N. 13 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 26 aprile 1990

                                 N. 13
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 26
 aprile 1990 (della regione Toscana)
 Assistenza  e  beneficenza - Decreto del Presidente del Consiglio dei
 Ministri 16 febbraio 1990 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  45
 del  23 febbraio 1990) - Criteri direttivi per l'individuazione delle
 istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza da  trasformare  in
 persone  giuridiche  di  diritto  privato - Asserita violazione della
 competenza regionale in  materia  di  assistenza  e  beneficenza  per
 l'emanazione   di  direttive  vincolanti  in  materia  propria  della
 regione, residuando la competenza dello  Stato  soltanto  per  l'atto
 formale  del  riconoscimento  giuridico di cui all'art. 12 del c.c. -
 Richiamo alla sentenza della Corte n.  396/1988.
 (D.P.C.M. 16 febbraio 1990).
 (Cost.,  artt.  117,  in  relazione  agli artt. 12 e 22 del d.P.R. 24
 luglio 1977, n. 616).
(GU n.19 del 9-5-1990 )
   Ricorso   della   regione   Toscana,   in  persona  del  presidente
 pro-tempore  della  giunta  regionale,   a   cio'   autorizzato   con
 deliberazione  della  giunta  regionale  n.  3172  del 9 aprile 1990,
 rappresentato e difeso  dagli  avvocati  prof.  Paolo  Barile,  prof.
 Stefano   Grassi   e   prof.  Giuseppe  Morbidelli  ed  elettivamente
 domiciliato presso lo studio dell'avv. Roberto Folchitto in Roma, via
 delle  Tre Madonne 16, come da mandato in calce al presente atto, per
 conflitto  di  attribuzione  ai  sensi   degli   artt.    134   della
 Costituzione  e  39  e  segg. della legge n. 87/1953, in relazione al
 decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16  febbraio  1990,
 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 febbraio 1990.
    1.  -  Con  la  sentenza n. 396 del 7 aprile 1988, questa Corte ha
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 17
 luglio   1890,   n.  6972  ("norme  sulle  istituzioni  pubbliche  di
 assistenza e beneficenza") "nella parte in cui  non  prevede  che  le
 IPAB  regionali  e  infraregionali  possano  continuare  a sussistere
 assumendo la  personalita'  giuridica  di  diritto  privato,  qualora
 abbiano tuttora i requisiti di una istituzione privata".
    Tale  decisione - come ha sottolineato una autorevole dottrina "ha
 inciso coraggiosamente su uno dei nodi  piu'  complessi  dell'arcaica
 legislazione  nazionale in tema di assistenza e beneficenza pubblica:
 come e' ben noto, infatti, il problema della privatizzazione di parte
 delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ha costituito
 il maggior nodo irrisolto che ha  finora  impedito  il  varo  di  una
 organica  legislazione  nazionale  di  cornice  e conseguentemente di
 quella regionale" (U. De Siervo, la tormentata fine  delle  IPAB,  in
 Giur. cost., 1988, I, 1757).
    La  decisione  di  questa  Corte ha ribadito, in modo chiaro e non
 piu' discutibile, l'interpretazione dell'art. 38  della  Costituzione
 (gia'  affermata  nella  sentenza  n. 173/1981, e gia' presente nella
 prassi applicativa per gli enti assistenziali di nuova  istituzione),
 secondo  cui  la norma costituzionale garantisce il "pluralismo delle
 istituzioni  in  relazione  alla  possibilita'  di  pluralismo  delle
 istituzioni",   in  materia  di  assistenza  e  beneficenza,  con  il
 conseguente diritto dei "privati di  istituire  liberamente  enti  di
 assistenza e, conseguenzialmente, quello di vedersi riconosciuta, per
 tali  enti,  una  qualificazione  giuridica  conforme  alla   propria
 effettiva natura".
