N. 33 SENTENZA 11 - 19 febbraio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Gratuito patrocinio - Consulenti tecnici - Limitazione degli effetti
 della ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai casi in cui  e'
 disposta perizia - Esigenza di piena tutela del diritto di difesa dei
 non  abbienti  nel nuovo processo avente natura accusatoria e fondato
 sul   principio   di  disponibilita'  della  prova  -  Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (Legge 30 luglio 1990, n. 217, art. 4, secondo comma, prima parte).
 
(GU n.8 del 24-2-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
    Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,prof.  Valerio  ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
 Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  4,  comma  2,
 prima  parte,  della  legge  30  luglio 1990, n. 217 (Istituzione del
 patrocinio a spese dello Stato per  i  non  abbienti),  promosso  con
 ordinanza emessa il 28 maggio 1997 dal tribunale di Saluzzo, iscritta
 al  n.  737  del  registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 44,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1997.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  6  maggio 1998 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   Il tribunale di Saluzzo, chiamato a provvedere sulla  richiesta  di
 liquidazione  avanzata dal consulente tecnico nominato da un imputato
 ammesso al  patrocinio  a  spese  dello  Stato  in  relazione  ad  un
 procedimento  per  i  reati  di cui all'art. 2621 del codice civile e
 agli artt. 224, 217 e 223 della legge  fallimentare,  nel  corso  del
 quale  non  era  stata  disposta  perizia  da  parte del giudice, con
 ordinanza in data 28 maggio 1997 ha sollevato,  in  riferimento  agli
 artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  comma, 2, della legge 30
 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese  dello  Stato
 per  i non abbienti), nella parte in cui, per i consulenti tecnici di
 parte, limita la facolta' per l'imputato di godere degli effetti  del
 beneficio  del  gratuito  patrocinio (recte: patrocinio a spese dello
 Stato) ai soli casi in cui e' disposta perizia.
   Dopo aver ricordato il ruolo della consulenza tecnica extraperitale
 (art. 233 cod. proc. pen.) nel processo penale di  tipo  accusatorio,
 nel   quale  e'  positivamente  prevista  (art.  38  disp.  att.)  la
 possibilita' per i difensori di avvalersi, al fine di  esercitare  il
 diritto  alla  prova,  dell'opera  di consulenti tecnici, e dopo aver
 sottolineato come, secondo la giurisprudenza di  legittimita',  dalle
 dichiarazioni  dei  consulenti  tecnici,  equiparati ai testimoni, il
 giudice possa trarre  elementi  di  prova,  il  tribunale  remittente
 rileva  che,  nel  vigente  sistema  processuale  di parti, la difesa
 tecnica assumerebbe un ruolo centrale,  meritevole  di  garanzia  non
 meno  della  tradizionale difesa esercitata dall'avvocato. Del resto,
 gia' in relazione al previgente ordinamento processuale,  osserva  il
 giudice  a quo questa Corte aveva affermato che il consulente tecnico
 doveva   ritenersi   parte   integrante   dell'ufficio   di    difesa
 dell'imputato,  nel  cui interesse presta la propria opera di apporto
 tecnico  mediante  argomenti,  rilievi  ed  osservazioni  che   hanno
 sostanzialmente  natura  di  atti  defensionali  (sentenza n. 199 del
 1974).
   Pertanto, ad avviso del remittente, l'art. 4, comma 2, prima parte,
 della legge n. 217 del 1990, ponendo l'imputato nella  impossibilita'
 di   godere   dei   benefici  del  patrocinio  a  spese  dello  Stato
 allorquando, per esercitare il proprio  diritto  alla  prova  e  alla
 difesa  tecnica,  ritenesse  necessario  avvalersi  di  un consulente
 tecnico ex art. 233 del codice di procedura penale nei  casi  in  cui
 non sia stata disposta perizia, si porrebbe in evidente contrasto con
 l'art. 24, secondo e terzo comma, della Costituzione.
   La  medesima  disposizione, secondo il giudice a quo sarebbe lesiva
 anche del principio  di  eguaglianza  formale,  per  l'ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  tra  l'imputato  ammesso al patrocinio a
 spese dello Stato che si sia avvalso  di  un  consulente  tecnico  in
 costanza  di  perizia e l'imputato, anch'egli ammesso al patrocinio a
 spese dello Stato, che invece  non  puo'  ricorrere  a  tale  ausilio
 difensivo,  se  non  a proprie spese, quando la perizia non sia stata
 disposta.
