N. 11 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 9 maggio 2014

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato il 9 maggio 2014 (del Tribunale di Monza).. 
 
Parlamento - Immunita' parlamentari  -  Procedimento  penale  per  il
  reato di diffamazione a mezzo stampa a carico del senatore Raffaele
  Iannuzzi per le opinioni  da  questi  espresse  nei  confronti  del
  magistrato Luca Tescaroli - Deliberazione di  insindacabilita'  del
  Senato della Repubblica in data 21 dicembre  2012  -  Conflitto  di
  attribuzione tra poteri dello  Stato  sollevato  del  Tribunale  di
  Monza, Sezione penale - Denunciata mancanza di nesso funzionale tra
  le opinioni espresse e l'esercizio dell'attivita' parlamentare. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 21 dicembre 2012. 
- Costituzione, art. 68, primo comma. 
(GU n.28 del 2-7-2014 )
 
          CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO 
 
    Il giudice del Tribunale  dl  Monza  (gia'  tribunale  di  Monza,
sezione  distaccata  di  Desio),  sezione  penale,  in   composizione
monocratica,  dott.  Alessandro   Rossato,   letti   gli   atti   del
procedimento in epigrafe  a  carico  di  Iannuzzi  Raffaele,  nato  a
Grottolella, il  20  febbraio  1928,  imputato  del  reato  p.  e  p.
dall'art. 595, 3° comma e 13, legge n. 48/1947 perche', quale  autore
dell'articolo dal titolo «Quell'esperto gestito come un pentito -  Ma
i pubblici ministeri non  si  scusano»,  apparso  sul  quotidiano  Il
Giornale il 29 luglio 2007, offendeva la reputazione del  dott.  Luca
Tescaroli, all'epoca dei fatti sostituto procuratore della Repubblica
presso il  tribunale  di  Caltanissetta,  affermando:  «Non  si  sono
pentiti nemmeno i pm che a Caltanissetta  hanno  inquisito  per  anni
Berlusconi e Dell'Utri per strage, quali  presunti  mandanti  occulti
della strage di Capaci e della strage di via D'Amelio,... Non  si  e'
pentito il pm Luca Tescaroli,  distaccato  anche  lui  da  Firenze  a
Caltanissetta, e  che  ha  scritto  nella  sua  requisitoria  per  il
processo della strage di Capaci, e ne ha  fatto  poi  un  libro,  che
quella di Cangemi, piu' che una "intuizione" era stata una "deduzione
logica": visto che il presunto "pizzo" versato dalla  Fininvest  alla
mafia non era tanto un pizzo per proteggere le antenne della  TV,  ma
era un modo di finanziare Cosa Nostra:  visto  che  Riina  diceva,  e
Cangemi l'aveva sentito con le proprie  orecchie,  che  ormai  "aveva
'nte manu" Berlusconi e Dell'Utri e che per aiutarli  a  prendere  il
potere bisognava fare le stragi; visto che prima della  strage  Riina
aveva  incontrato  "due  persone  importanti",  evidentemente  queste
persone  non  potevano  che  essere  Silvio  Berlusconi  e   Marcello
Dell'Utri. 
    E dunque "possiamo affermare con assoluta certezza che il disegno
criminale nel suo complesso, e la strage  di  Capaci  del  23  maggio
1992, in particolare, si e' mosso correlativamente  al  procedere  di
trattative volte a incidere sui poteri politici  e  istituzionali,  e
sull'azione degli  stessi,  per  ottenere  vantaggi  per  gli  adepti
dell'accolita". 
    Tutto cio' consente  di  inquadrare  "le  ipotesi  di  trattative
coltivate e  le  ipotesi  degli  attentati  programmati  ed  eseguiti
nell'azione volta a creare le condizioni per  l'affermazione  di  una
nuova formazione politica". Forza Italia, dunque, si e'  affermata  e
ha vinto perche' Berlusconi e Dell'Utri hanno convinto Riina  a  fare
le stragi e a dare cosi' il colpo di grazia alla  prima  Repubblica»;
affermando,  tra  l'altro,  falsamente:  «Tescaroli  e'  stato  cosi'
convinto delle sue tesi che si rifiuto'  di  firmare  l'archiviazione
del procedimento per strage contro Berlusconi e Dell'Utri  e  lascio'
Caltanissetta per tornarsene sul continente», e ancora: 
    «Niente paura: nel quindicesimo anniversario della strage di  via
D'Amelio a Caltanissetta hanno deciso di  riaprire  le  indagine  sui
"servizi segreti deviati" e sui "mandanti occulti". Chi sa  che  cio'
che non e' riuscito ai pm di Palermo contro  Berlusconi  e  Dell'Utri
per il riciclaggio  e  ai  pm  "distaccati"  a  Caltanissetta  contro
Berlusconi e Dell'Utri la prima  volta  per  le  stragi,  non  riesca
questa volta. In fondo, nessuno dei pm che ci avevano provato  si  e'
ancora pentito. 
    Fatto aggravato dall'attribuzione di fatti determinati». 
      In Paderno Dugnano, il 29 luglio 2007 
 
