N. 35 SENTENZA 30 gennaio - 10 febbraio 1997

 
 
 Giudizio sulla ammissibilita' della richiesta di referendum popolare.
 
 Costituzione  della  Repubblica  italiana - Referendum - Interruzione
 volontaria della gravidanza -  Liberalizzazione  con  caducazione  di
 procedimenti e controlli amministrativi e giurisdizionali attualmente
 previsti,   nonche'   delle  connesse  fattispecie  incriminatrici  -
 Esigenza   di   salvaguardia   del   principio   secondo   il   quale
 l'interruzione  volontaria  della  gravidanza  non  e'  mezzo  per il
 controllo delle nascite e per cui  e'  giustificato  l'impegno  delle
 strutture  pubbliche a sostegno della valutazione dei presupposti per
 l'I.v.g.  nel  rispetto  del  diritto  del  concepito  alla  vita   -
 Preclusione dell'ammissibilita' di un referendum diretto contro leggi
 ordinarie    ma    a   contenuto   costituzionalmente   vincolato   -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge 22 maggio 1978, n. 194)
(GU n.7 del 12-2-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda CONTRI,   prof. Guido NEPPI
 MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di ammissibilita', ai sensi dell'art.  2,  primo  comma,
 della  legge  costituzionale  11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
 referendum popolare per l'abrogazione  degli  artt.  1,  4,  5  e  6,
 lettera  b),  limitatamente  alle  parole: "tra cui quelli relativi a
 rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro";  7,  comma  primo,
 limitatamente   alle  parole:  "del  servizio  ostetrico-ginecologico
 dell'ente ospedaliero in cui deve  praticarsi  l'intervento,  che  ne
 certifica      l'esistenza.      Il   medico   puo'  avvalersi  della
 collaborazione di specialisti. Il  medico  e'  tenuto  a  fornire  la
 documentazione  sul  caso  e  a  comunicare  la sua certificazione al
 direttore sanitario  dell'ospedale  per  l'intervento  da  praticarsi
 immediatamente"   e  comma  secondo  ("Qualora  l'interruzione  della
 gravidanza si renda necessaria per l'imminente pericolo per  la  vita
 della  donna,  l'intervento  puo'  essere  praticato  anche  senza lo
 svolgimento delle procedure previste dal comma  precedente  e  al  di
 fuori  delle  sedi  di  cui  all'art. 8. In questi casi, il medico e'
 tenuto a darne comunicazione al medico provinciale.");  8;  9,  comma
 primo,  limitatamente  alle parole: "alle procedure di cui agli artt.
 5 e 7 ed", e comma quarto, limitatamente alle parole: "l'espletamento
 delle  procedure  previste  dall'art.  7  e",  nonche'  alle  parole:
 "secondo  le  modalita'  previste  dagli  artt.  5, 7 e 8"; 10, comma
 primo, limitatamente alle parole: "nelle circostanze  previste  dagli
 artt.  4  e  6",  nonche'  alle  parole: "di cui all'art. 8", e comma
 terzo, limitatamente alle parole: "dal secondo comma dell'art. 5  e";
 11,   comma  primo  ("L'ente  ospedaliero,  la  casa  di  cura  o  il
 poliambulatorio nei  quali  l'intervento  e'  stato  effettuato  sono
 tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una
 dichiarazione  con  la quale il medico che lo ha eseguito da' notizia
 dell'intervento stesso e della documentazione sulla base della  quale
 e'  avvenuto,  senza fare menzione dell'identita' della donna."); 12;
 13; 14; 15, secondo comma, limitatamente  alle  parole:  "e  5";  19,
 comma   primo  ("Chiunque  cagiona  l'interruzione  volontaria  della
 gravidanza senza l'osservanza delle modalita' indicate negli artt.  5
 o  8,  e'  punito con la reclusione sino a tre anni."), comma secondo
 ("La donna e' punita con la multa fino  a  lire  centomila."),  comma
 terzo,  limitatamente  alle  parole:  "o  comunque senza l'osservanza
 delle  modalita'  previste  dall'art.  7",  comma   quinto   ("Quando
 l'interruzione  volontaria  della  gravidanza avviene su donna minore
 degli  anni  diciotto,  o  interdetta,  fuori  dei   casi   o   senza
 l'osservanza  delle  modalita'  previste  dagli artt. 12 e 13, chi la
 cagiona e' punito con le  pene  rispettivamente  previste  dai  commi
 precedenti  aumentate  fino alla meta'. La donna non e' punibile.") e
 comma settimo ("Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate
 se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti  dal
 quinto  comma");  22,  comma  terzo ("Salvo che sia stata pronunciata
 sentenza irrevocabile di condanna, non e' punibile per  il  reato  di
 aborto  di  donna consenziente chiunque abbia commesso il fatto prima
 dell'entrata in vigore della presente legge, se  il  giudice  accerta
 che  sussistevano  le  condizioni previste dagli artt. 4 e 6.") della
 legge 22 maggio 1978, n. 194, recante "Norme per  la  tutela  sociale
 della  maternita'  e  sull'interruzione volontaria della gravidanza",
 iscritto al n. 103 del registro referendum;
   Vista l'ordinanza dell'11-13 dicembre 1996 con la  quale  l'Ufficio
 centrale   per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione  ha
 dichiarato legittima la richiesta;
   Udito nella camera di consiglio  dell'8  gennaio  1997  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Uditi  gli  avvocati  Stefania  Votano  e  Fulvio  Gianaria  per  i
 presentatori Bernardini Rita e Sabatano Mauro.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  L'Ufficio  centrale  per  il referendum costituito presso la
 Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio  1970,  n.
