alla
identificazione, nonche' determinazione di prescrizioni d'uso  intese
ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree
e, compatibilmente con essi, la valorizzazione; 
        d) eventuale individuazione di ulteriori immobili od aree, di
notevole interesse pubblico a termini dell'art. 134, comma 1, lettera
c), loro  delimitazione  e  rappresentazione  in  scala  idonea  alla
identificazione, nonche' determinazione delle specifiche prescrizioni
d'uso, a termini dell'art. 138, comma 1; 
        e) individuazione di eventuali, ulteriori  contesti,  diversi
da quelli indicati all'art. 134, da sottoporre a specifiche misure di
salvaguardia e di utilizzazione; 
        f) analisi delle dinamiche di trasformazione  del  territorio
ai fini dell'individuazione dei fattori di rischio e  degli  elementi
di vulnerabilita' del paesaggio, nonche' comparazione con  gli  altri
atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo; 
        g)   individuazione   degli   interventi   di   recupero    e
riqualificazione  delle   aree   significativamente   compromesse   o
degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili  con
le esigenze della tutela; 
        h) individuazione delle misure  necessarie  per  il  corretto
inserimento,  nel  contesto  paesaggistico,   degli   interventi   di
trasformazione del territorio, al fine  di  realizzare  uno  sviluppo
sostenibile delle aree interessate; 
        i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi
di qualita', a termini dell'art. 135, comma 3.». 
    La  norma  regionale,  invece,  prevede  che  la  Regione   possa
approvare  il  piano   paesaggistico   non   gia'   quale   strumento
complessivo, bensi' per «singole attivita'», sia pure  queste  ultime
oggetto di previa condivisione  da  parte  del  Comitato  tecnico  di
co-pianificazione istituito in accordo con il Ministero per i beni  e
le attivita' culturali e per il turismo. 
    La norma cioe'  introduce,  unilateralmente  e  al  di  fuori  di
qualsivoglia condivisione con lo Stato, una modalita' di approvazione
del piano paesaggistico non contemplata dal Codice dei beni culturali
e del paesaggio e totalmente diversa da quella prevista  dalle  norme
statali (articoli 135, 143 e 145), peraltro suscettibile di provocare
un significativo depotenziamento del ruolo assegnato al  piano  dalla
disciplina nazionale. 
    Le disposizioni del Codice di settore ora  richiamate  concorrono
infatti a delineare il ruolo  fondamentale  del  piano  paesaggistico
quale  strumento  cardine  dell'intera  pianificazione  territoriale,
destinato a costituire il punto di riferimento  di  tutti  gli  altri
atti di pianificazione settoriale e urbanistica. E, in questo quadro,
e' parimenti evidente che  la  funzione  stessa  del  piano  richieda
necessariamente che le relative disposizioni costituiscano il  frutto
di una  valutazione  complessiva  del  contesto  tutelato,  nei  suoi
diversi profili, pena la  vanificazione  della  possibilita'  per  lo
strumento pianificatorio di porsi quale effettivo strumento di tutela
dei  contesti  vincolati  ed  efficace  «luogo»  di  sintesi   e   di
equilibrata  valutazione  delle   istanze   di   trasformazione   del
territorio. Le diverse attivita' mirate  all'elaborazione  del  piano
paesaggistico non possono infatti che essere condotte all'interno  di
una cornice unitaria, tale da assicurare l'elaborazione graduale e la
coerenza   complessiva   del   piano,   attraverso   il   progressivo
completamento delle specifiche attivita' di ricognizione, analisi  ed
individuazione,  assicurando  che  queste,  seppur   progressivamente
elaborate e validate, siano condotte contemporaneamente per  tutti  i
piani   paesaggistici   d'ambito   riferiti   all'intero   territorio
regionale. 
    L'eventuale approvazione del  piano  paesaggistico  per  «singole
attivita'» finisce per comportare pertanto un  vulnus  alla  funzione
stessa del piano, come tracciata  dalle  previsioni  normative  sopra
richiamate. La scelta operata dalla Regione, non  essendo  frutto  di
previa intesa con lo Stato,  si  pone  inoltre  in  violazione  delle
specifiche previsioni di cui all'art. 135, comma 1, e dell'art.  143,
comma 2, del codice  di  settore,  cosi'  determinando,  anche  sotto
quest'ultimo profilo,  la  violazione  della  competenza  legislativa
esclusiva spettante allo Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma,
lettera s), della Costituzione. 