    Ma,  come sottolinea la stessa dottrina che e' stata sopra citata,
 il vero problema aperto dalla sentenza deriva dalla  circostanza  che
 questa Corte non ha potuto certo enucleare quali siano quei requisiti
 propri di una persona giuridica privata dal cui  possesso  deriva  la
 legittima richiesta di vedersi riconosciuta la personalita' giuridica
 privata. Cio' spetterebbe  al  legislatore  nazionale,  ma  la  Corte
 appare  tanto  esplicitamente dubbiosa sulla volonta' e capacita' del
 Parlamento di intervenire in materia, da affermare  testualmente  che
 anche in assenza "di una apposita normativa che disciplini le ipotesi
 ed i procedimenti per l'accertamento della natura privata delle IPAB"
 si potrebbe giungere a tale accertamento "non solo perseguendo la via
 dell'accertamento giudiziale, come nel caso oggetto  del  giudizio  a
 quo,  ma  anche  la  via  della trasformazione in via amministrativa,
 sulla base  dell'esercizio  dei  poteri  di  cui  sono  titolari  sia
 l'amministrazione   statale   che   quella   regionale   in  tema  di
 riconoscimento, trasformazione ed estinzione delle persone giuridiche
 private" (cfr. U. Se Siervo, op. cit., 1761).
    2.  - Con il decreto 16 febbraio 1990, il Presidente del Consiglio
 dei Ministri ha espressamente dichiarato di voler  dar  seguito  alla
 sentenza  di  questa  Corte  (in  questo  senso e' esplicita anche la
 citazione dell'art. 5, primo comma, lettera f), della legge 23 agosto
 1988,  n.  400),  richiamando  nelle  premesse  del  provvedimento le
 indicazioni di questa Corte sulla via amministrativa da  seguire  per
 accertare  la  sussistenza dei requisiti di istituzione privata delle
 IPAB regionali ed infraregionali.
    Piu'  precisamente  il  decreto  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri 16 febbraio 1990 ha dato seguito  alla  sentenza  di  questa
 Corte,  mediante  l'emanazione  di  direttive,  ai sensi dell'art. 4,
 terzo comma, del d.P.R. n. 616/1977, per l'esercizio  delle  funzioni
 amministrative  delegate  alle  regioni, in materia di riconoscimento
 della personalita' giuridica di diritto privato delle IPAB  regionali
 ed infraregionali che ne facciano richiesta.
    Il decreto 16 febbraio 1990 intende peraltro vincolare l'azione di
 accertamento che le regioni sono chiamate a svolgere in  ordine  alla
 natura  privata  o pubblica delle IPAB operanti nei rispettivi ambiti
 territoriali.
    Le  direttive non si limitano, infatti, a definire le modalita' di
 esame delle relative domande (cfr. punti 1 e 2 dell'art. 1 - ed unico
 - del decreto), precisano anche, nel merito, quali sono i presupposti
 per riconoscere la natura  privata  delle  istituzioni  pubbliche  di
 assistenza  e  beneficenza. Secondo il decreto sono da riconoscere di
 natura privata le istituzioni che continuino a perseguire le  proprie
 finalita'  nell'ambito  dell'assistenza,  in  ordine  alle  quali sia
 alternativamente  accertato:  a)  il  carattere  associativo;  b)  il
 carattere  di  istituzione  promossa  ed  amministrata da privati; c)
 l'ispirazione  religiosa.  Il  decreto  successivamente  elenca   gli
 elementi  atti a definire i caratteri di cui alle lettere a), b) e c)
 sopra indicate, ribadendo (con alcune, non insignificanti, modifiche)
 i  principi,  gia'  richiamati  da  questa  Corte  nella  sentenza n.
 396/1988, espressi dalle norme di attuazione dello  statuto  speciale
 per la Sardegna (art. 17, del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348) e da una
 legge della regione siciliana (art. 30 della legge n. 22/1986).
    3.  -  Le  direttive  impartite  dal  Presidente del Consiglio dei
 Ministri sono svolte nell'esercizio di  una  funzione  propria  dello
 Stato  (quella  indicata  dall'art.  4,  terzo  comma,  del d.P.R. n.
 616/1977, in diretta attuazione del secondo comma dell'art. 118 della
 Costituzione),  ma  le  modalita'  con  cui  tali funzioni sono state
 esercitate ledono la competenza della regione Toscana in  materia  di
 ordinamento  degli enti amministrativi dipendenti dalla regione (art.
 117 della Costituzione, anche in relazione all'art. 12 del d.P.R.  n.