 352,  e  successive  modificazioni,  ha  esaminato  la  richiesta  di
 referendum  popolare  presentata  il  28  settembre  1995  da  dodici
 cittadini   elettori,  concernente  la  disciplina  dell'interruzione
 volontaria di gravidanza e avente ad oggetto alcuni articoli e  parti
 di articoli della legge 22 maggio 1978, n. 194.
   Verificata la regolarita' della richiesta, l'Ufficio centrale ne ha
 dichiarato  la legittimita' con ordinanza in data 11-13 dicembre 1996
 nella quale, dopo aver modificato il testo del quesito in  due  parti
 (relative  rispettivamente  agli  artt.  10,  comma 3, e 15, comma 2,
 della legge n. 194 del 1978), ha disposto l'integrale  riformulazione
 del quesito stesso nel seguente modo:
   "Volete  voi  l'abrogazione  degli  artt.  1, 4, 5 e 6, lettera b),
 limitatamente alle parole: ''tra  cui  quelli  relativi  a  rilevanti
 anomalie   o   malformazioni   del   nascituro'';   7,  comma  primo,
 limitatamente  alle  parole:  ''del  servizio  ostetrico-ginecologico
 dell'ente  ospedaliero  in  cui  deve praticarsi l'intervento, che ne
 certifica l'esistenza.  Il medico puo' avvalersi della collaborazione
 di specialisti. Il medico e' tenuto a fornire la  documentazione  sul
 caso  e  a  comunicare  la  sua certificazione al direttore sanitario
 dell'ospedale per  l'intervento  da  praticarsi  immediatamente'',  e
 comma  secondo  (''Qualora  l'interruzione  della gravidanza si renda
 necessaria  per  imminente  pericolo  per  la   vita   della   donna,
 l'intervento  puo'  essere praticato anche senza lo svolgimento delle
 procedure previste dal comma precedente e al di fuori delle  sedi  di
 cui  all'art.  8.  In  questi  casi,  il  medico  e'  tenuto  a darne
 comunicazione  al  medico  provinciale.'');  8;   9,   comma   primo,
 limitatamente  alle  parole: ''alle procedure di cui agli artt. 5 e 7
 ed'', e comma quarto,  limitatamente  alle  parole:  ''l'espletamento
 delle  procedure  previste  dall'articolo 7 e'', nonche' alle parole:
 "secondo le modalita' previste dagli artt.  5,  7  e  8";  10,  comma
 primo,  limitatamente alle parole: ''nelle circostanze previste dagli
 artt.  4 e 6'', nonche' alle parole: ''di cui all'art. 8'',  e  comma
 terzo,  limitatamente  alle  parole:  ''dal secondo comma dell'art. 5
 e''; 11, comma primo (''L'ente ospedaliero, la  casa  di  cura  o  il
 poliambulatorio  nei  quali  l'intervento  e'  stato  effettuato sono
 tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una
 dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito  da'  notizia
 dell'intervento  stesso e della documentazione sulla base della quale
 e' avvenuto, senza fare menzione dell'identita' della donna.'');  12;
 13;  14;  15,  comma secondo, limitatamente alle parole: ''e 5''; 19,
 comma  primo  (''Chiunque  cagiona  l'interruzione  volontaria  della
 gravidanza  senza l'osservanza delle modalita' indicate negli artt. 5
 o 8, e' punito con la reclusione sino a tre anni.''),  comma  secondo
 (''La  donna  e'  punita  con la multa fino a lire 100.000.''), comma
 terzo, limitatamente alle parole:  ''o  comunque  senza  l'osservanza
 delle  modalita'  previste  dall'art.  7'',  comma  quinto  (''Quando
 l'interruzione volontaria della gravidanza avviene  su  donna  minore
 degli   anni   diciotto,   o  interdetta,  fuori  dei  casi  o  senza
 l'osservanza delle modalita' previste dagli artt. 12  e  13,  chi  la
 cagiona  e'  punito  con  le  pene rispettivamente previste dai commi
 precedenti aumentate fino alla meta'. La donna non e' punibile.'')  e
 comma   settimo  (''Le  pene  stabilite  dal  comma  precedente  sono
 aumentate  se  la  morte  o la lesione della donna derivano dai fatti
 previsti dal quinto comma''); 22, comma terzo (''Salvo che sia  stata
 pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, non e' punibile per il
 reato  di  aborto  di  donna  consenziente chiunque abbia commesso il
 fatto prima dell'entrata  in  vigore  della  presente  legge,  se  il
 giudice accerta che sussistevano le condizioni previste dagli artt. 4
 e  6.'')  della  legge 22 maggio 1978, n. 194, recante ''Norme per la
 tutela sociale della maternita' e sull'interruzione volontaria  della
 gravidanza''?".