                         L'ipotesi di reato 
 
    Il quotidiano Il Giornale, nell'edizione del 29 luglio  2007,  ha
pubblicato un articolo dal  titolo  «Quell'esperto  gestito  come  un
pentito - Ma i pubblici ministeri non si  scusano»,  con  sopratitolo
«Le sentenze di Iannuzzi», a firma Lino Iannuzzi. 
    L'articolo e' diviso in tre parti: nella  prima  si  richiama  la
vicenda di un consulente tecnico incaricato nel  1999  dalla  Procura
della  Repubblica  di  Palermo  di  esaminare  i  bilanci  della  spa
Fininvest che - ad avviso dell'articolista - era stato  «arruolato  e
gestito dagli inquirenti di Palermo come  un  qualunque  pentito,  ha
fatto e ha detto e ha riferito cio' che loro volevano che  facesse  e
che dicesse e che riferisse». 
    L'articolista ricorda che quel consulente  tecnico,  il  «pentito
qualunque (...) ritratta e si giustifica e si scusa. E firma un  atto
di transazione». 
    Di  fronte  a  cio'  i  pubblici  ministeri  di  Palermo  avevano
continuato ad utilizzare il lavoro del consulente  tecnico  in  altri
processi contro Marcello Dell'Utri e  non  si  erano  pentiti.  Nella
seconda parte dell'articolo il giornalista scrive che  non  si  erano
pentiti neppure i pubblici ministeri che a Caltanissetta e a  Palermo
avevano  inquisito  Berlusconi  e  Dell'Utri,  ne'   altri   pubblici
ministeri che  distaccati  a  Caltanissetta  avevano  sostanzialmente
addebitato e Berlusconi e Dell'Utri  di  essere  i  mandanti  occulti
delle  stragi  in  cui   erano   morti   i   magistrati   Falcone   e
Borsellino,sulla scorta di un'«intuizione»  di  un  pentito,  Cangemi
Salvatore. 
    In questo contesto si svolgono le  affermazioni  del  giornalista
nella terza parte dell'articolo, che si riproducono. 
    «Non si e' pentito il pm Luca Tescaroli, distaccato anche lui  da
Firenze a Caltanissetta, e che ha scritto nella sua requisitoria  per
il processo della strage di Capaci, e ne ha fatto poi un  libro,  che
quella  di  Cangemi,  piu'  che  una  "intuizione,"  era  stata   una
"deduzione logica": visto  che  il  presunto  "pizzo"  versato  dalla
Fininvest alla mafia non era tanto un pizzo per proteggere le antenne
della TV, ma era un modo di finanziare Cosa Nostra; visto  che  Riina
diceva, e Cangemi l'aveva sentito con le proprie orecchie, che  ormai
"aveva 'nte manu"  Berlusconi  e  Dell'Utri  e  che  per  aiutarli  a
prendere il potere bisognava fare le stragi; visto  che  prima  della
strage Riina aveva incontrato "due persone importanti", evidentemente
queste persone non potevano che essere Silvio Berlusconi  e  Marcello
Dell'Utri. 
    E dunque "possiamo affermare con assoluta certezza che il disegno
criminale nel suo complesso, e la strage  di  Capaci  del  23  maggio
1992, in particolare, si e' mosso correlativamente  al  procedere  di
trattative volte a incidere sui poteri politici  e  istituzionali,  e
sull'azione degli  stessi,  per  ottenere  vantaggi  per  gli  adepti
dell'accolita". 
    Tutto cio' consente  di  inquadrare  "le  ipotesi  di  trattative
coltivate e  le  ipotesi  degli  attentati  programmati  ed  eseguiti
nell'azione volta a creare le condizioni per  l'affermazione  di  una
nuova formazione politica". Forza Italia, dunque, si e'  affermata  e
ha vinto perche' Berlusconi e Dell'Utri hanno convinto Riina  a  fare
le stragi e a dare cosi' il colpo di grazia alla prima Repubblica. 
    Tescaroli e' stato cosi' convinto delle sue tesi che si  rifiuto'
di  firmare  l'archiviazione  del  procedimento  per  strage   contro
Berlusconi e Dell'Utri e lascio'  Caltanissetta  per  tornarsene  sul
continente. Niente paura: nel quindicesimo anniversario della  strage
di via D'Amelio a Caltanissetta hanno deciso di riaprire le  indagine
sui "servizi segreti deviati" e sui "mandanti occulti".  Chi  sa  che
cio' che non e'  riuscito  ai  pm  di  Palermo  contro  Berlusconi  e
Dell'Utri per il riciclaggio e ai  pm  "distaccati"  a  Caltanissetta
contro Berlusconi e Dell'Utri la  prima  volta  per  le  stragi,  non
riesca questa volta. In fondo, nessuno dei pm che ci avevano  provato
si e' ancora pentito». 
    Letto l'articolo il dott. Luca Tescaroli si e' ritenuto diffamato
dalle affermazioni del giornalista ed ha presentato querela. 
    Il querelante ravvisa il  carattere  diffamatorio  dell'articolo,
per la parte che  lo  riguarda,  innanzitutto  nel  richiamo  al  suo
mancato «pentimento», ed in  secondo  luogo  nell'oggettiva  falsita'
dell'affermazione secondo cui egli si sarebbe rifiutato di firmare la
richiesta  di  archiviazione  nel  procedimento  per  strage   contro
Berlusconi e Dell'Utri, avendo sostenuto che  le  stragi  degli  anni
1992-1993 furono compiute  perche'  Berlusconi  e  Dell'Utri  avevano
convinto Riina a commettere quelle stragi per favorire l'affermazione
politica di Forza Italia. 
 
                      Gli sviluppi processuali 
 
    Alla  conclusione  delle  indagini   preliminari,   il   pubblico
ministero ha chiesto il rinvio a giudizio  di  Raffaele  (noto  anche
come Lino) Iannuzzi e del  direttore  del  quotidiano  in  carica  al
momento della pubblicazione dell'articolo, per i reati previsti dagli
articoli 595, c.p., 13, legge n. 48/1948, il primo,  e  dall'art.  57
c.p., il secondo. 
    Instauratosi il procedimento davanti al giudice per  le  indagini
preliminari, con la costituzione di parte civile del dott. Tescaroli,
la difesa dell'imputato aveva gia' nel corso dell'udienza preliminare
tenutasi il 1° ottobre 2010 depositato documentazione comprovante  la
funzione parlamentare svolta dallo Iannuzzi  all'epoca  dei  fatti  e
posto la questione dell'insindacabilita' delle  opinioni  espresse  e
della conseguente necessita'  di  dichiarare  l'improcedibilita'  nei
confronti dell'imputato. 
    Il giudice dell'udienza  preliminare,  rigettata  l'eccezione  di
incompetenza territoriale contestualmente sollevata,  aveva  disposto
il rinvio a giudizio dello Iannuzzi e del coimputato. 
    Nel  corso  dell'udienza  dibattimentale  del  10   maggio   2012
(all'epoca presso la sezione distaccata di  Desio  del  tribunale  di
Monza,  soppressa  a  decorrere  dal  13  settembre   2013)   davanti
all'odierno  ricorrente,  la  difesa  dell'imputato   ha   nuovamente
richiesto il proscioglimento ed in subordine  la  trasmissione  degli
atti al Senato della Repubblica, secondo i dettami dell'art. 68 della
Costituzione, chiedendo che le posizioni dei due imputati rimanessero
unite. 
    Risultava  documentalmente  provato,  ed  era  incontestato,  che
Raffaele Iannuzzi nel corso della XV legislatura,  era  stato  membro
del Senato della Repubblica, dal 28 aprile 2006 al 28 aprile 2008,  e
quindi nel periodo in cui e' stato pubblicato l'articolo  di  cui  si
discute (29 luglio 2007). 
    Per questa ragione, nel corso della  successiva  udienza  del  29
giugno 2012, e' stata accolta la richiesta  della  difesa;  e'  stata
disposta la sospensione del processo nei confronti del solo  imputato
Iannuzzi secondo la previsione dell'art. 3 della legge  n.  140/2003,
con immediata trasmissione degli atti al Senato della Repubblica  per
le determinazioni di competenza. 
    E'  stata  invece   separata   la   posizione   del   coimputato,
osservandosi che l'immunita' prevista dall'art. 68 della Costituzione
non integra una causa di giustificazione estendibile  al  concorrente
(nel caso in esame il  direttore  pro  tempore  del  quotidiano),  ma
costituisce una causa  soggettiva  di  esclusione  della  punibilita'
(cosi' Cass. pen., sez.  5,  5  marzo  2010,  n.  13198,  massima  n.
246903). 
 