 616/1977)  e  in  materia  di  beneficenza  pubblica  (art. 117 della
 costituzione, anche in relazione all'art. 22 del d.P.R. n. 616/1977),
 per le seguenti considerazioni in
                                DIRITTO
    4.  - Ad avviso della regione Toscana, le direttive emanate con il
 decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16  febbraio  1990,
 in  quanto  vincolanti  per la successiva azione amministrativa delle
 regioni, sono frutto di un'interpretazione erronea delle  indicazioni
 contenute nella citata sentenza n. 396/1988 di questa Corte.
    La  sentenza,  anche  in  quella parte della motivazione cui fanno
 riferimento le direttive del Governo, si e' limitata ad  indicare  la
 praticabilita'  della  via  di  un accertamento in sede giudiziaria o
 amministrativa in ordine alla eventuale  natura  privata  delle  IPAB
 regionali  ed  infraregionali esistenti. la Corte ha cosi' invitato i
 giudici e le amministrazioni  statale  e  regionali  ad  attivare  le
 relative procedure, in caso di perdurante inerzia del legislatore. Ma
 in tal modo la sentenza di questa Corte non ha inteso  affermare  che
 le IPAB di natura privata operanti nell'attuale sistema di assistenza
 e beneficenza pubblica sono costrette  a  chiedere  un  provvedimento
 costitutivo  della  personalita'  giuridica.  Ne'  tale  affermazione
 sarebbe stata possibile, dato che le IPAB sono gia'  enti  dotati  di
 personalita'  giuridica.  Le IPAB, secondo la sentenza possono essere
 semplicemente sottoposte ad un  procedimento  di  accertamento  della
 natura,  pubblica o privata, della personalita' giuridica attualmente
 posseduta. Procedimento che non  si  puo'  ritenere  assorbito  nelle
 competenze  delegate  in materia di riconoscimento della personalita'
 giuridica, di cui all'art. 14 del d.P.R. n. 616/1977; ma  che  invece
 attiene,  direttamente  ed  in  primo  luogo,  sia alla materia della
 beneficenza pubblica (cfr. art. 22 del d.P.R. n. 616/1977, richiamato
 dallo  stesso  decreto  del  16  febbraio  1990),  sia  alla  materia
 dell'ordinamento degli enti dipendenti dalla regione (cfr.  art.  12,
 del  d.P.R. n. 616/1977, anch'esso richiamato nel decreto 16 febbraio
 1990).
    5.  - Come e' noto, in sede di riconoscimento di un'associazione e
 in genere di  provvedimento  di  concessione  della  personalita'  di
 diritto  privato,  l'amministrazione  investita  di tale potere ha il
 compito di verificare: a) la  meritevolezza  dell'iniziativa;  b)  il
 fatto  che  non  vi  sia  conflitto con interessi pubblici perseguiti
 dalla  pubblica  amministrazione;  c)   l'osservanza   dei   principi
 fondamentali   stabiliti  dal  codice  civile  (ad  es.  in  tema  di
 associazioni, devono essere garantiti all'assemblea i poteri  di  cui
 all'art. 21 del cod. civ.).
    Le  direttive  ex  art.  4,  terzo  comma,  del d.P.R. n. 616/1977
 possono pertanto investire questi aspetti tipici  della  funzione  di
 riconoscimento  ed  in  genere  di controllo delle persone giuridiche
 private; non possono invece investire le materie in  cui  operano  le
 persone giuridiche da riconoscere.
    Nel  caso  di  specie,  la direttiva, nel definire la procedura di
 accertamento della natura privata o  pubblica  di  un'istituzione  di
 pubblica  assistenza  e  beneficenza  va  oltre  la precisazione e la
 disciplina delle  funzioni  relative  all'accertamento  della  natura
 della personalita' giuridica. La direttiva definisce lo stesso ambito
 e le modalita' di esplicazione delle funzioni pubbliche in materia di
 assistenza e beneficenza, chiarendo se ed in che misura l'istituzione
 di pubblica assistenza e beneficenza si possa ritenere oggetto  della
 disciplina   pubblicistica  del  settore  e  dei  relativi  programmi
 regionali.