   2.  -  Con  la  citata ordinanza 11-13 dicembre 1996, relativa alla
 presente e ad altre diciannove richieste di referendum di  iniziativa
 popolare,   l'Ufficio   centrale  per  il  referendum  ha  provveduto
 altresi', in osservanza a quanto disposto dall'art. 32, ultimo comma,
 della legge n. 352 del 1970, introdotto con l'art. 1 della  legge  17
 maggio  1995,  n.  173,  a  denominare  la  richiesta stessa "Aborto:
 Abolizione dei limiti all'interruzione  della  gravidanza  nei  primi
 novanta giorni, e del ricorso esclusivo alle strutture pubbliche" e a
 contrassegnarla   con   la  sigla  A/12,  disponendo  le  conseguenti
 comunicazioni di legge.
   3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza  dell'Ufficio  centrale,
 il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 8 gennaio 1997 per
 la  conseguente  deliberazione,  dandone a sua volta comunicazione ai
 presentatori della  richiesta  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio
 1970, n. 352.
   4. - Il Comitato promotore del referendum ha depositato una memoria
 nella quale, dopo avere sinteticamente esposto i vari contenuti della
 richiesta   referendaria,   ha   sostenuto  la  ammissibilita'  della
 richiesta  stessa  perche'  dotata  dei  requisiti  di   omogeneita',
 chiarezza  e  non  contraddittorieta'  gia' rinvenuti da questa Corte
 nella "analoga" richiesta referendaria c.d. radicale, esaminata nella
 sentenza n.  26 del 1981. Cosi' come la precedente  richiesta,  anche
 la   presente   si   concentra  verso  il  prioritario  obiettivo  di
 liberalizzare   il   ricorso   all'interruzione   volontaria    della
 gravidanza,   facendo   cadere   i   procedimenti   e   i   controlli
 amministrativi e  giurisdizionali  attualmente  previsti  nonche'  le
 connesse fattispecie incriminatrici.
   In   particolare,   "forte   della  oramai  acquisita  legittimita'
 costituzionale di un assetto normativo che non pretenda di realizzare
 la  tutela  del  concepito  nella  forma  della  persecuzione  penale
 dell'aborto",  l'iniziativa  referendaria  mira  "al  nuovo principio
 unitario ispirato alla piu' ampia liberalizzazione della interruzione
 della gravidanza" e, mentre per l'aborto  nei  primi  novanta  giorni
 prevede   "l'eliminazione  della  indicazione  delle  circostanze  in
 presenza delle quali l'attuale  legge  lo  consente",  nonche'  delle
 corrispondenti procedure e modalita' previste nella legge stessa, per
 il   successivo   periodo   di  gravidanza  "semplifica"  il  ricorso
 all'interruzione snellendo le procedure e le modalita'.
                        Considerato in diritto
   1. - La richiesta di referendum  abrogativo,  dichiarata  legittima
 dall'Ufficio  centrale per il referendum con ordinanza 11-13 dicembre
 1996 e ora sottoposta al giudizio di ammissibilita' devoluto a questa
 Corte, investe la legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per  la  tutela
 sociale   della   maternita'  e  sull'interruzione  volontaria  della
 gravidanza) in numerose disposizioni.
   Viene  anzitutto sottoposto a richiesta referendaria di abrogazione
 l'intero  art.  1,  contenente  l'assicurazione  della  garanzia  del
 diritto alla procreazione cosciente e responsabile, il riconoscimento
 del  valore  sociale della maternita', l'affermazione della tutela da
 parte dello Stato della vita umana sino dal  suo  inizio.  L'articolo
 stesso   afferma   inoltre   che   l'interruzione   volontaria  della
 gravidanza, di cui alla legge, non e' mezzo per  il  controllo  delle
 nascite e impegna lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito
 delle  proprie  funzioni  e  competenze,  a promuovere e sviluppare i
 servizi  socio-sanitari,  nonche'  altre  iniziative  necessarie  per
 evitare  che  l'aborto  sia  usato  ai  fini  della limitazione delle
 nascite.