    Il depotenziamento del ruolo piano paesaggistico conseguente alla
sua parcellizzazione incide inoltre direttamente  sull'efficacia  del
predetto strumento, cardine della tutela del paesaggio,  e  determina
quindi  la  violazione  anche  dell'art.  9  della  Costituzione  che
attribuisce allo Stato e solo allo Stato la tutela del  paesaggio  ed
esclude l'ammissibilita' di ogni altra azione che possa attenuarne la
portata. 
2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge regionale 16
dicembre 2019 n. 61 per  violazione  dell'art.  9  e  dell'art.  117,
secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione  in  relazione  agli
articoli 135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 
    La norma regionale in rubrica modifica il comma  2  dell'art.  52
della legge urbanistica calabrese (Criteri per l'edificazione in zona
agricola), con l'aggiunta del seguente periodo: 
        «Nelle more dell'approvazione dei Piani strutturali  comunali
e' consentita l'edificazione di cui al presente articolo anche su  di
superficie fondiaria inferiore ai 10.000 metri quadrati. Nel caso  di
asservimento di non contigui ai  fini  dell'attuazione  dei  rapporti
volumetrici e di utilizzazione residenziale o produttiva  e'  obbligo
istituire il vincolo  di  inedificabilita'  secondo  quanto  disposto
all'art. 56 della presente legge.». 
    Ora, l'art. 52, comma 2, della legge regionale  n.  19  del  2002
disponeva, precedentemente alla novella, che  le  strutture  a  scopo
residenziale, al di fuori dei  piani  di  utilizzazione  aziendale  o
interaziendale, salvo quanto  diversamente  e  piu'  restrittivamente
indicato dai PSC, dai piani territoriali o  dalla  pianificazione  di
settore, fossero  consentite  entro  e  non  oltre  gli  standard  di
edificabilita' di 0,013 mq su mq di superficie  utile.  Per  le  sole
attivita'    di    produttivita'    e    di    trasformazione     e/o
commercializzazione di prodotti agricoli coltivati anche nel medesimo
fondo, l'indice non avrebbe potuto superare 0,1 mq su  mq.  La  norma
del 2002 infine identificava il lotto minimo con  l'unita'  aziendale
minima definita dal REU, e comunque  lo  prevedeva  non  inferiore  a
10.000  mq  cosi'   come   prescritto   dalle   Linee   guida   della
pianificazione regionale, fatte salve eventuali  superfici  superiori
prescritte dai comuni. 
    In sostanza, la disciplina  regionale  previgente  stabiliva  che
l'edificazione in zona agricola potesse  avvenire  esclusivamente  su
lotti della dimensione minima di 10.000 metri quadrati,  fatta  salva
la possibilita' per i  comuni  di  prescrivere  superfici  minime  di
intervento superiori. 
    Il principio del lotto minimo di intervento e' stato poi ribadito
dalle norme del Tomo IV allegato al Quadro territoriale regionale con
valenza paesaggistica QTRP (art. 10), laddove si specifica che al  di
sotto dei 10.000 metri  quadrati  i  comuni  hanno  facolta'  di  far
realizzare esclusivamente piccoli manufatti  per  il  ricovero  delle
attrezzature  agricole   e   dalle   caratteristiche   ed   usi   non
residenziali, stabilendo che: «Nelle more dell'approvazione del Piano
paesaggistico,  i  comuni  nella  fase  di  redazione   dei   PSC/PSA
provvedono  a   quantificare   l'Unita'   aziendale   minima   e   la
corrispondente  unita'  colturale  minima,  nel  rispetto  di  quanto
previsto dagli articoli 50, 51 e 52 della legge regionale n. 19/2002,
tenendo conto della facolta' di normare, in forma  piu'  restrittiva,
ovvero oltre i 10.000  mq,  il  lotto  minimo  di  intervento,  ferme
restando le previsioni di cui all'art. 22,  lettera  b,  della  legge
regionale 10 agosto 2012, n. 35 in  funzione  delle  quali  gli  enti
competenti esprimono parere in merito. 
    Al di sotto  dei  10.000  mq  i  Comuni  hanno  facolta'  di  far
realizzare esclusivamente piccoli manufatti in  legno  amovibili,  di
dimensioni  massime  max  3,00  x  6,00,  per   il   ricovero   delle
attrezzature agricole ed assolutamente dalle caratteristiche  ed  usi
non residenziali.». 