                       La delibera del Senato 
 
    Il Senato della Repubblica, con deliberazione assembleare in data
21 dicembre 2012  (Senato  della  Repubblica,  XVI  legislatura,  858
seduta, doc. IV ter, n. 29, pagg. 92, 93) su conforme proposta  della
Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari,  ha  dichiarato
«l'insindacabilita',  ai  sensi  dell'art.  68,  primo  comma   della
Costituzione, delle opinioni espresse  dal  sig.  Raffaele  Iannuzzi,
senatore  all'epoca  dei  fatti»  (Senato   della   Repubblica,   XVI
legislatura, doc. IV-ter, n. 29-A). 
    La prospettazione della giunta - fatta propria  dall'assemblea  -
e' stata riassunta nelle seguenti proposizioni. 
    «La giurisprudenza costituzionale  in  tema  di  insindacabilita'
prevista dall'art. 68, primo  comma,  della  Costituzione  a  partire
dalle sentenze n. 10 e n. 11, si e' orientata nel senso  di  ritenere
che la prerogativa in questione trova pacificamente applicazione  nel
caso di opinioni espresse dal parlamentare nel corso del lavori della
Camera di appartenenza e dei suoi vari  organi,  in  occasione  dello
svolgimento di una qualsiasi tra  le  funzioni  svolte  dalla  Camera
medesima,  o  ancora   in   atti,   anche   individuali   costituenti
estrinsecazione delle facolta' proprie  del  parlamentare  in  quanto
membro dell'assemblea e che, peraltro, l'ambito di applicazione della
prerogativa medesima si estende anche alle dichiarazioni  rese  extra
moenia che possono essere classificate come  divulgative  all'esterno
di attivita' parlamentari ove sussista una sostanziale corrispondenza
di significato con opinioni gia' espresse, nell'esercizio di funzioni
parlamentari tipiche. 
    Eppure [prosegue il testo della giunta],  in  altre  controversie
aventi ad oggetto l'insindacabilita' delle  opinioni  espresse  extra
moenia nell'esercizio delle  funzioni  parlamentari,  la  difesa  del
Senato ha sottolineato l'importanza di rifuggire da "una  definizione
stringente del concetto di nesso funzionale,  preferendo  verificarne
la ricorrenza caso  per  caso",  "poiche'  e'  caratteristica  tipica
dell'attivita' di bilanciamento l'intrinseca dinamicita',  ovvero  la
capacita' di adattare i termini della ponderazione alle modificazioni
sociali, culturali, e politiche eventualmente implicate".  La  difesa
del   Senato   ha   auspicato   un   "salto   interpretativo"   della
giurisprudenza costituzionale, volto a ritenere sussistente il  nesso
funzionale "in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il
cittadino,  illustrando  la  propria  posizione".  Cio',  "alla  luce
dell'evoluzione che ha subito la figura del  politico-giornalista,  e
piu' in generale l'attivita'  politica  tout  court",  per  la  quale
l'attivita' di giornalista andrebbe stimata "come  parte  della  piu'
ampia attivita' di politico ed espressione, per quanto  atipica,  del
relativo ruolo istituzionale".  In  questo  senso,  deporrebbe  anche
l'art. 3 della  legge  20  giugno  2003,  n.  140  (disposizioni  per
l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche'  in  materia  di
processi penali nei confronti delle alte cariche dello  Stato),  che,
nel dichiarare applicabile  l'art.  68  della  Costituzione  ad  ogni
attivita' di denuncia politica connessa  alla  funzione  parlamentare
avrebbe    recepito    l'esigenza    di    adeguare    la    garanzia
dell'insindacabilita'  alle  nuove  caratteristiche   assunte   nello
svolgimento di attivita' politica». 
 
