N. 50 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 1995- 23 gennaio 1997
N. 50 Ordinanza emessa il 10 ottobre 1995 (pervenuta alla Corte costituzionale il 23 gennaio 1997) dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Torre Angelo contro Giacumbi Paolo ed altro Ausiliari del giudice - Perito d'ufficio - Liquidazione del compenso - Ricorso avverso la liquidazione - Decreto del presidente, in calce al ricorso, di fissazione del termine di notifica ai controinteressati e della discussione in camera di consiglio - Mancata previsione della comunicazione al ricorrente - Irrazionalita' della presunzione di conoscenza in conseguenza del deposito in cancelleria del decreto in questione in calce al ricorso - Incidenza sul diritto di difesa - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 156/1986 relativa ad analoga questione. (Legge 13 giugno 1942, n. 794, art. 29; legge 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, in relazione agli artt. 135 e 136 del c.p.c.). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.8 del 19-2-1997 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dal dott. Torre Angelo, residente in Salerno, rappresentato e difeso dall'avv. Felice Maffey con il quale era gia' elettivamente domiciliato in Roma, piazza Ugo da Como n. 10, (scala N) ing. 9 presso Candida Maffey), giusta mandato a margine del ricorso introduttivo, domicilio variato, con nota depositata il 2 ottobre 1995, in Roma, via Adda n. 105, (00198) presso lo studio Chiaromonte; ricorrente; Contro Giacumbi, Paolo, residente in Nocera Inferiore, via Iovane n. 54; e il pubblico ministero presso il tribunale di Salerno; intimati; Avverso il decreto in data 31 marzo 1992 del tribunale di Salerno; Udita la relazione del consigliere Gian Carlo Bibolini; Sentito il p.m. dott. Domenico Nardi il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; Premesso in fatto Con istanza in data 6 maggio 1991 il dott. Angelo Torre chiedeva al pubblico ministero presso il tribunale di Salerno la liquidazione del proprio compenso a norma dell'art. 4 del d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352. L'istante, infatti, era stato nominato perito dal predetto p.m. in un processo penale per bancarotta a carico di Paolo Giacumbi, amministratore unico della fallita S.r.l. Centro Bestiame Carni di Nocera Inferiore. Avverso la liquidazione in data 20 maggio 1991 per L. 1.098.680, il dott. Angelo Torre proponeva ricorso (deposito del 6 luglio 1991) al presidente del tribunale di Salerno ai sensi dell'art. 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319, sostenendo che la liquidazione era stata fatta per entita' notevolmente inferiore al minimo di legge (minimo indicato in L. 6.738.575) e senza che dal decreto del p.m. risultasse l'esposizione di alcun motivo. Sul ricorso il presidente del tribunale apponeva in data 3 gennaio 1992 un decreto con cui fissava la comparizione delle parti all'udienza camerale del 31 marzo 1992, ponendo a carico del ricorrente l'onere di notifica alle controparti entro il 28 febbraio 1992. Non avendo il dott. Angelo Torre provveduto a detto incombente, il tribunale in data 31 marzo 1992 disponeva l'archiviazione del procedimento. Essendo di fatto ancora in corso la riunione del collegio, compariva in camera di consiglio il dott. Angelo Torre il quale, assumendo l'avvenuta conoscenza occasionale dell'udienza camerale, chiedeva fissarsi un'altra data di convocazione ed un altro termine di notifica, in quanto il primo provvedimento presidenziale non era stato comunicato, per cui esso ricorrente, non avendone avuto notizia alcuna, non aveva potuto provvedere alla disposta notifica. Il tribunale, presa a verbale la dichiarazione, confermava il gia' assunto provvedimento di archiviazione, ritenendo che in materia di volontaria giurisdizione non competesse all'istante alcun avviso, per cui l'omessa notifica del decreto di comparizione doveva imputarsi solo ad inerzia del dott. Angelo Torre. Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il dott. Angelo Torre sulla base di un unico motivo; non venva svolta attivita' processuale da parte dei soggetti intimati. Tanto premesso, la corte; rilevato che con l'unico mezzo di cassazione il ricorrente deduce la violazione degli artt. 136, 170, 176, 739 del c.p.c. e 45 disp. att. c.p.c. in relazione all'art. 12 delle preleggi ed all'art. 360, n. 3 del c.p.c., dolendosi della mancata comunicazione del decreto presidenziale con cui era stata fissato il termine di notifica e la data di comparizione in camera di consiglio; che il procedimento di impugnazione della liquidazione e' regolato dall'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, espressamente richiamato dall'art. 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319; che in base alla disciplina degli artt. 135 e 136 del c.p.c., al cancelliere compete il dovere di comunicazione dei decreti nei soli casi in cui la comunicazione stessa sia disposta dal giudice ovvero sia espressamente prevista dalla legge; che l'art. 29 della legge n. 794/1942 sopra richiamata, pur prevedendo che il giudice ordini, con decreto in calce al ricorso, la comparizione delle parti e la notifica del ricorso, non dispone la comunicazione del decreto al ricorrente stesso; che nella specie il presidente del tribunale non dispose la comunicazione del decreto al ricorrente, malgrado il lungo tempo decorso tra il deposito del ricorso e l'assunzione del decreto. Cio' rilevato, ritiene la corte che, sulla base del diritto vigente, il ricorso non meriterebbe accoglimento, in quanto non sussiste alcuna norma (ne' l'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, richiamato dall'art. 