   L'art. 4, comma 2, prima  parte,  contrasterebbe,  infine,  con  il
 principio di eguaglianza sostanziale: il fatto che venga disposta dal
 giudice  una  perizia,  sulla  base  di una valutazione discrezionale
 senza che le parti  possano  in  qualche  modo  interferire  in  tale
 decisione,  assurgerebbe,  infatti,  ad  irragionevole  ed arbitrario
 discrimine per il riconoscimento o meno all'imputato del beneficio in
 questione.
   Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che
 l'istanza di liquidazione presentata dal consulente tecnico, in  base
 alla  disposizione  censurata,  dovrebbe  essere  respinta, pur se il
 ricorso dell'imputato all'opera di un consulente non possa  ritenersi
 superfluo  in  considerazione  della  intrinseca  complessita'  delle
 imputazioni contestategli.
                        Considerato in diritto
   1.  -    Il  tribunale  di  Saluzzo   dubita   della   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4,  comma  2,  prima parte, della legge 30
 luglio 1990, n.  217 (Istituzione del patrocinio a spese dello  Stato
 per i non abbienti), il quale prevede che gli effetti dell'ammissione
 al  patrocinio  a  spese dello Stato si verifichino, relativamente ai
 consulenti tecnici, nei soli casi in cui dal giudice  venga  disposta
 perizia.  Tale  limitazione contrasterebbe, ad avviso del remittente,
 con l'articolo 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, poiche'
 al cittadino non abbiente sarebbe impedito di avvalersi dell'opera di
 un consulente di parte per illustrare  in  chiave  tecnica  i  propri
 argomenti difensivi all'autorita' giudiziaria chiamata a giudicarlo.
   La  medesima  disposizione  violerebbe,  inoltre,  l'art.  3  della
 Costituzione,  sotto  un  duplice  profilo:  in  primo   luogo   essa
 comporterebbe   una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra
 l'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato che  si  avvalga
 di  consulenza tecnica nel caso in cui sia stata disposta dal giudice
 una perizia e l'imputato,  pure  ammesso  al  patrocinio  per  i  non
 abbienti, che, quando la perizia non sia stata disposta, non potrebbe
 ricorrere a tale ausilio difensivo se non a proprie spese; in secondo
 luogo  essa  comprimerebbe  irragionevolmente  il  diritto  di difesa
 dell'imputato  subordinandolo  ad  una  decisione  discrezionale  del
 giudice.
   2. - La questione e' fondata.
   Non  puo'  negarsi che la facolta' dell'imputato di farsi assistere
 da un consulente tecnico sia espressione del diritto di difesa  tutte
 le  volte in cui l'accertamento della responsabilita' penale richieda
 il possesso di cognizioni  tecniche  che,  come  non  possono  essere
 presunte  nella persona del giudice, cosi' possono non essere proprie
 del difensore.  Questa Corte gia' nella sentenza n. 199 del 1974 ebbe
 a chiarire che il consulente deve essere  ritenuto  parte  integrante
 dell'ufficio  di  difesa  dell'imputato,  nel cui interesse presta la
 propria  opera  mediante   l'apporto   di   argomenti,   rilievi   ed
 osservazioni  tecniche  che hanno sostanzialmente natura di attivita'
 difensiva; e nella successiva sentenza n. 345 del 1987 non manco'  di
 precisare che il divieto per le parti del processo penale di nominare
 piu' di due consulenti tecnici previsto dal codice previgente, doveva
 essere   valutato   con   specifico   riferimento  a  ciascuno  degli
 accertamenti che fossero stati disposti dal giudice nella forma della
 perizia, e cio' proprio sulla premessa che l'ausilio  del  consulente
 tecnico altro non e' che esercizio del diritto di difesa sicche' ogni
 limitazione  sostanziale  imposta  a  tale  ausilio si risolve in una
 menomazione di quel diritto.
   La stretta correlazione tra le funzioni del consulente tecnico e il
 diritto di difesa dell'imputato e' stata affermata  da  questa  Corte
 nel  contesto  dell'abrogato  codice  del  1930, che dava ingresso al
 consulente tecnico della parte solo in occasione di incarico peritale
 disposto dal giudice  e  negava  autonomo  rilievo  alla  figura  del
 consulente extraperitale, considerato semplice ausilio del difensore,
 incapace  di  compiere  valutazioni  tecniche dotate di un intrinseco
 valore  probatorio;  le  sue  indicazioni  si   riducevano   a   mere
 sollecitazioni  defensionali  e  non  vano  la forza di penetrare nel
 processo se non attraverso la mediazione del  giudice,  a  sua  volta
 ritenuto peritus peritorum.