               Osservazioni alla delibera parlamentare 
 
    La giurisprudenza della Corte  costituzionale,  a  partire  dalla
sentenza 15 dicembre 1988, n. 1150, si e' consolidata  nel  senso  di
affermare che compete alla Camera di appartenenza, nel caso in  esame
al Senato  della  Repubblica,  il  potere  di  valutare  la  condotta
addebitata ad un proprio membro  con  la  conseguenza  di  precludere
all'autorita' giudiziaria un'affermazione di responsabilita' nel caso
in cui la condotta debba  essere  qualificata  come  esercizio  delle
funzioni parlamentari. 
    Tale effetto preclusivo pero', afferma la Corte,  e'  subordinato
al corretto esercizio del potere e lo  strumento  per  verificare  la
correttezza di tale esercizio e' stato individuato nel  conflitto  di
attribuzioni tra poteri dello Stato. 
    Nel  dirimere  in  precedenza  altre  ipotesi  di  conflitto   di
attribuzioni, la Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 10
dell'11-17 gennaio 2000,  ha  tracciato  le  linee  fondamentali  per
definire   i   rispettivi   ambiti   di   attribuzione   tra   potere
politico-parlamentare e potere giudiziario. 
    Si legge nella sentenza (presidente Vassalli, relatore Onida): 
    «Questa Corte ha gia' piu' volte sottolineato che la  prerogativa
di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione non  copre  tutte
le opinioni espresse dal parlamentare  nello  svolgimento  della  sua
attivita' politica, ma solo quelle legate da "nesso  funzionale"  con
le attivita' svolte "nella qualita'" di membro delle Camere (sentenze
n. 375 del 1997, n. 289 del 1998, n. 329  e  n.  417  del  1999).  Si
tratta ora di  precisare,  rispetto  alla  precedente  giurisprudenza
della Corte ed anche in vista di esigenze di certezza, quando ricorra
tale nesso funzionale. 
    E' pacifico che costituiscono  opinioni  espresse  nell'esercizio
della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e
dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi
fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero  manifestate  in
atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione  delle  facolta'
proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea. 
    Invece l'attivita' politica svolta dal parlamentare al  di  fuori
di questo ambito  non  puo'  dirsi  di  per  se'  esplicazione  della
funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce  l'art.  68,
primo comma, della Costituzione. 
    Nel normale svolgimento della vita democratica  e  del  dibattito
politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e
dalle  attivita'  propri  delle  assemblee  rappresentano   piuttosto
esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i  consociati:
ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla,  una  immunita'
che la Costituzione ha voluto, in deroga  al  generale  principio  di
legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle  opinioni
espresse nell'esercizio delle funzioni. 
    La linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della liberta'
delle Camere, e, a tal fine, della liberta' di espressione  dei  loro
membri, da un lato, e  la  tutela  dei  diritti  e  degli  interessi,
costituzionalmente   protetti,   suscettibili    di    essere    lesi
dall'espressione di  opinioni,  dall'altro  lato,  e'  fissata  dalla
Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della
prerogativa.  Senza  questa   delimitazione,   l'applicazione   della
prerogativa  la  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale  (cfr.
sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari  una
sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito  e  ai  limiti
della loro liberta' di manifestazione  del  pensiero:  con  possibili
distorsioni anche del  principio  di  eguaglianza  e  di  parita'  di
opportunita' fra cittadini nella dialettica politica. 
    Ne' si puo' accettare, senza vanificare tale  delimitazione,  una
definizione della  "funzione"  del  parlamentare  cosi'  generica  da
ricomprendervi l'attivita' politica  che  egli  svolga  in  qualsiasi
sede, e nella quale la  sua  qualita'  di  membro  delle  Camere  sia
irrilevante. Nel linguaggio e  nel  sistema  della  Costituzione,  le
"funzioni" riferite agli organi non indicano generiche finalita',  ma
riguardano ambiti e modi giuridicamente definiti: e questo vale anche
per la funzione parlamentare, ancorche' essa si connoti  per  il  suo
carattere non "specializzato" (cfr. sentenze n. 148 del 1983; n.  375
del 1997). 
    Discende  da  quanto  osservato  che  la  semplice  comunanza  di
argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e  le  opinioni
espresse dal deputato o dal senatore in sede  parlamentare  non  puo'
bastare a fondare l'estensione alla prima della immunita'  che  copre
le seconde. Tanto meno puo' bastare a tal fine la  ricorrenza  di  un
contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca.
Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a  conferire
carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni  che
siano  oggettivamente  ad  essa  estranee.  Sarebbe,   oltre   tutto,
contraddittorio da un lato negare - come e' inevitabile negare -  che
di  per  se'  l'espressione  di  opinioni  nelle  piu'  diverse  sedi
pubbliche  costituisca  esercizio   di   funzione   parlamentare,   e
dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale  carattere  e
valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita'
parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere. 
    In  questo  senso  va  precisato  il   significato   del   "nesso
funzionale"   che   deve    riscontrarsi,    per    poter    ritenere
l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita'  parlamentare.
Non cioe' come semplice collegamento di argomento o di  contesto  fra
attivita' parlamentare e  dichiarazione,  ma  come  identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare» (cfr. sentenza, in pari data, n. 11 del 2000). 
    Nel caso affrontato dalla Corte si trattava di dichiarazioni rese
dal deputato a due agenzie giornalistiche, evidentemente al di  fuori
dell'esercizio di funzioni parlamentari. 
    Precisa la Corte: «la considerazione dell'intento politico e  non
diffamatorio delle  dichiarazioni,  e  della  collocazione  del  tema
trattato al centro del dibattito politico e parlamentare - (nel  caso
sottoposto alla Corte si trattava  di  due  argomenti  addotti  dalla
Giunta   della   Camera   a   fondamento   della   dichiarazione   di
insindacabilita', in quanto le questione oggetto delle  dichiarazioni
del parlamentare nel caso esaminato aveva costituito  l'argomento  di
alcune interrogazioni parlamentari) - resta estranea all'oggetto  del
presente  giudizio,   attenendo   piuttosto   alla   verifica   della
compatibilita' della opinione espressa con i limiti  del  diritto  di
critica politica. 
    La Corte pero' osserva che «per quanto si  e'  detto  sopra,  non
basta il  mero  collegamento  di  argomento  con  atti  di  sindacato
ispettivo; tanto meno  basta  il  richiamo,  alla  manifestazione  di
dissenso del deputato, espressa in Senato dove  egli  assisteva  alla
seduta (si trattava di un processo intentato a carico di un  senatore
e della relativa richiesta di autorizzazione a procedere,  sottoposta
in quella circostanza al Senato). 
    Le dichiarazioni potrebbero dunque essere coperte dalla immunita'
solo  in  quanto   risultassero   sostanzialmente   riproduttive   di
un'opinione  espressa  in  sede  parlamentare.   Infatti   l'opinione
espressa nell'esercizio della funzione non e' protetta  da  immunita'
solo nell'occasione specifica in cui  viene  manifestata  nell'ambito
parlamentare, ricadendo al di fuori della sfera della prerogativa  se
venga riprodotta in sede diversa. L'immunita' riguarda non gia'  solo
l'occasione specifica in cui le opinioni sono manifestate nell'ambito
parlamentare, ma il contenuto storico di esse, anche  quando  ne  sia
realizzata la diffusione pubblica, in ogni sede e con ogni mezzo.  La
pubblicita', infatti, e anzi  la  naturale  destinazione,  per  cosi'
dire,  alla  collettivita'  dei   rappresentati,   che   caratterizza
normalmente le attivita' e  gli  atti  del  Parlamento,  proprio  per
assicurarne la funzione  di  sede  massima  della  libera  dialettica
politica, comporta che l'immunita' si estenda a tutte le  altre  sedi
ed  occasioni  in  cui  l'opinione  venga  riprodotta  al  di   fuori
dell'ambito parlamentare. 
    Ma l'immunita' e' limitata a quel contenuto  storico:  e  dunque,
nel caso di riproduzione  all'esterno  della  sede  parlamentare,  e'
necessario, per ritenere  che  sussista  l'insindacabilita',  che  si
riscontri  la  identita'  sostanziale  di  contenuto  fra  l'opinione
espressa  in  sede  parlamentare  e  quella  manifestata  nella  sede
"esterna". 
    Cio' che si richiede, ovviamente, non e' una puntuale coincidenza
testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti. 
    Si deve dunque concludere che le dichiarazioni [del parlamentare]
per la parte priva di sostanziale  corrispondenza  con  il  contenuto
degli atti ispettivi [citati nella sentenza], non  possono  ritenersi
rese nell'esercizio delle funzioni  parlamentari,  e  dunque  coperte
dall'immunita'  ai   sensi   dell'art.   68,   primo   comma,   della
Costituzione; in relazione a tale  parte,  dunque,  va  annullata  la
deliberazione di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati»
(sent., Corte Cost., cit.). 
    Nel caso  che  l'odierno  ricorrente  sottopone  all'esame  della
Corte, non risulta che il senatore Iannuzzi abbia mai  specificamente
fatto oggetto di propria funzione parlamentare l'attivita' svolta dal