    In  questo  contesto,  la  novella  all'art.   52   della   legge
urbanistica  introdotta  dalla   norma   in   esame   introduce   una
possibilita' indiscriminata di edificazione in zona agricola, aprendo
potenzialmente  la  strada  allo   sfruttamento   incontrollato   del
territorio  agricolo.  E  cio'   peraltro   senza   alcuna   espressa
limitazione delle edificazioni alle specifiche esigenze inerenti alla
conduzione delle aziende agricole, ma potenzialmente anche per  scopo
residenziale. 
    La disposizione viola quindi le previsioni degli articoli  135  e
143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in quanto si  pone
in diretto contrasto con le misure di salvaguardia condivise  con  lo
Stato e trasfuse nel QTRP, vanificando cosi' la funzione propria  del
futuro piano paesaggistico, da  elaborare  d'intesa,  di  dettare  le
prescrizioni di tutela dei  contesti  vincolati,  disciplinando,  tra
l'altro, la «individuazione delle misure per il corretto inserimento,
nel contesto paesaggistico, degli interventi  di  trasformazione  del
territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree
interessate» (lettera h). La violazione delle  predette  disposizioni
del  Codice  di  settore,   costituenti   parametro   interposto   di
legittimita' costituzionale, comporta quindi la violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    Sotto altro profilo, la potenziale  significativa  compromissione
dei  valori  paesaggistici  derivante  dalla   previsione   regionale
censurata  determina  anche   la   violazione   dell'art.   9   della
Costituzione. 
3. Illegittimita' costituzionale, sotto altro  aspetto,  dell'art.  2
della  legge  regionale  16  dicembre  2019,  n.  61  per  violazione
dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione  in
relazione agli articoli 135 e 143 del decreto legislativo 22  gennaio
2004 n. 42, nonche' dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione in
relazione all'art. 9 del decreto del Presidente  della  repubblica  6
giugno 2001 n. 380 e ancora per violazione  del  principio  di  leale
collaborazione tra Stato e regioni. 
    La medesima norma contenuta nell'art. 2 della legge regionale  si
presta ad ulteriori censure sotto altro aspetto, venendo in  evidenza
il suo evidente contrasto con il disposto dell'art. 9 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. 
    Questa disposizione (intitolata «Attivita' edilizia in assenza di
pianificazione urbanistica») riproduce regole  gia'  contenute  nella
legge n. 10/1977 e nella legge n. 457/1978, e stabilisce che: 
        «1. Salvi i  piu'  restrittivi  limiti  fissati  dalle  leggi
regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo
29  ottobre  1999,  n.  490,  nei  comuni  sprovvisti  di   strumenti
urbanistici sono consentiti: 
a) gli interventi previsti dalle lettere a), b), e c) del primo comma
dell'art. 3 che riguardino singole  unita'  immobiliari  o  parti  di
esse; 
b) fuori dal perimetro dei centri abitati, gli  interventi  di  nuova
edificazione nel limite della  densita'  massima  fondiaria  di  0,03
metri cubi per metro quadro; in caso  di  interventi  a  destinazione
produttiva, la superficie  coperta  non  puo'  comunque  superare  un
decimo dell'area di proprieta'. 
        2. Nelle aree nelle  quali  non  siano  stati  approvati  gli
strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti  urbanistici
generali come presupposto per l'edificazione, oltre  agli  interventi
indicati al comma 1, lettera a), sono consentiti  gli  interventi  di
cui alla lettera d) del primo comma dell'art. 3  del  presente  testo
unico che riguardino singole unita' immobiliari o parti di esse. Tali
ultimi interventi sono consentiti anche se riguardino globalmente uno
o piu' edifici e modifichino fino  al  venticinque  per  cento  delle
destinazioni  preesistenti,  purche'  il  titolare  del  permesso  si
impegni, con atto trascritto a favore del comune e  a  cura  e  spese
dell'interessato,  a  praticare,   limitatamente   alla   percentuale
mantenuta  ad  uso  residenziale,  prezzi  di  vendita  e  canoni  di
locazione concordati con il comune ed a  concorrere  negli  oneri  di
urbanizzazione di cui alla  sezione  II  del  capo  II  del  presente
titolo.». 
    Come  noto,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  piu'   volte
evidenziato che l'art. 9 del decreto del Presidente della  Repubblica
n. 380/2001 esprime principi fondamentali di governo  del  territorio
(Corte Costituzionale n. 68/2018  e  n.  84/2017)  soprattutto  nella
parte in cui fissa limiti invalicabili per l'edificazione nelle  c.d.