   Parimenti sono  oggetto  della  richiesta  abrogazione  nella  loro
 interezza,  gli  artt.  4  e 5, concernenti l'interruzione volontaria
 della gravidanza entro i primi novanta giorni e la disciplina dettata
 per la valutazione, da parte dei consultori familiari pubblici  o  di
 strutture  socio-sanitarie abilitate o di un medico di fiducia, delle
 condizioni della donna e delle altre  circostanze  per  le  quali  la
 stessa  sia  portata  ad  affrontare  l'interruzione volontaria della
 gravidanza.
   Nell'art. 6 della  legge,  relativo  ai  casi  in  cui  e'  ammessa
 l'interruzione  volontaria della gravidanza dopo i novanta giorni, la
 richiesta  referendaria  ritaglia,  per  sottoporlo  ad  abrogazione,
 l'inciso  contenuto  nella  lettera b) di detto articolo, che include
 tra i processi patologici atti a determinare un grave pericolo per la
 salute fisica o psichica della  donna  quelli  relativi  a  rilevanti
 anomalie o malformazioni del nascituro.
   Quanto  all'art.  7  viene  chiesta  la sottoposizione a referendum
 dell'abrogazione delle disposizioni relative al ricorso  al  servizio
 ostetrico-ginecologico  dell'ente  ospedaliero in cui deve praticarsi
 l'intervento interruttivo, nonche' delle disposizioni connesse. Viene
 invece lasciato indenne (diversamente da quanto era avvenuto  con  la
 richiesta  referendaria n. 22 del 26 giugno 1980 presa in esame dalla
 sentenza di questa  Corte  n.  26  del  1981:  cosiddetta  "richiesta
 radicale"  secondo  la  terminologia  adottata  in detta sentenza) il
 comma   terzo   dell'art.    7,    relativo    alla    praticabilita'
 dell'interruzione  della  gravidanza per grave pericolo di vita della
 madre quando sussiste la possibilita' di vita autonoma del feto.
   E'  oggetto  di  richiesta  di  integrale  abrogazione  l'art.   8,
 contenente  l'indicazione  delle  sedi  nelle quali va praticata, nei
 casi in cui  e'  ammessa,  l'interruzione  della  gravidanza,  previa
 verifica  della  inesistenza di controindicazioni sanitarie: servizio
 ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale, ospedali pubblici
 specializzati, altri istituti ed enti, case  di  cura  autorizzate  e
 fornite   di   requisiti  igienico-sanitari  e  di  adeguati  servizi
 ostetrico-ginecologici.
   Nell'art.  9  vengono  ritagliati  i  riferimenti  alle   procedure
 previste  negli  artt.  5  e  7,  che  sono  le  procedure  relative,
 rispettivamente, all'opera valutativa e di assistenza dei  consultori
 e   delle   strutture   socio-sanitarie   nei   casi   di  gravidanza
 infratrimestrale e agli accertamenti sui processi patologici  di  cui
 all'art.  6  per  i  casi di gravidanza ultratrimestrale. Ed analoghe
 operazioni di ritaglio vengono proposte in seno agli artt. 10,  11  e
 15, secondo comma, della legge n. 194 del 1978.
   Vengono  poi  sottoposti  a  richiesta di integrale abrogazione gli
 artt. 12, 13 e 14 della legge, relativi, rispettivamente, l'art.  12,
 secondo, terzo e quarto comma,  alle  condizioni  per  l'interruzione
 della  gravidanza  della  donna di eta' inferiore agli anni diciotto,
 l'art. 13 alla donna interdetta per infermita' di mente e l'art.   14
 ai  particolari  doveri  del  medico  che esegue l'interruzione della
 gravidanza nei confronti  della  donna  che  affronta  l'interruzione
 stessa.
   Infine viene proposta l'abrogazione referendaria dell'art. 19 nelle
 parti in cui prevede sanzioni penali per l'interruzione di gravidanza
 di  donna  consenziente  non  autorizzata  ai  sensi  dei  precedenti
 articoli della  legge  e  della  disposizione  transitoria  contenuta
 nell'ultimo comma dell'art. 22.
   2. - La disciplina dell'interruzione volontaria della gravidanza e'
 stata  piu' volte presa in considerazione dalla Corte, sia in giudizi
 incidentali   di   legittimita'   costituzionale,   sia    nell'esame
 sull'ammissibilita'  di  referendum  abrogativi,  sia  nell'esame  di
 conflitti  di  attribuzione  insorti  in  connessione  con  richieste
 referendarie.
   Basilare  resta  fra tutte la sentenza n. 27 del 1975, con la quale
 la Corte, nel dichiarare la  illegittimita'  costituzionale  parziale
 dell'art.  546  del  codice penale del 1930, ebbe modo di affermare i
 principi di ordine costituzionale in materia.