dott. Tescaroli, cosi' da avere esaminato,  criticato,  censurato  in
quella sede l'esercizio delle funzioni  svolte  dal  magistrato,  ne'
vale il richiamo alla generica attivita' critica svolta dal  senatore
Iannuzzi  nei   confronti   dell'operato   della   magistratura,   in
particolare di quella inquirente. 
    Sul punto  e'  sufficiente  richiamare  la  giurisprudenza  della
stessa Corte secondo  la  quale  il  mero  riferimento  all'attivita'
parlamentare o comunque all'inerenza a temi di rilievo generale  (pur
anche dibattuti  in  Parlamento,  quali  ad  esempio  la  lotta  alla
criminalita', o alla gestione dei collaboratori di giustizia,  per  i
quali il senatore Iannuzzi aveva presentato il 19 febbraio 2004 quale
primo  firmatario,  la  proposta   di   istituire   una   Commissione
d'inchiesta), entro cui le dichiarazioni si  possano  collocare,  non
vale in se' a connotarle quali espressive della funzione,  ove  esse,
non costituendo la sostanziale riproduzione  di  specifiche  opinioni
manifestate   dal   parlamentare   nell'esercizio    delle    proprie
attribuzioni, siano non gia' il riflesso del peculiare contributo che
ciascun deputato e ciascun senatore apporta  alla  vita  parlamentare
mediante le proprie opinioni e  i  propri  voti  (come  tale  coperto
dall'insindacabilita', a garanzia delle prerogative  delle  Camere  e
non  di  un  «privilegio  personale  [...]  conseguente   alla   mera
"qualita'"  di  parlamentare»:  sentenza  n.  120   del   2004),   ma
un'ulteriore  e  diversa  articolazione   di   siffatto   contributo,
elaborata ed offerta  alla  pubblica  opinione  nell'esercizio  della
libera manifestazione del pensiero assicurata a  tutti  dall'art.  21
della Costituzione (sentenze n. 302,  n.  166  e  n.  152  del  2007)
(cosi', Corte Cost., sent. n. 330 del 30  luglio  2008,  Pres.  Bile,
rel. Saulle). 
    La linea fondamentale tracciata dalla sentenza n. 10 del  2000  e
dalla coeva sentenza n. 11, e' stata ribadita dalla Corte anche  dopo
l'entrata in vigore della legge 20 giugno 2003, n. 140 ((Disposizioni
per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche'  in  materia
di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato),  in
sede di dichiarazione di infondatezza ed inammissibilita'  (sent.  n.
120 del 7-16  aprile  2004,  pres.  Zagrebelsky,  rel.  Mezzanotte  e
Capotosti). 
    La Corte, ponendosi il problema «di definire una volta per  tutte
ed in modo esaustivo l'ambito precettivo dell'art. 68,  primo  comma,
della Costituzione, ossia il contenuto della prerogativa parlamentare
in esso prevista, che segna i confini oltre i quali la  giurisdizione
non puo' spingersi» afferma che  «l'art.  68  contiene  principi  che
presiedono  alla  garanzia  delle   attribuzioni   delle   Camere   e
dell'autorita'  giudiziaria  contro  reciproche  interferenze  e,  al
contempo,  sono  preordinati  alla  tutela  di  beni   costituzionali
potenzialmente confliggenti, i quali, per coesistere, debbono  essere
di volta in volta contemperati per essere resi tra loro  compatibili:
da un lato l'autonomia  delle  funzioni  parlamentari  come  area  di
liberta' politica  delle  assemblee  rappresentative;  dall'altro  la
legalita' e l'insieme  dei  valori  costituzionali  che  in  essa  si
puntualizzano (eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, eguale
tutela  giurisdizionale  e  diritto  di  agire  e  di  difendersi  in
giudizio, ecc.) (cfr. sentenza n. 379 del 1996). 
    Un'esigenza   di   questo   tipo   e'   avvertita   anche   nella
giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  come
dimostrano, in particolare, le decisioni 30 gennaio 2003 sui  ricorsi
n. 40877/98 e n. 45649/99, secondo le quali l'assenza  di  un  chiaro
legame tra l'opinione espressa e l'esercizio di funzioni parlamentari
postula una interpretazione stretta della proporzionalita'  esistente
tra il fine perseguito ed i mezzi impiegati, specialmente nei casi in
cui,  sulla  base   della   natura   asseritamente   politica   della
dichiarazione contestata, venga negato il diritto del  soggetto  leso
di agire in giudizio. 
    Peraltro  la  Corte  riconosce  che  «e'  vana  la   pretesa   di
cristallizzare una regola di composizione del conflitto tra  principi
costituzionali che assumono configurazioni di volta in volta  diverse
e richiedono soluzioni non riducibili nei rigidi limiti di uno schema
preliminare di giudizio. 
    Tuttavia, «se si ha riferimento all'art. 68 nella sua  inequivoca
testualita' si trae pianamente la vera costante di tutte le decisioni
di merito sui conflitti: non qualsiasi opinione espressa  dai  membri
delle Camere e' sottratta alla responsabilita' giuridica, ma soltanto
le opinioni espresse "nell'esercizio delle funzioni".  Nonostante  le
evoluzioni subite, nel tempo, nella giurisprudenza di  questa  Corte,
e' enucleabile un principio, che e' possibile oggi  individuare  come
limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita',  e  con  cio'
stesso delle  virtualita'  interpretative  astrattamente  ascrivibili
all'art. 68: questa  non  puo'  mai  trasformarsi  in  un  privilegio
personale,  quale   sarebbe   una   immunita'   dalla   giurisdizione
conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare.  Per  tale  ragione
l'itinerario  della  giurisprudenza  della  Corte  si  e'  sviluppato
attorno alla nozione del c.d. "nesso funzionale", che  solo  consente
di discernere le opinioni del parlamentare riconducibili alla  libera
manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino  nei  limiti
generali della liberta' di  espressione,  da  quelle  che  riguardano
l'esercizio della funzione parlamentare». 
    Conclude, quindi, la Corte che «le  attivita'  di  ispezione,  di
divulgazione, di critica e di denuncia politica» che l'art. 3,  comma
1, della legge 20  giugno  2003,  n.  140,  riferisce  all'ambito  di
applicazione dell'art. 68, primo comma, «non  rappresentano,  di  per
se',   un'ipotesi   di   indebito   allargamento    della    garanzia
dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale,  proprio
perche' esse, anche se non manifestate in atti  "tipizzati",  debbono
comunque, secondo la previsione legislativa e in conformita'  con  il
dettato costituzionale, risultare in connessione con  l'esercizio  di
funzioni parlamentari. E' appunto questo "nesso"  il  presidio  delle
prerogative parlamentari e, insieme, del principio di  eguaglianza  e
dei diritti fondamentali dei terzi lesi. 
    Cosi' intesa la disposizione [dell'art. 3, legge n. 140/2003]  si
sottrae  ai  vizi  di  legittimita'  addebitati:  essa,   come   gia'
osservato, non elimina affatto il nesso funzionale e  non  stabilisce
che ogni espressione dei membri delle Camere, in ragione del rapporto
rappresentativo  che  li  lega  agli  elettori,  sia  per  cio'  solo
assistita dalla garanzia dell'immunita'. E' pertanto nella dimensione
funzionale che le dichiarazioni  in  questione  possono  considerarsi
insindacabili: "garanzia e funzione sono inscindibilmente legate  fra
loro da un nesso che,  reciprocamente,  le  definisce  e  giustifica"
(sentenza  n.  219  del  2003).   Ne',   d'altra   parte,   ai   fini
dell'insindacabilita', la prospettata  necessita'  della  connessione
tra attivita' di critica o di denuncia politica e  atti  di  funzione
parlamentare  puo'  essere  inficiata  dalla  precisazione  che  tali
attivita'  possano  essere   state   espletate   "anche   fuori   del
Parlamento". Tale precisazione,  infatti,  nulla  aggiunge  a  quanto
ormai e' acquisito al patrimonio giurisprudenziale di  questa  Corte,
che non ha mai limitato la garanzia alla sede parlamentare,  giacche'
il criterio di delimitazione dell'ambito  della  prerogativa  non  e'
quello della "localizzazione"  dell'atto,  ma  piuttosto,  come  gia'
detto, quello funzionale, cioe'  riferibile  in  astratto  ai  lavori
parlamentari  (cfr.  sentenza  n.  509  del  2002).  Solo  a   queste
condizioni l'opinione cosi'  manifestata  e  cosi'  qualificata  puo'
essere considerata insindacabile anche quando dia luogo  a  forme  di
divulgazione e riproduzione al di fuori dell'ambito  delle  attivita'
parlamentari (cfr. sentenze n. 10, n. 11 e n. 320 del 2000)». 
    Alle linee fondamentali tracciate dalla Corte costituzionale,  la
cui interpretazione  e'  ormai  consolidata  tanto  da  poter  essere
definita «diritto vivente», si sono ispirate le pronunce della  Corte
di Cassazione in materia, che si richiamano. 
    «L'immunita' parlamentare ex art. 68, comma primo,  Cost.,  cosi'
come quella riconosciuta ai consiglieri regionali in virtu' dell'art.
122, comma quarto, Cost. e' limitata alle opinioni  espresse  e  agli
atti che presentino un chiaro nesso con il concreto  esercizio  delle
funzioni anche se svolte in  forme  non  tipiche  o  "extra  moenia",
purche' identificabili come espressione dell'esercizio funzionale,  a
tanto non essendo sufficiente ne' la comunanza di argomenti,  ne'  un
mero contesto politico cui possano riferirsi. (v. Corte cost.,  sent.
n. 410 del 2008)». (Cass. Pen., Sez. 5, Sent. n. 22716 del  4  maggio
2010 Ud. (dep. 14 giugno 2010) Rv. 247968). 
    «In tema di immunita' parlamentare, sussiste il nesso  funzionale
tra  esternazioni  e  attivita'  parlamentare  -  che  giustifica  la
delibera  di   insindacabilita'   della   Camera   dei   deputati   e
correlativamente   esclude   la   proposizione   del   conflitto   di
attribuzione  da  parte  del  giudice  di  merito  -  qualora   dette
esternazioni, ancorche' pronunciate nel  corso  di  una  trasmissione
televisiva, si inscrivano in un contesto comprensivo di precedenti  e