«zone bianche», atteso  che  questa  rigorosa  previsione  attende  a
valori di rilievo costituzionale quali il paesaggio, l'ambiente  e  i
beni culturali. 
    In quest'ottica, ammettere che la fissazione di standard rigorosi
possa  essere  cedevole  di  fronte  a   qualsiasi   regolamentazione
regionale    della    materia    rappresenterebbe    una    soluzione
contraddittoria. 
    Come  rilevato  anche  dal  Consiglio  di  Stato,  una  possibile
cedevolezza  lascerebbe  aperta  la   possibilita'   che   «eventuali
legislatori regionali, prodighi di facolta'  edificatorie,  finiscano
con  il  frustrare   la   ratio   della   disciplina   in   commento,
compromettendo in modo  tendenzialmente  irreversibile  interessi  di
rango costituzionale»: ragione per la quale «l'art.  9  individua  un
principio   fondamentale   della   legislazione   statale   tale   da
condizionare necessariamente quella  regionale  a  regolare  solo  in
senso piu' restrittivo l'edificazione» (Consiglio di  Stato,  IV,  12
marzo 2010, n. 1461). 
    A cio' si aggiunga che, ancora nella sentenza  n.  84  del  2017,
richiamata nella sentenza n. 68 del 2018, la Corte costituzionale  ha
espressamente riconosciuto che la funzione  della  norma  di  cui  al
comma 1 dell'art. 9 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380 del 2001 e' quella «. . . di impedire, tramite l'applicazione  di
standard legali, una incontrollata espansione  edilizia  in  caso  di
"vuoti  urbanistici",  suscettibile   di   compromettere   l'ordinato
(futuro)  governo  del  territorio  e  di   determinare   la   totale
consumazione del suolo nazionale, a  garanzia  di  valori  di  chiaro
rilievo costituzionale. Funzione rispetto  alla  quale  la  specifica
previsione di livelli minimi di tutela si presenta  coessenziale,  in
quanto necessaria per esprimere la regola. 
    La medesima funzione ". . . deve essere ascritta anche al comma 2
del citato art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n.  380
del 2001, la' dove individua e delimita la  tipologia  di  interventi
edilizi  realizzabili  in  assenza  di  piani  attuativi,  che  siano
qualificati dagli strumenti  urbanistici  generali  come  presupposto
necessario per l'edificazione. Anche in tal caso la  norma  in  esame
mira a salvaguardare la funzione di pianificazione urbanistica intesa
nel suo complesso, evitando  che,  nelle  more  del  procedimento  di
approvazione  del  piano  attuativo,  siano   realizzati   interventi
incoerenti con gli strumenti urbanistici generali e comunque tali  da
compromettere l'ordinato uso del territorio.». 
    La legge regionale qui censurata, invece prevede che  nelle  more
dell'approvazione  dei  Piani  strutturali  comunali  e'   consentita
l'edificazione entro gli standard di cui al comma precedente anche su
superficie fondiaria inferiore ai 10.000 metri quadrati. 
    Le possibilita' edificatorie in  assenza  di  pianificazione,  in
sostanza, anche per le  ragioni  esposte  nel  precedente  motivo  di
censura, che qui si richiamano, sono diverse e peggiorative  rispetto
a quelle consentite dalla legge statale. 
    E sono pure diverse e peggiorative rispetto  a  quelle  stabilite
dalla precedente versione della legge urbanistica regionale,  con  la
conseguente violazione anche del principio costituzionale della leale
collaborazione, in quanto attuano scelte  assunte  dalla  Regione  in
modo autonomo, al di fuori del percorso gia' avviato con lo Stato per
la condivisione delle politiche di pianificazione dei beni sottoposti
a tutela paesaggistica, percorso che  aveva  condotto  alla  adozione
condivisa del QTRP. 
    Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della  Corte
costituzionale, il principio di leale collaborazione «deve presiedere
a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni», atteso  che
«la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente
idoneo  a  regolare  in  modo  dinamico  i  rapporti  in   questione,
attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi'  in
particolare, tra le tante, Corte costituzionale n. 31 del  2006).  In
particolare,  la  Corte  ha  chiarito  che  «Il  principio  di  leale
collaborazione, anche in una accezione minimale,  impone  alle  parti
che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede  istituzionale  di
tener  fede  ad  un  impegno  assunto»  (cosi'  ancora  la   sentenza
richiamata). 