   Disse la Corte:
     che ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la  cui
 situazione   giuridica  si  colloca,  sia  pure  con  le  particolari
 caratteristiche sue proprie,  tra  i  diritti  inviolabili  dell'uomo
 riconosciuti  e garantiti dall'art. 2 della Costituzione, denominando
 tale  diritto  come  diritto  alla   vita,   oggetto   di   specifica
 salvaguardia costituzionale;
     che  del  pari  ha  fondamento costituzionale la protezione della
 maternita' (art. 31, secondo comma,  della  Costituzione),  che  sono
 diritti  fondamentali  anche  quelli relativi alla vita e alla salute
 della donna gestante;
     che il bilanciamento tra detti diritti fondamentali, quando siano
 entrambi esposti a pericolo, si trova nella salvaguardia della vita e
 della salute della madre, dovendosi peraltro operare in modo che  sia
 salvata, quando cio' sia possibile, la vita del feto;
     che al fine di realizzare in modo legittimo questo bilanciamento,
 e'  "obbligo  del  legislatore  predisporre le cautele necessarie per
 impedire che l'aborto venga praticato senza serii accertamenti  sulla
 realta'  e  gravita'  del danno o pericolo che potrebbe derivare alla
 madre dal proseguire nella gestazione" e  che  "percio'  la  liceita'
 dell'aborto  deve  essere  ancorata  ad  una previa valutazione della
 sussistenza delle condizioni atte a giustificarla".
   Queste affermazioni, tutte relative al  riconoscimento  di  diritti
 costituzionalmente  garantiti  e pertanto non inficiabili ad opera di
 leggi ordinarie, vanno collegate, quando si tratti della  valutazione
 dei  requisiti  di  ammissibilita' dei referendum abrogativi di leggi
 ordinarie, alle altrettanto basilari enunciazioni  formulate  in  via
 generale in materia di referendum da questa Corte sin dal 1978.
   Con  la sentenza n. 16 del 1978 la Corte ha affermato che al di la'
 dei casi di inammissibilita' del referendum  enunciati  espressamente
 dall'art.  75, secondo comma, sono presenti nella Costituzione valori
 riferibili alle strutture od ai temi  delle  richieste  referendarie,
 valori che debbono essere tutelati escludendo i relativi referendum.
   Di  qui  l'elaborazione  e la formale enunciazione, sempre in detta
 sentenza, di precise ragioni costituzionali di inammissibilita',  tra
 le   quali  si  iscrive  la  non  abrogabilita'  delle  "disposizioni
 legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato".
   Con  successive  messe  a  punto  la  Corte  ha  mantenuto   questa
 giurisprudenza  sulle  leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente
 vincolato, tra esse  individuando  anche  la  categoria  delle  leggi
 ordinarie  la  cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una
 tutela minima per situazioni  che  tale  tutela  esigono  secondo  la
 Costituzione.
   E'  da  ricordare  che  il  criterio della tutela necessaria minima
 richiesta  da  determinate   situazioni   secondo   Costituzione   e'
 menzionato  anche  nella sentenza n. 26 del 1981, che tuttavia ebbe a
 dichiarare ammissibili due richieste referendarie contrapposte aventi
 ad oggetto la legge n. 194 del 1978, una delle quali analoga a quella
 oggi riproposta.   La sentenza  stessa  non  dimentico'  peraltro  il
 carattere  fondamentale  del  diritto della donna alla salute, con la
 conseguenza di dichiarare inammissibile un referendum  con  il  quale
 veniva  intaccato l'art.  6 della legge, che si ritenne rappresentare
 "nel suo contenuto essenziale una  norma  costituzionalmente  imposta
 dall'art. 32".
   3. - La legge 22 maggio 1978, n. 194, derivante da progetti coevi e
 susseguenti  alla  sentenza n. 27 del 1975 gia' ricordata (cosi' come
 e' del 1975 la legge 29 luglio, n.  405,  istitutiva  dei  consultori
 familiari  a  cui  poi  la  legge  n.  194  del 1978 avrebbe devoluto
 fondamentali  attribuzioni  anche  nel   campo   della   interruzione
 volontaria  della gravidanza) ha cercato di realizzare, contemperando
 diverse esigenze e proposte, proprio quei criteri di tutela minima di
 interessi ritenuti fondamentali dalla Costituzione  che  la  ripetuta
 sentenza n. 27 del 1975 aveva additato al legislatore, facendone anzi
 l'oggetto di un vero e proprio obbligo dello stesso.
   A prescindere da ogni valutazione sui contenuti specifici di quelle
 scelte,  la  legge  in  questione  ha enunciato come proprio criterio
 ispiratore e direttivo esattamente quei beni della maternita' e della
 tutela della vita umana dal suo inizio, a cui la  Corte  aveva  fatto
 richiamo,  ed  ha dettato disposizioni dirette a salvaguardare sia la
 salute e la vita della gestante sia  "le  cautele  necessarie  -  per
 citare  testualmente  le  proposizioni  della sentenza piu' volte qui
 menzionata - per impedire che l'aborto venga  procurato  senza  serii
 accertamenti  sulla  realta'  e  la gravita' del danno o pericolo che
 potrebbe derivare alla madre  dal  proseguire  della  gestazione"  ed
 ancorando  la  liceita'  dell'aborto "ad una previa valutazione delle
 condizioni atte a giustificarla".