numerosi interventi svolti dentro e  fuori  le  aule  parlamentari  e
siano  caratterizzate,  non  gia'  da  una  semplice  comunanza   con
argomenti genericamente trattati in sede parlamentare e semplicemente
riconducibili al medesimo contesto politico ma, al contrario, da  una
sostanziale   corrispondenza    con    gli    interventi    espletati
nell'esercizio concreto della funzione parlamentare.».  (Cass.  pen.,
Sez. 5, Sent. n. 12450 del 23 febbraio 2005 Ud. (dep. 4 aprile 2005 )
Rv. 231691). 
    «In tema di immunita' parlamentare, l'art. 3, comma primo,  della
legge 20 giugno 2003, n. 140 - che innova la  disciplina  applicativa
dell'art. 68  della  Costituzione  -  esplicita,  ma  non  amplia  il
contenuto della  tutela  accordata  al  parlamentare,  limitata  alle
opinioni espresse o agli atti  compiuti,  che  presentino  un  chiaro
nesso  funzionale  con   il   concreto   esercizio   delle   funzioni
parlamentari, pur se svolte in forme non tipiche  o  "extra  moenia".
(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la  motivazione  del
giudice di merito nella parte in cui ha individuato  un  collegamento
funzionale fra le grevi espressioni indirizzate da un deputato ad  un
uomo politico - non tanto in tale sua veste, ma come persona anche in
rapporto  all'ambito  familiare  -  e  l'attivita'  di   parlamentare
nell'ambito  di  un  comizio  per  le  elezioni  amministrative,  non
tipicamente  riconducibile  all'ambito  regolamentare).   La   Corte,
recependo i principi enunciati dalla  Consulta  con  la  sentenza  n.
120/2004, ha sottolineato che  la  prerogativa  dell'insindacabilita'
"non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale  sarebbe
una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera  qualita'  di
parlamentare" e  che  solo  il  "nesso  funzionale  ...  consente  di
discernere le opinioni del  parlamentare  riconducibili  alla  libera
manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino  nei  limiti
generali della liberta' di  espressione,  da  quelle  che  riguardano
l'esercizio della funzione  parlamentare")».  (Cass.  pen.,  Sez.  1,
Sent. n. 1600 del 2 dicembre 2004 Ud.  (dep.  20  gennaio  2005)  Rv.
230779). 
    «In tema di  diffamazione  addebitata  a  soggetto  investito  di
mandato parlamentare, deve escludersi che le prerogative  connesse  a
tale mandato, con particolare riguardo a quella dell'insindacabilita'
delle opinioni stabilita dall'art. 68 Cost., possano estendersi  fino
a  coprire   le   affermazioni   rese   nel   corso   di   interviste
giornalistiche, atteso che, anche a voler  ritenere  l'esercizio  del
mandato  parlamentare  non  circoscritto  al  solo  ambito  materiale
istituzionalmente preposto allo svolgimento delle relative  funzioni,
la   sfera   delle   guarentigie   non   puo'   comunque   riguardare
l'attribuzione di  fatti  particolari,  lesivi  dell'onorabilita'  di
terzi,  al  di  fuori  di  qualsivoglia   nesso   pertinenziale   con
l'esercizio  delle  ordinarie  attribuzioni  ordinamentali.».  (Cass.
pen., Sez. 5, Sent. n. 29880 del 17 giugno 2002 Ud. (dep.  20  agosto
2002 ) Rv. 222340). 
    Sulla scorta  delle  coordinate  tracciate  dalle  Corti  ritiene
l'odierno ricorrente che la  delibera  del  Senato  della  Repubblica
nella seduta del 21 dicembre 2012  sia  in  contrasto  con  i  canoni
interpretativi sopra richiamati, considerato che  tale  delibera  non
contiene alcun elemento concreto da cui poter desumere la sussistenza
di una corrispondenza  sostanziale  tra  il  contenuto  dell'articolo
oggetto della querela e le opinioni espresse dal Senatore Iannuzzi in
specifici atti parlamentari (si richiamano,  sul  punto  la  sentenza
della Corte costituzionale n. 20/2008,  la  sentenza  della  medesima
Corte, n. 330/2008 e  le  ulteriori  n.  135/2008,  n.  171/2008,  n.
419/2008), non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche ed
un generico riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici. 
    La delibera, peraltro, non indica alcun atto  tipico  svolto  dal
Senatore con il  quale  effettuare  il  necessario  collegamento  tra
attivita' parlamentare e  divulgazione  extra  moenia  delle  proprie
opinioni. 
    Nel contempo l'assemblea mostra di ben conoscere i limiti che  la
giurisprudenza costituzionale ha posto al  riconoscimento  del  nesso
funzionale tra attivita' parlamentare e sua  manifestazione  esterna,
nel  momento  in  cui  auspica  un   «salto   interpretativo»   della
giurisprudenza costituzionale «volto a ritenere sussistente il  nesso
funzionale in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga  il
cittadino,  illustrando  la  propria  posizione.   Cio'   alla   luce
dell'evoluzione che ha subito la figura  del  politico-giornalista  e
piu' in generale l'attivita'  politica  tout  court»,  per  la  quale
l'attivita' di giornalista andrebbe stimata «come  parte  della  piu'
ampia attivita' [...] di politico ed espressione, per quanto atipica,
del relativo ruolo istituzionale». 
    Tale auspicato  salto  interpretativo,  che  dovrebbe  effettuare
anche il giudice  di  merito,  in  una  interpretazione  della  norma
costituzionalmente orientata, non sembra possibile  alla  luce  della
giurisprudenza costituzionale costante e riaffermata  dalla  sentenza
n. 120/2004 sopra richiamata. 
    In  primo  luogo,  infatti,  l'operazione  ermeneutica   dovrebbe
ignorare  la  mancanza  di  qualsiasi  atto   svolto   dal   senatore
nell'esercizio della funzione parlamentare. 
    In  secondo  luogo  presuppone  un'evoluzione  della  figura  del
politico-giornalista  che  non  si   ravvisa,   ne'   nella   realta'
effettuale, ne' nell'evoluzione normativa. 
    Al contrario, la legge sulla stampa (legge 8  febbraio  1948,  n.
47) prevede  che  «quando  il  direttore  sia  investito  di  mandato
parlamentare, deve essere nominato un vice direttore, che  assume  la
qualita' di responsabile» (art. 3, comma 4, legge cit.). Cio'  sta  a
significare che il nostro ordinamento  distingue  nettamente  le  due
figure del parlamentare e del giornalista. 
    Peraltro,  aderendo  a  questa  prospettiva,  si  creerebbe   una
disparita'  tra  il  parlamentare-giornalista  e  le   altre   figure
professionali di parlamentare  (medico,  notaio,  scrittore,  critico
letterario, avvocato, ed altre). 
    Proprio decidendo su  un  altro  conflitto  di  attribuzioni  che
riguardava il Senatore Iannuzzi la medesima Corte  costituzionale  ha
escluso la possibilita' di tale salto interpretativo. 
    «Al fine di  verificare  la  sussistenza  del  cosiddetto  "nesso
funzionale",   alla   quale    e'    subordinata    la    prerogativa
dell'insindacabilita'  prevista  dall'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione,  questa  Corte  e'  chiamata   ad   accertare   se   le
affermazioni oggetto del procedimento penale a carico del senatore si
ricolleghino ad attivita' proprie del parlamentare e a discernere  le
opinioni  riconducibili  alla  libera  manifestazione  del  pensiero,
garantita ad ogni cittadino nei limiti  generali  della  liberta'  di
espressione, da quelle  che  riguardano  l'esercizio  della  funzione
parlamentare (tra le molte, sentenze n. 65 del 2007, n. 246 del 2004,
n. 11 e n. 10 del 2000). 
    Non puo' pertanto  essere  condivisa  la  tesi  sviluppata  dalla
difesa  del  Senato  della  Repubblica,  per  la  quale  il  "mandato
elettorale si esplica in tutte le occasioni in  cui  il  parlamentare
raggiunga  il  cittadino"  tramite  i  "mezzi  di  informazione",  in
particolare esercitando l'attivita' di giornalista. 
    Questa Corte, al contrario, ribadisce la piena sindacabilita'  di
dichiarazioni che non costituiscono la sostanziale riproduzione delle
specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle
proprie attribuzioni e, quindi, il riflesso del peculiare  contributo
che  ciascun  deputato  e  ciascun   senatore   apporta   alla   vita
parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come  tale
coperto,    a    garanzia    delle    prerogative    delle    Camere,
dall'insindacabilita'), ma che rappresentano una ulteriore e  diversa
articolazione di  siffatto  contributo,  elaborata  ed  offerta  alla
pubblica opinione  nell'esercizio  della  libera  manifestazione  del
pensiero assicurata a tutti dalla Costituzione (sentenze  n.  96  del
2007 e n. 260 del 2006). 
    L'operativita' di tale principio non e'  suscettibile  di  essere
condizionata in relazione alla attivita' giornalistica, ove i  limiti
costituzionalmente ammissibili all'esercizio del diritto di cronaca e
del diritto di critica debbono essere oggettivamente definiti  e  non
possono invece dipendere dallo status di colui che li esercita. 
    Ne' possono essere tratti argomenti contrari, dall'art.  3  della
legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art.
68 della Costituzione nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei
confronti delle alte  cariche  dello  Stato),  poiche'  gia'  con  la
sentenza n. 120 del 2004 questa Corte ha dichiarato  non  fondata  la
questione di legittimita' costituzionale di tale norma, sollevata  in
riferimento agli articoli  3,  24,  68,  primo  comma,  e  117  della
Costituzione,   escludendo   che   essa   abbia   ampliato   l'ambito
dell'immunita' garantita ai parlamentari dall'art. 68,  primo  comma,
della Costituzione, quale risultava dalla propria giurisprudenza  (si
veda  anche  la  sentenza  n.   347   del   2004)».   (Cosi',   Corte
costituzionale, sentenza 18 aprile 2007, n. 151, Pres. Bile. red.  De
Siervo). 
    Un ulteriore motivo per sollevare conflitto di  attribuzioni  tra
poteri dello Stato, e' costituito dal richiamo  della  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di accesso  alla