    La  scelta  della  Regione  Calabria   di   assumere   iniziative
unilaterali,  al  di  fuori  del  percorso  di  collaborazione   gia'
proficuamente avviato con lo Stato si pone,  pertanto,  in  contrasto
anche con il predetto principio. 
4.  Illegittimita'  costituzionale,  ancora  sotto   altro   aspetto,
dell'art. 2 della legge regionale 16  dicembre  2019  per  violazione
dell'art. 117, terzo comma, e  dell'art.  97,  secondo  comma,  della
Costituzione,  in  relazione  sempre  all'art.  9  del  decreto   del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380 
    L'art. 2  della  legge  regionale  qui  censurata  appare  infine
violare ulteriori principi costituzionali. 
    Si  e'  visto   sopra   come   la   disposizione   che   consente
l'edificazione entro limiti diversi dalla legge statale nei comuni in
attesa della approvazione dei rispettivi Piani strutturali sia lesiva
dei principi fondamentali dettati dallo Stato nella materia. 
    Questa lesione emerge in via del tutto  eventuale,  ma  non  meno
pericolosa, dalla difficolta' interpretativa che la  norma  regionale
produce sia in relazione al parametro legislativo  statale,  sia  con
riferimento  alle  disposizioni  transitorie   della   stessa   legge
regionale  che  la  norma  va  a  novellare  (art.  65  della   legge
urbanistica  regionale  n.   19/2002),   rispetto   alle   quali   il
coordinamento e' assai problematico, stante il contrasto evidente. 
    E questa situazione  di  contrasto-mal  coordinamento-difficolta'
interpretativa appare rappresentare un  sintomo  di  irragionevolezza
dell'intervento modificativo  da  ultimo  apportato  dal  legislatore
regionale con la legge  regionale  in  oggetto,  potendo  condurre  a
distorsioni applicative. 
    Al riguardo, vengono in considerazione le affermazioni  contenute
nella  giurisprudenza   costituzionale   (Corte   Costituzionale   n.
107/2017) laddove si dice che se e' vero che non  ogni  incoerenza  o
imprecisione di una norma puo' venire  in  questione  ai  fini  dello
scrutinio  di  costituzionalita',  una  legge  puo'   essere   invece
censurabile, alla  luce  del  principio  di  razionalita'  normativa,
qualora la formulazione della stessa sia tale da potere dare luogo ad
applicazioni distorte (Corte Costituzionale n. 10 del 1997) o ambigue
(Corte Costituzionale n. 200 del 2012), che contrastino, a causa  dei
diversi esiti che essa renda  plausibili,  il  buon  andamento  della
pubblica amministrazione, da intendersi quale  ordinato,  uniforme  e
prevedibile svolgimento dell'azione amministrativa, secondo  principi
di legalita' e di buona amministrazione. 
    Si e' parimenti affermato, con riferimento anche  all'impugnativa
regionale, che possono risultare costituzionalmente illegittime  «per
irragionevolezza [. . .] norme statali dal significato ambiguo,  tali
da porre le  regioni  in  una  condizione  di  obiettiva  incertezza,
allorche' a norme  siffatte  esse  debbano  attenersi  nell'esercizio
delle proprie prerogative di autonomia» (Corte Costituzionale n.  160
del 2016). 
    Cio' vale, a  maggior  ragione,  nel  caso  in  cui  l'ambiguita'
semantica riguardi una disposizione regionale foriera di  sostanziali
dubbi interpretativi che rendono concreto il rischio  di  un'elusione
del principio fondamentale stabilito  dalla  norma  statale,  che  in
questo caso e' quella di cui all'art. 9 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001. In questa ipotesi, l'esigenza  unitaria
sottesa al principio fondamentale  e'  pregiudicata  dal  significato
precettivo  non  irragionevolmente  desumibile   dalla   disposizione
regionale: lungi dal tradursi in  un  mero  inconveniente  di  fatto,
l'eventuale distonia interpretativa,  contraddittoria  rispetto  alla
norma statale, costituisce conseguenza  diretta  della  modalita'  di
formulazione della disposizione, che deve essere dichiarata,  dunque,
costituzionalmente illegittima.». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Per tutte le esposte ragioni, la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri come sopra rappresentata  e  difesa  conclude  affinche'  la
Corte costituzionale voglia accogliere  il  presente  ricorso  e  per
l'effetto  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme
della legge della Regione  Calabria  n.  61/2019  denunciate  con  il
presente ricorso. 
        Roma, 13 febbraio 2020 
 
                   L'Avvocato dello Stato: Corsini