    In  altre  parole, la determinazione di indici di riconoscibilita'
 ai quali si attribuisca valore tassativo e vincolante e non  semplice
 valore  sintomatico,  della  natura  privata  delle IPAB equivale, in
 negativo, alla determinazione degli indici di riconoscibilita'  delle
 IPAB  pubbliche.  E poiche' queste ultime sono indubbiamente soggette
 in tutti i loro  aspetti,  sia  organizzativi  sia  funzionali,  alla
 disciplina  legislativa  regionale,  ne  deriva  che  il  decreto  16
 febbraio 1990 pone i presupposti per la espulsione dall'orbita  delle
 competenze  regionali  di  tutte le IPAB per le quali la procedura di
 accertamento della natura privata dia esito positivo.
    La  definizione - con atto diverso dalla legge o atto di indirizzo
 e coordinamento che  nella  legge  trovi  il  suo  fondamento  -  dei
 presupposti  sostanziali  per  la definizione della natura pubblica o
 privata  delle  IPAB  interferisce,  quindi,  illegittimamente  nelle
 materie  di  competenza  regionale  sopra  richiamate,  vincolando  e
 condizionando l'autonoma  definizione,  con  legge  regionale,  delle
 procedure  e  dei  presupposti  sulla  base  dei quali effettuare gli
 accertamenti suggeriti dalla sentenza di questa Corte n. 396/1988.
    6.  -  In  conclusione, il decreto del Presidente del Consiglio 16
 febbraio 1990, nel definire ed  imporre  una  puntuale  procedura  di
 accertamento    della    natura    privata,   e   della   conseguente
 depubblicizzazione, delle IPAB infraregionali  e  regionali,  non  si
 limita  a  porre  direttive  in una materia delegata dallo Stato alle
 regioni, ma interferisce e limita le competenze regionali in  materia
 di  assistenza  e beneficenza ed in materia di ordinamento degli enti
 dipendenti.
    Se  ne ha una controprova se si considera come le direttive del 16
 febbraio  1990  siano  state  emanate  con  riferimento  a   funzioni
 amministrative  che  rientrano  in un'ipotesi di "delega" necessaria:
 tale e' la delega di cui all'art. 14  del  d.P.R.   n.  616/1977,  in
 quanto  riferita  necessariamente alle persone giuridiche che operano
 nell'ambito delle materie oggetto  del  trasferimento.  Il  tentativo
 dello  Stato  di  assorbire solo nel campo delle funzioni delegate in
 tema di riconoscimento della personalita' giuridica  un'attivita'  di
 accertamento  che  investe  direttamente  le materie trasferite della
 beneficenza pubblica e dell'ordinamento degli enti dipendenti,  opera
 una  scissione  che  lo  stesso  legislatore  ha  ritenuto  di  dover
 escludere, proprio nel momento in cui ha valutato come necessaria  la
 delega delle funzioni organicamente connesse a quelle trasferite.
    7.  - La lesione delle competenze costituzionalmente tutelate, che
 viene denunciata con il presente ricorso, e' tanto piu' grave per  la
 regione  toscana,  che vede operare nel suo ambito (e che ha inserito
 nei suoi programmi assistenziali) un numero rilevante  ed  ampiamente
 diversificato  di  IPAB,  che  si  possono  ritenere sottoponibili al
 procedimento di accertamento della natura giuridica privata.
    Sotto   questo   profilo,   si  deve  anche  sottolineare  che  le
 prescrizioni  del  decreto  16  febbraio  1990  confliggono  con   un
 fondamentale e tradizionale principio in tema di distinzione tra enti
 pubblici ed enti privati secondo cui i vari indici  rivelatori  hanno
 solo  un  valore  tendenziale,  dovendosi  invece verificare caso per
 caso, sulla base di indagini specifiche, se l'ente  sia  da  ritenere
 inserito  nel  sistema  amministrativo. Cio' e' tanto piu' vero nella
 materia beneficenza pubblica, in cui - malgrado la  normativa  comune
 di  cui  alla  legge  Crispi  del  1890 - assistiamo ad una variegata
 casistica di IPAB ed  ancora  piu'  ad  una  variegata  casistica  ed
 evoluzione   dei   rapporti  e  dei  raccordi  tra  tali  enti  e  le
 amministrazioni pubbliche.