   Alcune delle disposizioni oggi nuovamente sottoposte a richiesta di
 abrogazione referendaria, dopo l'esito negativo  del  referendum  del
 1981,  si  ispirano ai principiÿ costituzionali indicati dalla Corte:
 cosi',  per  quanto  riguarda  i   presupposti   della   interruzione
 volontaria  della  gravidanza  infratrimestrale,  quando vincolano la
 stessa ad una previa valutazione del serio  pericolo  per  la  salute
 fisica  o  psichica  della  madre promuovendo, oltre che "i necessari
 accertamenti  medici", ogni opportuno "intervento atto a sostenere la
 donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza
 sia dopo il parto" (artt. 4  e  5),  e  cosi',  per  quanto  riguarda
 l'interruzione  della  gravidanza  dopo  il  primo  trimestre, quando
 limitano l'interruzione stessa ai casi in  cui  la  gravidanza  o  il
 parto  comportino  un grave pericolo per la vita della donna o in cui
 siano  accertati  processi  patologici  (ivi  includendo   anche   le
 rilevanti  anomalie o malformazioni del nascituro) che determinino un
 grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna (art.  6).
 E  in  relazione  a  quei  presupposti  la  legge  n. 194 del 1978 ha
 ritenuto che l'accertamento dei processi patologici suddetti  dovesse
 essere affidato a un servizio ostetrico-ginecologico ospedaliero, con
 l'eventuale  collaborazione  di  specialisti,  ammettendo  che  siano
 esentati da ogni particolare procedura e da ogni vincolo  di  sede  i
 casi  di  imminente  pericolo per la vita della donna (art.  7, commi
 primo e secondo). Parimenti, sulla base di  una  analoga  scelta,  ha
 ritenuto  che  gli  interventi  diretti  alla interruzione volontaria
 della gravidanza  debbano  essere  praticati  in  apposite  strutture
 pubbliche o autorizzate (art. 8).
   Di  piu',  la  legge n. 194 del 1978 ha tenuto conto anche di altri
 interessi  costituzionalmente  protetti,  che   non   avevano   avuto
 occasione  di  essere  richiamati  dalla ricordata sentenza n. 27 del
 1975 perche' non coinvolti nelle  fattispecie  allora  in  esame:  in
 particolare  quelli dell'infanzia e della gioventu' (art. 31, secondo
 comma, della  Costituzione).    Cosi',  nell'art.  12,  la  legge  ha
 disciplinato  il  caso  particolare  della  donna  minore  degli anni
 diciotto, la quale puo' trovarsi in determinati frangenti  del  tutto
 sprovveduta  di  tutela,  come  quando  vi  siano  "seri  motivi  che
 impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la
 potesta' o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il  loro
 assenso  o  esprimano  pareri tra loro difformi".  Per queste ipotesi
 l'art. 12 ha previsto, dopo  l'intervento  del  consultorio  o  della
 struttura  socio-sanitaria  o del medico di fiducia, l'autorizzazione
 del giudice  tutelare.  Ed  analogamente  la  legge  ha  ritenuto  di
 provvedere  nell'ipotesi  dell'interruzione  di  gravidanza  di donna
 interdetta per infermita' di mente (art. 13). Si puo' qui  ricordare,
 per   inciso,  che  questo  intervento  del  giudice  tutelare  nelle
 situazioni in questione e' stato piu' di una volta ritenuto da questa
 Corte, in occasione di giudizi  di  legittimita',  costituzionalmente
 non illegittimo (cfr.  sentenza n. 196 del 1987, ordinanza n. 463 del
 1988 e da ultimo ordinanza n. 76 del 1996).
   4.  - Alla stregua dei principi elaborati dalla Corte in materia di
 referendum  con  riguardo  alle   leggi   ordinarie   dal   contenuto
 costituzionalmente  vincolato,  la  richiesta referendaria in oggetto
 non puo' essere ammessa.
   Di cio' rende convinti un esame anche sommario  delle  disposizioni
 direttamente coinvolte nella richiesta: anzitutto dell'art. 1.
   Detto  articolo,  oltre  a ribadire - come si e' visto - i principi
 costituzionali del diritto alla procreazione cosciente e responsabile
 e del valore sociale della maternita', stabilisce che la  vita  umana
 debba essere tutelata sin dal suo inizio.
   Questo  principio,  gia'  affermato  in modo non equivocabile dalla
 sentenza n. 27 del 1975 di questa  Corte,  ha  conseguito  nel  corso
 degli   anni   sempre   maggiore   riconoscimento,  anche  sul  piano
 internazionale e mondiale.