giustizia nelle ipotesi di conflitto con l'immunita' parlamentare. La
Corte  europea,  decidendo  sull'interpretazione  dell'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali,  e  chiamata  a  pronunciarsi  in  materia  di
immunita' parlamentare  ai  sensi  dell'art.  68  della  Costituzione
italiana: 
    A) riconosce la peculiarita' e l'indispensabilita' della funzione
parlamentare  e  l'esigenza  di  assicurare  la  piena  liberta'   di
espressione  ai  membri  del  Parlamento:  («La  Cour  rappelle  que,
precieuse  pour  chacun,  la   liberte'   d'expression   l'est   tout
particulierement pour un elu du peuple; il represente les  electeurs,
signale leurs preoccupations  et  defend  leurs  interêts.  Dans  une
democratie, le Parlement ou les organes comparables sont des tribunes
indispensables au debat politique. Une  ingerence  dans  la  liberte'
d'expression exercee dans le cadre de ces organes ne saurait donc  se
justifier que par des motifs imperieux  (Jerusalem  c.  Autriche,  n.
26958/95, §§ 36 et 40, CEDH 2001 II)2»); 
    B) ma richiede una proporzionalita' tra il  sacrificio  richiesto
al singolo cittadino nell'accesso alla tutela dei propri diritti e la
tutela  della  liberta'  d'espressione  riconosciuta  ai  membri  del
Parlamento: («On ne peut des  lors,  de  façon  generale,  considerer
l'immunite' parlementaire comme une restriction  disproportionnee  au
droit d'acces a' un tribunal tel que le consacre l'article 6 § 1.  De
même que ce droit est inherent a' la garantie d'un  proces  equitable
assuree par cet article, de même certaines  restrictions  a'  l'acces
doivent être tenues pour lui être inherentes; on en trouve un exemple
dans les limitations generalement admises par les Etats  contractants
comme relevant de la doctrine de l'immunite' parlementaire  (voir  A.
c. Royaume-Uni, et, mutatis mutandis, Al-Adsani c. Royaume-Uni  [GC],
n. 35763/97, § 56, CEDH 2001-XI)»; 
    C) ritiene compatibile con la Convenzione un'immunita' che  copra
le  dichiarazioni  fatte  nel  corso  dei   dibattiti   parlamentari,
all'interno delle Camere legislative: («A cet egard, il  convient  de
rappeler que la Cour a estime'  compatible  avec  la  Convention  une
immunite' qui couvrait les declarations faites au  cours  des  debats
parlementaires au sein des chambres legislatives  et  tendait  a'  la
protection  des  interêts  du  Parlement  dans  son   ensemble,   par
opposition a' ceux de ses membres pris individuellement (voir  A.  c.
Royaume-Uni»); 
    D) ma richiede l'esistenza di un legame evidente tra  l'attivita'
parlamentare stricto sensu e le manifestazioni esterne delle opinioni
del parlamentare: («De l'avis de la Cour, l'absence d'un lien evident
avec une activite' parlementaire appelle une  interpretation  etroite
de la notion de proportionnalite' entre le but vise'  et  les  moyens
employes. Il en est particulierement ainsi lorsque  les  restrictions
au droit d'acces decoulent d'une deliberation d'un organe  politique.
Conclure  autrement  equivaudrait  a'   restreindre   d'une   maniere
incompatible avec l'article 6 § 1 de la Convention le  droit  d'acces
a' un tribunal des particuliers chaque fois que les  propos  attaques
en justice ont ete' emis par un membre du Parlement»); 
    E)  la  Corte  europea  ravvisa  il  rispetto  del  criterio   di
proporzionalita' nelle decisioni della Corte costituzionale  italiana
che affermano il principio della necessita' di  un  nesso  funzionale
inscindibile tra attivita' parlamentare e sue manifestazioni esterne:
(«il  convient  de  noter   que   la   jurisprudence   de   la   Cour
constitutionnelle a connu sur ce point  une  certaine  evolution,  et
qu'a' present la haute juridiction italienne  estime  illegitime  que
l'immunite' soit etendue a' des propos n'ayant pas de  correspondance
substantielle  avec  des  actes  parlementaires  prealables  dont  le
representant concerne' pourrait passer pour s'être fait l'echo»). 
    Tali principi - riaffermati nel corso degli anni, nelle  sentenze
3 giugno 2004 (De Jorio contro Italia); 6 dicembre 2005 (Ielo  contro
Italia); 20 aprile 2006 (Patrono, Cascini, Stefanelli contro Italia);
24 febbraio 2009, Cofferati e CGIL  contro  Italia;  24  maggio  2011
(Onorato  contro  Italia)  -  sono  stati  originariamente  enunciati
nell'anno 2003 in due decisioni, citate nella  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 120/2004 (Cour europeenne des  droits  de  l'homme,
Premiere Section, affaire  Cordova  c.  Italie  (n.  1)  (Requête  n.
40877/98), Arrêt, 30 janvier 2003.  Cour  europeenne  des  droits  de
l'homme, Premiere Section, Affaire Cordova c. Italie (n. 2), (Requête
n. 45649/99), arrêt, 30 janvier 2003), delle quali assume particolare
rilievo la seconda, poiche' la Corte  era  chiamata  a  decidere  con
riguardo ad espressioni manifestate da un parlamentare nei  confronti
di un Procuratore della Repubblica, a critica del  suo  operato,  nel
corso di una riunione elettorale;  in  questa  seconda  decisione  la
Corte aveva affermato che le espressioni in esame, pronunciate al  di
fuori di una Camera legislativa, si iscrivevano  nel  quadro  di  una
disputa personale e non potevano impedire  l'accesso  alla  giustizia
per il solo motivo che la disputa potesse essere di natura politica o
legata all'attivita' politica. 
    («La Cour releve toutefois en  l'occurrence  que,  prononcees  au
cours d'une reunion  electorale  et  donc  en  dehors  d'une  chambre
legislative, les declarations litigieuses de M. (...)  n'etaient  pas
liees  a'  l'exercice  de  fonctions  parlementaires  stricto  sensu,
paraissant plutôt s'inscrire  dans  le  cadre  d'une  querelle  entre
particuliers. Or, dans un tel cas, on ne saurait  justifier  un  deni
d'acces a' la justice par le seul motif que la querelle pourrait être
de nature politique ou liee a' une activite' politique»). 
    Anche  questi  principi  possono  considerarsi  ius  receptum  ed
accompagnandosi alle decisioni della Corte costituzionale  portano  a
ritenere che nello specifico caso in esame si  renda  necessaria  una
pronuncia della Corte in merito alle attribuzioni  del  Senato  della
Repubblica  sull'insindacabilita'   delle   espressioni   usate   nei
confronti del querelante nell'articolo richiamato. 
    Ad  avviso  dell'odierno   ricorrente,   infatti,   la   delibera
dell'assemblea appare in contrasto con i canoni interpretativi  sopra
enunciati, poiche' non indica alcun elemento concreto  da  cui  poter
desumere un collegamento sostanziale tra  i  contenuti  dell'articolo
oggetto della querela ed  opinioni  gia'  espresse  dal  senatore  in
specifici  atti  parlamentari,  tipizzati   o   meno,   non   essendo
sufficiente una mera comunanza di  argomenti  e  di  tematiche  e  un
generico riferimento alla rilevanza di atti pubblici. 
    Ove si accedesse  all'interpretazione  dell'assemblea  l'istituto
previsto dalla norma costituzionale si trasformerebbe in un'esenzione
da responsabilita' unicamente legata alla funzione parlamentare e  in
un privilegio personale, con la conseguenza  che  le  opinioni  e  le
dichiarazioni  manifestate  da  un  parlamentare   sarebbero   sempre
sottratte  alla  verifica  giurisdizionale,  impedendo  in  tal  modo
l'accesso personale alla giustizia. 
    La  condotta  addebitabile,   secondo   la   prospettazione   del
querelante, al senatore Iannuzzi, nel caso specifico nella  veste  di
giornalista, esula dall'esercizio delle funzioni parlamentari  e  non
presenta sul piano oggettivo  alcun  legame  con  atti  parlamentari,
ancorche'  qualificati  un  un'ampia  accezione,  e  deve   ritenersi
soggetta  al  controllo  di   legalita'   riservato   alla   funzione
giurisdizionale. 
    Le  opinioni  manifestate  dal  senatore  Iannuzzi  sono   quindi
estranee al nesso funzionale indicato dalla  Corte  costituzionale  e
non si possono considerare ricomprese nell'esercizio  delle  funzioni
parlamentari,  con  la  conseguenza  che  riguardo  ad  esse  non  e'
invocabile l'immunita' prevista dall'art. 68, primo comma della Carta
costituzionale,  ne'  e'  possibile  riguardo  ad  esse  quel  «salto
interpretativo» auspicato dall'assemblea. 
    Nel caso in esame si rende quindi necessario sollevare  conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato Al conflitto  e'  da  ritenere
ammissibile sia sotto il profilo  soggettivo  che  sotto  il  profilo
oggettivo. 
    Sotto il profilo soggettivo il  giudice  ricorrente  e'  l'organo
competente a decidere, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali, in
merito alla lamentata illiceita'  penale  della  condotta  addebitata
all'imputato e quindi  «a  dichiarare  la  volonta'  del  potere  cui
appartiene,  in  posizione  di  piena  indipendenza  garantita  dalla
Costituzione». 
    Sotto il profilo oggettivo, si impone la necessita' di verificare
la sussistenza dei presupposti per il  riconoscimento  dell'immunita'
prevista dall'art. 68, primo comma della Costituzione e - in caso  di
accertamento negativo - di  verificare  la  lesione  della  sfera  di
attribuzioni giurisdizionali da parte  del  Senato  della  Repubblica
attraverso la delibera sopra indicata. 
    Il presente  conflitto  si  presenta  processualmente  rilevante,
poiche' allo stato, sulla scorta delle prospettazioni del querelante,
non si ravvisa la possibilita' di un proscioglimento dell'imputato ai
sensi dell'art. 129 del codice di procedura penale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti  gli  articoli  134  della  Costituzione  della  Repubblica
italiana, 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87. 
 