   Nell'attuale  sistema  quella correlazione si e' vieppiu' inverata.
 Il codice vigente, infatti, prevede la possibilita' per le parti  del
 processo  penale di nominare consulenti tecnici anche nel caso in cui
 non sia stata disposta alcuna perizia (art.  233).  E  si  tratta  di
 previsione  che,  essendo  consentito  al  giudice, come riconosce la
 giurisprudenza di legittimita', trarre elementi di  prova  dall'esame
 dei  consulenti  tecnici,  la cui posizione viene assimilata a quella
 dei testimoni, vale a qualificare in modo ancor piu' evidente la loro
 attivita' come  aspetto  essenziale  dell'esercizio  del  diritto  di
 difesa   in   relazione  alle  ipotesi  in  cui  la  decisione  sulla
 responsabilita'  penale  dell'imputato  comporti  lo  svolgimento  di
 indagini  o  l'acquisizione  di  dati  o  valutazioni  che richiedono
 specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, secondo la
 formulazione dell'art. 220 del codice di procedura penale.
   Il compiuto processo di assimilazione della figura  del  consulente
 tecnico  extraperitale  a  quella del difensore si delinea in maniera
 ancor piu' nitida alla luce degli ulteriori elementi normativi, anche
 se  in  parte  preesistenti,  sui  quali   il   remittente   richiama
 l'attenzione:    oltre  agli  artt.  380 e 381 del codice penale, che
 puniscono, insieme al patrocinio, la consulenza infedele, l'art.  103
 del   codice  di  procedura,  che,  sotto  la  significativa  rubrica
 "garanzie di liberta' del difensore", vieta, al comma 2, il sequestro
 presso il consulente di carte o documenti relativi all'oggetto  della
 difesa  e, al comma 5, l'intercettazione relativa a conversazioni dei
 consulenti tecnici e loro ausiliari e a quelle tra i  medesimi  e  le
 persone  da  loro assistite, nonche' l'art. 200, comma 1, lettera b),
 del medesimo codice di rito, che assicura anche ai consulenti tecnici
 la tutela del segreto  professionale.    Un  unitario  e  sistematico
 insieme di disposizioni conduce insomma a riconoscere che la facolta'
 di  avvalersi  di  un  consulente tecnico si inserisce a pieno titolo
 nell'area di operativita' della garanzia  posta  dall'art.  24  della
 Costituzione.
   3.  -  La  legge  n.  217  del  1990  garantisce ai non abbienti la
 prestazione del difensore, ma introduce, con l'art. 4, comma  2,  una
 drastica  limitazione:  in  relazione ai consulenti tecnici l'effetto
 della ammissione al patrocinio a spese dello Stato si  verifica  solo
 nel  caso  in  cui il giudice abbia disposto perizia e non si estende
 alla ipotesi di consulenza extraperitale. Se pure  l'accertamento  da
 compiersi  fosse  compreso  tra  quelli che richiedono il possesso di
 particolari cognizioni tecniche e tuttavia il giudice  non  ritenesse
 di  nominare  un  perito,  l'imputato  privo  di  mezzi  non potrebbe
 giovarsi dell'assistenza di un  consulente,  neppure  in  circostanze
 estreme  nelle  quali  essa apparisse essenziale e non meno decisiva,
 per  l'effettivita'  della  sua  difesa,  dell'apporto  professionale
 dell'avvocato.
   Il  diritto  di  difesa  del non abbiente non ne risulterebbe cosi'
 gravemente menomato se  fosse  possibile  sostenere,  come  e'  stato
 prospettato  da  una  dottrina  valorizzando alcuni elementi testuali
 presenti nella disciplina processualpenalistica in tema  di  perizia,
 che  nelle  ipotesi in cui la decisione da assumere coinvolga nozioni
 nel campo della tecnica, dell'arte o delle scienze  che  non  possono
 presumersi  nel  giudice, per esso la nomina di un perito costituisca
 un dovere.
   In astratto una siffatta soluzione avrebbe potuto  essere  ritenuta
 non  incompatibile  con  la  dizione  dell'art.  220  del  codice  di
 procedura penale,  il  quale  usa  una  terminologia  che  non  evoca
 potesta'  discrezionali  ma, con formulazione quasi deontica, dispone
 che "la  perizia  e'  ammessa  quando  occorre  svolgere  indagini  o
 acquisire  dati  o  valutazioni  che richiedono specifiche competenze
 tecniche, scientifiche o artistiche".   E  non  v'e'  dubbio  che  se
 questa  soluzione interpretativa fosse prevalsa nella prassi, sarebbe
 stato arduo imputare all'art. 4, comma 2, della legge n. 217 del 1990
 una vulnerazione del diritto di difesa del non abbiente.