   Va  in  particolare  ricordata, a questo riguardo, la Dichiarazione
 sui diritti del fanciullo  approvata  dall'assemblea  generale  delle
 Nazioni  Unite  nel 1959 a New York, nel cui preambolo e' scritto che
 "il fanciullo, a causa della sua  mancanza  di  maturita'  fisica  ed
 intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi
 compresa  una  protezione  legale  appropriata, sia prima che dopo la
 nascita".
   Cosi'  pure  si  e'  rafforzata   la   concezione,   insita   nella
 Costituzione  italiana,  in particolare nell'art. 2, secondo la quale
 il diritto alla vita, inteso nella sua estensione piu' lata,  sia  da
 iscriversi  tra  i  diritti inviolabili, e cioe' tra quei diritti che
 occupano nell'ordinamento una posizione, per dir cosi', privilegiata,
 in quanto appartengono - per usare l'espressione  della  sentenza  n.
 1146 del 1988 - "all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la
 Costituzione italiana".
   Di  piu', l'art. 1 della legge n. 194 del 1978 afferma un principio
 di contenuto piu' specificamente normativo, quale e' quello  per  cui
 l'interruzione  volontaria  della  gravidanza  non  e'  mezzo  per il
 controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali  sono
 impegnati,   dall'art.   1,  terzo  comma,  a  sviluppare  i  servizi
 socio-sanitari e ad adottare altre iniziative necessarie "per evitare
 che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle  nascite".  In
 dette  proposizioni  non solo e' contenuta la base dell'impegno delle
 strutture pubbliche a sostegno della valutazione dei presupposti  per
 una  lecita  interruzione volontaria della gravidanza, ma e' ribadito
 il diritto del concepito alla vita. La limitazione programmata  delle
 nascite  e'  infatti  proprio  l'antitesi  di  tale diritto, che puo'
 essere   sacrificato   solo   nel   confronto   con   quello,    pure
 costituzionalmente   tutelato   e   da   iscriversi   tra  i  diritti
 inviolabili, della madre alla salute e alla vita.
   Non e' pertanto ammissibile un referendum  diretto  all'abrogazione
 dell'art.1.
   Analoghe considerazioni valgono per le altre disposizioni investite
 dalla richiesta referendaria.
   Gia'  si  e' visto che gli artt. 4 e 5 sono diretta espressione non
 solo del diritto del concepito alla vita, ma di quella  tutela  della
 maternita'  che  e'  pure iscritta tra gli impegni fondamentali dello
 Stato (art. 31, secondo comma, della Costituzione).
   Posti poi in relazione con l'art. 12 della legge, che si  riferisce
 alla  situazione  della donna in eta' minore, e particolarmente con i
 commi secondo e terzo di tale articolo, che si riferiscono  ai  primi
 novanta  giorni  della gravidanza, tali disposizioni rappresentano la
 forma  di  protezione  che  la  legge  ordinaria  intende  assicurare
 all'infanzia   e   alla   gioventu',   pure  indicate  tra  i  valori
 costituzionali fondamentali dal secondo comma dell'art. 31. Anche qui
 soccorrono,  per  corroborare  questa   interpretazione,   le   norme
 internazionali  intese  ad  assicurare  al  minore  la  protezione  e
 l'assistenza piu' ampie in  ogni  momento  della  sua  esistenza.  La
 Convenzione  sui  diritti  del  fanciullo, stipulata a New York il 20
 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991,
 n. 176, che considera "fanciullo" ai sensi della  Convenzione  stessa
 "ogni essere umano avente un'eta' inferiore a diciotto anni, salvo se
 abbia  raggiunto  prima  la  maturita'  in  virtu' della legislazione
 applicabile",  stabilisce  che  "in  tutte  le  decisioni relative ai
 fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche e private di
 assistenza sociale, dei tribunali, delle autorita'  amministrative  o
 degli  organi  legislativi,  l'interesse superiore del fanciullo deve
 essere una considerazione preminente" (art. 3,  comma  1);  "che  gli
 Stati  parti  vigilano  affinche'  il fanciullo possa accedere ad una
 informazione e ai materiali provenienti da fonti  varie,  soprattutto
 se  finalizzati  a promuovere il suo benessere sociale nonche' la sua
 salute fisica e mentale" (art. 17, comma 1); e che "gli  Stati  parti
 adottano   ogni  provvedimento  adeguato  per  garantire  alle  madri
 adeguate cure  prenatali  e  postnatali".  Ne'  si  puo'  mancare  di
 osservare  che  attraverso  l'abrogazione  degli  artt. 4 e 5, con la
 quale i promotori del referendum dichiaratamente mirano  alla  totale
 liberalizzazione  dell'aborto nei primi novanta giorni di gravidanza,
 verrebbero a scomparire del tutto anche l'assistenza e la  consulenza
 di  un  medico, ovviamente prevista dalla legge a tutela minima della
 salute della gestante.