                               Solleva 
 
    Conflitto di attribuzione tra poteri  dello  Stato  davanti  alla
Corte costituzionale e chiede che la Corte costituzionale: 
    1) dichiari ammissibile  il  presente  conflitto  adottando  ogni
conseguente provvedimento; 
    2) dichiari che  non  spettava  al  Senato  della  Repubblica  la
valutazione sulla condotta attribuita al senatore Raffaele  Iannuzzi,
oggetto di contestazione nel presente giudizio,  in  quanto  estranea
alla previsione dell'art. 68, comma 1, Cost.; 
    3) annulli la relativa deliberazione del Senato della  Repubblica
in data 21 dicembre 2012 (Senato della Repubblica,  XVI  legislatura,
858° seduta, doc. IV ter, n. 29). 
 
                               Ordina 
 
    L'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e 
 
                              Sospende 
 
    Il  procedimento  in  corso  fino  alla  pronuncia  della   Corte
costituzionale. 
    Manda alla cancelleria per  gli  adempimenti  di  competenza,  in
particolare per la notifica del presente provvedimento ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  all'imputato  e  ai  suoi  difensori,  alla  parte  civile
costituita e al suo difensore. 
 
      Monza, 4 novembre 2013. 
 
                   Il giudice: Alessandro Rossato 
 
Avvertenza 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 53/2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - 1ª serie
speciale - n. 14 del 26 marzo 2014.