   Ma una simile interpretazione contraddice allo spirito  accusatorio
 del  nuovo  codice  di  procedura  penale, imperniato, sia pure con i
 necessari  temperamenti  connessi  al  permanere  di  alcuni   poteri
 officiosi,  sul  principio  di disponibilita' della prova (art. 190),
 sulla conseguente liberta' di nomina dei consulenti tecnici anche  al
 di  fuori dei casi in cui sia stata disposta perizia (art. 233) e sul
 valore probatorio che viene attribuito alla consulenza di parte, come
 dimostra l'art.  422 del codice di procedura penale, che consente  al
 giudice   dell'udienza   preliminare   di  ammettere  l'audizione  di
 consulenti  tecnici  nominati  dalle  parti  quando  si   tratti   di
 accertamenti decisivi.
   I  poteri  del  giudice in materia probatoria sono, in effetti, nel
 nuovo  sistema  processuale,  suppletivi  anche  se  non  eccezionali
 (sentenza  n.  111  del 1993) e sopravvengono solo in una fase in cui
 sia terminata l'assunzione delle prove richieste dalle  parti  (artt.
 468,  493,  495)  o  indicate dal giudice (art. 506) e nuovi mezzi di
 prova appaiano "assolutamente necessari" (art. 507). E'  pertanto  da
 ritenere  perfettamente compenetrato nello spirito del nuovo processo
 l'orientamento  della  Cassazione  secondo  cui  il  giudice,   senza
 necessita' di disporre perizia, puo' legittimamente desumere elementi
 di  prova  dall'esame  dei  consulenti  tecnici dei quali le parti si
 siano avvalse.
   4.  -  Se  dunque non puo' essere revocato in dubbio in questa sede
 che la consulenza extraperitale e'  suscettibile  di  assumere  pieno
 valore  probatorio  non  diversamente  da  una  testimonianza  e  che
 pertanto il giudice non e' vincolato a nominare un perito qualora  le
 conclusioni   fornite   dai   consulenti   di   parte   gli  appaiano
 oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti  convincenti,
 la  soluzione  della presente questione di costituzionalita' consegue
 linearmente al riconoscimento, gia' compiuto da  questa  Corte  nelle
 sentenze sopra richiamate, che le prestazioni del consulente di parte
 ineriscono  all'esercizio  del diritto di difesa, sicche' privarne il
 non abbiente significa negargli il diritto di difendersi  in  un  suo
 aspetto   essenziale.   Ove   poi  si  consideri  che,  conformemente
 all'attuale modello accusatorio e sul fondamento dell'obbligatorieta'
 dell'azione penale, al pubblico ministero per sostenere  l'accusa  e'
 consentito  avvalersi  di  esperti  nei  piu'  svariati settori della
 scienza e della tecnica senza limitazione di oneri  economici,  nella
 garanzia  affermata dall'art. 24, terzo comma, della Costituzione non
 puo' non ritenersi compresa una istanza di riequilibrio tra le  parti
 del  processo  penale  nei  procedimenti  nei  quali  siano coinvolte
 persone sprovviste di mezzi ed ammesse al patrocinio  a  spese  dello
 Stato.
   La   conseguente  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  4, comma 2, prima parte, della legge n. 217 del 1990  deve
 essere  circoscritta  a  quanto  impone  la Costituzione a tutela del
 diritto di difesa dei non abbienti, ai  quali  deve  essere  pertanto
 riconosciuta la facolta' di farsi assistere a spese dello Stato da un
 consulente   per   ogni  accertamento  tecnico  ritenuto  necessario,
 restando ovviamente  salva  la  possibilita'  di  un  intervento  del
 legislatore  per  una nuova disciplina della materia che comunque non
 incida sul nucleo essenziale del diritto garantito dall'art. 24 della
 Costituzione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 2,  prima
 parte, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio
 a  spese  dello  Stato  per i non abbienti) nella parte in cui, per i
 consulenti tecnici, limita gli effetti della ammissione al patrocinio
 a spese dello Stato ai casi in cui e' disposta perizia.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 1999.
                         Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Mezzanotte
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 19 febbraio 1999
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0157