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319, ne' la disciplina generale dell'art. 136 del c.p.c., ne' infine, le disposizioni del codice di procedura civile - comuni al rito camerale - artt. 736 e seguenti del c.p.c.) che imponga la comunicazione al ricorrente del decreto con cui il presidente del tribunale disponga, in calce al ricorso, il termine di notifica ai controinteressati e la fissazione della discussione in camera di consiglio, qualora lo stesso giudice che emetta il decreto non disponga espressamente detta comunicazione. Peraltro, la corte rileva che quando si verta in materia di diritti soggettivi (il che' e' indiscusso nella specie, trattandosi dell'entita' di un compenso dovuto ad un perito per l'attivita' svolta), la decadenza dell'azione e la perdita del diritto (per l'art. 11 della legge n. 419/1980 il ricorso deve proporsi entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione, termine da ritenersi perentorio, per cui alla disposta archiviazione non puo' sopperirsi con nuovo ricorso), per la decorrenza di un termine non puo' che avvenire con riferimento a situazioni di cui il soggetto, che subisca la lesione del diritto, abbia conoscenza. Rapportare la presunzione di conoscenza al semplice deposito cancelleria del decreto in calce al ricorso (quando il decreto stesso non sia assunto contestualmente al deposito del ricorso), significherebbe ancorare detta presunzione ad un fatto puramente formale, che non trova riscontro nella realta', ovvero onerare l'interessato di un costante accesso alla cancelleria con modalita' del tutto illogica ed arbitraria, sopratutto quando il lasso di tempo intercorribile (e di fatto intercorso nella specie) tra il deposito del ricorso e l'assunzione del decreto puo' essere anche notevole. Un sistema, quindi, che, in materia di diritti soggettivi, presuma la conoscenza di un decreto (dalle cui disposizioni dipendano modalita' procedurali per la conservazione dell'azione), per il semplice fatto del deposito in cancelleria, ovvero oneri l'interessato di un costante accesso agli uffici della cancelleria per accertare l'avvenuta emissione del decreto, ha il carattere della non rispondenza alla realta' nonche' dell'arbitrarieta', costituendo una patente violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. D'altronde, in diversa fattispecie, ma sulla stessa linea logica (cosi' ritiene) in materia attinente ai compensi per opera prestata da incaricati da un giudice, la Corte costituzionale (sent. 27 giugno 1986, n. 156) ritenne l'illegittimita' costituzionale degli artt. 739 e 741 del c.p.c., collegati agli artt. 26 e 28, primo comma, l.f., nella parte in cui, disciplinando il reclamo verso i criteri del giudice delegato in materia di determinazione dei compensi ad incaricati per opera prestata nell'interesse della procedura di amministrazione controllata, fanno decorrere il termine per il reclamo dal deposito del decreto in cancelleria, anziche' dalla comunicazione. E' pur vero che nel caso ora indicato si verteva sul dato iniziale di decorso di un termine perentorio di impugnazione di un provvedimento liquidatorio di un compenso, mentre nella situazione portata alla conoscenza di questa corte il provvedimento liquidatorio era stato regolarmente comunicato. Anche nel caso in esame, peraltro, la non presumibile conoscenza del decreto presidenziale di fissazione di un termine per la notificazione alla controparte e di fissazione dell'udienza camerale, se rapportato al semplice deposito del decreto in cancelleria, porta alla decadenza del diritto, di cui determina l'improbabilita' e la non riproponibilita'. Cio' che rileva, sia nel caso gia' affrontato dalla Corte costituzionale, sia in quello sottoposto all'esame di questa Corte, e' la considerazione come fatto idoneo, o non, a determinare la conoscenza da parte dell'interessato, del deposito in cancelleria di un provvedimento del giudice, dalla cui inosservanza derivi la decadenza del diritto di proporre, o di proseguire un'azione, a tutela di un diritto. Ne' assume rilievo il fatto che nell'un caso il termine e' fissato dalla legge, nell'altro fissato dal giudice; una volta ritenuto che il deposito di un atto in cancelleria non e' idoneo a fare conoscenza all'interessato il tenore di un provvedimento, ed una volta ritenuto che l'inutile decorso del termine fissato dal giudice per la notifica alla controparte comporti la perdita dell'azione in materia di diritti soggettivi, le conseguenze della disciplina normativa sulla tutela, o mancata tutela dei diritti, e' identica. La prospettazione fatta sull'esito del ricorso in base al diritto vigente, evidenzia la rilevanza della questione nel caso di specie. Proponendo, pertanto, la questione di ufficio, questa Corte ritiene non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319, che richiama l'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, per violazione dell'art. 3, e sopratutto dell'art. 24, della costituzione della Repubblica, nella parte in cui non prevede la comunicazione al ricorrente del decreto del presidente del tribunale in calce al ricorso, con cui viene fissata la comparizione delle parti davanti al collegio in camera di consiglio ed e' determinato il termine per la notificazione del ricorso e del decreto stesso alla controparte interessata. A norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, occorre disporre l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sospendendo il presente giudizio.
P. Q. M. La Corte, dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, come richiamata dall'art. 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319, in relazione agli artt. 135 e 136 del c.p.c., ed in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sospendendo il giudizio; A norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 10 ottobre 1995 Il presidente: Corda 97C0105