   L'abrogazione degli artt. 4, 5, 12 e 13 della legge n. 194 del 1978
 travolgerebbe   pertanto   disposizioni   a    contenuto    normativo
 costituzionalmente vincolato sotto piu' aspetti, in quanto renderebbe
 nullo   il   livello   minimo   di   tutela  necessaria  dei  diritti
 costituzionali inviolabili alla vita, alla salute, nonche' di  tutela
 necessaria della maternita', dell'infanzia e della gioventu'.
   Quanto  poi  all'operazione di ritaglio operata con la richiesta di
 parziale abrogazione dell'art. 7, non  puo'  non  osservarsi  che  la
 proposta  di  mantenere  una certa tutela per il solo feto di cui sia
 accertata la possibilita' di vita autonoma sottolinea l'abbandono  di
 ogni  tutela  per  gli  altri  nascituri, il cui diritto alla vita e'
 consacrato - secondo la ricordata sentenza n. 27 del 1975 - dall'art.
 2 della Costituzione.
   L'assistenza e la presenza del medico sono eliminate pure,  secondo
 la   richiesta   referendaria,  attraverso  la  progettata  integrale
 abrogazione dell'art. 8.
   A  questo  punto  non  occorre  soffermarsi  sugli  altri  articoli
 investiti  in  tutto o in parte dalla richiesta referendaria, essendo
 questa unitaria ed inscindibile, si' che un suo accoglimento parziale
 non sarebbe in alcun modo profilabile.  In  particolare,  per  quanto
 riguarda  il  ricorso  alle istituzioni pubbliche per l'effettuazione
 degli interventi diretti alla  interruzione  della  gravidanza,  deve
 osservarsi  che  le relative disposizioni rappresentano nella visione
 del legislatore e nel sistema della  legge  uno  dei  mezzi  ritenuti
 essenziali  per  assicurare  il  livello minimo di tutela dei diritti
 inviolabili piu' volte indicati.
   In definitiva la richiesta e' formulata, attraverso un ritaglio del
 testo vigente, in modo tale da dare all'abrogazione il  senso  palese
 di una pura e semplice soppressione di ogni regolamentazione legale -
 e  non  solo di una irrilevanza penale - dell'interruzione volontaria
 della gravidanza nei primi novanta giorni, riconducendo tale  vicenda
 ad  un  regime di totale libera disponibilita' da parte della singola
 gestante,   anche   in   ordine   alla    sorte    degli    interessi
 costituzionalmente  rilevanti in essa coinvolti. Ora, cio' e' appunto
 quanto e' precluso al  legislatore,  e  conseguentemente  anche  alla
 deliberazione abrogativa del corpo elettorale.
   5.  - Una sola osservazione e' ancora necessaria per quanto attiene
 alle disposizioni di carattere penale. Esse  non  entrano  in  giuoco
 nella  presente  decisione  della Corte. Forse l'insistenza eccessiva
 sul tema della "depenalizzazione dell'aborto", portato in primo piano
 nella  richiesta  referendaria  del   1981,   ha   avuto   un   ruolo
 nell'influenzare  la diversa decisione contenuta nella sentenza n. 26
 del  1981,   mentre   nella   presente   sentenza   il   tema   della
 depenalizzazione  e'  assolutamente  estraneo.  Gia' e' dubbio in via
 generale se la Costituzione,  al  di  la'  di  imperativi  specifici,
 contenga  o possa contenere obblighi di incriminazione, che e' quanto
 dire obblighi di protezione mediante sanzione penale, di  determinati
 interessi  costituzionalmente protetti.  Cio' che la Costituzione non
 consente di toccare mediante l'abrogazione, sia pure parziale,  della
 legge  23  maggio  1978,  n.  194, e' quel nucleo di disposizioni che
 attengono alla protezione della vita del concepito quando  non  siano
 presenti  esigenze  di  salute  o  di  vita della madre, nonche' quel
 complesso di disposizioni che attengono alla protezione  della  donna
 gestante:  della  donna adulta come della donna minore di eta', della
 donna in condizioni di gravidanza infratrimestrale come  della  donna
 in condizioni di gravidanza piu' avanzata.
   Tutto cio' basta ad includere la richiesta di referendum abrogativo
 tra quelle la cui ammissibilita' e' preclusa in quanto diretta contro
 leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile  la  richiesta  di  referendum popolare per
 l'abrogazione, nelle parti  indicate  in  epigrafe,  della  legge  22
 maggio  1978,  n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternita' e
 sull'interruzione volontaria della gravidanza), richiesta  dichiarata
 legittima,  con  ordinanza  in data 11-13 dicembre 1996, dall'Ufficio
 centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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