    Comunque,  anche  ad  accettare  l'impostazione  del  d.P.C.M.  16
 febbraio 1990, si deve rilevare  che  esso  segue  solo  in  parte  i
 criteri dell'art. 17 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, recante norme
 di attuazione dello Statuto sardo (richiamato da  questa  Corte  come
 espressione  di  principi  generali  dell'ordinamento,  in materia di
 definizione  della  natura  privata  delle  istituzioni  di  pubblica
 assistenza e beneficenza). Al punto 4, lett. b), ed al punto 5, lett.
 b), le direttive prevedono - come elemento concorrente a definire  la
 natura  privata delle IPAB - la presenza, in base a norme statutarie,
 nell'organo deliberante di una "quota significativa" di membri eletti
 o designati da associazioni o soggetti privati; mentre l'art. 17 cit.
 stabilisce (al punto 1, lett. b), ed al punto 2,  lett.  b),  che  la
 quota  dei membri di provenienza privata deve corrispondere ad almeno
 la meta' dei componenti l'organo deliberante. Al punto 6,  lett.  a),
 del  decreto,  viene  omesso  l'avverbio  "attualmente", nel definire
 l'elemento  dell'"attivita'  istituzionale  che  persegua   indirizzi
 religiosi"   ("attualmente",   secondo   l'art.  17  del  decreto  di
 attuazione citato; ma non cosi' per il d.P.C.M. 16 febbraio 1990  che
 evidentemente  ritiene  sufficiente  anche un indirizzo religioso che
 l'IPAB abbia avuto - anche solo nel passato - nello svolgimento della
 propria  attivita'  istituzionale).  Il  punto  6,  lett.  b), amplia
 ulteriormente le ipotesi in cui si dovrebbe riconoscere l'ispirazione
 religiosa  scindendo  in  due  distinte ipotesi gli elementi presi in
 considerazione unitariamente dall'art. 17 del decreto  di  attuazione
 citato: e piu' precisamente gli elementi per il "collegamento con una
 confessione religiosa" (che un avverbio disgiuntivo  -  "ovvero",  in
 sostituzione di una congiunzione "e", contenuta nel testo legislativo
 di riferimento - permette  di  considerare  separatamente,  e  quindi
 ciascuno   da   solo   sufficiente   a  far  ritenere  verificato  il
 "collegamento"). Anche il riferimento, del punto 7 ai criteri seguiti
 dalla  commissione  istituita  per  l'individuazione  delle  IPAB  di
 ispirazione religiosa ai sensi dell'art. 25 del d.P.R.  n.  616/1977,
 suscita  perplessita'; non solo perche' quella commissione individuo'
 criteri piu' penetranti di quelli precisati al punto 6, per  definire
 la   natura   religiosa  degli  enti;  ma  anche  perche'  la  stessa
 commissione invoco' - gia' prima dell'annullamento da parte di questa
 Corte  dello  stesso  art. 25 cit. - un intervento chiarificatore del
 legislatore, dopo aver constatato la difficolta'  e  la  complessita'
 dell'elaborazione in termini univoci di criteri generali. Il che, tra
 l'altro,  conferma  quanto  in  precedenza  sostenuto  circa  la  non
 ammissibilita'  di  una  codificazione in via amministrativa dei c.d.
 indici rivelatori della natura privata delle IPAB.
    In  conclusione,  i  criteri fissati dalle direttive contenute nel
 decreto 16 febbraio 1990 condizionano in  modo  illegittimo  l'azione
 "di  accertamento" che la regione Toscana deve attivare, nel rispetto
 dei principi di cui  alla  sentenza  n.  396/1988  di  questa  Corte,
 nell'esercizio  delle  competenze  costituzionalmente  attribuite  in
 materia di ordinamento degli uffici e  degli  enti  dipendenti  dalla
 regione  ed  in  materia  di beneficenza pubblica dall'art. 117 della
 Costituzione, anche in relazione agli artt. 12 e  22  del  d.P.R.  n.
 616/1977.
                                P. Q. M.
 chiede  che  questa  Corte dichiari che non spetta allo Stato emanare
 direttive dirette a disciplinare, con norme di valore vincolante,  le
 procedure  ed  i  presupposti per l'accertamento della natura privata
 delle  IPAB  regionali   e   infraregionali,   con   il   conseguente
 annullamento del d.P.C.M. 16 febbraio 1990.
                   Il presidente: (firma illeggibile)

 90C0534